Skip to main content

Full text of "La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo;"

See other formats


This  is  a  digitai  copy  of  a  book  that  was  preserved  for  generations  on  library  shelves  before  it  was  carefully  scanned  by  Google  as  part  of  a  project 
to  make  the  world's  books  discoverable  online. 

It  has  survived  long  enough  for  the  copyright  to  expire  and  the  book  to  enter  the  public  domain.  A  public  domain  book  is  one  that  was  never  subject 
to  copyright  or  whose  legai  copyright  term  has  expired.  Whether  a  book  is  in  the  public  domain  may  vary  country  to  country.  Public  domain  books 
are  our  gateways  to  the  past,  representing  a  wealth  of  history,  culture  and  knowledge  that's  often  difficult  to  discover. 

Marks,  notations  and  other  marginalia  present  in  the  originai  volume  will  appear  in  this  file  -  a  reminder  of  this  book's  long  journey  from  the 
publisher  to  a  library  and  finally  to  you. 

Usage  guidelines 

Google  is  proud  to  partner  with  libraries  to  digitize  public  domain  materials  and  make  them  widely  accessible.  Public  domain  books  belong  to  the 
public  and  we  are  merely  their  custodians.  Nevertheless,  this  work  is  expensive,  so  in  order  to  keep  providing  this  resource,  we  bave  taken  steps  to 
prevent  abuse  by  commercial  parties,  including  placing  technical  restrictions  on  automated  querying. 

We  also  ask  that  you: 

+  Make  non-commercial  use  of  the  file s  We  designed  Google  Book  Search  for  use  by  individuals,  and  we  request  that  you  use  these  files  for 
personal,  non-commercial  purposes. 

+  Refrain  from  automated  querying  Do  not  send  automated  queries  of  any  sort  to  Google's  system:  If  you  are  conducting  research  on  machine 
translation,  optical  character  recognition  or  other  areas  where  access  to  a  large  amount  of  text  is  helpful,  please  contact  us.  We  encourage  the 
use  of  public  domain  materials  for  these  purposes  and  may  be  able  to  help. 

+  Maintain  attribution  The  Google  "watermark"  you  see  on  each  file  is  essential  for  informing  people  about  this  project  and  helping  them  find 
additional  materials  through  Google  Book  Search.  Please  do  not  remove  it. 

+  Keep  it  legai  Whatever  your  use,  remember  that  you  are  responsible  for  ensuring  that  what  you  are  doing  is  legai.  Do  not  assume  that  just 
because  we  believe  a  book  is  in  the  public  domain  for  users  in  the  United  States,  that  the  work  is  also  in  the  public  domain  for  users  in  other 
countries.  Whether  a  book  is  stili  in  copyright  varies  from  country  to  country,  and  we  can't  offer  guidance  on  whether  any  specific  use  of 
any  specific  book  is  allowed.  Please  do  not  assume  that  a  book's  appearance  in  Google  Book  Search  means  it  can  be  used  in  any  manner 
any  where  in  the  world.  Copyright  infringement  liability  can  be  quite  severe. 

About  Google  Book  Search 

Google's  mission  is  to  organize  the  world's  Information  and  to  make  it  universally  accessible  and  useful.  Google  Book  Search  helps  readers 
discover  the  world's  books  while  helping  authors  and  publishers  reach  new  audiences.  You  can  search  through  the  full  text  of  this  book  on  the  web 


at|http  :  //books  .  google  .  com/ 


Informazioni  su  questo  libro 

Si  tratta  della  copia  digitale  di  un  libro  che  per  generazioni  è  stato  conservata  negli  scaffali  di  una  biblioteca  prima  di  essere  digitalizzato  da  Google 
nell'ambito  del  progetto  volto  a  rendere  disponibili  online  i  libri  di  tutto  il  mondo. 

Ha  sopravvissuto  abbastanza  per  non  essere  piti  protetto  dai  diritti  di  copyright  e  diventare  di  pubblico  dominio.  Un  libro  di  pubblico  dominio  è 
un  libro  che  non  è  mai  stato  protetto  dal  copyright  o  i  cui  termini  legali  di  copyright  sono  scaduti.  La  classificazione  di  un  libro  come  di  pubblico 
dominio  può  variare  da  paese  a  paese.  I  libri  di  pubblico  dominio  sono  l'anello  di  congiunzione  con  il  passato,  rappresentano  un  patrimonio  storico, 
culturale  e  di  conoscenza  spesso  difficile  da  scoprire. 

Commenti,  note  e  altre  annotazioni  a  margine  presenti  nel  volume  originale  compariranno  in  questo  file,  come  testimonianza  del  lungo  viaggio 
percorso  dal  libro,  dall'editore  originale  alla  biblioteca,  per  giungere  fino  a  te. 

Linee  guide  per  l'utilizzo 

Google  è  orgoglioso  di  essere  il  partner  delle  biblioteche  per  digitalizzare  i  materiali  di  pubblico  dominio  e  renderli  universalmente  disponibili. 
I  libri  di  pubblico  dominio  appartengono  al  pubblico  e  noi  ne  siamo  solamente  i  custodi.  Tuttavia  questo  lavoro  è  oneroso,  pertanto,  per  poter 
continuare  ad  offrire  questo  servizio  abbiamo  preso  alcune  iniziative  per  impedire  l'utilizzo  illecito  da  parte  di  soggetti  commerciali,  compresa 
l'imposizione  di  restrizioni  sull'invio  di  query  automatizzate. 

Inoltre  ti  chiediamo  di: 

+  Non  fare  un  uso  commerciale  di  questi  file  Abbiamo  concepito  Google  Ricerca  Libri  per  l'uso  da  parte  dei  singoli  utenti  privati  e  ti  chiediamo 
di  utilizzare  questi  file  per  uso  personale  e  non  a  fini  commerciali. 

+  Non  inviare  query  automatizzate  Non  inviare  a  Google  query  automatizzate  di  alcun  tipo.  Se  stai  effettuando  delle  ricerche  nel  campo  della 
traduzione  automatica,  del  riconoscimento  ottico  dei  caratteri  (OCR)  o  in  altri  campi  dove  necessiti  di  utilizzare  grandi  quantità  di  testo,  ti 
invitiamo  a  contattarci.  Incoraggiamo  l'uso  dei  materiali  di  pubblico  dominio  per  questi  scopi  e  potremmo  esserti  di  aiuto. 

+  Conserva  la  filigrana  La  "filigrana"  (watermark)  di  Google  che  compare  in  ciascun  file  è  essenziale  per  informare  gli  utenti  su  questo  progetto 
e  aiutarli  a  trovare  materiali  aggiuntivi  tramite  Google  Ricerca  Libri.  Non  rimuoverla. 

+  Fanne  un  uso  legale  Indipendentemente  dall' utilizzo  che  ne  farai,  ricordati  che  è  tua  responsabilità  accertati  di  farne  un  uso  legale.  Non 
dare  per  scontato  che,  poiché  un  libro  è  di  pubblico  dominio  per  gli  utenti  degli  Stati  Uniti,  sia  di  pubblico  dominio  anche  per  gli  utenti  di 
altri  paesi.  I  criteri  che  stabiliscono  se  un  libro  è  protetto  da  copyright  variano  da  Paese  a  Paese  e  non  possiamo  offrire  indicazioni  se  un 
determinato  uso  del  libro  è  consentito.  Non  dare  per  scontato  che  poiché  un  libro  compare  in  Google  Ricerca  Libri  ciò  significhi  che  può 
essere  utilizzato  in  qualsiasi  modo  e  in  qualsiasi  Paese  del  mondo.  Le  sanzioni  per  le  violazioni  del  copyright  possono  essere  molto  severe. 

Informazioni  su  Google  Ricerca  Libri 

La  missione  di  Google  è  organizzare  le  informazioni  a  livello  mondiale  e  renderle  universalmente  accessibili  e  fruibili.  Google  Ricerca  Libri  aiuta 
i  lettori  a  scoprire  i  libri  di  tutto  il  mondo  e  consente  ad  autori  ed  editori  di  raggiungere  un  pubblico  piti  ampio.  Puoi  effettuare  una  ricerca  sul  Web 


nell'intero  testo  di  questo  libro  dalhttp  :  //books  .  google  .  com 


XUÌ.33li.2.é 


oogle 


Digitized  by 


Google 


Digitized  b\; 


O 


Digitized  by 


Google 


LJL 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


LA  VITA  E  GLI  SCRITTI 


DI 


NICCOLO  MACHIAVELLI 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


© 


LA  VITA  E  GLI  SCEITTI 


DI 


MCCOLO  MACfflAVELLI 

NELLA  LORO  RELAZIONE 

COL  MACHIAVELLISMO 


STORIA     EX>      ESAME      CRITICO 

DI 

ORESTE  TOMMASINI 

Nec  tpe  nee  metu. 


OPBtA  OBI  Orrmi  IL  PREMIO  rSOPOSTO  DAL  COMVSK  01  PIRin»  «IL  IV  CnTBVA&IO 
DALLA  KASCITA    DEL   SSOBCTABIO   PIOanTTIKO. 


Volume  I. 


ROMA  -  TORINO  -  FIRENZE 

:eiiim.anno    loescher 

1883 


Digitized  by 


Google 


^W^-^M-é-   X+al.3.^'^5-'' 


tewM»  eouESf  iiBnn 


Roma,  Forzani  e  C ,  tipografi  del  Senato. 


Digitized  by 


Google 


A  MIO  PADRE  VINCENZO 

A  MIO  ZIO  PIETRO 

CHE   DANDOMI   CONFORTO   ED   AGIO   A   LIBERI   STUDII 

TRA   I   DOMESTICI   AFFETTI   MI   CREBBERO 

NEL   PENSIERO   DELLA   PATRIA. 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE 


xtj^àvei  Tot  PpaSù;  (óxuv. 
Omero,  Odissea,  vm,  329. 


Quando  l'Italia  celebrava  in  Firenze  il  quarto 
centenario  dalla  nascita  di  Niccolò  Machiavelli, 
Roma,  separata  ancora  dalla  comune  patria,  a 
quella  commemorazione  partecipava  appena  col 
desiderio;  tanto  che  all'autore  della  presente  opera 
venivano  allora  istigazioni  molteplici  dagli  amici 
che  insieme  con  lui  solevano  meditare  e  aver  cari 
gli  scritti  del  Segretario  fiorentino,  a  ciò  eh'  egli 
intorno  alla  vita  di  questo  si  accingesse  al  lavoro, 
pel  quale  allora  dal  Comune  di  Firenze  era  ban- 
dito il  concorso.  Egli,  senza  stabilito  proposito 
di  cimentarsi  alla  prova,  si  lasciò  indurre  a  tentar 
l'argomento  ;  incominciando,  com'era  naturale,  dal 
ricercar  due  cose:  quel  che  per  sin  allora  si  fosse 
pensato  o  detto  del  Machiavelli;  e  quel  che  questi 
avesse  realmente  scritto  e  voluto  scrivere.  Cosi, 
dalla  prima  ricerca  fu  tratto  a  percorrere  e  trac- 
ciare la  storia  critica  del  Machiavellismo,  per  non 
ripetere  vanamente,  col  modestcf  e  grave  compito 


Digitized  by 


Google 


vili  PREFAZIOSE, 


di  continuatore,  il  novero  bibliografico  condotto 
già  con  molta  ampiezza,  ma  con  diverso  criterio, 
dall' Artaud  e  dal  Mohl.  La  seconda  ricerca  recò 
poi  con  sé  l'esame  accurato  degli  autografi  e 
degli  apografi  del  Machiavelli  ^  de' quali  un  ma- 
teriale ricchissimo,  non  usato  in  gran  parte  sin 
allora,  trova  vasi  nelle  librerie  d'Italia  e  parti- 
colarmente di  Firenze,  a  disposizione  di  tutti. 
Eecò  con  «è  il  ragguaglio  e  la  collazione  fra  le 
edizioni,  generalmente  mendose,  e  i  manoscritti  ; 
da  poi  che  s'era  da  certo  tempo  fatta  strada  la 
persuasione  che  le  cose  del  Segretario  fiorentino 
fossero  state  più  spesso  date  fuori  come  leccornie 
da  ghiotti,  che  come  cibi  vitali  e  salubri;  adoc- 
chiando chi  ne  spacciava  piuttosto  la  bramosìa  di 
chi  era  per  riceverle  e  il  lucro  che  ne  verrebbe 
a  lui,  che  non  la  capacità  e  la  coscienza  di  chi 
si  faceva  a  prepararne  l'imbandigione.  Infatti  gli 
editori  della  Cambiagiana,  ^  che  seppero  evitare 
o  dissimulare  quella  meschinità  di  mire,  fecero 
miglior  opera,  e  ne  avrebber  fatto  eccellente,  se 
avessero  potuto  godere  a  loro  agio  di  tutti  quei 
sussidi  e  quelle  larghezze  di  libertà  che  resero 
oggi  non  solo  agevole,  ma  necessaria  una  pub- 
blicazione degli  scritti  del  Machiavelli,  condotta 
con:  metodo  di  sana  critica. 

Nel  1852,  l'editore  delle  Opere  minori  di  lui, 
nella  Collezione  Nazionale  del  Le  Mounier,  scri- 
veva: tt  II  tempo  mi  pare  alfin  giunto  di  dire...  aperta 

*  Opere  di  N,  M,y  MDCOuczxii,  a  spese  di  Gaetano  Cambiagi  in  Firenze. 


Digitized  by 


Google 


1 


PREFAZIONE.  IX 


ed  intera  la  verità  —  ....  —  Quella  preferenza  che 
la  Crusca  già  diede  alla  non  ingenua  ma  sofisti- 
cata edizione  del  1550,  fu,  secondo  noi,  la  cagione 
per  la  quale  più  non  possiamo  afiidarci  a  nessuna 
quasi  delle  stampe  che  dopo  quel  tempo  si  fecero, 
e  che  tutte  riuscirono  ripetizioni  o  peggioramenti 
di  quella  w.^  —  Chi  così  osservava  era  il  Polidori, 
cruscante,  che  nel  1859  ^  ricevette  incarico  dal 
Governo  provvisorio  toscano  di  curare,  insieme 
coi  dotti  signori  Luigi  Passerini  e  Giuseppe  Ca- 
nestrini, un'edizione  compiuta  delle  Opere  di  N. 
M.  da  esser  fatta  in  Firenze  a  spese  dello  8tato. 
Il  Polidori  congetturava  di  suo  capo,  a  dir  vero, 
errori  e  varianti  nel  Principe,  nelle  Istorie,  nei 
Frammenti  storici,  in  quel  che  dovevasi  pubbli- 
care delle  Opere  maggiori  ;  ma  nelle  minori  che 
aveva  egli  medesimo  ridato  a  luce,  ne'  Decen- 
nali ad  esempio,  aveva  pur  lasciato  trascorrere 
intatti  svarioni  e  lezioni  siffatte,  da  non  esser 
possibile  tal  volta  il  raccapezzarvi  né  buon  senso 
né  senso.  —  Nei  Decennali  poi  (ecco  quel  ch'ei 
proponevasi  per  la  nuova  edizione  afiìdatagli)  "  nei 
Decennali,  che  da  noi  si  riguardano  come  un  mero 
breviario  istorico,  sarà  soltanto  da  discutere  se, 
verso  il  fine  di  essi,  invece  di:  e  quel  resto  che 
tiene  Col  nome  solo  il  seggio  de' Romani,  come  anno 
tutte  le  edizioni,  converrebbe  di  leggere:  e7  resto' 
quel  che  tiene,  ecc.  ji;  nel  qual  luogo  con viensi  invece 


*  POUDOBI,  Deffli  errori  ohe  deturpano  le  edizioni  finora  esUtenii  delle  Opp* 
di  N,  M. 

'  Per  decreto  in  data  de*  23  settembre  1859. 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE. 


di  lasciare  la  lezione  proprio  qual'  è  e  dichiararne 
piuttosto,  né  è  cosa  difficile,  la  precisa  significa- 
zione storica.  Ma  ben  sarebbe  stato  bisogno  che 
invece  d'argomentare  per  congettura  lezioni  ar- 
bitrarie, il  Polidori,  imitando  l'esempio  del  mo- 
desto Giampieri,  che  aveva  lavorato  due  anni  a 
collazionare  coi  manoscritti  palatini  ^  le  edizioni 
del  1782  e  del  1843,  si  fosse  rifatto  a  manoscritti 
autorevoli;  e  col  sussidio,  per  esempio,  del  codice 
41  laurenziano,  plut.  xliv,  e  del  magliabechiano 
ci.  XXV,  n.  604,  avesse  proceduto  a  ristabilire  il  vero 
testo  di  quel  componimento,  il  quale  per  l' indole 
popolare  e  l'efficacia  che  ebbe  e  per  portar  dentro 
l'impronta  soggettiva  del  Cancelliere  poetante 
per  entro  a' fatti  di  cui  fu  contemporaneo,  è  da 
considerar  per  tutt'altro  che  di  secondaria  impor- 
tanza. Infatti  all'autore  di  questa  Vita  del  Mor 
chiavelliy  riuscì  solo  dopo  l'inspezione  di  quei 
manoscritti,  spiegare  un  passaggio  del  primo  De- 
cennale; dall'interpretazione  del  quale  gli  parve 
dipendere  non  piccola  parte  del  modo  d'intendere 
e  di  determinare  le  relazioni  personali,  quelle  cioè 
d' intelletto  e  di  cuore,  intercedute  fra  Niccolò  e 
Piero  Soderini,  gonfaloniere  a  vita.^  E  da  quella 


*  I.  GiAMPiBBI,  Awùo  ai  futuri  editori  delle  Opere  complete  di  N.  ilf.,  ms. 
nella  Blbl.  Kaz.  fior.,  fondo  palatino,  cartaceo  il,  2,  334,  in  folio,  descritto  in 
App.  TL^W Analisi  delVapografo  di  Giulian  de^Rieciy  §  l.  Il  Giampieri  condusse 
il  suo  lavoro  tanto  innanzi,  ch'ei  potè  scrÌTere  :  <l  le  importantissime  legazdoni 
al  Duca  Valentino  in  Romagna,  e  la  prima  alla  corte  di  Francia  sarebbero  già 
in  ordine  da  stamparsi  ]».  —  E  non  poche  delle  carte  palatine,  fedelmente  tra- 
scritte dal  buon  Giampieri,  cui  nessuno  rese  merito  delVopera  sua,  ci  furono 
con  squisita  gentilezza  date  a  studio  dal  cay.  Passerini,  prima  eh *egli  s'accin- 
gesse a  por  mano  alla  nuova  edizione  decretata  dal  Governo  provvisorio 
toscano. 

*  V.  neiropera,  lib.  ii,  cap.  3,  pag.  310. 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE,  XI 


consultazione  e  da  quel  riscontro  gli  venne  fatto 
riconoscere  come,  sin  dal  primo  sorgere  del  gon- 
falonierato  vitalizio,  il  personaggio  politico  del 
quale  il  Segretario  avrebbe  confidato  che  potesse 
riuscire  a  sostegno  della  repubblica  fiorentina,  fu 
tutt'altri  che  il  Sederini  ;  dal  Machiavelli  servito 
con  fede  e  affetto  grande,  ma  da  lui  non  adulato 
né  altamente  reputato  mai.  In  seguito  di  quella 
collazione  gli  venne  fatto  ravvisare  una  di  quelle 
riposte  ironie,  un  di  quei  giuochi  di  pensiero  e 
di  parole,  de' quali  il  Machiavelli  è  fecondissimo; 
per  cui  sparve  il  bisogno  o  di  tessere  sermoni 
alle  spalle  del  Segretario  fiorentino  o  di  segnare 
come  una  linea  di  passaggio  artificioso  tra  le  opi- 
nioni d'un  tempo  e  quelle  d'un  altro,  manife- 
state da  Niccolò  circa  il  dabbene,  ma  men  che 
grande  ed  accorto  superiore  suo.  Né  questo  parve 
piccolo  vantaggio,  dacché  il  pericolo  di  sfoggiare 
moralità  a  buon  patto,  ogni  qualvolta  trattasi  di 
fermare  un  dato  ambiguo  nella  vita  o  negli  scritti 
del  Machiavelli,  non  è  nien  ovvio  che  increscioso 
a'  di  nostri,  in  cui  si  vorrebbe  non  parer  virtuosi 
biasimando  altrui;  ed  evitare,  quanto  è  possibile, 
lo  sdrucciolo,  per  cui  caddero  già  i  critici  delle  età 
precedenti,  quello  cioè  di  mettere  le  idee  nostre 
o  de'  nostri  tempi  dentro  a'  fatti  suoi,  in  modo  da 
tramutare  o  la  natura  o  l' intenzione  di  quelli. 

Per  acquistarsi  inoltre  maggior  pratica  nella 
scrittura  e  nelle  consuetudini  grafiche  del  Ma- 
chiavelli, l'autore  della  presente  vita  s'accinse  a 
far  minuta  collazione  fra  l'autografo  deWArte  della 


Digitized  by 


Google 


XII  PREFAZIONE. 


guerra  e  le  stampe,  rilevando  le  mutate  condizioni 
del  manoscritto,  dal  tempo  in  cui  vi  condusse  la 
sua  edizione  il  Carbone,  a  quello  in  cui  egli  lo 
tolse  a  studio,  secondo  che  a  suo  luogo  metterà 
in  chiaro.  Parimenti  collazionò  delle  lettere  ap- 
partenenti alle  Legazioni  o  Commissioni  il  testo  of- 
ficiale, quello  cioè  che  conservasi  tra  le  scritte  per- 
venute ai  Dieci  o  a'  Signori  nell'Archivio  fioren- 
tiiio,  e  l'altro  proveniente  dalle  carte  domestiche 
del  Machiavelli,  che  Niccolò  custodiva  nelle  sue 
scatole  o  trascriveva  ne'  quadernucci  a  registro  ; 
e  che  più  spesso  ci  si  tramanda  negli  Apografi 
dal  regesto  del  Ricci  o  in  quello  barberiniano  di 
Roma.  L'utilità  che  di  questa  comparazione  gli 
derivò  non  fu  lieve  ;  dacché  le  mutazioni  da  Nic- 
colò indotte  sul  primo  gitto  delle  lettere  sue,  anno 
tutt'altro  sapore  che  di  rettorico  ;  avvisandosi  in 
quelle  talvolta  la  studiosa  reticenza  suggerita  al 
Cancelliere  da  considerazioni  più.  caute;  talvolta 
lo  svelamento  di  particolari  minuzie,  non  super- 
flue, per  avventura,  alla  conoscenza  ed  alla  dichiar- 
razione  di  fatti  più  generali/  Era  poi  da  usare 
la  distinzione  medesima  tra  quel  ch'era  privato 
scritto,  disposto  ad  un  fine  tutto  personale  e  sog- 
gettivo, e  quel  ch'appariva  compito  di  Cancel- 
leria destinato  a  pubblico  uso,  rispetto  anche  agli 
Estratti  di  lettere  ai  Dieci  di  balìa  ;  ad  alcuni  dei 
quali  poteva  non  attribuirsi  caratteristica  o  valore 
diverso  da  quello  d'alcuna  parte  de'Z)tart  del  Sa- 

*  YeergaBi  Bognatamento  la  nota  a  pag.  498-499. 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIOITE.  XIII 

NUDO  ;  mentre  altri  invece  conveniva  saggiar  col 
riscontro  d'altre  fonti  di  storia  contemporanea.  Se 
non  che,  di  tutto  questo  lavorio  preparatorio  l'au- 
tore mostra  il  vestigio  e  lo  scheletro  neW Analisi 
degli  Apografi  dal  Regesto  di  Giuliano  de' Riocij  che 
aggiunge  in  appendice,  pubblicando  insieme  i  No- 
lamenti  dal  medesimo  Giuliano  premessi  alla  tra- 
scrizione degli  originali  di  Niccolò  Machiavelli; 
da  poi  che  giudicò  importare  non  poco  che  il  let- 
tore osservasse  da  sé  la  descrizione  che  Giuliano 
dà  di  quegli  autografi  che  ebbe  aUe  mani  ;  che  di 
per  sé  rilevasse  quanta  importanza  può  annettersi 
alla  tradizione  domestica  di  casa  Eicci,  circa  ai 
fatti  particolari  e  all'autenticità  di  certi  scritti  del 
Segretario  ;  o  quanto  in  quella  potè  la  tendenza 
apologetica,  per  purgare  od  attenuare  addebiti,  op- 
posti alla  buona  fama  del  Segretario,  dal  sorgere 
del  Machiavellismo  e  dallo  sbraitare  degli  Antima- 
chiavelUci. 

De'  documenti  conservati  nelle  sei  buste  della 
BibHoteca  Nazionale  di  Firenze  e  nell'Archivio 
fiorentino,  de'  quali  si  fece  uso  nel  condurre  il  pre- 
sente libro,  e  degli  altri,  estratti  da  altre  biblio- 
teche od  archivi  pubblici  e  privati,  oltre  la  citar- 
zione  che  se  ne  fa  nel  corso  dell'opera,  si  terrà 
ragione  in  fine  del  secondo  volume,  a  libro  com- 
piuto. Giova  peraltro  far  qui  particolar  menzione 
del  manoscritto  Vaticano  Urbinate  490,  che,  segna- 
tamente pei-  le  notizie  relative  ai  fatti  de'  condot- 
tieri e  del  Borgia,  gli  forni  notizie  preziose  ;  del 
manoscritto  Ottoboniano  2759  che  contiene,  oltre 


Digitized  by 


Google 


XIV  PREFAZIONE. 

la  Vita  di  Lorenzo  de' Medici  per  Niccolò  Valori, 
un  registro  di  Consulte  e  Pratiche  della  repubblica 
fiorentina,  i  cui  termini  estremi  vanno  dal  23  mag- 
gio 1505  a'  15  d'agosto  del  1512;  e  in  cui  ne  à  pa^ 
recchie  che  mancano  allo  stesso  Archiviò  fio- 
rentino. 

Premesso  ciò  riguardo  a'  materiali  usati,  resta 
a  dir  qualche  cosa  rispetto  al  disegno  e  alla  forma 
che  si  divisò  dare  al  lavoro.  Certo  che  pensarlo 
diverso,  per  comprensione,  da  quel  che  recava  il 
programma  tracciato  egregiamente  dal  Comitato 
promotore  delle  centenarie  onoranze  al  Machia^ 
velli,  non  era  possibile;  ma  quando  dal  divisa- 
mento  dovevasi  passare  all'esecuzione,  tanto  il  cor- 
redo scientifico  che  necessitava,  quanto  le  difiicoltà 
che  s'affacciavano  dal  lato  dell'arte  erano  tali  da 
spaurire  dall'  impresa.  Dacché,  com'era  evidente, 
far  la  storia  del  Machiavelli  significava  rifar  la 
storia  d' Italia  de'  suoi  tempi,  mettendola  in  corre- 
lazione con  lui,  spettatore  ed  esecutore  subordi- 
nato ;  vagliare  ogni  giudizio  ch'ei  ne  dà  ;  notare 
come  questa  gitti  riflesso  continuo  nella  mente  sua, 
e  come  talvolta,  per  conversò,  ei  vi  si  dibatta  repu- 
gnando in  mezzo  ;  riconoscere  dove  il  pensiero  di 
Niccolò  muove  impregiudicato,  o' quando  invece 
le  circostanze  lo  dominano  ;  quanto  v'  à  in  esso  di 
originale,  o  di  quanto  ei  si  risenta  della  corrente 
delle  letterature  volgari,  della  romana  e  dell'  elle- 
nistica, che  si  contendono  il  campo;'  mettere  a 
confronto  le  lettere  scritte  durante  le  Commissioniy 
a  grado  a  grado  che  i  fatti  si  svolgevano,  lasciando 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE,  XV 


spazio  alle  congetture,  e  i  Bapporti,  che  n'erano 
la  conclusione  ;  erranti  talvolta  rispetto  alle  mi- 
nuzie cronologiche,  ma  pieni  di  significato,  per 
la  geniale  impronta  politica  che  il  Segretario  fio- 
rentino inculcava  recondito  in  essi. 

Di  soprappiù,  poiché  nel  Machiavelli  pensatore 
sembrano  convergere  ed  accentrarsi  gli  avveni- 
menti generali  del  tempo  ;  mentre  egli  poi,  come 
politico  pratico,  partecipa  a  quelli  sempre  in  una 
condizione  assai  sottomessa  e  senza  volontà  sue 
proprie  ;  difficoltà  non  mediocri  parevano  sorgere 
da  questo  contrasto  riguardo  all'ordine  e  all'effi- 
cacia della  narrazione  ;  tanto  da  ripensare  come 
pericolo  prossimo,  come  menda  difficilmente  evita- 
bile, quella  di  che  temeva  Cornelio  Nepote  nell'e- 
sporre  la  vita  di  Pelopida:  u  vereor  ne....  non  vitam 
ejus  enarrare  sed  historiam  videar  scribere  w.  —  E 
veramente  si  risicava  o  d'affogare  il  personaggio, 
di  cui  era  per  raccontarsi  la  vita,  entro  i  tempi  in 
cui  visse  ;  o  di  rapjM'esentarlo  in  una  tal  condizione 
di  primato,  e,  per  dir  così,  in  un  tal  carattere  di 
protagonista  fra  gli  altri  personaggi  storici  che  lo 
circondano,  quale  realmente  né  gli  appartenne,  né 
conveniva  dare  a  intendere  per  artificio.  Però  giudi- 
cossi  più  acconcia  via  quella  d'accoppiare,  quanto 
si  potè,  l'ordine  logico  al  cronologico;  distinguendo 
insieme  sin  dal  principio  e  coordinando  i  due  periodi 
della  vita  del  Machiavelli,  cioè  il  cancelleresco  e 
operativo,  e  lo  speculativo  e  filosofico;  ed  inve- 
stigando nell'uno  qual  fosse  e  come  si  formasse 
a  la  lunga  esperienza  sua  delle  cose  moderne  ??,  e 


Digitized  by 


Google 


XVI  PREFAZIONE, 

nell'altro  poi,  di  che  qualità  e  di  che  estensione 
fosse  quella  «  continova  lezione  delle  antiche  w, 
ch'egli  presentava  come  sua  dote  e  suppellettile 
a  Lorenzo  di  Piero  de'  Medici, 

Dopo  aver  tentato  di  secondare  col  fatto  le  in- 
tenzioni accennate,  spirato  la  seconda  volta  il 
termine  del  concorso,  l'A.  accompagnava  con  la 
seguente  lettera  il  proprio  manoscritto  alla  Com- 
missione giudicatrice: 

Onorevole  Commissione  pel  Concorso  Machtavelli, 

L'Autore  del  presente  scritto  intende  presentare  coU'opera  sua  il 
frutto  di  cinque  anni  di  studi  assidui.  Questo  tempo  che  per  altri 
avrebbe  potuto  essere  suflBciente,  volò  troppo  breve  per  lui.  Egli  in- 
tende, specialmente  per  l'ultimo  capo  del  libro  secondo,  e  per  tutto 
il  libro  quinto  presentarvi  più  tosto  l'ordine  delle  idee,  che  la  forma 
vera  e  piena  che  à  in  animo  di  dare  al  proprio  lavoro.  Per  quel  capo 
del  libro  secondo  vorrebbe  sostituire  una  serie  di  capitoli,  quanti  il 
titolo  di  esso  ne  comprende.  Il  quinto  libro  dovrebbe,  siccome  gli 
altri  dell'opera,  nel  capitolo  d'introduzione,  trattar  di  ragguagli  colle 
condizioni  generali  del  tempo.  In  esso  sarebbe  a  tener  discorso  delle 
condizioni  religiose  d'Europa  e  d'Italia  per  rispetto  al  Machiavelli. 
Anche  le  ultime  Legazioni  dovrebbero  esser  trattate  con  più  largo* 
sviluppo  di  particolari. 

L'Autore  spera  che  all'apertura  delle  schede,  l'opera  sua  avrà 
raggiunto  questa  forma,  eh' è  ne'suoi  desideri  e  ne' suoi  disegni. 

Essendosi  adoperato  a  condurre  i  suoi  studi  senza  preoccupazioni 
estrinseche,  che  ne  avrebber  disturbato  la  tranquillità  e  l'accuratezza, 
per  questo  solo,  e  non  per  altri  riguardi,  assume  il  motto  d' Isabella 
d' Ester 

«  Nec  ape  nec  meiu  ». 

Roma,  80  dicembre  1876. 

La  Relazione  della  Commissione  stampata  in 
seguito  informa  del  resto.  All'autore  parve  per- 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE.  XVII 

tanto  che  col  premio  conseguito  fossegli  pure  con- 
cesso, quasi  per  diritto  di  postliminio,  rappresentar 
per  ventura  la  sua  città  natale  a  quella  festa  della 
nazione,  in  onore  del  più  grande  politico  italiano, 
da  cui  la  servitù  de'  tempi  avevala  dapprima 
esclusa. 

Dato  mano  a  correggere,  secondo  l'autorevole 
e  indulgente  parere  della  Commissione,  il  proprio 
lavoro,  si  proponeva  l'autore  accrescerne  il  corredo, 
per  procurare  che  veramente  rimanesse  a  men  in- 
degno ricordo  del  quarto  centenario  del  Machia- 
velli w.  Però,  malgrado  gli  spauracchi  annunziati 
dal  Pauli,^  disppnevasi  a  recarsi  alla  Thirlstaine 
House  nel  Gloucestershire;  ove  dice  vasi,  e  si  era 
scritto  anche,  esistere  nella  raccolta  venuta  dalle 
mani  di  lord  Guilford  in  quelle  del  Phillipps,  una 
gran  parte  di  lettere  inedite  del  Machiavelli,  can- 
celliere; quando  la  pubbhcazione  del  Villari  so- 
pravvenne a  dissipare  ogni  illusione  circa  a  quel 
favoleggiato  tesoro  letterario  ;  dichiarandosi  dal- 
l'illustre  storico  del  Savonarola,  la  cui  autorità  e 
il  cui  zelo  nella  ricerca  non  ammettevano  dubbio, 
che,  ad  eccezione  di  una  lettera  a  senza  alcuna  im- 
portanza w,  le  altre,  segnate  spesso  appiè  di  pagina 
con  le  iniziali  N.  M.,  appariscono  essere  della  Can- 
celleria degli  Otto  di  Pratica,  e  del  tempo  in  cui  ne 
fu  titolare  Niccolò  Michelozzi.^  Anche  un  altro  ma- 
gnificato autografo  del  British  Museum  ebbe  a  sfii- 

*  R.  PaTTLI,  Einige  Bem-erhungen  iieher  die  Bibliothek  des  verstorhenen  Svr 
Th,  PhUlipps^  nel  Ne^tes  Archiv  der  OeselUchaft  fur  altere  deutsche  Oegehicht" 
skimde,  Yol.  il,  fase.  2. 

*  P.  ViLLABi,  iV.  Jlf.  ei  suoi  tempi,  voi.  i,  prefazione,  pag.  xviii-ix. 

ToMMAsiNi  -  Machiavelli,  1* 


Digitized  by 


Google 


XVIII  PREFAZIONE. 

mare  per  via.  ^  Di  guisa  che  l'autore  determinossi 
a  intraprendere  senza  più  indugio  la  stampa  del- 
l'opera sua;  e  ne  fu  in  breve  impressa  l'introdu- 
zione e  parte  del  primo  libro,  quando,  in  mezzo  a 
gravi  ansie  domestiche,  in  Livorno,  n'andò  gran 
parte  consumata  in  un  incendio,  che  pur  gli  di- 
strusse inventari  di  documenti  esaminati  e  com- 
mentati, libriccini  d'appunti,  di  noterelle  e  di  ri- 
chiami importantissimi  e  difficilmente  rinnovabili. 
Ciò  malgrado,  racquistata  calma,  assistito  con 
gentil  premura  da  amici,  aiutato  con  ogni  cortesia 
dal  benemerito  Sopraintendente  e  dagli  Officiali 
dell'Archivio  di  Stato  in  Firenze,  tornò  al  penoso 
lavoro;  addentellandoli  nuovo  col  vecchio,  trava- 
gliandosi sopra  quaderni  e  libri  abbruciacchiati, 
ripescando  citazioni,  raggranellando  note;  nel 
qual  raffiizzonamento,  fece,  come  in  mezzo  a  un 

^  Era  oitato  nel  catalogo  dei  mss.  —  Interpellato  a  nome  dell'autore  per 
cortesia  del  signor  oav.  prof.  Carlo  Castellani,  prefetto  della  Biblioteca  Vit- 
torio Emanuele  in  Roma,  il  Thompson,  ne  scriveva  a  questo  modo  : 

«  British  Museura,  Dep.  of  Mss.,  14  Nov.  1877. 

«  Sir, — ^The  so  called  autograph  of  Machiavelli  is  a  very  evident  copy,  or 
forgcry.  It  begins  e  Data  è  V  Italia  in  preda  a  barbarla  j>  and  ends  d  le  nostre 
piaghe  sanar  non  può  che  il  tempo  » .  — 
<r  Address  :  — 

Reverendissimo  et  eccellentissimo  * 
Domino  Pietro  Th^^*»»  (?) 

Roma. 

<L  The  letter  is  very  short, 
d  I  am  Sir 

<r  Tour  faithfully 

d  E.  Macoade  Thompson. 

«  •  First  written  exc  and  thea  corrected  by  e  rasure. 
«  Signor  Castellani  ». 

Ed  è  certo  che  le  prime  e  le  ultime  parole  del  oosidetto  autografo  son 
piìl  che  abbastanza  per  non  lasciar  dubbio  intorno  alla  falsità  della  composi- 
zione attribuita  al  M. 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE.  XIX 


naufragio,  gitto  di  quanto  non  gli  tornava  a  dirit- 
tura indispensabile;  risparmiando  al  suo  libro 
conclusioni  fermateglisi  nella  memoria,  se  le 
prove  glien'erano  sfuggite  di  mano;  sfrondando 
l'Appendice  de'  documenti  nel  frattempo  da  altri 
pubblicati  e  con  agio  e  con  fretta  ;  quantunque  ei 
si  fosse  precedentemente  proposto  di  non  gareg- 
giare, dandoli  in  luce,  coUa  benemerita  Commis- 
sione governativa  incaricata  di  attendere  alla 
nuova  pubblicazione  delle  Opere  del  Machiavelli, 
la  quale,  senza  il  Polidori  e  il  Canestrini  già  prima 
morti,  orbata  in  seguito  anche  del  Passerini,  diede 
principio  all'edizione,  che,  nel  corso  del  libro,  si 
designa  più  sovente  siccome  l'ultima  ;  e  che  pur 
troppo  accenna  a  rimanere  interrotta. 

Pertanto,  nella  massima  parte  l'autore  si  limitò 
nell'Appendice  a  corroborare  il  critico  esame  con 
documenti  che  giustificassero  le  affermazioni  ;  a  ri- 
pubblicare quelli  che  erano  stati  precedentemente 
messi  fuori  con  inesattezze  non  lievi,  quando  ave- 
vano importanza  non  ristretta  alla  particolare 
persona  di  Niccolò;  o  quando  meglio  aiutassero 
a  comprendere  la  mente  e  i  tempi  di  lui  e  quelli 
di  coloro  che  appresso  gli  sfigurarono.  Così,  ad 
esempio,  il  lettore  potrà  rilevare  da  per  se,  che 
lunghe  ricerche  ebbe  a  costare  la  rettificazione  di 
una  data  nella  Submissio  civitatis  Pisaruniy  accomo- 
data nel  testo  edito  da  Flaminio  Dal  Borgo  per 
congettura;  e  che  belle  notizie  storiche  invece  usci- 
ron  fuori  nell'occasione  di  quella  rettifica,  fatta  sui 
documenti  dell'Archivio  della  Misericordia  di  Pisa. 


Digitized  by 


Google 


XX  PREFAZIONE. 


Ma  lasciando  ormai  che,  espostele  ragioni  della 
preparazione,  degl'  intendimenti  e  degl'  indugi,  il 
lettore  giudichi  senza  commento  l'esecuzione  del- 
l'opera, conchiude  l'A.  esprimendo  la  sua  ricono- 
scenza più  piena  a  coloro  che  largheggiarono  con 
lui  di  soccorso  e  di  consiglio;  de' quali  non  reca  in 
mezzo  il  nome  per  non  parer  di  coprirsene  troppo 
gloriosamente  ;  sentendo  che  nel  tacerlo  è  il  segno 
maggiore  d'affetto  e  di  rispetto  ch'ei  può  dar  loro  ; 
quantunque  non  sappia  omettere  di  commemorare 
il  Canestrini  e  il  Passerini,  il  cui  ricordo  divenne 
pur  troppo  un  tributo  scevro  di  sospetto,  non  es- 
sendo essi  più  disgraziatamente  fra' vivi.  Con- 
chiude scusandosi  col  lettore,  se  nel  percorso  del- 
l'opera osò  rivolgerglisi  parlando  come  in  nome  e 
nel  numero  dei  più;  cosa  ch'ei  non  fece  né  per  ar- 
roganza nò  per  simulazione  di  modestia;  ma  per- 
chè, lasciando  quell'io  gustoso  ai  poeti,  i  quah 
v'ànno  diritto;  opinò  che  allo  storico  potesse  con- 
venirsi dir  noi,  poi  che  questi  evoca  i  passati,  che 
sono  i  più,  e  parla  con  quella  voce  ch'essi  gli  danno 
e,  quand'  ei  riesce  sincero,  li  travede  solo  a  quel 
modo  in  cui  essi  si  mostrano. 

Né  sarà  alcuno  che  gli  rimproveri  di  avventu- 
rare la  pubblicazione  del  primo  volume  soltanto, 
al  quale  è  per  seguitare  prontamente  il  secondo  ed 
ultimo  ;  atteso  che  le  ragioni  intrinseche  del  lavoro 
lasciano  considerare  a  buon  diritto  come  termine 
logico  della  parte  prima  quello  a  cui  ora  la  nar- 
razione si  arresta. 


Digitized  by 


Google 


KELAZIONE 

8d1  conferioiento  del  premio  stabilito  in  occasione  del  centenario  di  lachiaTelli 


Qnando  si  pensò  di  celebrare  il  quarto  anniversario  secolare  della 
nascita  di  Nicolò  Machiavelli,  che  occorreva  il  3  maggio  1869,  e  si 
costituì  a  quest'effetto  un  Comitato  promotore,  il  Consiglio  comunale 
di  Firenze,  secondando  generosamente  il  disegno,  stanziò  10,000  lire 
per  la  festa;  a  condizione  che  almen  la  metà  fosse  destinata  a  premio 
per  una  nuova  opera  su  la  vita  e  gli  scritti  del  Segretario  fiorentino. 
11  Comitato  promotore,  ch'era  così  composto: 
Presidente,  T.  Mamiani,  senatore; 
Prof.  M.  Amari,  senatore; 
Prof.  aw.  E.  Ceiosia; 
Prof.  M.  Coppino,  deputato; 
Macchi  Mauro,  deputato; 
Prof.  A.  Messedaglia,  deputato; 
Prof.  A.  Vannucci,  senatore; 
Segretario,  prof.  E.  Contini, 
per  eseguire  quell'ultima  parte  della  deliberazione  municipale,  prov- 
vide a  dì  29  aprile  1869  di  assegnare  un  premio  di  5000  lire  e  statuì 
pel  concorso  le  norme  seguenti: 

«  Si  richiede  la  storia  del  Machiavelli,  opera  in  uno  o  due  volumi, 
nella  quale  siano  trattate: 

«  1**  Le  idee  politiche,  religiose  e  filosofiche  e  la  cultura  scien- 
tifica e  letteraria  che  Machiavelli  trovò  nella  sua  patria. 

«  2**  I  mutamenti  ch'egli  recò  in  quelle  parti  di  civiltà,  sia  con 
gli  scritti  e  con  la  parola,  sia  nel  trattare  le  pubbliche  faccende. 
*  3®  Come  e  quanto  questo  grande  intelletto  ha  partecipato  alla 


Digitized  by 


Google 


XXII  PREFAZIONE. 

liberazione  e  unificazione  dell'Italia  ed  a'  progredimenti  della  società 
europea  in  generale,  infino  ai  nostri  tempi. 

«  Nel  quadro  storico  del  periodo  anteriore  al  Machiavelli  saranno 
divisate  le  condizioni  della  civiltà  occidentale,  ed  in  particolare  quelle 
dell'Italia  e  della  Repubblica  fiorentina  ;  ne  si  trascurerai*  influenza 
degli  stùdi  sull'antichità  greca  e  romana. 

«  La  vita,  cavata  dalle  sorgenti  edite  e,  in  quanto  si  possa,  dalle 
inedite,  dovrà  considerare  il  Machiavelli  ne'  vari  aspetti  di  statista, 
storico,  ordinatore  di  milizie  e  letterato. 

«  Nell'esaminare  gli  effetti  delle  sue  dottrine  si  toccherà  degli 
scrittori  di  nome  che  le  abbiano  appuntate  o  difese;  e  le  vicende 
che  la  fama  di  tant'uomo  ha  subite  di  qua  e  di  là  dalle  Alpi. 

«  Chiunque  aspiri  al  premio  invierà  al  presidente  del  Comitato, 
conte  Terenzio  Mamiani,  senatore  del  Eegno,  innanzi  l'ultimo  di- 
cembre 1871,  il  manoscritto  dell'opera  sua,  con  un'epigrafe  in  prin- 
cipio ;  e  ripeterà  questa  epigrafe  sulla  busta  di  una  lettera  suggellata 
che  contenga  il  proprio  nome. 

«  Il  premio  sarà  vinto  da  quello  scritto  che  tutti  gli  esamina- 
tori, 0  due  contro  uno,  avranno  creduto  degno  dell'odierna  scienza 
storica  e  dell'alto  argomento,  e  migliore  di  ogni  altro  scritto,  pre- 
sentato al  concorso. 

«  Aperta  la  lettera  che  conterrà  il  nome  dell'autore,  sarà  questo 
palesato.  Si  brucieranno  le  altre  lettere  ;  e  ciascuno,  compreso  il  vin- 
citore, potrà  ripigliare  il  proprio  scritto. 

«  Nel  caso  che  nessuno  sia  giudicato  degno  del  premio,  si  rin- 
noverà il  concorso,  con  le  stesse  norme». 

Entro  il  termine  prefisso  pervennero  al  presidente  due  soli  scritti, 
con  l'epigrafe  l'uno:  Haòent  stia  fata  libelli;  l'altro:  Quidquid  vult 
valde  vult;  i  quali  furono  giudicati  da  quei  membri  del  Comitato 
che  tenner  l' invito,  fatto  più  volte  a  tutti  dal  presidente.  E  così  il 
Comitato,  rappresentato  da  quelli  che  si  trovarono  nella  sua  adu- 
nanza del  31  gennaio  1873,  e  che  furono  Mamiani,  Amari,  Ceppino, 
Macchi,  Vannucci,  deliberò  di  rinnovare  il  concorso;  credendo  non 
poter  concedere  il  premio  né  all'uno,  ne  all'altro  degli  scritti;  se  non 
che  fece  menzione  onorevole  del  secondo.  Conseguentemente  fu  riaperto 
il  concorso,  con  le  medesime  condizioni  poste  il  29  aprile  1869:  e 
ciò  per  notificazione  del  sindaco  di  Firenze,  data  il  17  febbraio  1873 
e  inserita  tra  gli  annunzi  della  Gazzetta  Ufficiale  dei  23  dello  stesso 
mese. 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE.  XXIII 

Pria  che  spirasse  il  nuovo  termine  con  Tanno  1875,  furono  reca- 
pitati al  presidente,  conte  Mamiani,  i  tre  manoscritti  qui  appresso 
indicati: 

l""  Un  quaderno  di  89  pagine  non  cartolate,  di  chiara  e  larga 
scrittura,  contraddistinto  col  motto:  Stai  sua  cuique  dies,  e  diviso 
in  tre  dissertazioni  che  hanno  per  titolo  :  /  tempi,  la  vita  e  le  opere 
di  Niccolò  Machiavelli; 

2°  Un'opera  in  tre  volumi  in  quarto,  di  mezzana  grossezza,  non 
cartolati,  che  fan  tutti  insieme  1100  pagine  scritte  a  caratteri  minuti 
anzi  che  no,  sopra  una  faccia  sola  de' fogli.  L'epigrafe  è: 

....    rimossa  ogni  menzogna, 
Tatta  tua  vision  fa  manifesta. 

(Paradiso,  XVII). 

co'  quattro  versi  che  seguono; 

3°  Un  grosso  volume  in  foglio,  di  1380  pagine  all' incirca,  scritte 
di  buona  mano  sopra  ambo  le  facce;  comprese  nel  numero  una  cin- 
quantina di  pagine  non  cartolate.  Lunghe  citazioni  d' interi  squarci 
e  molte  note  dell'autore  si  veggono  in  margine  a  inchiostro  rosso. 
Questo  volume  porta  il  motto,  che  già  fu  d'Isabella  d'Este:  Nec 
spe,  nec  metu. 

Lasciati  codesti  manoscritti  a  disposizione  dei  membri  del  Comi- 
tato gran  parte  del  1876,  in  guisa  che  ciascuno  avesse  comodo  a 
studiarli,  il  Comitato  si  adunò  nel  dicembre  del  medesimo  anno, 
con  intervento  di  Mamiani,  Amari,  Coppino,  Messedaglia  e  Vannucci, 
e  fissata  dopo  non  breve  esame  la  scelta,  nominò  un  relatore;  ma 
differì  la  definitiva  deliberazione  ad  altra  tornata,  afSnchò  gli  altri 
membri  avessero  agio  a  prendervi  parte. 

Kadunato  di  nuovo  il  Comitato  addì  16  gennaio  1877,  con  inter- 
vento di  Mamiani,  Amari,  Coppino  e  Macchi,  gli  è  stata  comunicata 
dal  relatore  una  lettera  indirizzata  a  lui  dal  Vannucci;  il  quale, 
non  potendo  ritornare  questa  volta  a  Boma,  ha  messi  in  iscrìtto  i 
motivi  pei  quali  conferma  il  giudizio  già  dato  a  favore  dell'opera 
che  ha  per  epigrafe:  Nec  spe,  nec  metu. 

Esposte  dunque  in  queste  due  tornate  le  idee  di  ciascuno  sul 
merito  assoluto  e  relativo  dei  lavori  presentati,  il  Comitato;  ad  una- 
nimità è  venuto  nelle  conclusioni  seguenti: 

Lo  scritto  notato  Stat  sua  cuique  dies  è  lavoro  troppo  breve;  poc 
profondo;  compendio  di  fatti  notissimi  e  di  idee  punto  originali 


Digitized  by 


Google 


XXIV  PREFAZIONE, 

compilato  gran  parte  con  le  parole  di  altri  scrittori  che  Fautore 
copia  e  cita. 

Sovrasta  di  gran  lunga  a  codesta  dissertazione  Topera  che  ha 
per  epigrafe  i  citati  versi  di  Dante.  Comincia  con  diffusa  introdu- 
zione sui  primordi  delle  umane  società;  sui  sommi  capi  della  Storia 
universale  da' tempi  antichi  all'ultimo  perìodo  del  medio  evo;  sulle 
orìgini  della  letteratura  italiana;  sul  rinascimento  degli  studi  clas- 
sici e  su  i  pubblicisti  cristiani  che  fiorirono  fino  al  xv  secolo. 

Al  Comitato  questi  prolegomeni  son  parsi  lavoro  mediocre  eccetto 
la  parte  che  tratta  dei  pubblicisti  italiani  ed  in  particolare  del  Patrìzi. 
Non  si  può  nella  presente  relazione  seguire  per  filo  e  per  segno  la 
biografia  ;  nella  quale  i  fatti  privati  del  Machiavelli  s'intrecciano  con 
que'. della  Bepubblica  fiorentina  e  di  altri  Stati  d'Italia;  e  il  prota- 
gonista comparisce,  a  volta  a  volta,  segretario,  negoziatore,  isterico, 
scrittore  politico,  autore  di  commedie  ed  anco  capitano,  neirassedìo 
di  Pisa. 

In  generale  l'autore  ama  a  lavorare  sui  manoscritti  della  Biblio- 
teca Nazionale  e  dell'Archivio  di  Firenze,  piuttosto  che  sui  libri 
stampati;  fa  dei  sunti,  piuttosto  che  una  larga  e  lucida  narrazione; 
e  però  ci  svela  tanti  aneddoti,  importanti  o  no  e  nomi  e  date  a 
giorno  a  giorno,  ì  quali  giovano  di  certo  a  fare  la  storìa  del  Machia- 
velli, ma  non  son  proprio  la  storia  desiderata.  Cammin  facendo, 
l'autore  s'imbatte  in  qualche  men  conosciuto  ordinamento  della 
Sepubblica  fiorentina  e  va  sino  in  fondo  per  illustrarlo.  Che  se  dalla 
narrazione  ci  volgiamo  ai  giudizi  su  le  azioni  e  gli  scritti  del  Segre- 
tario, troviamo  per  lo  più  buona  critica;  ma  Fammirazione  del  pro- 
tagonista abbaglia  l'autore  in  guisa  da  fargli  vedere  intendimenti 
e  qualità  che  il  sommo  uomo  non  ebbe:  nò  molti  sono  disposti  ad 
assentire  che  il  Machiavelli  «  abbia  profetizzati  gli  svolgimenti  della 
«  società  europea,  ne  che  egli,  coi  suoi  concetti  suir influenza  della 
«  religione  in  Boma  antica,  abbia  creata  la  vita  dello  stato  moderno». 
A  fronte  di  queste  e  di  somiglianti  esagerazioni,  v'ha  pur  dei  giu- 
dizi sagaci  ;  e  in  tutto  il  lavoro  si  manifesta  un  animo  italiano,  liberale 
e  un  intelletto  informato  alla  coltura  moderna,  sciolto  da  molti  pre- 
giudizi dei  secoli  addietro,  abituato  alle  ricerche  storiche.  La  forma 
non  si  può  dire  nò  bella  ne  brutta;  e  di  certo  le  ha  nociuto  quel- 
l'uso di  tirar  giù  compendi  e  parafrasi  dei  documenti.  Insomma  l'opera 
non  e  matura. 

L'autore  dello  scritto  che  ha  per  epigrafe  nec  spe,  nec  metu, 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE.  XXV 

avverte  preliminarmente  che  l'ultimo  capo  del  libro  II  e  tutto  il 
libro  y  presenta  piuttosto  Tordine  delle  idee  che  la  forma  vera  e 
piena  che  dar  s*  intende  al  lavoro.  Anche  le  ultime  legazioni  del 
Machiavelli,  dice  l'autore,  son  da  esporre  con  maggiore  estensione; 
ed  ei  si  propone  di  trattare  largamente  le  e  condizioni  religiose  del- 
l'Europa e  dell'Italia  al  tempo  di  Machiavelli». 

Singolare  coincidenza  di  pensieri!  Quest'opera  incomincia  con 
un  trattato  sul  MachiaveUisino,  come  Than  detto  di  là  dai  monti; 
che  ò  pure  argomento  discorso  verso  la  fine  dell'opera  precedente. 
Kè  sol  ciò:  i  due  autori  muovono  a  un  dipresso  daiipedesimi  prin- 
cipi filosofici,  morali  e  politici;  amano  entrambi  l'Italia  rigenerata 
e  onorano  il  Machiavelli,  con  osservanza  e  quasi  diremmo  culto; 
entrambi  hanno  studiate  le  opere  di  lui  e  le  vicende  della  vita  e 
dei  tempi  suoi,  nei  manoscritti  della  Nazionale  e  dell'Archivio  di 
Firenze,  non  che  nei  lavori  stampati;  ma  con  questa  differenza  che 
l'uno  si  attiene  più  stretto  ai  documenti;  l'altro  passeggia  in  una 
biblioteca  meglio  fornita  e  in  più  vasto  campo  d'idee;  possiede  molta 
erudizione  e  svariata;  gli  sono  più  familiari  i  classici  greci  e  latini 
e  gli  scrittori  moderni,  francesi,  inglesi  e  tedeschi  dei  due  ultimi  . 
secoli  e  del  nostro.  Ei  padroneggia  meglio  il  subbietto  e  s'accorge 
come  cinque  anni  di  lavoro  concentrato  sull'argomento  non  gli  siano 
bastati:  co^  afferma  nella  detta  avvertenza,  aggiungendo  ch'egli 
spera  di  compiere  il  disegno  pria  che  fosse  ultimato  il  giudizio  sul 
concorso. 

Bieca  di  ricerche  importanti  e  condotta  con  grandissima  cura 
e  con  critica  sana  e  liberale,  la  storia  del  MachiaveUistno  e  della 
fama  del  Machiavelli  serve  d'introduzione  a  tutta  l'opera.  Senza  vagar 
tanto  lontano,  l'autore  accenna  alle  sue  fonti,  al  metodo;  e  detto 
quanto  occorre  della  famiglia  e  nascita  di  Machiavelli,  si  volge  alle 
condizioni  della  città:  nota  come  vi  si  movessero  due  corrrenti  con- 
trarie, di  opinioni  e  di  costumi,  personificate,  l'una  nel  Savonarola, 
l'altra  in  Lorenzo  dei  Medici  :  nel  quale  ambiente  passò  l'adolescenza 
di  Niccolò. 

Nel  secondo  libro  l'autore  cel  mostra  segretario  fedele  e  ope- 
roso; ambasciatore  presso  varie  Corti  italiane  e  straniere,  le  quali 
e  i  popoli  soggetti  egli  ritrasse,  con  arte  maravigliosa,  in  brevi  parole; 
infine  ò  descritto  Machiavelli  consigliere  del  Sederini  che  non  l'in- 
tendea,  ed  avvolto  nella  rovina  del  governo  repubblicano  di  Firenze. 
La  narrazione  di  questa  parte  della  biografia  è  condotta  col  sussidio 


Digitized  by 


Google 


XXVI  PREFAZIONE. 

delle  sorgenti  inedite,  senza  minuzie,  ma  con  opportune  escursioni 
a  diritta  e  sinistra  sui  fatti  storici,  con  dissertazioni  sopra  questo  e 
quello  ordinamento  della  Eepubblica  fiorentina;  ed  anche,  perchè 
non  dirlo?  con  qualche  digressione  che  potrebbe  parere  troppo  lirica, 
per  esempio,  sulla  vita  cosmica  e  su  i  destini  di  Soma.  Nel  terzo 
libro  è  preso  in  esame  il  pensiero  filosofico  e  morale  del  Segretario 
fiorentino.  In  argomento  di  tal  fatta,  la  diversità  dei  principi  porta 
sempre  a  quella  dei  giudizi;  onde  non  tutti  i  membri  della  Com- 
missione accettano  le  opinioni  dell'autore.  Fochi  sarebbero  disposti 
ad  assentirgli  che  Machiavelli  :  abbia  notata  la  legge  del  progresso 
nell'umanità.  Ad  altri  è  parso  che  l'autore  non  rilevi  abbastanza  un 
gran  merito  del  Machiavelli:  l'intuizione  di  quelle  leggi  deirumano 
consorzio  che  in  oggi  chiamansi  filosofia  della  storia.  Piace,  ciò  non 
-ostante,  il  giudizio  delle  opere  politiche,  compresavi  l'arte  della  guerra  ; 
e  il  libro  IV  dove  è  considerato  il  Machiavelli  scrittore  italiano,  e 
largamente  si  tratta  il  movimento  letterario  di  Firenze  ai  tempi  di 
lui;  il  gusto  che  prevaleva,  e  come  il  Segretario,  pagatogli  un  picciol 
tributo,  seppe  resister  all'andazzo  de'  grammatici  e  dei  retori  del 
secolo  ;  ond'ei  ci  die  que'  suoi  portenti  di  stile  originale,  seniplice  e 
vigoroso. 

Foco  diremo  del  V  libro,  dove,  come  s'è  avvertito  di  sopra,  la 
narrazione  degli  ultimi  anni  del  Machiavelli  va  compiuta  col  grande 
quadro  promesso  dall'autore.  Notevole  è  bensì  il  riepilogo  dei  pregi 
di  quel  Grande,  chiamato  dall'autore  a  buon  diritto  il  più  strenuo 
assertore  dell'umana  libertà  di  arbitrio.  Ecco  le  lodi  e  le  mende  che 
si  presentavano  al  giudizio  del  Gomitato:  alle  quali  è  da  aggiun- 
gere, da  una  parte  lo  stile  chiaro  e  sovente  brioso  delle  narrazioni  ; 
dall'altra  una  certa  difficoltà  nell'esporre  ragionamenti  filosofici  e 
talvolta  un  po'  di  stanchezza  nel  dettato.  Ma  son  difetti  che  agevol- 
mente si  correggono.  Del  resto  l'opera  è  frutto  di  buoni,  lunghi  e 
svarìatissimi  studi;  contiene  molta  materia  ed  ottima  anche,  a  mal- 
grado della  sua  ridondanza;  né  par  che  siavi  altro  scritto  pih  com- 
pleto e  sviluppato  su  le  opere  e  su  la  vita  di  Niccolò  Machiavelli, 
messa  a  riscontro  degli  uomini,  delle  fazioni,  degli  avvenimenti,  delle 
istituzioni  e  delle  idee  del  suo  tempo.  Grede  il  Gomitato  che  questo 
bel  lavoro,  dato  a  stampa  quando  l'autore  abbia  condensate  le  parti 
troppo  diffuse  e  supplito  alle  altre  ch'egli  stesso  dice  mancarvi,  rimarrà 
degno  ricordo  del  quarto  centenario  del  Machiavelli. 

E  però  il  Gomitato,  dissuggellata  la  lettera  che  racchiude  il  nome. 


Digitized  by 


Google 


PREFAZIONE.  XXVII 

proclama  vincitore  del  concorso  il  signor  Oreste  Tommasini  e  gli 
assegna  il  premio. 

n  Comitato  poi,  non  potendo  rimeritare  allo  stesso  modo  Topera 
che  ha  per  epigrafe  i  versi  di  Dante,  esprime  il  desiderio  di  vedere 
pubblicata  quella  gran  parte  di  essa  che  contiene  la  narrazione  dei 
fatti  e  che  sarebbe  proprio  un  diario  di  Niccolò  Machiavelli. 

Terenzio  Mamiani,  presidente. 
Mauro  Macchi. 
Angelo  Messedaglia. 
M.  Coppino. 

M.  Amari,  relatore  per  sé  e  per  commissione 
del  senatore  Atto  Vannucci. 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


LIBRO  PRIMO. 


TouuASiNi  -  Machiavelli. 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


Introduzione 


DEL  MACHIA YELLISMO. 


•  Ma  prima  che  si  mostrln  queste  stelle 
Liete  verso  di  te,  gir  ti  conviene 
Cercando  il  mondo  sotto  nuova  pelle  •. 

(N.  Hacbiavklli.  L'iuino  d*oro,  e.  iii). 

•  Tout  homme  dont  le  nom  devient,  A  tort  ou 
&  bon  droit,  Tótiquette  d*un  système,  cesse  de 
s'appartenlr,  et  sa  biographie  indique  bien  plus 
les  fortunes  diverses  du  système  avec  lequel  on 
Ta  Identlfié,  que  sa  propre  individualité  •. 

(E.  RéMAN.  Averroèt  et  l'AverroUme). 


Coloro  che  dalla  osservazione  de' casi  della  vita  anno 
raccolto  una  mediocre  esperienza,  non  sentono  maraviglia  a 
vedere  con  bizzarro  aspetto  alternarsi  la  vicenda  di  chi  so- 
vrasta 0  soggiace.  Così,  dicono,  va  il  mondo.  Ma  che  la  stessa 
vece  di  permutazione  d'impero,  che  lo  stesso  ricambio  di  ser- 
vitù e  di  comando  paia  puranco  nel  mondo  delle  idee  ;  che  le 
parole,  naturali  soggette  e  ministre  del  pensiero,  si  levin  tal- 
volta ribelli  contro  di  questo  e  gli  stien  ritte  contro  come  ad 
ostacolo,  e  cerchino  sottometterlo  quasi  fatte  da  più  di  lui,  sa- 
rebbe fenomeno  da  maravigliare;  se  non  fosse  che  gli  uomini 
sanno  di  viver  nel  regno  della  parola,  come  dentro  a  loro  orbita 
necessaria,  e  che  ogni  regno  deve  di  quando  in  quando  aspet- 
tarsi anche  le  ribellioni.  Pertanto  si  conviene  talvolta  a  chi 
vuol  giungere  alle  cose,  cominciare  dal  far  questione  delle 
parole;  guardar  se  queste  rendano  l'espressione  esatta  d'un 
concetto  chiaro,  o  non  sian  piuttosto  nebbia  che  piglia  corpo 
e  s'addensa  in  faccia  alle  idee  come  per  impedir  la  mente  che 
non  le  penetri,  o  per  acquetarla  a  edificare  senza  discutere  le 
fondamenta.  Così  chi  s'accinge  a  trattare  del  Machiavelli  trova 
che  gli  capita  innanzi  il  machiavellismo;  e  per  ragione  di  lo- 
gica e  d'etimologia  è  indotto  a  cercare  che  relazioni  interce- 


Digitized  by 


Google 


4  INTRODUZIONE, 

dano  fra  il  vocabolo  radicale  e  il  derivato,  fra  l'uomo  e  il 
sistema  che  piglia  nome  da  lui.  E  siccome  Tesperienza  storica 
in  simili  casi  di  derivazioni  ci  consiglia  a  metterci  in  sul- 
l'avviso, che  non  di  rado  tutta  la  relazione  si  riduce  a  una 
discrepanza,  è  naturale  che  si  getti  subito  nel  crogiuolo  la 
parola  machiavellismo,  e  che  se  ne  saggi  il  valore. 

—  4c  II  machiavellismo  è  veramente  un  nome  nato  nel 
sedicesimo  secolo;  ^  ma  pure  vien  reputato  di  tanta  amplitudine 
che  si  dilata  per  tutti  i  tempi,  e  regna  per  tutte  le  terre,  e 
parla  in  tutte  le  lingue;  e  raccontano  come  era  già  nato  e 
fatto  adulto  prima  che  suo  padre  nascesse  ;  e,  lui  morto,  visse 
in  molta  longevità,  e  vive  tuttavia  con  verisimile  speranza 
d'immortalità  ».  — 

Cosi  ebbe  a  scrivere  il  Buonafede;  *  ed  egli  stesso,  ser 
Agatopisto,  aggiunge,  come  la  sia  vivanda  da  apprestare  in 
mille  modi  e  farne  mille  diversi  manicaretti.  Che  ei  ve  n'ebbe 
uno  senza  nemmanco  il  Machiavelli,  anzi   prima  di  lui;  e  vi 

1  Maubice  Block,  Dìctìonnaìre  general  de  la  PoUtique^  airarticolo  MachiavèUsme  di 
Babtbblemt  Saint-Hilaikb,  annota,  probabilmente  snir  autorità  del  Fbbbabi  {Maehiavel 
juge  dés  révolutionSj  pag.  97-08):  «  C*e8t  à  Bayle  (XVII  siécle)  qn*on  attribue  la  création 
de  ce  mot  ».  Infatti  non  si  può  ripetere  dal  secolo  decimosesto  che  l'appellativo  di  nuichia' 
veUista  e  maehiaveUico  e  il  verbo  machicmeliser.  Cf.  D*AuBioiié,  le$  TragiqueSf  Paris,  1857, 
pag.  97: 

«  Nos  rois  ont  appris  à  machiaveliser, 
Au  tempe  et  à  TEsUt  leur  ame  deguiser, 
Ploians  la  piet^  au  joog  de  leor  service 
Oardans  religion  pour  arme  de  police  ». 

ma  che  non  fosse  il  Bayle  primo  a  foggiare  il  vocabolo  di  cui  è  questione,  basti  a  provarlo 
il  vederlo  citato  in  un  opuscolo  uscito  a  luce  in  Franckfort  per  Gio.  Giorgio  Betlimgen  già 
nel  MDCXxxxvni,  intitolato  :  Enormità  \  inaudite  \  nuovamente  uscite  in  luce  \  contro  il 
decoro  deWapottoUca  |  Sede  Romana  \  in  duo  Ubri  \  intitolati  |  l'uno  dell'arrogante  potestà 
de* papi  in  diffèsa  |  delle  immunità  della  chiesa  gallicana  |  etc.,  in  cui  a  pag.  156  si  legge  : 
«  Adunque  etiandio  secondo  il  finissimo  Macchiavellismo,  per  apparire,  se  non  per  essere 
in  realtà  prencipe  religioso,  non  dee  che  col  beneplacito  pontificio  ingerirsi  negl'Ecclesia» 
ttici  ». 

'  Appuro  Buonafede:  DeWittoria  e  dell'indole  di  ogni  filosofia,  voi.  rv,  pag.  538.  - 
Probabilmente  egli  sulP  autorità  del  Bbuckbe  {Historia  eritic.  phil.  t.  iv  pars  altera, 
pag.  789-791)  citò  l'opera  di  B.  Valbntimi:  De  Machiavellismo  medieOy  Francf.,  1711.  - 
Cbb.  Wbi88  :  De  MachiaveUitmo  rustico  -  Edzabd  :  De  Machiavellismo  pietistico^  e  i  trat- 
tati dell'  HoFFMAN  :  e  del  Rbihar  (Machiavellus  ante  Maehiavellum,  Machiavellus  sine 
MaeMavello:  Maehiavellismus  ante  Maehiavellum)  e  quello  del  Lilibnthal:  De  Machia- 
veVtìamo  Utterario,  dandoli  tutti  come  cosa  notissima.  Nel  Oelehrten-Lexicon  dello  Jòcbeb 
a  noi  non  venne  fatto  trovar  menzione  che  del  libro  del  Lilibkthal  il  cui  titolo  esatto  è  : 
HiCHABLis  Lilibmthalii  regioe  SocieUUis  Beroliniensis  Scientiarum  et  artium  socii  de  Ma- 
ehiaveUismo  lAtterario  sive  De  perversis  quorumdam  in  republiea  literaria  inclarescendi 
arttbus  Dissertatio  historico-moraUs^  Konigsberg  e  Leipzig,  1713.  -  Nel  suo  trattato  il 
Lhjbntbal  intende  a  colpire  il  «  nimium  pariter  ac  praestigiosum  in  republiea  literaria 
pnwter  merìtum  aucupandi  studium  ».  E  in  quel  medesimo  cita  parecchie  altre  forme  e 
maniere  di  machiavellismo  :  «  Certe  non  dubitarit  Chrìstianus  Weisius,  sceleratam  rustico- 
nim  politicam  et  machinationes  emei^endi  prae  alìis  susceptas  mcushiavellismi  rustici 
nomine  insignire.  Quod  si  pariter  Attctor  Anonymus  qui  rationem  status  medicorum  deli- 
noavit,  eandemqae  MachiavelU  Medici  titulo  donavit,  etc.  E  pel  machiavellismo  medico 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  5 

ebbe  un  machiavellismo  letterario  ed  uno  pietistico,  ed  un  ru- 
stico ;  per  guisa  che  il  machiavellismo  parve  essere  della  flora 
d'ogni  zona  e  degli  arnesi  d'ogni  mestiere. 

Noi,  senza  correr  dietro  a  raccoglier  tutti  i  frutti  che, 
distendendosi  in  tanti  rami,  potè  portar  questo  tronco  di  parola, 
ci  faremo  a  scrutarlo  più  presso  alla  radice,  e  fermeremo  di 
lui  quella  definizione,  che,  fatta  l'analisi  di  tutta  la  sua  esi- 
stenza parassita,  ci  parve  meno  inesatta  e  più  comprensiva. 

Il  machiavellismo  è,  a  nostro  giudizio,  l'opera  di  coloro  che, 
venuti  dopo  del  Machiavelli,  risguardarono  per  entro  agli  scritti 
del  grande  instauratore  dell'arte  e  della  scienza  politica  colla 
preoccupazione  particolare  delle  condizioni  loro  intrinseche;  e 
avvisando  in  quelli  la  dipintura  di  tutti  lor  mali,  crucci  e  tra- 
vagli; la  dipintura,  cioè,  de'  lor  propri  tempi,  più  che  non  il 
discorso  di  tutti  i  tempi,  presero  per  tal  modo  l'immagine  per 
la  causa,  il  banditor  della  legge  per  l'autore  di  essa,  e  gli 
fecero  portar  tutte  le  conseguenze  dell'equivoco  loro.  ^ 

«  pseudo-medicorum  inclarescendi  machmationes  sufflcienter  detexit  ».  Parimente  il  Lilikn- 
THAL  allude  ad  un  machiavelli»mus  theologicus  accennando  alle  lezioni  di  Conb.  Tibubtius 
Rango,  in  cui  ai  discorre:  «de  malia  artibus,  praepostera  praxi  et  clandestinia  machina- 
tionibus,  adeoque  de  dolis  et  fraudibus  pseudo-theologorum  ».  Per  foggiar  poi  una  specie 
di  machiavellismo  giuridico  V  autore  si  richiama  a*  trattati  di  A.  M.  Holtbrmann  :  De  nequi- 
Ha  advocatorum  -  Ludov.  Praschh  :  JurisconsuUus  verus  etperaonatui  -  Gasp.  Zieglbri  : 
Rabulistica  seu  de  artibus  rabulariìSy  e  D.  Fbidb.  Obbdesii:  De  Euremalicis  seu  straieh 
gematibus  Juria  vulgo  von  Jurislischen  Findchen.  A  questo  modo  una  specie  di  machia- 
vellismo erotico  si  potrebbe  ravvisare  nei  libri  «  de  arte  amandi  »  di  Ovidio  ;  \l  Balzac 
{Physiologie  du  mariage,  meditation,  xx,  g  S)  scoperse  un  «  m€u:hiavélisme  maritai.  »  Negli 
Advices  to  hia  son,  di  lord  Chestebfield  non  sarebbe  difficile  riconoscere  un  galateo  fka- 
chiavellico  ;  e  a  chi  considera  le  seguenti  parole  del  D'Alembert  (Encycl.  art.  Maehiavel) 
non  parrà  strano  che  ai  possa  concepire  anche  una  specie  di  machiavellUmo  storico:  —  «  ce 
n'est,  peut-étre,  pas  un  mediocre  defaut  dans  nos  meilleurs  livres  politiques,  tels  que  ceux 
de  Maehiavel  et  de  Bodin,  de  Montesquieu  mème,  de  voir  toujours  si  évidemment  que  les 
événemens  ont  du  étre  tels  quMls  ont  été;  c'est  une  manière  de  predire  le  passe,  dont  on 
aper^evrait  le  fidicule,  s'il  n'avoit  pas  été  couvert  à  force  d'esprit,  de  talent  et  de  phi- 
losophie  ».  —  Che  ne  direbbero  gli  hegeliani?  — 

1  n  Prescott,  {Hislory  of  Ferdinand  and  Isabella,  voi.  n,  p.  2,  e.  i,  pag.  859)  dopo 
aver  accennato  alla  coltura  degli  italiani  del  secolo  decimosesto,  superiore  a  quella  dei 
contemporanei,  aggiunge  :  «  From  these  and  other  causes  maxims  vere  graduallj  esta- 
blished,  so  monstrous  in  their  nature  as  to  givo  the  work,  -which  Arst  embodied  them  in 
a  regular  system,  the  air  of  a  satire  rather  than  a  serious  performance,  -while  the  name 
of  its  author  has  been  converted  into  a  by-\7ord  of  politicai  knavery  ».  Non  crediamo  che 
la  derivazione  segnata  al  machiavellismo  dall'illustre  storico  inglese  sia  accettabile,  quando 
non  si  voglia,  com'egli  è  poi  costretto  a  fare,  riconoscere  un  machiavellismo  ante  Machior- 
veUum.  -  Similmente  il  Babthblemt  Saint-Hilaibe  (art.  cU.)  definì  :  «  Le  machiavélìsme 
est  le  sacrifico  de  tous  les  principes  à  un  seul^  l'intérét;  la  violation  de  toutes  les  loia  de 
la  morale  immolées  au  succés  ».  -  Il  signor  Victob  Poibbl  invece  (Essai  sur  les  diseours 
de  M.  Paris,  1869,  p.  ix  in  nota)  avverte  come  il  Ratneval  in  una  notizia  premessa  alle  sue 
Istituzioni  del  diritto  di  natura  e  delle  genti,  negli  ultimi  suoi  anni  s'occupò  «  d'un  commen- 
taire  sur  les  Diseours  (del  M.)  dans  lequel  il  jugeait  les  événements  de  son  epoque  d'apn&a 
les  principes  posés  par  Maehiavel  ».  -  A  nostro  credere  il  machiavellismo  nacque  e  visse 
precisamente  per  opera  di  coloro  che  ne'  secoli  precedenti  ripeterono  l' impresa  che  in  questo 
si  era  proposto  il  Rayneval,  ma  senza  né  l' ingegno  né  il  purgato  giudizio  di  lui,  e  sema 
ragguagliare  i  propri  lor  tempi  coi  principi,  ma  bensì  coi  precetti,  colle  regole  spigolato 


Digitized  by 


Google 


6  INTRODUZIONE. 

Pertanto,  come  è  nostro  proposito  nel  trattar  della  vita 
del  segretario  fiorentino,  rimetterlo  in  quella  preclara  città 
sua,  in  cui  s'adagiava  tutta  la  civiltà  del  secolo,  ricollocarlo 
dentro  a  quei  tempi  ch'egli  intendeva  e  disdegnava,  e  co'  quali, 
per  dirla  con  una  frase  di  lui,  ei  non  si  riscontrò;  cosi,  in 
questo  trattato  del  machiavellismo,  che  è  a  modo  di  preambolo 
della  vita  di  Niccolò  andremo  per  le  diverse  contrade  d' Europa 
rintracciando  le  vestigia  che  i  tempi  infelici,  che  gli  consegui- 
tarono, lasciarono  sulla  sua  nominanza;  i  quali  tempi,  studiosi 
di  trarselo  addentro,  sicuri  d'averlo  acciuffato,  di  tenerlo  alle 
mani  e  ai  capelli,  di  lui  nient'altro  riuscirono  a  tórre  che  Q 
nome.  Cosi  quel  nome  sonò  ingiuria  e  vilipendio  tale,  da  pro- 
vocare la  rivendicazione  scolpita  sulla  sua  tomba  in  Santa 
Croce.  ^ 

E  poi  che  avremo  errato  pei  meandri  oscuri  del  pregiu- 
dizio, ricercheremo  della  fama  del  Machiavelli  fra  l'aure  pure 
e  i  quieti  campi  della  scienza,  ove,  se  pur  talvolta  capita  in- 
gombro di  nebbie  e  di  pruni,  lo  splendido  lavorio  della  natura 
e  il  sarchio  degl'immortali  bastano  a  sfrattar  poco  appresso  i 
vapor  tristi  e  l'erbe  malefiche.  Laonde,  se  alcun  frutto  è  per 

per  entro  agli  scritti  del  politico  fiorentino.  Un  trattato  del  Principe  del  M.,  postillato  dalla 
regina  Cristina  di  Svezia»  che  per  cortesia  deiramico  signor  professor  Monaci,  che  lo  pos- 
siede, ci  venne  concesso  a  studio,  può  mostrare  come  il  machiavellismo  sia  pullulato  natu- 
ralmente ai  margini  degli  scritti  del  Machiavelli.  Le  note  sono  apposte  tanto  al  testo,  che 
è  nella  traduzione  dell'Amelot  de  la  Houssaie  (à  Amsterdam,  chez  Henry  Wetstein,  1683), 
quanto  al  commento  di  quest'ultimo;  ma  non  vanno  oltre  alla  pag.  95.  A  pie  della  lettera 
di  dedica  del  M.  è  segnata  la  data  1684;  e  alla  pag.  17,  ove  nel  testo  si  legge  che  un  potente 
straniero  entrando  in  una  provincia,  i  più  deboli  di  quella  provincia  si  uniscono  con  lui,  per 
odio  che  hanno  contro  il  compagno  loro  più  forte,  è  notato  in  margine  :  «  cela  arriva  à  la 
Suede  en  Allemagne  ».  -A  pag.  23,  dove  si  dice  che  i  collegati  d' Italia  temevano  gli  uni  il 
papa,  gli  altri  i  Veneziani:  «  qui  craint  aujourd-hui  le  pape?»  -  Dove  il  M.  rimprovera  al 
cardinal  d*Amboise  e  a' Francesi  d*aver  troppo  accresciuto  le  forze  de' pontefici:  *  Ils  ne 
feront  pltts  cette  faute  ».  (?)  -  E  quando  alla  pag.  92  si  legge  che  in  antico,  per  abbassare 
il  papa,  gli  altri  stati  si  valevano  dei  baroni  romani  e  delle  loro  fazioni  armate  che  bastavano 
a  tenerlo  in  iscacco,  è  scritto  :  «  à  présent  on  ne  se  seri  que  de  lui  méme.  Si  Machiawl 
estoit  woant,  que  diroit  il  à  presentì»  —  V.  anche  le  annotazioni  stampate  a  margine  della 
traduzione  latina  de' Discorsi  fatta  dal  Rbifbnberg:  N.  M.  fiorentini  toù  iroXiTixwraTW 
ditcursus  ad  historiam  magni  ilUus  Livii  libri  in  exposUi,  totius  reipublicae  summam 
argute  repraesentantes,  notis  perpetuis  et  solennibus  illustrati.  Marpurgi,  1020. 

»  Erettagli,  giusta  il  progetto  del  cav.  Rimbotti  e  i  conforti  di  lord  Nassau  Clavering, 
conte  di  Cowpbb,  colla  scritta  :  Tanto  nomini  nullum  par  elogium.  Un  cruscante,  il  Co- 
lombi, ebbe  a  scriverne  :  «  se  non  può  esservi  elogio  proporzionato  al  merito  d'un  grande 
uomo,  è  dunque  inutile  iljfarlo,  e  tutto  il  genere  esornativo,  sarà  riserbato  ai  geni  mediocri. 
Che  assurdo  I  »  -  Tuttavia  l'epigrafe,  quando  s'abbia  riguardo  che  par  fatta  per  vendicare 
Niccolò  dall'onta  del  machiavellismo,  si  troverà  gonfia  ma  non  sproporzionata.  Né  la  è 
aliena  dal  sapore  rettorico  del  secolo  decimosesto.  In  San  Marco  a  Firenze  sulla  tomba  di 
Oiovanni  Pico  della  Mirandola  si  legge  : 

«  Ioannes  jacet  hic  Mirandula;  caetera  norunt 

Et  Tagus  et  Ganges  :  forsan  et  Antipodes  ». 

E  il  Fontano,  nell'elegia  in  morte  del  Marnilo  :  «Nil  praeter  nomen  tumulo  ».  ~  E  Analmente 

nel  monumento  eretto  in  Romane!  convento  de' Santi  Apostoli  a  Michelangelo  Buonarroti, 


Digitized  by 


Google 


DBL  MACHIAVKLLISMO.  7 

tornare  di  questo  prologo  nostro,  egli  avrà  ad  essere  doppio: 
porre,  cioè,  in  chiaro  T  indole  e  TefScacia  delle  cagioni  che 
determinarono  la  prima  avversione  contro  al  nome  del  segre- 
tario fiorentino,  seguitare  le  vicende  dell*apprezzamento  scien- 
tifico che  delle  dottrine  di  lui  fu  recato,  e  per  ultimo  fissare 
il  punto  donde  si  convenga  a  noi  pigliar  le  mosse. 

E  primieramente  chi  passa  in  rassegna  tutti  i  significati 
molteplici  che  col  variar  de'  luoghi  e  de'  tempi  si  attribuirono 
alle  voci  machiavellismo  e  machiavellicOy  vedrà  concorrere  e 
poco  men  che  conciliarsi  in  queste,  come  nell'assoluto  dei  pan- 
teisti, ogni  maniera  di  contradizioni.  Per  guisa  che  la  per- 
sona ideale  del  Machiavelli,  come  la  riesce  foggiata  dal  ma- 
chiavellismo, risulta  essere  un  po'  di  tutto.  Quindi  egli  è  per  gli 
eretici  un  consigliatore  delle  violenze  cattoliche,  un  gesuita; 
e  pe'  gesuiti  parimente  un  eretico,  e^  secondo  la  natura  delle 
persone  colle  quali  era  a  discreditare,  ora  uno  sciocco  ora 
un  uomo  riboccante  delle  malizie  sataniche.  Talvolta  anzi  è 
confuso  con  Satana  stesso,  o  fatto  padre  di  qualche  altro  dia- 
volo che  pigli  nome  da  lui.  ^  Tal'altra  per  quella  specie  di 
figliolanza  della  preoccupazione  dommatica  che  è  il  pregiudizio 

in  memoria  del  breve  tempo  che  la  salma  di  quel  grande  fti  quivi  ospitata  :  «  Michàbi. 
Ahoblub  :  BoNÀBROTZDa  :  soulptob  pictor  abcbitbotub  :  maxima  abtificum  vrbqubntia  : 

m  BAC    BASILICA    SS.  XII    APOST.    F.  M.   C.    .*    XI  CAL.    MABT.  A.  MOLXIV    BLATUS    B8T   :   CItAM 

croB  Plobbktiam  translatub  :  bt  in  tbmplo  S.  Crucis  bobumd.  f.  :  V.  id.  mabt.  bjusd. 
A  coBDrrus  :  tanto  nomiki  :  nullum  pab  blooium.  -  V.  in  qaest*  opera  1.  nr,  e.  3: 
L'epitaffio  di  Nic.  Tbgbimi».  -  Sotto  la  statua  di  Marcello  Virgilio  in  Firense  nella  chiesa 
de* Francescani  a  Monte: 

«...  hanc  statuam  plus 

Erexit  haeres,  nescius 

Famae  futurum,  et  gloriae 

Aut  nomen,  aut  nihil  satis  ». 
B  nell'epitaffio  che  Filippo  Strozzi  compose  per  sé  stesso,  nel  caso  fosse  morto  e  seppel- 
lito in  patria,  ti  Ucebit  hoc  iemporey  leggevasi  :  «  Philippo  Strozzae.  Satis  hoc,  caetera 
nonmt  omnes  ».  — 

1  V.  LucoHBSiNi  :  Sciocchezze  di  N.M.-  Macaulat's  Essay  on  Machiavel,  in  cui  cita 
i  seguenti  versi  àeWHudibriU  del  Butlbb  : 

«  Nick  Machiavel  had  ne'  er  a  trick 
Though  he  gave  name  to  onr  old  Nick  ». 
L'Ebbbhabd  {N.  M.  Dm  Buch  von  Wursten,  Berlin,  1873)  aggiunge  che  in  Baviera  si  dà 
al  diavolo  il  soprannome  di  Pelznickel;  della  qual  parola  la  prima  parte  è  corruzione  e 
accorciamento  da  Beelzebub;  la  seconda  ha  analogia  colla  voce  Nix,  farfarello,  spiri- 
tello, ecc.  -  È  curioso  osservare  che  se  il  Butler,  giuocando  colla  appellazione  del  demonio 
Nick,  credette  derivato  questo  nome  dal  nostro  Niccolò;  venne  pur  la  volta  che  il  Mosbb 
rivolgendo  il  pensiero  a* suoi  tempi,  usci  ad  invocare:  *Sanete  MachiaveUi,  ora  prò  no^ 
hit».  '  (Cf.  Ebbbbabd,  1.  e.  pag.  xxvn)  come  in  una  delle  recenti  commedie  italiane  s*ode 
esclamare  a  un  de*  personaggi  :  «  San  MacMavellOf  mi  rcuxornando  a  tei  *  (Luioi  Mo- 
RAiiDi:  La  Maestrina,  atto  i,  se.  vni.  Loescher,  1877).  Il  signor  Gaspar  Amico  racconta 
che,  avendo  visitato  la  villa  a  San  Casdano  che  già  fti  dei  Machiavelli,  ed  ora  appartiene 
al  signor  marchese  (}eppi  Rangoni,  attorno  alla  casetta  deperita  in  cui  Niccolò  attese  a 
scrivere  II  Prineipe,  i  villani  dei  dintorni  spacciano  che  lassù  dimori  il  diavolo  e  che  nessun 
cristiano  ci  vuole  abitare.  (V.  Oaspabb  Amico  :  Vita  di  N.  M.  Firenze,  187S.  pag.  409). 


Digitized  by 


Google 


d  INTRODUZIONE. 

scientifico,  ei  sembrò  ora  un  precettore  senza  scrupoli  e  senza 
morale  della  politica  di  conquista  e  d'oppressione,  ora  T  in- 
ventore primo  di  quella  politica  nazionale,  che  la  decrepita 
Europa  chiamò  già  pazza  e  malaugurata.  E  parimente  fu  prima 
abbominato  come  crudel  favoreggiatore  della  tirannide;  poi, 
quando  la  stagione  volse  propizia  agli  sfrenamenti  popolari  e 
plebei,  s'ebbe  in  uggia  come  un  becero  uscito  fuori  dalla  città 
de'  Ciompi  a  portar  la  fiaccola  della  rivolta  attorno  pel  mondo. 
Cosicché  il  machiavellismo,  che  fu  parola  nata  in  Francia  a 
contraddistinguere  la  parte  medicea,  messeresca,  toscana  e  ita- 
liana; 1  tornò  in  Italia  poco  men  che  allo  spirare  del  secolo 
decimottavo  a  denotare  la  fazione  di  coloro  che  tenevan  bor- 
done alle  teorie  scettiche  e  demagogiche  della  Francia  filo- 
sofante; e  fu  italianismo  di  là  dai  monti  quel  machiavellismo 
che  volle  dir  francesismo  tra  noi. 

Ora  le  incongrue  violenze  de'  fatti  sorgono  per  lo  più  dalle 
contraddizioni  delle  idee,  e  il  riandare  a  cercare  il  come  i  fatti 
s'interpretarono,  giova,  non  di  rado  a  intender  puranco  come 
ei  sembrasser  causa  di  certi  fenomeni,  i  quali,  a  dir  vero,  furono 
di  quelli  piuttosto  seguito  che  effetto. 

Infatti,  quasi  fosse  destino  che  le  due  gigantesche  istitu- 
zioni, che  insieme  avevano  informato  ed  agitato  la  società  cri- 
stiana dell'età  di  mezzo,  avessero  anche  insieme  a  dar  crollo; 
quando  già  tramontava  l'impero,  la  riforma  pure  si  leva  a 
sconfiggere  la  seconda  unità  violenta  che  Roma  aveva  imposto 
al  mondo:  l'unità  esteriore  della  fede,  radicata  su'  ruderi  del- 
l'antica universalità  romana.  *  Il  connubio  fatale  delle  tradizioni 
virgiliane  e  bibliche,  che  avevano  sacrato  Roma  all'eternità, 
si  rompeva.  Neil'  imperatore  Massimiliano,  in  cui  la  monarchia 
austriaca  erasi  incominciata,  il  sacro  romano  impero,  nel  suo 
pristino  e  ideale  significato,  spirava,  disgregate  le  sue  forze, 
voltiglisi  a'  nemici  gli  stessi  elementi  suoi  naturali.  ^  Un  nuovo 
spirito  pervadeva  tutte  le  contrade  d' Europa,  il  quale,  sot- 

1  GBMTIZ.Z.BT  :  AntimaeìUaì>9ly  ossia:  Diteour»  »ur  Ib%  moyéns  de  bien  gouverner  et 
maintenir  en  bonne  paix  un  royaume....  contre  N.  M.  le  florentin. 

*  V.  Vatieinum  Rev.  patriSf  d.  Mabtimi  Lutebi  autoria  mcmu  propria  scriptum  quod 
po9t  obitum  iptius  in  bÌbliot?ieca  eju»  repertum  est,  Opp.,  t.  i,  ed.  1566:  «  Romana  res 
mole  rait  sua,  corpus  magnum  ».  — 

*  Bbicb  :  ^l^e  holy  rofnan  empire^  cap.  xvn,  pag.  310  -  Come  il  M.  egregiamente  giudi- 
casse delle  condizioni  dell*  impero,  yeggasi  ne'  Ritratti  deUe  cote  di  Lamagna.  n  Kicxbss 
nell'articolo  del  Preuèaitche  lahrbiicher  (del  giugno  1871)  intitolato  :  Der  Patriotiemtu  Ma- 
chiaveUi%  osserva:  «  Wir  dOrfen  es  beute  beklagen  dass  ein  Ansl&nder  shon  in  kuner 
Zeit  dazu  gelangte  den  Zustand  des  Reiche*s,  yor  vierthalbhundert  labren  so  sutreffend  su 
erkennen,  ohne  dass  die  Deutschen  etlìchen  Nutsen  daraus  gezogen  haben  ».  — 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  9 

traendole  alla  riverenza  dell'antico  impero,  le  sfrenava  pure 
dall'antica  dipendenza  dalla  romana  fede.  Il  mondo  si  ricreava 
per  nuovi  impulsi,  e  nel  violento  sommuoversi  d'ogni  zolla  si 
rifaceva  fertile  campo  al  pullulare  d' istituzioni  novelle.  Lutero 
scoteva  la  Germania,  Calvino  la  Francia  e  la  Svizzera,  Ar- 
rigo Vili  si  traeva  dietro  Inghilterra;  la  Chiesa  cattolica, 
tratta  in  agone,  si  ritemprava  delle  sue  virtù,  la  coscienza 
dell'individuo  si  fortificava,  lo  stato  era  stimolato  a  ricercar 
tutte  le  sue  forze,  ad  avvisar  tutti  i  suoi  diritti,  tutti  i  suoi  com- 
piti ,  a  tracciarsi  confini  certi  e  a  difenderli.  ^ 

Gli  scrittori  tedeschi,  soliti  a  contrapporre  gli  uomini  della 
loro  riforma  religiosa  a  quelli  del  nostro  filosofico  rinascimento, 
anche  quando  trattarono  del  nostro  Machiavelli,  gli  misero  jbl 
riscontro  Lutero.  *  Ed  è  a  confessare  che  quand'anche  non  sia 
alcun  ragguaglio  possibile  fra  queste  due  nature,  così  diverse, 
non  solo  per  propria  e  individuale  disposizione,  ma  anche  per 
rappresentare  ciascuna  di  esse  le  differenti  condizioni  intellet- 
tuali e  morali  delle  lor  patrie,  tuttavia  è  impossibQe  a  chi  esa- 
mina e  discorre  la  via  del  pensiero  nel  secolo  decimonono  non 
farle  andar  di  conserva;  che  paiono  insieme  sulla  scena  del 
mondo,  provvidenzialmente  ordinate  a  discomporre  e  struggere 
l'edificio  medievale,  le  cui  fondamenta  nelle  diverse  loro  patrie 
poggiavano.  Cosi  Lutero  percuote  la  chiesa  d'Italia,  come  il 
Machiavelli  r  impero  di  Germania;  e  alla  segregazione  dell'una 
daD'altro,  tutti  e  due  strenui  campioni  maravigliosamente  com- 
battono. Cosi  nell'opere  del  Machiavelli  vediam  vagheggiata  e 
presupposta  una  preparazione  religiosa,  dopo  la  quale  l'indi- 
viduo prende  posto  nello  Stato  come  membro  salubre  di  questo; 
come  Lutero,  la  chiesa,  la  libertà  e  le  leggi  del  Cristo  dal  mon- 
dano governo,  da'  suoi  vincoli  e  dalle  sue  leggi  in  tutto  parte 
e  distingue.  ^  Il  Machiavelli  solleva  la  nazionalità  nuova  contro 
l'antico  impero  ;  Martin  Lutero  pone  contro  a'  decretali  e  al- 
l'indulgenze  prezzolate  di  Roma,  la  confessione  d'Augusta. 

E  tuttavia,  malgrado  questa  isterica  cospirazione  di  fini, 
che  a  noi  lontani  è  concesso  avvisare,  non  altrimenti  che  a'  ri- 

*  Nel  trattato  de  principe  protestante  ejusq.  origine  nomine  juribus  et  prcterogaUvU 
in  Imp.  germ.,  che  fa  parte  àéìVHistoria  reformationis  deirHANB  si  dice  (pag.  172)  :  «  Prin- 
cipem  in  territorio  suo  omnia,  imo  majora  posse  quam  Imperatorem  in  Imperio  ».  — 

*  V.  Theodob  Mundt:  Machiavelli  und  der  Gang  der  europaischen  PoliUhj  sec.  edi- 
zione. Lipsia,  1853,  pag.  7  e  seguenti. 

*  LuTEBo:  Von  weltlicher  Oìtriglseit,  wie  weit  man  ihr  Oehorsam  schuldig  sey.  An 
lohann  Herzog  zu  Sachten.  -  V.  anche  Bluntschli  :  Geschichte  det-  Allgemeinen  Staat- 
trecht  und  der  PoUtih  aeU  dem  xyi  lahrhundert.  Mttnchen,  1867,  pag.  48-9  e  seguenti. 


Digitized  by 


Google 


1  INTRODUZIONE. 

guardanti  un  disteso  portico  paia  l'incontro  prospettico  delle 
parallele;  non  fu  chi  a  Niccolò  nostro,  cui  si  dette  dello  scis- 
matico e  del  calvinista  e  del  gesuita,  desse  del  luterano  mai. 
Piuttosto  si  volle  dai  libri  di  lui  ripetere  lo  scisma  inglese,  ^  il 
macello  di  San  Bartolomeo,  i  crudeli  propositi  della  monarchia 
spagnuola  e  V  immanità  de'  calvinisti  di  Francia  e  di  Fiandra; 
che  riconoscer  da  quelli  l'affrancamento  da  istituzioni  decre- 
pite e  uggiose  all'età  nuova,  e  il  cominciamento  della  vita  na- 
zionale e  d'ordini  che  avessero  loro  radici  incrollabili  nelle  ne- 
cessità dell'umana  natura.  Che  se  l'età  moderna  reca  come  se- 
gnacolo de' suoi  progressi  l'emancipazione  dell' individuo  e  dello 
stato,  è  cosa  certa  che  quello  principalmente  per  Lutero  e  questo 
pel  Macchiavelli  l'antica  ingenuità  e  il  diritto  d'autonoma  cus- 
todia riconquistarono  ;  poi  che  ambedue  que'  grandi  atleti  il  loro 
regno  ideale  nell'antichità  collocarono,,  cercando  l'uno  ritrarre 
il  mondo  a'  principi  della  cristianità  evangelica,  l'altro  all'unione 
tollerante  e  forte  della  città  pagana. 

Ciò  posto,  è  natvrale  che  il  primo  manipolo  de'  nemici  del 
Machiavelli,  il  primo  gruppo  di  compari  del  machiavellismo, 
si  componesse  tutto  di  coloro  che  la  fantastica  immobilità  del- 
l'impero  e  della  chiesa  medioevale  volevano  perpetuata;  o  di 
coloro  che  invece  della  violenza  e  della  universalità  monar- 
chica del  cristianesimo  ne  propugnavano  la  violenza  e  l'uni- 
versalità repubblicana,  come  i  calvinisti.  In  generale,  fu  una 
opposizione  di  politica  teologica,  alla  quale  s'associaron  poi  tutti 
quanti  coloro  ai  quali  questa  opposizione  parve  ortodossia. 

Se  non  che  è  ben  da  tenere  a  mente  che  la  curia  ponti- 
ficale non  fu  già  la  prima  a  entrar  nell'arringo  a'  danni  di  Nic- 
colò; che  anzi  la  v'entrò  tardi  e  malgrado  il  risico  di  cader 
seco  stessa  in  contradizione;  però  che  prima  si  compiacque  di 
lui,  poi  se  ne  penti.  Ma  quando  lo  rilegò  fra  i  condannati,  il  gen- 
tile effluvio  del  rinascimento,  che  facea  ben  intelligibili  gli  scritti 
del  Machiavelli,  s'era  già  dileguato;  il  machiavellismo  avea  già 
sortito  i  natali  fuori  d'Italia,  e  la  curia,  bersagliata  dai  dis- 
sidenti, avea  paura  d'esser  chiamata  machiavellica  anch'essa.* 

In  Francia,  nel  beato  paese  in  cui  le  parole  corrono  più 

*  V.  nel  Thealrum  crHàeìitatiim  haerelieorum  nostri  tempori8j  Antuerpiae,  apud  Adria- 
num  Hubert!  mdiccii,  a  pag.  69:  «  Inquisitionis  Anglicanae  et  facinorum  crudelium  Ma- 
chiavellanorum  in  Anglia  et  Hibernia  a  Calvinistis  protestantibua  sub  ElLsabetha  etiamnam 
regnante  peractoruni,  descriptiones  ».  — 

*  Grboobio  Leti  nei  Segreti  di  Stato  de  i  principi  dell'Europa,  scrisse:  «Gli  eccle- 
siastici che  al  giorno  di  hoggi  leggono  il  breviario  la  mattina,  e  Machiavello  la  sera  », 
pag.  571.  — 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  11 

spesso  la  buona  ventura,  in  seno  alle  turbolenze  della  riforma 
e  della  lega,  i  due  vocaboli:  machiavellico  e  machiavellismo 
primieramente  sbocciarono.  E  siccome  quando  si  ricerca  la  pa- 
ternità degli  equivoci  bisogna  aspettarsi  ogni  maniera  di  con- 
traddizioni, cosi  ci  accade  trovare  che  la  bastarda  appellazione 
fu  còiìiata  e  spacciata  da  quella  fazione,  che  si  chiamò  dei 
politici  ;  la  qual  fazione  fra  due  religioni  che  litigavano  surse 
non  come  una  parte  intermedia,  ma  come  una  terza  al  litigio. 
E  se  si  fosse  levata  a  scuola  e  avesse  posto  le  fondamenta  dello 
stato  nella  civil  tolleranza,  sarebbe  stata  un  bene  vero  della 
patria.  Ma  invece  si  levò  come  setta,  e  scindendosi  dal  re  e  da 
Caterina  de'  Medici  recò  una  divisione  di  più.  Così  che  quei  po- 
litici non  furono  per  allora  che  i  seguaci  di  Montmorenci,  che 
favoreggiava  il  duca  d'Alen^on,  studiandosi  contrapporlo  al  re 
e  alla  regina  '  madre.  ^ 

La  regina  madre  specialmente  era  oggetto  di  particolare 
avversione,  perchè  era  italiana.  E  in  quelle  vicende  tristissime 
della  Francia,  in  cui  i  riformati  a  cagione  della  comune  ribel- 
lione dalla  fede,  affogavano  in  cuore  gli  antichi  odi  contro  al- 
ringhilterra  conquistatrice  e  le  tendeano  le  braccia;  e  i  cat- 
tolici avean  l'orecchio  a'  duri  conforti  del  monarca  spagnuolo  ; 
in  quelle  vicende  tristissime,  in  cui  «  una  povera  donna  »,  come  il 
prudente  Enrico  IV  chiamò  Caterina,  lottava  sola  contro  tanti 
impulsi  al  disgregamento,  affaticandosi  per  salvar  nella  monar- 
chia la  patria  francese;  tutto  lo  stimolo  che  potesse  pungere 
ancora  il  sentimento  nazionale,  si  riduceva  all'odio  di  quella 
povera  donna,  perch'era  figlia  d'Italia. 

Pure,  trapiantata  in  Francia,  avea  sempre  mostrato  regale 
e  francese  l'animo  ;  preso  ad  usar  la  favella  di  quel  regno  ;  ed 
è  fama  che  la  parlasse  leggiadramente;  l'arti  belle  e  l'utili 
discipline  aveva  introdotte,  ma  senza  scapito,  anzi  a  bello  svi- 
luppo dell'  indole  francese.  Ma  i  natali  forestieri,  ^  che  ai  cal- 
dissimi nazionali  d' Inghilterra  non  parver  difetto  in  Guglielmo 
d' Orango,  furono  ostacolo  come  di  patria  lesa  pei  Francesi 
d'allora  contro  Caterina  de'  Medici,  come  contro  Amedeo  di  Sa- 
voia pei  disgregati  Spagnuoli  di  questi  tempi.  I  quali  difetti  era 

»  Datila:  Chterre  civiU  di  Franciay  1.  v,  285. 

*  V.  nel  RecueU  de  poésies  fì-ancoises  (t.  ▼,  pag.  46  e  seguenti)   la   Comptainte  de 
France,  ISfiS;: 

«  Veux-tQ  sayoir  qael  est  Testat  de  notre  Franco  ! 
Un  jeune  roy  mene  par  un  peuple  mal  duit, 
Mene  d*im  espagnol,  d'an  moyne  et  d*un  faux  bruit, 
Mene  par  une  femme  extraitte  de  Florence  ».  — 


Digitized  by 


Google 


18  INTRODUZIONE. 

inutile  ch'ella  con  isquisita  delicatezza  di  modi,  e  gli  adulatori 
di  lei  con  ridicola  sequela  di  fiabe  cercassero  medicare  e  cor- 
reggere. 

Invano  e'  si  provarono  dare  ad  intendere  che  il  popolo  fio- 
rentino, più  che  d'inclinazioni,  d'origine  era  francese,  e  che 
più  d'ogni  fiorentino  l'erano  i  Medici.  Invano  andavano  a  ri- 
vangare l'ossa  di  Brenne,  che,  gran  capo  d'orde  galliche, 
scendendo  in  Italia  e  in  Grecia  e  nell'Asia,  e  seco  recando  tra 
il  fior  de'  prodi  Bono  e  Polonio,  grandissimi  baroni,  avesse  dato 
occasione  che  questi  fondassero  in  Italia  Bononia  e  Firenze, 
chiamate  dal  loro  nome.  Invano  da  quel  Polonio,  che  per  avere 
operato  maraviglie  nella  Media  avrebbesi  tolto  soprannome  di 
Medico,  si  faceva  spiccare  la  generazione  de'  Medici.  Invano  si 
foggiava  di  un  Everardo  dei  Medici  un  conte  di  Carlomagno, 
con  lui  mosso  a  guerreggiar  Desiderio;  invano  s'associava  al 
nome  di  Goffredo  Buglione  quello  d' un  Annemondo  Medici,  nel 
passaggio  in  Terrasanta  del  grande  crociato:  ^  popolo,  grandi 
e  parlamento  colpivano  la  regina  col  titolo  di  straniera. 

Ascende  al  trono  re  Prancesco  II  ;  recansi  a  Corte  i  Mont- 
morenci  per  assicurarlo  della  fedeltà  loro  e:  i  Prancesi,  gli 
dicono,  obbediscono  volentieri  a'ior  principi  naturali,  ma  a  ma- 
lincuore assai  a'  forestieri,^  Il  colpo  dell'ultima  frase  era  driz- 
zato alla  regina  madre.  E  poco  più  sotto,  lo  stesso  storico  Au- 
bigné,  accennando  ai  parlamenti,  aggiungeva  che  essi:  en- 
clinoyent  aux  droiis  naturels,  et  à  ce  qui  estoit  le  plus 
frangois.  »  ^ 

—  Re  Prancesco  muore  ;  se  gli  fanno  esequie,  che  paion 
màcre  ;  ed  ecco  che  alla  coltre  mortuaria  s'appiccano  motteggi  e 
satire  contro  alla  madre  italiana;^  ed  ecco  farsi  accusa  alla 
medesima  che  educasse  i  figliuoli  alle  italiane  discipline  e  non 
alle  tradizioni  antiche  de' re  della  Prancia. 

Ed  ora,  quell'  italianità  per  cui  Caterina  putiva,  dovea  ri- 

^  V.  Orazione  funebre  in  morte  di  Caterina  de*  Medici,  fatta  dal  signor  De  Bbdmb, 
arcivescovo  di  Boarges  in  Brantomb.  Memoirei.  Vie  de  la  reine  mère. 

*  AuBiGNé:  Hist.  Univ.,  liv.  2,  eh.  xiv:  «  Entre  autres  propos  il  eschappa  un  chef  de 
ceste  famille  de  dire  quo  les  Frangais  ont  à  coeur  Tobeissance  de  leurs  princes  naturels 
et  à  contrecoeur  celle  des  princes  étrangers  ».  -  V.  anche  deirAuBiGNÉ  les  Trctgiques 
(Paris,  1867,  pag.  273)  in  cui  alla  Jesabel  medicea  si  rimproverano  : 

«  Tes  ruses,  tes  conseils  et  tos  tours  florentins  »  — 
V.  anche  op.  cit.,  pag.  54  sgg.  Miséres.  — 

*  AuBiGNÉ  :  Ibidem. 

*  AuBiGNÉ:  liv.  2,  eh.  xxiii: 

«  Ou  est  maintenant  Tanegui  du  Chastelt 
Mais  il  estoit  fran^ois  ». 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  '  13 

versarsi  sulla  nominanza  del  nostro  Machiavelli,  quasi  fosse 
fatale  che  ovunque,  e  anche  dopo  la  morte,  dovesse  la  casa 
de' Medici  a  lui  portare  sciagura. 

Racconta  il  de  Thou,i  che  quando  Carlo  IX  invitò  Co- 
ligny  a  recarsi  a  Parigi,  per  le  nozze  che  precedettero  al  ma- 
cello del  San  Bartolomeo,  V  ammiraglio  riceveva  d' ogni  parte 
lettere  dissuasorie:  <che  si  guardasse  bene,  poi  ch'era  fermo 
consiglio  della  regina  struggere  per  qual  si  fosse  maniera  i 
protestanti:  una  straniera,  e  italiana,  e  nata  da  sangue  di  papa, 
dotata  d'ingegno  toscano,,  scaltrissima,  non  poteva  non  mac- 
chinare insidie  estreme;  guardasse  a  quale  scuola  fosse  il  re 
educato:  come  gli  fosse  persuaso  che  non  sopportasse  altre 
religioni  nello  stato,  se  non  se  quella  a  cui  lo  stato  stesso  si 
appoggia,  secondo  la  sentenza  di  Machiavello  suo  maestro.  »  — ^ 
Ed  ecco  il  segretario  fiorentino  comparir  sulla  scena,  come 
propugnatore  della  civile  intolleranza,  come  conciliatore  del 
meretricio  amplesso  fra  lo  stato  e  la  chiesa  e  istigatore  al- 
l'oppression  della  libertà. 

Dopo  siffatte  premesse,  non  è  da  maravigliare  s'è' si  trova 
chi  su' suoi  omeri  gitta  il  carico  dell'attentato  alla  vita  dell'am- 
miraglio, anzi  delle  stragi  delle  nozze  di  sangue.  Anzi  e'  dovrà 
parerci  ben  naturale  che  in  cosi  fervido  ambiente  e  in  mezzo 
a  tanto  accecamento  di  rabbie,  uno  fra  i  calvinisti,  de' quali  il 
sere  di  Castelnau  ^  scriveva  che  si  reputava  avessero  assai  più 
ignoranza  e  passione  che  religione,  sbucasse  fuori  con  un  li- 
bello in  cui  tutte  e  due  le  qualità  dal  Castelnau  ascritte  alla 
sua  setta, paiono  dell'autore,  ad  ogni  foglio,  chiarissime.il  quale 
con  ogni  maniera  di  vilipendi  e  d'oltraggi  scagliandosi  contro 
del  Machiavelli,  gli  gitta  accusa  d'ogni  maniera  di  mali;  e 
neppure  d'un  briciolin  di  bene  vuol  fargli  merito;  anzi  se  in 


>  Db  Thou:  HitL^  I.  Ln. 

*  «  . . .  id  illi  persuasum  esse,  ne  aliam  religionem,  quam  eam  cui  ipsius  status  innititTir, 
fittta  MachiaveUi  doctoris  sui  Mntentìam  in  regno  locum  habere  patiatur  :  alioqui  nonquam 
pacatam  foro  quamdiu  in  eo  duae  religiones  vigebnnt  ».  -  Da  Thou:  Hist.,  lib.  lii.  Simil- 
mente nel  Toctin  cantre  les  MassaereurSy  pag.  52,  è  accusata  la  regina  di  non  fare  erudire 
i  figliuoli  nelle  sxtcre  scritture  :  «  au  contraire  de  quoy  la  roine  a  fait  instniire  ses  enfans 
ès  prècéptes  qui  estoyent  plus  propres  à  un  tiran  qu*à  un  roy  vertueux,  lui  faisant  faire 
lecon,  non  pas  seulement  des  sots  comptes  de  Perceforest,  mais  sur  tout  des  traitéz  de  cest 
athèe  de  Maehiavel^  dont  le  but  a  esté  plustost  d'enseigner  le  prince  à  se  faire  craindre  que 
aimer,  et  à  regner  en  grandeur,  qu*à  bien  regner  ».  -  V.  anche  Bayle  :  Art.  Machiavél.  E 
recentemente  il  prof.  Db  TitéTBRBET  :  VltaUa  au  xvi  sUcle,  y.  i,  pag.  175,  vedendo  colhi 
immaginazione  Caterina  de*  Medici  e  i  suoi  regali  figli  «  itudier  Maehiavel  »  fa  gridare  agli 
onest* uomini:  «Nous  pouvonsnous  atteodre  à  tout;  le  roi  et  la relne-mère  consultent  leur 
mauvais  livre  ».  — 

*  Castblkau:  Memoires,  1.  m. 


Digitized  by 


Google 


14  INTRODUZIONE. 

lui  ne  incontra  punto,  è  cosa  d'altri,  e  U  Machiavelli  che  la 
tolse,  n'è  ladro.  Del  resto  ei  dichiara  di  non  saper  nulla  della 
persona  di  lui,  se  non  eh' e*  fu  segretario  fiorentino,  della  città 
de' messeri,  della  patria  della  regina  medicea.  E  non  pure  i 
messeri  e  i  medicei,  ma  gl'italiani  tutti  e  gì' italianeggianti 
furon  confusi  e  compresi  nel  nome  di  machiavellici  in  Francia,  ^ 
come  in  Germania,  dove  allora  non  si  respirava  che  contro- 
versia teologica,  per  italiano  s'intendeva  un  seguace  delle  opi- 
nioni tomistiche.  *  Ed  è  bella  ventura  tra  le  disgrazie  di  giorni 
faziosi,  esser  da' nemici  contraddistinti  con  appellativi  foggiati 
dal  nome  di  due  fra  i  più  grandi  figli,  fra  i  più  potenti  ingegni  di 
Italia!  — 

Ma  tuttavia  nato  l'odio  e  foggiato  il  vocabolo,  l'abomi- 
nazione corse  a  tal  punto  che  non  fu  più  possibile  restar  sotto 
l'accuse.  I  machiavellisti  eran  designati  come  atei  e  crudeli 
e  abbandonati  all'ira  di  Dio.  *  Fin  le  persone  le  più  ponderate 
e  le  più  eque  accoglievano  nella  mente  il  pregiudizio  e  la 
parola  di  moda.  E  per  non  dire  della  gentile  novellatrice  di 
Navarra,  della  bella  regina  Margherita,^  che  nelle  memorie  sue, 
per  dar  biasimo  al  Le  Guast,  lo  chiama  «  nato  a  mal  fare, 
maestro  di  tirannide  e  di  precetti  machiavellisti  »  ;  il  Brantóme, 
lascivo  anche  nella  sua  curiosità  e  nel  suo  corruccio,  il  Bran- 
tóme stesso  che  tanto  volentieri  anteponeva  l'elegante  mollezza 
italica  alla  tronfia  burbanza  spagnuola,  che  amò  Caterina  dei 
Medici  e  n'affermò:  «  che  una  simile  in  Francia  pel  ben  della 
pace,  non  sarebbe  tornata  più  »,  nota  a  proposito  di  don  Fer- 

1  «  Car  ne  sont  ce  pas  MachiaYelistes  (ItaUem  on  Italianisez)  qui  manient  les  sceaux 
de  la  Francel  »  Gbntillbt,  1.  c. 

*  Catharimus:  Ad  Car.  Max.  Imp.  et  Higp.  reg.  Apologia,  1.  ▼,  95  t.  riferisce  una 
lettera  di  Lutbbo,  che  comincia:  «  Pervenit  ad  me;  reverende  pater,  dialogus  ille  tane 
satis  superciliosus  et  piane  totus  italicas  et  toraisticas». 

*  n  Gbntillbt,  reca  questo  violento  sonetto,  contro  a* Machiavellisti: 

«  Atheistes  cruels,  marchez  vous  sur  la  terre! 

Le  ciel  vous  couvre  encor!  des  abysmes  l'horreur 

Du  sang  juste  espandu  Teffrovable  terreur 

Vos  pamcides  coeurs  tient  elle  point  en  serre  f 
Aux  hommes,  au  gran  Dieu,  osez  vous  faire  guerre! 

Loyauté,  pieté,  n'ont  sur  votre  fureur 

Aucun  commandement?  6  mal-heureux  erreur 

Qui  la  mort  et  Tenfer  en  vos  ames  enserre! 
Qnoy  doncques,  vous  n*avez  point  des  vices  scuci? 

Et  bien,  lisez  un  peu  votre  proces  ici, 

Helas,  si  pour  le  voir  vous  avez  la  lumière. 
Et  si  pour  vous  guider  vous  demandiez  des  yeux, 

Nous  n'orrions  tant  tonner  et  foudroyer  des  cieux 

Colui  qui  doit  bientót  vous  reduire  en  poussière  ». 

*  Maboubbits  de  Valois:  Mèmoires,  Paris,  1858,  pag.  18:  «  Ce  mauvais  homme,  né 
pour  mal  faire,  soudain  fascinant  son  esprit,  le  remplit  de  mille  tyranniques  maximes  :  quMl 
ne(.falloit  aimer  ni  Aer  qu'à  soy-mesrae  ;  qu*il  ne  falloit  joindre  personne  à  sa  fortune,  non 
pas  mesmo  ny  frère  ny  soeur,  et  autres  tels  beaux  pre<ieptes  machiavelistes  ».  — 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  15 

dinando,  governatore  dello  stato  di  Milano,  ch'egli  era  tal 
uomo  <  qui  entendoit  bien  les>  iours  de  passe  passe^  non  de 
maistre  Gonnin,  mais  de  Machiavel  ».  * 

Pertanto  la  fama  di  furbo,  di  tristo,  di  feroce,*  d'ateo,  era 
assicurata  al  segretario  fiorentino,  malvociato  e  sconosciuto  ad  un 
tempo;  ma  non  bastava;  e  bisognava  dargli  del  turco  per  fame 
avere  orrore  e  paura.  E  già  lo  stesso  Gentillet  chiama  i  libri  di 
lui  l'Alcorano  dei  cortigiani,  e  il  de  Thou  spiega  a  sufficienza 
la  frase  di  lui  e  la  fa  riverberare  su  Caterina  e  i  messeri.  ^ 

I  fiorentini  non  si  rimasero  colle  mani  alla  cintola,  e  cinque 
anni  dopo  la  strage  degli  Ugonotti,  comparve  in  Lione  la  <  difesa 
della  città  di  Firenze  et  dei  Fiorentini,  contro  le  calunnie 
et  maledicentie  de' maligni,  composta  da  Paolo  Mini  fioren^ 
tino,  medico  e  filosofo  »  ^,  nella  quale  questi  piglia  a  rivendicare 
Tonor  de' concittadini  non  solo  contro  quelli  che  gli  dicevano 
non  buoni  ad  altro  che  alla  caviglia  e  al  graticcio,  ma  spe- 
cialmente contro  certi  che  «  per  trafiggergli  con  più  aguzzo 
e  velenoso  dente,  si  sono  ingegnati,  di  far  credere  al  mondo 
che  siano  atheisti:  perchè  hauendo  il  Magnifico  Niccolò  Ma- 
chiavegli  Gentilhuomo  Fiorentino,  scritto  tra  molti  altri,  un 
libro,  il  cui  titolo  è  il  Principe,  uno  di  essi  auendo  stiza  con 
i  Fiorentini,  fondatosi  su  certe  sue  conchiusioni,  et  interpreta- 
tele a  sua  fantasia,  le  ha  ad  una  ad  una  riprovate  tutte,  con- 
chiudendo in  un  certo  suo  libello  diffamatorio,  che  i  Fiorentini 
sono  atheisti,  perchè  sono  machiavellisti  ».  — 

*  Bbamtòmb:  Pour  ftn,  qu'on  dehagoule  contr'eUs  iout  ce  qu'on  voudrUf  jamais  nov9 
n'auront  une  tette  en  France  si  bonne  pour  la  paiw.  Mem.,  65.  -  Id.  :  Vie  du  marechal 
de  Britaac. 

*  Un*acctisa  stranissima  contro  al  segretario  fiorentino  reca  in  campo  TAuBiGNé  {le9 
Tragiq'oei,  pag.  03)  : 

«  Nos  savans  apprentifs  du  faux  Machiavel 
Ont  parmi  nous  seme  la  peste  da  dnel  ».  — 

*  Ecco  il  passo  del  Oentillbt  che  forse  indusse  poi  il  Posssvino  a  dar  del  turco  al 
Machiavelli  :  «  Je  ne  doute  pas  que  plusieurs  gens  de  cour,  qui  manient  afaires  d^estat,  et 
autres  de  leur  humeur,  ne  trouvent  fort  estrange  que  je  parie  de  ceste  fa^n  de  leur  grand 
docteur  Machiavel,  les  livres  du  quél  Ton  peut  à  bon  droit  appeler  TAlcoran  des  Courti- 
sans  ».  -  Ecco  poi  il  passo  del  db  Thou  che  spiega  V  indole  turchesca  che  si  voleva  attribuire 
a*  machiavellici  :  «  Repetitum  a  biennio  consilium  quod  Bloesis,  antequam  Navarrae  regina 
in  aulam  venisset,  initum  fuisse  ferebatur,  de  Francia  Tnrcici  imperii  instar  sub  absoluta 
potestate  redigenda.  Ad  id  subomatum  a  Birago  cancellarlo  et  Radesiano  cernite  Poncetum 
quemdam^  qui  post  varios  peregrinationes  a  pontifico  S.  Petri  torque  donatus  ob  eam  caussam 
vulgo  eques  indigitabatnr.  Is  ad  regem,  reginam  Audinum  introductus  varia  regna  se  lustrasse 
dicebat  sed  nullam  in  iis  principura  plenam  potestatem  reperisse,  praeterquam  in  Turcico 
imperio,  in  quo  penes  summum  Imperatorem  omnium  vitae,  dignitates  et  bona  sunt  ».  - 
Db  Thou;  Hist,  1.  lvii,  an.  1574.  Nell'opuscolo:  Le  Contrassasain  (1612)  pag.  38:  «  Ma- 
chiavel dresse  son  prince  à  la  tirannie,  perfidie,  et  athéisme,  comme  un  chacun  peut  voir 
en  son  livre  du  prince  ».  — 

*  In  Lione,  appresso  Filippo  Tinghi,  MDLXXvn,  pag.  149. 


Digitized  by 


Google 


16  ISTRODUZIONE. 

Ma  il  pregiudizio  delle  accuse  sopravvive  alle  apologie,  ^ 
e  si  dimenticò  prima  il  Gentillet,  che  non  il  motto  di  cui  fu 
autore;  anzi  parve  che  si  dimenticasse  persino  T origine  del 
motto  e  della  persecuzione.  Che  venne  tempo  che  il  cittadino 
Guiraudet,  fidato  nell'irruente  libertà  che  infuriava  in  Francia 
e  comprimeva  per  un  momento  la  curia  vaticana,  credette  veder 
disfatto  per  sempre  il  covo  agli  inimici  del  gran  segretario, 
e  4c  i  popoli  d'Italia,  sclamava,  ricorderanno  pur  sempre  qual 
altro  popolo  fu  V  Ercole  le  cui  frecce  trafissero  l'avvoltoio,  e 
ad  essi  il  loro  Prometeo  liberarono  ».^  — 

Se  non  che  l'inimicizie  della  chiesa  di  Roma  non  erano 
che  un  riverbero;  e  i  natali  e  i  progressi  del  machiavellismo 
fecer  che  sempre  il  Machiavelli  si  leggesse  meno  e  si  condan- 
nasse più.  Ma  il  paese  dove  il  machiavellismo  ingrossò  e  di- 
ventò corpo  tetro  e  fantastico  fu  sempre  quello  in  cui  era 
nato;  quello  in  cui  trovò  chi  l'allevasse  con  sovrabbondanza 
di  nutrimento,  quello  in  cui  la  storia  e  la  critica  corrono  non 
di  rado  pericolo  di  divenire  soggettive  e  monocule. 

E  non  vale  che  intelletti  chiarissimi  si  provassero  a  rom- 
per l'acque  ristagnate;  che  il  Montesquieu  col  suo  bel  frizzo 
affermasse  che  il  machiavellismo  era  soffocato  e  morto  coll'in- 
trodursi  delle  lettere  cambiali;  ^  che  il  Guizot  ^  ricordasse  come 
quello  era  salito  già  in  trono  con  Luigi  XI,  e  aveva  signo- 
reggiato in  Ispagna  con  Ferdinando  il  Cattolico  ^  donde  col  papa 
Borgia,  col  Valentino  e  col  grande  Consalvo  ritornò  in  Italia. 
Non  valse  rammemorar  le  massime  del  Doctrinal  de  Cour,^ 


^  Eneyelop.  D'Albmbbet  :  Ari.  Machiavel  :  «  Il  est  Tapótre  de  la  polltiquo  trompeuse 
et  malfaisante,  appellée  de  son  noni,  le  Machiavéllisme.  Il  a  eu  dea  apologistes,  mais  qui 
n*oDt  pu  réassir  à  le  disculper,  ses  écrits  parlant  plus  haut  qne  toutea  leara  raisona  ». 

•  (Euvres  de  3fachiavel  par  Toussai2<t  Guikaudbt,  an.  vii  (1798). 
s  MoNTBSQUiBU,  Esprit  des  loi»,  1.  xxii,  e.  xx. 

*  GuizoT,  Histoire  de  la  cinilisation  en  Europe,  leQ.  xi,  pag.  d69  e  seguenti. 

*  Il  Prescott  nella  sua  History  of  Ferdinand  and  Isabella  (t.  in,  e.  xxvi,  pag.  444-5) 
reca:  «  In  the  first  cortes  after  Isabella's  death,  at  Toro,  in  1505,  Ferdinand  introduced 
the  practise  which  has  since  obtained,  of  administering  an  oath  of  secrecy  to  the  deputles, 
as  to  the  prnceedings  of  the  session  ;  a  serious  wound  to  popular  repreaentation  ».  -  E 
confuta  il  Capmany,  il  quale  {Practica  y  EstilOy  pag.  232)  erra  nel  descrivere  questo  fatto 
come  «  un  arteficio  maquiavelico  inventado  por  la  politica  alemana  ».  -  Al  qual  proposito 
lo  storico  inglese  ai  compiace  aggiungere  :  «  The  german  machiavelism  has  quite  aina  enough 
in  this  way  to  anawer  for  ».  — 

•  De'  migliori  ingegni  che  fossero  neiraccademia  che  tenevasi  alla  Corte  dei  duchi  di 
Borgogna,  fu  Pibtro  Michault,  che  satireggiò  i  costumi  e  le  maniere  cortigianesche  in 
un'allegorìa,  intitolata  Doctrinal  de  cour,  in  cui  scrisse  questi  precetti  che  i  francesi 
direbbero  machiavellici.  Pure  il  Michault  mori  due  anni  prima  che  il  Machiavelli  nascesse  : 

«  Faites  plalsir  à  chacun  et  chacune , 
Si  vous  tenez  de  cent  promesses  une, 
C'est  bien  asses;  mais  prometter  toujours».  — 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  17 

né  le  sentenze  del  sere  di  Gomines;  ^  seguitò  sempre  il  ma- 
chiavellismo  ad  andar  per  le  bocche  e  per  le  menti  di  teologi, 
di  filosofi,  di  storici,  di  statisti,  d*  enciclopedisti  e  di  roman- 
zieri;^ l'odio  dei  Medicei  si  rinnovò  nell'odio  de'Napoleonidi: 
dal  Gentillet  al  generale  Trochu  e  al  Nourrisson  le  traveg- 
gole non  caddero;  e  non  fu  con  poco  scapito  né  degli  studi 
né  della  vita.  — 

Ed  ora  che  dobbiam  voltarci  a  considerare  un'altra  ma- 
niera d'avversari  del  Machiavelli,  la  cui  animosità  era  più  lo- 
gicamente da  attendersi,  siam  lieti  di  poter  consentire  col 
Cantini,  3  il  quale  osservò  che  in  Roma,  nella  Roma  papale 
e  imperiale,  a  dispetto  dell'Indice,  che  si  ostinò  sempre  nella 
proibizione,  non  mancò  mai  favore  al  segretario  fiorentino.  E 
fu  in  essa  che  lo  Scioppio  ne  prese  le  difese,  che  il  cardinale 
Stefano  Borgia  si  rallegrò  cogli  editori  del  1782,  e  che  nel  1771 
si  pubblicò  con  tutte  l'approvazioni  «ia  mente  d'un  tcomo  di 
stato,  »  che  è  una  composizione  ordinata  di  tutte  le  sentenze 
del  grande  politico,  la  quale  sola  potrebbe  bastare  a  metter  freno 
potente  alle  accuse  fatte  ad  occhi  aperti  o  in  buona  fede. 

Inoltre  se  si  considera  che  il  primo  impulso  alla  con- 
danna che  l'ortodossìa  romana  sentenziò  venne  da  fuor  d' Italia, 

1  n  Cantò  {Storia  degV Italianij  t.  m,  e.  cxxx,  pag.  82)  reca  in  nota  i  seguenti  passi 
del  CoMiNBS  che  sanno  di  machiavellico  :  «  Je  veulx  desclarer  une  tromperie  ou  habilité, 
aJDSi  qu'on  vauldra  nommer,  car  elle  fut  saigement  conduite  -  lì  pourra  sembler,  au  temps 
advenir,  à  cenlx  qui  verront  cecy,  qne  en  ces  deux  princes  (Luigi  XI  e  il  duca  di  Bor- 
gogna) n*y  eut  pas  grand  fay....  mais  quand'on  penserà  aux  autres  princes,  on  trouvera 
cenls  cy  grands,  nobles  et  notables  et  le  notre  très  saige....  -  je  cayde  estre  certain  que 
cea  deux  princes  y  estoient  tous  deux  en  intention  de  tromper  chacan  son  compaignon  ».  — 

«  Il  Capbpigub  {La  réforme  et  la  liguSy  pag.  153)  dice  di  Caterina  :  «  Elle  avait  appris 
à  Véeole  Ualienne  k  ne  jamais  désespérer  de  rien  ;  à  faire  servir  toutes  les  causes  à  sa 
fortune,  à  ne  tenir  aucun  compte  de  la  parole  humaine  ».  -  E  nel  primo  numero  della  grar 
vissima  Revua  de*  questions  hiatoriqìMs  (Paris,  1866,  pag.  26):  «  Sous  Francois  II  et 
Charles  IX,  Catherine  des  Médicis  mit  en  honneur,  dans  la  conduite  des  affaires,  un  mar 
chiarelique  et  dangereux  système  de  bascule  ».  -  E  il  Didbbot  (Code  de  la  Nature): 
«C'est  effectivement  sur  ces  détestables  principes  que  portent  les  afflreuses  maximes  du 
machiavelisme,  selon  lesquelles  les  hommes  seroient,  à  Tegard  de  leurs  souverains,  à  peu 
près  ce  que  les  Ilotes  étoient  chez  les  Lacédémoniens  ».  -  Com'  è  palese,  per  V  enciclope- 
dista, il  machiavellismo  non  è  più  ateismo,  ma  sibbene  monarchia  sfrenata  e  tirannica. 
Cosi  ancora  neW AntimachiavéUsme  ou  refleacions  métaphiaiques  sur  Vauthorili  en  gene- 
ral et  sur  le  pouvoir  arbitraire  en  partieulier,  en  forme  de  lettre»  addresièet  a  Mr.  L. 
Z.  B.  par  Mr.  Vabbé  de  Buquoy,  à  la  Haye  ».  Chez  M.  Scheurleer,  né  del  Machiavelli 
né  del  Machiavellismo  si  tiene  espressa  parola,  ma  si  suppone  che  per  esso  intendasi  po- 
tere personale  e  signoria  d'arbitrio.  E  il  Noubbisson  {Machiavel.  Paris,  1875):  «Le  Ma- 
chiavelisme, qui  est  une  corruption  humaine,  n'est  pas  moins,  à  beaucoup  d*égards,  une 
comiption  essentiellement  italienne».  -  E  più  oltre:  «  Qu'on  ne  s'y  trompe  pas!  Machia- 
velismo,  matérialisme,'athéisme  sont  les  termes  intégrants  d*une  seule  et  méme  equation». 
-  E  finalmente,  perchò  le  sentenze  deirodiemo  filosofo  morale  non  perdano  a  fronte  delle 
teiòcchesze  del  padre  Luccheslni;  «  Machiavel,  qui  passe  pour  étre  le  maitre  des  fourbes^ 
est  bien  davantage,  malgré  son  genie,  je  ne  dirai  point,  si  Ton  veut,  maitre  de  sots,  mais 
le  maitre  des  petite  politiques  ».  ^ 

*  Contini,  MachiavelU  e  U  »uo  centenario,  1868. 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  3 


Digitized  by 


Google 


18  INTRODUZIONE. 

SÌ  parrà  chiaro  che  la  cooperazione  di  questa  alla  formazione 
del  machiavellismo  è  assai  minore  di  quel  che  generalmente 
si  crede.  E  sarebbe  forse  stata  anche  minore,  se,  suscitato 
l'odio  e  coniato  il  vocabolo,  quando  si  volle  che  gesuita  e  ma- 
chiavellico valessero  la  stessa  '  cosa,  non  si  fosse  sentito  spa- 
vento che  tutta  la  chiesa  romana  si  avesse  a  chiamare  ma- 
chiavellica. 

Pertanto,  per  quanto  mai  grande  fosse  l'autorità  del 
cardinal  Polo,  non  bastò  sola,  in  sul  principio,  a  rompere 
r  ammirazione,  con  cui  gli  scritti  di  Niccolò  eran  già  stati  ac- 
colti anche  dai  papi.  Né  il  Machiavelli  fu  altro  pel  cardinal 
Polo,  che  un  fantasma  triste,  in  cui  personificava  tutte  le  scia- 
gure della  sua  patria  britanna.  Nella  quale  tornatosi,  dopo  i 
suoi  studi  platonici  d'Italia,  e  trovatala  sconvolta  dietro  la  ri- 
forma d'Arrigo  Vili,  consigliato  da  Cromwell,  uomo  nuovo 
alla  Corte  e  per  la  confidenza  reale  presuntuosissimo,  ebbe  di- 
spetto di  quella  novità;  dispetto  di  veder  tenuto  in  poco  pregio 
i  suoi  studi  accademici  e  di  sentir  dal  Cromwell  magnificato 
uno  scritto  di  tal  uomo  per  verità  moderno,  ma  pieno  d'acume 
e  d' ingegno,  scriptum  honiinis  moderni  quidem  sed  ingenio- 
sissimi  et  acutissimi,  in  cui,  senza  le  aeree  speculazioni  pla- 
toniche, si  trovavano  gettate  le  vere  fondamenta  d'una  nuova 
arte  di  stato. 

E  quando  poi,  dopo  lunga  curiosità  venne  a  conoscere 
che  quello  scritto  era  intitolato  II  principe,  e  che  autore  erane 
il  segretario  fiorentino  ;  inorridì  del  libro  e  dell'autore,  che  al 
tutto  indegno  gli  parve  di  si  gentile  cittadinanza;  e  mettendolo 
in  un  fascio  col  suo  abbominato  Cromwell,^  riconobbe  da  lui 
la  feroce  tirannide  regale  che  staccava  l'Inghilterra  dalle  tra- 
dizioni avite,  e  tornò  in  Italia  determinato  a  sollecitarne  la 
condanna. 

Ma  non  ebbe  a  rimanere  mediocremente  ammirato,  all'ac- 
corgersi come  non  pochi,  e  fra  i  più  delicati  e  netti  de'  concit- 
tadini di  esso,  l'avessero  in  grande  stima  ed  onore,  abbattendosi 
cosi  primo  fra  gli  stranieri  nell'accoglienza  che  trovarono  tutti 
coloro  che  si  fecero  in  Italia,  e  più  particolarmente  in  Toscana, 
a  lacerare  la  fama  del  Machiavelli ;*.i  quali  s'udiron  ripetere 

*  «  Hoc  saltein  in  quo  reliqua  omnia  expriinuntur  :  ut  sub  praetextu  relìgionis  suìs  de- 
«ideriis  et  cupiditalibus  (princeps)  inserviat,  in  quo  uno  tota  doctrina  Machiavelli  et 
CromwelH  continetur  »,  Polo,  Apologia,  pag.  xxxii. 

•  L'ÀRTAUD  (3/.  son  genie  et  ses  erreurs.  Paris,  1833)  scrive  :  «  La  Toscane  tout  en- 
tiòre,  ou  mère  oi^eilleuse  d*  un  tei  fils,  ou  mère  indulgente  ne  pense  pas  à  le  reprouver  ». 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  19 

che  troppo  più  facile  riesce  riprovarlo  che  intenderlo.  Tuttavia 
il  cardinal  Polo  non  era  autorità  leggera;  ed  essendo  egli  uomo 
di  chiesa  purissimo,  ed  entrato  a  Padova  ed  a  Venezia  nella 
società  italiana  dei  letterati  teologi,  che  nell'autorità  de*costumi 
e  nell'afifermazione  conciliante  di  sue  dottrine  preparava  il  rin- 
giovanimento della  virtù  cattolica,  seppure  non  riusci  a  far 
pronunciare  la  condanna,  ebbe  non  piccola  parte  ad  intiepidire 
la  calda  ammirazione  di  lui  e  delle  sue  opere. 

E  tanto  più,  in  quanto  che  in  Italia,  fin  da  quando  il  primo 
disciogliersi  della  unità  religiosa  irritò  la  mente  ai  tenaci  ddle 
tradizioni  e  li  rannodò  nella  necessità  della  difesa,  si  splancò 
largo  campo  a  controversie  e  diatribe  di  teologanti.  E  poi  che 
la  corrente  delle  idee  nuove  s'avventava  con  tutta  foga  ed  im- 
peto, fu  ogni  studio  ad  opporle  argini,  ad  impedire,  per  dir 
così,  che  sopra  maggior  letto  non  traboccasse.  E  poi  che  la 
fatale  disgregazione  dal  romano  centro  compievasi,  a  tutti  quei 
fatti  che  Tavean  preceduta,  ch'erano  indizi  e  si  pigliavano  per 
cause,  si  cominciò  a  gridare  la  croce  addosso;  e  dovunque  pa- 
resse ombra  di  dissidio  dalla  centripeta  violenza  medievale,  ivi 
si  cominciò  a  fiutare  eresia;  e  quel  giudizio,  ch'era  retroattivo, 
parea  giusto.  * 

Combattere  la  riforma  in  Germania  importava  combattere 
anche  il  rinascimento  in  Italia;  e  però  se  da  una  parte  si  fa- 
ceva controversia  dell'efficacia  della  grazia  divina,  dall'altra 
le  umane  discipline  e  la  scienza,  che  allo  splendore  ?*iflesso  del- 
l'antichità avean  rinverdito,  si  detestarono;  e  neppur  come  an- 
celle delle  sacre  lettere  si  volean  tollerate,  poiché  Agar  pur 
come  ancella  era  stata  cacciata  di  casa.  ^  Così  il  Petrarca  e 
il  Boccacci  si  ricacciavano  tra' libracci  da  detestare,  e  il  Sa- 
vonarola ed  il  Machiavelli  si  trovarono  appaiati  nel  novero  degli 
autori  vitandi,  l'uno  come  falso  profeta,  l'altro  come  precettore 
d'eretici .2  I  motivi  estrinseci  che  determinavano  la  nuova  accusa 

-  E  il  Oervinus  {Histori»^k0  Schriften,  216)  :  «  Es  sìnd  seine  Landsleute,  die  ihn  auch 
«pater,  wenn  nicht  mit  tiefem  l}rtheìl,  doch  mit  richtigerera  Takte  aDgesehea  haben,  als 
die  OermaDen  ;  und  anter  diesen  sind  wieder  Leute,  die  den  Zeiten  und  dar  Denkart  der- 
selben  naher  standen,  wie  Bacon,  Conrin^y  und  andre,  billiger  und  verstiindiger  gewesen, 
als  die  Spateren,  bei  denen  das  Geftihl  der  Huroa«LUit  und  Piet&t  die  Schiirfe  der  Forscbung 
nicht  Kuliess  ».  — 

»  Bbccatelli.  Vita  del  card.  Polo  neWEpistolae  Card.  Poli,  voi.  v,  pag.  385. 

*  Enarratìon€8j  r.  p.  f.  Ambbosti  Catharimi  Politi,  SaneyisìSy  archiep.  Compsani  in 
quinque  priora  capita  libri  geneseoSj^^Ag.  341.  Romae:  apud  Ant.  Bladum,  e.  a.  typgr., 
MDLn.  È  singolare,  ma  novello  testimonio  della  sciagura  la  quale  incontra  in  tempi  di  faaionì 
e  di  lotte,  che  nemmeno  al  cardinal  Polo  riuscì  di  conservare  intatta  la  fama  dell*  indole 
sua  e  rispettata  la  costanza  delle  proprie  opinioni.  V.  VEstraUo  del  processo  del  Carf%9' 
secchi  (fra  i  Monumenti  della  Società  di  storia  patria,  Torino,  pag.  801)  in  cui  ò  deposto 


Digitized  by 


Google 


20  INTRODUZIONE. 

del  Caterino  erano  identici  a  quelli  del  Polo;  e  Tanno  1552 
corainciò  a  volgere  del  tutto  infesto  alla  riputazione  di  Niccolò; 
poiché  circa  a  questo  tempo  si  cominciò  a  lamentare  che  i  libri 
suoi  si  vendessero  pubblicamente,  che  dominasser  le  reggie  dei 
principi,  e  corresser  per  le  mani  dei  popoli  ;  e  precisamente  in 
quest'anno  il  Biado,  quel  Biado  stesso  che  aveva  avuto  da  Cle- 
mente VII  privilegio  per  l'edizione  delle  istorie  del  Machia- 
velli, pubblicava  a  Remale  Controversie  del  Caterino;  il  Tor- 
rentino  a  Firenze  il  trattato  de  nobilitate  Christiana  di  Geronimo 
Osorio;  e  il  libro  stesso  del  Polo,  quindici  anni  innanzi  composto, 
solo  circa  a  questo  tempo  si  cominciò  a  pubblicare.  ^ 

E  coirOsorio  e  col  Bozio  s' introdusse  un  nuovo  rigagnolo, 
del  quale  il  machiavellismo  s'accrebbe;  poi  che  questi  non  da  fatti 
estrinseci  furon  condotti  ad  avversare  gli  scritti  del  segretario, 
ma  col  pigliarne  una  proposizione  isolata,  e  con  quella  sola  colo- 
rare tutto  l'uomo  e  tutte  le  opere,  dettero  agio  a  foggiarsi  tanti 
bersagli  d' idee  sìngole,  che  si  chiamarono  tutte  il  Machiavelli, 
e  strette  insieme,  il  machiavellismo  ;  e  che  non  rendevano  più 
chiara  immagine  dello  scrittore  fiorentino,  di  quel  che  facciano 
d'un  paesaggio  vastamente  inondato,  qualche  palo  o  comignolo  qua 
e  là  vagamente  sporgente  dall'acque;  e  questo  nuovo  lavorìo  teo- 
logico accoppiandosi  a  quel  primo  impeto  della  passione  francese, 
dette  ansa  e  fiato  più  lungo  all'  ibrida  prole,  che  volea  per  forza 
arrogarsi  la  paternità  dal  nostro  grande  politico.  L' Osorio  trattò 
il  Machiavelli  da  scrittore  impurus  atque  nefarius,  per  es- 
sergli sembrato  dispregiatore  del  cristianesimo  ;  *  e  il  Bozio  scio- 
rinò tre  trattati  contro  di  lui,  per  mettere  in  voga  questi 
tre  assunti:  l'uno,  che  gl'imperi  dipendano  dalle  vere  virtù; 
l'altro  che  la  religione  cattolica  non  aveva  ammorbidito  gli 
animi  e  spogliatili  di  valore  bellico;  l'ultimo,  ragguagliando 
il  vecchio  e  il  nuovo  stato  d' Italia,  che  questa  non  si  fu  mai 
più  felice  d'allora  quando  soggiacque  all'autorità  de' ponte- 
fici. 3  E  qui  ci  è  d'uopo  fern^arci  a  considerare  il  modo  che  si 

del  pio  cardinale  :  «  Ma  mi  pare  bene  che  quel  signore  sia  stato  molto  infelice  nella  sua 
morte,  qaanto  al  mondo,  essendo  restato  in  opinione  a  Roma  di  lutherano,  et  in  Alemagna 
di  papista,  et  in  corte  di  Fiandra  di  francese,  e  in  quella  di  Francia  di  imperiale,  ecc.  » 
«  V.  P.  P.  Vbrgebii,  Praefalk>  oA  R.  PoU  britanni  prò  Bccl.  unii,  dsfenaione.  mdly. 
Argentorati. 

*  Jer.  Osorii.  De  NobUUaU  ekritHana,  1.  ni,  Florent.  1552,  pag.  46. 

*  Bozius  Th.  De  Imperio  virtuUs,  noe  imperia  pendere  a  wiria  viriutihui  non  a  9i- 
mulatie,  1.  ii,  oekwrsiM  MaeìùaneUum.  Coloniae,  1594.  -  Idem  :  De  robore  bellico,  din- 
tumii  et  amplia  eatholieorum  regni»,  1.  i,  adft.  M.,  Coloniae,  1594.  -  Idem  :  De  Italiae 
$tatu  antiquo  et  novo  ado.  M.,  1.  it,  Coloniae,  1505.  -  (Noi  avemmo  innanzi  Tedix.  romana 
apud  Guglielmum  Facciottum,  1596).  -  Il  Mobl,  quantunque  trovi  nel  prete  filippino  una 


Digitized  by 


Google 


DEL  MJiCHIJiVELLISMO,  21 

tiene  da*  combattitori  deUe  lotte  cieche,  mosse  più  per  passione 
occasionale,  che  per  ragione  di  scienza. 

S'incomincia  col  trar  Tavversario  fuori  del  suo  ambiente, 
col  portarlo  fuori  del  tempo  suo  e  non  curarsi  di  riconoscerne 
l'individualità,  né  della  persona  né  degli  scritti;  col  guastarne 
la  sintesi,  coU'alterarne  le  proporzioni,  con  far  comparir  prin- 
cipale quel  eh*  è  accessorio,  e  nascondere  tutto  il  corpo,  mo- 
strando un  neo.  Quindi  neppure  quel  neo  si  va  più  a  guar- 
dare proprio  su  quel  corpo,  ne'  di  questo  si  va  più  dirittamente 
a  smembrare  una  parte,  ma  si  sta  sulla  fede  di  chi  Tha  già 
visto,  dissecato  e  notomizzato;  e  seguitando  a  tagliuzzare  e 
cincischiare  la  particella  messa  in  giro,  se  ne  fa  tanto  più 
ciancie  quant'essa  più  s'assottiglia.  Vedemmo  già  la  ventura 
che  corse  il  Machiavelli  ne' primi  stadi  della  lotta,  lo  vedemmo 
sempre  più  mal  compreso,  quanto  più  l'ultimo  crepuscolo  del 
rinascimento  imbruniva,  e  i  suoi  dettami  si  pigliavano  alla  spic- 
ciolata: ora  incomincia  ad  esser  confutato  e  non  più  letto.  Gli 
scritti  del  Possevino  e  del  Ribadeneira  rimangono  primi  testi- 
moni del  nuovo  metodo.  Quegli,  colpito,  a  quanto  ne  pare,  dalla 
lettura  del  libello  del  Gentillet,  né  d'altri  argomenti  giovan- 
dosi che  di  quelli  tolti  a  prestanza  dal  fanatico  calvinista,  in- 
sieme con  altri  parecchi  scrittori  di  politica  piglia  a  saettare 
il  Machiavelli  in  modo,  che  del  trattato  del  Principe,  che  è 
breve  scritto  e  d'un  sol  libro,  egli  intravide  tre  libri,  pigliando 
forse  abbaglio  coi  discorsi  intorno  alle  deche;  e,  con  istraor- 
dinaria  confidenza  si  fa  a  richiamar  citazioni  in  margine  del 
libro  terzo  del  trattato  del  Principe-  Che  se  la  fretta  volesse 
addursi  a  scusa  di  tanta  trascuranza,  converrebbe  anche  inflet- 
tere che  la  fretta  dismaga  V onestà  ad  ogni  attOy  secondo  scrisse 
Dante;  e  tanto  più  la  è  disonesta  e  condannabile,  quanto  si  è  più 
solleciti  a'  danni  altrui.  Ma  questo  siam  certi  che  anche  quel 
reverendo  padre  l'avrà  riflettuto;  a  detta  del  quale,  Niccolò  fu 
organo  di  Satana,  autore  pestilenziale,  cui  se  non  mancò  in- 
gegno e  acume,  fece  total  difetto  la  pietà  e  l'uso  della  vita; 
che  se  in  religione  e'  fu  ateista,  fu  maomettano  in  politica.  ^ 

sfacciataggine  inandiu  nel  torcere  a  suo  modo  la  verità  de*  fatti,  dice  pure  di  queste  tre 
opere  :  «  dieso  BQcher  aind  denn  in  ihrer  Art  hòchst  merkwUrdig  ».  -  Il  Chbistio  giudicò  di 
essi,  che  anche  pel  loro  titolo  venisser  meno  alle  regole  della  giusta  contradixione  :  «  Haec 
ille  neque  uaquam,  quantum  scio,  falsam  virtutem  vera  meliorem,  aut  pendere  imperiorum 
bona  a  aimulatis  virtutibus  dixerat,  ut  agnoscas  etiam  titulum  peccare  adversua  leges 
jastae  contraditionis  ».  Chustxo:  De  Nic.  Mac.,  1.  i,  pag.  31. 

i  V.  AifT02<ii  PossBViNx  0  S.  J.  :  /udtctum  d»  Nua,  lohan  BoéUno,  Ph.  Morneo,  y. 
Machiavello.  Romae,  Ex.  typ.  Vaticana,  150S.  -  Ibi,  pag.  188  :  «  Viden  hinc  Mahometismnm 


Digitized  by 


Google 


»  INTRODUZIONE. 

Ed  è  chiaro  che  lo  fu,  perchè  in  Francia  l'opere  di  lui  erano 
state  chiamate  YAlcoran  des  Courtisans, 

Ma  se  in  Francia  esso  e  i  messeri  erano  stati  confusi  e 
maledetti  insieme,  siccome  quelli  che  pareva  istigassero  la  regina 
a  non  tollerar  altra  religione  che  quella  in  cui  lo  stato  s'ap- 
poggia; in  Spagna  doveva  essere  sbatacchiato  per  opposta  ca- 
gione ed  accusato  come  duce  di  quei  politici  che  gridavan 
pace  alle  guerre  religiose;  e  accomodatisi  già  a  veder  fran- 
tumata la  violenta  unità  della  fede,  promettevano  tranquilla 
convivenza  .civile  sotto  la  fede  tollerante  e  la  difesa  impar- 
ziale dello  stato. 

E  il  Ribadeneira,  reverendo  anch'esso,  sollecito  d'avventar 
nell'animo  dell'infante,  che  avrebbe  dovuto  succedere  nel  reame 
a  Filippo  II,  tutte  quelle  fiamme  d'ira  cattolica  che  potessero 
bastare  a  consumar  l'eresia,  scrisse  della  religione  e  delle  virtù 
del  principe  cristiano,  coli' intento  di  mostrar  che  que' politici 
eran  la  peste  della  religione  e  che  e'  pigliavan  l' imbeccata  dal 
Machiavelli.  ^  Così  il  pregiudizio  teologico  politico  facea  carico 
a  questo  di  gettar  le  fondamenta  dello  stato  odierno,  qualità 
che  taluno  dei  moderni  giuristi  poi  gli  volle  negata,  come  s'ei 
nuU'altro  avesse  saputo  intravedere  al  di  là  d'Aristotele  e  della 
costituzione  dell'antiche  repubbliche. 

Se  non  che  l'ultima  perfezione  del  machiavellismo,  com'ei 
venne  concepito  dai  dommatici  curiali,  occorre  in  un  opuscolo 
del  Fitzherbert,  *  nobile  sacerdote  angle,  il  quale  agli  sdegni 
già  preconcetti  contro  ai  politici  e  al  loro  gran  maestro,  ag- 
giunse una  sua  particolare  irritazione  pel  metodo  comparativo 
inaugurato  da  Niccolò  nelle  discipline  politiche.  L'aver  questi 
osato  di  mettere  accanto  e  a  parallelo  il  santo  ré  David  e  Fi- 
lippo di  Macedonia  gli  fa  scandalo  grave,  e  il  Fitzherbert  non 

palam  statui  1  »  -  Sulle  inesattazse  del  PosseWno  fu  primo  a  scrivere  Herman  Conrino  : 
Nicolai  Machiavelli  princeps,  Helmestadiì,  1600,  pag.  9.  -  V.  anche  Christius  :  De  Nicolao 
M.y  pag.  72, 

'  Ribadeneira  T.:  De  religione  et  virtutibus  principis  ehristiani  ckdv.  Machiavellum, 
1.  n,  Madrid,  1597  -  ejusdem  :  «  De  ùmulatione  virtutum  fugienda  ».  -  Nel  primo  di  questi 
trattati  (1.  i,  e.  it)  leggesi  :  «  Però  la  diferencia  que  aj  entre  los  politicos  y  nosotros  es, 
que  ellos  quieren  que  los  principes  tengan  cuenta  con  la  religion  de  sus  subditos,  qual- 
queira  che  sea,  falsa  ò  verdadera;  nosotros  queremos  que  conosca  que  la  religion  catho- 
lica  es  sola  la  verdadera,  y  que  à  ella  sola  favorezcan  ».  -  E  Podio  de*  cattolici  contro 
a* politici  doveva  essere  anche  rinfocolato  da  un  brano  del  citato  vaticinium  di  Lutero: 
«  Nostri  cum  a  legibus  Papae  liberi  sint,  volunt  etiam  a  lege  Dei  lìberi  esse,  nihil  nisi  Po- 
litica sequi,  sed  sic,  ut  sub  illis  quoque  prò  libito  sint».  — 

*  Fitzherbert  :  An  sit  utilitca  in  icelere,  rei  de  infelieitate  principis  MachiavelUei 
contro  Machiavf^Uum  et  politicos  ^us  seetatores.  Romae,  mdcx.  Lo  stesso  autore  ampliò 
e  tradusse  in  ingl.'si*  l' opera  cominciata  in  latino  e  l'intitolò-  Th.  Fitzherbert:  The  sacond 
pari  of  a  treatUe  concerniny  poliey  and  religion  printed  wUh  lieehce  of  super tors^  IdlO. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  «3 

si  trattiene  di  chiamamelo  empio.  ^  E  il  veder  comparire  in 
scena  un  nuovo  capo  d'accusa,  darebbe  a  credere  che  il  zelante 
controversista  avesse  preso  conoscenza  diretta  dell'autore  da 
lui  impugnato;  se  non  che  l'elenco  delle  proJ)osizioni  ch'egli 
chiama  «  Jifcichiavelli  oc  poliiicorum  paradoxa  » ,  che  mette 
in  sul  principio  dell'opera  sua,  ci  libera  di  leggieri  dal  rimanere 
in  questo  supposto. 

Or  ecco  i  paradossi  donde  trae  sostanza  il  machiavellismo, 
a  senso  della  scuola  doramatica  :  *  ^c  che  l'onestà  e  l'utilità  stanno 
ciascuna  di  per  sé,  e  non  hanno  che  fare  una  coll'altra  -  che 
lo  stato  è  fatto  pe'  principi,  non  i  principi  per  lo  stato  -  che 
più  debbo  a  se  stesso  il  principe  che  alla  pubblica  cosa  -  che 
quel  che  è  danno  dell'universale  può  esser  vantaggio  del  prin- 
cip9  -  che  v'à  saldo  e  utile  potere  fuori  della  virtù  -  che  il 
principe  debbo  essere  ottimo  o*  scelleratissimo  -  che  i  tiranni 
possono  colla  crudeltà  e  scelleraggine  conservarsi  in  istato  - 
i  morti  non  mordono  -  odino,  purché  temano  -  dividi  e  impera 
-  tiranno  che  rabbonisce  non  si  conserva  -  la  tirannide  é  fon- 


>  FiTZHKBBEBT,  pog.  180,  cap.  XIII  :  «  Itaque  nimis  execranda  est,  tum  nequitia  tum 
impadentia  Machiavelli  qui  ausus  est  Davìdem  cum  Philippe  Macedoniae  rege  parricida, 
perfido,  periuro,  Dee  et  hominibus  exoso  atque  a  suis  tandem  occiso  consociare;  an  sanctie- 
shnu»  rex  propheta,  verum  optimi  principia  exemplar  cum  sceleratissiroo  tyranno,  aliquid 
commune  habere  potuit,  ut  nequissimo  Machiavelli  principi  sceleris  exemplo  esse  possetl  » 
-  Né  questa  accusa  sorprende  in  un  teologo;  ma  chi  non  maraviglerà  che  Federico  il 
Grande,  U  quale  credeva  che,  uinanamente  parlando,  Mosé  fosse  un  uomo  «  «i  peu  hahiU 
qu'il  conduint  le  penple  juif  pendant  quaranta  annèes  par  un  chemin  qu'il  auroienl 
très  commodement  fait  en  six  ssmainés  »,  facesse  al  M.  rimprovero  d'aver  appaiato  Mosò  a 
Romolo,  a  Ciro,  a  Teseo;  e  ne  lo  tacciasse  dMrriverente  sconsideratezza?  (V.  Antima' 
ehiaveì,  eh.  vi). 

*  «  Principio  late  quae  dein  praecepta  sequantur 

Digna  vide,  rivosque  impuri  respice  fontis: 

Nempe  licet  quodcuroque  juvat.  Non  vincula  regem 

UUa  Hgare  valent,  nec  habent  perjuria  crimen  : 

Causaque  se  facilis  violandi  foederis  oifert, 

Ficta  licet  :  vario  quam  obvolvere  juris  amictu 

Conveniet.  Si  nulla  subit,  si  deficit  omnis 

Justitiae,  jurisque  color,  neque  taedia  pacis 

Ferre  vales,  vicina  dolis  vexare  memento 

Regna,  nec  opprobriis  dubita  proscindere,  donec 

Arma  lacessiti  cogantur  sumere  reges. 

Te  propriae  tlmeant  gentes,  nomenque  tyranni 

Laetas  ama,  nec  amore  animos  vincire  labores  ! 

Nexus  amicitiae  scissa  procul  exulet  aula! 

Divide  Goncordes  animos,  sere  semina  rixae 

Perpetoae   alternisque  alius  conatibus  obstetl 

Quaeris  religio  quae  praestet?  Nulla  tenenda 

Regibus.  Est  sua  cuique  deus  fortuna:  nec  auro 

NobiliuB  tote  dominator  in  aetere  numen. 

Scilicet  haec  illa  est  species  et  forma  politi 

Principia 

{De  Inatitutione  principi»  LrviNi  MBTBBn  in  eiusdem 
Poematuntf  1.  xii,  Bruxellis.  171^^). 


Digitized  by 


Google 


84  INTRODUZIONE. 

data  sullo  stesso  diritto  reale  e  suirautorità  delle  sante  scrit- 
ture -  il'  buon  successo  de'  tiranni  è  a  riferire  al  caso  e  non  a 
divino  giudizio  -  David  e  Mosè  fondarono  su  molte  stragi  il 
loro  impero  -  parecchi  s'appresero  alla  tirannide  impunemente  ». 
La  maggior  parte  di  queste  proposizioni  sono  d'una  catti- 
veria sciocca  e  puerile;  tuttavia  mostrano  un  lato  nuovo  del 
machiavellismo  ;  ^  il  quale  non  sarebbe  più  frutto  d'una  mente 
prescindente  e  sperimentale,  ma  cercherebbe  appoggio  e  fon- 
damento nella  tradizione.  In  picciol  corso  d'anni  non  può  un 
sistema  mostrar  più  facce,  né  tollerar  più  trasformazioni.  Che 
se  papa  Paolo  IV  e  il  concilio  di  Trento^  trovaron  già  la  lettura 

1  E  così  può  spiegarsi  : 

«...  quel  bello 
Opuscolo  del  padre  Lucchesini 
Odo  trattò  di  e .^  .  il  Machiavello  ». 

Ma  non  fu  solo:  il  padre  Gio.  Maria  Muti  dell'ordine  de* predicatori  nel  suo  Trono  di 
Salomone  a  sia  Politica  di  governo  a  tutte  le  nazioni  del  mondo,  dove  $'  impugna  U  Ma- 
chiavelli, si  combatte  il  duello,  si  erudiscono  i  principi  nel  governo  :  con  altri  premurosi 
Trattati,  ecc.  gli  dà  dell'ateo,  falsario,  ignorante,  sciocco,  caparbio  e  scimunito.  -  V.  Scru- 
tinio contro  la  ragione  di  Stato,  in  fine.  •>  V.  anche  Mr.  Vannozzi  :  SuppelletUe  d'avvocato 
politico,  ecc.,  Bologna,  1609.  -  Cosi  il  Possevino,  il  Ribadbnbira,  il  Qbntillbt.  Fbdbbioo 
DI  Prussia  non  esitò  a  scrivere  :  «  Si  la  mechanceté  de  Machiavel  fait  horreur,  son  rais- 
sonnement  fait  pitie,  et  il  auroit  mieux  fait  d'apprendre  à  bien  raisonner,  que  d'enseigner 
sa  politique  monstrueuse  »  {Examen  du  prince,  eh.  v).  -  Il  Cantò  all'incontro  lo  trovò 
sempre  inesorabilmente  logico,  e  glien  fece  addebito.   {Storia  degl'Italiani,  v.  3,  pag.  79). 

*  Paolo  IV,  nel  1559.  Il  Concilio  nell'Indice  del  1564.  Nel  1573  si  prese  a  espurgare 
da  due  nipoti  Giulian  de' Ricci  e  Niccolò  Machiavelli;  e  s'intavolarono  trattative  perchè 
ne  fosse  permessa  la  ristampa.  (V.  pref.  all'ediz.  fior,  del  1872,  pag.  lxvi).  Nel  I57S  le  trat- 
tative per  la  revisione, delle  opere  del  segretario  paiono  incominciate,  ma  la  strage  di  San 
Bartolomeo,  l'opuscolo  del  Gentillet,  la  voga  del  machiavellismo  furono  forse  occasione  a 
interromperle  e  a  non  ragionarne  più  mai.  -  Sotto  al  savio  e  liberale  governo  di  Pietro 
Leopoldo  in  Toscana  sì  prese  a  condurre  una  edizione  nuova  delle  opere  del  segretario,  con- 
fortata e  aiutata  dal  vescovo  di  Pistoia,  Scipion  de' Ricci,  discendente  del  Machiavelli 
stesso  ;  la  Curia  per  mezzo  del  nunzio  Crivelli  cercò  opporvisi,  ed  è  pregio  dell'opera  rife- 
rire dalle  Memorie  del  Ricci  il  brano  in  cui  ragguaglia  de'  suoi  destreggiamenti  in  questa 
occasione  : 

«...  La  Commissione  (della  edizione  delle  opere)  era  specialmente  appo^ata  all'abate 
Regìnaldo  Tanzini  che,  non  senza  l'aiuto  dell'abate  Bartolomeo  Pollini,  allora  mio  segre- 
tario, aveva  già  posto  mano  alla  collezione  delle  opere.  Era  pur  noto  che  possedendo  io 
molti  manoscritti  del  Machiavello,  il  cui  ramo  si  era  estinto  in  una  femmina  maritata  ad 
un  mio  antenato,  il  Tanzini  aveva  tutto  il  coiAodo  di  profittarne.  Giuliano  de'  Rìcci,  celebre 
antiquario  e  ascendente  dell'altro  ramo  di  cui  io  sono  stato  l'unico  erede,  nasceva  d'una 
figlia  di  Niccolò;  ed  essendo  stato  deputato  insieme  col  canonico  Niccolò  Machiavelli,  suo 
cugino,  alla  rivista  delle  opere  di  quell'insigne  uomo,  molte  cose  aveva  già  raccolte  e  molte 
lettere  con  somma  diligenza  copiate  onde  poterle  dare  alle  stampe  coU'annuenza  di  una 
Congregazione  di  cardinali,  deputata  apposta  in  Roma. 

«  Ma  questa  lunga  fatica,  non  saprei  dire  per  qual  cagione,  non  portò  altrimenti  quel 
felice  effetto  che  ebbe  già  una  non  dissimile  per  il  Decamerone  di  messer  <}iovanni  Boc- 
caccio. Io  dunque  che,  oltre  diversi  rispett(ibiU  Codici,  avevo  ereditato  questa  preziosa  col- 
lezione, di  tutto  feci  parte  all'editore,  perchè  arricchisse  la  nuova  raccolta  delle  opere  di 
Niccolò;  e  dei  lavori  di  Giuliano  profittasse  per  renderla  più  copiosa  e  per  fare  una  con- 
veniente apologia  alla  religione  di  lui,  contro  coloro  che  lo  condannano  senza  conoscerlo. 
Il  nunzio  Crivelli,  vedendo  che  il  vicario  dell'arcivescovo  e  due  preti  suoi  aderenti,  tra  i 
quali  lo  stesso  suo  segretario,  avevano  la  maggiore  influenza  nell'opera,  credè  sicuro  il 
poterla  fare  abortire  fino  dal  suo  principio,  impegnando  l'arcivescovo  a  secondare  le  mire 
della  sua  Corte.  Rinnovò  le  doglianze  contro  la  stampa  .del  Racine,  ed  eccitò  lo  zelo  del 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  85 

dell'opere  del  Machiavelli  pericolosa  e  non  da  tutti,  fecero  cosa 
ragionevole,  poiché  l'Indice  c'era,  a  confinarcele;  e  l'avrebbero 
fatta  pur  caritatevole  per  la  fama  del  gran  segretario  se  questo 
sovra  tutti  avesse  valso  a  impaurir  l'animo  a  quegli  ascetici  bur- 
banzosi, che  larghi  di  zelo  tanto,  quanto  angusti  dell'intelletto, 
si  crédettero  abili  a  leggerle  e  confutarle.  Né  la  riprovazione 
pontificia  sarebbe  stata  così  tenace,  da  non  lasciar  vivere  i  libri 
del  maggior  politico  del  nostro  rinascimento,  della  stessa  vita 
che  concedeva  a  quelli  del  Boccacci  o  dell'Ariosto  ;  da  non  la- 
sciarli cioè  ricomparire,  come  allor  dicevasi,  espurgati  ;  ma  il 
machiavellismo  cominciò  a  nascere,  e  l'odio  del  nome  fu  sur- 

prelato  a  impedire  la  pubblicazione  di  tanti  libri  che  offendevano,  secondo  lui,  la  Chiesa  e 
distru^evano  la  religione,  quantunque  in  sostanza  non  s'intendesse  che  di  quei  che  com- 
battevano le  false  pretensioni  della  sua  Corte. 

«  L'arcivescovo  non  si  attentò  a  parlarne  meco  né  col  mio  segretario.  Chiamò  a  so 
Tabate  Tansini,  ed  introdottosi  a  ragionare  della  stampa  da  lui  intrapresa  delle  opere  del 
Machiavello,  lo  esortò  a  desistere  da  questa  idea;  e  poiché  ebbe  inteso  che  la  cosa  da  lui 
si  faceva  d'ordine  di  Leopoldo,  cominciò  a  distorlo  col  timore  delle  censure,  trattandosi  di 
autore  dannato. 

«  Il  Tansini  lo  assicurò  di  avere  tutte  le  opportune  licenze.  L'arcivescovo  <^e  ben  ca- 
piva essere  esso  stato  da  me  autorizzato  alla  lettura  di  quelle  opere,  gli  disse  che  tal  fa- 
coltà non  si  accordava  ad  alcuno  se  non  in  casi  ben  rari,  e  che  per  sua  quiete  avrebbe 
voluto  vederla;  intanto  lo  avvertiva  a  non  aggravarsi  in  coscienza,  proseguendo  il  lavoro 
senza  le  debite  permissioni.  Il  Tanzini  dunque,  ripetendogli  in  voce  di  avere  ogni  più  ampia 
facoltà,  si  esibì  a  portai^liene  un  riscontro  in  carta.  Contento  di  questo,  il  prelato  con  tutta 
amorevolezza  lo  licenziò. 

«  Era  quel  giorno  di  venerdì,  ed  angustiato  il  Tanzini  per  l' impegno  preso,  mi  raccontò 
subito  il  successo  per  trovare  un  mezzo  di  disimpegnarsi  con  buona  maniera  dall'arcive- 
Bcovo.  Io  dunque  per  la  posta  di  Milano  scrissi  a  Roma  al  conte  Girolamo  Astori,  mio 
amico,  perché  in  tutti  i  modi,  e  con  quella  spesa  che  potea  occorrere,  mi  spedisse  due  am- 
plissime licenze  di  leggere  libri  proibiti,  e  segnatamente  il  Machiavello,  per  l'abate  Tan- 
zini e  per  il  mio  segretario,  abate  Bartolomeo  Pollini.  Nel  martedì  della  susseguente  set- 
timana, vale  a  dire  dieci  giorni  appresso,  ricevei  da  Roma  le  due  licenze  nella  più  ampia 
forma,  colla  tenue  spesa  di  venti  lire  fiorentine.  Portò  immediatamente  il  Tansini,  che  n'era 
richiesto,  la  sua  licenza  all'arcivescovo,  il  quale,  sorpreso  della  facilità  e  ampiezza  del 
rescritto  di  Mamachi,  e  soddisfatto  della  parola  datagli,  si  restrinse  a  esortare  il  Tanzini 
a  non  assicurarsi  di  tal  licenza  nel  caso  che  potesse  sospettarsi  del  vizio  di  orrezione  o 
di  surrezione  ;  ma  essendosi  quello  subito  licenziato  per  non  entrare  in  ulteriori  discussioni, 
Cessò  ogni  questione  su  tal  proposito. 

«  Riuscite  cosi  a  vuoto  per  questa  parte  le  premure  dell'arcivescovo,  é  naturale  che 
non  per  questo  desistesse  il  nunzio  da  tentar  nuovi  mezzi  per  servir  la  sua  Corte.  Infatti 
dopo  qualche  tempo  trovandomi  io  a  trattare  di  affeirì  coU'arcivescovo,  mi  entrò  egli  a  par- 
lare della  stampa  che  si  faceva  del  Machiavello,  per  cui  aveva  il  nunzio,  d'ordine  di  Roma, 
avanzato  le  sue  istanze  al  sovrano  per  impedirla,  ma  inutilmente.  Quindi  soggiunse  che 
sopra  tutto  gli  dispiacevi^  il  sapere  che  vi  fossero  in  questo  lavoro  intrigati  dei  preti  suoi 
diocesani.  Non  si  azzardò  a  nominarli,  ed  avrebbe  pur  voluto  che  io  medesimo  gliene  dessi 
un  motivo  ;  ma  stetti  bene  all'erta,  e  destreggiandomi  in  buona  maniera,  feci  cadere  il  di- 
scorso sopra  la  dicitura  del  Machiavelli,  che  potea  in  genere  di  storia  darsi  per  modello 
ad  ogni  scrittore. 

«  Egli  che  all'amena  letteratura  univa  un  genio  grande  di  bene  scrivere,  entrò  volen- 
tieri a  parlare  del  merito  di  quell'autore,  convenendo  ne' giusti  elogi  che  ne  faceva  mon- 
signor Bottari,  ed  altri  da  me  addottigli.  Entrando  poi  a  parlare  dei  suoi  discorsi  politici, 
di  cui  faceva  molto  conto,  io  gli  soggiunsi  che  il  trattato  del  Principef  che  era  stato  il 
principale  oggetto  delle  declamazioni  contro  quell'autore,  non  era  stato  da  molti  inteso  ;  che 
finalmente  il  Machiavello  era  morto  nella  cattolica  comunione,  e  che,  come  buon  cristiano, 
era  stato  munito  prima  di  morire  dei  sacramenti  e  quindi  datogli  in  Santa  Croce  ecclesia- 


Digitized  by 


Google 


26  INTRODUZIONE. 

rogato  alla  paura  della  cosa.  Fino  a  quel  punto  il  Principe 
e  i  Discorsi  s'eran  trovati  per  le  mani  d'ognuno  che  la  pre- 
tendesse a  dottore,  negli  scaffali  d'ogni  libreriola  che  la  preten- 
desse a  biblioteca.  Del  celebre  segretario  fiorentino  si  sentenziava 
come  il  don  Ferrante  dei  proméssi  sposi,  ^  «  birbo  sì,  ma 
profondo  »,  ma  d'allora  in  poi  si  trattò  di  anatomizzarlo,  di  bru- 
ciarlo in  effigie,  coi  gesuiti  d'Ingolstadt,*  d'apprestargli  il  ca- 
pestro, col  padre  Muti,  di  spiccargli  la  testa  in  una  col  suo 
abborrito  sistema,  come  volle  il  Clemente.  ^  Fino  a  quel  punto 
il  Giovio  soltanto,  negli  Elogia,  avea  malignato  de'  fatti  di  lui; 
poi  il  vescovo  di  Reggio  scriveva  piacergli  che  Niccolò  non 
fosse  nella  memoria  degli  uomini  in  cattivo  concetto;  ma  dal 
Gentillet,  in  poi,  che  pur  confessò  non  conoscerlo;  la  persona 


etica  sepoltura.  M*  interruppe  bu  questo  Tarcivescovo  parlandomi  con  qualche  trasporto  di 
una  edixione  di  questo  trattato  ch*egli  aveva  assai  bella,  e  di  cui  faceva  gran  conto  par 
essere  munita  delle  note  di  Amelot.  Volle  anzi,  con  suo  incomodo,  salire  alla  libreria  ch'era 
nel  piano  superiore,  e  farmi  vedere  questo  libro.  Si  parlò  quindi  delle  varie  edizioni  che 
ci  erano  delle  opere  di  quello  autore,  dei  manoscritti  che  io  possedeva,  della  Congregazione 
deputata  dei  cardinali,  e  della  commissione  data  a  Giuliano  de*  Ricci  e  al  canonico  Niccolò 
Machiavelli  per  pubblicar  tutte  le  opere  con  pubblica  approvazione,  appunto  come  si  era 
fatto  del 'Decamerone  del  Boccaccio.  La  conversazione  sopra- di  ciò  andò  tanto  in  lungo 
che,  fattasi  Torà  assai  tarda,  dovei  licenziarmi,  e  cosi  il  discorso,  a  istigazione  del  nunzio, 
era  stato  introdotto  per  fare  abortire  nel  suo  principio  la  stampa  intrapresa,  fini  colPelogio 
dell'autore;  e  per  quanto  potei  comprendere,  l'arcivescovo  si  trovò  assai  soddisfatto  di  es- 
sersi per  tal  modo  disimpegnato  dalla  commissione  avuta  dal  nunzio,  a  cui,  senza  compro- 
mettersi col  Oovemo,  potè  dire  che  i  tentativi  fatti  per  impedire  questa  stampa  riescivano 
inutili  ». 

1  Manzoni  :  Promessi  Sposiy  e.  xxvii.  -  E  Grbgorio  Lbti,  nel  Ceremoniale  historico  e 
politico,  Àmsterdamo,  16S5,  parte  iv,  lib.  ix,  pag.  726,  volendo  preparare  la  biblioteca  di 
un  ambasciatore  «  Niccolò  Machiavello,  dice,  di  patria  fiorentino  e  di  famiglia  mediocre 
si  presenta  il  primo,  e  forse  ch'ò  il  primo  di  cui  tanto  s'è  parlato  del  mondo  ».  -  Ne  racconta 
poi  molto  inesattamente  la  vita  ed  agff'iunge  :  «  Compose  diverse  opere  che  corrono  da  per 
tutto  con  massime  cosi  pericolose  che  lo  fanno  stimare  lo  scorsone  della  politica,  e,  quel 
ch'è  peggio,  da  quei  che  meno  1*  intendono  e  che  non  l'hanno  mai  letto  ».  — 

'  Scioppius.  Machiavellica:  «  . .'.  quamvis  etiam  Innocentium nonum  magnae  prudentiae 
ac  virtutis  pontificem  longe  benignius  de  Machiavello  judicasse  ac  de  ix\juria  per  aliorum 
invidlam  ei  facta  suspicatum  fuisse,  ex  Thoraae  Bozii  indicio  cognoverim  ».  -  Nella  sua 
apologia  del  M.  lo  Scioppio  sostiene  tre  assunti  :  io  che  una  cosa  medesima  si  può  in  diversi 
tempi  e  permettere  e  vietare;  29  che  ci  sono  gravi  cagioni  perchè  la  chiesa  non  permetta 
la  lettura  delle  opere  del  M.  se  non  a  persone  prudenti  e  pie;  3^  che  ci  sono  buoni  argo- 
menti perchè  la  medesima  chiesa  nel  1531  approvasse  que' libri  e  li  lasciasse  pubblicare; 
e  poi  gli  vietasse.  -  Oltracciò,  per  rispetto  ai  rigori  che  contro  l'opere  e  la  fama  del  Ma- 
chiavelli si  esercitarono  fuori  di  Roma  con  maggior  violenza,  non  sarà  fuor  di  luogo  citare 
la  seguente  lettera  di  Lbonb  Allacci:  «  all'Ill.mo  sig.  mio  P.ne  Colendiss.moil  sig.  D.  Oio. 
Vintimiglia,  Messina.  Di  Roma  gli  sette  di  marzo  1059.  -  Mi  maraviglio  della  difficoltii  per 
non  dire  stranezza  di  cotesti  loro  revisori  di  libri,  che  vonno  essere  più  stitichi  che  non 
sono  questi  di  Roma«  li  quali  senza  fare  altra  difficoltà  hanno  data  la  licenza  che  la  mia 
Drammaturgia  si  potesse  stampare.  Ma  al  peggio,  quando  non  volessero  che  si  nominas- 
sero gli  autori,  gli  quali  essi  pretendono  che  non  si  debbano  nominare,  si  haverebbe  potuto 
supplire  col  principio  del  nome  e  del  cognome,  come  a  dire  N.  M.  in  loco  di  Niccolò  Mi^ 
chiavelli,  P.  A.  in  loco  di  Piero  Aretino,  e  similmente,  se  vi  è.  qualche  altro».  -  (Carte  e 
lettere  dell'ALLAcci  nella  Vallicelliana  mss). 

>  Cl.  Clbmbntb:  El  Machiaveliamo  degoUado  por  la  Christiana  SaÒiduria  de  Espana 
y  de  Austria  Alcala,  1637. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO,  tt 

di  lui  s*acconció  in  modo  da  corrispondere  airesigenze  del  ma- 
chiavellismo;  e  non  pur  la  persona,  ma»  come  vedremo  in  se* 
gnito,  anche  Tefflgie,  dovette  accomodarsi  alle  vicende  del  fan- 
tastico sistema. 

Frattanto  passiamo  a  considerare  un'altra  maniera  di  soc- 
corso inattesa,  che  favori  l'ulteriore  sviluppo  di  questo.  Non 
era  gran  tempo  che  dalle  latebre  della  badia  di  Gorwey  in 
Westfalia  era  balzato  fuori,  risuscitato  da  Angiolo  Arcim- 
boldo,  Tacito  lo  storico,  folgorante  nella  sua  forma,  arguto  e 
tagliente  nello  stile,  come  Niccolò  Machiavelli.  S'eran  ritro- 
vati gli  Annali  di  lui,  che  si  credevan  perduti,  e  in  quelli  la 
figura  di  Tiberio  compariva  rischiarata  di  quella  luce  tetra 
che  circonda  i  tiranni;  in  quegli  Annali  l'amore  del  bene  e 
del  retto  si  spandeva  a  tratti  ironici,  e  nel  dispetto  del  pre- 
sente la  libertà  s'idoleggiava  come  una  feliòità  perduta.  Uma- 
nisti, filosofi,  politici  si  gettavan  su  quegli  Annali  come  su 
preziosissima  riconquista.  Che  se  grande  ammirazione  riscossero 
in  sul  primo  apparire,  quest'ammirazione  crebbe  di  mille  doppi, 
morto  Leone  X:  sotto  Paolo  III  fu  immensa,  sotto  Clemente  Vili 
parve  un  delirio;  mala  cagione  di  quell'ammirazione  non  era 
più  tutta  negli  scritti  di  Tacito;  sibbene  alcuno  avea  comin- 
ciato a  guardar  dentro  a  quegli  scritti  i  suoi  propri  tempi;  a 
cercarvi  la  regola,  il  precetto,  la  guida  pratica,  il  conto  suo. 
Il  grande  istorico  formò  la  delizia  dei  tiranni  e  degli  uomini 
liberi,  ^  spaventò  chi  aveva  paura  e  degli  uni  e  degli  altri,  e 
dette  agio  alla  formazione  d'un  tacitismo,  che  fu  pari  al  ma- 
chiavellismo e  nelle  cagioni  e  nell'origine  e  negli  effetti.  Di 
modo  che  Tacito  e  il  Machiavelli  corsero  la  stessa  ventura 
e  s'abbatteron  sovente  o  nell'istessa  ammirazione  o  nel  vitu- 
pero medesimo.  *  Che  gli  è  ben  luogo  a  credere  che  se  venne 

>  Nella  Satyre  menippée  Tacito  è  chiamato  :  «  L*autheur  qui  sert  aujourd-hui  d'Evan- 
geliste  à  plusieurs  ».  — 

*  Il  padre  Rapin  Oeuybes,  t.  ii,  pag.  SSS,  1725  à  la  Baie,  dopo  aver  raccomandato  a 
chi  scrìve  storie  che  le  non  abbiano  «  cet  air  guindè  de  réflexions,  qui  donne  méchante 
opinion  de  colui  qui  les  fait  »  aggiunge  :  «  G*e8t  en  quoi  Patercolus,  Tacite,  Machiavel, 
Paul  love,  Davila  et  la  plQpart  des  Italiens  et  dea  Espagnols  sont  excessifs  ».  -  Ed  a 
pag.  289  :  «  la  politique  de  Tacite  n'est  point  vraye  ».  -  Pag.  319  finalmente  esclama  di  Ta- 
cito: «QuMl  a  gate  d'ésprits  par  la  faintaisie  d*ótudier  la  politique  qu*il  inspire  à  tant 
de  gens,  et  qui  est  l'étude  la  plus  vaine  de  toutes!  C'est  ou  tant  d'Èspagnols,  comme  Axh 
tonio  Perez,  et  tant  d' Italiens  comme  Machiavel  et  Ammirato  ont  ócboué  ».  Chi  l'avesse 
detto  all'Ammirato,  d'esser  messo  a  paio  col  Machiavelli,  e  da  un  gesuita!  -  Cf.  anche 
Adrien  Baillet,  lugement»  des  savam  sur  les  principaux  ouvrageSj  t.  i,  pag.  137.  - 
O&EGOBio  Leti,  Li  segreti  di  Stato  de  i  principi  dell'Europa,  Colonia,  1676,  p.  3,  pag.  31  : 
«  Conosco  molti  di  questi  scorzoni,  quali  vestiti  con  le  spoglie  di  Tacito,  di  Machiavello  e 
e  di  Cardano,  non  sanno  camminare  che  con  inganno  e  de'  prencipi  e  di  loro  medesimi  e 
de* popoli».  -  V.  id.  ib.,  pag.  42.  E  lo  stesso  nel  Proeesto  della  CfriUca,  pag.  29.  ^ 


Digitized  by 


Google 


88  INTRODUZIONE. 

in  tanta  voga  scriver  discorsi  e  commentari  intorno  a'  civili 
ammaestramenti  del  grande  storico  del  romano  imperio,  non 
fu  tanto  per  solo  studio  che  si  faceva  di  lui,  quanto  perchè  già 
esistevano  i  discorsi  sopra  le  deche  di  Livio,  e  coli' occasione 
d'uno  scrittore  si  tentava  interpretarne  e  imitarne  due.  Lo 
stesso  Amelot  de  la  Houssaye,  ^  che  come  annotazione  al  libro 
del  Principe  reca  parecchi  passaggi  di  Tacito,  scrisse  che  ciò 
faceva  per  una  specie  di  concordanza  che  incontrava  nella 
ragion  politica  dei  due  autori.  ^  E  precisamente  per  questo,  con 
Tacito  e  col  tacitismo  si  tenne  lo  stesso  contegno  che  col  ma- 
chiavellismo e  col  Machiavelli. 

E  se  ne  piglino  a  riprova  i  Ragg%uigli  di  Parnaso  del 
Boccalini.  Questi,  che  fu  scrittore  italiano  e  libero  in  mezzo  a 
un  secolo  spagnoleggiante  e  servo,  dopo  avere  ripetuto  le  tronfie 
espressioni  con  cui  lo  storico  latino  fu  portato  a  cielo  dai 
politicanti,  e  chiamatolo  sommo  statista  e  arcifanfano  di  tutta 
la  moderna  politica,  vero  dottor  de'prencipi,  pedagogo  dei 
cortigiani,  pietra  sopraffina  di  paragone,  ^  ecc.,  pone  in  bocca 
ad  Apollo  la  seguente  requisitoria  contro  di  lui,  la  quale  non 
è  se  non  copia  di  quella  che  avean  formulato  altri  apollinei  che 
non  sedevano  in  Parnaso,  pe*  quali  Tacito  era,  «  per  la  dottrina 
politica  tanto  crudele  ch'egli  insegna,  sommamente  esoso;  con 
la  quale  piuttosto  forma  crudeli  tiranni  che  prencipi  giusti; 
sudditi  vitiosi  che  dotati  di  quella  semplice  bontà  che  a'  prencipi 
tanto  facilita  il  buon  governo  degli  stati,  chiaramente  veden- 
dosi che  coi  suoi  empì  precetti  i  prencipi  legittimi  converte  in 
tiranni,  i  sudditi  naturali,  che  devono  essere  pecore  mansuete  (e 
si  ponga  mente  a  questo  ideale  di  sudditi)  trasforma  in  vitiosis- 
sime  volpi,  e  d'animali  che  la  madre  natura,  con  somma  pru- 
denza, ha  creati  senza  denti  e  privi  di  corna,  converte  in  lupi 
rapaci  e  in  tori  indomabili;  gran  dottore  delle  simulazioni, 
unico  artefice  delle  tirannidi,  nuovo  Senofonte  di  una  crudele 
ed  esecranda  Tiberipedia,  e  vero  fabbro  del  vergognoso  mestiere 
del  ridere,  et  ingannante,  del  saper  con  facilità  dir  quello  che 
non  si  desidera,  e  nastrare  di  odiar  quello  che  si  ama;  pedagogo 
mirabile  per  altrui  insegnar  la  scellerata  dottrina  di  sopprimere 

1  Ame^ot  de  la  Houssatb,  pref.  al  Principe. 

*  . . .  par  ou  Pon  verrà  que  l'on  ne  sauroit  ni  approuver  ni  condamner  l*un  sans  Tautre: 
de  sort  que  si  Tacite  est  bon  à  lire  pour  ceux  qui  ont  besoin  d'apprendre  l'art  de  gouvemer, 
Machia vel  ne  Test  guère  moins  ;  Ton  enseignant  comment  les  empereurs  romains  gouver 
naient,  et  Tautre  comment  il  faut  gouvemer  aujourd*  bui  ». 

»  Boccalini  :  Ragguaglio,  xxxvii.  -  Id.  :  i2.,  lxxxvi,  Venezia,  1612. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  29 

i  concetti  del  cuor  veridico,  e  df  solo  parlar  colla  bocca  bugiarda; 
architetto  delle  fallacie,  e  cosi  unico  et  excellente  autore  dei 
giudici  temerari  che  il  più  delle  volte  alle  altrui  scellerate 
attioni  ha  dato  interpretazioni  sante,  et  le  sante  ha  canonizzate 
per  diaboliche».  E  più  oltre:  «  La  vita  che  egli  ha  scritto  di 
Tiberio,  prencipe  degno  del  genio  d'un  tale  historico,  fa  bisogno 
confessare  che  affatto  sia  insopportabile,  la  quale,  per  singola- 
rissimo beneficio  del  genere  humano,  ne' più  occulti  luoghi  di 
Germania  per  molti  secoli  essendo  stata  ascosa,  con  pestifera 
curiosità  da  un  alemanno,  al  mondo  tutto  più  fatale  del  suo 
compatriota  inventore  della  mortai  bombarda,  nel  tempo  mede- 
simo fu  cavata  fuori,  che  quella  nobilissima  provincia  cominciò 
ad  essere  appestata  dalla  scellerata  moderna  heresia,  solo  affine 
che  con  prodigio  tanto  grande,  nel  tempo  istesso  che  l'ese- 
crando Luthero  travagliava  le  cose  sacre,  Tempio  Tacito  sov- 
vertisse le  profane  ».  — 

Donde  è  facile  intendere  come  l'avversione  di  Tacito  al- 
l'impero romano  si  riguardasse  con  l'istess' occhio  di  quella 
del  Macchiavelli  al  sacro  romano  impero;  come  paressero 
tutti  e  due  infetti  della  medesima  eresia  politica,  come  col 
Prìncipe  temuto  del  Fiorentino  si  raffrontasse  Voderint  dum 
metuant  di  Caligola,  come  il  Fitzherbert  inscrivesse  addirittura 
questo  motto  fra  gli  aforismi  machiavellici,  e  il  Bernegger  ^ 
nelle  questioni  miscellanee  attorno  a  Tacito  la  ripigliasse  a 
combattere,  come  fosse  del  Machiavelli. 

Ma  v'  ha  di  più.  Morto  il  Boccalini,  domandarono  i  figli  di 
lui  al  Senato  veneto  privilegio  per  la  ristampa  dei  commentari 
che  quegli  avea  fatto  agli  annali  tacitiani,  e  avendo  il  Senato 
veneto  deputato  una  Commissione  che  vedesse  la  cosa  e  desse 
informazioni  in  proposito,  tutti  i  membri  di  essa  furon  contrari 
alla  pubblicazione,  e  Donato  Morosini,  un  di  loro,  cosi  sentenziò 
nella  sua  consulta,  secondo  ne  riferisce  il  Cicogna  :  ^  ^c  E  vera- 
mente della  dottrina  di  Cornelio  Tacito  è  stato  rampollo  il  Machia- 
velli ed  altri  cattivi  autori  destruttori  d'ogni  pubblica  virtù,  i 
quali  da  questo  autore,  come  nelle  semenze  è  la  cagione  degli  ar- 
bori e  delle  piante,  hanno  avuto  la  sua  origine  et  il  nascimento  ». 

1  BBBifBOOBK:  Ecc.  e.  Comelii  Taciti  Germania  et  Agricola.  QuaestUme»  ntiscella' 
nea^y  md  .  cxl.  Nella  questione  207  riprende  il  M.  del  motto  di  Caligola.  Nella  20S  sostiene 
contro  di  lui  essere  i  danari  il  nervo  della  guerra. 

*  Cicoora:  làcrixioni  Venete j  t,  iv,  pag.  365.  -  CoirrK  F.  Sclopis:  Montesquieu  et 
Maehiavel,  egregio  articolo  inserto  nella  Revue  historique  du  droit  franifai»  et  étranger, 
1860,  Paris. 


Digitized  by 


Google 


30  INTRODUZIONE. 

Cosicché  fu  sbagliato  l'ordine  della  parentela,  ma  il  tacitismo 
e  il  machiavellismo  furono  subito  tenuti  per  congiunti  stretti; 
bensì  fu  scambiato  il  figlio  pel  padre,  e  TefiFetto  preso  in  luogo 
di  causa.  Da  poi  che  i  tacitisti  sono  al  Machiavelli  e  a  Tacito 
quel  che  i  petrarchisti  e  bombisti  al  Petrarca  e  al  Bembo, 
quel  che  i  poeti  di  ricetta  ai  poeti  di  natura,  quel  che  gli  em- 
pirici e  i  cerretani  ai  fllosoft.  Che  se  qualcosa  nocque  al  Ma- 
chiavelli si  fu  la  forma  che  assunse  nella  esposizione  delle  sue 
dottrine  filosofiche,  per  cui  a'  corti  di  veduta  non  parvero  prin- 
cipi che  si  nascondessero  sotto  a  precetti,  sicché  si  persuasero  di 
leggieri  che  la  politica,  di  cui  egli  era  stato  rinnovatore,  procedesse 
innanzi  senza  cardine  fisso,  -come  una  serie  d'artifici  occasio- 
nali, come  una  congerie  di  regole  slegate  e  sfrenate.  E  fu  agevole 
coniarne  e  metterne  in  corso  a  gente  che,  così  facendo,  si  dava 
importanza  di  praticar  l'accorta  politica,  accomodando  a  un  fine 
qualsiasi  non  il  mezzo  logico  ed  unico,  ma  quello  più  spiccio 
e  che  pareva,  fra  le  altre  qualità,  aver  anche  del  baldanzoso. 
Cosicché  ne  uscirono  scritti  perversi  e  sfacciati,  e  in  tal  numero 
da  far  torto  non  solo  per  la  qualità,  ma  per  la  quantità  loro, 
alla  natura  umana. 

Né  fu  già  un  resto  di  pudore,  ma  tutta  codardia  e  paura 
che  persuase  non  pochi  di  questi,  o  tacitisti  o  machiavellisti 
eh*  e'  volessero  dirsi ,  a  restare  anonimi.  E  fu  giustizia  di 
destino  che  privò  così  della  loro  nefanda  celebrità  quelle 
animucce  deliranti  d' Erostrati.  Oggi,  a  scoterne  i  manoscritti 
da' plutei  polverosi  delle  biblioteche,  su  cui  dormono  dimenti- 
cati, il  men  fastidio  che  se  ne  prova  è  per  la  polvere  e  le  ti- 
gnuole.  E  alla  schiera  di  costoro  si  riducono  Lelio  Marretti,  ^ 
e  il  Collodio  e  l'Oraffi,  abate  olivetano  e  teologo  del  principe 
Rinaldo  cardinal  d'Este, ^  il  quale  ebbe  coraggio  di  scrivere: 
«  Chi  non  sa  ingannare  non  sa  essere  uomo.  CoU'arte  si  per- 
feziona la  natura,  coli' inganno  l'uomo.  L'inganno  è  in  terra 
come  Mercurio  in  cielo.  Tutti,  o  in  bene  o  in  male,  ingannano; 
ma  in  un  principe  é  più  necessario  ciò  che  in  altri  é  utile». 
Ed  ecco  che  specie  di  commentatori  e  d'imitatori  s'aveano  a 
scrivere  a  peccato  di  Tacito  e  del  Machiavelli.  Ma  se  tal  com- 
pagnia, che  lor  s'addossa,  é  cattiva,  al  machiavellismo  sta  per 
essere  appaiato  il  gesuitismo. 

RicordÀ  Politici.  Ms.  inedito  della  bibl.  imp.  di  Parigi,  e  della  Magliabecchiaoa  di 
Firenze.  -  V.  Giuseppe  Febea&i  :  Corso  di  lezioni  sui  politici  italiani. 
■  Ferrari,  1.  c. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  31 

Qual  siasi  precisamente  la  causa  e  T  indole  di  questo  nuovo 
accompagnamento  non  sarebbe  facile  definire.  Senonchè,  facendo 
noi  la  questione  storica,  non  cercheremo  già  che  cosa  vera- 
mente s'intenda  pel  gesuitismo,  importandoci  solo  rintracciare 
quel  che  gli  altri  c'intesero,  e  il  relativo  valore  ch'ebbe  in  corso. 

In  un  passaggio  àoiVRudibras,  vaghissimo  poema  eroi- 
comico del  Butler,  vendetta  dell'umore  inglese  contro  la  mu- 
soneria  puritanesca,  capita  per  prima  volta  l'accoppio  dei  due 
n€«ni  che  si  strascinarono  dietro  tant'odio: 

This  feud  by  lesuiU  invented 
By  evil  counsels  is  fomented: 
There  is  a  machiavelian  plot 
Tho'  ev'ry  nare  olf&ct  ìt  not.  * 

Pare  pertanto  che  le  teste  tonde  d'Inghilterra,  non  al- 
trimenti che  i  calvinisti  di  Francia  e  di  Svizzera,  confondendo 
la  costituzione  religiosa  con  quella  dello  Stato,  confondessero 
puranco  i  gesuiti  co' machiavellici ,  accomunando  tutti  e  due 
nella  massima  divide  et  impera^  ^  che  a  questi  ultimi  vedemmo 
pure  attribuita  dall' anglo  Fitzherbert.  Ora,  rilevammo  già  come 
ai  tempi  del  Polo,  dai  seguitatori  dell'antica  unità  cattolica 
non  s'avesse  per  machiavellico  che  il  governo  della  monarchia 
inglese  e  l'istituzione  della  Chiesa  episcopale  britanna;  e  ve- 
drem  pòi  come  contro  a  questi  due  principi  si  schieri  relut- 
tante  ed  avverso  il  puritanesimo,  imbevuto,  delle  dottrine  re- 
pubblicane del  calvinismo  continentale. 

Laonde  è  a  credere  che  la  comunanza  d' interessi  prestasse 
a  puritani  e  cattolici  armi  comuni  contro  il  comune  avversario, 
secondo  che  apparisce  dall'essere  stati  in  comune  combattuti 
e  perseguitati  dal  clero  anglicano.  ^  Ma  questo,  traendo  pur 
validi  fendenti  contro  a  puritani  e  papisti,  si  tenne  sempre  dal 
confonderli  col  Machiavelli  e  co' machiavellici;  che  anzi,  po- 
nendo lui  fra  gl'italiani  prestantissimi  che  avean  commiserato 

^  Samuel  Butleb:  Hudibras,  canto  i. 

*  «  A  deep  design  in't  to  divide 

The  well  affected  that  confide 

By  setting  brother  against  brother 

To  claw  and  curry  one  anothor». 
(Id.  ib.) 
E  NoEL  ou  Fa.il,  seigneur   db  la  IIerissatb  nelle   sue  Oeuvre»  facétieuseSj  Paris,  1874, 
t.  I,  pag.  823:  «  Dira  tousjours  celuy  qui  parie  de  TEstat  en  Machiavélisto,  ethomme  cor* 
rompu,   que   celuy   qui  veut  estre  grand,  doit  favorìser  les  proces  et  petites  guerres  du 
peuple  ».  — 

*  «  Puritano  pa  |  pisini  scu  do  |  ctrinae  jesuiticae  |  aliquot  rationi  |  bus  ab  Ed  |  Cara- 
pian3  coniprche  |  nsae  et  à  Joan  Du  |  raeo  defensae  |  confutatio.  |  Auctore  Laurentio  Hum- 
fredo  I  Rupetie  apud  Theoph.  Regium,  mdlxxxv  ». 


Digitized  by 


Google 


38  INTRODUZIONE. 

lo  scadimento  della  idea  cristiana  nelle  pratiche  della  romana 
Babilonia,  lo  ricolloca  al  suo  vero  posto,  fra  gli  uomini  del 
rinascimento,  a  fianco  del  Petrarca  e  di  Pico  della  Mirandola.  ^ 

Né  v'era  luogo  ad  alcuna  confusione  pel  clero  anglicano 
tra  machiavellici  e  gesuiti;  però  che,  quantunque  questi  fossero 
riguardati  come  una  fazione  pontificia,  la  fazione  non  faceva 
paura  a  coloro  che  vedeano  essersi  ridotta  tutta  li  l'antica  unità 
della  fede  medievale.  ^  Inoltre  i  primi  gesuiti  che  sbucassero  in 
Inghilterra  furono  inglesi,  il  Person  e  il  Campiano,  e  tutti  e  due 
educati  ad  Oxford;  inglese  era  il  Garnet;  e  però,  non  come 
emissari  e  cospiratori  estranei,  non  come  messereschi,  o  ro- 
mani 0  italiani,  ma  come  sudditi  turbolenti  sì  abominarono. 
Inoltre  il  clero  anglicano  ed  i  regi  non  pur  tolleravano  le 
durezze  dell'arbitrio  reale,  ma  le  giustificavano,  considerandole 
siccome  necessari  provvedimenti  di  principe  che  volesse  discio- 
gliere tutti  i  vincoli  della  soggezione  continentale  a  terre  git- 
tate naturalmente  libere  in  mezzo  delle  onde.  Quando  poi  ebbero 
assaggiato  il  protettorato  del  Cromwell,  più  che  mai  si  teniier 
saldi  a  spalleggiare  la  monarchia,  come  quei  che  si  pensavano: 
sempre  meglio  un  re  che  un  simile  protettore.  Pertanto  non 
ebbero  a  prenderla  col  segretario  fiorentino,  nemmeno  come 
fautore  del  potere  arbitrario  e  tirannico.  E  i  puritani  all'in- 
contro sempre  più  a  detestarlo,  quando,  impancatisi  i  gesuiti 
a  scriver  di  politica,  si  mostraron  favoreggiatori  della  mo- 
narchia. E  si  gridò  subito  al  machiavellico,  quando  il  Ma- 
riana preparò  l'educazione  d'un  re.  ^  E  quando  poi  si  venne  a 
scoprire  la  cospirazione  delle  polveri,  quella  che  nella  storia 
inglese  è  chiamata  the  gun  powder  plot,  e  quando  di  questa 
si  gettò  la  colpa  sopra  i  gesuiti,  si  pensò  pure  di  coprire  gli 
autori  di  quell'orrendo  attentato  col  nome  stesso  ch'era  stato 
appiccato  in  Francia  agli  istigatori  delle  stragi  ugonotte,  e 
quei  gesuiti  furono  machiavellici. 

Un  presbiteriano  della  Chiesa  scozzese,  che  viveva  a  tempo 
della  famosa  cospirazione  (1605),  scagliandosi  addosso  a' gesuiti, 
piglia  a  combattere  anche  il  nostro  Niccolò.  Della  persona  di 
quel  presbiteriano  si  sa  poco.   Egli  porta  il   nome   di   David 

>  Puritano  papismi  etc.  :  «  Et  ut  alios  coroplures  et  illos  prìscos  omnes  primi  saeculi 
episcopos  romanos  praoteream,  cnius  tandem  erat  illud:  papam  tribns  potissiraum  artibns 
crevisse,  excomuDicationibus,  indulgentis,  armis  ;  an  non  Nicolai  Machiavelli  florentinorum 
socretarìi?  » 

.    *  CAHDBif  GuiLL  :  Rerum  angUe.  et  hibemie.  A*maltf«,  edix.  Elzev.,  p.  318  :  «  Religio 
enim  jam  in  factionem  transierat  ». 

s  Jo.  Mariana  :  De  rege  et  regi»  imtitutione.  Toledo,  1599. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  8S 

Hume,  pari  a  quel  del  celebre  istorico.  Nelle  Deliciae  poeta- 
rum  scotorum  sono  non  pochi  distici  di  lui  intorno  alla  con- 
giura sopraccennata,  e  in  capo  a  quei  versi  egli  si  intitola 
David  Eumius  Theagrius,  Poi  gli  si  ascrivono  due  libercoli 
in  lingua  francese,  nell'uno  de' quali  e' si  segna  D,  H.,  De  la 
compagnia  de  tous  les*vrais  chréiiens,  ove  si  dimostra  batta- 
gliero ardentissimo  nel  campo  de' riformati  e  implacabile  av-- 
versano  de' gesuiti.  ^  Finalmente,  ilMarchand*  cita  col  nome 
di  lui  un  terzo  opuscolo  latino  intitolato:  Apologia  bollica, 
in  cui  s'esamina  l'ingegno  del  Machiavelli  e  il  costui  libro 
del  Principe;  ma  lo  cita  di  seconda  mano,  dalla  biblioteca 
bodleiana  e  da  quella  giurìdica  del  Lipenio,  dichiarando  pure 
ch'esso  non  ne  vide  mai  copia,  e  aggiungendo  della  vita  del- 
l'autore queste  preziose  notizie:  on  ne  connoit  aucunemeni, 
ni  le  iemps  de  sa  naissance,  ni  celui  de  son  éiablissement  en 
France;  et  Von  n'est  pas  mieux  instruit  de  celui  de  sa  mori, 
E  forse  fu  per  qijesto  che  né  l'Artaud,  che  scrisse  del  segre- 
tario con  più  scrupolo  che  sagacia,  né  il  Mohl,  ^  che  non  distinse 
il  machiavellismo  dal  Machiavelli,  non  citarono  il  libro  e  non 
parlarono  dell'autore.  E  non  ne  avremmo  parlato,  né  l'avremmo 
citato  neppur  noi,  se  il  Marchand,  fabbricandovi  sopra  certa 
maniera  di  suo  commento,  non  vi  ci  avesse  costretto. 

Però  che,  se  volendo  diflfondersi  a  particolareggiar  qual- 
cosa del  suo  Hume,  avesse  tratto  partito  dai  due  opuscoli  che 
di  lui  conosceva,  sarebbe  stato  nel  suo  buon  diritto;  ma  invece, 
prescindendo  da  quelli,  si  volle  mettere  a  ragionar  à^W Apologia 
basilica^  per  trar  di  cervello  e  concorrere  egli  stesso  alla  forma- 
zione del  machiavellismo.  Infatti  egli  scrive:  «  La  necessità  in 
cui  quegli  (l'Hume)  si  vide  di  esaminar  le  opere  del  Mariana, 
del  Ribadeneira,  del  Bellarmino,  del  Bonarscio,  lo  fé'  risalire 
apparentemente  alla  fonte  principale  di  tutti  costoro  ».  E  qui 
annota  in  margine:  c'est-à  dire  aux  écrits  de  Machiavel>.  — 
Ed  ecco  fatto  il  colpo,  e  Niccolò  tramutato  in  fonte  de*  suoi 
stessi  confutatori,  e  camuflfato  in  veste  gesuitica. 

>  Ecco  i  titoli  dei  due  libercoli  :  Le  Contre  Assaain  ou  Réporne  à  l'Apologie  dea  Jé~ 
9uUe$  faite  à  la  compagnie  de»  JésttUea  par  un  frère  de  la  compagnie  de  Jesus  de  Loyola, 
et  re^utée  par  un  trèt  humbìe  serviteur  de  Jesus  Christ  de  la  compagnie  de  tous  les  vraia 
chretiens.  D.  H.,  l'an.  icncxn.  -  L*Assasainat  du  roy  ou  maximes  du  VieU  de  la  monta- 
gne Vaticane. 

s  Prorpbb  MABCHAitD  :  Dictìonnoire  Msioriqt^  ou  memoire*  critiques  et  lUtéraires.  À 
la  Haye,  mdocux,  art.  Home. 

•  Aktaud,  op.  di.  MoBL.  Die  MaehiavelU  Litteralur,  v.  ni  della  grande  opera  :  Oe- 
schichte  und  LUteratur  der  StaatawiMenschaftenf  pag.  521  e  seguenti. 

ToMMAsiiif  -  MachiareUi,  * 


Digitized  by 


Google 


34  INTRODUZIONE. 

Ma  che  volea  dir  questo  gesuitismo  di  lui,  però  che  di  questo 
non  è  tanto  facile  fermare  il  significato,  che  non  si  vegga 
ricorrere  a  due  estremi  opposti?  Per  alcuni,  cioè,  è  come  dir 
monarcomachia  ed  eccitamento  al  tirannicidio,  perchè  il  Ma- 
riana, interrogato  mentre  professava  teologia  in  Sicilia  se  un 
re  non  fedele  alla  religione  potesse  uccidersi  con  veleno  sot- 
tile, avea  risposto  che  sì  ;  ^  e  il  Ribadeneira  aveva  approvato 
il  colpo  (Ji  coltello  fitto  nel  ventre  di  Enrico  III,  re  di  Francia 
e  di  Polonia;*  e  lo  Scribanio  e  il  Bonarscio  avean  detto  che  il 
papa  poteva  incoraggiare  i  Dioni,  i  Timoleoni  e  i  Filopemeni; 
e  i  confratelli  nell'ordine  difendevano  le  teoriche  del  Mariana; 
e  il  gesuita  Guignard  ebbe  ad  essere  appiccato  a  Parigi,  per 
aver  scritto  di  propria  mano  che,  se  non  potevasi  senza  guerra 
deporre  il  Bearnese,  era  d*uopo  guerreggiarlo;  se  non  si  poteva 
guerreggiarlo,  conveniva  spegnerlo.  Per  altri  poi,  i  gesuiti  si 
tengono  in  conto  di  sostenitori  acerrimi  del  diritto  regio  e  adu- 
latori e  lusingatori  della  tirannia  che  li  favorisce.  ^  E  dopo 
ciò  è  chi  gli  avvisa  ancora  come  propugnatori  dell'  intolleranza 
civile,  chi  come  congiurati  a  restaurare  l'universale  monarchia 
de'pontefici,  chi  come  una  qualità  d'uomini  di  moralità  si  corrotta 
da  recar  per  divisa  l'indegna  massima  :  il  fine  giustifica  i  mezzi.  * 

>  JoANN»  Mabianab  ìùspani  e  socieiata  J09u:  D^  rege  et  regis  iiutitutione  (1.  i,  e.  tu): 
«  Est  quidem  majoris  virtatis  et  animi  simultatem  aperte  exercere,  palam  in  hostem 
reipublicae  irruere,  sed  non  minoris  prndentiae,  fraudi  et  insidiis  locum  captare,  qaod  sine 
motu  contingat,  minore  certe  periculo  pubblico  atque  privato  ».  -  Il  Mariana  può  anche 
giudicarsi  un  tacitista,  per  quel  che  dice  di  Tacito  nel  1.  8,  e.  vi:  «Confirmatis  studiis  et 
perìtià  maiori  Tacitus  adjungatur,  horrida  oratione  atque  spinosa,  sed  arguta  in  primis 
magnum  rerum  thesaurum  tegens,  Consilia  principum,  artes  fraudesque  aulae.  In  aUenit 
perieuli»  et  malig,  quoti  in  speculOf  nostrarum  rerum  imciginem  contemplari  licebit.  tdo- 
neus  auctor  quem  nunquam  princeps,  nunquam  aulici  deponant  de  manibus,  die  noctuque 
versent  ». 

*  È  da  osservare  che  nella  poesia  popolare  che  corse  in  Francia  dopo  l'assassinio  di 
Enrico  terso,  intitolata  le  tyrannicide  ou  mort  du  tyran^  1589,  {ReeueU  de  poésies  pran- 
^oiteSy  t.  vili,  pag.  397)  al  re  vengon  poste  sul  labbro  le  famigerate  massime  machiavel- 
liche : 

«  Sur  tout,  je  vous  deffens  me  faire  remonstrance 
QuMl  ne  faut  pas  punir  ses  subjects  par  outrance; 
J'ay  le  -contraire  advis  de  long  temps  estimé. 
Un  prinee  doit  tou^ura  estre  plus  craint  qu'aymi 
Cor  on  prent  à  mespris  un  prinee  débonnaire 
Et  d'un  qui  se  fait  craindre  on  fait  tout  le  contraire».  — 

*  Quando  Luigi  XIV  prese  a  proteggere  il  collegio  dei  gesuiti  di  Clairmont,  la  compa- 
gnia ordinò  che  l'arme  del  re  fosse  sovrapposta  alla  porta,  e  per  farle  posto,  tolsero  via 
lo  stemma  gesuitico  e  la  croce  ;  onde  l'epigramma  seguente  : 

«  Sustulit  hinc  Christi,  posuitque  insigna  regis 
Impia  gens,  alium  nescit  habere  deum  ». 

*  Quanto  all'  intolleranza,  il  Mariana  avea  professato  :  «  Paci  autem  nihil  magis  adver- 
satur  qnam  si  in  eadem  republica,  urbe  aut  provincia  una  plures  religiones  sint  ».  -  Quanto 
all'ultimo  principio,  v.  Gioberti:  Gesuita  moderno,  v.  £,  pag.  601  in  nota.  Quando  in 
Italia  si  celebravano  le  feste  centenarie  del  nostro  grande  politico,  noi  non  lo  sapevamo, 
ma  la  Gazzetta  di  Wiirzburg  si  credette  in  dovere  d'avvisarcelo,  non  facevamo  altro 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  35 

E  il  Machiavelli  avrebbe  puranco  ad  esser  tutto  questo,  se  non 
fosse  che  un  pensiero  ci  può  racconsolare  :  che  come  il  gesui- 
tismo non  tocca  Gesù,  cosi  né  il  machiavellismo  dee  nuocere 
a  chi  gli  die  nome. 

Ed  ora,  tornandoci  al  Marchand,  che  accattò  occasione 
àalY Apologia  basilica  dell' Hume,  per  dare  una  sferzata  del 
suo  al  nostro  fiorentino;  quando  pur  egli  avesse  voluto  trarsi 
più  decentemente  la  voglia,  avrebbe  potuto  risicar  congetture 
e  commenti  attorno  agli  altri  due  libelli  del  medesimo  autore, 
in  cui  Niccolò  non  viene  risparmiato.  Un  passaggio  del  Con- 
trassassin,  per  esempio,  poteva  bastargli;  che  anzi  e' ne  trovava 
due,  che  gli  potean  valere  come  due  capi  d'accusa.  Il  primo 
de*  quali  ce  lo  presenta  nello  stesso  concetto,  in  cui  lo  tolsero 
gli  arruffati  calvinisti  di  Francia.  -  «  Machiavel  dresse  son 
prince  à  la  iyrannie,  perfidie,  et  athèisme,  comme  un  chacun 
peui  voir  en  son  livre  du  prince  ».  ^  -  11  secondo  poi  ce  lo 
offre  a  dirittura  sotto  un  altro  aspetto,  gitta  un  riflesso  fan^ 
tastico  sulla  persona  del  segretario,  quasi  a  farlo  parere  un 
cercator  di  cabale  e  di  magie,  un  rabbuiator  della  scienza  per 
via  e  modi  di  setta,  appaiandolo  con  gente  d'intenzioni  sub- 
dole, sospette,  occulte. 

E  cosi  lo  mette  accanto  a  un  Tritemio,  e  forse  non  per 
altro,  se  non  perchè  questi  era  stato  autore  di  una  stegano- 
grafia  e  d'una  poligrafia,  ^  o  scrittura  universale  cabalistica 
in  cui  s'insegnavan  cose  di  scienza  misteriosa  e  arcana.  E 
l'accomuna  con  Enrico  Cornelio  Agrippa,  cui,  siccome  a  Nic- 
colò, nocque  l'elogio  sleale  del  Giovio  e  l'animo  paradossale 
e  irrequieto,  e  l'aver  scritto  pure  lui  della  filosofia  occulta,  e 

che  esaltare  un  gesuita.  (V.  B«Uage  xur  Neuen  Wùrjtburgmr  Zeitung  und  Anztiger, 
n.  1S4,  1S69).  Zum  400  j&hrigen  Geburtstag  MachtaTelli*8.  In  essa  dicesi  :  «Triflit  ihn  hier 
mgleich  der  Vorwurf  dass  Er  in  der  Politik  die  Unsittlichkeit  und  das  Unerlaubte  in  ein 
System  gebracht  hat;  es  ist  eben  in  dieser  Beziehung  reiner  Jesuit,  indem  er  den  Satz 
auBspricbt:  der  Zweck  heiligt  die  Mittel  ».  -  Nel  Contrcasassin,  le  qualità  gesuitiche  per  le 
diverse  contrade  d'Europa  son  cosi  specificate: 

«  Seductor  Sveco,  Gallo  sicarius:  Anglo 
Proditor;  Imperio  explorator:  Davus  Ibero; 
Italo  adulator:  dixi,  teres  ore,  suitam». 

*  Contr<us<usin,  pag.  38,  e  seguenti. 

*  In  francese  la  Poligrafia  del  Tbitbmio  fu  tradotta  con  questo  titolo  :  «  La  poiygra- 
phi»  et  unweneUe  éerUure  eabaUstìque  de  Jean  Trithéme,  dM$ée  en  cinq  Uvret.  Avee 
la  cìavicule  et  interprétation  »ur  le  contenu  en  iceuoc,  esqtieU  sous  divergltés  de  figures^ 
énigmei,  emòlémea,  mota  mythologique»  et  hors  d'uaage,  alphabets  et  charactéres  souvent. 
reiteréz  et  repetéz,  gist  la  totale  intelligence,  non  seulement  de  cette  cabale  et  acience 
d'occulte  écriture,  mais  aussi  l'intelUgenee  et  l'universelle  coMMÌssance  de  maintes  autres 
acienees,  tanC  connues  qtte  occultes,  Traduite  du  latin  par  Gabribl  db  Cou.aiiaB.  Pa* 
ris,  1561,  in-4». 


Digitized  by 


Google 


38  INTRODUZIONE. 

sovrattutto  dell' incertezza  e  vanità  della  scienza;  Tessersi 
mostrato,  come  il  nostro  Machiavelli,  alquanto  aristotelico  e, 
in  un'età  credula  e  impaziente,  inchinevole  al  contradire, 
scettico  e  freddo.  * 

Ora,  quando  con  tutti  costoro  e  col  vecchio  della  mon- 
tagna, poderoso  pe'  suoi  assassini,  prende  Y  Hume  a  confondere 
il  Machiavelli,  chiaro  è  che  non  intende  a  pigliarlo  sul  terreno 
della  teoria,  che  non  è  la  fonte  del  Mariana  o  del  Ribadeneira 
ch'egli  combatte,  ma  è  il  capo  settario,  l'ordinatore  di  violenze 
occulte,  non  è  più  l'uomo  o  il  sistema  ch'egli  avversa,  ma  il 
mistero.  Laonde,  a  proposito  de' gesuiti  esclama:  -  «  a  scan- 
dargliarli  nell'intimo,  a  considerar  le  loro  massime  occulte 
sotto  i  colori  della  fede  e  della  religione  cattolica,  a  vederli 
praticare  i  precetti  dell'abate  Tritemio,  di  Cornelio  Agrippa, 
d' Aladino  Arsacide  e  del  Machiavelli  fiorentino  si  scopriranno 
persone  tutte  diverse  da  quelle  che  fanno  le  viste  d'essere».* 
-  E  qui  s'incomincia  a  scendere  per  quel  pendio  che  trasporta 
il  sottile  e  gaio  cancelliere  della  repubblica  fiorentina  giù  pei 
burroni  delle  fantasie  nere,  sino  a  ricacciarlo  entro  a' baratri 
dell'inferno,  a  ridurlo  un  demone,  e  in  forma  di  diavolo,  e  col 
soprannome  di  Nick  e  Pelznickel,  farlo  raggirare  attorno  alla 
terra.  E  un  buon  addentellato,  se  non  per  la  trasformazione 
diabolica  a  dirittura,  almeno  per  la  dannazione  di  lui  nelle 
male  bolge,  si  trova  già  nel  cenno  biografico  del  Giovio,  che  a 
questo  punto  sarebbe  proprio  un'  ironia  qualificar  come  elogio. 
Quivi  il  Giovio  lo  chiama  irrisor  et  atheos,  e  di  soprappiù 
tnops,  condizione  che  non  sappiamo,  se  al  vescovo  nucerino 
potè  sembrare  più  tosto  peccato  che  pena. 

Fatto  sta  che,  presa  l'imbeccata  da  lui,  i  foggiatori  del 
machiavellismo  seguitarono  a  vociarlo  ateo,  e  quando  lo  vollero 
provar  per  tale,  trassero  di  fantasia.  ^  E  cosi,  poco  appresso, 

1  Nel  libro  :  De  incmrtìtiAdine  et  varietate  aàentiarum  dice  :  «  Sic  enim  ait  in  politicis 
(Aritttoteles)  :  oportet  principem  prae  aliis  deicolam  videri  ».  E  parlando  poi  di  religione  : 
«  Ac  tandem  omnes  istae  religionnm  leges  nnllo  alio  fundamento  incumbunt  quam  sunrum 
inatitutArum  placitia:  nec  aliam  insaper  certitudinia  regulam  habent,  nisi  ipaam  creduli- 
tatem  ».  L*opera  :  De  incertUudine  sdentiarum  fu  tradotta  in  francese  con  questo  titolo  : 
Déelamalìon  iur  l'ineertUudey  vanite  et  abus  dea  scisneet,  trctduU  en  francoi»  contente- 
fMnt  à  eeux  qui  f^équentent  les  Cours  de»  Orand»  Seigneur$y  et  qui  veulent  apprendre 
à  dieeourir  d*une  infinite  de  ehoses  contre  la  eommune  opinion,  Joan  Durand,  15SS,  in-8. 

*  «...  à  les  sonder  dans  rinterieur,  à  considerer  leurs  maximea  occnltea  aoua  les 
conleura  de  la  foy  et  réligion  cathollque,  à  leavoir  pratiquer  lea  pr^ceptea  de  PabbéTri» 
téme,  de  Comeille  Agrìppa,  de  Haladin  Araaoide  et  de  Machiaval  florentin  etc.  on  les 
prendra  pour  tout  autres  gena  quMla  ne  font  aemblant  d^estre  ». 

*  (Elogia  doct.  vir.  aulhore  Paui^  Jovio  Novoeomenei,  epiteopo  nucerino).  Basti 
per  tatti  questo  passo  del  Vammozzi:  (SuppeUettile  d'a/w>.  politici,  pag.  458):  «  Si  tiene 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  87 

presero  ansa  a  spacciarlo  ignaro  affatto  delle  buone  lettere,  e 
anzi  ignorante  a  dirittura  degli  usi  della  vita.  E  questa  fu  buona 
messe  per  le  invettive  del  pergamo;  ma  c*era  ancora  di  meglio. 
Come  quella  del  machiavellismo,  cosi  l'empietà  del  Machiavelli 
fu  scismatica,  fu  eretica,  fu  averroistica  ^  e  turchesca.  Della 
morte  degli  eroi  machiavellici  s'eran  contate  tragedie  ;  così  si 
fecero  brutte  commedie  di  quella  del  Machiavelli.  Agonioso,  si 
disse  che  gran  tormenti  della  coscienza  l'avevano  torturato, 
ch'egli  era  stato  in  grande  paura  della  dannazione  eterna;  ma 
ricordatosi  poi  che  gli  spiriti  magni,  Aristotele,  Platone,  Ales- 
sandro e  simiglianti  si  stavano  all'inferno,  si  accomodò  a  pre^ 
ferire  l'eternità  con  questi  piuttosto,  che  non  con  quella  gente 
tapina  e  dappoco  che  fu  fatta  santa.  ^  Il  Bayle  reca  due  ma^ 
niere  di  versioni  di  questa  stessa  leggenda,  l'una  dell' Hotoman, 
l'altra  del  padre  Binet,  e  forse  tutte  e  due  non  lianno  altro 
ai^icco  se  non  un  motto  della  vita  di  Castruccio,  il  bizzarro 
principio  della  novella  di  Belfagor  e  quel  famigerato  epigramma 
in  morte  di  Pier  Sederini. 

E  non  valse  che  Niccolò  avesse  trattato  con  certo  piglio 
sprezzante  ed  epigrammatico  anche  l' inferno,  cacciando  tra  le 

che  Noma  Pompilio  fosse  atheista  (!)  ;  et  nientedimeiio  conoscendo  egli,  ohe  la  Base  dello 
Imperio  é  la  religione,  finse  d^esser  religiosissimo.  Di  qui  cava  qnel  tristo  del  Machiavello, 
che  non  è  necessaria  la  religione  nel  principe  ;  è  ben  necessario  che  finga  d'esser  religioso. 
Articolo  dbgno  dell*  empietà  machiavelllstioa  ».  Tuttavia  nn  miglior  punto  di  contatto  fba 
gesuitismo  e  machiavellismo  non  può  oflHrcelo  altri  che  un  gesuita.  Il  padre  Daniel 
{HìMt.  éte  Franee,  Paris,  1756,  t.  xi,  pag.  33)  scrive  :  ~  «  Une  profonde  et  constante  dissi- 
molation  et  la  maxime  d'aller  à  ses  fine  par  les  voies  qui  paraissent  s'en  écarter  davantage, 
sont  deux  grands  principes  du  machiavélisme.  L'usage  renfermé  dans  de  certaines  bomes 
pourrait  n'en  étre  pas  criminel;  tout  dépend  de  VappUcation  qu'on  en  fait  et  de  la.qua- 
lité  des  moyens  que  les  princes  employent  pour  cacher  leurs  vues  à  leurs  ennemis  ».  -  B 
coerentemente  il  D'AnanNSON  {MémoireSf  t.  i,  pag  307)  :  «  Le  rei  (Louis  XV)  aime  mieux 
Atre  trompé  que  de  tromper.  Et  ce  propoS|  dont  il  pratiquoit  le  sens  à  la  lettre,  a  plus 
profitó  aux  affaires  que  toutes  les  subtilités  de  Maehiavel,  de  Mazarin,  ou  des  Jéauites  ».  — 

^  RéMAN  :  Op.  cit.  :  «  Campanella  regarde  le  Machiavelisme  et  l'averroisme  comme  deux 
rejetons  paralléles  de  la  doctrine  d'Aristote  ».  -  Cf.  Bbuckbb,  t.  rv,  pag.  472-73,  t.  v,  pag.  111. 
-  Campakbli«a:  Atheismus  triumpfuUua,  e.  xviii:  «  Iste  autem  Machiavellus  familia  quidem 
Bobilis,  sed  bastardus,  omnium  scientiarum  fuit  expers  et  tantummodo  astutiam  quandam 
ex  Ustoria  rerum  hausit  humanarum  ». 

*  U  Batlb  {Dict.  1.  e.)  a  questo  proposito  :  «  Il  j  a  des  gens  qui  font  le  conte  d*une 
autre  manière.  Ils  prétendent  que  M.  a  dit  dans  quelqun  des  ses  ouvrages  qu'il  aimeroit 
mieux  étre  envoyé  aux  enferà  après  sa  mort,  que  d'aller  en  paradis;  car,  ajoutoit-il,  je-ne 
trouverots  au  paradis  que  des  mendiants  et  de  pauvres  moines  et  des  ermites  et  des  apd- 
tres  ;  mais  dans  les  enfers  je  vivrois  avec  les  papes,  et  avec  les  cardiaaux,  et  avec  les 
rois  et  les  princes  ».  -  Y.  Hotoman:  Epiat.f  99,  pag.  139.  -  E  dal  padre  Binbt  (Du  salut 
d'Origene,  pag.  359  e  segg.)  toglie:  «On  arrivo  a  ce  détestable  point  d'honneur;  ou  ar- 
riva Maehiavel  sur  la  fin  de  se  vie:  car  il  eut  cotte  illusion,  peu  devant  que  rendre  son 
esprit.  Il  vtt  un  tas  de  pauvres  gens,  comme  coquins,  deschires,  affames  contrefaits,  fort 
mal  en  ordre,  et  en  asses  petit  nombre  ;  on  luj  dit  que  c'estoit  oenx  du  paradis,  desquels 
a  estoit  oecrit:  beali  pauperee,  quoniam  iptorum  e$t  regnum  eoelorum:  Ceux  ei  estans 
retires,  on  fit  paroistre  un  nombre  innombrable  de  personnages  pleins  de  gravite  et  de 
majesté  ;  on  les  voyoit  comme  un  senat,  ou  on  traitoit  d'affaires  d'Bstat,  et  fort  serieuses! 


Digitized  by 


Google 


38  INTRODUZIONE. 

facezie  di  Gastruccio,  questa,  ch'egli  usava  dire  che  la  via  dello 
andare  allo  inferno  era  facile,  poiché  <  si  andava  allo  ingiù  ed 
a  chiusi  occhi  ».  D'onde  si  pareva  risultar  ch'ei  pensasse,  esser 
cosa  più  difficile  il  tenersi  ritto  e  ad  occhi  aperti  in  questo 
mondo  di  qua.  Ma  a'  foggiatori  del  machiavellismo  parve  meglio 
dipingerlo  solo  spregiatore  del  paradiso,  e  farlo  morire,  se- 
condo le  due  leggende,  o  da  uomo  aulico  e  derisore,  che  non 
vuol  saperne  del  cielo,  goduto  in  compagnia  cogli  apostoli,  coi 
mendicanti  e  gli  eremiti  e  le  intelligenze  ciuche;  e  sceglie  l'in- 
ferno popolato  da  papi,  da  cardinali,  da  furbacci  qualificati  in 
dignità  suprema,  o  da  filosofo  non  credente,  che  muor  col  grido 
leggendario  d'Averroè:  «  moriatur  ardma  mea  morte  philo- 
sophorum  >.  ^  -  E  poiché,  fatto  un  primo  trapasso,  è  facile 
farne  un  secondo,  e  più  lungo  del  primo,  ecco  che  non  appena 
il  Machiavelli  averroeggia,  che  subito  si  fanno  a  gettargli 
in  sulle  spalle  la  grave  cappa,  che  avea  già  pesato  su  colui, 
in  cui  erasi  già  personificata  l'eterodossìa  e  l'incredulità  me- 
dievale. Niccolò  diventa  cosi  per  eccellenza  l'eterodosso  e  l'in- 
credulo del  rinascimento,  l'autore  del  famigerato  libercolo 
«  de  irihus  impostoribus  >,  che  si  vide  solo  dopo  tanti  secoli 

il  entrevit  Platon,  Seneque,  Plntarqae,  Tacite  ed  d'antres  de  cette  qualité.  Il  demanda  qui 
estoient  ces  meuieura-Ià  si  venerablés;  on  lui  dit  que  c'estoient  les  damnés  et  que  c'estoient 
dea  ames  reprouvées  du  ciel  :  iapientia  huius  saeeuli  inimica  e»t  dei.  Cela  estant  passe,  on 
Iny  demanda  desquels  il  vouloit  estre.  Il  respondit  qu'il  aimoit  beaucoup  mieux  estre  en 
enfer  avec  ces  grands  esprits,  pour  deviser  avec  eux  des  affaires  d'estat,  que  d^estre  avec 
cette  yermine  de  ces  belistres,  qu*On  luy  avoit  fait  yoir.  Et  à  tant  il  mounit,  et  alla  voir 
comme  yont  les  affaires  d*estat  de  l'autre  monde  ».  Lo  Jocnsa  uel  suo  AUgemeineB  Oelekìten- 
Lexikon,  (art.  M.)  reca  un'altra  storiella  attorno  a  Niccolò,  quando  era  per  ricevere  la 
estrema  unxione  :  «  Soli  sich  auch  bey  seinem  Ende  nicht  sum  christlichsten  bezeiget,  und 
vielmehr  bei  dem  Empfang  der  letsten  Oelung  gesagt  haben;  fruar  illa  unctione:  iter 
enim  facientes  delinire  solent  ocreas  ».  -  Il  motto  della  vita  di  Castruccio  che  probabilmente 
diede  origine  a  queste  fiabe  è  il  seguente  :  «  Domandato  se,  per  salvare  Tanima,  ei  pensò 
mai  di  farsi  frate,  rispose  che  no;  perchè  e' gli  pareva  strano  che  fra'Lauarone  avessi  a 
ire  in  paradiso,  ed  Uguccinne  della  Faggiuola  nello  inferno  ».  L'epigramma,  in  morte  del 
Soderini,  che  va  incastonato  in  tutte  le  prefazioni  e  le  notizie  della  vita  di  Niccolò^  come 
esempio  de*  tratti  del  bello  spirito  di  lui,  si  trova  in  un  manoscritto  della  biblioteca  nazio- 
nale di  Firenze,  segnato  in  catalogo  :  vii,  9,  271  ;  fu  inserito  fra  gli  scritti  del  Segretario 
nell'edizione  dell'Opere  minori  di  esso,  curata  dal  Polidori.  I  ghiribizzi  scritti  per  lettera 
da  Niccolò  a  Pier  Sederini  in  Ragusa,  (cod.  O.  d.  R.  €  Barò.)  posson  darci  argomento  a  giu- 
dicare dell'autenticità  di  quell'epigramma,  che  non  à  certo,  come  osservò  il  Cantò  {Storia 
dégl'ItaHani,  voi.  iii,  pag.  83)  il  pregio  dell'originalità.  Lo  citiamo,  secondo  la  lesione  del 
codice  sopraccennato  (pag.  115). 

«  La  notte  che  mori  Pier  Sederini 
L'anima  andò  dell' inferno  alla  boccha 
Oridò  Pluton:  che  inferno!  anima  scioccha, 
Va  su  nel  limbo  fra  gli  altri  bambini  ». 

Nel  Diarium  parmense,  {Muratori,  Rer.  it.  script.,  voi.  xxii,  col.  361)  si  legge:  «die  sexte 
Jannarii  14S1  dominus  Petrus  Trottus  Alexandrinus,  Parmae  commissarius  summo  mane 
cassus  ab  officio  recessit,  qui  dignut  ett  tid  Umbum  deseendere  cum  nihil  maU  nUve  boni 
egerit,  cuins  proclamationes  et  mandata  nuUatenus  observabantur  ».  — 
>  RAnam:  Averroès  etc.,  pag.  S96. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO,  39 

da  che  se  ne  parlava  e  se  ne  abominava  il  contenuto  inco- 
gnito, il  titolo  eloquente,  l'autore  sospettato  sempre  e  non  tro- 
vato mai.  Il  titolo  l'aveva  visto  il  Garasse  su' cataloghi  della 
biblioteca  del  Gessner;  ^  il  contenuto  si  diceva  questo:  che  il 
mondo  avea  avuto  tre  impostori  enormi;  Mosè,  Gesù  e  Mao- 
metto, due  de' quali  morti  in  gloria,  e  solo  Gesù  sul  patibolo* 
Come  autori  poi  ne  furono,  a  diversi  intervalli,  designati  Aver- 
roè.  Federico  II,  Pier  delle  Vigne,  Arnaldo  da  Villanova,  il 
Boccaccio,  Poggio  Bracciolini,  Pietro  Aretino,  il  Machiavelli, 
Simforiano  Champier,  il  Pomponazzi,  il  Cardano,  Bernardino 
Ochino,  il  Servet,  Guglielmo  Postel,  il  Campanella,  il  Muret, 
Giordano  Bruno,  lo  Spinoza,  V  Hobbes,  il  Yanini.  E  di  soprappiù 
s'ebbe  a  spacciare  che  il  Weckel,  celebratissimo  stampatore, 
per  averlo  co' suoi  torchi  dato  alla  luce,  per  castigo  del  cielo 
ne  fini  in  estrema  miseria;  bugie,  trovate  dalla  pietà,  che  al- 
cune volte  si  riduce  a  vivere  anche  di  queste;  e  accettate  dalla 
buona  fede,  cui  molte  volte  servono  di  tutta  sapienza. 

Chi  per  primo  affermò  del  favoleggiato  libercolo  esser 
autore  il  segretario  fiorentino  od  Erasmo,  si  fu  l'olandese  che 
tradusse  in  lingua  francese:  «  la  rèligion  duMédednBrowne  ». 
Forse  a  questa  opinione  dette  ansa  niente  altro  che  quel  metodo 
comparativo,  del  quale  s'erano  scandolezzati  il  Fitzherbert  e 
Federico  di  Prussia  ;  ma,  nata  questa,  è  naturale  che  Niccolò 
s'avesse  per  uomo  «  scelere  pollutus  omni  »  ;  che  si  tenesse 

«  V.  Riìnan:  1.  e.  -  Bayle:  Dici.  Hist.,  1. 1,  443  o.  -  Mbnaoiana,  t.  rv  :  Lettre  à  Mon- 
sieur  Boucher  sur  ìe  pretendu  Uvre  des  trois  Imposteura,  pag.  301.  In  essa  è  detto  dopo 
]*eniimerazion  de'  nomi  di  coloro,  cui  il  famigerato  libercolo  fu  attribuito  :  «  J*étais  surpris 
qn'on  eùt  oublié  Machiavel  et  Rabelais  ;  mais  j'ai  depuis  trouvé  que  Rabelais  n'avait  pas 
echapp^  à  Decker,  et  que  l'hollandais  qui  atraduit  en  Francais  le  livre  de  la  rèligion duMédecin 
Browne,  dans  ses  notes  sur  le  cbapitre  20,  outre  Machiavel,  note  encore  Erasme  ».  -  Un 
esemplare  d*un  libro  stampato  col  titolo  :  De  tribus  impostoribus,  an.  mdiic,  conservasi  nella 
reale  biblioteca  di  Dresda.  Di  questa  edizione  conoscevansi  tre  uniche  copie.  Nell'anno  1845 
il  Wbllbb  lo  ripubblicò  con  traduzione  tedesca.  -  Nel  1861  comparve  a  Parigi  nel  testo 
latino,  collazionato  sull'esemplare  del  duca  de  la  Valliére,  che  ora  trovasi  alla  biblioteca 
imperiale  ;  accompagnato  da  una  notizia  filologica  e  bibliografica  di  Filomneste  Junior 
(ChJBTAvo  Brunbt).  -  Una  traduzione  italiana  fu  pubblicata  nella  Biblioteca  Rara  del  Daelli 
a  Milano  ;  e  si  conosce  anche  una  traduzione  spagnuola  stampata  nel  1883  colla  data  di 
Londra:  Tratado  de  ìoi  tres  impostores  trad.  al  castellano  y  aumentado  con  notas  muy 
euriùsas.  -  Recentemente  (1876)  il  Wbllbb  ne  dette  una  nuova  edizione  ad  Heilbronn.  coi 
tipi  deirHenninger,  illustrandola  con  una  nuova  prefazione.  -  A  noi  parve  d'indagare  nel 
far  lettura  di  questo  trattatello  quali  motivi  potessero  specularsi  per  averlo  attribuito  al 
Machiavelli  ;  nò  ci  abbattemmo  in  tutto  il  libro  ad  alcuna  opinione  che  in  qualche  modo 
potesse  trovare  appicco  con  quelle  del  segretario  fiorentino,  se  non  forse  queste  sentenze  : 
<pag.  16>  *  Caeterum  de  priori  ratione  soUicitus,  quis  in  principali  religionis  Christianae 
sede,  Italia,  tot  libertinos,  et  ut  quid  gravius  dicam,  tot  atheos  latore  credat,  et  si  credi- 
derit,  qui  dicat,  consensum  omnium  gnntium  esse,  Deum  esse  ;  eum  colendum  essef  Scilicet 
quia  saniores  saltem  id  dicuntl  »  -  (Cf.  Machiavelli;  Discorsi,  1.  i,  e.  xii).  -  (p.  20)  «  Vi 
enim  Mahomet,  vi  et  Moses  Palaeslinam  subjugavit  uterque  magnis  miraculis  instructus  ». 
-  (Cf.  M.  a  proposito  del  profeta  armato  nel  Principe,  e.  vi). 


Digitized  by 


Google 


40  INTRODUZIONE. 

in  conto  di  cuoco  idiota  e  malvagio,  che  prepara  a' principi 
dolciumi  da  tornar  mortiferi;  ^  e  che  prima  di  farlo  passare 
a  diavolo,  si  voglia  imbestiare,  e  diventi  «  porcus  etpecus  >.  * 
E  il  pover  uomo  che,  da  vivo,  aveva  creduto  provvedere  ai 
casi  suoi,  accettando  di  coprirsi  della  pelle  d'asino,  e  di  rag- 
ghiare sotto  quella  forma  finché  le  stelle  si  fosser  dimostre  più 
benigne  e  miti,  non  prevedeva  le  metamorfosi  più  dure,  che 
gli  sarebbe  stato  forza  sopportare  da  morto.  Il  nome  suo  era 
divenuto  «  segnacolo  in  vessillo  »  ;  quel  vessillo  non  si  sapea 
chi  l'alzasse,  ma  c'era  gran  gente  che  credeva  di  vederlo 
in  mano  a*  nemici  propri,  e  voleva  abbatterlo.  Fu  fatta  guerra 
al  segnacolo,  tormentato  quel  nome  in  tutte  le  forme.  L'eti- 
mologia de' mali  chiavelli  non  soccorreva  più;  però  fu  di- 
laniato e  messo  in  tritoli  da  false  etimologie  greche  o  la- 
tine. ' 

Né  coU'avvicinarsi  a  tempi  più  recenti  e  più  oculati  il 
machiavellismo  cessa  d'esistere,  d'appassionare  e  di  far  velo 
alla  critica  e  alla  conoscenza  storica  dell'opere  e  della  vita  di 
Niccolò.  I  tempi  nuovi  recano  pregiudizi  nuovi  e  in  questi  si 
tramutano  i  vecchi,  e  il  machiavellismo  ch'era  nato  con  quelli, 
cresciuto  con  quelli  e  n'era  stato  in  certa  guisa  lo  specchio, 
mutò  riflessi  e.  seguitò.  Fin  qui  era  stato  anglicanismo,  calvi- 
nismo, ateismo,  tacitismo,  gesuitismo,  gallicismo,'* averroismo:  fu 

*  Thomas  Gàmpanellàb  Sttl.  :  Atheitmut  triumphatus:  «  Coquas  est  Machiavellas, 
parat  epulas  mortiferas,  sed  dulces  principibus  tarrae;  pueris  doctrinaet  virtute;  accnsat 
prophetas  et  religiosos,  medicos  animorom,  quiapocula  amara  etyictum  durum  propinant: 
hi  explodnntur  a  corde  eonim  ;  remanet  Machiavellus  exitialis  illis  et  statai  eorum  ».  -  E 
di  soprappiù  lo  svillaneggia  come  cuoco  idiota^  «  quoniam  putat  hominem  proprio  tanUuQ 
arbitrato  res  humanas  regere  •. 

t  E  più  oltre  :  «  Machiavellus  est  porcus  et  pecus.  qui  decemit  cras  edere  et  lavari  et 
nescit  quod  pastor  aliud  de  ilio  disposuerit  ». 

*  Nomine  qui  viclor  populi,  calamoque  tjranni 

Norma  fuit,  posthac  fabula  plebis  erit. 
«  Graeca  etymologia  Nicolai,  ab  eximio  Impngnatore  pessumdati,  distichon  Theodori  Pan« 
gali.  Trovasi  nel  Saggio  della  Seiocahexza  di  Niccolò  MachiawUi,  pag.  16. 

Contemptor  superum,  maculoH  nomine  notus 

Veueris  Btruscus  scurra,  sophtsta  loquax, 
Arte  mala,  populi  Harpyas  saevosc).  tyrannos 

Instituit,  pestis  maxima  Christiadum. 

È  di  L.  ScRiBONiDS  Spintbb..  belga.  Trovasi  nel  :  «  Vindiciae  \  cantra  \  tyraaimo»  |  dve  |  d« 
principit  in  pò  |  pulum  populiq.  in  |  prinoipem  legittima  potcatatc  Stbphano  Junio  Bbuto 
Celu  auctore.  (Hubertus  Languet).  Francofurti,  Mocvin.  Veggasi  a  compenso  repigranma 
di  Giovanni  Daurat,  Eì;  rh*  MaxMuéXXcu  oj^wtgì  irai^elav.  premesso  alla  tradusione 
francese  del  Principe  di  Guolislmo  Cappbl:  e  riportato  dairABTAUO  (op.  cit.  voi.  d, 
pag.  297)  e  parimente  Tepigramma  del  Vacca  (pag.  300)  e  del  Latomo  (pag.  303).  -  Sotto 
il  ritratto  del  Machiavelli,  edis.  Opp.  deli'Uaia  (17S0)  leggevasi: 

«  Supremum  per  te  naota  est  prudentia  culmen 
Ulterius  nec  quo  progreaiatur  habet». 

«  Vedi  il  citato  opuscolo:  Enormità  inatidite  nuovamente  uicite  in  luce  contro  il 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO,  41 

quel  che  i  fatti  furono  e  gli  odi  vollero;  fu  la  politica,  Tetero- 
dossia,  l'incredulità,  la  tirannide.  Indarno  avean  già  i  messeri 
di  Firenze  replicato  al  Polo,  che  il  Machiavelli,  qualcosa  in 
favore  della  libertà  Tavea  preparata;  la  libertà  era  morta, 
dunque  Niccolò  non  doveva  aver  fatto  niente  per  quella.  Indarno 
^Matteo  Toscano  aveva  affermato  che  Niccolò  dirizzò  i  tiranni 
flagellatori  della  patria  a  tanto  estremo  di  perfidia,  che  n'aves- 
sero a  provocar  l'ira  di  Dio;  que' tiranni  avean  prosperato, 
quindi  il  Machiavelli  non  era  stato  loro  nemico;  invano  Alberigo 
Gentili  Tavea  chiamato  lodatore  e  affermatore  acerrimo  della 
democratia:  ^  la  democratia  non  aveva  puranco  gravemente 
turbato  i  sonni  ad  alcuno;  quindi  né  il  Machiavelli  era  stato 
un  democratico,  né  democratici  i  machiavellisti.  I  trattatisti 
di  scienza  politica  sperano  occupati  generalmente  del  principe, 
come  se  questo  fosse  il  solo  soggetto  politico.  Raro  chi  si  fosse 
levato  a  discutere  la  bontà  del  principato,  chi  dell'autorità  di 
questo  cercasse  i  confini.  Si  fiutavan  le  tracce  d'alcuno  di  sif- 
fatti limitatori  della  potestà  somma  nel  secolo  decimoquarto  e 
decimosesto,  e,  Marsilio  Mainardino  ^  e  il  Salomonio  si  riguar- 
daron  come  capi  lontani  d'una  setta,  che  pareva  restia  alle 
condizioni  dei  tempi,  e  la  si  chiamò  dei  monarcomachi.  A  questa 
parvero  appartenere  il  Buchanan,  Uberto  Languet,  il  grande 
Milton  e  il  Mariana;  e  perfin  che  i  fatti  non  vennero  a  dar 
qualche  corpo  all'opinion  di  costoro,  i  monarcomachi  furon  te- 
nuti per  oppositori  diretti  e  tenaci  del  machiavellismo.  ^ 

éteoro  delTapostoUea  sede  twMna.  Francfort,  per  Gio.  aiorgio-Betlingon,  1649,  pag.  10, 
100,  118,  131,  155,  ecc. 

1  Alb.  Qbmtilib:  Ve  ìegationibuit  1.  in,  e.  xx. 

*  Il  Bbuckeb  {Hist.  phil.,  t.  IV,  pan  altera)  cita  Marsilio  Mainardino,  a*  tempi  di  Lodo^ 
vico  il  bavaro,  come  uno  dei  monarcomachi.  Se  di  Ini  è  il  tratuto  Defensor  pacis,  pubbli- 
cato a  Prancoforte  nel  15QS,  e  difeso  dal  Saepi  (Venetia,  appresso  Roberto  Meietti,  1606), 
l'autore  sarebbe  meglio  a  riguardare  come  nn  impugnator  dell' uni  versai  monarchia  ponti- 
ficia a  favore  della  principesca  e  laica. 

•  Bbuckeb:  1.  e,  pag.  103:  «  Ut  enim  plus  insto  tribui  a  Machiavello  principum  potè- 
stati  plerique  conqueruntur,  ita  monarcomachi  imperio  illimitato  maximopere  infensi  principis 
auctoritati  plus  insto  detrahunt  ».  -  Id.  ib.  :  «  Intelligitur  autem  ex  dictis  contrariam  prorsus 
Machiavellismo  esse  monarcomachiam  etiam  simulatam,  adeoque  contrariis  principiis  uti, 
•t  revera  omnem  regum  principumve  majestatem,  quam  ille  malia  artibus  extollit,  pessimis 
rationibus  atque  mediis  evertere  ».  —  Pertanto  i  tumulti  della  Fronda  passarono  senxa 
tentare  di  puntellarsi  con  massime  machiavelliche,  ansi  nimicando  il  Machiavelli.  Nel- 
VAgréable  récit  de  ce  qui  s'est  paese  aux  demières  harricades  de  Paris  descrUes  en  vers 
^rlesque»,  Paris,  1649  (pubbUcaU  anche  nel  Courriers  de  la  Fronde,  Paris,  1857)  si  legge. 

«  Machiavel,  grand  politique, 
Qui  des  cours  avalt  la  pratioue, 
Dans  son  damnable  art  de  regner 
Ne  Va  su  que  trop  enseigner. 
Toutes  ces  faveurs  apparentes 
Sont  des  marques  trés-évidentes 
Du  venia  cache  Ut  dessous.  »  ~ 


Digitized  by 


Google 


42  INTRODUZIONE. 

Oltracciò,  perchè  que'  fatti  potessero  cagionar  mutamenta, 
doveano  svolgersi  su  quel  suolo  dove  il  machiavellismo  avea 
pullulato  da  principio  e  corso  la  ventura.  Pertanto  s'eran  potute 
compiere  le  rivoluzioni  scozzesi  senza  che  a'  liberi  montanari  si 
desse  mai  nome  di  machiavellici;  il  capo  di  re  Carlo  li  era 
caduto  sul  patibolo,  senza  che  ninno  avesse  pensato  mai  di 
dare  del  machiavellico  al  Cromwell  e  ai  regicidi.  La  scissione 
fisica  dal  continente  e  la  morale  divisione  dalla  fede,  faceva  che 
i  continentali  torcessero  naturalmente  gli  occhi  dall'Inghil- 
terra. Appena  i  filosofi  le  gittavano  qualche  sguardo  da  va- 
gheggini; ma  i  filosofi  rinchiudevano  le  idee  ne' libri,  e  queste 
parea  che  da'  libri  non  dovessero  uscire. 

Ma  ecco  la  filosofia  del  secolo  decimottavo  inalberarsi  fuor 
delle  scuole,  come  stendardo  di  popolo,  e  a  quel  popolo  che  nulla 
era,  mettere  in  capo  che  doveva  esser  tutto;  che  l'uomo  era 
fatto  da  natura  libero  e  dalla  mala  civiltà,  servo  e  bruto:  che 
legge  non  era  che  l'espressione  della  volontà  popolare;  e  re, 
l'esecutore  dei  decreti  del  popolo;  che  l'arti  regie  e  tiranniche 
erano  a  deludere  e  combattere:  queste  arti  da  essere  apprese  dal 
Machiavelli,  il  cui  libro  del  Principe  era  il  libro  de'  repub- 
blicani, satira  mortale  de'  tiranni  e  della  corte  di  Roma,  che 
n'avea  proibito  gli  scritti,  perchè  in  quella  e'  l'avea  ritratta.  E 
fu  un  inneggiare  al  Machiavelli  repubblicano,  a  quel  Machia- 
velli ch'aveva  impugnato  la  massima  che  chi  fonda  sul  popolo, 
fonda  sul  fango;  che  non  aveva  sin  allora  incontrato  lettori, 
se  non  leggieri  o  corrotti;  al  Machiavelli  incresciuto  altrui, 
come  a'  ladri  gì'  inventori  delle  lanterne.  E  la  nuova  interpre- 
tazione delle  dottrine  del  segretario,  scoperse  un'altra  faccia 
del  machiavellismo,  finora  rimasa  incognita. 

Qui  lasciam  volentieri  la  parola  a  uno  spiritoso  scrit- 
tore italiano,  che,  accomodando  l'ingegno  al  paradosso,  volle 
parlar  del  Machiavelli  e  riusci  invece  a  scrivere  egregia- 
mente del  nuovo  machiavellismo.  Per  lui  il  Machiavelli  in- 
comincia a  nascere  dopo  morto,  ^  dopo  il  1527;  lo  mette  a 
fronte  di  tutti  gli  avvenimenti  susseguiti  e  lo  ritrova  come  il 
nocciuolo  di  tutti;  anzi  trova  nel  Machiavelli  l'antimachiavello 

1  Gius.  Fbrrari  :  Corèo  sugli  scrittori  politici  italiani.  Milano,  1862,  leg.  ix^  x,  xi.  - 
«  Il  nostro  Machiavelli  adunque  nasce  dopo  il  1527,  dopo  chiusa  la  sua  tomba  ;  egli  sorge 
dopo  incoronato  Carlo  V  a  Bologna;  e  se  a  quest'epoca  tutti  lasciano  il  concetto  dell'unità 
geografica  troppo  gradito  alla  Spagna,  le  sue  idee  si  svolgono  sotto  dimensioni  gigantesche 
e  da  lui  stesso  ignorate,  immezzo  alla  gran  lotta  europea  tra  il  pontefice  e  Lutero,  tra 
r  alta  e  la  bassa  Oermania,  tra  Carlo  IX  e  Coligny,  tra  i  Tudor  e  gli  Scozzesi,  tra  la 
Danimarca  e  gli  Svedesi,  tra  i  cattolici  e  i  protestanti  di  tutte  le  nazioni  »  (pag.  370-71). 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  43 

de' tempi  in  cui  visse;  e  più  di  leggieri  lo  fa  profeta  dei  fatti 
che  gli  susseguitarono,  che  storico  di  quelli  che  gli  passarono 
sott'occhio;  e  destituto  d'ogni  principio,  com'ei  lo  vuole,  lo  col- 
loca a  maestro  e  precettore  di  quella  età  in  cui  parve  che  i 
principi  s'andassero  a  ripescare;  tanto  eran  caduti  a  fondo  ! 

«  Dall'  ottantanove  in  poi,  scrive  il  Ferrari,  ^  i  principi 
s' impadroniscono  degli  avvenimenti,  e  direbbesi  che  il  Machia- 
velli detti  anche  le  parole  degli  uomini,  che  compaiono  sulla 
scena  della  rivoluzione.  Il  popolo  esordisce  colla  dichiarazione 
de' diritti  dell'uomo;  il  nobile  e  il  sacerdote  si  credou  dappiù  che 
uomini;  quindi  e' si  spossessa  nobiltà  e  clero.  -  Il  grido:  guerra 
ai  castelli  e  pace  alle  capanne,  risuona  per  tutta  Francia;  la 
rivoluzione  fonda  colonie.  -  Gli  uomini  del  Machiavelli  piuttosto 
la  morte  de' loro  parenti  scordano,  che  la  perdita  de' loro  beni; 
però  le  cospirazioni  aristocratiche  irrompono  furiose  e  indoma- 
bili. Si  rassegnerà  il  re  a  non  esser  nulla  più  che  cittadino? 
-  È  contro  la  natura  umana,  dice  il  Machiavelli,  ch'uom  sì  ras- 
segni a  cader  di  si  alto;  ed  ecco  re,  nobiltà,  clero  tutto  rischiare 
per  difendersi,  ecco  chiamar  lo  straniero,  ecco  questo  scendere 
su  Parigi.  -  Per  vincere  una  simile  opposizione,  prosegue  il  Ma- 
chiavelli, non  v'ha  che  il  ferro;  l'indignazione  della  Francia  ob- 
bedisce al  Machiavelli;  quindi  le  giornate  di  settembre.  -  Danton 
guarda  in  faccia  il  suo  delitto,  e  lo  compie.  -  Per  liberare  la 
Francia,  grida  Marat,  bisogna  abbattere  cinquecentomila  teste  : 
Ghalier  chiede  si  trafiggano  ventimila  lionesi.  Lansell  vuol  che 
tutti  siano  carnefici.  Tutti  ripetono:  che  la  nostra  memoria  pe- 
risca, ma  sia  salva  la  patria;  e  questo  è  il  detto  del  Machia- 
velli: bisogna  che  la  patria  sia  salva  o  con  gloria  o  con  in- 
famia. .-  Aprasi  Marat:  si  tratta,  e' dice,  della  salute  del  popolo; 
innanzi  a  questa  legge  suprema,tutte  l'altre  debbon  tacere;  per 
salvare  la  patria  tutti  i  mez2i  son  buoni,  tutti  i  mezzi  son 
giusti^  tutti  son  meritori.  -  E  s'apra  il  Machiavelli:  «  che  la  pa- 
tria si  debbe  difendere  o  con'  ignominia  o  con  gloria,  e  che  in 
qualunque  modo  è  ben  difesa  ».  E  tutta  la  rivoluzione  si  svolge, 
secondo  il. dilemma  del  Machiavelli.  -  Ad  ogni  stadio  l'alter- 
nativa tra  monarchia  e  repubblica  s'appresenta;  ora,  giusta  il 

1  Gius.  Fbbbabi  :  Machiavél  juge  de$  révolutions  de  notre  temp».  Paris;  1849.  In  qne* 
scoperà  Tautore  considera  il  Machiavelli  fuori  della  sua  individualità  storica,  fuori  de'  suoi 
propri  tempi,  e  noi  riguarda  che  nel  machiavellismo  :  «  Fante  d'un  principe,  Machiavél  a 
èie  ùnprèvoyant  dans  les  affaires  biens  que  clairvoyant  dans  rh3rpothése,  aveugle  en  histoire 
bien  que  prophéte  à  son  insù,  aveugle  sur  les  causes,  bien  qu*observateur  incomparable 
dea  effects,  impuissant  dans  Taction,  bien  que  maitre  de  tous  les  faits  accomplis  ». 


Digitized  by 


Google 


44  INTRODUZIONE. 

Machiavelli,  e'  si  conviene  essere  o  repubblicano  o  tiranno  :  se  si 
vuole  il  buon  successo,  non  e*  è  via  di  mezzo;  uopo  è  deter- 
minazione e  ardire  ;  e  gli  uomini  della  rivoluzione  non  cessano 
di  ripeterlo.  -  Si  vuol  audacia,  esclama  Danton,  e  poi  audacia, 
e  poi  audacia  ancora.  -  Il  re  non  sa  essere  ne  cittadino  né  ti- 
ranno, e  cade:  la  Gironda  tergiversa,  e  sdrucciola  nel  sangue: 
Danton  esita  egli  pure  alla  sua  volta,  e  la  sua  testa  cade;  la 
rivoluzione  sola  va  sempre  diritta  e  la  repubblica  trionfa.  -  Il 
passaggio  dalla  monarchia  alla  repubblica,  avea  detto  il  Ma- 
chiavelli, altro  non  è  che  il  passaggio  dall'  inegualità  all'egua- 
lità piena,  dalla  corruzione  alla  probità,  e  questa  idea  signo- 
reggia tutti  gli  uomini  della  rivoluzione.  -  «  Non  abbiamo  altri 
nemici,  afferma  il  Saint  Just,  se  non  i  ricchi  ed  i  viziosi:  bi- 
sogna fare  una  città  nuova,  bisogna  fare  intendere  che  il  go- 
verno rivoluzionario  non  è  che  il  passaggio  dal  male  al  bene, 
dalla  corruzione  alla  probità,  dalle  cattive  massime  alle  mas- 
sime oneste;  non  dubitate,  tutto  quel  che  vi  circonda  dee 
finire,  perchè  tutto  quel  che  vi  circonda  è  ingiusto  ».  -  Quale 
è  la  conclusione  dell'  uomo  che  domanda  egualità  e  virtù,  im- 
mezzo ai  frantumi  della  monarchia?  Io  concludo,  dice  il  Ma- 
'  chiavelli,  che  chi  vuol  fare  una  repubblica,  laddove  e'  sia  molti 
gentiluomini,  non  vi  riuscirà  se  prima  tutti  i  gentiluomini  non 
spenga.  Quindi  i  giorni  del  terrore.  -  La  forma  greco-romana 
del  Machiavelli  si  manifesta  colla  repubblica;  la  Francia  si 
chiama  la  patria,  l'antico  tu  ricomparisce;  la  salute  pubblica 
dello  stato  antico  appresta  il  suo  comitato.  -  Giusta  il  desiderio 
del  Machiavelli,  si  contrappone  al  cattolicismo  la  religione  della 
patria.  -  Non  basta,  dice  Chalier,  d'avere  spento  il  tiranno  dei 
corpi,  bisogna  abbattere  il  tiranno  dell'anime.  -  Il  Cristo  è  cac- 
ciato di  trono.  -  Fouché  dice  che  il  repubblicano  non  ha  altro 
dio  che  le  patria:  il  popolo  francese  non  riconosce  altro  domma, 
fuori  di  quello  della  sua  sovranità  e  onnipotenza.  Ecco  il  voto 
del  Machiavelli  compiuto,  l'umiltà  sbandita,  i  santi,  gli  eroi 
dell'abnegazione  e  del  cielo,  cedono  il  posto  ai  capitani,  ai  !•«- 
gislatori,  agli  eroi  della  terra  ;  e,  per  meglio  alla  terra  attac- 
carsi, si  dichiara  non  esser  altro  la  morte  che  un  eterno  dor- 
mire. -  E  qui,  il  Machiavelli  è  oltrepassato  (!):  egli  avea  d'uopo 
d'una  fiaba  religiosa:  senza  Dio  ninna  virtù,  ninna  legge  im- 
mortale, niun  amor  civico;  la  corruzione  straripa,  l'individuo 
si  riman  senza  freno.  -  E  qui  si  presenta  Robespierre.  -  Per 
lui  la  morte  è  il  principio  dell'immortalità,  il  dio  della  patria  è 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  45 

lo  stesso  dio  dell'universo.  L'ateismo  è  dottrina  da  prelati,  da  re. 
Robespierre  dà  alla  Francia  la  religion  naturale.  -  «  Imita  Mosè, 
il  Machiavelli  gli  grida,  scanna  i  tuoi  nemici  ».  -  Robespierre 
r  imita,  e  affretta  il  supplizio  di  tutti  i  nemici  suoi  :  esso  spinge 
alla  tomba  Luigi  XVI,  la  Gironda,  il  dantonismo  e  l'heber- 
tismo.  -  La  religione  V  ispira  e  gì'  indica  le  categorie  de'  so- 
spetti, esige  l'ecatombe  della  corruzione,  e  l'indignazione  mo- 
rale della  Francia  s'accorda  colla  coscienza  di  Robespierre, 
per  riprodurre  fatalmente  i  macelli  di  Mosè.  -  Robespierre  ot- 
tiene il  buon  successo,  ma  per  mantenerlo,  e'  deve  obbedire  al 
Machiavelli  sino  al  fine.  Armati,  dice  il  Machiavelli  al  nuovo 
profeta,  poi  che,  quando  non  si  crederà  più  alla  tua  virtù,  po- 
trai farti  credere  per  la  tua  forza.  Robespierre  non  s'arma,  e 
già  gli  resistono:  si  spaccia  ch'ei  voglia  pontificare,  che  inventò 
dio,  però  che  dio  è  il  tiranno  supremo.  Il  momento  dell'audacia 
è  giunto:  ardisci,  gli  gridano  da  tutte  parti,  e  Robespierre 
non  ardisce  nulla.  La  reazione  della  clemenza  lo  minaccia,  e, 
giusta  il  Machiavelli,  quando  una  reazione  irresistibile  si  ap- 
palesa, convien  farsene  capo.  Robespierre  pensa  alla  clemenza 
e,  nell'apprestare  il  tribunale  rivoluzionario,  raddoppia  il  ter- 
rore. Colpisci  presto  i  tuoi  nemici,  gli  grida  il  Machiavelli,  fini- 
scili d'un  colpo,  e  non  allungare  i  supplizi.  E  Robespierre 
allunga  i  supplizi  e  gli  raddoppia.  —  Non  minacciare  alcuno,  il 
Machiavelli  gli  dice,  quando  si  tratti  di  grandi  giustizie,  più 
dannoso  è  minacciare  che  colpire.  Robespierre  minaccia  tutta 
la  convenzione  e  non  la  colpisce;  gli  è  uopo  d'uno  straordi- 
nario, ed  egli  esita:  alcuni  giorni  dopo,  quando  l'odio  tra- 
bocca, quando  la  convenzione  lo  accusa,  quando  la  prigione 
il  rigetta,  gli  eventi  gì' impongono  uno  straordinario  per  sua 
difesa;  Robespierre  esita  ancora:  come  se  e' fosse  l'esempio 
dell'  uomo  irresoluto  del  Machiavelli,  non  segna  che  per  metà 
il  suo  nome  appiè  d'un  proclama  degli  insorti;  e  prima  di 
terminare,  la  legge  lo  coglie.  Robespierre  volea  morire  come 
un  uomo  degli  antichi  tempi,  perchè  la  legge  fosse  rispettata; 
e,  per  colpa  della  sua  indecisione,  la  fama,  a  suo  riguardo,  si 
restò  incerta,  quando  lo  vide,  in  mezzo  a  una  sommossa,  mu- 
tilato da  un  colpo  di  pistola,  quasi  non  sapendo  se  gli  sia  ve- 
nuta meno  una  insurrezione  dittatoria,  un'obbedienza  eroica, 
ovvero  un  semplice  suicidio  ».  — 

Quando   il   Burchiello,   barbiere  di  calimala,  accoppiava 
poetando  «  lingue  tedesche  e  occhi  di  giudeo  »,  trovò  chi  gli 


Digitized  by 


Google 


46  INTRODUZIONE. 

desse  dello  spiritoso,  chi  del  pazzo  e  chi  dell* oscuro;  e  trovò 
pure  chi  s'attentò  d'interpretarlo  e  di  scoprire  una  qualche 
relazione  fra  le  idee  de'  suoi  sonetti  spensierate  e  disparatis- 
sime,  come  accade  in  chi  ostenta  il  gergo.  Non  minor  fatica  di 
que'  bizzarri  interpreti,  e  non  meno  stento  ebbe  probabilmente  a 
durare  il  Ferrari,  quando  si  risicò,  ora  piegando  un  pochino 
le  idee  verso  i  fatti,  ora  torcendo  un  poco  i  fatti  verso  le  idee, 
a  portare  a  galla  il  machiavellismo  della  rivoluzione  francese. 
Se  non  che  chi  conosce  la  storia  di  questa  e  gli  scritti  del 
Segretario,  troverà  il  nuovo  ragguagliatore  assai  spiritoso  e 
assai  facile,  ma  forse,  e  anche  senza  forse,  troppo  facile.  Però 
che  nulla  impedisce  che  quella  rivoluzione  che  egli  chiama  e 
prova  machiavellistica,  altri  la  chiami  e  provi  cristiana,  es- 
senzialmente cristiana,  seguitando  l'istessa  ragion  di  critica 
del  Ferrari.  ^  Il  Cristo,  infatti,  non  era  egli  venuto  al  mondo 
per  redimere,  liberare,  aflFratellare  l'umana  generazione?  E  la 
rivoluzione  francese  scoppia  al  grido  dell'  egualità,  della  libertà 
e  della  fratellanza:  la  rivoluzione  uccide  e  incendia;  e  il  Cristo 
avea  detto  :  io  non  son  venuto  a  recar  la  pace,  ma  la  guerra. 
Il  Cristo  avea  detto:  chi  non  è  con  me  è  centro  me;  e  chi 
non  è  con  noi,  è  contro  noi,  ripeteva  Robespierre.  Che  monta 
che  la  rivoluzione  rovesci  gli  altari  e  spenga  il  clero?  Que'  che 
si  scacciavano  erano  i  profanatori  del  tempio,  que'  che  si  spe- 
gnevano i  farisei;  che  importa  che  sotto  le  vòlte  di  Nostra 
Donna,  in  luogo  della  Vergine  s' esalti  la  dea  ragione,  perso- 
nificata nella  persuasiva  avvenenza  corporea  della  Memoro? 
La  ragione  non  è  poi  che  il  logos,  il  verbo,  la  mente  eterna, 
che  era  in  principio.  Finalmente  Desmoulins,  tratto  innanzi  al 
tribunale,  che  cosa  risponde  a' giudici  che  lo  domandano  del- 
l'età sua?  ch'egli  à  «  Vage  du  sans-culotte  Jesus  Christ 
lorsqu'il  mourut  >.  * 

Se  non  che  con  questo  bel  modo  d'argomentare,  non  si 
sa  a  che  non  s'arriva;  se  alcuno  fra  gli  sbracati  popolari  di 

1  Chi  si  facesse  a  percorrere  la  Storia  della  Otterrà  dell'indipendenza  degli  Stati 
Uniti  di  America,  scritta  da  Caklo  Botta  con  tanto  artificio  di  rettorica  e  con  tanto  ac- 
catto di  forme  dalla  prosa  italiana  del  cinquecento,  facilmente  sarebbe  tratto  a  riconoscere 
rinflaenza  degli  aforismi  del  Machiavelli  sulla  mente  dello  scrittore,  laddove,  a  cagion 
di  esempio,  si  parla  dell'ostinazione  messa  nei  popoli  dall'ardor  religioso  (libro  v  op.  cit.) 
0  del  (òrto  degl*  inglesi  «  d'aver  cimentata  tutta  la  fortuna  con  una  parte  delle  forze  ». 
(L.  VI,  Cf.  Machiavelli,  Discorsi,  1.  i  e  xxiii)  o  dei  nervi  della  guerra  «  che  sono  gli  uo- 
mini, le  armi  e  la  pecunia  »  (ibid,  1.  vi,  Cf.  Machiavelli,  Discorsi,  1.  ii,  e.  x)  -  e  cosi  se 
n'avrebber  molti  altri  esempi.  -  Questo  libro  del  Botta  può  in  certo  modo  parere  il  mar 
chiavellismo  della  guerra  d'America. 

*  Thibbs  :  Histoire  de  la  repubUque  fìran^aise,  t.  ii,  pag.  j28.  Bruxelles,  1844. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  47 

Francia  potè  pur  pensare  un  momento  che  Gesù  fosse  dalla 
sua,  ninno  reputò  mai  che  il  magistero  di  tutto  queirarru£So 
fosse  a  riconoscere  dal  Machiavelli.  Anzi  Robespierre,  volendo 
proporre  alla  convenzione  un  tema  grave,  degno  della  società, 
profittevole  allo  spirito  pubblico,  porta  la  discussione  sui  vizi 
e  i  delitti  del  governo  inglese;  e,  questo  governo,  dice,  sotto 
alcune  apparenze  di  libertà,  cela  un  principio  di  dispotismo  e 
di  machiavellismo  atróce.  ^  Il  machiavellismo  dunque  non  aveva 
per  quei  repubblicani  cangiato  ne  significazione,  né  caratteri- 
stiche. E  tuttavia  il  pregiudizio  scientifico,  che  avea  tenuto  bor- 
done al  pregiudizio  volgare,  questa  volta  gli  passò  innanzi  e 
registrò  per  primo  l'indole  nuova  che  aveva  assunto  il  vecchio 
sistema;  e  mentre  vedemmo  che  nel  Brucker  si  poneva  una 
certa  opposizione  tra  machiavellici  e  monarcomachi,  sorge  il 
Buonafede  a  toglierla  del  tutto  e  a  dichiarar  come  «  a  torto 
alcuni  reputassero  che  del  machiavellismo,  tanto  favorevole  ai 
tiranni,  non  potesse  mai  sorgere  la  furiosa  generazione  de'  com- 
battitori de' tiranni  »,  e  così  pensando  «  non  conobbero  la  varia 
e  intera  indole  del  mostro  irreligioso,  violento,  sedizioso,  in- 
gannatore, vigliacco;  ne  sepper  discemere  che  i  principi  di 
forza  e  utilità  sono  comuni  al  grande  e  al  piccolo,  al  principe 
e  al  suddito;  e  che  quando  ancora  fosse  il  mostro,  cosi  come 
lo  definirono  a  talento;  quel  favore  istesso  esprimeva  il  ritratto 
della  crudele  signoria  e  della  pesante  schiavitù,  e  incitava  gli 
schiavi  miseri  a  libertà  e  a  vendetta;  né  avvertirono  che  il 
machiavellismo,  ingrandito  poi  dai  susseguenti  sistemi  d' inte- 
resse, di  licenza,  di  forza,  di  voluttà,  di  natura,  d' antideismo, 
appianava  sicuramente  la  strada  alla  conculcazione  di  ogni  vera 
legge  e  di  qualunque  sovranità  ».  * 

Ma  alla  furiosa  rivoluzione  succede  l'impero,  ed  ecco  il 
machiavellismo  gettar  via  i  nuovi  panni  e  il  berretto  frigio  e 
riassumer  tutte  l'antiche  sembianze  e  il  piglio  aulico;  tanto 
più  che  niun  altro  personaggio  storico  meglio  del  grande  Im- 
peratore, e  per  grandezza  d'animo  smisurata  e  per  maravi- 
gliosa  fortuna  e  per  occasione  acconcissima,  pare  incarnar 
degnamente  la  terribile   concezione  del  principe  del  Machia- 

>  «  Ce  gouvernement  atroce  cache,  dit-il,  sous  quelques  apparences  de  libérté,  un  prìn- 
cipe de  déspotisme  et  de  machiavélisme  atroce;  il  faut  le  dénoncer  à  son  propre  peuple, 
et  répondre  à  ees  calomnies  en  pronvant  ses  vices  d'organisation  et  ses  forfaits  ».  Parole 
testuali,  riferite  dal  Thibbs,  1.  e,  t.  ir,  p.  11. 

*  Buonafede:  DeUa  restaurazione  di  ogni  filoso fia,  1.  e.  Bruckkb:  De  emendanda 
phU.  eiitili,  g  X. 


Digitized  by 


Google 


48  INTRODUZIONE, 

velli;  Napoleone,  principe  nuovo  d'una  civiltà  rinnovellata. 
Napoleone,  eroico  condottiero  d'armi  nazionali,  riordinatore  di 
popoli,  costitutore  di  nuove  leggi,  maneggiatore  imperterrito  di 
straordinari;  Napoleone,  che  trattava  Tacito  da  romanziere  e 
Gibbon  da  brontolone,  ma  faceva  lettura  frequente  dell'opere 
del  segretario  fiorentino,  e  diceva  che  gli  scritti  di  lui  erano 
gli  unici  che  si  potessero  leggere,  e  li  voleva  compagni  a'suoi 
viaggi  e  alle  sue  fazioni,  e  non  ne  nascose  mai  l'ammirazione, 
ed,  avvedutissimo,  gli  pose  accanto  allo  Spirito  delle  leggi  del 
Montesquieu,  e  le  fanfaluche  metafìsiche  del  Rousseau  cacciò 
in  bando.  Epperò,  i  foggiatori  del  machiavellismo  napoleonico 
s' accapigliarono  furiosamente,  quale  coli'  antica  stizza  del  6en- 
tillet  abominando  il  Gran  Còrso  per  tutte  le  stragi  durate, 
quale,  siccome  eroico  sostenitore  d'una  società  vacillante,  alle 
stelle  risollevandolo.  ^ 

Fuor  della  Francia  il  Mundt  pigliò  a  cercare  il  machia- 
vellismo de'Napoleonidi;  e  il  ritorno  storico  alla  irrequietezza 
civile,  che,  a  cagione  della  democratia  male  oppressa  e  valida 
perturbava  l' Italia  nel  secolo  decimosesto  riconobbe  nella 
Francia  scompigliata  e  potente  del  secolo  decimottavo;  nella 
relazione  della  dinastia  còrsa  con  questa  avvisò  quella  stessa 
analogia  che  tra  la  spagnuola  famiglia  de' Borgia  e  l'Italia 
d'allora.  * 

Ma  l'Italia  del  secolo  decimonono,  risveglia  allo  squillo 
delle  trombe  e  al  rimbombo  de'  cannoni  del  Bonaparte,  e  di- 
sperata di  ritrovare  per  qualche  via  l' unità  sua  nazionale,  co- 
minciò per  primo  segno  d'agitazione  intima  a  tórre  in  mano 
il  machiavellismo  per  suo  proprio  conto,  recando  una  crudele 
ingiuria  alla  storia  per  accarezzar  la  politica.  Il  Machiavelli, 
dissero,  era  un  ghibellino;  ^  il  grido:  fuori  i  barbari,  era  grido 
guelfo;  e  siccome  i  barbari,  gli  stranieri,  ci  stavano  maladet- 

*  M.  Mazàrbs:  De  Machiavèl  et  de  l'infiuence  de  sa  doctrine  sur  les  opinions, .  les 
moeurs,  et  la  polUique  de  la  France  pendant  la  revolution.  Paris,  1811,  8^.  Cf.  Notice 
hiographique  et  lUteraire  sur  M.  Antoine  Alexandre  Barbier,  ex-administrateur  des  bi- 
bliothéques  du  roi,  ete.  par  M.  Louis  Barbibb  file  ainé.  Paris,  janvier  1827,  iii-8o.  -  Cf. 
Abtaud.  Machiavelf  son  genie ^  et  s«8  erreurs^  t.  ii,  pag.  458-69-60.  V.  ManuscrU  trouvé 
dan»  la  carrosae  de  Bonaparte,  après  la  bataiUe  de  Mont  Saint-Jean.  Le  i8  juin  Ì8i5. 
Paris,  1816,  in-8o. 

"  THBonoR  Mundt;  Machiavelli  und  der  Gang  der  EuropiUschen  Politik.  cap.  82. 
Machiavelismu^  und  Napoleonismus.  Leipzig.  1853,  sweite  vermehrte  Ausgabe.  «  Der 
Napoleonismus,  der  in  seinem  eigentlichen  Wesen  nicht  Anderes  als  der  militairisch  oi^a- 
nisirte  Machiavellismus  ist,  hat  den  letseren  ohne  Zweifel  lu  den  gl&nxendsten  Erfolgen  in 
der  neueren  Geschichte  erhoben,  und  ihn  erst  auf  der  HÒhe  seines  Systems  gekrònt  (p.221). 

>  Balbo  :  Vita  di  Dante,  1.  ii  e  xvii  :  «  Qhibellino  può  dirsi  essenzialmente  MachiaTelli, 
nemico  dei  papi,  quanto  Dante  ». 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  49 

tamente  fitti  in  casa,  e  per  cacciameli  era  necessario  rompere 
l'alleanza  che  si  era  stretta  fra  la  chiesa  e  loro;  s'incominciò 
a  voler  persuadere  alla  Chiesa  che  c'era  del  suo  vantaggio 
nel  nostro  diritto,  e. che  quand'essa  si  fosse  fatta  capo  a  ri- 
cacciar gli  Austriaci  dentro  a'  loro  confini  e  a  sconfiggere  i 
rimasugli  ghibellini  dell'impero  tedesco,  l'Italia  sarebbe  stata 
tutta  una  parte  e  tutta  parte  di  chiesa. 

Questi  erano  i  propositi  de'  neoguelfi,  e  non  dovette  essere 
piccola  difficoltà  la  loro,  e  presso  i  principi  e  presso  i  popoli, 
ad  esser  creduti.  Però  che  primo  cardine  da  spezzare  per  poter 
mettere  V  Italia  in  cuore  alla  chiesa,  e  la  chiesa  fra  le  carezze 
degli  Italiani  era  l'antica  tradizione,  dantesca  prima,  poi  ma- 
chiavellesca davvero:  che  la  chiesa  di  Roma  era  la  pietra  fa- 
tale tra  le  labbra  delle  ferite  d' Italia  la  quale  impediva  che 
queste  risanassero  mai.  Scalzare  l'autorità  del  Machiavelli  fu 
dunque  necessario  assunto  de'  neoguelfi;  e  questi  vi  si  accin- 
sero con  quella  virtù  e  quell'animo  che  poteva  esser  proprio 
di  ciascun  di  essi;  il  Balbo  francamente  contradicendosi,*  il  Gio- 
berti politicando,  il  Manzoni  criticando  e  pregiando  l'avversario 
suo,  il  Cantù  male  interpretandolo  e  dispregiandolo  insieme. 

Ma  questo  travestimento  da  ghibellino  pel  machiavellismo 
fu  breve,  perchè  fu  occasionale,  e  l'occasione  passò  presto,  e  gli 
stessi  illustri  che  si  acconciavano  a  guelfi  sapevano  troppo  guar- 
darsi «  da  quella  falsa  critica  che  nasce  d'un  sentimento  di  quel- 
l'amor di  patria,  che  »,  come  il  Manzoni  ebbe  a  scrivere,  «  si 
diflFonde  sul  passato  e  nell'avvenire,  e  fa  trovare  negli  eventi 

>  V.  Cesare  Balbo  :  Meditazioni  storiche^  pag.  16  -  Leti,  dipolit.  e  lett.  pag.  413  e  pre- 
ced.  -  Gioberti:  Primato,  t.  ii,  pag.  64  -  Manzoni,  Opere  (ediz.  1829)  t.  ii,  pag.  24  -  Cantò  : 
Storia  univers.,  yol.  v,  pag.  1^  e  seg.  Id.  Storia  degli  Italiani,  pag.  80  e  seg.,  e.  cxxx. 
Id.  Storia  degli  eretici  d'Italia,  voi.  i,  (pag.  193):  «  Per  fare  T Italia,  il  Machiavelli  ricor^ 
reva,  al  soUtOj  agli  stranieri;  non  accorgendosi  come  i  papi  fossero  la  sola  potenza  che 
▼alesse  a  salvarne  1*  indipendenza,  desiderava  che  i  Francesi  gli  umiliassero,  sollevando 
i  baroni  contro  di  essi,  in  modo  che  o  gì* insultassero,  come  sotto  Filippo  il  bello,  o  li 
chiudessero  in  Castel  Sant'Angelo  ».  E  qui  toma  bene  osservare  come  il  Mazzini  (Op.,  voi. 
Yu,  p.  175)  risguardasse  il  Machiavelli  siccome  un  prenunciatore  deirunità  d'Italia,  quan- 
tunque poi  (voi.  IX,  p.  333)  non  ne  ritraesse  con  fedeltà  gì*  intendimenti  quando  affermò  che 
il  Segretario  fiorentino  ebbe  «  per  debito  di  coscienza  protestato  egli  pure  colla  congiura  », 
•  ne  considerasse  le  dottrine  come  un  impaccio  e  un  ostacolo  alla  liberazione  della  patria  per 
▼ia  deirazione  popolare  e  repubblicana.  «  Non  manca  ai  nostri  né  il  desiderio,  né  la  capa- 
cità, pè  Tardire;  e  sono,  per  numero,  potenti  quanto  basta  a  raggiunger  due  volte  1*  in- 
tento; ma  due  difetti  che  sembrano  contradirsi  e  nondimeno  scendono  dalla  stessa  sor- 
gente, ne  inceppano  finora  l'attività.  La  nostra  educazione  s'è  compiuta  per  opera  della 
lunga  tirannide  e  del  materialismo,  su  Machiavelli.  La  grande  ombra  di  quell'illustre  stende 
tuttora  su  noi  il  velo  di  quell'analisi  Jissolvitrice,  che  comincia  colla  scienza  e  finisce  colla 
negazione  e  collo  sconforto;  e  la  scienza  quale  possiamo  attingerla  a  quella  sorgente,  sì 
traduce  negl'intelletti  mediocri,  che  sono  i  più,  in  una  meschina  abitudine  di  piccolo  cal- 
colo, contraria  ad  ogni  magnanima  impresa  »,  ecc.  (id.  ibid.,  pag.  332). 

Tomi  ASINI  -  Machiavelli.  5 


Digitized  by 


Google 


50  INTRODUZIONE . 

compiuti  e  immutabili,  negli  eventi  futuri  e  lontani,  de'  quali 
non  sappiamo  altro  di  certo  se  non  che  noi  non  ne  saremo  te- 
stimoni, un  interesse  non  della  stessa  vivacità,  ma  dello  stesso 
genere  di  quello  che  si  trova  negli  eventi  contemporanei.  »  — 
Che  se  il  Gioberti  nel  Primato  avea  fatto  biasimo  al  Sarpi 
e  al  Machiavelli  d'aver  considerato  il  papato  come  un  fuor 
d'opera  della  civiltà  italiana,  anzi  come  un  impedimento,  per 
non  dire  un  flagello;^  e  con  potenza  di  dialettica  si  era  stu- 
diato dare  ad  intendere  agli  Italiani  che  il  papato  avrebbe  po- 
tuto voltarsi  in  loro  gloria  nazionale  ;  e  al  papato,  ch'esso  avrebbe 
potuto  ripigliar  vigoria  di  civiltà,  correggendosi;  poscia  nella 
sua  quasi  profetica  e  maravigliosa  opera  del  Rinnovamento 
civile,^  0  fatto  esperto  dagli  avvenimenti,  o  lieto  del  frutto 
che  quel  suo  libro  del  Primato  avea  maturo,  dando  adeguato 
impulso  a  novelli  destini,  che,  grazie  a  Dio,  furono  lietamente 
compiuti,  svolse  considerazioni  che  spiegarono  tutta  la  storia 
del  pensiero  di  quel  grande  statista,  e  agi'  Italiani  novamente 
insegnarono  la  verace  via,  che  era  il  ritorno  alla  tradizione 
dantesca  e  machiavellesca.  Così  che  l'ispirazione  che  voltava  i 
recenti  guelfi  a  enfiare  un  papa,  tentandolo  a  cacciarsi  sulla  via 
d'una  civile  e  religiosa  rigenerazione,  era  in  fondo  la  stessa, 
che  mosse  già  nel  secolo  decimosesto  il  gran  Segretario  ad  ac- 
caparrare e  guadagnare  all'Italia  un  figlio  e  un  nipote  di  papa. 
E  se  il  grande  filosofo  piemontese,  che  fu  vate  e  corego  del 
rinnovamento  italiano,  non  dubitò  di  imbrandire  la  tradizione  e 
il  magistero  del  Machiavelli,  quel  magistero  non  fu  di  precetti, 
ma  di  principi;  non  fu  pregiudizio,  ma  fu  sapienza  vera  e 
virtù;  non  fu  scherma  coll'occasione,  ma  dirittura  d'intenti  e 
naturale  giustizia.  Anzi  in  quest' ultim' opera  in  cui  l'idea  gio- 
bertiana  si  riassume  e  si  spiega  in  tutta  la  sua  pienezza,  in 
quest' ultim'opera  in  cui  il  decrepito  machiavellismo  parrebbe 
naturalmente  invitato  a  farla  da  vecchio  mestierante  ^  e  dettare 
consigli  d'artifici  e  prorompere  in  tutte  le  forme  per  cui  tra- 
passò crescendo;  in  quest' ultim'opera  invece  il  machiavellismo 
muore,   e   si  rimane  stecchito  e  disfatto  sotto  la  luce  irra- 


»  Gioberti:  Primato,  voi.  2,  pag.  61,  ed.  Losanna  1846. 

"  Gioberti:  Rinnovamento  chfUe,  t.  2,  pag.  38,  ed.  Parigi  1851. 

»  Cf.  Niccolò  Machiavelli  nel  suo  Principe,  ossia  il  machiavellismo  dei  poUtici  del 
nostro  secolo,  per  l'avv.  Andrea  Anqblini.  Milano,  1869.  In  esso  l'autore  non  si  rattieno 
dairaifermare  :  «  le  dottrine  politiche  del  M.  altamente  disonorare  ancora  quelle  che  pra- 
ticamente Bon  d'ogni  di  nel  nostro  secolo  ».  -  Giovanni  Fusinato,  N.  M.  in  ordine  alle 
Rivoluzioni  e  alla  ricostituzione  d'Italia  {Rivista  europea  1874,  fase,  giugno  e  agosto). 

\ 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  51 

diante  della  scienza  maestosa  e  S3rena.  Sulla  salma  guasta  e 
sconcia  di  quel  pregiudìzio  pare  finalmente  lo  sguardo  giocon- 
dato  del  segretario  di  Firenze  trionfalmente  appuntarsi,  lieto 
che,  dopo  esser  andato  per  tanto  volgere  di  secoli  cercando  il 
mondo  sotto  nuova  pellet  finalmente  le  stelle  si  addimostrarono 
benigne  a  lui  e  alla  sua  patria  diletta;  e  a  questa  l'antica  gran- 
dezza, e  a  lui  l'antico  suo  essere  fu  dato  rintracciare  e  ri- 
prendere. 

Sì;  perchè  ormai,  soddisfatta  la  passione  per  cui  morirono 
i  nostri  grandi,  per  cui  pugnarono  i  nostri  forti;  acquetate  nella 
società  civile  le  inimicizie  settarie,  è  da  credere  che  il  pregiu- 
dizio che  si  copri  col  nome  del  politico  fiorentino,  sia  per  sempre 
domo  nella  nostra  penisola;  e  questo  fatto  fortunato  e  felice 
si  volle  celebrare  nel  centenario  quarto  della  nascita  del  Ma- 
chiavelli, quando  tutto  quel  che  di  più  eletto  e  di  più  gen- 
tile è  in  Italia  peregrinava,  come  per  ammenda  della  lunga 
accusa,  ad  ogni  luogo  che  quel  gran  Fiorentino  aveva  illu- 
strato colla  sua  persona;  e  si  fissavano  epigrafi  alla  casa  in  cui 
visse,  alla  villetta  de' pressi  di  San  Casciano,  dove  soflFri  e  cdln- 
pose;  e  negli  orti  Rucellai  si  rompevano  i  lunghi  silenzi  da 
una  voce  grata  all'  Italia,  ^  che  fra  que'  marmi  e  quelle  piante 
ripeteva  benedicendo  il  nome  del  Consideratore  di  Livio.  Le 
scene  si  rallietarono  ancora  dell'ingegno  comico  del  traduttore 
déìTAndria,  le  biblioteche  ne   ponevano  in  mostra  gli  auto- 


>  Machiavelli:  Asino  d'oro;  1.  e.  neirepigrafe  di  questo  capitolo. 

•  Atto  Vannucci  :  Nel  quarto  centenario  della  nascita  di  Niccolò  Machiavelli,  discorto 
letto  negli  Orti  oricellarii  il  3  maggio  i869.  Firenze,  tip.  Le  Monnier.  Vedi  anche:  Ma' 
chiavelli  e  U  suo  centenario  per  Efisio  Contini.  Firenze,  186S.  -  Pel  quarto  centenario 
di  N.  M.j  discorso  di  Luigi  Mebcantini.  Palermo,  1869.  Vivacissima  prosa,  quantunque 
non  presenti  idee  peregrine.  -  Il  pensiero  italiano  di  N.  J/.,  per  Luioi  Mancini.  Fano,  1869.  - 
Prose  e  versi  pel  quarto  centenario  di  N.  M.,  d'alcuni  studenti  dell'Università  di  Padova. 
Padova,  1869.  -  Cansone  letta  nell'Accademia  de'  Concordi  di  Rovigo  dal  prof.  Filippo  Mie- 
CHINI  nell'occasione  del  quarto  centenario  di  N.  M.  Rovigo.  1869.  -  Gloria  postuma  di 
N.  M.  Terzine  di  Luisa  Obacb-Bartolini,  composte  pel  26  luglio  1863.  Pistoia,  1869.  -  Per 
U  quarto  centenario  di  N.  M.  Carme  di  Alfonso  Linquiti.  Palermo,  1869.  -  Ottave  im- 
provvisate a  MHano  il  giorno  i3  febbraio  i860  dalla  signora  Giannina  Milli.  -  Discorso 
del  prof.  Angelo  Ronzi  nel  IV  centenario  dalla  nascita  di  N.  M.  Rovigo,  1869.  -  (Fran- 
cesco Palebmo)  :  N.  M.  e  il  suo  centenario.  Firenze,  1869.  -  Ob  quartum  sceculare  fé- 
stum  Nicolai  Machiavelli.  V.  Nonas  Majas  Florentiae  celebratum  Carmen  Fé.  Diontsii 
Blancabdii.  Il  quale  carme  si  chiude  conseguenti  versi,  che  citiamo,  però  che  esprimono 
ridea  che  informò  la  mente  di  tutti  gritaliani  nella  celebrazione  delle  feste  machiavel- 
lesche: 

«  Interea  celebrat  dum  te  studiosa  Juventus, 
Dumque  tuos  Itali  cineres  venerantur  in  arca 
Nomen  et  aetemum  laeto  clamore  salutant, 
Oaude,  Nicolae;  tenet  sua  praemia  virtus; 
Semper  honos,  nomenque  tuum,  laudesque  manebunt  ». 


Digitized  by 


Google 


58  INTRODUZIONE. 

grafi,  come  a  venerazione;  le  edizioni,  come  a  gloria:  carmi  e 
commenti  alle  idee  del  Cancelliere  fiorentino,  del  grande  iste- 
rico, pioveano  d'ogni  parte.  Tutta  quella  festa,  tutto  quel  giubilo, 
tutta  quella  patria  commozione  voleva  dire  che  il  machiavel- 
lismo, quel  mostro  che  avea  deste  tante  paure,  tante  furie, 
tanti  malintesi,  si  reputava  in  Italia  del  tutto  •  spento  e  irresu- 
scitabile,  perchè  forza  di  circostanze  estrinseche,  che  lo  ri- 
creasse, non  potea  qui  più  attendersi;  perchè  l'amore  del  vero 
e  del  bene  infiammando  gli  animi  soddisfatti,  doveva  spingerci  a 
raddomandare  all'istoria  il  primo  procedimento  e  la  serie  dei 
progressi  di  quel  pregiudizio  fatale  e  metterci  sull'avviso  per 
l'avvenire. 

Ma  il  machiavellismo,  spento  in  Italia,  potrà  credersi  can- 
cellato per  sempre  dalla  faccia  della  terra,  o  non  seguiterà  a 
strascinar  la  vita  in  Francia  co'napoleonidi,  a  campeggiar  coi 
carlisti  nella  Spagna,  a  scambiarsi  col  bismarkismo  in  Prussia,^ 

'  Bollman:  Vertheidigung  de*  Maeì\iaì30lismu8.  Quedlinburg,  185S.  -  Quest'opera, 
scrìtta  cou  disegno  non  esclusivamente  teoretico,  ma  colla  pratica  mira  d'eccitare  la  Prussia 
a  porsi  a  capo  dell'unità  germanica,  conchiude  :  che  a  questo  non  avrebbe  potuto  riuscire 
né  il  partito  liberale  impotente,  né  la  democratia  incapace  di  governare,  ma  solo  un  prìn- 
cipe armato  e  forte.  «  Ma  un  tale  armato  rìformatore  dovrà  possedere,  scrìve  il  Bollmann, 
quelle  qualità  che  sviluppai  nel  corso  di  queste  mie  ricerche  attorno  al  Machiavellismo. 
E* dovrà  seguire  nelle  reiasioni  della  costituxione  intema  dello  Stato  i  progressi  della  mo- 
rale civile,  e  nello  relazioni  della  politica  estera  i  dettami  della  morale  politica  ;  egli  avrà 
sacro,  come  il  grande  statista  italiano  insegna,  il  bene  del  popolo  ;  ma  contro  allo  stra- 
niero non  conoscerà  né  dolcezza,  né  crudeltà,  né  fede,  né  spergiuro,  né  onore,  né  vergognai 
ma  solo  unità,  grandezza,  indipendenza  della  patria.  Pertanto  un  tal  principe  dovrà  vincere 
ogni  maniera  d'impedimenti,  dovrà  esser  grande,  possente,  irresistibile.  Quando  apparirai 
tu,  re  dell'avvenire?...  »  Il  libro  era  edito  nel  milleottocentocinquantotto.  Un'altra  maniera 
d'accenno  ad  un  maphiavellismo  tedesco  austriaco  imperiale,  in  opposizione  alle  tendenze 
francesi,  potrebbe  osservarsi  in  un  opuscolo  citato  dal  Grabsse  nel  suo  Trésor  de  livres 
rares  et  précieux  (t.  vii,  pag.  417),  e  intitolato  :  Machiavelisticher  Hocus-Pocus^  oder  star 
tistischea  Taschen-^aukel  und  Narren-Spiel,  von  dem  Jean  Polagischen  Taused  KunsUer 
Mon*.  Courtiaan,  aU  eine poUtiteh-franzosische  Raillerie  à  la  mode  auf  dem  fooo- 
nirlichen  Schimpfs  Theatro  enutlieh  agirei  undaatyritch  belaeìiet,  eie.,  damit  die  Maulauf- 
aperrenden  kitzlichen  Gechen  etvoas  zu  lachen,  kriegen^  eie  ,  gedruekl  im  Schal0ahre  der 
narrischen  Welt.  1672,  in-18.  ~-  Una  copia  di  questo  rarissimo  libro,  che  trovasi  nella  bi- 
blioteca di  Berlino,  reca  nell'interno  della  legatura  la  seguente  annotazione:  Libri  fuluris 
nundinis  prodituri,  cioè  a  Francoforte  nel  catalogo  di  Natale  del  1876.  Contiene  del  resto 
una  satira  amara,  ma  non  molto  spiritosa,  delle  condizioni  politiche  e  civili  della  Germania 
d'allora.  La  composizione  sa  del  grottesco  e  arieggia  lo  stile  delle  satire  del  Fiscba&t 
(HuUrieh  EUopoacleroa  Reznem).  Bersaglia  la  moda  e  i  forestierumi,  lamenta  le  guerre 
presenti  e  la  disunione  intema  dell'Impero  tedesco  ;  esclama  ai  consiglieri  imperìali  :  «  Lasset 
auch  die  Kugel  (il  globulo,  una  delle  insegne  dell'  Impero)  kein  Spiel,  sondem  ein  FUrbild 
der  Reichs-Wohlfahrt  sein.  Bildet  in  unserem  hochsten  Haupte  die  Universal  Monar- 
chie nicht  durch  eine  falB'*he  Brille  fUr!»  ~-  E  per  dar  indizio  del  modo  di  rappicco  fra 
le  idee  dell'autore  e  il  machiavellismo,  rechiamo  il  passo  seguente  :  «  Reichthum  ist  besser  ala 
Armuth;  welche  letztere  doch  durch  die  subtile  Maehiavellische  Statisterei  gewiss  kommt». 
Nel  1875  comparve  a  Napoli  un  opuscolo  intitolato  :  Hegel  e  MachiaceUi,  ouia  la  Germania 
e  l'Italia  neUa  presente  lotta  religiotaj pensieri  d'un  giovine.  In  essa  l'autore  combatte 
la  moderna  idea  dello  Stato.  «  Vedremo,  egli  scrive,  la  parte  astratu,  teorica,  speculativa 
di  questa  idolatrìa  negli  insegnamenti  di  uno  fra  i  più  celebri  filosofi  alemanni,  troveremo 
la  parte  pratica  di  essa  nei  consigli  dati  al  suo  Principe  dal  secretarlo  della  repubblica. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MA  GHIA  VELLISMO.  53 

in  Russia  col  nullismo,  col  radicalismo  in  Svizzera,  o  con  quale 
altra  sia  mai  più  strana  e  nova  setta?  Se  i  progressi  della 
critica  e  l'amor  del  vero  bastassero  a  tenere  più  facilmente  gli 
uomini  nella  ragione  del  giusto,  sarebbe  a  credere  che  alle  cose 
si  potesse  cominciare  oramai  ad  attribuire  il  proprio  loro  nome, 
e  che  non  si  facesse  più  tanto  a  fidanza  coi  poco  analitici;  di  guisa 
che,  cognita  la  vita,  ben  esplorate  l'opere  del  Machiavelli, 
senz'animo  né  d'oppugnatori  a  ogni  costo,  né  d'apologisti  per 
proposito,  la  verità  intorno  a  lui  potesse  e  dirsi  e  credersi,  senza 
mestieri  d'armeggiar  più  oltre  coU'equivoco,  che  è  arma  vile, 
come  il  pugnale,  e  pericolosa  a  chi  l' impugna  del  pari  che  a 
chi  ne  riceve  i  colpi  e  a  chi  le  presta  il  fodero. 

Tuttavia  é  d'uopo  confessare  che,  a  chi  non  sappia  guar- 
darsi dal  considerare  gli  scritti  del  nostro  politico  fiorentino 
come  un  ricettario,  come  una  serie  di  precetti  schierati  in  bel- 

fiorentina;  e,  senza  sofisticare  inutilmente  sugli  intendimenti  che  ebbe  il  Machiavelli  (!), 
.  dovremo  riconoscere  che  i  snoi  precetti  farono  seguiti  e  praticati  dagli  nomini  politici  ita 
liant  a  danno  del  pontefice  e  della  Chiesa  cattolica,  non  altrimenti  che  le  teorie  di  Hegel 
sono  dai  politici  dell'  Impero  germanico  rivolte  allo  stesso  scopo  e  tradotta  nella  realtà  ». 
B  non  à  guari  uno  scrittore  di  versi  in  vernacolo  romanesco,  scriveva: 

y       «  Ce  vo  machiavellistmo,  fratello, 

Pe'  abbatene  der  papa  la  potenza  ». 

(Marini,  Cento  sonetti,  son.  19). 

In  Francia,  dagli  uomini  di  tranquillo  giudizio,  presto  si  giunse  a  discemere  quel  che 
nella  presente  costituzione  politica  d*  Italia  era  portato  dall'  idea  trasfusa  dentro  agli  scritti 
del  Machiavelli,  vale  a  dire  l'esercito  nazionale  rinnovellato,  un  re  militare  e  amatore  della 
patria,  l'unione  volontaria  delle  provincie  sotto  il  principato  d'un  solo,  l'abbassamento  della 
potestà  politica  de'  pontefici.  -  Cf.  Charles  db  Rémusat  (Notes  d'un  voyage  en  Italie,  nella 
Revue  des  deuac  mondes,  luglio  1861,  29  fase),  il  quale  cita  in  favore  della  tradizione  uni- 
taria in  Italia  «trois  hommes  qu'on  peut  en  croire  sur  l'Italie,  et  qui  ne  jugeaient  point 
en  po^tes  lyrìqnes  les  affaires  du  monde,  Macbiavel;  Napoléon  et  Rossi  ».  Paul  Dbltuv 
(Essai  sur  Machiavelf  Paris,  1867)  similmente  opina:  «  En  un  mot,  si  l'Europe  démocra- 
tique  se  constitue  conformément  à  ses  veritables  intéréts  et  aux  données  de  la  justice,  elle 
sera  constitue  selon  des  principes  émis  par  Machiavel  »  (pag.  513).  Victor  Poirbl,  nel- 
V Essai  sur  les  discours  de  Mctchiavel  avee  les  considérations  de  Ouiceiardini,  Parigi,  1869, 
aggiunge  :  «  Par  la  persistance  des  Italiens  de  tous  les  partis  à  réclamer  Rome  pour  ca- 
pitalOj  on  reconnait  qu'ils  s'inspirent  des  doctrines  de  Machiavel  ».  Tuttavia  le  intempe- 
ranze de' partigiani  sanno  petrificare  oltr'Alpe  il  cadavere  del  machiavellismo.  Il  Nourisson, 
nelle  osservazioni  in  seguito  alla  Memoria  dei  signor  Arminoaud,  La  Maison  de  Savoie  et 
les  Archives  de  Turin  (Cf.  Compte-rendus  des  séances  de  l'Académie  de  sciences  mor.  et 
poUtiq.)f  dopo  avere  segnalato,  a  proposito  del  libro  del  Lamaemora  (Un  po'  più  di  luce,  ecc.) 
•e  la  politique  du  Piémont  qui  en  méme  temps  et  de  toutes  mains  négocie  avec  la  Prusse, 
avec  la  Franco,  avec  l'Àutriche,  se  montrant  prét  à  tout,  pourvu  quo  le  succès  suive,  et 
traitant  la  paix  de  Villafranca  de  trahison  »,  trova  «  la  politique  de  la  Franco  enivrée, 
endormie,  étouffée  entro  les  cajoleries  ou  les  ofiVes  fallacieuses  d'une  diplomatie  machiaveU 
Uque  et  les  incitations  d'une  presse  aveuglée  ou  venale  ».  Un  abate,  T.  E.  (ex-aumoniér 
dans  l'armée  auxiliaire),  in  un  opuscolo  intitolato  La  main  de  l'homme  et  le  doigt  de  Dieu 
dans  les  malheurs  de  la  France  (Paris,  1871),  potè  scrivere:  «  La  revolution  modérée,  habile, 
sagace,  machiavelUque,  diaboliquement  sage^  a  été  vaincue  et  confondue  par  la  justice  di- 
vine dans  la  personne  et  dans  le  Oouvernement  de  Napoléon  III».  Forse  era  col  pensiero 
a  questo  machiavellismo  quando  il  generale  Trochu  accusava  della  caduta  della  Francia 
la  carruptìon  Ualienne.  E  questo  voleva  dire  sapersi  guardare  in  sono. 


Digitized  by 


Google 


54  INTRODUZIONE. 

l'ordine,  ma  senza  dipendenza  scientifica;  a  chi  non  li  pigli  tutti 
insieme,  non  li  riponga  in  armonia  con  tutto  il  rinascimento, 
non  sarà  facile  evitare  lo  sdrucciolo  e  afferrare  del  Machia- 
velli qualcosa  più  in  là  del  nome,  come  già  fecer  tanti  altri.  Ed 
è  indubitato  che  pel  falso  metodo  di  procedere  del  pregiudizio 
volgare,  donde  trasse  origine  il  machiavellismo,  sorse  il  pre- 
giudizio scientifico,  che  gli  fé'  trarre  lunghi  giorni  e  prosperi, 
e  gli  die,  come  diceva  il  Buonafede,  speranza  d' iìnmortalità.  Di 
questo  pregiudizio  scientifico  nacquero  gli  aniimachiavelli}  dei 
quali,  conosciuto  il  falso  punto  di  vista  da  cui  si  spiccarono,  e 
il  consentimento  universale  a  trovarli  fuor  di  logica,  non  ci 
brighiamo  qui  di  tenere  troppo  particolare  ragione. 

Di  questo  pregiudizio  nacquero  pure  quelle  inclinazioni  a 

1  n  libro  del  Gentillet  nella  versione  tedesca  fu  primieramente  intitolato  :  AntirMa' 
chiavellus,  das    ist  Regenlenltunst  und   Filrstenspiegel....  verteutachl  durch  Georg.  Ni- 
GBiNus  GiESSENSis.  Màmpelgardt,  sec.  ediz.,  1583.  -  BarlaeusC:   Dissertationes  de  bono 
principe,  adversus  N.  M.  suasorias,  quas  lihris  suis  de  principe,  Republica  aliisque  in- 
sparsit.  Amst.,  1633.  -  Philippi  Honorii:  Thesaurus  polUicus,  1617.  Francofurti,  pag.  527. 
«  Trattato  nel  quale  si  oppugna  et  confuta  la  ignominosa  opinione  di  Machiavello,  il  quale 
non  si  è  vergognato  dire  esser  lecito  ad  un  prencipe  mancar  di  parola,  ecc.  »  -  L'Allacci, 
nelle  Apes  urbanci^  (Roma,  1633,  pag.  80),  cita  un  discorso  inedito  di  Decio  Memmolo,  se- 
gretario di  papa  Paolo  V  «  contro  i  fautori  del  Machiavello  ».  -  Cf.  Isaaci  Schoocr,  philos. 
pracl.  prof.  pubb.  ordin.  et  histor.  natur.  extraordin.  h.  t.  universitalis  (Viadrinae)  re- 
ctoris  Disquisitiones  historico-poUticcte  XXV  ad  N.  M.  libr.  VII  historiae  florentinae  quas 
pubblice  in  auditorio  majori  tractavit  die  x  et  seq.  mài  an.    m.dc.lxxvi.  Francofurti  ad 
Oderam,  literis  Christophori   Zeitleri,  1676.  Combatte  in  queste  anche  il  libro  del  principe 
(disq.  i,  xi)  e  assegna  al  machiavellismo  un  aforismo  nuovo  :  «  Subditos  simpliciter  esse 
propter  magistratus.  -  Questi  trattati  furono  sconosciuti  al   Mohl  e  alPARTAun.  -  Pi- 
CHLRR  S.  :  Earamen  breve  decadis  dogmatum  pseudo-polUicorunCM.  N.  -  Fbustking  T.  H: 
De  Achitophelismo  N  M.  schediasma.  -  Wbiss  Oh.  :  Machiavellus  in  ili.  Augustei  calheé^a 
oratoria  exhibendus.  Leucop.,  1670.  -  Ch.  Peller  :  Politicus  sceìeratus  impugnatus  :  i.  e. 
Compendium  politices  nomtm  sub  schemate  «  hominis  politici  »  editum  illustratum.  No- 
rimb.,  1698.  -  Poi  le  tre  opere:  1.  Antimachiavel,  ou  essai  de  critique  sur  le  Prince  de 
Machiavel,  pubi,  par  monsieur  de  Voltaire,  à  la  Haye,  1740,  presso  van  Duren;  che  è  il 
primo  saggio  dello  scritto  di  Federico,  con  alcuni  cangiamenti  del  filosofo  francese.  2. Un'altra 
edizione  sotto  lo  stesso  titolo,  pubblicata  nell'anno  istesso  con  maggiori  variazioni  di  man 
del  Voltaire.  3.  Réfutation  du  Prince  de  M.,  ultimo  rimpasto   di  Federico  istesso,  non 
contento  dell'acconciatura  fatta  dal  Voltaire  al  suo  originale.  Nella  collezione  delle  opere 
di  lui  trovasi  impressa  nel  tomo  viii.  Manca  del  secondo  capitolo  che  andò  perduto  nel  ms. 
Di  questo  libro  giudicò  il  Mohl  :  «  Von  einer  eigentlichen  Widerlegung  Machiavelli's  ist 
aber  dabei  eigentlich  gar  keine  Rede,  vielmehr  ist  die  ganze  Arbeit  dea  Prinzens  ein  grosses 
Missverstandniss  ».  -  V.  Machiavel  und  Antimachiavell.  del  Trbndblbmbubg,  nei  Mo- 
natsberichte  der  Konigl.  Proeuss.  Aìtademie  der  Wissenschaften.  Berlin,  Januar,  1855.  - 
Nella  Correspondance  du  Prince  royal  de   Prusse   et  de  M.  de  Voltaire  (Oeuvres  com- 
plètes  de  Voltaire,  Paris  1829,  t.  iv)  si  ragiona  del   Machiavelli  e   dell' Antimachiavello 
nelle  lett.  50,  54,  56  (nella  quale  scrive  a  Federico  :  «s'il  daigne  écrire  contre  Machiavel, 
ce  sera  ApoUon  qui  écrasera  le  serpent  Pithon.)  84,  88,  01,  92,94,  97,  99,  99,  100,  103, 104, 
105,  107,  103,  UO,  111,  112,  113,  114  (e  in  questa  il  filosofo    francese   osserva:  «  quelque- 
fois   Machiavel    se  retranche   dans   un   terrain,   et   votre  altesse  rojale  le  bat  dans  un 
autre  »  ).  Nella  lettera  115  Federigo,  vedendo  il  padre  suo  presso  a  morte,  lamenta  di  do- 
versi trasportare  dai  suoi  ozi  studiosi  in  un  terrMio  : 

«  Scabreux,  raboteux,  difficile. 
De  machiavelUime  infecté  ». 
V.  Anche  le  lett.  116, 117, 118,  120, 121, 122  —  Nella  «  Correspondance  de  Voltaire  avec 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO,  55 

ravvicinare  e  confondere  quel  che  parve  sistema  del  Machia- 
velli con  sistemi  o  con  opinioni  d'antichi  filosofi  o  scrittori, 
che  si  avevano  in  uggia  e  sospetto':  così  Niccolò  taciteggiò 
scrivendo,  morendo  averroeggiò,  paganeggiò  con  tutta  la  sa- 
pienza gentilesca,  anzi,  a  detta  d'Enrico  Estienne,  si  portò  in 
seno  l'anima  di  Potino  istessa.^ 

I  nostri  tempi  meglio  solleciti  a  ben  comprendere  che  a 
stabilire  pronunciati,  spinsero  nell'arrfngo  elettissimi  ingegni, 
i  quali  ravvisando  nel  Segretario  fiorentino  tutta  l'importanza 
d'un  singolare  fenomeno  intellettuale  e  morale,  si  provarono 
con  mille  industrie  e  modi  di  porgerne,  a  forza  d'ipotesi,  la 
spiegazione  probabile.  Ma  quel  che  finora  ne  risultò  fu  una  ca- 
tena non  interrotta  di  studi,  un  prendere  e  un  riprendere  cia- 

Itroide  Prusse  *\eit.  5,  6,  7,8, 10, 11,  14,  80,22,  23,24,  25,  26,  28,  32,  92, 119, 122:  — V.  Réfie- 
xiontsur  VAntimachiavel  de  i740  par  l'abbé  de  Saint-Pierre.  Questi  accetta  le  opinioni  di 
Federico  di  Prussia,  ma  non  quella  per  cui  accusa  i  Francesi  di  leggerezza  e  mobilità,  alla 
quale  risponde  :  «  Le  roi  de  Prusse  a  nommé  quelque  part  aimable  la  nation  francése,  mais 
5*il  en  blàme  Tincostance  dans  ses  gouts,  c*est  quMl  ne  prend  pas  garde  qu'une  partie  des 
graces  et  des  agrémans  de  cotte  Nation  consiste  dans  cette  mobilité  et  catte  légéreté  qui 
fait  qua  Ton  trouve  tant  de  joliea  personnes  dans  une  seule  ».  -  Bouillé  :  Cotnmentaires 
politiques  et  historiques  sur  le  traile  du  Prince  de  Machiavel,  et  sur  l*Anti-Machiavel 
de  Frederic  IL  Paris,  1827.  -  Poi  ancora  Throdor  Bernhardt  :  3/.  '$  Buch  vom  Fursten 
und  Friederichs  des  grossen  Anlimachiavelli.  Braunschweig,  18&Ì;  il  quale  reca  nella  que- 
stione critica  ma^ior  luce  del  Mohl;  distingue  le  dottrine  del  M.  dal  machiavellismo,  e 
non  ammette  che  il  grande  politico  nostro  debba  ritenersi  prescindente  dalla  legge  morale  : 
«  Von  einer  Trennung  des  Sittlichen  und  Religiosen  kann  also  nicht  die  Rede  sein;  es  handelt 
sìch  fUr  uns  vielmehr  nur  darum,  einem  jedem,  unbeschadet  des  inneren  Zusammen  hanges 
beider  seine  eigenthUmliche  Sphàre  zu  wahren  ».  -  Fra  gli  antimachiavellici  sarebbero  per- 
tanto a  ridurre  tutti  quelli  che  errarono  per  lo  stosso  capo  accennato  dal  Voltaire  :  Tabate 
Pleoby  :  Riflexìons  sur  les  oeuvres  de  M.  nel  Droit  public  de  France^  Paris,  1769;  il  Ma- 
ziRBSf  op.  cit.;  il  St.  Hilaire:  PolUique  d'Aristote,  traduite  en  francais;  il  Morkllst: 
Mélange  de  lUtérature,  Paris,  1818,  t.  iv,  pag.  3i6.  -  Il  Raumbr:  Ueber  die  geschichtliche 
Entwickelung  der  Begriffe,  Recht,  Staat  und  Politik.  -  Kaltenrorn  .•  Die  Vorlanfer  dès 
Hugo  Grotius.  Leipzig,  1848,  pag.  112.  -  Rathbrt;  Influence  de  l'Italie  sur  les  lettres  fran- 
caises  depuis  le  XIII  siécle  jusqu'au  regne  de  Louis  X/r,  Paris  1853  in  cui  (pag.  129-150) 
si  tratta  del  Macchiavallismo.  Nourisson:  op.  cit.  -  Per  l'antimachiavellismo  vedi  anche 
i  capitoli  x-xni  del  libro  anonimo  Observations  générales  sur  les  intérAts  présenls  des  puis- 
sances.  Leipzig,  1738.  Secondo  il  Quérard  {Dictionnaire  des  anonymes)  ne  sarebbe  autore 
F.  A.  Chevrier. 

»  Hbnr.  Stbphani,  Principum  Monitrix  Musa,  Basilea,  1590,  asma  viri,  pag.  252. 

«  Nefanda  visus  est  tibi  loqui 
Photinua  ille  Aegyptius,  quum  diceret 
Sceptris  perire  vim  suam,  ai  sceptrìfer 
Velit  esse  justus,  esse  si  pius  velit  : 
At  laudet  aliquis  qui  Machiavelista  sit. 
Et  Inter  illos  laurea  dignissimus 
Habeatur  ille  qui  loquatur  talia. 
Nec  miror,  ipso  nam  Machiavelus  fuit 
Photinus  alter;  quodque  volvo  pectore 
Expectorare  si  mihi  concaditur 
Hujus  animam  migrasse  Photini  reor 
In  corpus  illius;  fribuenda  si  sopho 
Samio  fides  est  sic  meare  in  corpora 
Alia  animas;  mora  a  suis  quas  solverit  »  ecc. 


Digitized  by 


Google 


56  INTRODUZIONE. 

scuno  le  idee  degli  altri  dal  Bodin  al  Lipsie,  dal  Peller  allo 
Scioppio,  dal  Matter,  che  lo  ragguaglia  e  lo  fa  concorde  col 
Pomponazzi,  allo  Sclopis  che,  appaiandolo  col  Montesquieu, 
aiuta  a  riconoscere  l'uomo  di  scienza  in  colui  che  parea  solo 
uom  di  pratica  e  d'arte  ;  dal  Leo,  che  gli  niega  che  mai  si  pro- 
ponesse la  liberazione  dell'Italia  dai  barbari,  al  Bluntschli,  al 
Trendelenburg,  al  Gervinus,  al  Ranke,  al  Vannucci,  al  Ma- 
caulay,  al  Zambelli,  al  Giambelli,  al  Manzoni,  al  Mancini,  a 
tutti  i  moderni  che  glielo  provano,  seguitando  sempre  a  cor- 
reggere e  rettificare  l'uno  il  giudizio  dell'altro;  ^  tanto  che  il 

*  Tra  i  difensori  del  M.  s'accampano  :  Oiusto  Lipsio  :  PolilicoruiA^  libri  vi.  -  Bacone  : 
De  augumento  scient.y  vii,  2.  -  Jac.  Frid.  KEiMxnìijHistoria universali»  atheismiet  atfieorutn 
falso  suspectorum.  Hildesìae  11^5,  cap.  rv,  pag.  353  e  seg.  -  Wicquefobt  :  L'ambassadeur  et 
ses  fonclionSj  i,  1.  -  àmblot  db  la  Houssaye,  nella  pref.  alla  traduz.  del  PtHncipe.  -  Morhof: 
Polyhialor,  v.  i,  10.  -  Jacobi:  Werìte^  voi.  n,  p.  334.  -  l\  Conte  Radicati:  Discours  moraux, 
historiques  et  politiques.  -  Rayne^al:  InslUulions  du  droit  de  la  nature  et  des  gens. 
Paris,  1833,  voi.  ii,  pag.  175.  -  Rousseau:  Conlract social^  e.  6, 1.  iii.  -  Alfieri:  Del  Prin- 
cipe e  delle  lettere.  -  M.  Ridolfi:  Pensieri  intorno  allo  scopo  di  N.  M.  nel  libro  il  Prin- 
cipe -  Zibardini:  Italia  letteraria  ed  artistica.  Parigi,  1S50,  p.  314.  -Ebbling:  N.  di  Ber- 
nardo Machiavelli' s  politisches  System  zum  erstenmal  dargeslellt  und  biographisch^ 
literarisch  und  ìtritisch  begrundet.  2^  ediz.  Berlino  1856.  -  Buhle:  Geschichte  der  Phi- 
losophie,  voi.  Il,  pag.  929  e  seg.  -  Baldelli:  Elogio  di  N.  M.  -  Corrado  Perriconb,  Su 
N.  M.  Considerazioni.  Siracusa,  1871.  -  Splendidamente  a  difesa  delle  opere  del  Segretario, 
e  a  confutazione  del  Machiavellismo,  scrisse  I.  F.  Christius:  De  N.  Machiavello^  libri 
tres,  Lips.  et  Halae,  1734.  -  G.  Cap^el:  nella  dedica  al  Bertrand  della  traduzione  del 
Principe.  -  Gaspare  Schopp  :  Paedia  polilices  sive  suppetiae  logicae  scriptoribus  politicis 
latae.  Romae,  1623.  Lo  Scioppio  prese  a  scrivere  la  sua  Machiavellica  nel  1618.  V.  nel* 
l'Appendice,  al  n.  1,  le  lettere  e  gli  estratti  di  lettere  dello  Scioppio  a  Giov.  Fabbb 
da  Bamberga,  dalle  quali  è  palese  il  fine  che  lo  Scioppio  propone  vasi  alla  sua  apologia, 
e  r  aiuto ,  che  domandava  per  questa  al  segretario  dell'accademia  de*  Lincei.  -  Conring 
Herman  :  N.  M.  Princeps  cum  animadversionibus  politicis  ^  accedit  Vita  Castrucci  et 
Dux  Valentinus.  -  Drbux  du  Radier.  Nella  sua  traduzione  della  vita  di  Castruccio.  Lo 
Jocher,  neW Allgemeines  Qelehrten-LexiHon  (art.  Machiavellus)  cita  fra  le  opere  di  lui: 
Epistolam  apologeticam  prò  se  et  scriptis  suis,  la  quale,  insieme  ad  un  altro  scritto  attri- 
buito al  M.  medesimo,  fu  stampata  in  Haag  nel  1726.  Quest'apologia  ci  venne  fatto  di  trovar 
manoscritta  fra  le  carte  dell'ALj^ACCi  nella  Biblioteca  Vallicelliana  (voi.  xxxvi).  Essa  è 
intitolata  :  Confutatio  accusalionum  Machiavello  datarum  ab  ipso  Machiavello  composita, 
ut  patet  ex  pagina  signata  ubi  dicit  «  postremis  bisce  meis  verbis,  et  quoniam  apographum 
operis  non  erat  integrum,  reperto  ab  Allatio  autographo,  manu  sua  integrum  exemplum  red- 
didit  ».  -  Questo  titolo  è  erroneo,  come  erronee  tutte  le  notizie  accumulatevi.  Lo  scritto  non 
è  autografo  del  Machiavelli,  né  potrebbe  essere,  trattandovisi  di  persone  e  di  cose  che, 
lui  vivo,  non  furono.  Né  potè  l'Allacci  pertanto  usar  altro  autografo  a  completare  l'apo- 
grafo manchevole  ;  sibbene  dalla  pag.  17  alla  39  (linea  8)  di  questa  apologia  tutto  é  scrit- 
tura di  mano  dell* Allacci,  ed  anche  le  citazioni  dal  greco  inserte  alla  pag.  13  son  per  certo 
della  mano  di  lui.  Tanto  che  noi  inclineremmo  a  credere  che  tutta  questa  apologia,  la 
pregevolissima  sopra  quante  altre  ne  esistano  del  M.,  e  la  più  acuta  e  sottile,  sia  pretta 
composizione  del  dotto  bibliotecario  da  Scio,  il  quale  sotto  quelle  false  indicazioni  causò 
i  pericoli  della  difesa  assunta,  e  trovò  anche  modo  di  sfuggire  alla  responsabilità  dell'in- 
ganno, scrivendo  dopo  Taccusa  contro  il  nostro  politico,  al  capo  xviii  «ejus  confutatio  sub 
persona  Machiavelli  ».  -  Basti  a  saggio  dell'ottima  critica  di  questo  scritto  recar  in  mezzo 
le  seguenti  parole  intomo  al  libro  del  Principe:  «  Intolerabilis  igitur  est  accusatorum 
ineorum  calumnia,  cum  quae  ego  manifeste  novo  principi  praescripsi,  iis  me  quemcumqae 
principem-imbuere  velie  clamitant  ».  -  L'Artaud  non  ebbe  notizia  di  questo  manoscritto; 
dell'edizione  fattane  ad  Haag,  e  citata  dallo  Jocher,  né  egli  né  il  Mohl  'ragguagliano, 
né  ne  tengon  parola  il  Brunbt,  il  Quérard  e  i  recenti  bibliografi,  né  a  noi  riuscì  accertare 
che  esista.  -  Oltre  l'apologia  dello  Scioppio,  nota  1'  Artaud  quella  manoscritta  della  Bi- 


ì 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIA  VELLISMO.  57 

Mohl,  dopo  aver  percorso  tutte  le  opinioni  cui  detter  luogo  i 
gravi  problemi  di  filosofia  morale,  naturale  e  politica  messi  in 
campo  dagli  scritti  di  Niccolò,  trova  esser  buona  mortificazione 
all'intelletto  degli  uomini  e  all'acume  della  loro  critica  che 
solo  adesso,  dopo  molti  e  molti  anni;  solo  adesso,  dopo  secoli 
d'errori  tra  mezze  verità  e  spropositi  e  falsità  intere,  siasi  giunti 
ad  avvisare  quale  sia  il  punto  vero  di  veduta  e  l'unico  ban- 
dolo possibile  per  provarsi  a  sciogliere  un  enigma,  che  sarebbe 
stato  degno  della  sfinge  d' Edipo.  E  il  vero  punto  di  vista  con- 
sisteva, secondo  il  Mohl,  nel  pigliare  tutti  insieme  gli  scritti 

hhothéque  du  roi,  n.  7109,  in-folio,  che  attribuisce  al  Naudì  (V.  op.  cit.,  cap.  xltiii).  - 
Da  una  scheda  del  Bandini  alla  Marucelllana  {Oputeola  et  memorabilia  ab  anno  1740 
ad  1769)  rilevammo  :  «  Un'altra  apologia  scritta  da  Pietro  Pietri,  danzicano,  assicura  di 
aver  letto  Ant.  Magliabecchi  nelle  sue  schede  in  vni  lett.  M.  che  era  del  dottor  Adamo 
Luciano  di  Rotenano  ».  -  Avvocato  del  M.  volle  farsi  I'Abtaud,  e  ordinai^li  processo  e 
sommario;  ma,  malgrado  molte  minuzie  nelle  osservazioni,  fu  male  informato  e  non  bene 
accorto  nell'opera  sua.  A  proposito  del  suo  Machiavelf  son  genie  et  sea  erreurs,  Paris,  1833, 
il  MoBL  esclamò  :  «  Gott  bewahare  leden  vor  einfKltigen  Freunden  ».  V.  anche  attorno  al- 
l'opera citata  la  recensione  del  Orbvinus  :  Oesammelte  hhtorische  Schriften.  Leipzig,  1839, 
pag.  557.  -  Tra  gli  autori  di  paralleli  fra  Machiavelli  e  altri  scrittori  vedi  Venedet  :  Ma- 
ckiavel,  Montesquieu,  Rousseau,  voi.  i,  Berlin,  1850.  II  Venedet  crede  il  M.  d'assai  ri- 
stretta intelligenza;  scopo  del  libro  del  Principe  gli  sembra  la  misera  questua  d'un  im- 
piego. -  Federico  Sclopis:  Montesquieu  et  Machiavel  (Revue  histor.  du  droit  francai», 
Paris,  1856,  pag.  15  e  seguenti).  In  questo  breve  saggio  il  chiarissimo  autore  osserva  che 
Niccolò  seppe  penetrare  tutti  i  segreti  politici  del  suo  tempo,  e  che  Montesquieu,  meglio 
di  lui,  ebbe  presagio  dell'avvenire.  Il  Macaulat,  nel  suo  bellissimo  saggio  sopra  M.,  scrive: 
«  Machiavelli  erra  only  because  his  experìence,  acquired  in  a  very  peculiar  state  of  so- 
ciety, could  not  always .  enable  him  to  calculate  the  eifeet  of  institutions  differing  from 
those  of  which  he  had  observed  the  operation.  Montesquieu  errs,  because  he  has  a  fine 
thing  to  say,  and  is  resolved  to  say  it  »,  ecc.  -  Il  Mattbr  (Histoire  des  doctrines  morales 
et  politiques  des  trois  dernières  siècles,  t.  i,  pag.  30  e  31)  mette  accanto  il  Pomponazzi  e  il 
Machiavelli,  e  giudica  che  cosi  l'uno  emancipò  la  filosofia  come  l'altro  la  politica.  -  Il 
Pebbi,  nella  Revue  des  Cours  littéraires  de  la  France  et  de  l'étranger,  89  juillet  1865  «  Ari- 
Uote  et  Machiavel  »,  osserva  che  «  l'un  fonde  ou  du  moins  organise  la  science  politique  sur  de 
nouvelles  bases,  l'autre  se  sert  d'une  science  faite  pour  composer  un  art  nouveau  ».  -  Del- 
l'opinione che  il  M.  nel  libro  del  Principe  tentasse  una  satira,  furono  :  il  Brukeb:  Historia  cri- 
tica philosophiae,  voi.  iv,  2,  pag.  790  e  seg.  ;  Robinbt:  Pref.  al  Diclionnaire  universel  des 
Sciences  morales,  économiques;  Lrrminier:  Philosophie  du  droit;  Gohoby  :  nella  Vita  di  I^.  Jf., 
premessa  alla  traduzione  del  Principe  (Parigi,  1571),  lo  suppone  una  satira  della  politica  di 
Carlo  V.  Grossolano  errore  di  cronologia  e  di  critica.  -  Giudicano  che  la  polìtica  del  M.  pre- 
scìnda dalla  morale  il  Wolp  :  Ueber  den  Fursten  des  N.  M.  Berlin,  181^;  il  Fbanck  A.  :  Notice 
sur  M,  [Séances  et  travaux  de  VAcadémie  des  scences  mor.  etpolit.,  1855,  v.  xxvi,  p.  27-63); 
Ma>'ciki  P.  S:  M.e  la  sua  'dottrina  politica.  Torino,  1852.  -  Blui^tschli:  Oeschichte  des  Stad- 
trechts  und  der  PolUih,  capo  i.  Lo  ripigliano  di  errori  storici  il  D'Albmbebt,  1.  e;  il  Febbabx, 
1.  e.  ;  il  Manzoni,  1.  e.  ;  il  Gibson,  1.  e.  ;  I'Ammibato  (v.  lib.  ni,  e.  v).  Contro  gli  appunti  del  Man- 
zoni piglia  a  difènderlo  il  Giambelli  :  Saggio  critico  e  filosofico  intorno  a  N.  M.  Torino,  1867, 
estratto  dal  giornale  «  {{  Oerdil.  »  -  Al  saggio  del  Macaulay  risponde  il  saggio  del  prof.  Zam- 
BBLLi,  premesso  all'ediz.  fior,  del  Principe  e  dei  Discorsi.  1843,  I^e  Mounier.  Vedi  anche 
Hume:  Essays  and  treatises.  London,  1748,  p.  20-91,  voi.  i;  p.  441-262,  voi.  ii.  -  Secondo 
le  opinioni  filosofiche,  fu  riguardato  il  Machiavelli  per  epicureo  dal  Campanella,  dal  Bbukbb, 
dal  Buonafede  (opere  cit.);  per  ateo  dal  Moller.  Atheismus  devictus,  e.  ii,  p.  16,  dal 
Bayle.  Dict.  philos,  dal  Raynaud  in  Erotem.  de  bonis  et  malis  libris,  p.  27,  dal  Buddeo, 
de  Ateismo,  e.  i,  8  24,  p.  132,  dal  Vanini  neìV Amphitheatrum  aeternae  provid  Exercit.  vi, 
p.  35  et  seg.  che  l'appaia  col  Pomponazzi;  per  spinozista  dal  RrrrBB  {Geschichte  der 
neueren  Philosophie,  lib.  i,  cap.  in)  e  dall'autore  dell'articolo  Machiavelli  und  der  Qedanhe 
der  Allgemeinen  Wehrpfiicht  nel  Deutsche  Monatshefte,  1876  (voi.  vii,  fase.  &>,  p.  424-25). 


Digitized  by 


Google 


58  INTRODUZIONE. 

del  Segretario,  nel  ragguagliarli  e  comporli  tra  loro  in  ma- 
niera, da  ricostruire  la  storia  della  mente  che  li  pensò  e  li 
formò.  Ma,  fatto  pur  tutto  questo,  poteva  egli  dirsi  d'essere 

n  Fbrbi^  nella  Nuova  Antologia  (30  settembre  1873),  scrive  di  lui  :  «  Al  certo  io  non  credo 
errare  affermando,  e  non  mi  par  difficile  di  provarlo,  che  sei  sono  i  fondatori  del  metodo  spe- 
rimentale nella  scienza  della  natura  e  dello  spirito  ;  due  ne'  tempi  antichi,  Ippocrate,  cioè,  ed 
Aristotele;  due  nella  Rinascenza,  il  Vinci  ed  il  Machiavelli;  due  ne*  tempi  moderni,  Ga- 
lileo e  Bacone  ».  Per  naturalista  lo  designa  il  Twbstbn,  Machiavelj  traduit  avec  autoriza- 
tion  par  Dibtz  {Revue  des  cours  littéraires^  186S,  n.  32)  :  «  Semblable  aux  philosophes  nar 
turalistes  de  l'Italie  ou  à  Bacon,  il  bàtit  son  syst^me  sur  des  principes  qui  ne  sont  qu'à  lui, 
et  cela  d'après  les  règie»  des  sciences  exactea  »  (pag.  519).  -  Il  pregiudizio  clericale.de' tempi 
nostri,  come  vedemmo,  lo  ragguagliò  anche  all'Hegel.  Il  Castelnau  (nella  P/itto«oj)Wtf  po- 
silivey  anno  x,  luglio-agosto  1877),  considerando  la  Faune  politique  et  Machiavelf  ce  lo  dà  per 
positivista.  -  Come  pagano  lo  indicarono  lo  Schlegel:  Geschichte  deralten  und  neuen  Litt^ 
ratur;  il  Fichte  :  Ueber  M.  al$  Schriftsteller  und  Stellen  aus  seinen  Schriften  (opp.,v.  xi); 
il  Fbappobti;  Sugli  intendimenti  di  N.  M.  nello  scrivere  il  principe,  Vicenza,  1856,  ^  ediz., 
che  scrisse  (pag.  46)  :  «  il  Machiavelli  sembra  un'anima  pagana  gettata  per  caso  attraverso 
i  secoli  cristiani.  -  Il  Gioda  :  Machiavelli  e  le  sue  opere.  Firenze,  1874;  il  Tedeschi,  che  nel 
suo  articolo  Machiavelli  e  la  critica  storica  (V.  Rivista  Europea,  1874,  p.  302-307)  lo  fa  pa- 
gano cristianeggiante.  Lo  Schopenhauer  (Zur  Rechtslehre  und  Politikj  a.  259,  §  125)  con- 
siglia ai  popoli  conquistatori  che  velano  le  loro  ruberie  con  pretesti,  alfermando  di  levar  l'armi 
ciascuno  per  la  propria  difesa  :  «  statt  aber  die  Sache  mit  òlfentlichen,  officiellen  LUgen  za 
bescbònigen,  die  fast  noch  mehr,  alse  jene  selbst,  empòren,  soUten  sie  sich  frech  und  frei, 
auf  die  Lehre  des  Machiavelli  berufen.  »  E  aggiunge  che  il  princìpio  machiavellico  de'con- 
quistatori,  opposto  a  quello  che  regola  la  morale  fra  singoli  individui,  debba  sonare  :  «  qnod 
tibi  fieri  non  vis,  id  alteri  tu  feceris.  »  -  Escludono  che  il  M.  abbia  caldeggiato  l'unità  d'Italia 
e  sia  istitutore  della  politica  nazionale:  Gaspare  Amico,  La  vita  di  N  M.,  commentario  storico- 
critico.  Firenze,  1875;  il  Fauerlein,  Zur  M.  Froge  nella.  Historische Zeitschrifl,  voi.  xix,  1868; 
Diomede  Lojacono,  La  filosofia  della  storia  nel  M.  Napoli,  1878.  -  Risguardarono  più  parti- 
colarmente il  Segretario  fiorentino  come  diplomatico  :  il  Prescott  {History  of  Ferdinand  and 
Isabella,  p.  ii,  e.  i,  p.  257),  il  quale  afferma  che  le  swe  legazioni  possono  risguardarsi  «  as  the 
inost  complete  manual  of  diplomacy  a&it  existed  at  the  beginning  of  the  sixteenth  century».- 
Emilb  Gebhart,  L'honnèteté  diplomalique  de  N.  M.  (Séances  et  travaux  de  VAcad.  des 
seiences  mor.  et  polii.  Février  1877,  2o  fase.)  -  E.  Heidbnheimer,  M.  's  erste  rómische  Lega- 
tion,  ein  Beitrag  zur  Beleuchtung  seiner  gesandschaftlichen  Thatigkeit.  Darrostad,  1878.- 
Lo  considerarono  come  scrittore  d'economia  politica  :  il  Pecchio,  Storia  della  economia  fìoU- 
tica  in  Italia,  Introd.  ;  il  Knibss,  M.,  als  VolksunrthschaftlicherSchriftsteller  nella  Zeitschrift 
fùr  die  gesammte  Staat»wissenschaft.  Tiibingen,  1852,  2  e  3  fascicolo.  -  E  più  particolarmente 
come  storico  e  come  politico  :  lo  Star  Numan,  Diatribe  acad.  in  N.  M.  opusculum  del  Prin- 
cipe. Traj.  ad  Rh.,  1833.  -  Rbbbbro,  Introd.  alla  versione  del  Principe  -  voi.  2»,  pag.  302.  - 
Buchholz  F.,  Ueber  N.  M.  's  Fursten,  nella  Monatschrift.  fur  Deutschland.  Berlin,  1823, 
Rankb  L.,  Zur  Kritik  der  neuerer  Geschitschreiber.  Leipzig,  1824;  con  un'appendice  attorno 
al  M.  assai  accurata.  -GtERvnivs,Zur  Florentinische  historiographie.^ìenj  1871.  Come  perito 
d'arte  militare:  il  Maffbi,  Verona  illustrata,  p.  ni,  e.  v,  p.  118;  il  Mariki,  Biblioteca  di 
fortificazione,  pag.  58;  I'Algarotti,  Opere,  voi.  v  ;  il  Promis,  Dell'arte  dell'ingegnere  e  del- 
l'artigliere in  Italia,  pag.  59  e  seg.  Tolsero  solo  ad  esaminare  le  Considerazioni  intomo  aUa 
deche  di  Livio,  il  Gucciardini,  {Opp.  inedite,  voi.  i,  Firenze,  1857),  V.  Poibel,  Essai  sur 
les  discours  de  Machiavel  avec  les  considerations  de  Guicciardini,  Paris,  1869,  G.  Ricci, 
Osservaz.  sui  discorsi  di  N.  M.  Sopra  la  prima  Deca  de  T.  Livio,  Civitanova,  Marche,  1876, 
il  quale  scrisse  prima  di  saper  che  esistessero  le  considerazioni  del  Guicciardini.  -  Dal 
lato  filologico  particolarmente  l'esaminano  il  Bonghi  :  Perchè  la  letteratura  italiana  non 
sia  popolare  in  Italia,  lez.  xxii  ;  il  quale  lo  trova  ottimo  fra  gli  scrittori.  Per  converso 
l'autore  anonimo  dell'opuscolo  intitolato  Fragment  de  Vexamen  du  Prince  de  3/.,  où  il 
est  traile  des  confidens,  ministres  et  consHllers  particuliers  des  princes.  Paris,  1622  (il 
MoHL,  secondo  l'opinione  del  Grabssb,  crede  abbia  avuto  nome  De-Hérault)  lo  trova  scrit- 
tore oscuro,  contorto,  contraddittorio.  V.  Machiavelli  e  le  lettere  greche,  pel  prof.  Trian- 
TAFiLLis,  Venezia,  1875,  e  poscia  lo  Studio  sulla  vita  di  Castruccio  Castracani  del  mede- 
simo autore,  pubblicato  nelV Archivio  veneto  (tom.  x,  1875,  pag.  177-192);  e  finalmente  i  suoi 
Nuovi  studi  Su  N.  M.  «  Il  Principe  »,  Venezia,  1878;  ne' quali  opuscoli  il  prof.  Triantafillis 
assevera  che  il  M.  non  solo  trasse  di  prima  mano  dal  greco,  da  Isocrate,  cioè,  da  Polibio,  da 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  50 

arrivati  a  fermare  qualcosa  di  determinato,  di  preciso,  di  certo 
circa  l'entità  storica  e  filosofica  del  nostro  Niccolò?  era  possi- 
bile che  quel  primo  pregiudizio  scientifico   originato  dal  ma- 

Diodoro  Siculo  e  soprattutto  dalle  raccolte  bisantine,  e  dal  Porflrogenito  in  ispecie,  idee  ed 
eaempi  per  gli  scritti  suoi,  ma  soventi  volte  tradusse,  e  quasi  quasi  a  parola,  tanto  che 
persino  la  bella  esortazione  a  liberar  V  Italia  da*  barbari  che  conchiude  il  libro  del  Prit^ 
ci}M,  gli  sembra  imitazione  pur  quella,  e  da  Isocrate,  della  perorazione  deirorazione  a  Filippo. 
It* AUgBmeine  Zeilung  (1878,  n.  188,  189)  pesò  con  grande  giustezza  le  asserzioni  del  Tbun- 
TAFiLLis  e  ridusse  a* suoi  veri  termini  1*  importanza  della  questione,  giudicando:  «  Ueberall 
wo  es  sich  um  Àeusserlichkeiten  handelt  ist  der  Neugrieche  im  Recht,  aber  seine  Schluss^ 
folgerungen  werden  durch  die  Vorgefasstheit  seiner  Meinungen  oft  getrUbt».  -  Nelle  relazioni 
domestiche  il  M.  fu  difeso  dal  Giampiebi,  N.  M.  e  Marietta  Corsini  nei  monumenli  del 
giardino  Puccini.  -  L'Amico  cita  un  opuscolo  del  Maini  :  N.  M.  in  Carpi,  che  non  ci  fu 
reperibile  -  Trattati  generali  che  riguardano  particolarmente  in  alcuna  maniera  il  Segre- 
tario fiorentino:  Wblckbr,  Staatslearicon,  art.  moral,  voi.  ix,  sec.  ediz.  -  Roscoe,  Th€ 
Ufe  and  pontificate  of  Leo  X,  voi.  29 ^  p.  291.  London,  1872.  -  Raumbr,  1.  c.  -  Hoffman,  OFu- 
tre»,  Paris,  v.  ix,  p.  201-209.  -  Hallam,  Lilterature  of  Europe.  Paris,  voi.  i,  p.  316.  - 
ScHLBOEL  Fr.,  Geschichte  der  alten  und  nenen  Literatur.  -  Blachby  R.  History  of  politicai 
literature  -  Nonvelles  de  la  rep.  des  lettres.  Janvier  1697,  p.  99.  -  Sismondi,  Hiitoire  de  la 
Uttérature  du  midi  de  l'Europe,  Paris,  1813,  voi.  n,  222-230.  -  Qinouéné,  Histoire  littéraire 
d'Italie^  voi.  viii,  p.  1-184.  -  Romaonosi,  DelV  indole  e  fattori  dall'incivilimento,  parie  n, 
8  3.  -  QuiNÉT,  Bévolutions  d'Italie,  ii.  1.  Paris,  1851,  p.  94-157.  -  VorlaendbbF.  Geschichte 
der  philosophischen  Moral  Rechls-und  Staatalehre  der  Englander  und  Franzosen  mit 
Emtchluss  Machiavelli'».  Marburg,  1855,  p.  88-135.  -  Tiraboscui,  Storia  della  Ietterai,  ital.y 
t,  vii,  par.  2,  p..580.  -  Emiliani  Giudici,  Storia  della  letteratura  «ai.,  lez.  xi,  p.  14-40.  - 
Sbttbmbbini,  Lezioni  di  letteratura  italiana,  1875,  voi.  ii,  p.  133-148.  -  Db  Sanctis,  Storia 
deUa  letteratura  it.,  1873,  p.  63-125.  -  Rbumont,  Storia  della  diplomazia  in  Italia.  - 
Hn«BiCHS  H.,  F.  W.  Enticichelungsgeschichte  des  Konigsthums.  Leipzig,  1852.  -  Dohm  Oh. 
W.,  Denkuìurdigheiten  meiner  Zeit  voi.  iv,  p.  89-113.  -  Fblb  I.,  Ueber  die  Entwichelung 
und  der  Einflusa  der  politischen  Theorien.  Insbruck,  1854.  -  Dantibb,  L'Italie,  Études 
historiquesj  Paris  1873.  -Burckhardt.  Die  Cultur  der  Renaissance  in  Italien,  Leipzig. 
1S69,  p.  78.  -  Symonds  :  Renaissance  in  Italy,  The  age  of  the  despots,  p.  238  e  seguenti. 

-  BbUKTSCHLi:  Geschichte  des  Allgemeinen  Statsrechts  und  der  PoUtik.  Monaco,  1867  (6-15). 

-  Eduard  Wiss,  Aus  der  Kulturgeschichte  von  Florenz.  Berlin,  18T7,  p.  110  e  seguenti. 
Nella  quale  opera  l'autore, dipingendo  Niccolò  come  un  «  tragischen  charakter,  eine  zwiesp&l- 
tige,  halb  Faustische,  halbe  Mephistische  Natur  »,  dà  prova  di  comprender  poco  di  Faust 
e  punto  del  Machiavelli.  -  W.  Windblband,  die  Geschichte  der  neueren  Philosophie  in 
ihrem  Zusammenhang  mit  der  allgemeinen  Cultur  und  den  besonderen  Wissenschaften. 
Leipzig,  1878,  p.  31-32.  -  0.  Schirrbn,  Ueber  Machiavelli,  Rede  beim  Antritt  des  Rectorats 
an  den  k&n.  UniversUàt  tu  Kiel,  Kiel,  1878. 

Scrissero  la  vita  del  M.:  Paolo  Giovio,  Elogio.  -  Varillas  A.,  Histoire  secrèle  de  la 
maison  de  Medicis.  -  Nbgbi,  Istoria  degli  scrittori  fiorenlini.  -  Giuliano  db'  Ricci,  prio- 
rato, quartiere  di  S.  Spirito,  p.  166,  parte  edita  dal  Bandini  (Collectio  vet.  aliquot  monum.) 
Bayle,  dict  art.  Machiavel  •  Sysceìlcb  C.  L.,  Vitae  et  scripta  magnorum  Icltorum,  voi.  m. 
p.  72-92  «iV.  Machiavellus.  Ictus,  Duci  Borgiae  a  literis  secretioribus,  reip.  Fiorentina^  histo- 
riographusatquesecretarius.-CBBisr.  I.  F.,  DeN.  M.,  libri  tres.  Lipsiae,  1731.-Nbori,  ^crtf- 
tori  fiorentini,  p.  426.  -  A.  M.  Bandini.  Collectio  vet.  aliquot  monum.  Arroti,  1752,  p.  xxviii 
e  seg.  -  Baldelli.  Elogio  di  N.  M.  -  Serie  d'elogi  e  ritratti  d'uomini  illustri  toscani.  V.  Plu- 
tarco italiano:  Vite  d'eccellenti  italiani,  per  Fr.  Lomonaco,  t.  i,  Lugano,  1836.  -  Pbriés,  in- 
nanzi alla  sua  versione  francese  delle  opere  del  M.,  voi.  i,  i-xlvi:  Biographie  universelle, 
voi.  XXVI,  p.  49-62.  -  Foscolo,  Della  patria,  della  vita^  degli  scritti  e  della  fama  di  N.  M., 
commentari  storico-crìtici,  v.  ii,  Prose  letterarie.  Firenze,  1850.  -  G.  B.  Niccolini,  innanzi  a 
parecchie  edizioni  delle  opere  del  M.,  brevi  cenni  che  concludono,  contro  il  Roscob  che  avea 
negato  che  Niccolò  fosse  un  uomo  di  genio,  rispondendo  con  un  sorriso;  come  il  Bboolio 
(  Vita  di  Federico  II,  t.  ii,  1.  ix,  cap.  n,  p.  356)  contro  il  CARLTLB,che  con  un  piglio  da  Dryaa- 
dMtt  avea  gittate  là  l'autore  del  Principe  come:  «this  little  N.  M.  and  his  perverse  little  hook  » 
e  qualificatolo  per  autore  che  si  legge  solo  «  by  compulsion  »  (Carltlb,  History  of  Fre- 
deric  II  of  Prussia,  lib.  x,  e.  vi,  t.  v).  -  K.  Frbnzbl,  Dichter  und  Frauen,  t.  ii,  72-138. 
Hannover,  1860,  il  quale  celebra  Niccolò  «  als  unter  der  miichtigen  Geister  der  italischen 
Erde  der  machigste  ».  -  Prof.  I.  Macun,  N.  M,  als  Dichter,  HistorxKer  und  Staatsmann.  Graz, 


Digitized  by 


Google 


60  INTRODUZIONE. 

chiaTellismo  non  influisse  per  nulla  verso  la  dirittura  critica 
che  la  scienza  sincera  mirava  a  prendere  nel  disaminare  il 
pensiero  del  Machiavelli  ?  quell'Aristotele,  queir  Alessandro 
d'Afrodisia,  quell'Averroe,  quel  Tacito,  quella  civiltà  pagana 
che  avevano  dato  ombra  ed  appicco  al  pregiudizio  agguerrito, 
era  possibile  che  non  adombrassero  per  nulla  il  campo  della 
ricerca  spassionata  e  metodica,  e  non  la  costringessero  per  lo 
meno  a  ventilare  dubbi,  a  rinnovare  riscontri,  affermazioni, 
che  prima  erano  state  frutto  di  livore  o  di  paura  ?  era  possi- 
bile che  non  conducessero  -ad  ipotesi  per  cui,  con  certe  scap- 
patoie dell'ingegno,  si  procurasse  di  salvar  l'intelletto  senza 
offendere  il  sentimento  pregiudicato?  e  poi,  l'ambiente  scien- 
tifico e  letterario  d'ogni  secolo  non  seduce  esso  medesimo 
tanto  da  menare  gli  uomini  a  ricercare   ne' tempi  addietro  i 

trova  che  Tidea  di  nazionalità,  diffusa  dall' Hbrhbr,  dalla  rivoluzione  di  Francia  e  indi- 
rettamente da  Napoleone  molto  giovò  a  far  meglio  intendere  le  dottrine  del  politico  italiano. 

-  Abtaud,  op.  cit.  -  Reumont,  Zur  Charakteristih  M.  's,  nei  Blatter  fur  lUterarische  Un- 
terhaltung,  1850,  p.  E35.  -  Vanndcci,  op.  cit.  -  Gbbvinds,  op.  cit.  -  Ra.nkb,  op.  cit.  -  Mundt, 
Machiavelli  und  der  Gang  der  EuropaeUcher  Politik.  -  Gioda,  Machiavelli  e  le  8ue  opere. 

-  LouANDBB  Ch.,  N.  M.  Studio  biografico  e  critico  premesso  alla  ristampa  della  versione 
delle  opere  di  lui,  fatta  dal  Periés.  Paris,  1S72.  -  Eberhard  àlf..  Prefazione  alla  tradu- 
zione del  Principe.  Berlin,  1873,  i-xxviii.  -Gir.  Coììgetìo,  Saggi  letterali:  Machiavelli  sto- 
ricOf  p.  61-78.  Lecce,  1872.  -  Nodrisson,  Machiavel.  Paris,  1875.  -  Ciampi  Ignazio,  N.  M. 
V.  Nuova  Antologia,  1874.  -  Méskard  P.,  Machiavel  (V.  Journal  dei  D^bats,  4  giugno  1875). 

-  Etienne  L.,  Une  autobiographie  de  M.  (nella  Revue  des  deux  mondes^  io  nov.  1873).  - 
José  Silvestre  Ribriro,  Machiavel^  estudio  litterario,  moral  e  politico j  nella  rivista  0  In- 
ttituto.  Coìmbra,  1877.  -  Gaspar  Amico,  La  vita  di  N.  M.  Commentari  storico-critici  cor- 
redati da  documenti  editi  ed  inediti.  Firenze,  1875.  -  F.  Nitti,  M.  nella  vita  e  nelle  doU 
trine,  con  l'aiuto  di  documenti  e  carteggi  inediti,  voi.  i,  il  più  coscienzioso  studio  che 
sia  comparso  in  Italia  sopra  tale  argomento.  V.  la  recensione  nella  Revue  historique^ 
250,  252,  255.  Jenaer  Literatur  Zeitung,  17  novembre  1877,  voi.  iv,  luglio  1877,  id.  nella 
Hiitoriàche  Zeitschriftj  voi.  3,  8  luglio  1877  e  neW  Allgemeine  Zeitung ^  1877,  n,  248.  - 
Pasquale  Villari,  N.  M.  e  i  $uoi  tempi  illuitrati  con  nu<yci  documenti.  Firenze,  1877, 
voi.  I  (V.  recensioni  neW Allgemeine  Zeitung,  1877,  n.  248  e  seguenti.  -  A.  Trezza,  StitdX 
criticiy  p.  277.  -  Athenaeum  2596,  recensione  di  A.  De  Gubernatis  -  Hillbbrand  Karl, 
Profile.  Berlin,  1878,  voi.  iv  della  raccolta  Zeiten,  V'ólker  und  Menschen).  Trattarono  della 
bibliografia  machiavellesca  il  Baldblli,  Efogio  cit.,  TArtaud,  op.  cit.,  voi.  ii,  cap.  xlvii-l, 
il  MoHL  {Geschichte  und  Literatur  der  Staatswissen&chaften,  voi.  in,  p.  521-501.  Questi 
ultimi  due  furono  accuratissimi;  ma  l'uno  tenne  il  solo  ordine  cronologico,  Taltro  preferì 
l'ordine  logico,  fu  nel  suo  esame  meglio  comprensivo,  men  vago  e  severamente  scientifico.  - 
Motti  singolari  intorno  a  Machiavelli:  Varchi  {Ist.  fior.,  lib.  iv)  «  Era  il  Machiavello  degno 
che  la  natura  gli  avesse  o  minore  ingegno  o  miglior  mente  conceduto  ».  -  Rousseau  {Contr. 
aoclalj  III,  e.  vi)  «  En  feignant  de  donner  des  le^ons  aux  rois,  il  en  a  donne  aux  peuples  ». 

-  Madame  Ortense  Allart  (Hist.  de  Florence.  Paris,  1843,  lib.  v,  e.  ni)  «  La  patrie,  la 
morale,  le  droit,  le  pouvoir,  la  justice,  le  genre  humain  manquaient  à  M.  plus  qu*il  ne 
leur  manquait  lui-mème».  -  Perrens  (Vie  de  Savonarola,  lib.  in  e.  ix)  «  Il  avait  Tésprit 
plus  grand  que  l'ame  ».  -  DELécLUZE  {Florence  et  ses  vicissitudea.  Paris,  1837,  p.  196  e  se- 
guenti) «M...  habile  diplomate,  plutdtque  grand  politique  »....  «  Timpartialité  tonte  savante 
de  M.  révolte  la  pensée».  -  Gino  Capponi  {Storia  di  Firenze,  voi.  in,  cap.  vn  )  ove  re- 
gistra i  motti  del  BusiNi,  del  Varchi,  del  Cerretani,  che  a  Niccolò  die  il  soprannome  di 
mannerino  aggiunge:  «  pare  a  me  sempre  che  il  M.  conoscesse  gli  uomini  meglio  che 
l'uomo  «  De  Sanctis  (op.  cit  )  «  Niccolò  non  è  filosofo  della  natura,  è  filosofo  dell'uomo  ». 

-  Eduard  Viss  {Au8  der  Kulturgeschichte  von  Florenz.  Berlin,  1877,  p.  112)  «  Er  hatte 
keine  Spur  von  tieferer  Menschenkenntnis  »  (!) 


Digitized  by 


Google 


i 


DEL  MACHIAVELLISMO.  ftl 

precursori,  gì' iniziatori  di  quelle  idee,  di  quelle  teoriche  ch'essi 
accarezzano  e  combattono  nel  tempo  loro  ?  E  così  il  nostro  Nic- 
colò fu  egli  un  prescindente  per  necessità,  come  vuole  il  Mancini, 
o,  come  accenna  il  Macaulay,  un  politico  che  trae  la  sua  teoria 
dalla  sua  pratica?  fu  egli  un  pretto  aristotelico,  o  un  de' fon- 
datori del  metodo  sperimentale,  come  vuole  il  Ferri;  o  un  se- 
guitatore  d'Alessandro  d'Afrodisia,  come  accenna  il  Nourisson, 
o  un  pagano  come  vollero  lo  Schlegel  e  il  Fichte,  o  un  pes- 
simista a  modo  dello  Schopenhauer,  o  un  naturalista  a  detta  del 
Twesten,  o  giusta  il  Castelnau  un  inizisCtore  del  positivismo  filo- 
sofico? La  questione  non  si  risolve  mai  se  rimane  soggettiva, 
e  noi,  nell'accingerci  a  proporre  un'altra  soluzione,  temiamo 
forte  di  non  mettere  in  campo  che  un'opinione  di  più;  alla 
quale  non  ci  vorremmo  permettere  di  dare  sfogo,  se  non  ci 
paresse  disinteressata  e  sincera. 

Pertanto,  alternando  all'esame  dell'opere  di  Niccolò  la 
narrazione  della  sua  vita,  ricostruendo,  come  ci  sarà  possibile, 
pe'dati  estrinseci,  la  storia  intima  del  pensiero,  la  condizione 
psicologica  del  Segretario  fiorentino,  che  fu  tra  le  più  singo- 
lari manifestazioni  del  rinascimento  italiano,  ci  proponiamo  di 
ricollocar  lui  nel  suo  vero  ambiente,  in  mezzo  agli  uomini  e  alle 
cose  che  lo  circondarono  e  gli  toccarono  l'animo  e  gli  eccita- 
rono la  mente;  affrontando  la  verità,  secondo  che  la  ci  parve,  senza 
zelo  d'oppugnatori,  senza  quella  malattia  di  mestiere,  quella 
febbre  ammiratoria,  che  il  Macaulay  ^  spiritosamente  scrisse 
pigliare  a' biografi,  a' traduttori  e  agli  editori;  e,  come  male  at- 
taccaticcio, qualificò  in  Inghilterra  per  la  lues  boswelliana. 

Se  non  che,  non  ci  dissimuliamo  le  difficoltà  gravi  che  si 
stanno  contro  a  questo  nostro  proposito.  E  certamente,  se 
r  appoggio  di  privati  documenti  giova  spesso  a  completa  dichia- 
razione di  pubblici  fatti,  e  facilita  non  poco  la  compilazione 
di  storie  generali,  use  a  trarre  argomento  da  fonti  molteplici  e 
abbondevoli;  questo  appoggio  diventa  presso  che  indispensabile, 
quando  si  piglia  a  narrare  la  vita  singolare  d'un  individuo,  che, 
essendo  più  specchio  che  parte  dei  pubblici  negozi,  serba  pur 
sempre  recondite  molte  parti  dell'animo,  aperte  solo  al  riguardo 
domestico  e  amico,  da  questo  moderate,  per  questo  commosse. 
E  se  questa  necessità  si  sente  per  ogni  persona,  la  cui  vita 
corre  piana  e  cheta  sopra  un  sentiero  non  intricato  da  muta- 

»  Macaulat'8,  EssayB,  voi.  ii,  p.  221.  On  William  Pitt,  earl  of  Chatham, 


Digitized  by 


Google 


#  INTRODUZIONE. 

raeTii;i^  in  tempi  facili,  non  agitati  da  traversie,  per  ischermir 
le  quali  si  sia  af?tretti  a  cangiare  quasi  natura;  quando  siamo 
a  trattare  del  Machiavelli,  la  cui  qualità  di  vita  si  biforca  a 
mozzo,  e  ci  costringe  a  riguardar  come  scrittore  di  conside- 
razioni, come  uomo  di  teoriche  colui,  che  per  la  metà  prece- 
dente del  vivere  ci  si  ap presentò  come  uomo  operativo,  pratico  e 
appositamente  fatto  per  Fazione;  quando  le  stesse  speculazioni 
sue  fanno  testimonianza  de' grandi  rivolgimenti  che  occorsero 
nel  suo  pensiero,  ne' suoi  affetti,  nelle  sue  speranze;  il  soccorso 
del  maggior  numero  di  documenti  intimi  che  ci  rendessero  conto 
©inatto  de' motivi,  delle  cause,  delle  occasioni  di  que' mutamenti, 
che  ci  dessero  una  mediocre  certezza  de' fatti  suoi,  sarebbe  indi- 
spensabile per  poter  confortare  con  qualcosa  d'autorevole  le 
ipotesi  cui  talvolta  si  è  costretti  ricorrere  per  dichiarare  le 
vicende  di4  segreto  pensiero  di  lui.  E  tanto  più  questo  aiuto  ci 
parve  desiderabile,  in  quanto  che  ci  venne  fatto  d'accorgerci 
come  dei  pi^ecedenti  biografi  di  lui,  quelli  che  pure  avessero 
voluto  rifarsi  a  qualche  fonte  accessibile  avevano  dato,  senza 
consapevolezza,  nelle  secche  del  machiavellismo,  attingendo 
incompleta  e  pregiudicata  informazione  non  di  rado  a  notizie 
viziate  non  dalla  calunnia  ma  dallo  studio  apologetico;  a  quelle 
per  esempio,  del  priorista  di  Giuliano  de'  Ricci,  nipote  del  Ma- 
chiavelli; alle  noie  che  quegli  medesimo  avea  premesso  alla 
trascrizione  delle  carte  rimastegli  dell'avo,  con  affetto  grande, 
ma  con  preoccupazione  non  lieve  de' pregiudizi  che  s'andavano 
moltiplicando  e  aggrovigliando  circa  alla  reputazione  del  suo 
antico  congiunto. 

11  falso  elogio  del  vescovo  di  Nocera  aveva  non  meno  ir- 
ritalo r  animo  de'neuiìci  di  Niccolò  che  della  famiglia  dei 
Machiavelli.  A  questa  era  divenuto  naturale  l'odio  del  Giovio; 
e  Giulian  de'  Ricci  lo  sfoga  senza  pietà  e  procura  la  vendetta 
domestica,  rompendo  contro  del  Giovio  in  epigrammi  furiosi  e 
indecenti;^  né  omette  occasione  di  contrastare  alle  asserzioni 
di  lui  quando  gli  capita.  Se  non  che,  come  è  naturale  in  si- 
mili casi,  contrasta  troppo,  difende  troppo;  e  non  contento  di 
purgar  Niccolò  della  taccia  d'ateo,  s'industria  di  soprappiù 
argomentare  la  religiosità  e  la  vita  pia  e  devota  di  esso;  e 
ne' ghiribizzi  a  Pier  Soderini  in  Ragusa  vuol  mostrarcelo  di- 
spettoso del  buon  gonfaloniere  perpetuo,  finito  in  tanta  sven- 

^  V,  Appcndìcq.  AmalUl  ttei  codk^  Giulian  de' Riccia  §  xxviii.  Ibid.,  §  xix,  xxr,  xxviii, 

31 KX,  XLVl. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  63 

tura;  e  anche  pervia  deiramicizia  del  Vettori,  tende  a  provarlo 
fedele  e  affezionato  alla  casata  dei  Medici;  merito  che,  go- 
vernanti i  Medici,  doveva  premere  al  buon  Giuliano  che  non 
meno  della  pietà  verso  Dio  gli  fosse  riconosciuto.  E  forse  fu 
per  seguitare  quest'assunto  del  nipote  del  Machiavelli  che  il 
più  diffuso  tra  i  biografi  di  questo,  TArtaud,  ebbe  ad  affer- 
mare di  Niccolò  che,  malgrado  l'avversione  da  lui  concepita 
per  Piero,  egli  ne' suoi  anni  primi  dovette  aver  caro  il  nome 
e  l'autorità  de' Medici..^ 

Inoltre  l'andazzo  grammatico  e  letterario  de' contempo- 
ranei potè  indurre  non  di  rado  il  Ricci  ad  abbandonare  la 
fedeltà  scrupolosa  nella  trascrizione  e  il  buon  giudizio  nel- 
r  accettazione  delle  opere  che  copiava.  Se  il  soccorso  de' con- 
fronti cogli  autografi  non  ce  ne  desse  contezza,  la  confessione 
sua  stessa  basterebbe  a  metterci  in  sull'avviso.  Da  poi  che, 
dove  nelle  carte  eh'  egli  à  alle  mani  incontra  del  logoro  o  del 
rosicchiato,  dichiara  schietto  eh'  egli  accomoda  per  conieiiura; 
che  racconcia  le  parole  nelle  desinenze  e  secondo  le  regole 
della  lingua  dove  l'ortografia  gli  par  che  non  vada;  e  pur  di 
collocare  il  suo  avo  almeno  fra  gli  ortodossi  in  grammatica, 
si  piega  ad  affibbiargli  il  dialogo  intorno  alla  lingua,  a  quella 
benedetta  lingua  che  gli  Italiani  usavano  e  non  sapevano  come 
chiamare.  ^  Oggi  dell'  apografo  di  Giulian  de'  Ricci,  smarritosi 
r  originale,  non  ci  rimangono  che  le  due  copie  esistenti  nella 
biblioteca  nazionale  di  Firenze,  ma  di  mano  non  troppo  antica, 
n  codice  barberiniano  di  Roma  apparisce  essere  copia  tratta  dagli 
autografi  stessi  cui  ebbe  il  Ricci  ad  attingere,  ma  per  essere 
scrittura  del  secolo  decimosesto,  forse  è  meglio  autorevole. 
Se  non  che  i  numerosi  documenti  dell'  archivio  di  Stato  fioren- 
tino e  le  carte  autografe  che  dai  Ricci  passarono  alla  biblio- 
teca palatina  (e  sono  in  diverse  occasioni,  tanto  quelli  che  queste, 
ora  troppo,  ora  poco  per  un  biografo)  possono  servire  di  guida 
a  scevrare  quel  che  intorno  al  grande  politico  fiorentino  è,  se 
non  a  credere,  almeno  a  discredere,  dopo  tanta  adulterazione 
che  si  fece  della  persona  storica  di  lui,  sì  nel  campo  della 
scienza  che  in  quello  dell'arte. 

E  diciamo  anche  nel  campo  dell'arte.  Però  che  il  pregiu- 
dizio che  s'era  intitolato  dal  nome  di  lui,  nel  distendere  la  sua 
vitalità  parassita,  era  pur  riuscito  a  ravviluppargli  la  persona, 

*  Cf.  Artaud,  Machiavelj  son  genie  €t  sea  erreurs,  t.  i,  pag.7.  Id.31. 

*  V.  in  Appendice  V Analisi  del  codice  Giulian  de'  Ricci. 


Digitized  by 


Google 


61  INTRODUZIONE. 

a  cancellargli  l'effigie  sua  schietta  per  surrogargliene  altra 
posticcia,  la  quale  ne*  cangiamenti  d'aspetto  del  machiavellismo, 
e  nell'accordo  della  preoccupazione  scientifica  con  quello,  s'andò 
per  sua  natura  elastica  o  malleabile  trasfigurando.  E  non  era 
ovvio?  pure  a' giorni  nostri  un  biografo  del  Machiavelli,  il 
Frenzel,  *  dopo  essersi  alquanto  sbizzarrito  in  fantasie  attorno 
alle  sembianze  di  Niccolò,  quali  le  son  date,  a  quel  che  sembra, 
dal  ritratto  del  Titi,  non  indugia  a  concludere:  tal  volto,  qual 
vita.  Ora,  che  maraviglia  che  a  quel  tempo  in  cui  l'arte  della 
fisonomia  si  pigliava  in  Italia  ad  esaltare  siccome  «  quella  che 
dimostra  all'improvviso  dall'aspetto  del  volto,  senza  altra  espe- 
rienza, come  celeste  oracolo  e  divina  arte,  o  qualsivoglia  altro 
velocissimo  modo  di  indovinare,  quali  scellerati  scacciare,  e 
quai  honorati  abbracciar  devi  »,  ^  che  maraviglia  che  allora 
l'effigie  del  Machiavelli  s'andasse  coniando  secondo  pareva  ri- 
spondere al  brutto  ideale  del  machiavellismo?  E  veramente 
avvenne  che,  secondando  il  procedere  di  questo,  ora  s'ebbe  ad 
adattare  all'aspetto  epicureo  d'un  godente  dalla  chioma  pro- 
lissa, ora  tolse  il  piglio  tristo  e  maligno  del  manutengolo  di 
Satana,  dalle  cui  scritture  fumiga  la  dannazione  eternale  ed 
esce  puzzo  d'inferno;  ora  prese  il  garbo  spagnuolo  e  l'anda- 
tura cortigianesca  dei  tacitisti. 

Il  Della  Porta,  nel  suo  Saggio  comparato  della  fisonomia, 
aveva  offerto  buon'esca  a  chi  volesse  fare  il  ritratto  machia- 
vellico del  Machiavelli.  Egli  aveva  insegnato  il  sillogismo  fiso- 
nomonico:  dal  naso  sproporzionato  d'Angelo  Poliziano  aveva 
dedotto  l'ingegno  pungente  e  invidioso  di  lui;  ^  dagli  occhi 
cavi  in  dentro  e  dal  guardo  viperino  di  Cesare  Borgia,  «  peste 
del  suo  secolo  »  messo  a  rimpetto  di  Tamerlano,  la  crudeltà  del- 
l'animo di  quello.  ^  Ora  dalla  memoria  del  duca  Cesare  a  quella 
del  Machiavelli,  che  aveva  osato  farsene  celebratore,  c'era  un 

1  «  Wenn  man  die  Bilder  imd  Stataen  dieses  Mannes  betrachtet,  glaubt  man  die  Ahnang 
eines  solchen  tragischen  Todes  aui  diesem  ernsten,  olivenfarbigen,  bei  aller  Sch&rfe  des 
Blicks  undder  ZUge  doch  leidenden  Gesicht  2u  lesen;  Lippen  und  Augenkennen  den  Genuss 
des  Lebens  vielleicht  allzu  gut,  aber  der  Ernst  der  Stira,  der  finstere  Schatten  um  dem 
Mund  scheinen  sie  LUgen  zu  strafen  —  Eine  Mischung  von  Sinnlichkeit  und  grttbelnden  Oe- 
danken;  man  denkt  an  das  Fostmahl  Belsazar's  und  die  gottliche  in  Flammen  schreibend 
Iland.  So  das  Antlitz,  so  auch  das  Leben  ».  Frenzel,  Dichter  und  Frauen,  volume  ii, 
pag.  74. 

>  Gio.  Battista  della  Porta>  Della  fisonomia  dell' huomOf  libri  sei,  in  Napoli,  udcx, 
proemio. 

•  Id.,  ìb.,  e.  XXXI. 

*  Id  ,  ib.,  pag.  92.  -  Immanuel  Kant,  SchrifUn  zur  Anthropologie  und  Padagogik. 
Leipzig,  1839.  A  pag.  330,  ove  tratU  «  von  der  Leitung  der  Natur  «ur  Physionomik  »,  egli 
chiama  i  disegni  recati  dal  Posta  «  Caricaturzeichnungen  ». 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  66 

piccolo  trapasso  a  compiere;  e  il  Della  Porta  noi  compiè,  ma 
offerse  V  occasione  a  chi  il  volesse.  Tanto  che  chi  oggi  ancora, 
per  esempio,  ragguaglia  TeflSgie  che  è  opera  di  Sante  di 
Tito,  incisa  dal  Ruhierre,  ^  con  una  testolina  che  nel  libro  del 
Della  Porta  è  messa  a  rimpetto  d' un  musino  di  gatto,  *  resta 
maravigliato  della  somiglianza  di  esse;  e  nel  legger  Taforismo 
che  è  scrìtto  sotto  a  quella  testolina,  s*è  quasi  tentati  a  lasciar 
correre  le  idee  tutte  a  un  punto,  e  a  supporre  quasi  che  fu 
in  forza  d'un  sillogismo  fisonomonico  che  la  pittura  del  Titi  . 
si  battezzò  pel  ritratto  del  Machiavelli. 

Queir  aforìsmo  dice  cosi  :  -  «  Le  guancie  molto  delicate  di- 
mostrano malignità  et  astutia  (Polemone,  ma  Adamanto  ci  ag- 
gionge  invidia).  Io  gli  rassomiglierei  alle  gatte  ed  alle  scimie, 
perchè  hanno  guancie  assai  delicate  e  picciole, .  e  son  ladre 
piene  di  astutie,  e  di  tradimenti  di  nascosto  e  son  maligni  et 
astuti».  -  Ma  prescindendo  da  ciò,  v'à  egli  buona  ragione  per 
credere  che  il  ritratto  di  Sante  di  Tito  ci  rappresenti  proprio  le 
forme  e  il  volto  del  segretario  fiorentino?  Sante  di  Tito  nacque 
undici  anni  da  poi  che  Niccolò  era  morto:  dunque  ei  non  potè 
attingere  per  certo  ali*  originale:  altri  ritratti  del  Machiavelli  si 
spacciano  opera  del  Bronzino  (n.  1502  m.  1572),  o  d'Andrea  del 
Sarto  (n.  1488  m.  1530),  ma  il  Vasari  di  questo  fatto  nelle  vite 
de'  citali  artefici  non  dice  proprio  nulla.  E  benché  quésto  sia  un 
argomento  n^egativo,  pure  à  più  forza  che  non  paia,  quando  si  con- 
sidera ch'egli  non  tace,  per  esempio,  come  Andrea  ritraesse  di 
naturale  un  commesso  de'  monaci  di  Vallombrosa,  come  andasse 
di  soppiatto  a  dipingere  immagini  di  ribelli  al  palazzo  del  po- 
destà, per  non  acquistarsi,  come  Andrea  del  Castagno,  il  sopran- 
nome d' Andrea  degli  Impiccati  ;  quando  ci  registra  che  Francesco 
Guicciardini  fu  il  Bugiardini  che  l'effigiò  o  che  Piero  di  Cosimo 
ritrasse  Ceserò  Borgia.  Ora,  se  il  Machiavelli  non  aveva  a  quel 
tempo  la  sua  celebrità  come  politico,  tuttavia  come  autore  delle 
storie  e  compositore  di  commedie  celebratissime  non  poteva  esser 
passato  sotto  silenzio,  e  non  avrebbe  certo  omesso  il  Vasari  di 
ragguagliarci  dell'artefice  che  ci  avesse  tramandato  le  sembianze 
di  lui.  E  se  anche  il  Vasari,  come  non  è  probabile,  avesse  ta- 
ciuto*, non  avrebbe  per  certo  fatto  lo  stesso  Giulian  de' Ricci, 
nipote  di  Niccolò,  che  con  tanta  industria  d'affetto  raccolse 
quanto  poteva  tornare  ad    onore  e  memoria  dell'avo,   che  ci 

1  Abtadd,  op.  cit.,  t.  I. 

•  Della  Posta,  ibid.,  pag.  803. 

ToMMAsiRi  -  AfachiacclU.  ^ 


Digitized  by 


Google 


66  INTRODUZIONE. 

raccapezzò  particolari  notizie  della  vita  di  esso,  che  intorno 
agli  scritti  di  lui  s' affaticò  con  tante  indagini  e  non  disse  verbo 
ne  delle  forme  di  lui,  né  d*  alcun  simulacro  o  busto  che  se  ne 
custodisse  in  famiglia.  E  Ristoro  Machiavelli  nelle  sue  Ricor- 
danze 1  mantiene  lo  stesso  silenzio.  Se  non  che  poi  che  negli 
uomini  Tamor  della  certezza  delle  cose  cresce  e  si  scalda  in 
ragione  diretta  della  distanza  da  esse  e  della  difficoltà  delle 
prove,  vedemmo  in  tempi  a  noi  meno  remoti  l'gisseveranzae  la 
fede  non  vagliare  argomenti  e  in  una  non  piccola  varietà  di 
immagini  vagheggiare  quella  vera  del  Machiavelli.  Che  se 
r  opera  di  prudenti  si  esercitava  in  escludere  T  autenticità  d'al- 
cuna, e'  n'  era  subito  un'  altra  in  pronto  per  surrogarsi  a  quella. 
Se  i  dotti  ravvisavano  un  principe  di  casa  Medici  in  qualche  spac- 
ciato ritratto  di  Niccolò;  se  i  critici  ripugnavano  al  vieto  cri- 
terio che  aveva  fatto  riconoscere  l'autore  del  Principe  e  delle 
Istorie  in  ogni  busto  d'uomo  che  recasse  le  caratteristiche  più 
o  men  rilevate  del  tipo  tosco  e  avesse  un  libro  alle  mani,  (il 
Principe  o  le  Istorie)  donde  lo  scrittore  potesse  andare  di- 
versamente famoso,  assecondando  il  procedere  del  machiavel- 
lismo; sopraggiunse  la  boria  o  forse  l'amore  di  famiglia  a  in- 
torbidare un  poco  più  la  questione. 

E  quando  vennero  i  tempi  gloriosi  di  Pietro  Leopoldo, 
quando  l' ammirazione,  fatta  balda,  credette  non  aver  parole  che 
bastassero  a  elogio  del  Machiavelli;  allora  l'immagine  fatta 
ritrarre  da  un  quadro  del  canonico  Corso  e  di  Roberto  Ricci 
parve  autorevole  ed  ebbe  credito;  poi  il  busto  di  Niccolò  fruttò 
persecuzioni  al  vescovo  di  Pistoia,  *  discendente  di  Giuliano  dei 

*  Mss.  della  Manicelliana-. 

*  SciPioNK  dk' Ricci.  Memorie,  parte  n,  voi.  2,  p.  134,  ed.  Le  Monnier.  —  «  La  nuda  e 
semplice  narrativa  del  fatto  basterà  a  fare  svanire  ogni  idea  di  delitto  nel  secondo  adde- 
bito riguardante  il  Busto  del  Machiavello.  Possedendo  la  mia  famiglia  per  titolo  ereditario 
e  di  parentela  molte  cose  riguardanti  queir  illustre  letterato,  e  specialmente  alcuni  ritratti 
in  pittura,  e  il  di  lui  busto  ricavato  dalla  maschera,  frequente  è  il  caso  che  forestieri  o 
pittori  abbiano  la  curiosità  di  vederlo  o  di  farne  trar  copia;  e  i  rami  incisi  sotto  il  go- 
verno deiraugusto  Leopoldo  e  del  presente  granduca  sono  per  lo  più  ricavati  da  quei  ri- 
tratti. Un  mio  conoscente  mi* prevenne  della  richiesta  che  mi  si  voleva  fare  di  formarne 
un  nuovo  busto  su  quello  che  si  possiede  nella  famiglia.  Temendo  che  questo  potesse  gua- 
starsi, e  di  più  che  io  dovessi  molte  volte  essere  in  trattative  con  chi  venisse  a  prenderlo 
per  cavarne  modello  e  riportarlo,  non  senza  pericolo  di  entrare  in  discussioni  per  loro  stesse 
e  per  la  natura  delle  persone  che  vi  si  potessero  interessare  a  me  affatto  estranee,  giu- 
dicai di  più  facile  disimpegno  il  dare  a  detto  mio  conoscente  altro  busto  moderno  in  gesso, 
il  quale  tolto  già  da  grandi  anni  dalla  mia  libreria,  mi  sovvenni  che  restava  negletto  in 
una  soffitta  di  casa.  Non  mi  passò  neppure  per  la  mente  che  il  dare  questo  gesso  potesse 
incontrare  la  disapprovazione  di  veruno,  mentre,  come  ho  accennato,  molte  sono  state  fi- 
nora le  richieste  di  fame  la  copia,  occorsemi  negli  anni  passati,  essendosi  varie  volte  vo- 
luto il  ritratto  di  questo  letterato  fiorentino,  a  cui,  per  dare  un  esempio  solo,  ò  stato  mo- 
dernamente eretto  un  pubblico  mausoleo  nel  tempio  di  Santa  Croce.  Altre  volte,  avanti 


Digitized  by 


Google 


DSL  MACHIAVELLISMO.  67 

Ricci,  che  in  un  busto  di  terra  cotta  colorito  reputava  posse- 
dere per  titolo  ereditario  da' Machiavelli  le  forme  iconiche  del 
segretario  fiorentino  tratte  dalla  maschera  stessa  di  lui.  Cosi 
anche  il  fervido  amore  de' discendenti  dovè  pregiudicare  un 
pochino  la  verità  per  rispetto  all'avo.  Del  resto  quella  ma- 
schera si  volle  ritrovata  nel ,  vacuo  d' un  muro,  nella  casa 
d'Oltrarno  dove  il  Machiavelli  mori.  E  come  lo  stabile,  cosi 
anche  il  cimelio  pareva  della  famiglia  Arcangeli;  ma  l'antico 
proprietario  della  casa  accampò  pretensioni  ;  e  il  tesoro  litigioso 
fu  cosi  deposto  nella  Galleria  degli  Uffizi,  presso  alla  Direzione 
dove  tuttor  si  conserva.  E  la  fortuna  che  pareva  molt^,  venne 
così  ad  esser  troppa;  che  di  maschere  se  n'ebber  due;  ed  una 
terza  ebbe  a  metterne  in  campo  il  Kirkup,  tratta  da  un  busto 
comperato  da  un  rivenditor  d'anticaglie,  esposta  nelle  mostre 
solenni  del  celebrato  centenario  machiavellesco.  Ora  chi  non 
diffida  del  soverchio  favore  della  fortuna,  della  luce  subita  che 
dopo  secoli  d' oscurità  vuol  far»ì  chiara  e  perenne,  può  tenersi 
pago  di  quésto  modo  di  ritrovamento  della  effigie  iconica  del 
cancellier -fiorentino;  ^  ma  ad  altri  potrà  bastare  senza  troppo 
sforzo  di  fede  che  la  bella  figura  ideale  di  quell'arguto  genio 
politico  parli  alla  mente  degl'Italiani,  così  come  fa  nelle  forme 
della  bellissima  statua  del  Bartolini,  che  s'annicchia  nel  por- 

r invasione  dei  Francesi,  avevo  dato  comodo  di  far  copie  in  casa;  ma,  in  qaesta  occasione 
concedendo  qaesta  cattiva  copia  di  gesso  combinai  e  di  conservare  il  busto  in  terracotta  e 
di  evitare  ogni  altra  trattativa  in  qnei  momenti  con  chiunque  fosse  per  interessarsi  in  questo 
affare.  Ecco  come  la  calunnia  ha  potuto  convertire  in  tossico  il  miele  e  far  comparire  che 
io  volessi  farmi  onore  presso  il  governo  francese  con  un  regalo,  mentre  tutte  le  mie  idee 
furono  solo  rivolte  a  non  aver  che  fare  con  alcuno,  che  avesse  eccitato  la  richiesta  della  copia 
in  questione.  A  me  non  fu  detto  altro  se  non  che  si  voleva  ornare  la  sala  di  un'accademia 
letteraria  con  i  busti  dei  più  celebri  letterati  toscani,  e  fra  questi  con  quello  del  Machiavello. 
La  denominazione  di  Club  o  Circoli,  che  ora  mi  si  accenna,  mi  arriva  affatto  nuova,  tanto 
più  che  mi  pare  che  i  pubblici  fogli  dessero  notizia  che  il  governo  francese  non  permetteva, 
si  fatte  adunanze.  Vero  si  è  che,  qualunque  sia  l*uso  che  siasi  fatto  di  questa  co^ia  di 
gesso,  io  non  sono  più  in  alcun  conto  responsabile  dopo  che  me  ne  fui  disfatto  ». 

>  Fra  i  documenti  relativi  alle  «  Maschere  dsl  Machiavelli  »  contenuti  in  una  filza  senca 
numero  presso  la  Direzione  della  R.  Galleria  degli  Uffizi,  si  trova  la  copia  di  un  Atto,  in 
data  de* 22  dicembre  1853,  col  quale  Zanobi  Zucchini,  Ferdinando  Rondoni,  Emilia  Rondoni 
e  Luisa  Batini,  stati  già  pigionali,  dall'anno  IS40  al  IfUS,  al  secondo  piano  della  casa  in 
via  Guicciardini,  n.  1754, dichiarano:  che  le  maschere  di  Niccolò  Machiavelli,  nascoste  nel- 
rannadio  sotto  l'atrio  della  suddetta  casa,  vi  furono  ritrovate  dal  signor  Cosimo  Vannini, 
pigionale  al  primo  piano,  in  occasione  di  avere  aperto  quell'armadio  per  depositarvi  del 
vino.  L'apertura  dell'armadio  fu  fatta  in  giorno  di  domenica,  nella  stagione  estiva.  l\  Van- 
nini abitava  quella  casa  dal  novembre  1S41.  La  maschera  del  signor  Kibkup  poi  Ai  tratta 
da  un  busto  in  terracotta  colorato,  cui  il  signor  Kirkup  istesso  lavò  il  colore,  parendogli 
che  quella  pittura  deturpasse  l'effigie,  lì  busto,  da  noi  osservato  in  Livorno  presso  il  cor- 
tese possessore,  ci  parve  identico  ad  altro  busto  ancora  colorato,  in  terracotta,  che  si  con- 
serva  presso  la  Socibt\  Colombabia  in  Firenze,  e  che  non  è  certamente  un  portento  del- 
l'arte. Al  volto  si  giudicherebbe  ritrarre  le  sembianze  d'un  uomo  giunto  a  più  provetta  età 
che  non  pervenne  il  Machiavelli,  e  più  ipocondriaco  di  quel  che  questi  paia,  pur  conget- 


Digitized  by 


Google 


68  INTRODUZIONE. 

tico  degli  Uffizi;  ne' cui  tratti  il  carattere  generale  del  tipo 
tosco  s'accoppia  a  tante  sottili  particolarità  che  c'inclinano  ad 
ascrivere  a  quel  volto  la  patria  istessa  e  il  retaggio  del  pen- 

luraa^^olo  da  tutta  T  ironia  de*  suoi  pensieri.  Forse  questa  terracotta  fu  fatta  per  esser 
collocata  in  alto,  e  probabilmente  in  qualche  nicchia,  a  giudicare  dall'inclinazione  del  volto, 
lìalla  ruvidezza  deiresecozìone,  dalla  negligenza  soprattutto  della  parte  posteriore  della 
tigurik  Sul  colore  rimane  visibile  qualche  traccia  di  gesso,  la  quale  lascia  supporre  che 
prtibiibUmente  anche  di  questo  basto  siasi  cavata  alcuna  paasch'era.  Finalmente  un  terzo 
busto  in  terracotta,  proprietà  della  famiglia  Ricci,  e  però  custodito  in  Firenze  nella  casa 
dfllliL  signora  marchesa  Piccolbllis,  che  n'è  Tultima  erede,  ci  fu  concesso  d'osservare 
p«r  cortesia  della  degnissima  gentildonna,  cui  ci  è  grato  affermare  in  questa  occasione  la 
nostra  riconoscenza.  Su  questo  busto  ebbe  ad  ispirarsi  il  Bartolini  nell*  ideare  la  statua  del 
porticQ  degli  Uttizi;  e  benché  danneggiato  dal  tempo,  lascia  congetturare  una  maggior  bontà 
d^escL-iisione  delle  terrecotte  soprindicate,  e  non  si  allontana  molto  dal  tipo  del  ritratto  pub- 
blicato nQ^Mondi  del  Doni  (Vinegia,  Marcolini,  1552)  e  negli  Elogia  del  Oiovio  (pag.  106, 
«d^f.  ^4^1  Pema).  Sembra  pertanto  che  una  prima  fase  nella  serie  de' ritratti  del  Machia- 
veli  i  HÌa  ad  avvisare  in  queste  immagini  di  terracotta,  le  quali  potranno  o  non  potranno 
randflrd  le  sembianze  di  Niccolò,  ma  al  certo  sono  immuni  da' preconcetti  del  machiavel- 
lismo. Di  queste  forse  derivò  l'immagine  in  pittura,  attribuita  ad  Andrea  del  Sarto,  che  è 
nella  galleria  Doria  di  Roma,  quantunque  in  questa  pittura  il  capo  di  Niccolò  sia  coperto 
da  tina  foggia  di  berretto,  che  s'incontra  pure  nel  ritratto  dei  Mondi  del  Doni  e  in  quello 
cl^gli  Elogia  del  Oiovio.  Donde  traesse  credito  il  ritratto  del  Titi  non  sappiamo.  Ne  pub- 
blicò la  stupenda  incisione  del  Ruhierre  I'Abtaud  (ilfac/iiavffl,  9on  genie,  ses  erreurt, 
voi.  ])  ■  ma  nelle  sembianze  dateci  dal  Titi  il  Machiavelli  apparisce  assai  giovane  e  di- 
verso da  quel  che  appaia  da' busti.  Nell'Annale  IV  della  Società  colombaria,  a  carte  236,  si 
legge!  «Adunanza  del  30  novembre  1733.  L'Invogliato  fa  sapere  come  ha^  acquistato  un 
ritratto  di  Niccolò  Machiavelli  in  asse,  alto  braccia  1  ^/s,  figura  di  giovane  di  20  anni  in 
cLrcd  '.  L'Invogliato  era  l'eruditissimo  Dombnico  Maria  Manni;  e  il  ritratto  sarà  stato 
ijucllo  di  Sante  di  Titol  II  Follini,  nella  sua /cono^ra/la,  mss.  della  Biblioteca  Nazionale 
di  Firenze,  registra  solo  i  seguenti  dodici  ritratti  del  Machiavelli  : 

«  1.  Ritratto  in  legno  sul  frontespizio  dell'ediz.  prima  detta  Testina  delle  sue  opere.  1550, 
Pietro  Aubert,  49. 

2  Ritratto  medesimo,  trovasi  pure  ani  frontespizi  delle  edizioni  posteriori  che  contraf- 
fanno questa  prima,  le  quali  lo  hanno  ripetuto  nei  frontespizi  particolari  delle  opere  rac- 
colte^ dove  la  primario  ha  soltanto  sul  frontespizio  primo. 

3.  Ritratto  simile  a  quello  della  detta  edizione  in  legno  sta  nei  Mondi  del  Doni,  Vi- 
n^t^gsfl,  Marcolini,  1552,  4»,  fog.  93  retto. 

4.  Ritratto  in  rame  in-4,  ove  notansi  gli  autori:  Santi  di  Tito  dt'pin.,  F.  Qregori  tool. 
Sta  cai  tomo  i  delle  opere  in-4.  Firenze,  Cambiagi,  1782,  innanzi  alla  vita.  Il  medesimo  si 
trova  in  alcuni  esemplari  di  questa  stessa  vita,  tirati  a  parte  dell'edizione  medesima. 

5.  Ritratto  in  rame  in-4  con  c*fra  B  dell'  incisore  Jan.  Theodorus  de  Bry,  e  lettere  in- 
lotno  :  Nicola}ts  Machiavellus  Fiorentini^.  Sta  nella  Bibliotheea  Chalcographica.  Jan.  Ja- 
cob! lì^issardi,  tomo  i.  Francofurti,  1650,  segnatura  v,  es.  4,  vedi  Sadoleto. 

^,  Ritratto  in  rame,  in-8,  ove  notansi  gli  autori  Ang.  Bronzino  ^inx.,  Ang.  Em.  Lapi 
del.  et  Bculps.,  Raph.  Morghen  direx.  Sta  nel  tomo  i  delle  opere  (Firenze),  1796,  in-3,  senza 
luogo. 

7.  Ritratto  in  rame  ove  notansi  cosi  gli  autori:  Pietro  Ermini  disegnò,  Ang.  Emilio 
Lapi  ine.  Nel  tomo  i  dell'edizione  delle  opere:  Italia,  1813  (Firenze,  Piatti). 

!j.  Ritratto  in  fame  in  profilo,  in-12,  nel  voi.  i  delle  sue  opere  in-12.  Italia,  1819.  L'au- 
tore ivi  è  cosi  notato  :  Lasinio  figlio  dip.  e  ine. 

%  Ritratto  in  rame  :  sembra  preso  da  quello  notato  sopra  dalla  Chalcographica  Biblio- 
theea del  Boissardo,  autore  S.  V.  E.  se.  (V.  Divizio  Agnolo).  Esiste  nella  p.  i  dei  Canti 
camascialeschi.  Cosmopoli,  1750,  pag.  190. 

10.  Ritratto  in  rame,  in-f.  Da  un  quadro  del  can.  Corso  e  Ruberto  fratelli  Ricci  :  I  Zocehi 
del  C.  Faucci  se,  unito  all'elogio  di  esso  (di  Marco  Lastri).  Allegrini,  uomini  illustri  to- 
sRAni,  V.  IV,  ritratto  xn. 

11.  Ritratto  in  rame  in  contomo,  in-12,  che  forse  è  preso  dal  n.  9  dei  Canti  camascia- 

leRcb],  citato  dal  Boissardo:  N.  pinxit,  Landon  direx.  Alla  vita  è  sottoscritto  L e.  Landon 

GakriH,  t.  viii,  v.  Mabillon. 

IS.  Ritratto  in  rame  con  leggenda  Niccolò  Machiavellus  historicus  fior.  Fbbbbbx  (Pauli), 


Digitized  by 


Góogle 


DEL  MACHIAVELLISMO.  69 

siero  di  Dante  ;  e  paiono  rivelare  nel  marmo  l'animo  del  grande 
politico  del  rinascimento,  profeta  d' Italia. 

E  quando  poi  si  contempla  la  colonna,  attorno  a  cui  si  at- 

Theatrum  Virorum  eruditione  clarorum,  tab.  67,  ritratto  11,  p.  1415.  Vita  a  pag.  1440, 
V.  Freherus  (Paulus)  ». 

Fin  qui  il  Pollini.  D'un  altro  ritratto  del  Machiavelli  fa  menzione  Ugo  Foscolo  in  una 
lettera  scritta  da  Milano  ai  14  gennaio  1S08  al  celebre  incisore  Francesco  Rosaspina,  pub- 
blicata recentemente  dal  Baretti  in  Torino  (1878).  Sembra  che  il  Rosaspina  stesso  avesse 
condotto  r  incisione.  Tra  i  ritratti  palesemente  falsi  è  a  riporre  quello,  citato  per  6o  dal 
Pollini,  inciso  dal  Morghen;  quello  del  Freher  {Theatri  virorum  eruditione  clarorum 
iomus  posterior.  Norimbergae,  mdclxxxviii,  p.  1435,  n.  67)  che  piuttosto  sembra  avere 
somiglianza  col  ritratto  d'Arrigo  Vili,  quale  ci  è  dato  nelle  «  Imagines  virorum  vel  ob 
bonam  vel  ob  malam  famam  celebrium  »,  di  cui  avemmo  alle  mani  un  esemplare  nella 
biblioteca  Angelica  di  Roma.  È  a  notare  che  in  questa  collezione  non  comparisce  il  ritratto 
del  Machiavelli,  come  pure  non  s'incontra  nelle  Icones  sine  Imagines  vivae  lelteris  ci.  vi- 
rorum Itattaej  Graeciae,  Oermaniae^  Galliae,  Angliae^  Ungariae  per  Nicolaum  Rkusnerum. 
Baslleae,  cmoxic. 

Il  medesimo  tipo  dato  dal  Freher  s'  incontra  anche  nel  Boissard,  Btblioth.  illustrium 
virorum.  Francof.,  1650,  p.  174,  e  anche  in  questa  Niccolò  è  celebrato  come  historicus. 
Id.  in  Landon  :  Galerie  hislorique  des  hommes  les  plus  célèbres  de  toutes  les  nations,  12. 
Paris,  1805,  voi.  v,  p.  26,  e  in  Bellchambers  :  A  biographical  diciionary,  etc.  London,  1837, 
voi.  3,  n.  18. 

Un'effigie  di  Niccolò,  che  è  del  secolo  decimosesto,  e  che  pare  condotta  sine  ira  et 
studio,  senza  che  v'abbiano  ragioni  per  ritenerla  autorevole,  è  in  un  vaghissimo  niello 
della  collezione  Cicognara  (V.  Le  premier  siede  de  la  calcographie  ou  catalogue  raisonné 
des  estampes  du  cabinet  du  feu  M.  le  comte  Léopold  Cicognara,  avec  une  appendice  sur 
les  nielles  du  méme  cabinet.  Venice,  1837,  app.  xiv,  n.  70)  :  «  portrait  de  m.  largeur  et 
hauteur,  un  ponce.  Ce  beau  portrait  est  en  buste,  la  tòte  vue  de  profll,  découverte  et  tournée 
vers  la  gauche.  Aux  deux  còtes  on  Ut,  de  haut  en  bas,  le  nom  Niccolò  Machiavelli.  Il  pa- 
rait  que  lorsque  ce  portrait  fut  executé  M.  avait  environ  quarante  ans.  Son  image  est 
d'autant  plus  rare  et  précieuse,  que  les  persecutions  auxquelles  il  fut  en  bute  méme  après 
sa  mort,  semblaient  devoir  porter  la  destruction  de  tout  ce  qui  retraoait  ses  traits,  si  on  ne 
pouvait  détniire  aussi  ses  ouvrages.  Ce  niello  est  ench&ssé  dans  une  tabatière  en  or  ci- 
soie, de  2  pouces  et  4  lign.  de  diamètre,  dont  les  deux  faces  sont  couvertes  en  nacre  ». 

Il  tipo  del  busto  nel  museo  Nazionale  fiorentino  comparve  nel  1873  a  capo  della  ver- 
sione del  Principe  dall' Eberhart  «  nach  einer  originai  Buste  des  Berliner  Museums». 
Ma  dell'originalità  e  autorità  di  quello  non  n'era  nulla,  e  nulla  se  ne  credeva  presso  la 
Direzione  del  museo  medesimo,  da  cui  il  s'gnor  dottor  Helbig  ebbe  la  bontà  d'assumere 
informazione  a  nostra  preghiera. 

Del  barocco  busto  che  trovasi  alla  Gallerìa  degli  Uffizi,  nel  corridoio  che  mena  alle 
stanze  della  Direzione,  è  superfluo  tener  parola.  Non  à  molto,  nelle  sale  dell'Accademia 
delle  Belle  Arti  in  Firenze  fu  anche  esposto  il  ritratto  di  un  uomo  barbato,  avente  fra  le 
roani  un  libro,  sulla  costola  del  quale  leggevasi  :  Niccolò  Machiavelli.  Il  quadro  era  di  mon- 
signor Alessandro  del  Magno:  si  dava  per  opera  di  Andrea  del  Sarto,  e  pel  più  sincero 
ritratto  del  grande  politico;  non  fu  chi  credesse  né  all'una  cosa  né  all'altra.  —  Per  gen- 
tilezza del  signor  cav.  Corvisieri  ci  fu  comunicata  una  medaglia  in  bronzo  appartenente 
alla  collezione  Bonamini  Pepoli,  in  cui  è  un  altro  ritratto  di  Niccolò,  colla  scritta  in- 
tomo «  Nicolaus  Macchiavellius  »  e  nel  rovescio  un  roveto  con  una  serpe  che  leva  alta  la 
testa.  Il  ritratto  ha  la  chioma  prolissa,  il  naso  molto  aquilino  e  il  berretto  sul  capo.  — 
J/unico  documento  storico  che  abbia  autorità  e  ci  dia  un  qualche  lieve  accenno  circa  al 
fisico  del  Machiavelli  è  una  lettera  a  lui  diretta  da  Manetta  de' Ricci  sua  moglie,  il  cui 
autografo,  che  fu  già  del  Tempi,  ora  si  conserva  nella  Laurenziana.  Di  questa  si  ha  una 
copia  fatta  dal  Montani  fra  le  Carte  diverse  nella  busta  vi  de' documenti  relativi  al  M., 
bibl.  Naz.  fior.  La  pubblicò  il  Oiampieri  (op.  citata). 

Come  il  Machiavellismo  trovasse  un  ritratto  che  rendesse  l'orrore  ideale  concepito  pel 
Machiavelli,  veggasi  in  Artadd,  op.  cit.,  t.  ii,  p.  404,  in  nota.  D'altro  ritratto  consimile 
di  Niccolò,  che  trovasi  pure  nella  Biblioth^que  du  Roi,  ecco  la  descrizione  che  dà  I'Artaoo 
medesimo  :  «  Cette  figure  est  une  vraie  caricature.  Ce  sont  plutot  les  traits  d'un  malheu- 
renx  qui  va  au  supplice.  Une  afiì^use  horripilation  leur  donne  un  caractère  effrayant.  La 
boucbe  est  ouverte.  La  main  tient  un  livre  ;  c'est  sans  contredit  un  portrait  inventé  ». 


Digitized  by 


Google 


70  INTRODUZIONE, 

torcigliano  come  serpe  gli  stemmi  dei  tirannelli  d'Italia,  quando 
si  contempla  la  colonna  su  cui  poggia  il  libro  del  Principe, 
^v  ripensano  le  lacrime  e  le  ferite  della  patria  nostra,  di  cui 
egli  senti  già  il  dolore  e  speculò  il  rimedio,  si  che  la  coscienza 
italiana  non  meno  che  la  critica  storica  trova  di  che  compia- 
ct?rsene.  Ma  a  idealeggiare  la  persona  storica  di  Niccolò  Tarte 
non  pensò  che  assai  recentemente,  e  per  compenso  agli  sfregi 
che  un' altra, arte  gli  avea  già  fatti,  in  causa  del  machiavel- 
lismo. Infatti  nel  secolo  decimosesto  gli  artisti  d' Italia  non 
s'occuparono  del  Machiavelli;  fuori  d*  Italia  lo  vituperarono,  e 
.seguitò  a  questo  modo  fin  presso  ai  di  nostri.  RafiFael  Santi  ef- 
figiava nelle  sale  Vaticane  Dante  e  Astorre  Baglioni,  il  Casti- 
i^lione,  il  Beazzano,  il  Perugino,  i  fortunati  contemporanei;  il 
Buonarroti  cacciava  nel  suo  giudizio  universale  i  prelatucci 
uggiosi,  Giulio  romano  ritraeva  le  sembianze  del  nano  buffone 
(li  Clemente  .VII;  ma  ne  in  olimpo,  né  in  paradiso,  ne  in 
inferno  era  posto  allora  pel  Machiavelli;  quando  poi  la  via  del- 
l'immortalità onesta  gli  è  contesa,  la  falsa  immagine  di  lui  va 
condannata  alle  fiamme.^  E  su* teatri  d'Inghilterra,  lo  Shak- 
speare  dal  nome  di  lui  proverbia  chi  dondola  e  perde  con  fur- 
berie le  persone,  e  il  Calderon  lo  taccia  d'ignorante  e  di  stolto 
au' teatri  di  Spagna ;2  la  musa  monitrix  d'Enrico  Stefano  sver- 

1  Qaspar  Scioppius,  MachiaveUicorum  pars  posterior  «  Jesuitae  Ingolstadienses  magai 
In  Qermania  nominis,  imaginem  eius  in  conclone  frequentissima  anno  1615  concremanint, 
hoc  addito  elogio  sive  titulo  :  quoniam  fuerit  homo  vafer,  ac  subdolus  diabolicanim  cogi- 
laiìonum  faber  optimus,  cacodaemonis  auxiliator  ».  —  E  qui  cade  in  acconcio,  dalla  lei- 
ìQrx  122  del  Voltaire  a  Federigo  di  Prussia  (ed.  cit.  p.  430),  recare  un  brano  della  visiono 
notturna. descritta  a  quel  monarca  dal  filosofo  piacentiere,  il  quale  racconta  che  alla  vista 
iliilla  Verità 

«  Le  Florentin  Machiavel, 
Voyant  cette  fille  du  ciel, 
S*en  retouma  tout  au  plus  vite 
Àu  fond  du  manoir  infemal, 
Accompagno  d*un  cardinal 
D'un  ministre  et  d'un  vieux  jésuite  ». 

Anche  I'àddison  nel  Tatler  (voi.  iii,  N.  123,  pag.  95,  Continuation  of  the  X3Ìsion  jof  the 
Three  Roads  of  Life)  rappresenta  la  statua  del  Machiavelli  sopra  un  sentiero  che  mena 
al  tempio  della  Vanità  «  pointing  out  the  way  with  an  extended  Anger  like  a  Mercury  ». 
«  Cf.  Shakspbarb,  Merry  wivei  of  Windsor ^  atto  3®,  se.  i:  «  Peace,  I  say!  bear  mine 
ni:ist  of  the  Garter.  Am  I  politici  am  I  subtle?  am  I  a  Machiavell  shall  I  lose  my  doctorl 
no:  he  gives  me  the  potions  and  the  motions.  Shall  I  lose  my  parsonl  my  priest?  my  sir 
Tliighl  no;  he  gives  me  the  proverbs  and  the  noverbs,  etc  E  nella  prima  parte  di  Enrico  VI, 
{^%Xo  v,  se.  4)  «  Alencon!  that  notorius  Machiavel!  »  con  aperto  anacronismo,  trattandosi 
dulia  Pulcella  d'Orleans  (1431).  Similmente  nella  parte  iii  (atto  ni,  se.  2): 

«  ril  play  the  orator  as  well  as  Nestor: 
Deceive  more  slily  than  Ulysses  could; 
And  like  a  Sinon  take  another  Troy: 
I  can  add  colours  to  the  chameléon  ; 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  71 

gogna  Firenze  per  aver  dato  i  natali  a  un  simile  mostro  ;  ^  poi 
dal  pergamo  l'abomina  il  Lucchesini;  e  ne' tempi  moderni, 
quando  il  romanzo  divien  la  forma  più  popolare  di  letteratura, 
il  machiavellismo  fa  capolino  anche  in  quello.  La  legazione 
al  Valentino  diviene  gran  parte  del  racconto  inglese  intito- 
lato Cesare  Borgia,^  La  descrizione  della  peste  del  Macchia- 
velli,  imitata  dall' Ademollo,  e  l'avventura  amorosa  di  Niccolò 
colla  Barbara  cantatrice  formano  un  episodio  della  Marieita 
de'  Ricci;  il  Guerrazzi  incomincia  il  suo  racconto  dell' ^4^- 
sedio  di  Firenze  con  una  scena  declamatoria  in  cui  il  nostro 
Niccolò  muore  sentenziando  ;  il  Bulwer  ^  ci  rappresenta  nel  per- 
sonaggio di  Riccabocca  l'effetto  vero  e  schietto  delle  dottrine 
del  Machiavelli  nell'animo  de'recenti  esuli  italiani,  che  fuggendo 
la  servitù  della  patria,  si  recavano  tra  gli  stranieri  a  stentar  la 
vita  e  a  camparla  con  gravi  travagli,  nell'amore  operoso  della 

Change  shapes  with  Proteus,  for  advantages; 
And  set  the  murd'rous  Machiavel  to  school. 
Can  I  do  thìs,  and  cannot  get  a  crownY  » 

n  Caldbbom  allude  per  certo   al  Machiavelli  e  ai  precetti  di  lui  sul  segreto  delle 
congiure,  quando  scrive  nell*Amar  despues  de  la  muerle.  Jornada  secunda: 

«  Quanto  ignora,  quanto  y  erra 
el  que  dize  que  un  secreto 
peligra  en  tres  que  le  sepan, 
qu*pn  trenta  mil  no  peligra 
conio  a  todos  les  convenga». 

1  Hbnb.  Stephani.  Musa  monitriXf  loc.  cit.>  p.  252  e  seguenti. 
«  De  Te  quod  ante  dixeram,  Florentia 

Libet  iterare  nunc  Machiavelo  super, 

Magister  ille  cai  decus  Florentia 

Magnum  est  at  ipse  dedecus  Florentiae, 

Amo  Te,  amavi  iam  puer,  Florentia. 

Tu  civitatum  (post  Neapolim  tamen) 

Oratissima  omnium  Ausones  quas  incolunt, 

Mihi  fuisti,  sed  volo,  Florentia, 

Verum  fateri  (namque  mos  est  hic  meus 

Fateri  amico  vera,  amicae  et  cuilibet 

Eadem  fateri)  gratior  fores  mihi 

Si  non  et  ìmpio  Machiavelo  solum 

Natale  (namque  confìteris  hoc)  fores. 

Cur  alvus  illum  matris  extulit  forasi 

Cur  potius  illa  mensium  novem  domus 

Etiam  sepulcrum  facta  non  est  impiol 

Cur  solìs  unquam  fuit  ei  visum  jubar, 

Quem  vidit  ille  seculo  solum  suo 

Scholas  tyronnis  aperuisse,  non  modo 

Quicunque  erant  tunc,  posteris  sed  omnibus? 

Cur  mlnuo  crimeo?  occupandae  nam  fuit 

Magister  ille  plurimis  tyrannidis  »  etc. 
"  Dell'autore  dei  Whitefriars. 

*  V.  Bulwbb's,  My  Novel.  -  Guebbazzi,  op.  cit.  e.  i.  -  Ademollo,  Marietta  ds*  Rieci, 
con  note  di  L.  Pab8Bri»i,  p.  115. 


Digitized  by 


Google 


n  INTRODUZIONE. 

libertà  b  nella   fiducia   del  bene.    Dall'invettive  assurde   del 
Meyer,  dello  Stefano  e  del  de  Laprade,  ^  dalla  musa  adulatoria 

*  LiviNt  MisTEHii,  Z>0  InstUutione  prineipiSf  p.  183.  Poematunif  lib.  xii.  Bnixellis,  1727, 
ia-lS<  AccAatD  at  r<!ttoricunii  del  Meteb  crediamo  debbasi  collocare  la  seguente  declamaxione 
del  Db  LAPnAbE,  il  quale,  quando  non  avesse  abbastanza  torti  agli  occhi  d*un  italiano, 
dovrebbe  rispnniieE'a  ai  Francesi  del  suo  troppo  fervore  per  la  Pulcella  e  della  sua  poca 
memoria  di  Liitgl  Xl,  del  suo  rapimento  pe' soldati  di  Gastelfidardo  e  del  suo  oblio  per  quelli 
dì  MagflDta^  del  tt'inerarìo  e  indecente  baratto  fra  le  virtù  di  Baiardo,  morte  da  un  pezio, 
a  lo  infaconds  e  ciHpìratrici  mene  dei  Lamoricière : 

Uhe  statue  a  Machiatkl.  Ci 

fo9.i  peapl«t  eo  rcoaiMant,  t'adore  daat  an  homm« 

Il  prfiad  de  toa  héros  le  oom  dont  il  m  nomme; 

CotDcae  ta  propre  Ima^e,  Il  aatied  «ar  l'aaiel 

Oli  ioa  Leonida*  oa  aon  Oaillaame  Teli; 

BiiiLi  let  traila  de  l'Idole  il  Mot  qa'il  ra  reTl^re. 

Or  ca  broiise  le  Ja^e  et  le  peint  mleox  qa'aa  llrre; 

Bva  arrtt  est  fcraré  daoa  PoeuTre  da  loalpteur: 

Sa  liberti  reaaemble  à  eoa  liberatear. 

Ch»s  aoai.  Francai*,  lea  fila  de  la  chevalerle, 

L'Qfl  renarne,  une  Tierge  a  fonde  la  patrie; 

Br>a  àme  j  reeaacite  à  1* beare  da  danger, 

^ntì.  Aom  est  le  défl  qa'on  lance  4  l'étranger; 

Cai-  la  race  dea  Franca,  qae  toot  calTaire  attlre, 

8' Iti  me  et  ae  reconnait  dana  Jeanne  la  martjre. 

T^i^l,  tu  cholaia  poar  Dieu  le  foarbe  florentin, 

Tu  l'aaaieda  aur  le  Mail  d*an  empire  latin, 

Italie  1  Et  Toilà  qa'a  peine  indépendanta, 

Ah  mépria  de  Colomb,  de  RapbaVl,  de  Dante.... 

<jUAnd  ta  peux  éroquer  an  viaitear  da  del, 

Ta  itane  Hberté  a'eprend  de  Machtavel  1 

¥,t  e'ett  nona,  peaple  frane  de  coear  et  de  parole, 

Qui  foarniaaona  le  bronse  à  cette  infime  idolel 

Boldital  donnona  ancor  da  Bang  e  da  metal; 

11  fmat  à  la  atatae  an  digne  piedoatal  ; 

il  faat  qu'arec  l'image  iuaugurant  le  calte, 

€hacan  dea  baa-reliefa  nona  jette  aon  inaulte  : 

Ekalptear,  écrlres-là,  d'un  dolgt  reconnaiuantt 

Et  Cutelfldardo  trempé  de  notre  aang, 

Ett  ftoar  pajer  d'un  eoap  aea  Hareura  débonnalrec, 

T/ Italie  appelant  dea  Francala  :  mercenalreal 

Iiijbnes  da  bronse  encorel  afln  qu'en  plein  soleil 

t'autre  face  da  «ode  alt  aon  tableau  pareli: 

Alai  piede  da  mSme  Diea,  c*eat  une  ville  en  fèto, 

Naplea,  de  tout  renant  la  docile  oonquéte, 

Qiil  prodigae  lea  fleura  et  depouille  aon  aein,  \ 

four  parer  le  tombeau  d'an  Immonde  aaiasaln. 

A'ollà  done  le  grand  homme  et  lea  grandea  hiatolres 
QuMIt  graTent  aur  ce  bronse  iiau  de  noe  rictoireal 
Nrji  Ala,  tombéa  poar  Toaa,  dea  Frangala  par  railUers, 
Engraiaaent  Toa  gaereta  da  sang  dea  cbeTaliers, 
Fcfur  qa'aa  premier  aoleil  Totre  terre  agrandie 
Ba  épaiaaea  molaaona  germe  la  perfidie, 
Xl.  nnuB  montre,  aa  parjure  emmanchant  le  polgnardi 
HachiaTeL...  da  tombeau  retiré  par  Bajardl 

BiPuflVires-Toaa  qa*on  diae,  aaz  piede  d*an  tei  aneltre: 
u  L^ Italie  eat  fldèle  auz  lenona  de  ce  maitre!  » 
Et  fta'effrajant  Thonnear,  aoat  ce  maaque  perrerSf 
Tja  Joune  indépendanee  attriate  TuniTera  f 
Tinn  1  la  liberté,  raéme  en  ses  Joura  de  delire, 
lìmam  le  livre  da  Prènce  a  refùaé  de  lire. 
T/astuce  et  le  menaonge  et  tona  cea  tìU  mojens 
EniTMidrent  dea  Césara,  Jamala  dea  citojena. 

CpicbB,  Italie,  un  front  qui  conae<lle  le  crime! 
Q«t  art  impur  forgea  la  chaìne  qui  t'opprime. 

^  QÉ  m  tenrint  qua  la  Toscane,  en  s'onissant  aa  Piémont,  a  vote  rArecUon  d'ane  mtos  à  lUchitTel. 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  73 

del   Voltaire  lo  splendor   delle  liriche  del  Byron,  de'  versi 
deU'Hayley,  deirAlfieri,  del  Mamiani,  dal  Carducci  lo  riven- 

Montr*  tM  Raphai  el  t««  Allghlérisl 
Ya,  Tal  o«  n'eit  pu  trop  de  tona  eei  noma  chérli 
Ponr  efflMer  dM  ooaara,  oh  la  colèra  aboude, 
La  listo  da*  tjraa*  qne  tu  donna*  aa  monda. 
Caeha-la  Machiarel  I  alon  nona  oubllerona 
Qne  lai  fianca  de  ta  lonre  ont  porte  la*  Nérona. 
Ne  nona  rappelle  paa,  Tloilla  Iqjare  Impania, 
Qua  notra  aol  aaigna  sona  ton  affreaz  genie; 
Qn*a  novaf  Oanloia  brojéa  aoaa  ea  pled  maliUaaiit 
Tn  nona  fla  de  Céaar  Téxècrable  préaent. 

▲  tea  llbérateura,  —  quitto  dMngratltude,  — 
Tn  donna*,  par  aTanee,  aasaa  de  eerrttnda  ; 
AaacB  dMmpurea  maina  auront  apprla  chea  tol 
Le  Jen  dea  fiiux  aarmenta  et  le  brla  de  la  loi. 

Ce  broaae  oh.  Machiavel  par  tea  aoina  doli  roTlTra 
Inritera  laa  roia  à  pratiquer  aon  lirre  ; 
Tu  raa  ainaj,  fìinèato  à  uoa  dérnlera  paranta, 
Tenir  de  alicle  en  aiuole  école  de  tjrana. 

Et  tu  Tenz  que  la  Franca  anz  fila  de  eetto  éeole 

▲▼eo  aon  propre  glaire  ouTre  le  Capi  ola. 

Tn  Teuz  que  noua  alliona,  le  Celto  et  le  Oermaln, 

▲  tea  oenfli  de  Tautour  rendre  leur  nld  romaint 

▲hi  dana  l'eau  du  bapttme,  au  nom  du  DIen  fait  hommef 
L'Europa  a  pu  nojer  a*a  hainea  contre  Rome; 
L'nalrera,  affranchi  dea  préteura  arroganta, 
Laiaaa  deboat  eea  mura  fondéa  par  dea  brlgandi. 
Maia  le  Oauloia  rainqueur,  le  Sazon  et  Tlbire 
N'j  aonffHront  paa  pi  uà  Augnate  que  Tibèra. 
L*honneur,  qui  ne  veut  ploa  courir  de  tela  haaards, 

▲  donni  Home  au  Chriat  ponr  la  prendre  au  Céaara. 
Laiaaea  aur  lea  Sept  Monta,  dana  Torage  qui  gronde, 
La  orolz  qui  roua  aauva  dea  Tangeancea  du  monde; 
Bone  n'eat  pina  a  vena;  —  reapectea  le  aalnt  Ueul 
Par  un  don  de  la  Franca  elle  appartient  à  Dieu. 

Jamala  aa  Yatican,  abrlti  de  noa  glalTea, 

On  ne  Terra  trfiner  la  Prine«  ou  aea  éUTea; 

Tant  qn'à  truTera  noa  dcuila  et  noa  deatlna  errante 

Nona  garderona  an  moina  notre  Tieuz  nom  de  Franca. 

En  raln  tout  a'aaaombrit  et  le  doute  nona  ronge  ; 

Nona  aTona  en  horrenr  l*a«tnce  et  le  menaonge, 

Et  lea  fourbea,  chea  noua,  dana  laura  tramea  aurpria, 

Succombent  ieraaéa  aoua  la  poida  du  méprla; 

Machiarel  j  Terrait,  debout  aur  une  place, 

Noa  enfknta  de  aept  ana  lui  eracher  à  la  fkee. 

La  mae  6to,  chea  uoua,  leur  preatige  anz  rainquaura; 

Le  aueoéa  ebloult,  mala  ne  prend  paa  lea  coeura. 

Noa  coeura  aont  avec  eenz  qu*on  trompe  ou  qu'on  opprima  ; 

Tu  le  aaia,  Toubller,  Itolle,  eat  un  crime  ! 

Tu  aaia  qui  relcTa  tea  bleaaia  à  genouz. 

Lea  Taincua  de  NoTare,  o&  aeraient-ila  aana  nona? 

D'antrea  Taincua  plua  chera,  d*autrea  pina  noblea  armaa, 
▲ppaUant  at^ourd'hui,  noa  lauriera  et  noa  larmea. 
I>e  aombraa  MachiaTela,  qui  flrappaient  a  coup  aftr, 
Ont  rerai  per  roa  maina  notre  aang  le  pina  pur; 
Et,  ai  Tantique  honnenr  n*eat  paa  aourd  dana  notre  Ama, 
Ce  aang  cria  à  Jamaia  contre  Tidole  infima. 
Dreaaea-la  eependantl  Noua,  d'uno  ferme  volz, 
Bendona  gioire  à  noa  morta  eonehéa  aur  leur  paToia; 
Dai^a  l'or  et  dana  Tairain  gravuna,  d'une  main  fière, 
Ton  nom,  6  Plmodaal  la  tien,  Lamorlclèrel 
Tol  qui,  fait  à  juger  oaa  haaarda  d'un  coup  d'oail, 
Oflrala  plua  qne  ta  rie  à  ce  Pontile  en  deuil. 

Yal  plua  d'un  noble  émale,  arrivé  Jnaqu'au  IkSto 
T'enrle,  au  fond  du  eoenr,  cetta  iUuatre  défhlto. 
Ta  panz  oroira  une  rolz  qui  n'a  Jamala  flatté 


Digitized  by 


Google 


74 


INTRODUZIONE. 


dicano.  *  Fu  ancora  chi  recentemente  e  con  dubbia  ventura  si 
proTÓ  foggiar  di  Niccolò  un  personaggio  drammatico  e  attegiarlo 

O  fth*fl  ir'oit  «Tae  tol  qa'iUlt  1*  Ubcrii; 

Tu  «ali  comMi»  nn  U  «trlT  Ic^l  qui  iOanTrt»  pnnr  ollt, 

I>leu  ««TA  de  tuoi  114  (lani  u  iJ^tlrr  naijTcMct 

Et  l«nr  daulfle  (t^n^Urdt  Qntr«  ten  idmIdi  reintiT 

Hoqtr^,  ì  qui  vt\3.t  bleu  Tu^liTi  ob  ii^tit  Inuffe  auIiIìUl^» 

Po.if  mot,  podltj  prr^nl  tur  m«t  Alp»  btutalaeit 

JgiiarA  Amm  trlEìuni/aiit  roli,  (IqI  CHpHiiltiet| 

UbE^  Ad^éniGut  4pri»  de  lo  ut  nob^e  r^ver», 

J'tìffi'B  L  dfl  teli  Tklitcui  l^«a?finil  pnr  J*  mM  Tsn. 

Dhii*  mna  It^r^,  immiti,  peu  ■uurl^nx  dn  pUlre^ 

Jc  b'IatrdYtt  uà  uom  paU'Ant  tlU  p^truE^m  ; 

Bl  lei  Ji?tar«itl  du  JoUr  ont  unitala  mA  Tflir, 

Jli  MTjgut  luet  h] Aprii  id^j'IIIkìil  dJAM  luoii  boliu 

Mkli  feu  MUrrl  lortir  partsnL  ItHut  1«  Tiihgf«f 

Si  Ec  I>Li3a  ^UB  Jb  pon  i:)«iUHaJ4  uti  tATTioE^uÉg^i 

Bl  je  put*,  tln  Mal  jiDur  à  ["o^uvrn  qu'EI  bdait^ 

PDrt4>r  man  grtAn  i\t  ublé  ou  moq  bloc  4«  (^r^niU 

Ah  t    tBudli  qa'4  itei  yeus,  drefipU^  commo  ime  Enjar«, 

C«  broD<«  lUllBu  ftii  un  dira  du  p«rj!in, 

Que  d«>  Tieni  dralt»  l'Earof^e  ét^^tit   Iff  cEfcif  furtÉÌ, 

Qu^on  a^ktrptkEe  à  liLton»  lar  le  bieti  «■■  1«  mul, 

Qne  le  mouda  paUiT^  cnmnte  «i|  uti  tDiiUTtl*  lougc^ 

LftEt*«  trAncr  lE   hAut  1b  f^urtM  et  le  luetLiougp, 

NdtLri,  lei  inldAU  4u  ClirUlf  noui,  Evi  Franei,  rt^etntoDoiil 

Cai  ^«irtue  BL  cei  drc^Eti  ì;u1  noa»  dD]v«ut  Ec^uri  uomi: 

La  flerté  d'uue  Eibre  e  loj«le  p^ralfl^ 

La  ruTt  pr&mple  L  alenar  de  tanjc  uil  chsr  IfmboleT 

Et  ì'JtadBSe  d'un  COrur,   lani  rr^praclii^  e1  ilUI«  fl«Tt 

QuJ  aa  craLhtt  ttE-biiq,  que  U  nbmw  in  eìaì. 

Dmtit  QUI  ctiutv  iti4]inriP4  c^mma  le  fen  dsi  templAfl, 

De  noi  i.'jegi  dt^Eutf  rBllUitionB  l«  exemplci; 

Leur  flAnamc  ea  ctiBRiem  mE^le  fniAr^li  rnmpaut* 

FfOniptri  4  nouil>  bl  lucer  comme  nte  wEtl  «firpeuta; 

Et  lei  kaluei  clBlri^ii  da  tc*yfr  doraefttque 

H«70Illl«ruilt,  Bl«rÌT  iur  1b  r  Etnee  publEiloe. 

Lo  lq3[<?  et  IL'AT«rEce  et  lei  BordEde*  ppnrp 

JfErout  pì-OÉf  à  genouT,   Bq-deT^nt  dw  tr«tdp«Un; 

La  lumE^TB  eutrein  Aahw  cflt  Empun  lEàiEkEE* 

Db  nnlret  tru^Eìitou*  et  d^Ejfnublei  irBadAls. 

iur  IVrt  da  HtuLUTel  «t  u  [IItEuEìA 

Qn'EI  tijuilTe  a.n  iimiI,  njron  d'atdeute  probità, 

L'éeliEr  d'uà  ^nd  renard,  lauB  plun  da  »ortEEèi;at 

£t  tie  brouMfi  hiJcux  RiitdrB  codine  In  neìg^i  * 

%i  DQiLfi  r<tidoiit>  etiStr^  épraii^^i  par  oe  r<u, 

L^Butel  v^  Dal  E'Mol^e  un  T^rilmbls  DE  e  a, 

Duh  Hit  impk  d'iitK>r4f  et  de  14  iIahì  tioM  villei, 

Poi^gp  poar  rutidftTTieat  à  qoi  Tertue  ?{Tf]e4 

ITq  PuTtr  qui   réiEifle  4  Cfl  tainpP  ■nbomBuri 

Et  aBctiouB  l'eppeler  da  ioù  tEaiLI  Qum;  l'eov^ncUB* 

^  H4TLBT.  An  J?*3a^  on  Nisiory^  ep.  n,  t.  ISO  -  Alfieri,  Po$tie  twri*,  »oii-  3tL  -Ma- 
M3ANI,  Pipp*i>,  p.  31^  -  CAftUuccij  La  Cfioctf  di  Satioja  -  Io.  i^afitf,  p.  S38  -  Br^off,  ChUd4 
Harold,  e.  ir,  p.  51-55  ^ 

*  Ta  Santa  Crocce'  s  holj  preci  nel  3  Iih 
Asbfl»  vhkb  mako  it  ha1ÌÉr,  diist  which  Is 
E'^en  in  itself  an  iiniri'^rUility  ; 

Thotigh  there  w^m  nnihìng  ^ave  t]i(i  pMt,  and  Xh'm^ 
T  i(T  partJcle  of  th^>!*e  KiEbliinitie!) 
Whkh  ha  ve  relaiisVi  m  chuos!  -  here  ropoa^  ' 

At4|j^fjli>%  Alfleri's  b(>nii!S,  and  hty, 
Tìio  «tarry  Ga1iki>%  witt  hia  waes.; 
ntìffl  ^fachlavalli^R  earth,  rcfuruM  to  wh«tDCO  ft  roae« 

Thf!5ft  are  four  mind^^  whkli^  lite  Uio  dlarnénts, 
MlghU  foraiah  fartb  cr^atìonl 


Digitized  by 


Google 


DEL  MACHIAVELLISMO.  75 

in  sulle  scene.  1  Dell'oblio  dell'arte  figurata  nel  decimosesto 
secolo  il  nostro  si  provò  a  compensarlo  ;  ^  quando  il  pennello 
magistrale  del  Kaulbach,  in  uno  de'grandi  a£freschi  nell'aula 
della  scalea  del  museo  di  Berlino  lo  collocò  al  suo  vero  posto 
e  nella  compagnia  che  gli  si  spetta;  non  nell'Olimpo,  o  nel- 
l'Accademia, ma  a  fianco  del  Poliziano,  d'Erasmo  e  di  Colombo, 
dello  Shakspeare  e  di  Hans  Sachs^  dove  si  stanno  il  Gutem- 
berg  e  il  Copernico,  dove  frate  Lutero  leva  alto  il  vangelo, 
spalancato  a  fugare  le  glosse  e  i  decretali;  dove  i  nuovi  prin- 
cipi nazionali  anno  smesso  ogni  preoccupazione  dell'  impero  ;  in 
mezzo  al  cuore  del  rinascimento. 


1  Dk  Oobinbao,  Renai»aanc9y  sch^es  dramaliquei.  Paris,  1877.  -  Il  Gobinbau,  senza 
offesa  soverchia  della  realtà  storica,  fa  del  M.  un  osservatore  disserente  col  Vettori,  col 
Buonarroti,  co'politici  fiorentini  del  tempo  suo.  Lo  fa  anche  assistere  alPassassinio  de*ba- 
roni  a  Sinigaglia,  in  fine  della  commissione  di  lui  presso  al  duca  Cesare.  Riesci  a  non  of- 
fendere interamente  il  pensiero  storico,  ma  non  potò  dare  al  persona^io  alcuna  efficacia 
drammatica,  qualità  che  reputiamo  sarebbe  più  che  diificile  attribuire  al  Machiavelli,  quando 
non  si  voglia  correr  rischio  di  renderne  piuttosto  la  maschera  che  l'ideale.  V.  Francesco 
Valori  et  Savonarola,  ou  la  papauté  au  XV  siècle.  Firenze,  1869  par  le  baron  Stock. 

*  Non  pochi  episodi  della  vita  del  M.  fornirono  argomento  d'opere  di  pittura  ai  moderni. 
Citiamo:  il  quadro  e  l'incisione  del  Faruffini,  rappresentante  Niccolò  a  colloquio  col  duca 
Valentino,  stampata  dal  Del&tre  a  Parigi.  Il  Bazzoli,  nell'  «  ingresso  di  Carlo  Vili  in  Fi- 
renze »,  effigiò  anche  la  figura  di  lui  come  in  disputa  con  alcuni  frati  di  San  Domenico,  n 
Obakdi  Io  ritrasse  nel  carcere,  intento  a  meditare  il  libro  «  De  Principatibus  ». 


pigitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


Capo  Primo 


ORIOINB  DE' MACHIA  VELLI  — NASCITA  DI  NICCOLÒ  —  EDUCAZIONE  DI  LUI 
QUALITÀ  DE*  TEMPI. 


•  né  per  noblltA,  né  per  uomini,  né  per 

ricchezze  Inferiori  si  giudicano -  E  chi  vo- 
lerne la  famiglia  nostra  e  quella  de'  Pazzi  Ju$ta 
lance  per  pendere,  se  In  ogni  altra  cosa  pari 
ci  giudicasse,  in  liberalità  e  virtù  d'animo  molto 
superiori  ci  giudicherà.  -  Maclatbi.lokvm  fa- 
MILIA  ••. 

(Machiavelli  N.,  Leti.  fam.  I). 

•  perch' egr  Importa  assai  che  un  gio- 
vanetto dal  teneri  anni  cornine'  a  sentir  dire 
bene  o  male  d'una  cosa;  perchè  conviene  che 
di  necessità  ne  faccia  impressione,  e  da  quella 
poi  regoli  II  modo  di  procedere  In  tutti  1  tempi 
della  vita  sua  >. 

(Maciuavblli,  DUeorsì.  L.  Ili,  cxlvi). 

In  Firenze,  in  una  casa  del  quartiere  d*  Oltrarno,  ^  Tam- 
mirazione  de'  posteri  fissò  una  scritta  che  rammemora  come  in 
quella  casa  conducesse  la  vita  Niccolò  Machiavelli.  Egli  era 

>  Nella  via  Ouicciardini,  n.  comune  odierno  10,  antico  1754.  La  scrìtta  è  la  seguente: 
«  Casa  ove  visse 
Niccolò  Machiavelli 

B  VI  morì  il  22  GIUGNO  1527 
DI  ANNI  58,  mesi  8  E   GIORNI   19  ». 

In  occasione  del  quarto  centenario  della  sua  nascita  fu  apposta  e  consacrata  popo- 
larmente questa  altra  epigrafe: 

«  A  Niccolò  Machiavelli 

dell'unità  nazionale 

precorritore  audace  e  indovino 

E  d'armi  proprie  e  non  avventizie 

PRIMO  istitutore  E  MAESTRO 

L'ITALIA  UNA  ED  ARMATA 

POSE 

IL  3  MAGGIO   IS09 

QUARTO   DI  LUI  CENTENARIO  ». 

Per  un  documento  pubblicato  da  Gaspare  Amico  (La  vita  di  N.  M.  Firanse,  1874),  ap- 
parisce, che  Niccolò  nascesse  in  una  casa  del  popolo  di  Santa  Trinità,  avendosi  per  uà 
estratto  del  libro  de' battesimi  dell'Opera  di  S.  Maria  del  Fiore:  «  A  di  4  di  detto  (maggio 
1409),.  Niccolò,  Piero  et  Michele  di  m.  Bernardo  Machiavelli,  p.  di  S.  Trinità,  naque  a  di  3, 
a  hore  4,  battezzato  a'  di  4  »r  —  Il  padre  Idelfonso  {DelHie  degli  eruditi  toscani,  t.  vni, 
JHmottraxione  genealogica  dell* albero  dalia  nobile  famiglia  de*  Nelli,  p.  xxiii),  dics  il 
nostro  Niccolò  venuto  in  luce  da  Bartolomea  Nelli  a'  di  24  di  novembre  1470  e  cita  «  Oa- 
bellone,  A.  110  o  126  a  120  (1423)  ».  —  Non  è  più  possibile  riandare  a* registri  del  Oabel- 
lene,  che  non  si  trovano  nell'Archivio  florentino,  e  probabilmente  non  gli  vide  neppure  il 
padre  Idelfonso,  il  quale  su  documenti  originali,  come  è  cognito,  lavorò  poco. 


Digitized  by 


Google 


7è  CAPO  PRIMO.  [i. 

nato  a*  dì  3  di  maggio,  deiranno  1469.  Il  padre  suo,  d'antica 
casata,  che  recava  Tarme  de*  mali  chiavelli,  ebbe  nome  Ber- 
nardo; la  madre  Bartolomea  di  Alessandro  Nelli,  vedova  di 
Niccolò  Benizi.  Di  essa  trovasi  che  fu  donna  di  senno  e  di  buon 
intelletto  ;  le  si  attribuì  vena  poetica,  si  disse  avesse  composte 
laudi  sacre;  le  quali  poiché  non  è  chi  asserisca  aver  vedute, 
potrebbe  credersi  che,  per  riflesso  della  fama  del  figliuolo  e 
come  per  trovar  preparazione  dei  pregi  di  questo,  le  si  cer- 
casse tardi  un  poco  di  gloriuzza  o  di  virtù,  come  a  quei  tempi 
intendevasì. 

Poiché  è  vero  che  ella  visse  in  un  secolo  in  cui  non  fu- 
rono poche  donne  eccellenti  per  valore  di  mente  e  d'animo; 
ma  oltre  che  di  costoro  ci  rimaser  Topere,  è  a  tener  ragione  di 
certa  tendenza  contemporanea  a  raccattar  ne'  parenti  non  pur  la 
cagione,  ma  il  presagio  della  grandezza  di  coloro,  che  giunsero 
a  splendida  meta  letteraria  o  civile.  La  gentildonna  che  era 
stata  madre  all'  Alighieri  aveva  avuto  visione  del  glorioso  al- 
loro che  doveva  essere" onore  e  desiderio  al  figliuolo:  la  madre 
di  Giovanni  de' Medici  si  voleva  che  fosse  stata  per  sogno  istrutta 
dell'altezza  cui  questi,  eletto  pontefice,  ebbe  a  poggiare.  Gian- 
nozzo  Manetti  che  dalle  sacre  carte  e  dalle  profane  storie,  in- 
cominciando da  Ecuba,  avea  raccolto  tutta  l'esperienza  tradi- 
zionale intorno  alla  reale  significazione  dei  sogni,  ne  avea  dif- 
fuso con  grande  autorità  la  fantàstica  osservazione.  ^ 

Che  se  Niccolò  dalla  madre  ereditò  animo  sottile  e  inchi- 
nevole a'  buoni  studi,  dal  padre  doveva  derivargli  nobiltà  di 
sangue  e  antichità  di  prosapia,  fino  a  ricongiungerlo  al  mar- 
chese Ugo,  che  signoreggiò  Toscana  dalla  metà  del  secolo  nono. 

Che  pretensioni  di  nobiltà  ci  fossero  nella  casata  de'  Ma- 
chiavelli ce  lo  prova  ampiamente  la  lettera  dettata  da  Niccolò 
in  nome  di  tutta  la  Maclavellorum  familia:^  I  suoi  antichi 


»  Jaicmoctii  MAiapiTi,  Vita  Nicolai  V,lib.  i;  in  Muratori,  R«r.  U.  teript.,  X.  ra,  p.  2.  911. 

■  Il  Nardi  Dbi  {Monografia  ttorica  e  statitttca  del  comune  di  MontetpertoU,  pag.  82) 
dà  per  erronea  Topinione  ripetuta  generalmente  che  i  Machiavelli  sieno  stati  feudatari  e 
signori  di  Montespertoli,  imperocché,  nell'epoca  in  cui  divennero  eredi  dell'antica  famiglia 
magnatizia,  non  esisteva  più  in  quel  comune  signoria  feudale.  «  Godevano  però  nella  loro 
qualità  di  eredi  degli  antichi  castellani  di  alcuni  diritti  sulla  piassa  di  Montespertoli,  re- 
sidui deirantico  dominio  feudale,  come,  per  esempio,  della  privativa  del  peso  e  misura  pub- 
blica e  di  alcuni  omaggi  di  cera  dagli  abitanti  del  paese.  Forse  ai  memoria  di  cotesti  diritti 
ì  signori  Machiavelli  apposero  il  proprio  stemma  sulla  gola  dell'antico  posso  della  piassa 
del  mercato,  come  può  vedersi  anche  attualmente  ».  —  In  un  manoscritto  della  Biblioteca 
Nazionale,  segnato  VIIT,  Var,,  1402,  pag.  119,  è  ima  lettera  di  Totto  Machiavelli  a  Fr.  di 
Piero  del  Nero,  in  Firenze,  in  data  de*  22  dicembre  da  Pisa,  nella  quale  si  mostra  ancora 
qualche  reiasione  di  essa  famiglia  col  comune  di  Montespertoli,  come  apparisce  dal  seguente 


Digitized  by 


Google 


primo]  MACLAVELLORUM  FAMILIA.  19 

avrebbero  avuto  la  signoria  di  Montespertoli;  la  repubblica, 
insofiferente  delle  servitù,  baronali,  gli  avrebbe  domi  e  ridotti 
in  città.|  Se  non  che  della  nobiltà,  ^  che  1*  Italiani  antichi  chia-/ 
mavano  gentilezza,  furono  due  maniere:  Tuna  di  feudo,  che| 
presto  nell'astiosa  operosità  delle  repubbliche  mercantili  scom-| 
parve;  l'altra  repubblicana  e  popolare,   nata  cioè  dal  civile! 
consenso,  dall'ossequio  per  alti  meriti  verso  la  patria  e  per; 
dovizie  onoratamente  nella  città  con  industrie  acquistate.  È  gen-  [ 
iilezza  dovunque  è  virtude,  sosteneva  il  popolo,  e  le  castella  [ 
andaron  compre  o  rase;  e  solo  si  ricevettero  nel  governo  e  negli  i 
uf3ci  popolari  quei  nobili  che,  dimenticata  la  loro  prosapia, 
tramutarono  il  nomeJ  In  Firenze  s'ebbero  cosi  da'  Tornaquinci 
i  Popoleschi  e  *i   Giachinotti  ;   da'  Cavalcanti  i  Malatesti  e  i 
Ciampoli;  e  le  vestigia  delle  signorie  castellane  e  de'  feudi  non 
tornava  conto  accamparle. 

Ora,  se  in  un  tempo  in  cui  i  nobili  erano  esclusi  dalle 
magistrature,  i  Machiavelli  poteron  vantarsi  di  annoverare  nella 
loro  casata  cinquanta  priori  e  dodici  gonfalonieri,  se  nel  mille- 
duecento ottantatre  Boninsegna,  che  fu  degli  antichi  loro  e 
collegato  d'interessi  co'  Bardi,  mercatanti  ricchissimi,  fu  priore 
delle  arti,  appena  un  anno  dopo  che  questo  magistrato  era 
stato  istituito,  questo  è  prova  che  i  Machiavelli  erano  avuti 
in  Firenze  siccome  Popolani  spettabili,  popolani  grassi,  e  che 
le  pretensioni  a  nobiltà  qastellana  non  s'accamparono  da  loro 
per  fino  che  la  repubblica  non  fu  morta. 

Furono  bensì  di  parte  guelfa,  e  quando  questa  soggiacque 
a  Montaperti,  nel  milleduecento  sessanta,  essi  uscirono  di  Fi- 
inciso:  «  Io  vi  adnisai  quanto  havevo  facto  della  faccenda  di  Niccholò:  di  poi  al  venirne 
qui  ad  Montespertoli  a  trovare  il  notaio  del  Podestà  per  fare  un  nostro  mandamento  al 
lavoratore  dei  figliuoli  d'Orsino  ceràjuolo  che  non  entrassi  più  in  quello  della  chiesa  ». 
—  L'arme  de' Machiavelli  è  una  croce  d'argento  in  campo  azzurro;  la  croce  ha  quattro 
chiovi  o  chiavelli  agli  angoli,  ed  uno  al  centro.  Il  Borghini  (Discorso  dell'arme  delle  far 
miglie  fiorentine,  Opp.  ed.  Milano,  t.  lu,  pag.  14S)  reputa  che  i  Machiavelli  abbiano  col- 
Tandar  del  tempo  assunto  i  chiovi  nella  loro  arme,  per  renderla,  come  usan  dire  gli  araldici, 
cantante,  a  somiglianza  di  quella  de'Malespini,  de*  Bordoni,  dell'Agli,  ecc.,  che  con  emblemi 
corrispondenti  significarono  il  nome  della  casata  loro.  E  fa  questa  congettura  de*  Machia- 
velli: «  veggendosi  alcune  loro  arme  antiche  senza  que*  chiodi  ».  —  Fra  i  documenti  re- 
lativi al  Machiavelli  nella  Bibl.  Naz.  di  Firenze  (busta  iv,  n.  42)  è  una  lettera  di  Niccolò 
d'Alessandro  Machiavelli  a  Niccolò  M.  di  Bernardo  commissario  in  Pisa,  in  data  dei  di 
9  giugno  1509,  che  reca  nel  sigillo  la  croce  coi  chiodi.  —  Quanto  alla  ortografìa  del  nome 
de'  Machiavelli,  è  da  notare  che  il  nostro  Niccolò  sottoscrive  più  comunemente  Malclavellus, 
e  in  italiano  Machiacegli;  la  famiglia  usa  ordinariamente  MachiavegU  o  JUachiaveUi 
(V.  Dog.  M.,  Bibl.  naz.,  busta  v,  21,  2S,  37,  46).  Biaoio  Bonaccobsi  scrive  Maelavello  e 
MalelaveUo  (Doc.  M.,  busta  i,  2,  3,  4,  busta  v,  23).  Il  Quicciabdini :  Machiavello.  Altri: 
Matchiaoelo,  Malchlavello  (b.  ni,  14),  Macravello  (b.  iv,  113,  114),  Mal  Chiaveli  {iv,  77). 

1  Cf.  BoKACCOBso  DA  MoNTEMAQNo,  Questio  de  nobilitate  ad  ili.  principem  Guidanto-- 
Mum  Montis  feretrH  comitem. 


Digitized  by 


Google 


80  CAPO  PRIMO.      •  [libro 

ren^e  né  vi  tornarono  se  non  co'  loro  partigiani.  Un  Alessandro 
Machiavelli,  fuggito  insieme  col  padre  da  Bologna,  stanco  delle 
fazioni  che  l'avevano  agitato,  si  ritrasse  in  solitudine  a  con- 
templare la  miseria  di  una  vita,  che  si  perdeva  in  contrasti 
eflSmeri,  espiò  le  colpe,  e,  morendo  in  Terra  Santa,  voce  di  po- 
polo e  sanzione  di  chiesa  l' alzarono  tra'  beati.  Nel  tumulto 
de'  Ciompi  (1378)  un  Guido  Machiavelli,  che  era  già  stato  dei 
priori  delle  arti,  fu  tra  i  sessantaquattro  cavalieri  che  la  plebe 
fece,  e  che  il  Comune  armò  poi,  dopoché  il  popolo  minuto  ebbe 
voluto  si  dimettessero.  E  quando  la  libertà,  amata  da'  Fiorentini 
più  con  violenza  che  con  fede,  cominciò  a  vacillare  sotto  le 
ricchezze  e  la  prudente  ambizione  de' Medici,  non  mancò  alla 
famiglia  de'  Machiavelli  chi  si  facesse  a  sostenerla  animoso,  e 
per  lei  desse  la  vita. 

Ebbe  lo  stesso  Niccolò  a  raccontarci  nelle  sue  istorie  di 
messer  Girolamo  Machiavelli,  che,  riassunto  lo  stato  da  Luca 
Pitti  e  da  Cosimo,  fu  privo  d'ogni  onore  e  confinato  ;  poi,  rotti 
i  confini,  dichiarato  ribelle. 

Allora  a  quei  mezzi,  cui  tutti  i  fuorusciti  sogliono  appi- 
gliarsi, si  rivolse  egli  pure  ;  corse  Italia  sollecitando  i  principi 
a  levarsi  contro  la  patria;  ma  tradito  e  posto  in  mano  agli 
oppressori  della  libertà,  questi  lo  gittarono  in  carcere,  d'onde 
non  usci  vivo.  Ciò  accadde  circa  undici  anni  prima  che  il  nostro 
Niccolò  venisse  alla  luce.  Cosi  egli  poteva  noverar  tra'  suoi 
antenati  un  santo  della  chiesa  e  un  martire  della  libertà 
della  patria. 

Se  non  che  il  compianto  di  questa  generosa  vittima  non 
dovea  nella  famiglia  di  Bernardo  rompere  fuori  delle  dome- 
stiche pareti,  né  eccedere  que'  limiti  che  la  prudenza  segnava 
a  un  cittadino  che  non  voleva  andar  travolto  nel  turbine  delle 
parti,  che  era  giureconsulto  e  tesoriere  della  Marca,  e  che  di 
tali  offici  dovea  sostentar  la  famiglia.  Inoltre  era  facile  a  Ber- 
nardo intendere  che  il  contrastare  al  giogo  de'  Medici,  adattatosi 
sempre  più  forte  sul  collo  a  Firenze,  era  tanto  inopportuna 
opera  e  vana,  quanto  per  contrario  nello  schietto  ed  affettuoso 
conversare  domestico  era  naturale  e  giusto  che  tra  i  Machia- 
velli non  mai  cadesse  la  memoria  dell'onesto  ed  oppressato 
congiunto. 

Ora,  sarebbe  desiderabile  che  d' un  uomo  che  in  fresca  età 
riuscì  a  diventare  prudente  tutte  minutamente  si  conoscessero 
quelle  cagioni  che  grado  a  grado  gli  modificarono  l'animo. 


Digitized  by 


Google 


primo]  qualità  DE'  TEMPI,  eil 

per  sapere  quanto  ei  dovette  a  buon  seme  di  natura,  quanto 
a  solerzia  d'educazione,  quanto  a  forza  di  condizioni  esterne; 
che  sono  le  tre  cagioni  dalle  quali  ogni  mente  d'uomo  piglia 
forma  ed  impronta.  Avvisare  ne' moti  primi  del  fanciullesco 
raziocinio  la  naturale  disposizione  della  mente  di  Niccolò  ;  stu- 
diare la  prima  adolescenza  di  lui  in  guisa  da  rintracciare  le 
cause  che  svolsero  le  facoltà  sue;  che  lo  condussero  per  gradi 
a  quella  logica  e  imperterrita  ponderazione,  per  cui  fu  ammi- 
ratissimo  da  contemporanei  e  da  posteri;  ritrovare  le  prime 
vibrazioni  di  quell'armonia  di  cuore  e  d'intelletto,  che  in  lui 
si  contemprarono  in  guisa  da  non  conceder  voce  all'uno  senza 
il  simultaneo  concordare  dell'altro;  riuscirebbe  per  noi  d'utilità 
forse  non  minore  che  il  seguire  le  fila  delle  politiche  vicende 
in  cui  fu  involto,  e  il  ricercare  negli  scritti  di  lui  il  suo  spi- 
rito adulto. 

Se  non  che  tanto  vantaggio  non  credo  avrebbe  saputo  altri 
apprestarci  che  non  fosse  stato  egli  stesso;  ed  egli,  fatto  per 
veder  più  le  cose  che  le  persone,  o  meglio,  per  veder  le  per- 
sone in  relazione  co' fini  delle  cose;  più  d'ogni  altra  persona 
obliò  la  sua  propria,  e  fu  restio  a  farne  benché  minimi  cenni, 
«  perchè  di  sé  e  de'  suoi  gli  sarebbe  stato  carico  a  ragionare  » .  ^ 
A  noi  dunque  non  resta  se  non,  percorrendo  le  civili  e  poli- 
tiche condizioni  della  patria,  che  circondarono  i  primi  anni  di 
lui  e  concorsero,  per  dir  cosi,  a  foggiargli  V  indole,  ricondurre 
alla  prima  semenza  i  frutti  dell'età  sua  matura,  rintracciare 
le  cagioni  che  confortarono  quella  sua  disposizione  costante  di 
rifarsi  a' principi  e  alle  cagioni  de' fatti,  riandare  gli  studi  che 
pose  per  acquietare  le  ansie  della  sua  mente  ricercatrice,  e 
ravvisare  le  necessità  tristi  e  ferree  de' tempi  suoi;  delle  quali, 
se  mai  queste  parvero  infettarlo,  ei  si  riscosse  preparando  mi- 
glioramento ai  tempi  che  dopo  lui  seguitarono. 

Certo  è  che  se  mai  furono  tempi  acconci  a  improntare  le 
fantasie  giovanili  di  varie  e  contrastanti  immagini,  furon  proprio 
quelli  in  cui,  scomparso  il  debole  e  malaticcio  Piero  de'Medici, 
che  visse  coperto  sempre  della  gloria  del  padre,  Lorenzo  e 
Giuliano  cominciavano  insieme  a  levarsi  nella  città  mercantesca 
e  gaudente;  in  cui  la  libertà  civile,  come  una  fiammella  che  è 
per  ispegnersi,  non  dava  luce  che  per  guizzo  e  per  attentati; 
in  cui  s'alternavano  spettacoli  di  sangue  e  d'orrore  colla  mostra 
la  più  splendida  d'una  vita  colta  e  lieta. 

i  Machiavelli,  Arte  della  guerra^  lib.  vii. 
ToMMASiKi  -  Machiavelli.  7 


Digitized  by 


Google 


S2  CAPO   PRIMO.  [libro 

«  . . . .  I  giovani,  più  sciolti  che  Tusitato  in  vestire,  in  con- 
<  viti,  in  altre  simili  lascivie  oltremodo  spendevano,  ed  essendo 
«  oziosi,  in  giuochi  ed  in  femine  il  tempo  e  le  sostanze  con- 
«  suolavano;  e  gli  studi  loro  erano  apparire  col  vestire  splen- 
«  didi,  e  col  parlare  sagaci  ed  astuti,  e  quello  che  più  destra- 
«  mente  mordea  gli  altri  era  più  savio, e  da  più  stimato».* 

A  questo,  dalla  frugalità  antica,  era  venuta  l'Italia;  da 
quella  frugalità  idealeggiata  non  men  da' poeti  che  da' cronisti; 
-quando  le  donne  sapevano  venir  dallo  specchio  senza  il  viso 
dipinto,  e  parco  il  desinare,  e  l'arredo  delle  case  era  sem- 
plice. ^  Gittatesi  ne' commerci  e  nelle  lontane  mercatanzie,  le 
nostre  vivaci  repubblìchette  s'erano  fatte  ricche.  Ma  se  gli 
-agi  del  viver  morbido  e  gli  affinati  diletti,  congiunti  ad  uno 
squisito  gusto  della  forma  e  ad  eleganza  gentile,  davano  va- 
ghezza all'aspetto  esteriore  di  esse,  la  vita  cittadinesca  per 
contrario  s'andava  guastando,  e  le  discipline  severe  e  forti,  che 
fanno  la  difesa  d'ogni  umana  società,  miseramelite  scadevano. 

Di  patrie  milizie,  d'amore  della  pubblica  cosa,  di  sacrifici 
di  singoli  alla  libertà  comune,  più  non  era  parola.  A'  danarosi 
e  a' condottieri  di  bande,  che  facevano  tutte  le  guerre  di  quel 
tempo,  era  venuta  nelle  mani  ogni  potenza  in  Italia.  Con  di- 
vèrso modo,  ma  con  egual  corruttela  maggioreggiando,  tutte 
le  arti  loro  volgevano  ad  assicurare  il  principato  che  si  erano 
procacciato,  e  a  collegarsi  per  difesa  scambievole  o  a  di- 
struggersi per  paura.  Cosi  Milano  non  agli  Sforza,  e  Fi- 
renze non  aveva  potuto  contrastare  a'  Medici.  D'altronde  la 
corruzione,  che  tutte  le  membra  della  società  avea  penetrato, 
presentava  un  aspetto  si  leggiadro  e  lucido  da  non  isgomentar 
facilmente  chi  in  quell'ambiente  vivesse  ravvolto.  A  chi  era 
fatto  incapace  della  severa  ragion  della  legge,  pareva,  disco- 

1  Machiavelli,  Istorie,  lib.  vii,  §  2S.  Cf.  Burkardt,  Renaiss^mcej  pag.  291  e  segg.  Il  Bau- 
DRiLLART,  Hisloife  du  luxe  prive  et  public,  t.  in.  pag.  208-9,  dopo  aver  tradotto  verbal- 
mente le  parole  del  M.  domanda:  «L'illustre  florentìn  n'exagére-t'-il  pas  la  portée  de 
cette  visite  de  Sforza?»  poiché  è  noto  come  il  M.  risguardò  la  venuta  in  Firenze  di  Ga- 
leazzo Sforza  come  un  nuovo  fomite  alle  pompo  private  e  agli  sperperi  nella  città  fioren- 
tina. Ma  l'essersi  promulgata  nuova  legge  suntuaria  e  più  rigorosa,  prova  abbastanza 
che  il  male  esistente  già  prima  di  quella  venuta,  erasi  dopo  quella  aggravato  ;  e  il  Bau- 
drillart  medesimo  è  tratto  a  riconoscerlo.  Tristamente  vero  poi  quel  che  di  quei  tempi  an- 
nota lo  scrittore  francese,  op.  cit.,  pag.  194  :  *  Eorcudent  alii  spirantia  mollius  aerei,  etc. 
hes  termos  de  l'oracle  doivent  étre  renversi^s.  L'Italie  ne  peut  plus  parler  de  domi- 
nation. ..  -  ce  scóptre  des  arts,  que  Virgile  décernait  à  d'autres,  il  lui  appartieni  désor- 
raais  sans  conteste...  -»  gloria  cedutale  assai  meno  volentieri  che  non  paia.  Venga,  ciò 
malgrado,  il  giorno  che  con  sentimento  antico  possa  Tltalia  ripetere:  «nec  fuit  opprobrio 
facta  sine  arte  casa  !  » 

"  Cf.  Dante,  Pur.,  xv,  97  e  seg.  Ricobaldi,  His'..  impp.  in  Muratori,  A^r.  U  script, 
t.  IX,  pag.    128.  De  rudi  Ilaliae  atatu. 


Digitized  by 


Google 


ramo]  QUALITÀ  DE*  TEMPI.  83 

standosene,  d*  avvicinarsi  a  più  comoda  ragion  di  natura  ;  e  a 
quelle  osservanze  nelle  quali  è  la  malleveria  degli  ordini  du- 
raturi, si  faceva  succedere  l'arbitrato  della  coscienza,  prona 
a  persuadere  l'utile.  Ma,  come  dicemmo,  l'involucro  lucente 
di  tanto  guasto  abbagliava  la  vista  a  chi  viveva  alla  giornata 
e  provocava  ne' forestieri  la  meraviglia  per  la  elegante  vita 
d'Italia. 

Conseguenza  naturale  di  una  condizione  di  vita  in  cui  il 
bello  soventi  volte  si  collega  al  tristo  e  la  virtù  alla  goffag- 
gine è  lo  smarrimento  della  coscienza  pubblica,  si  che  non 
meno  si  dubita  del  parere  che  dell'essere.  Tiranni  e  popolo 
si  trovano  a  fronte  senza  diffidenza,  senza  sentimento  di  peri- 
colo, senza  ribrezzo  ;  gli  uni  non  si  credono  prepotenti  ;  l'altro 
non  si  sente  oppresso.  Cosi  in  Firenze  a  Luca  Pitti,  finché  le 
cose  gli  furono  in  favore  e  parve  che  egli  avesse  alle  mani 
lo  stato,  si  traeva  la  moltitudine,  lo  ricopriva  di  doni;  tanto 
che  egli  s' accinse  a  edificare  da  privato  quel  palazzo  sublime 
che  fu  serbato  poi  a  dimora  di  re.  «  E  il  popolo,  senza  gelosia, 
l'aiutava  a  quella  opera,  e,  chi  non  poteva  di  donativi,  l'ac- 
comodava di  personali  servigi.  Oltre  a  questo,  tutti  gli  sban- 
diti e  qualunque  altro  avesse  commesso  omicidio  o  fuito  o  altra 
cosa  perchè  egli  temesse  pubblica  penitenzia,  purché  e'  fosse* 
persona  a  quella  edificazione  utile,  dentro  a  quelli  edifizi  si- 
curo si  rifuggiva  ».  ^  E  perchè  tanto  favore  di  popolo  l'ab- 
bandonasse, si  convenne  che  questo  s'accorgesse  come  era  chi 
meglio  di  quello  sapea  soprastargli.  E  Cosimo,  la  cui  grande 
arte  era  in  lasciar  cadere  le  poma  mature,  si  piacque  guardare 
in  solitudine  schernito  quel  competitore  che  erasi  provato  le- 
vare le  case  sue  più  alto  delle  medicee,  e  coli'  adottare  l' insegna 
di  una  bombarda  avea  mostro  la  pretesa  di  scaraventare  esso 
in  aria  le  palle  de'  Medici.  Se  non  che  l' arbitro  più  astuto  seppe 
meglio  addormentare  gli  animi,  e  il  popolo,  che  non  s'accorgeva 
del  giuoco,  lo  chiamò  padre  della  patria,  come  ei  fu  morto. 

A  questo  inganno  della  coscienza  popolare  parve  non  ri- 
spondesse meno  una  singolarissima  illusione  di  coscienza  negli 
iniziatori  della  tirannide  ;  di  guisa  che  essi  stessi  bramosi  del- 
l'accrescimento  della  patria  tanto,  quanto  vogliosi  della  si- 
gnoria, pareva  non  credessero  alla  patria  poter  giovare  meglio, 

«  Machiavelli,  Istorie,  lib.  vii.  —  V.  il  sonetto  pubblicato  dal  Mai,  Spicilegium  ro' 
fnanuw,  t.  i,  pag.  684. 

«  Di  Luca  Pitti  ho  visto  la  muraglia  ». 


Digitized  by 


Google 


84  CAPO  PRIMO.  [lobo 

che  tutta  recandosela  nelle  mani  e  togliendole  la  libertà.  Anzi, 
come  se  il  bene  della  città  stesse  nella  casata  loro,  aspetta- 
vano che  quella  dovesse  andar  loro  a  picchiare  alle  porte  e 
gettarsi  loro  tutta  nel  grembo.  Cosi  aborrendo  da  vistosi  straor- 
dinari, che  erano  i  mezzi  con  cui  tutti  gli  altri  principi  nuovi 
s'erano  impossessati  del  governo,  Cosimo  lasciò  andare  dileg- 
giato e  tra'  pazzi  quel  Matteo  Bartoli,  gonfaloniere  di  giustizia, 
che,  ripugnanti  i  Signori,  voleva  adunar  parlamento  per  far 
nuova  balia  e  metter  la  pubblica  cosa  in  lui  e  ne' grandi;  e 
Lorenzo  al  figlino!  suo  Piero,  quando  lo  spediva  a  Roma  ad 
appresentarsi  a  papa  Innocenzo,  rammentava  che  esso  altro 
non  era,  né  dovea  credersi,  che  un  semplica  cittadino  di  Fi- 
renze. Così  congiunto,  in  certa  guisa,  l'amor  proprio  di  sé  con 
quello  del  pubblico  bene,  seguiva  il  più  bizzarro  contrasto, 
per  cui  chi  nelle  intenzioni  non  sopportava  eguali,  si  faceva 
riguardo  a  spiccarsi  poi  del  tutto  dall'eguaglianza  civile. 

Similmente,  quando  è  pur  certo  che  i  Medici  erano  in 
Firenze  fautori  del  viver  molle,  de' giuochi,  delle  pompe,  e  di 
ogni  delicatezza;  Lorenzo  si  fa'  pure  autore  di  nuove  leggi  in- 
frenatrici  del  lusso,  per  cui  le  famiglie  mediocri  fosser  tenute 
basse;  e  Lippe  Brandolini  ne  lo  celebrò.  La  religione  già  da 
gran  tempo  fievole,  cadeva;  tempi,  conventi  e  monasteri  sor- 
gevano ;  le  cappelle  più  vaghe  di  Santa  Croce,  de'  Servi,  degli 
Àngioli,  di  San  Miniato  dispiegavano  tutta  la  leggiadria  delle 
loro  pitture  e  la  bellezza  de'paramenti.  Cosimo  aveva  edificato 
San  Lorenzo,  Santa  Verdiana,  San  Marco,  ignaro  che  dalle 
mura  di  quest'  ultimo  chiostro  avrebbe  tonato  una  voce  fatale 
alla  posterità  sua.  Ma  egli,  questo  edificatore  di  chiese,  soleva 
ripetere  che  gli  stati  non  si  tengono  coi  paternostri.  Lorenzo, 
inventore  de' canti  carnascialeschi,  compose  laudi  spirituali  così, 
come  l'Ambrogini  (il  Poliziano),  rotto  ad  ogni  brutta  lascivia, 
cantò  della  Vergine:  e  al  pari  di  questo,  dopo  un'ode  divota, 
sapeva  intessere  epigrammi  degni  della  musa  pedica.  E  la 
prece  divota  della  fraternità,  il  baccanale  de'  godenti,  il  raumi- 
liare  la  coscienza  e  il  discioglierla  colla  fatalità  spensierata, 
in  un  uomo  istesso,  in  un'istessa  compagnia  s'alternavano  nella 
più  singolare  vicenda.  Il  bene  si  credeva  compensato  dal  male: 
quello  non  si  ostentava,  ma  questo  non  lasciava  rimorsi;  e  giu- 
stificavasi  il  cozzo  di  pensieri  centradittorì  e  la  opposizione  fra 
pensieri  ed  opere  col  non  credere  nulla  alieno  da  sé  che  fosse 
proprio  dell'umana  fralezza. 


Digitized  by 


Google 


PBnio  QUALITÀ  DE*  TEMPI.  85 

Nasceva  però  che  ogni  uomo,  per. generoso  d'indole  che 
ei  fosse,  non  curandosi  di  non-  lasciar  appiglio  al  motteggiare 
e  alla  mordacità  delle  celie,  queste  spicciavan  fuori  acute, 
piene  d'irritazione  e  di  scandali.  Epigrammi  o  terzetti  vitupe- 
rosi appiccavansi  alle  porte  de*  cittadini,  anche  i  più  rispetta- 
bili e  onesti.  Seguitava  che  il  timor  del  ridicolo,  che  presso 
taluni  potea  più  che  quel  della  morte  e  della  vergogna,  al- 
lontanava non  poche  persone  dall'attendere  alla  pubblica  cosa, 
dal  comparire  in  quelle  qualità  pubbliche  che  l'esponessero 
allo  sguardo  e  a'  morsi  della  malignità.  Che  se  le  persone  con- 
trapponevano scherno  a  scherno  e  dileggio  a  dileggio,  i  crucci, 
i  rovelli  di  un  vivere  astioso  erano  loro  degno  compenso;  ma 
gli  aflFetti  nobili  volti  in  ridicolo,  il  costume  deriso,  le  grandi 
azioni  rimpiccinite,  non  avute  in  onore,  interpretate  per  secondi 
fini,  troppo  crudelmente  smussavano  l'animo  a'  giovani,  facili 
per  provvidenza  di  natura  ad  accendersi  all'esempio  di  fatti 
lodati,  al  desiderio  di  onori  promessi;  e  questo  era  tal  male 
per  chi  dovea  crescere  in  quell'ambiente,  che  non  era  possi- 
bile compenso  o  rimedio.  Di  questo  crudele  motteggiare  entrato 
in  dispetto  talora  Lorenzo  istesso,  nell'animo  di  cui  la  virtù 
sonnecchiava  accanto  al  vizio,  s'era  fatto  a  imprecar  pianto 
e  dolori  ai  maledici.  Nelle  mascherate  de'  carri  e  trionfi,  gli 
aveva  esso  pure  a  sua  volta  colpiti  col  ridicolo: 

L*  altrui  bene  hanno  in  dispetto 
or  invidiosi  e  le  cicale,  > 

le  importune  cicale,  il  cui  periodico  strillo  non   incontrò  mai 
in  Italia  la  blanda  accoglienza  che  trovò  sotto  il  bel  cielo  di 

>  Le  cicale  facevano  nella  Firenze  d'allora  la  parte  riservata  nelle  città  odierne  ai 
giornali  pettegoli  :  inventare  e  diffondere  malediche  voci.  Il  Mìnchia vklli  {Lett.  fam.  XI)  al 
Vettori  scriveva  nel  1512:  «  Dite  a  Filippo  che  Niccolò  degli  Agli  lo  trombetta  per  tutta 
Firenze,  e  non  so  donde  nasca....  e  pure  ieri  mi  trovò,  ed  aveva  una  lista  in  mano,  dove 
erano  notate  tutte  le  cicale  di  Firenze,  e  mi  disse  che  le  andava  soldando  che  dicessin 
male  di  Filippo,  per  vendicassi  ».  Nella  Collezione  de*  trionfi  e  canti  eamascialeKhi^  a 
e.  565  è  un  canto  che  le  abomina,  e  le  vuol  fuori: 

«  Fuor  cicale  in  malora,  fuor  cicale, 

Noi  non  vi  vogliam  dare  più  andienza. 

Abbiate  pazienza, 

L'ha  ire  a  modo  nostro:  fuor  cicale. 
Da  poco  in  qua  s'è  sparso  questo  seme 

Che  tien  già  tanto  quanto  gira  il  sole; 

Ognun  resta  in  paura,  ognun  le  teme, 

Ognun  se  ne  lamenta,  ognun  si  duole. 

Senza  far  più  parole, 

Sia  poi  quel  che  si  vuole. 

Per  non  aver  compagne  si  bestiale 

L*ha  ire  a  modo  nostro:  f^or  cicale  ». 


Digitized  by 


Google 


80  CAPO  PRIMO.  [l 

Grecia,  dove  neppure  a  questi  striduli  animaluzzi  mancò  una 
immagine  gentile  che  li  nobilitasse;  dove  trovarono  grazia, 
come  sotto  sole  più  caldo,  nella  fantasia  del  sovrano  poeta. 

Giova  frattanto  avvertire*  come  il  Machiavelli  créscesse 
in  una  società  da  due  opposte  correnti  determinata:  cristianeg- 
giante  l'una,  macera,  aborrente  d'ogni  splendore  di  vita,  po- 
vera, gittatasi  da  cieca  sulle  deboli  e  rare  tracce  della  libertà 
già  scomparsa;  l'altra  godente,  splendida,  oculata,  ricca,  ri- 
trosa a  credere,  gijidiziosa  in  destreggiare.  L'influsso  di  queste 
due  fiumane  diverse,  che  s*  incontravano  per  le  fiorentine  con- 
trade, trasportò  per  buona  pezza  uomini  e  cose,  e  avendo  le 
due  correnti  comune  il  letto,  non  succedeva  di  esse  quel  che 
Omero  racconta  del  Titaresio  e  del  Peneo,  che  l'uno  si  git- 
tava  sull'altro  senza  mischiar  mai  onde;  anzi  accadeva  fre- 
quente che  quelle  si  compenetrassero,  e  che  in  fondo  alle 
pure  ma  poco  sapide  acque  dell'  uno,  si  ritrovasse  una  qualche 
ondata  dell'altro;  e  fosse  pure  chi  la  reputasse  scolo  dello  Stige.[ 

Il  fervoroso  ed  austero  Savonarola  determinava  l'una  di 
queste  correnti,  la  più  calda,  la  più  schiva.  L'altra  faceva 
capo  all'elegantissimo  Lorenzo,  ed  era  la  lasciva,  la  vivace; 
che  non  si  mostrava  peritosa  d'invadere  a  quando  a  quando 
per  un  pochino  l'alveo  dell'altra.  Cosi  Lorenzo  e  il  Poliziano, 
che  erano  alla  cima  del  vivere  morbido  e  raffinato,  si  trassero 
alcuna  volta  a  salmodiare  co'  penitenti  ;  come  vedremo  più  tardi 
il  nostro  Niccolò  uscire  dalla  divota  congrega,  ove  caldeggiò 
in  discorsi  di  carità  cristiana,  e  trapassare  in  brev*ora  nella 
più  matta  e  spensierata  compagnia  di  piacere,  la  quale  aspetti 
lui  per  ismascellar  dalle  risa,  alla  lettura  de'  bizzarri  capitoli 
«  fatti  per  tórre  il  dispetto  alle  cose  dispettose  e  aggiunger 
piacere  alle  piacevoli  ».  Queste  erano  le  condizioni  ordinarie 
della  vita  morale  che  accompagnarono  Niccolò  sin  dall'  età 
prima,  e  che  poterono  senza  forse  più  sull'indole  sua  che  le 
laudi  sacre  composte  dalla  madre  di  lui;  ora  cercheremo  di 
quelle  straordinarie  che  da  civili  mutamenti  furono  condotte. 

Nell'anno  istesso  che  egli  era  nato,  pacificatosi  il  papa 
colla  repubblica,  e  rabbassate  le  sue  pretensioni  sul  ducato 
d'Urbino,  mancò  Piero  de'  Medici;  e  Tommaso  Sederini,  cit- 
tadino reputatissimo  cui  questi  aveva  raccomandato  caldamente 
Lorenzo  e  Giuliano,  suoi  figliuoli,  fu  autore  che  in  essi  passasse 
l'autorità  dello  stato.  Il  vano  tentativo  che  Bernardo  de'  Nardi 
fece  con  pochi  fuorusciti  per  sollevare  Prato  e  rimettersi  in 


Digitized  by 


Google 


PBIMO]  QUALITÀ  VE'  TEMPI.  87 

Firenze,  fu  sì  poca  cosa  da  non  alterare  la  pace  della  repub- 
blica. L'impresa  contro  Volterra  ribellata,  fatta  ad  interesse 
forse,  e  certo  a'  conforti  di  Lorenzo,  fu  pur  essa  ben  presto 
espedita.  Rinnovatasi  poi  la  balia,  cioè  ripreso  in  mano  il  go- 
verno, e  riformate  le  imborsazioni  degli  uffici  tutte  a  vantaggio 
della  fazione  de*  Medici,  o  sia  fatti  incapaci  degli  uffizi  i  non 
partigiani,  si  visse  poi  per  parecchi  anni  in  tranquillità  e  quiete  ; 
durante  i  quali  Milano,  Ferrara,  Firenze,  Roma  ostentarono 
quanto  di  grandigie  e  di  pompe  poteva  agguagliare  l'antica  cor- 
ruttela imperiale.  Ma  se  colle  mollezze,  e  colle  pompe  imitate 
dagli  antichi  era  chi  cullava  il  sonno  del  popolo  neghittoso  e 
fantastico,  l'inno  di  Armodio  e  d'Aristogitone,  le  laudi  di  Bruto 
e  di  Cassio,  quelle  degli  eroi  di  Plutarco  uscivano  fuori  dai 
dotti  volumi  a  rinfocolare  nell'animo  ardito  degli  studiosi  vi- 
vaci il  furore  sacro  della  libertà.  Giovenale,  come  profeta,  li 
confortava  col  vaticinio  che  la  morte  de' tiranni  è  morte  secca; 
tanta  cupidigia  di  gloriosa  immortalità  li  pigliava  allo  svol- 
gere di  que'  volumi,  che  Roma,  Milano,  Firenze  non  manca- 
rono di  fervidi  cospiratori,  spronali  dall'esempio  delle  antiche 
celebrate  congiure;  ed  affilati  nelle  biblioteche  i  pugnali,  ne 
uscirono  fervorosi  e  forti  a  colpire  tiranni. 

Ma  Stefano  Porcari,  che  avea  tentato  spegnere  la  civile 
signoria  dei  papi,  erane  stato  impiccato  al  torrione  di  Castel 
Sant'Angelo:^  Girolamo  Olgiato,  riuscito  a  toglier  di  mezzo 
Galeazzo  Sforza,  dinanzi  al  (erro  del  carnefice  si  confortò  nel 
pensiero  che  la  memoria  del  suo  fatto  sarebbe  durata  eterna  ; 
e  a  Firenze  Jacopo  figliuolo  del  Poggio,  rapito  all'adescamento 
degli  antichi  esempi,  si  condusse  a  partecipare  alle  mene 
de'  Pazzi,  nemici  a'  Medici,  spalleggiati  dall'ambizione  di  papa 
Sisto,  che  ordinato  segreto  accordo  per  trucidare  Lorenzo  e 
Giuliano,  per  ismuovere  il  popolo  e  adonestare  la  violenza, 
gridarono  il  nome  di  libertà;  ma  i  Pazzi  la  libertà  non  l'ama- 
vano, né  li  moveva  altro  a  cospirare  contro  a'  Medici  se  non 
gelosia  di  grado  nella  città  e  vendetta  d'ingiurie  ricevute  e 
argomentate.  Egli  è  pur  vero  tuttavia  che  Lorenzo  pai*ea  vo- 
lerne troppo  contro  questa  famiglia  ^  per  ricchezze  e  per  nobiltà 
allora  di  tutte  le  altre  famiglie  fiorentine  splendidissima  ».  ^ 

>  Fra  le  carte  del  Machia vblli  (Bibl.  nas.,  busta  vi,  6)  è  una  copia  di  lettera  ne  la 
quale  è  deteritta  la  congiura  di  M.  Stefano  Porchari  di  Roma^  addX  iO  gennaio  i452 
(stUe  fiorentino). 

*  Machiavelli  :  Ittorie^  lib.  viii,  e.  2.  —  V.  anche  Eitratti  di  lettere  a'dieci  di  BàAa, 
pag.  281,  ed.  Firenze,  1874  «  La  cagione  delli  odi!  trai*  Pani  et  Medici  ». 


Digitized  by 


Google 


88  CAPO  PRIMO. 

L'eredità  di  Giovanni  Borromei  che  in  questa  famiglia 
doveva  discendere,  poiché  la  costui  figlia  era  moglie  a  Gio- 
vanni Pazzi,  fu  ingiustamente  sviata  in  un  nipote  del  Borro- 
mei  in  forza  di  una  legge  promossa  da'  Medici  «  che  le  donne 
non  redassino  »  ;  donde  ne'  Pazzi  nacque  ira  feroce.  D'altronde 
questi,  osteggiati  in  Firenze,  viveano*  a  lloma  in  gran  favore. 
Quivi  la  tesoreria  del  papa,  tolta  di  mano  a'  ministri  de'  Me- 
dici, erasi  concessa  a  quelli;  de' quali  Francesco  usava  col 
conte  Girolamo  Riario,  onnipotente  nipote  del  papa,  assai  fa- 
migliarmente.  Il  conte  si  credeva  in  odio  a  Lorenzo  Medici; 
cominciarono  costoro  a  tener  proposito  di  mutar  lo  stato  di 
Firenze  per  racquistare  l'uno  la  sicurtà,  l'altro  la  patria:  il 
che  voleva  dire  spegnere  Lorenzo  e  Giuliano. 

Noi  non  ci  faremo  a  riandare  l' ordito  di  questa  famosa 
cospirazione.  11  Machiavelli,  giunto  a  matura  età,  ce  ne  die 
nelle  sue  Istorie  difi'usa  narrazione,  ne'  Discorsi  amplio  e  si- 
curo giudizio;  ^  l'Ammirato  si  tenne,  come  sempre,  sull'orme 
del  segretario  fiorentino,  che  a  quando  a  quando  si  piace  ri- 
prendere d'inesattezza  senza  avvertirci  mai  di  quando  e'  lo 
copia;  r  Ambrogini  ce  ne  declamò  come  un  famigliare  de'  Me- 
dici poteva.  Nostro  intento  è  solo  accennare  agli  efietti  che.  la 
cospirazione  recò  nel  popolo,  alla  commozione  che  forse  potè 
produrre  nell'animo  di  Niccolò,  non  ancora  bilustre,  quando 
al  fatto  atroce  si  accompagnò  più  atroce  la  vendetta.  Certo  è 
che  s'egli  fu  testimonio  de'  colpi  micidiali,  feriti  a  tradimento 
sotto  le  volte  auguste  di  Santa  Maria  del  Fiore  ;  s'egli  si  trovò 
fanciullo  alle  strida  che  ruppero  il  silenzio  de'  devoti,  la  solennità 
del  sagrificio,  il  suono  raumiliante  dell'organo,  le  preci  della 
messa;  se  in  quel  parapiglia  di  fuggenti  e  d'assalitori  vide  gli 
altari  bagnarsi  di  sangue,  e  osservò  come  tiranni  e  amatori 
della  libertà  non  guardavano  la  chiesa  e  la  fede  che  come 
luogo  e  mezzo  opportuno  e  ad  opprimere  e  a  sorprendere 
oppressori,  l'indole  del  giovanetto  se  ne  dovè  risentire.  Poi 
quando  la  vendetta  di  Lorenzo,  per  l'uccisione  dell'infelice 
fratello,  parve  spietata,  e  piena  di  stragi;  quando  i  corpi  di 
Jacopo  di  messer  Poggio,  dell'arcivescovo  de'  Pazzi  penzola- 
rono appiccati  fuor  di  palazzo,  e  Francesco  fu  trascinato  a 
morire  per  le  vie,  e  tutta  s'annientò  quella   casata  infelice, 

^  È  notabile  che  negli  Estratti  di  lèttere,  fatti  dal  M.,  secondo  che  si  hanno  dal  Codice 
Oinlian  de* Ricci,  della  cospirasione  de*Paxzi  si  scrive:  «Non  si  scoperse  mai  questa  con- 
giura, ancora  che  la  fosse  in  molti,  il  che  mostra  la  poca  grasia  di  Lorenzo  ».  —  V.  Ma- 
CBiATBLLi,  Opp.  ed.  uh.,  vol.  2,  pag.  2S1. 


Digitized  by 


Google 


PBiMoJ  ^  QUALITÀ  DB'  TEMPI.  9» 

Niccolò  dovè  preparare  quella  conclusione  che  scrìsse  nell'  età 
sua  matura;  che  cioè:  «  di  simili  congiure  contro  a  più  capi, 
se  ne  debbo  astenere  ciascuno;  perchè  non  si  fa  bene  né  a 
sé,  nò  alla  patria,  né  ad  alcuno:  anzi  quelli  che  rimangono, 
diventano  più  insopportabili  e  più  acerbi  ».  ^ 

L' irritato  pontefice,  dolente  che  il  fatto  fosse  mal  riuscito, 
che  i  Fiorentini  ritenessero  in  palazzo  il  cardinal  Raffaello,  che 
avessero  appiccato  T  arcivescovo,  e  trattato  i  preti  come  cit- 
tadini, fulminò  contro  loro  l'interdetto,  e  s'accinse  colle  armi 
a  combatterli,  e  ad  accozzar  contro  loro  nemici  quanti  potesse. 
E  da  quest'ora  non  tornarono  più  in  pace  i  principi  d'Italia 
se  non  quando  vennero  i  Turchi  a  pigliare  Otranto,  e  collo 
spavento  persuasero  l'utile  concordia,  la  quale  la  morte  del 
papa  fermò. 

Tuttavia  in  Firenze  dalla  congiura  in  poi  ogni  tranquil- 
lità di  vivere  era  sbandita:  l'animo  di  Lorenzo  s'era  fatto 
aspro  ;  l'adagio  della  fazione  medicea  s'affermava  arditamente  : 
essere  necessario  ogni  cinque  anni  ripigliare  lo  Stato;  «  e  chia- 
mavano ripigliare  lo  Stato,  mettere  quel  terrore  e  quella  paura 
negli  uomini,  che  vi  avevano  messo  nel  pigliarlo,  avendo  in 
quel  tempo  battuti  quelli  che  avevano  secondo  quel  modo  di 
vivere,  male  operato  ».  *  A  Lorenzo  fu  data  guardia  che  gli 
assicurasse  la  persona:  il  papa  odiava  lui,  per  lui  solo  ebbe 
guerra  la  repubblica.  Egli,  collegato  indarno  col  duca  di  Mi- 
lano e  co'  Veneziani,  che  gli  davan  parole  quando  e'  solleci- 
tava soccorsi,  prevenne  il  malcontento  dei  cittadini,  i  quali 
jnormoravano  che  per  lui  privato  dovesse  la  repubblica  por- 
tare i  danni  e  le  spese  della  guerra;  e  andatone  al  re  Fer- 
dinando, che  stava  pel  papa,  'e  gli  era  nemico,  gli  si  pose  nelle 
mani  e  tanto  potè  astutamente  coli' eloquenza  sua,  che  se  lo 
volse  ad  amico,  se  lo  avvinse  per  alleanza,  e  congegnò  tal- 
mente le  forze  degli  stati  italiani  che,  finché  egli  visse,  si 
tennero  bilanciati  fra  loro  e  non  ebbero  bisogno  d'invocare 
parziale  sicurezza  o  preponderanza  di  forze  straniere. 

Fu  lamento  di  tutti  gli  storici,  degl'  italiani,  e  de'  fore- 
stieri, che  ei  troppo  breve  tempo  vivesse,  e  che  con  lui  ca- 
desse quell'ariificio  ingegnoso  con  cui  egli,  abile  schermitore, 
avea  saputo  scongiurare  la  guerra  e  trattenere  la  pace.  ^ 

i  M.,  Diaconi,  m,  e.  ti. 
'  M.,  Diàcorti,  1.  Ili,  e.  I. 

*  Pure  nftl  1487  Aldobbandino  Guidoni  scriveva  di  lui  :  «  Da  un  amico  iotendo  che  in 
casa  Sua  Mag.^  dice  parole  da  disperato  e  dice  aver  desiderio  andare  sei  mesi  in  loco 


Digitized  by 


Google 


90  CAPO  PRIMO. 

Ma  egli  trattenne  i  mali  più  che  non  li  sanasse;  e  il 
profondo  sénno  pratico  della  casa  Medici  nella  fortuna  grande 
di  lui  non  si  considerò  abbastanza  di  quanto  andasse  scemo.  Tut- 
tavia ben  seppe  ravvisarlo  alcuno  de'  più  sottili  contemporanei 
suoi  e  coraggiosamente  glielo  ricantò  sul  viso.  «  L' avolo  tuo 
superò  i  nobili  e  i  potenti  ;  tuo  padre  e'  provvidi  et  sapienti  ; 
tu  hai  vinti  i  Pazzi:  ora  hai  a  fare  con  gli  arrabbiati  ».  ^ 
Così  messer  Niccolò  Giugni;  e  Lorenzo  voltò  tutti  gli  sforzi 
suoi  a  combattere  gli  arrabbiati,  rafforzando  la  casa  sua  di 
quanti  appoggi  poteva. 

Le  cose  d'Italia  sembravano  piane:  composta  la  guerra  di 
Napoli,  riconciliatosi  il  re  co'  baroni  ;  papa  Innocenzo  Vili 
aborrente  da  imprese  pericolose;  Lorenzo  congiuntoglisi  di  pa- 
rentado, dando  una  figliuola  sua,  Maddalena,  in  moglie  a 
Franc3schetto  Cibo,  nipote  di  quello.  Se  non  che  a  Roma  il  papa 
non  era  tutto;  v'erano  i  baroni  potentissimi;  e  Lorenzo  s'in- 
dustriò accattivarsi  anche  il  favore  d'una  fazione  romana,  quello 
della  parte  Orsina,  dando  in  moglie  a  Piero  suo  primogenito 
la  figliuola  del  cav.  orsino,  Alfonsina.  Inoltre,  quando  gli  altri 
principi  non  volevano  intendere  che  il  papato,  signoria  elet- 
tiva, potesse  dare  nobiltà  a  una  casata,  tanto  da  sollevar  l'ori- 
gine di  essa  al  cielo,  e  quivi  circondarla  di  tutti  gli  splendori 
che  l'adulazione  prepara  e  la  fede  conferma;  quando  quelli 
andavano  mendicando  lo  stipite  delle  famiglie  in  Dardani,  in 
Antenori,  in  Fabì  Massimi,  in  Camilli,  in  altri  nomi  illustri  di 
Grecia  o  di  Roma;  egli,  lo  scaltro  Lorenzo,  prevedendo  quasi 
per  intuito  l'altezza  cui  poggerebbe  in  breve  il  papato  politico, 
fra  i  principati  nuovi  il  più  fortunato,  avea  sollecitato  con 
ogni  studio  da  papa  Innocenzo,  e  ottenuto  che  il  suo  secondo- 
genito, Giovanni,  fosse  in  età  di  tredici  anni  tratto  alla  di- 
gnità del  cardinalato.*  Messolo  ben  innanzi  sulla  via,  il  resto 

ove  non  senta  nominare  le  cose  d'Italia.  E  non  potria  credere  V.  Ecc.»,  secondo  queiraraico, 
quanto  ha  mostrato  Sua  Mag.i»  essere  allegro  de  la  vittoria  del  re  di  Francia,  con  dire 
apertamente  che  ancora  spera  vedere  esso  re  di  Francia  signore  di  tntta  Italia  —  ...  Iddio 
sia  quello  che  gli  metta  in  cuore  far  bene  ».  Cf.  Carteggio  del  duca  Ercole  d'Este,  nei  Do- 
cumenti della  Società  di  Storia  patria  di  Modenay  t.  i,  pag.  294. 

^  Machiavelli,  Eitratli  dal  Codice  G.  d.  R.,  Opp.  ed.  ult.,  voi.  2,  pag.  2S3. 

*  Negli  Estratti  citati  dal  Cod.  Qiulian  de* Ricci,  si  legge:  «  Giovanni  di  Lorenzo  de* Me- 
dici di  13  anni  fu  fatto  cardinale,  fuori  d' ogni  volontà  del  Collegio  :  vollono  che  penasse 
3  anni  a  portare  il  cappello  et  a  venire  in  Concistoro  ».  Nel  carteggio  di,  Aldovrandino 
Guidoni  col  duca  Ercole  d'Este,  ecc.  {Documenti  di  storia  patria  della  prov.  di  Modena, 
t.  1,  pag.  299-312),  si  trova  a  questo  riguardo  :  «  A  di  9  marzo  1489.  La  bolla  del  figliuolo 
del  M.  Lorenzo  è  sottoscritta  da  tutti  li  cardinali  e  mercoledì  prossimo  si  crede  si  pubbli- 
cherà cogli  altri».  E  da  lettera  de*  17  dicembre:  «  egli  farà  cavare  di  consentimento 

di  tutto  il  Collegio  de*  cardinali  una  bolla,  la  quale  chiarirà  il  figliuolo  cardinale  quando 


Digitized  by 


Google 


Pinco]  QUALITÀ.  DE'  TEMPI.  91 

l'avrebbe  saputo  fare  da  sé.  In  Firenze  avea  acconciata  una 
delle  sue  figliuole  con  Piero  Ridolfi,  l'altra  con  Jacopo  Sal- 
viati;  restava  da  provvedere  a  Giuliano,  suo  terzo  figliuolo. 
Le  sostanze  paterne  erano  state,  sperperate  da  ministri  ;  il  cre- 
dito della  famiglia  ne  parve  in  pericolo;  a  questo  ei  rimediò 
col  denaro  pubblico.  Era  un'infamia;  ma  Cosimo  avea  tanto 
profuso  delle  sue  proprie  sostanze  a  prò  del  Comune,  che  a 
Lorenzo  il  prendere  non  sembrava  altro  che  un  ripigliare.  Il 
signor  Ludovico,  che  governava  in  Milano  pel  giovinetto  ni- 
pote infermiccio,  avea  gli  occhi  su  Genova  :  Genova  sulle  for- 
tezze fiorentine:  ma  Venezia  gli  avea  su  Milano,  sulla  Lom- 
bardia, sul  Ferrarese:  queste  ambizioni  contrastandosi  pare- 
vano elidersi.  ^  Lorenzo  affaticato,  percosso  da  dolori  acerbis- 
simi, chiede  serenità  e  conforto  nell'ombrìe  di  Careggi  agli 
studi  e  a'  consigli  dell' Ambrogini  e  di  Pico  della  Mirandola. 
Ma  vede  la  morte  venirgli  incontro;  e  sollecitato  dall'amore 
di  provvedere  a'  suoi  figliuoli  e  a  Firenze,  dalla  brama  di  do-* 
mare  con  carezze  quegli  arrabbiati  che  non  poteva  combat- 
tere, fece  un  passo  calcolato  per  amicarseli,  e  mandò  a  cer- 
care del  frate  Savonarola,  che  era  stato  origine  e  capo  della 
parte  loro. 

Questi  era  nato  in  Ferrara  nel  1452  d'onesti  e  agiati  pa- 
renti. Disgustato  della  mondana  vanezza,  e  convinto  che  pure 
a  questo  mondo  si  sarebbe  potuto  vivere  più  a  modo  di  Dio 
in  compagnia  della  libertà  e  della  virtù,  non  appena  entrato 
nella  religione  di  san  Domenico  prese  a  darsi  alla  predica- 
zione, per  la  quale  pareva  aver  sortito  da  natura  disposizioni 
mirabili.  San  Geminiano,  Brescia,  le  città  lombarde,  Genova, 
avean  sentito  per  bocca  sua  certe  visioni,  certi  annunzi  di  gravi 
sventure  che  la  Provvidenza  preparava  all'Italia,  dopo  le  quali 
i  popoli  uscirebbero  liberi  de'  mali  principi,  e  la  Chiesa  rinno- 
vellata  e  purificata. 

verrà  ad  easero  in  età  idonea  al  detto  cappello  ».  —  Il  Rbumokt  {F^renso  de*  Medici,  il 
Magnifico f  Leipzig,  1874,  t.  2,  pag.  490)  giudica  :  «  es  liegt  auf  der  Hand  der  Papst  schfimte 
aich.  In  den  schlimmsten  Zeiten  der  Kirche  war  kein  Kind  Cardinal  geworden.  Drei  lahre 
lang  solite  die  Ernennung  geheim  bleiben  ;  Excommanication  den  tretfen,  der  sie  verdffen- 
tlichte  ». 

1  II  CoMiNES,  Mémoireé,  1.  y,  pag.  3S8.  à  la  Haye,  18S2,  descrive  a  questo  modo  la  con- 
dizione politica  d'Italia:  «  Àux  princes  d* Italie  (dont  la  pluspart  possedent  lenrs  terrea, 
tans  tiltre,  B*il  ne  leur  est  donne  au  Ciel,  et  de  cela  ne  pouvons  si  non  deviner)  leaquela 
dominent  aaaez  cruellement  et  violentement  sur  leurs  peuples,  quant  à  leura  deniera  ;  Dieu 
leur  a  donne  pour  opposite  les  villea  de  pommunanté,  qui  aont  audit  paya  d*ltalie  :  comme 
Ventae,  Florence,  Oennea,  quelquefoia  Bonlogne,  Siene,  Pise,  Lucquea  et  autrea;  leaquellea, 
en  pluaieura  choaea  aont  opposites  anx  aeigneura,  etlea  aelgneurs  à  ellea;  chacun  a  Toeil 
que  aon  compagnon  ne  s'accroiaae  ». 


Digitized  by 


Google 


92  CAPO  PRIMO.  [UBBO 

Mandato  a  Firenze,  s'accorse  che  quella  città  vaghissima, 
piena  di  un  popolo  vivace  e  pronto  a  muoyersi,  era  buon  nido 
per  lui.  L'oculato  Lorenzo  vide  il  pericolo  e,  interpretando 
il  zelo  del  frate  per  ambizione  di  chiercuto,  giudicò  di  po- 
tergli chiuder  la  bocca  co' benefici.  Ma  quegli  eletto  nel  lu- 
glio del  1491  priore  di  San  Marco,  neppur  volle,  secondando 
la  consuetudine  invalsa  nel  convento,  andare  come  nuovo  priore 
a  far  visita  a'  Medici. 

Lorenzo  comprese  che  questo  frate  demagogo  non  gli  era 
suddito;  che  gli  sarebbe  potuto  tornare  ad  inciampo.  Ma  per 
fin  eh'  ei  viveva  non  era  uomo  d'aver  paura  di  demagoghi:  sa- 
peva egli  bene  discreditarli.  Se  non  che,  presso  a  mancare,  e 
dubitoso  per  Piero  suo  figliuolo,  risolse  tentare  di  farlo  ve- 
nire a  sé,  chiamandolo  non  a  confessore,  non  a  testimonio  del 
suo  ultimo  spiro,  come  vollero  il  Burlamacchi  e  Giovan  Fran- 
cesco Pico,  biografi  del  frate,  ma  probabilmente  a  confortatore 
che  il  benedicesse  con  una  benedizione  che  fosse  malleveria 
d'acquiescenza  al  predominio  del  suo  Piero.  ^ 

Tuttavia  l'artificio  di  lui  cadde  nel  vuoto;  che  quando  il 
frate  onestamente  tenace  propose  al  moribondo  di  rendere  i 
denari  mal  tolti  al  monte  delle  fanciulle,  e  di  ridare  al  po- 
polo la  libertà,  Lorenzo  si  lasciò  benedire  da  lui,  ma  comprese 
che  non  era  coscienza  guadagnabile.  Raccomandò  a  Piero  che 
stesse  bene  attento  nelle  onoranze  del  suo  funere  a  non  dar 
segno  che  paresse  eccedere  il  grado  di  comun  cittadino;  e  quando 
parve  acconciarsi  ad  aspettare  la  morte,  sopportando  con  ras- 
segnazione il  male  e  con  calma  i  medici,  che  non  risparmiavano 
prove  d'alleviargli,  come  pretendevano,  le  sofferenze;  uno  fra 
questi  e  celeberrimo,  Pietro  Leoni,  il  dì  appresso  dalla  morte 
di  quel  comune  cittadino,  fu  trovato  morto  in  fondo  a  un  pozzo 
nella  villa  de'  Martelli  a  San  Gervasio,  dinanzi  alla  porta  a 
Pinti.  Fu  per  cenno  di  Lorenzo  o  di  Piero?  fu  per  zelo  di 
cortigiani  ó  per  invidia  di  rivali  ?  ^  Nulla  ci  è  dato  conoscere 
di  certo  circa  alla  cagione  e  all'autore  di  sì  orribile  fattoi 

*  A  questo  modo  »i  concilierebbe  forse  il  racconto  de*  frateschi,  accettato  dal  Mbtbb 
(QeicMchte  Savonarola't,  pag.  52)  e  dal  Villabi  {La  vita  di  Gir.  Savonarola,  v.  i,  pag.  130) 
colla  versione  della  Cronica  del  Cbbrbtani  (lib.  in)  e  colle  argute  osservazioni  del  Rbu- 
MOMT  {Lorenzo*»  letzte  Stunden,  nell*Àppendice .  pag.  590  e  seguenti,  voi.  ii  del  suo  Lo^ 
renzo  il  Magnifico,  Leipsig,  1874),  il  quale  nota  V  inverosimigliansa  della  narrasiooe  fra* 
tesca,  e  quantunque  non  paia  accettare  per  genuine  e  sicure  le  scritture  attribuite  al 
Burlamacchi  e  al  Pico,  non  vuole  non  aver  riguardo  alla  tradisione  del  fatto  rimasta  co- 
stante nel  chiostro  di  San  Marco. 

*  Cf.  Rbomont  (Lorenzo  de' Medici.  Lorenso*s  letate  Stunden,  Àpp.  citata).  Niccolò,  fra 
i  suoi  Ettralii  di  Lettere  ai  Dieci,  ci  offire  un  lieve  cenno  della  cagione  probabile  di  questo  triste 


Digitized  by 


Google 


o]  MARCELLO  VIRGILIO.  08 

Demetrio  Galcondila,  l'illustre  rifugiato  d* Atene,  che  ri- 
vale dell' Ambrogini  aveva  di  fresco  lasciato  Firenze  e  da  Lu- 
dovico Sforza  invitato  a  Milano,  quivi  dottamente  insegnava 
greco  e  francamente  giudicava  delle  miserie  italiane;  in  una 
lettera  a  Marcello  Virgilio,  il  quale  ben  accetto  a'  Medici,  erasi 
ingegnato  scusare  il  fatto  atroce,  ne  esprimeva  il  dolore  della 
sventura  e  l'orror  de'  sospetti.  Marcello  professava  nel  liceo  :, 
fiorentino  lettere  latine  e  greche.  Egli,  avuto  allora  in  onore  • 
grandissimo  presso  tutti  gli  studiosi,  riguardato  come  miracolo  l 
di  erudizione,  ascoltato  volentieri  per  la  sua  naturale  facondia, 
ignorava  forse  che  era  suo  fato  provvidenziale  starsi  dinanzi 
del  Machiavelli,  per  dir  cosi,  come  fiore  davanti  ad  ape,  per 
dar  succo  e  nutrimento  ad  una  mente  maravigliosamente  at- 
tiva, ma  poco  paziente  forse  delle  inquisizioni  de'  grammatici, 
cosi  piccole  e  cosi  gravi.  Marcello  era  ignaro  di  quel  suo  of- 
ficio, dal  quale  pure  dovea  venirgli  più  grande  onore  che  dalle 
opere  proprie,  poiché  forse  è  per  lui  che  la  potenza  dell'in- 
gegno del  Machiavelli  si  dispiegò  tale  quale  i  posteri  di  questo, 
più  che  non  i  contemporanei,  l'ebbero  ad  ammirare. 

Pertanto,  dopo  aver  considerato  le  condizioni  civili  e  po- 
litiche che  formarono  l'ambiente  in  cui  Niccolò  crebbe,  ci  è  dato 
finalmente  a  questo  punto  abbatterci  in  una  causa  prossima, 
che  potè  operare  direttamente  a  educare  e  svolgere  l'animo  e 
l'intelletto  di  lui.  E  veramente  una  degna  amicizia  in  gioventù 
è  cagione  non  lieve  di  perfezione  educativa.   Ma  sino  a  qual 

fatto:  «  Ammalò  Lorenjto.  I  predicatori  mÌDacciavano.  Cascò  a  di  5  d'aprile  la  sxMtta  in  sa 
Ift  terrazza  della  cupola.  Lorenzo  era  medicato  da  maestro  Piero  Lioni  spoletano  e  da 
ottesQro  Giorgio  Ciprio;  erano  discordi.  Mandossi  a  Milano  per  maestro  La2zero  di  Dattilo; 
fecelo  morto  :  il  che  indegnò  gli  animi  contro  a  maestro  Piero  Lioni.  Mori  Lorenzo  addi 
Caprile:  fu  per  esser  morto  maestro  Piero  Lioni:  andqnne  a  San  Cervagio  con  Cosimo 
Itvtelli;  la  mattina  fu  trovato  in  un  pozzo  ».  ~  Il  sospetto  che  Pietro  Leoni  potesse  essere 
*t^  spinto  da  istigazioni  del  duca  di  Milano  ad  avvelenare  Lorenzo,  nacque  forse  dalle 
rekzioDi  ch'egli  ebbe  con.  Ludovico.  Vedi  a  tal  proposito  una  lettera  d'ErCoIe  d'Està 
ad  Aldobrandino  Guidoni,  in  data  de' 31  agosto  1437,  di  Ferrara,  nel  Carteggio  cit.,  t.  t, 
àt'Documenti  di  storia  patria,  Modena,  pag.  290.  —  Il  Sannazzaro  compose  una  elegia 
italiana  sulla  morte  del  celebre  medico  spoletino,  di  cui  ci  giunse  meglio  la  notizia  della 
fama  e  della  sventura  che  non  delle  opere.  Cosicché  quel  che  se  ne  sa  è  quel  che  il  Ficino 
oe  lasciò  scritto,  cioò  che  egli  potè  congiungere  le  opinioni  platoniche  colle  aristoteliche 
*<ini  platonica  peripateticis  praeclarissime  junxlt  {De  Immort.  anim.f  1.  vi.  e.  i),  e  quel 
die  il  Giovio  aggiunse,  cioè  che  ei  fu  il  primo  quasi  a  riporre  in  gran  concetto  Galeno,  e 
che,  sdegnando  le  impure  astruserie  arabiche,  si  rifece  a' fonti  greci  (Cf.  Tiraboschi, 
St.  d.  1.  it.,'  VI,  pag.  304).  Il  Skusi,  nel  suo  Saggio  di  documenti  ttoriei  tratti  dall'or- 
eAteio  del  Comune  di  Spoleto,  n.  96,  pubblica  un  breve  di  papa  Paolo  III  per  cui  vien  posto 
in  sodo  che  Pietro  Leoni  lasciò  opere  di  medicina  scritte  di  sua  mano,  che  Vespasiano  Leoni, 
nipote  di  lui,  intendeva  di  far  pubblicare  insieme  al  libro  De  timpUeibut  del  Niccoli,  il- 
lastre  medico  fiorentino.  Il  catalogo  delle  opere  di  Ini,  che  fu  spacciato  esistere  nella  bi- 
Uieteca  Vaticana,  fu,  secondo  il  parere  del  Marini,  una  delle  tante  falslflcasioni  d'Alfonso 
CeccareUi. 


Digitized  by 


Google 


94  CAPO  PRIMO.  [UBBO 

grado  corse  amicizia  tra  Niccolò  e  Marcello  Virgilio  ?  Che  im- 
portanza ebbe  la  relazione  che  passò  tra  loro,  prima  che  stes- 
sero insieme  in  cancelleria  ? 
/  Ed  ecco,    che  dopo  aver  rinvenuto  un  uomo,  che  fu  per 

I  certo  potente  sulla  mente  e  la  vita  di  Niccolò;  ci  troviam  di 
.'  nuovo  gittati  in  mezzo  alle  ombre  delle  congetture.  Che  questi 
gli  fosse  a  dirittura  discepolo,  come  molti  biografi  vollero,  ^  non 
si  può  ammettere,  però  che  Marcello,  nato  nel  1464,  non  era 
che  d'un  lustro  d'età  maggiore  del  Machiayelli;  né  degli  scritti 
che  ci  rimangono  di  lui,  indirizzati  a  Niccolò,  n'  è  alcuno  che 
faccia  menzione  o  accenno  di  studi  d'umanità  da  loro  coltivati 
in  comune,  o  che  abbia  relazione  alle  discipline  accademiche, 
0  metta  in  chiaro  sentimenti  di  riconoscenza  e  di  affetto,  quali 
sarebbero  naturalmente  interceduti  fra  insegnante  e  discepolo, 
fra  persone  che  hanno  propositi  o  vagheggiamenti  simili,  o 
comunanza  intellettuale  di  studi. 

Ed  invece,  se  alcuno  scritto  del  Virgilio  ci  è  pervenuto 
che  riguardi  il  Machiavelli,  questo  non  esce  per  nulla  dai  li- 
miti d'una  relazione  tepida,  cagionata  dall'uso  o  dalla  neces- 
sità, più  che  da  famigliarità  cordiale. 

E  nemmanco  toccò  loro  somiglianza  di  vicende,  dappoiché 
quando  i  Medici  rientrarono  in  Firenze  nel  1512,  trovarono 
messer  Marcello  in  officio  e  ve  lo  lasciarono,  il  povero  Nic- 
colò invece  fu  sbalzato  dal  suo  posto  e  perseguitato.  E  questo 
vuol  dire  che  nelle  inclinazioni  politiche,  nell'amor  operoso 
della  libertà,  nell'avversione  alla  tirannide,  nella  relazione 
della  loro  vita,  non  si  tenevano  né  per  inseparabili,  né  per  so- 
miglianti. 

Né  caduto,  l'uno  nella  disgrazia,  é  memoria  che  l'altro 
gli-  soccorresse  in  particolar  maniera;  né  quando  messer  Mar- 
cello venne  a  morire,  Niccolò  celebrò  con  solenne  rimpianto 
la  perdita  del  traduttore  di  Dioscoride. 

Però  è  a  ritenere,  che  questi  non  tanto  valesse  a  piegare 
l'animo  o  segnar  la  dirittura  all'intelletto  del  Machiavelli, 
quanto  a  presentargli  facile  nutrimento  all'ingegno,  stando  come 
un  libro  aperto  a  sua  posta,  come  un  albero  sovraccarico  di 
bellissime  poma,  ad  aspettar  la  mano  che  ne  cogliesse  e  ne 
traesse  utilità  intera. 

Marcello  di  Virgilio,  della  famiglia  Adriani,  nato  in  Fi- 

1  V.  Serie  di  ritratti  e  d'elogi  d'illuslH  Toscani,  t.  iii.  —  Bandxnx  Ancu  Mar.,  CW- 
lectio  vet.  aliquol  monum.,  Arreti  i752. 


Digitized  by 


Google 


tpRnio]  MARCELLO  VIRGILIO.  95 

renze,  era  assai  riguardato  per  la  spettabile  casata  sua.  Cri- 
stoforo Landino  e  TAmbroginì  aveva  avuto  a  maestri;  né  fu 
chi  più  di  costoro  confortasse  il  rinascere  degli  antichi  studi 
e  il  progresso  delle  italiane  lettere.  Le  «  Questioni  Camaldo- 
lensi»,  il  commento  alla  Divina  Commedia  di  quello;  VAm^bra, 
le  poesie  latine  e  greche,  le  epistole,  le  stanze,  Y  Orfeo  di 
questo,  ne  stanno  a  monumento  perpetuo.  Sotto  al  loro  magi- 
stero Marcello  acquistò  gran  perizia  delle  lingue  classiche,  gran 
possesso  dell'arte  rettorica;  qualità  che,  aggiunta  alla  sua  di- 
sposizione naturale  ad  aver  facile  eloquio,  gli  fece  guadagnar 
fama  di  uomo  il  più  eloquente  de' tempi  suoi  presso  coloro 
ch'eran  usi  a  pigliare  i  rettoricumi  pronti  per  eloquenza.  Chia- 
mato ben  presto  a  leggere  nello  studio  fiorentino,  fu  poco  dopo 
la  cacciata  de' Medici  assunto  a  segretario  della  repubblica  in 
luogo  dello  Scala.  ^ 

Al  di  primo  del  giugno  nell'anno  istesso,  quando  fu  dato 
in  ringhiera  pubblicamente  a  Paolo  Vitelli  il  baston  del  co- 
mando, egli  tenne  l'orazione  solenne  «  circa  ad  bore  25,  puncto 
-così  dagli  astrologi  datosi».^  Delle  sue  orazioni  inaugurali, 
tenute  nello  studio,  ce  ne  rimangon  parecchie,  e  ci  provano 
più  che  a  sufficienza  come  in  lui  si  continuasse  identica  e  tras- 
missibile la  facoltà  declamatoria  di  chi  l'avea  preceduto.  ^  La 
rettorica  gli  par  bella  e  pregevole,  non  solo  per  sé  stessa, 
ma  perchè  nelle  democratie  questa  soprattutto  si  schiera  a  fa- 
vore della  libertà  ed  à  precipua  avversione  contro  ogni  macchia 
di  vizio;  dalle  quali  parole  apparisce  che  questa  orazione  fu 
tenuta  a  questo  modo  perchè  fuggiti  i  tiranni,  e  la  libertà  ir- 
rompendo furiosamente,  persuadeva  nuovi  tropi  a  coloro  che 
sfruttavano  le  parole.^ 

>  Parenti,  Storie,  Mss.  bibl.  naz.  :  «  Febbraio  1498.  In  cambio  di  m.  Bartolomeo  Scala, 
primario  nostro  cancelliere,  più  mesi  sono  mortosi,  le  cui  lettere  erano  approvatissime,  ri- 
mase eletto  di  più  favore  nel  Consiglio  grande  Marcello  di  m.  Vergilio.  giovane  d'anni  36, 
bene  litterato  in  greco  et  latino  :  il  quale  in  studi  di  humanità  qni  pubblicamente  leggeva  ». 

*  Parenti,  ib.  Questa  orazione  trovasi  manoscritta  nella  bibl.  Laurenziana,  pi.  xc, 
sup.  XXXIX.  pag.   17. 

*  Mss.  bibL  Laurenziana,  pi.  xc,  snp.  39.  V.  l'orazione  <  iVt7  arfmtrari  »  quella  «S'opra 
Democrito  ed  Eraclito,  quella  «  de  puerperio  et  ohstetricio  Socratii  ».  —  Fra  queste  l'ora- 
zione *nil  admirari»  meglio  s'affaceva  alla  tempra  della  mente  di  Niccolò,  del  quale 
recentemente  il  De  Sanctis  ebbe  a  scrivere,  e  non  sappiamo  se  per  relazione  d'idee  a 
questa  orazione  dì  messer  Marcello  :  «  Il  suo  motto  è  nil  admirari».  Storia  della  let- 
teratura it.j  t,   IT,  pag.  84. 

*  «Nihil  tamen  meo  judìcio  tantopere  laudandum  in  eo,  nec  pluris  a  vobis  hoc  tempore 
faciendum  quam  quod  praecìpuam  habet  in  democratiis  adversus  omnem  labem  veluti  an- 
tipatiam  quandam  prò  libertate  ;  prò  qua  et  si  omnibus  hoc  tempora  elaborandum  sit  ut, 
quam  nuper.erexistis  (ut  Pindarus  dicebat)  fulgentem  libertatis  crepidinem  eam  adhuc 
■altius  tollentes  servetis  acternam  ». 


Digitized  by 


Google 


96  CAPO  PRIMO.  [libro 

Poi  quando  sotto  papa  Giulio  guerreggiatore,  e  Piero  So- 
derini  debole  e  capriccioso,  Marcello  comincia  a  perder  la  fi- 
ducia che  lo  Stato  fiorentino  retto  a  quel  modo  possa  durare; 
s'accomoda  a  considerar  la  città  come  in  uno  stato  di  peri- 
colosa gestazione  e  a  desiderare  Tostetricia  d*un  Socrate  che 
le  faccia  facile  il  parto;  e  sospira,  non  si  sa  se  per  Tltalia  o 
per  Firenze,  un  Dione  che  liberi  Siracusa  dalla  tirannide,  o  al- 
cuno che  con  migliori  leggi  ed  istituti  fondi  la  città  cretese.  ^ 

I  tempi  ingrossano,  lo  stato  popolare  è  rovesciato,  ma 
messer  Marcello,  cancelliere  della  prima  cancelleria,  rimane 
ritto.  I  Medici  non  toccano  il  platonico,  non  toccano  l'eloquente, 
che  non  era  della  lor  tattica  andare  a  stuzzicare  i  vespai  e 
incitare  le  invettive  dei  retori.  Del  resto  Marcello  sapeva  quel 
che  sapientissimamente  aveva  detto  il  divino  Platone,  che- 
l'uomo  è  un  animale  che  va  soggetto  a  passaggi  precipitosi 
nelle  sue  elezioni,  e  che  à  facili  le  mutazioni  ad  ogni  par- 
tito :  «  animai  qiwd  habei  praecipites  electionis  transitus  et 
faciles  ad  omnia  muiationes».^  Però,  oltre  quella  pel  Vitelli, 
ci  occorre  trovare  anche  un'altra  orazione  di  lui  in  lode 
della  milizia,  recitata  pubblicamente  quando  era  il  giovane 
Lorenzo  de' Medici  cui  si  consegnavano  in  Firenze  le  militari 
insegne.  E  questo  anche  vuol  dire  che  quella  rettorica  che  gli 
era  sembrata  necessaria  al  governo  democratico,  non  gli  sem- 
brava meno  indispensabile  sotto  un  governo  di  prepotenza  e 
una  signoria  d'arbitrio.  Della  qual  cosa  non  gli  facciamo  ap- 
punto per  confonderlo  coi  tergiversanti  d'ognitempo;  che  anzi 
ci  piace  riconoscere  come  allora,  quando  ancora  l'autorità 
d'un  classico  pesava  più  che  non  l'essenza  di  un  fatto;  se  il 
piegar  degli  uomini   alle   mutabili  contingenze   accadeva,   un 

^  Marcello  Virgilio,  Cod.  Laur.  citato.  «  O  sapientem  rattonem,  o  felicem  aetatem, 
0  sanctum  obstetriciuin,  o  dìviDam  puerporium,  quod  mortai itatem  hanc  nostrani  ad  anti- 
quam  divinitatein  et  memoriam  pulchritudinis  ejus  multo  labore  studioque  produxit.  Cui  si 
similem  habuisset  haec  aetas  didicissent  religionis  principes  sanctius  deum  colere  et  san- 
ctioribus  exemplis  meliores  mores  nos  docerent;  neque  imperium,  quod  inane  est,  armis 
et  humana  caede  afiectarent  :  nec  simulata  virtute,  f'alsis  exemplis  etmetu  inferorum  quos 
ipsi  non  timent,  docerent  alios  religionem.  Didicissent  reges  ipsi  justius  etiam  bella  exer- 
cere:  cives  prò  privata  ire  frugalius,  prò  pubblica  honestius  laborare....  -  Inveniretur 
passim  Dion  aliquis  qui  Syracusas  a  Tyrannide  liberaret  et  qui  cretensera  civitatem  me- 
lioribuB  fundaret  legibus  et  institutis». 

•  V.  Cod.  cit.,  Oratio  habita  in  principio  lectionis  cujus  iitulus  «  nil  admirari  ».  — 
Nella  quale  si  legge  ancora  :  «  Sed  huius  novationis  veniam  mihi  facile  a  vobis  spero,  re- 
petentibus  animo  indesinentem  rerum  omnium  mutationem  et  necessariam  in  nostris  aniniis 
mobilitatem  ;  in  quibus  hi  praecipue  laudandi  sunt  qui,  urgente  necessitate  aliqua  maioro 
aut  occasione  suadente,  volnntatem  suam  rebus,  non  eas  suae  voluntati  submittere  conat» 
sunt».  —  Chi  non  osserva  in  queste  parole  il  germe  della  massima  del  M.  che  si  con- 
viene «  riscontrare  il  modo  del  procedere  proprio  contempi?  » 


Digitized  by 


Google 


PKiMo]  MARCELLO  VIRGILIO.  07 

filosofo  poteva  credere  di  giustificare  l'instabilità  delle  sue  pa- 
role e  della  sua  condotta  civile  con  una  sentenza  antica,  con 
la  quale  si  pareva  argomentare  la  necessità  che  il  mondo  an- 
dasse a  quel  modo. 

La  traduzione  e  il  commento  di  Dioscoride,  che  Marcello 
dedicò  a  papa  Leone,  gli  valse  favore  grandissimo  di  quel 
pontefice,  che  sapeva  tanto  bene  chi  tornava  conto  proteggere. 
L'edizione  di  questa  comparve  a  Basilea  nel  1518,  ^  e  precisa- 
mente presso  a  quel  tempo  1*  infelice  umanista  fu  per  esser 
colpito  da  grave  disgrazia;  che,  partendosi  di  città  per  recarsi 
alla  campagna,  caduto  assai  malamente  di  cavallo,  ne  rimase 
offeso  alla  parte  sinistra  del  corpo,  ed  ebbe  quasi  a  perderne 
un  occhio.  ^  Cosi  della  sua  gloria  e  della  benevolenza  papale 
ebbe  a  godere  poco,  da  poi  che,  invitato  a  recarsi  a  Roma, 
quando  era  per  accingersi  al  viaggio,  soprappreso  da  infermità, 
usci  di  vita. 

Un  siffatto  uomo,  più  innamorato  delle  parole  che  delle 
cose,  e  anche  ne' suoi  innamoramenti  tepido  e  formale,  poteva 

>  Nel  Codice  magliabecchiano,  ci.  vin,  palch.  10,  n.  1442,  si  ha  pure  una  tradiuione 
fatta  da  Marcello  Virgilio  deirorasione  di  Demostene  irzpi  tx;  irapaTcpio^sta;,  ch'egli  in- 
titola de  mala  legalione.  Il  Codice  è  autografo,  ma  manchevole;  la  traduzione  inedita.; 
ma  se  n'  à  poco  oltre  ali*  introdotta  elegia  di  Solone  ;  terminando  colle  parole  :  «  nonne 
▼idetis  quam  clarum,  o  viri  Athenienses,  et  conspicuum  exemplum  miseri  fuerunt  Olyn- 
thii,  qui  propter  nullam...  »  Di  questa  traduzione  non  si  à  notizia,  nel  catalogo  delle 
opere  di  Marcello  Virgilio,  dato  dal  Gallktti,  Istoria  degli  Scrittori  fiorentini.,  Firenze, 
1850,  p.  4Se  segg.  Air  incontro  egli  e  il  Mosbni  {Bibliografia  storico-rag ionala  della  To- 
scana, t.  I,  pag.  18)  accennano  ad  una  orazione  in  morte  di  Giuliano  de*  Medici,  duca  di 
Nemours,  esistente  nelle  Miscellanee  Cod.  50,  manoscritto  dell'abate  Corso  de*  Ricci,  che 
probabilmente  è  l'unica  delle  altre  orazioni  attribuite  a  Marcello  Virgilio  che  possa  esser 
sna,  oltre  quelle  in  morte  del  Rinuccini  e  del  Ficino.  A  noi  non  fu  possibile  di  rintracciarla; 
bensì  esaminammo  quella  in  funere  Petri  Medices  (Cod.  magliab.  115,  ci.  38  a  e.  195)  la 
quale,  non  sappiamo  come,  dal  diligentissimo  Morbni  potè  facilmente  ascriversi  a  Marcello 
Virgilio.  Gravi  dubbi  sulle  possibilità  che  questi,  cancelliere  della  prima  cancelleria  della 
repubblica,  potesse  mai  far  l'elogio  funebre  di  Piero  de*  Medici,  figliuolo  del  Magniiico, 
avrebbero  potuto  destarglisi  dal  sapere  questo  morto  esule  e  nemico  a  Firenze,  sepolto  lon- 
tano dalla  patria,  ove  nessuno  mai  riportò  le  sue  ossa.  Inoltre,  nel  frammento  d'orazione 
che  si  legge  nel  Codice  citato,  la  cui  scrittura  è  per  verità  non  punto  facile  a  percorrersi, 
occorrono  passaggi  che  bastano  a  recar  la  certezza  del  contrario.  Citiamo  i  seguenti:  «  Ite, 
mortales;  fidite  annis,  virtute,  splendore,  gratia,  totque  fortunae  et  animi  bonis.  Petrus 
Medices  maximi  Cosmi  magnus  filius,  serenissimi  Ferdinandi  I  frater,  quem  vegeta  florentem 
aetate,  magnanimitate,  magniilcentia,  prudontia  clarum,  auri  patris  et  fratrie  splendore  fulr 
gentem  summis  prìncipibus  gratum  saepe  vìdimus,  adlocnti,  admirati  sumus,  immatura  morte 
praerepttts  Aulam,  civitatem,  Hetruriam,  Hispanias  luctu  et  lachrimis  opplevit  ».  E  più 
oltre:  «  ...sed  in  excolenda  gloria  cui  se  uni  devovit,  non  potuit  cessare,  atque  patria  re- 
lieta excelsum  Hispaniaram  theatrum  adiit,  aulam  Philippi  secundi  petiit,  ex  qua  tanquam 
ex  corde  omnes  fere  moventur  spiritus  quibus  orbis  terrarum  vitam  hauriebat  vitalem,  re- 
gebat  atque  gubernabat  ».  È  evidente  che  qui  si  parla  di  Piero,  figliuolo  di  Cosimo  gran- 
duca, che  l'orazione  ebbe  a  scriversi  nel  1601;  che  pertanto  è  opera  di  Marcello  di  Giam- 
battista Adriani,  detto  il  giovane,  e  non  punto  di  Marcello  Virgilio. 

*  V.  Lettera  di  M.  Virgilio  a  Oiovan  Mainardi,  medico  ferrarese ,  in  BANDiifi,  1.  o.  — 
V.  anche  Valbbiano,  De  liti,  infelicitate. 

ToMMASiNX  -  Machiavelli.  8 


Digitized  by 


Google 


06  CAPO  PRIMO.  .  [LiBEO 

più  facilmente  esser  preso  da  Niccolò  per  un  buon  sacco  di 
dottrina  che  per  un  amico  ;  più  facilmente  frugato  che  abbrac- 
ciato. Nell'orazione  ch'esso  tenne:  De  puerperio  et  obste- 
tricio  Socratis,  s'incontra  un  passaggio  che  spiega  a. mara- 
viglia la  condizione  che  tenne  di  fronte  al  Machiavelli  nostro; 
che  veramente  ei  si  fu  di  coloro  che,  o  per  esperienza  lunga, 
0  per  erudizione  ricevuta  da  altri,  standosi  a  fianco  di  quelli 
che  sono  per  dare  in  luce  frutti  di  virtù  e  sapienza,  giovano 
i  parti  della  mente  umana,  del  qual  travaglio  e  studio  non  è 
altro  al  mondo  che  più  sappia  divino.  ^  Ed  oggi,  di  questa 
assistenza  preziosa  e  forse  involontaria,  gli  ridonda  più  gloria 
assai  che  del  suo  Dioscoride  tradotto,  dell'orazione  letta  quando 
il  gran  lume  platonico  del  Ficino  si  spense,  e  d'ogni  altro 
onore  accademico. 

Da  lui  adunque  deve  Niccolò  probabilmente  ripetere  di  aver 
sorbito  •  quotidianamente  non  poco  succo  di  coltura  classica, 
l'ambrosia  vera  degli  studi  latini  e  greci;  ^  con  lui,  discepolo 
del  Landino,  ebbe  comune  l'ammirazione  di  Dante,  del  quale 
dovette  essere,  fin  dall'età  prima,  appassionatissimo.  Tuttavia 
ci  vien  meno  qualunque  fondamento  storico  per  poter  con  cer- 
tezza stabilire  il  segno  della  sua  prima  coltura  e  il  monu- 
mento primo  della  sua  vita  letteraria  o  filosofica.  Fu  chi 
suppose  che  V Allocuzione  ad  un  magistrato,  pubblicata  la 
prima  volta  dal  Poggiali,  ^  per  parere  piuttosto  un  esercizio  ret- 
torico  che  altro,  fosse  a  riguardare  come  de' primi  componi- 
menti della  giovinezza  di  Niccolò.  E  l'Artaud  sopra  tutti  sbiz- 
zarri in  commenti  intorno  a  questa  allocuzione,  e  dove  rilevò 
acutezza  d'osservazioni,  prime  rivelazioni  d'un  genio  potente, 
dove  audacia  di  motteggi,  troppa  audacia  per  un  ragazzo;  dove 
un  preludio  della  gaiezza  del  Machiavelli  novellatore,  dove 

^  «  Qai  aut  longa  remm  exporìentia  aut  eruditione  ab  aliis  accepta  parturientibns  vir- 
tatem  et  sapientiam  adsint  et  puerperium  mentis  humanae  adiuvent  :  quo  labore  atudioqae 
Dihil  est  in  hamanis  diviniùs  >.  Marc.  Virgilio  :  Oratio  de  puerperio  et  obatetricio  So- 
cratis. Ms.  Laorensiano  citato.  Questa  orazione  fu  tenuta  da  messer  Marcello  nel  decimo- 
settimo anno  del  ano  insegnamento.  Ora,  poiché  Filippo  Giunta  nella  dedicatoria  che  fa 
all'Adriani  del  MutarcOt  edito  da  lui  nel  1517,  lo  dice  «  professore  d'eloquenza  in  Firenxe 
da  ben  venti  anni,  >  segue  che  l'orazione  citata  debba  ascriversi  all'anno  1514,  e  che  circa 
il  1497  sia  a  credere  che  messer  Marcello  cominciasse  a  leggere  nello  studio  fiorentino. 

*  La  questione  se  il  Machiavelli  sapesse  o  non  sapesse  di  greco,  tòma  vano  agitarla 
qui.  Positivamente  Niccolò  conosceva  della  lingua  greca  l'alfabeto,  avendo  per  lettere 
greche  distinto  i  segni  jde' battaglioni  nel  manoscritto  autografo  dell'Arto  della  guerra^  nel 
dorso  d'una  tavola  del  quale  si  trovano  anche  distinte  le  lettere  greche  secondo  la  loro 
qualità  grammaticale.  Ma  questa  notizia  è  poco  conforto  a  chi  volesse  farlo  passare  a  dirit- 
tura per  un  ellenista. 

»  Nell'ediz.  dell'opere  del  M.  Filadelfia,  1797,  voi.  vi,  pag.  377-3S0.  Come  opera  giova- 
nile di  Niccolò  fu  data  nella  prof,  all'ediz.  fior,  del  1826. 


Digitized  by 


Google 


o]  PRIMI  SCRITTI  DI  NICCOLO,  «► 

ripetizioni  e  negligenze  di  stile.  Ora,  il  manoscritto  autografo 
di  questa  allocuzione,  che,  insieme  co' preziosi  frammenti  del- 
l'Arte della  guerra,  è  nella  sezione  magliabecchiana  della 
Biblioteca  Nazionale  di  Firenze,  ^  ci  pone  in  condizione  certa 
di  rimandare  ad  altra  età  della  rita  di  Niccolò  siflTatto  com- 
ponimento; che  del  resto,  anche  per  congetture  ragionevoli, 
non  si  potrebbe  attribuir  mai  all'età  prima  di  lui.  Infatti,  a 
chi  il  considera,  non  può  non  parere  come  sia  una  mente  ma- 
tura che,  rivolgendosi  a  esortare  persone  autorevoli,  si  fa  mo- 
desta per  proposito;  una  mente  che  sa  già  come  le  repubbliche 
e  i  regni  crescono  e  si  disfanno,  quali  sono  le  qifalità  deside- 
rabili a  mantenere  gli  Stati;  cpme  uno  sprazzo  d'ironia  pud 
a  volte  rendersi  anche  accettabile  a  chi  lo  sopporta;  tutte  cose 
che  sono  da  più  che  da  molto  giovani.  Ma  oltracciò  chi  à 
pratica  della  scrittura  del  Machiavelli  e  sa  come  la  può  distin- 
guersi, per  gradate  modificazioni,  in  due  periodi;  l'un  dei  quali 
termina  fra  il  1500  e  il  1501,  che  può  chiamarsi  l'anno  di 
transizione;  e  l'altro  che  va  da  questo  insino  agli  ultimi  anni  di 
sua  vita,  non  esita  ad  ascrivere  cotesta  scrittura  di  Niccolò  al  se- 
condo periodo.  Probabilmente  egli  la  scrisse  quando  era  in  uffi- 
cio di  cancelliere,  ed  altri  forse  la  recitò  ;  che  l'orazione  solita 
tenersi  a'  nuovi  priori,  in  ringhiera  o  sotto  la  loggia,  la  recitava 
il  potestà,  0,  in  sua  vece,  alcuno  de' collaterali  o  giudici,  o  il 
capitano  del  popolo.  *  Inoltre  la  consuetudine  determinava  anche 
in  certo  modo  la  forma  di  cotesto  orazioni  ;  e  le  dovevano  re- 
care certo  corredo  di  citazioni  e  di  gravi  sentenze  d'antichi 
filosofi  e  dottori.  Un  ellenista,  a  proposito  della  giustizia  che 
se  ne  va  dalla  terra,  non  avrebbe  pretermessa  un'acconcia  ci- 


1  Bibl.  Naz.,  sex.  Magliab.,  banco  A  5,  p.  I,  n.  14. 

Diamo  le  segnenti  notizie  delle  correzioni  chp  occorrono  nell* autografo,  come  quelle  che 
non  ci  parvero  inutili  per  la  questione  cronologica  : 


Ediz.  «  e  benché  Vinesperienza  mi  sia 
grande  ». 

Ediz.  : 

«  Non  posso  nondimanco  fare  che  io  non 
abbia  a  dispiacere  di  essere  ridotto  a  parlare 
di  quelle  cose  che  io  non  ho  notizia,  nò  veggo 
altro  rimedio  a  sodisfare  a  me  e  a  voi  che  es- 
sere brevissimo,  acciocché  nel  parlar  poco 
faccia  meno  errori  e  manco  v*  infastidisca.  » 


Àut.  corretto  da  ignoranza. 

Aut.  corretto  da  « 

chMo  non  mi  dolga  della  sorte,  la  quale  mi 
ha  condotto  in  termine  che  mi  bisognava  o 
non  ubbidendo  incorrere  nella  disgrazia  dei 
miei  signori,  o  ubbidendo  con  poca  satisfa- 
zione  mia  e  vostra  di  quelle  cose  che  io  non 
ho  alcuna  notizia  ragionare.  » 


*  Tommaso  Fobti,  Foro  fiorentino,  ovvero  degli  uffizi  e  magi$trati  della  città  di  Fi- 
renze. Ms.  Ottobon.  27S1,  nella  bibl.  Vaticana  :  «  Oli  sermoni  che  da  decti  ufflziali  eran  fatt 
tendevano  in  lode  de'signori  priori,  corroborati  colla  sacra  scrittura,  sentenze  di  santi  dot- 
tori, con  punti  legali  ».  —  V.  a  proposito  dell'opera  del  Forti  quel  che  scrive  il  Morenx, 
Bibliografia  storica  della  Toscana,  t.  1,  pag.  390. 


Digitized  by 


Google 


100  CAPO  PRIMO.  [l 

tazione  d'Esiodo.  ^  Niccolò  allude  a  un'immagine  di  Virgilio; 
reca  in  mezzo  i  versi  «  aurei  e  divini  di  Dante  nostro  »,  re- 
lativi alla  leggenda  di  Traiano 

il  cui  valore 

MosM  Oregorio  alla  sua  gran  vittoria 

e  dalla  grande  venerazione,  che  in  quest'incontro  dimostra 
per  TAlighieri,  ci  dà  argomento  a  discredere  ch'egli  mai  scri- 
vesse quell'irriverente  discorso  intorno  alla  lingua  da  pedan- 
tuccio  uggioso,  che  con  insufficienti  ragioni  gli  si  volle  attribuire. 
L'altro  scritto,  che  da  alcuni  si  vorrebbe  recare  all'età  giovanile 
di  Niccolò,  sarebbe  un  frammento  di  traduzione  AqW  Historia 
persecutionis  vandalicae  ài  Vittore  Vitense.*  Ma  ragioni  intrin- 
seche che  persuadano  questa  opinione  non  vi  sono,  e  le  estrin- 
seche stanno  contro;  che  precisamente  l'osservazione  paleo- 
grafica induce  a  collocare  anche  questa  fra  le  scritture  del 
secondo  periodo.  Inoltre  il  contesto  medesimo  della  traduzione 
mostra  più  negligenza  che  incertezza  ed  inesperienza,  che  sa- 
rebbero mende  caratteristiche  e  tollerabili  dell'età  prima.  L'Ar- 
taud,  3  a  proposito  della  lettera  ad  un  prelato  romano  sul  pos- 
sesso del  patronato  della  pieve  di  Fagna,  che  Niccolò  reclamava 
contro  a'  Pazzi  in  nome  di  tutta  la  Maclamllorum  familia, 
tratto  in  errore  dall'aver  condotto  i  suoi  studi  non  su  ma- 
noscritti, ma  sopra  una  cattiva  edizione,  legge  un  habet  per 
un  habeat,  e  ne  conclude  che  la  piccola  scorrezione  dimostra 
come  a  questo  tempo  per  Niccolò  rimaneva  ancora  qualche 
progresso  a  fare  in  grammatica.  Altri  invece,  come  lo  Zeller 
e  il  Dantier^  lo   danno  già  per  consumato  filologo  ed  uma- 

>  Esiodo,  Ep^a  xal  r.as'pai,  222-227.  —  Viboilio.  Georg. ^  lib.  ii,  473-4. 

*  Fu  pubblicata  dal  Villari,  Niccolò  Machiavelli  e  i  suoi  tempi,  doc.  in,  p.  531-53S. 
Avevala  già*data  in  luce  il  Palermo  nel  suo  opuscolo  Niccolò  Machiavelli  e  il  suo  cento' 
nariOt  con  una  sua  versione  non  mai  pubblicala.  Firenze,  1869,  tip.  Bencini.  Si  trova 
autografa  fra  lo  carte  del  Machiavelli,  busta  1,  n.  73. 

s  Abtaud,  op.  cit.,  cap:  ii,  p.  30  e  seguenti.  Che  la  lettera  del  Machiavelli,  scrìtta 
a  nome  della  sua  casata  intera,  fosse  diretta  al  «  cardinale  perusino  »  Giovanni  Lopez,  provò 
già  il  NiTTi  [Machiavelli  nella  vita  e  nelle  dottrine y  1. 1,  pag.  39}  con  documenti  tratti  dal- 
TArchivio  di  Stato  di  Firenze.  In  questa  lettera,  in  cui  Niccolò  difende  contro  le  pretensioni 
de'  Pazzi  il  diritto  di  patronato  spettante  alla  sua  famiglia  nella  pieve  di  Fagna,  si  fa  men- 
zione d'un  *messer  Francesco  R  vostro  famigliare  ».(V.  Doc.  M.,  busta  i,  n.  57,  Bibl.  Naz. 
fiorentina).  Ora,  non  è  improbabile  che  questo  reverendo  messer  Francesco  fosse  un  con- 
giunto di  Niccolò,  da  poi  che  nei  registri  di  camera  di  papa  Niccolò  V,  all'anno  1450  occor- 
rono stanziamenti  di  «  due.  XXVpaghati  a  Francesco  Malchiavelli  scripiore  »  (Archivio 
di  Stato  in  Roma,  registri  di  camera,  anno  cit.)  Questi  fu  figliuolo  a  Filippo  Machiavelli, 
morto  a  Perugia  nel  1466,  e  fratello  ad  Alessandro  donde  nacque  quel  Niccolò  che  fu  cu- 
gino e  contemporaneo  al  nostro.  Come  i  Pazzi,  anche  dopo  la  cacciata  de'  Medici,  segui- 
tassero a  molestare  i  Machiavelli  pel  possesso  della  pieve  di  Fagna,  v.  Estratti  di  lettere, 
Bibl.  Naz.,  Doc.  M.,  busta  vi,  n.  72,  e.  Ì5  e  16,  M.  Opp.  ed  ult.  v.  2,  pag.  186. 

«  Zeller,  Italie  et  Renaissance.  Paris,  1869,  a.  1492.  —  Dantibb^  L'ItaUa.  Études 
historiques. 


Digitized  by 


Google 


PRIMI  STUDI.  101 

nista;  ma,  come  dicemmo,  non  pure  mancano  argomenti  a  con- 
validare queste  affermazioni,  ma  ne  fanno  difetto  anche  quelli 
che  occorrerebbero  a  constatare  i  gradati  procedimenti  del- 
l'educazione sua. 

Solo  una  congettura  non  ci  parve  improbabile,  ed  è  questa  : 
Quando    Niccolò   è   sugli   ultimi    della  vita,   scrive  amorosa- 
mente da  Imola  al  suo  caro  figliuolo  Guido  :  «  Dura  fatica  a 
imparare  le  lettere  e  la  musica,  che  vedi  quanto  onore  fa  a 
me  un  poco  di  virtù  che  io  ò  ».i  E  Guido,  di  rimando:  «  Co- 
mincierò  questa  pasqua,  quando   Baccia  fia  guarita,  a  sonare 
e  cantare,  e  fare  contrapuìito  a  tre  ».  *  Le  lettere  e  la  mu- 
sica dovettero  pertanto  essere  probabilmente  studio  simultaneo 
anche  della  giovinezza  di  Niccolò;  che  se  in  quelle  non  sap- 
piamo  certo  ove  giungesse,  di  questa  egli  dovette  conoscersi, 
e  perchè   la   tradizione  aneddotica  cel  racconta,  e   per  poter 
lui  vantare  la  virtù  sua  al  figliuolo.   Ed  è   a   credere   ch'ei 
fosse  cantore  non  solo  a  liuto,  ma  a  libro,^  Probabilmente 
le  musiche  de' suoi  canti  carnascialeschi,  degl'intermezzi  delle 
sue  commedie,   delle  sue  serenate  bastò  a  trovar  di  per  se. 
Chi  l'ammaestrasse  non  sappiamo;  ma  più  tardi,  quando  egli 
è    mandato  in   Germania  all'imperatore,  nel    soffermarsi   che 
fa  a  Costanza  una  mezza  giornata,  va  a  parlare*  «con  Arrigo 
compositore,  che  à  donna  costi  ».^  Quest'Arrigo  compositore  è 
quel  che  gì'  Italiani  chiamavano  Arrigo  Tedesco,  Enrico  Isaac, 
fiammingo,  il  quale  visse  in  Firenze  onoratissimo  a'  tempi  di 
Lorenzo  de' Medici,  e  condusse  le  melodie  pe' canti  carnascia- 
leschi e  per  alcune   canzoni  di  lui,  e  gli  compose  ancora  le 
musiche  per  la  rappresentazione  di  San  Giovanni  e  Paolo.  ^ 

1  Leu.  fam.  lxxxi,  ed.  Parenti,  1843. 
s  Bibl.  Naz,  doc.  M,  ^asta  v,  n.  21.' 

*  Il  KiBSBWBTTER,  Schicksole  und  Beschafenheit  des  weltlichen  Gesange»  vom  fruhen 
MUtelaUer  bis  su  der  Erfindung.  des  drammatischen  Sti/leSf  Lipsia,  1841,  assevera  con  una 
sicurezza  di  cui  non  appaiono  gli  argomenti,  che  fra  i  cantori  a  liuto  e  a  libro  era  in  Italia 
a  quei  tempi  una  separazione  costante:  «  beide  Classen  waren  g&nzlich  von  einander  ges- 
chieden,  und  es  schien  unmòglich  dass  die  gelehrten  Musiker  jemals  zur  Melodie  sich  herab- 
lassen,  oder  dieselbe  zu  sich  erheben,  und  in  derselben  wohl  gar  einen  vesentlichen 
Theil  der  Musik  erkennen  wUrden  ».  —  Nel  caso  nostro  il  Machiavelli  apparisce  istrutto 
nel  contrapunto  ;  e  la  tradizione,  come  vedremo  più  oltre,  ce  lo  rappresenta  ancora  cantore 
a  liuto. 

*  Machiavelli,  Legazione  all'Imperatore,  lett.  ii. 

*  PiBTRo  ÀABON,  Libri  tres  de  InstUtHione  harmonica  interprete  Io.  Antonio  Fla- 
minio, Foro  Cornelite.  Bononiae,  1516,  lib.  ni,  ex.  —  Ambros,  Geschichte  der  Mudk, 
ì.  m.  p.  330  e  seg.,  Breslavia,  1863.  L' Ambros  afferma  che  il  manoscritto  della  musica 
per  la  rappresentazione  di  S.  Oiovanni  e  Paolo,  opera  dell* Isaac,  si  trova  all'Università 
di  Oxford.  Noi  facemmo  ricerca  quanto  potemmo  di  questo  prezioso  Codice,  del  quale  nò 
la  cortese  sollecitudine  del  signor  Macrat,  né  deirOusBLT  né  del  Verb  Bayne  riuscirono 
a  scavar  notizia. 


Digitized  by 


Google 


102  CAPO  PRIMO.  Lldbo  pbimo] 

E  non  solo  come  maestro  di  cappella  in  San  Giovanni  e  isti- 
tutore de'  figliuoli  di  Lorenzo,  ma  anche  come  commissario  del- 
l'imperatore  Massimiliano,  pel  quale  incarico  se  gli  corrispon- 
devano centocinquanta  fiorini  all'anno,  questi  godette  in  Fi- 
renze grande  autorità  e  reputazione.  ^  È  probabile  che  Niccolò, 
che  non  aveva  espresso  incarico  in  quella  commissione  d'ab- 
boccarsi con  l'Isaac,  lo  rivedesse  o  come  antico  amico  e  mae- 
stro, o  come  uomo  ben  accetto  nell'aula  imperiale.  Del  resto, 
anche  prescindendo  dall'Isaac,  se  si  raccapezza  la  tradizione 
che  la  Bartolomea  Nelli,  madre  di  Niccolò,  componeva  laudi 
spirituali,  la  musica,  non  come  una  delle  discipline  del  trivio 
0  del  quadrivio,  ma  come  virtù  ci  parrà  già  ben  domestica 
nelle  case  de' Machiavelli.  Poiché  a  quel  tempo  non  s'inten- 
deva lirica  senza  canto,  come  bene  osserva  il  Kiesewetter;  e 
il  Boiardo  alla  corte  degli  Este  cantava  il  suo  Orlando  in- 
namorato,  e  il  Pulci,  a' conviti  di  Lorenzo  de' Medici,  il  suo 
Morganie  maggiore  «  secondo  la  maniera  degli  antichi  rapsodi  »  ; 
e  il  Poliziano  e  il  Ficino  a  quel  cantare  partecipavano. 

Frattanto  noi  siam  giunti  presso  al  ventesimoterzo  anno 
della  vita  di  Niccolò,  accennando  agli  avvenimenti  esteriori 
che  poterono  Commuovergli  l'animo,  alle  condizioni  morali  che 
concorsero  a  formagli  l' indole,  alla  qualità  dell'  istituzione  sua. 
Dotato  d'un  intelletto  che  gli  correva  facile  alla  comparazione, 
ragguagliava  l'educazione  ideale  nella  quale  era  stato  cresciuto 
e  la  tristizia  delle  pratiche  umane,  che  gli  era  parsa  all'  in- 
torno; d'onde  gli  nasceva  un'inclinazione  dell'animo  all'ironia,^ 
di  cui  ebbe  poi  nella  vita  a  mostrarsi  maestro;  ragguagliava 
le  età  antiche  e  i  suoi  propri  tempi,  e  questi  non  scindeva, 
come  per  un  abisso  incolmabile,  da  quelle;  ma  il  culto  dell'an- 
tichità classica  disposava  coU'ammirazione  dell'elemento  vol- 
gare e  italico;  non  perdeva  di  vista  la  vita  per  iscrutare  un 
codice;  leggeva  Tito  Livio  e  guatava  Firenze,  e  forse  quando 
nello  storico  padovano  incontrava  detto  di  Manlio  Capitolino  : 
«  vir  fUsi  in  libera  cimiate  nattis  esset  memorabilis  »,  pen- 
sava che  di  Lorenzo  de' Medici,  del  Magnifico,  ch'egli  aveva 
visto  morto,  si  poteva  forse  dire  altrettanto. 


^Ambbos,  Geachichte  der  Musik,  1.  e. 


Digitized  by 


Google 


Capo  Secondo 


DOPO  LA  MORTE  DEL  MAjGNIFICO 
ESTRATTI  DI  LETTERE  AI  DIECI  DI  BALÌA  —  CANTI  CARNASCIALESCHI 
1  MEDICI  FUORI  DI  FIRENZE  —  I  FRANCESI  IN  ITALIA. 

Des  FlorantlnB  m'esbaya 
Et  de  leur  ftouvernement; 
Jusqu'ycy  la  fleur  de  Uh 
Ont  servy  réveremment. 
A8teure-cy  vrayement 
Servent  de  bel  parler  cault; 
Maintenant  le  sena  leur  fault. 
iProphéeìc  du  Roy  Citarle»  Vili,  par  maitre 

GOILLOCOB    BoUROBLOia.) 

>  quelli  tempi,  i  quali,  per  la  morte  del 

magnifico  Lorenzo  de*  Medici,  feciono   mutare 

forma  all'Italia • 

(Machiavblli,  Dedicatoria  delle  Storie). 

Fin  qui,  interpretando  gli  accenni  che  il  Machiavelli  fece 
nell'opere  della  sua  mente  adulta,  ci  prorammo  congetturare 
le  modificazioni  che  neir  indole  sua  natia  poterono  indursi  dalle 
condizioni  civili  e  dalle  interne  vicende  di  Firenze.  Vedemmoi 
in  una  parola,  di  quali  determinazioni  V  istituzione  sua  prima 
ebbe  ad  esser  passiva.  Ora  ci  tocca  misurare  la  portata  di 
quei  medesimi  fatti,  il  valore  di  quelle  medesime  condizioni 
air  infuori  di  Firenze  e  d'Italia.  Se  gl'Italiani  per  via  de' loro 
commerci  s' erano  fatti  ricchi,  ciò  non  era  stato  senza  invidia. 
«  E  al  presente  che  con  persona  non  anno  guerra,  (scrive 
de' Francesi  il  Casa  a  Piero  de' Medici)  pensono  e  ragionono 
0  sopra  drappi  di  seta  che  vengono  di  Italia  in  questo  Reame, 
0  sopra  il  gran  danaio  che  esce  di  questo  paese  per  Roma,  o 
sopra  i  cambi  de'  Fiorentiai.  »  ^  Se  la  casa  de'  Medici  nella 
città  avea  grandeggiato,  non  tanto  lo  doveva  alle  arti  sottili 
con  cui  si  avea  procacciato  il  primato  e  il  governo  del  po- 
polo, quanto  a  un  sistema  d'amistanze  efficaci  che  l'aveva  in- 
teressata co' potenti  prossimi  e  fatta  a'  concittadini  invincibile. 
Già  fin  dai  tempi  di  Cosimo  gli  stretti  vincoli  cogli  Sforza  di 
Milano  e  co'  Reali  di  Francia  per  tenere  in  iscacco  i  Vene- 
ziani, il  papa  e  i  re  di  Napoli,  erano  stati  il  fondamento  della 

^  Dbsjardins,  Négoeiationa  éUplomaHqu^s  de  la  France  avec  la  Totcan:  Francesco 
deUa  Cas*  à  Pierre  de  Médicis,  pag.  249. 


Digitized  by 


Google 


10^  CAPO  SECONDO.  [libbo 

prepotenza  medicea;  ogni  allontanamento  da  questo  sistema  or- 
dinato per  mire  comuni,  aveva  segniate  un  pericolo  per  la  lord 
famiglia  e  per  la  città.  La  stessa  congiura  de'  Pazzi  era  stata 
condotta  per  isconcertare  quell'alleanze  :  ^  il  rompersi  di  quel- 
la accordo  dovea  recare  in  Italia  la  caduta  degli  Sforzeschi  e 
dei  Medici,  il  dilagare  dell'  invasione  francese.  A  questo  punto 
non  è  inutile  ricercare  le  prime  note  che  fra  i  pubblici  av- 
venimenti segna  il  giudizio  di  Niccolò  già  vicino  a  dar  frutto, 
la  parte  ch'egli  incomincia  a  rappresentare  nella  città  faziosa, 
che  sarà  il  suo  ambiente  politico. 

Già  nuove  persone  e  nuove  fortune  sorgono  e  cozzano  sotto 
gli  sguardi  di  lui  ;  né  egli  s'aspetta  a  giudicarle  che  la  piccola 
orbita  della  vita  sua  s' abbia  a  intersecare  con  quelle.  Pur  tut- 
tavia le  osserva  con  acutezza  ;  e  il  sentimento  de'  tempi  in  che 
vive  gli  s'impronta  così  forte  nell'animo,  che  egli  à  modo  di  ri- 
velarcelo ancor  vergine  e  fresco  negli  Estratti  di  lettere  ai 
Dieci  di  balia,  fatti  per  comporre  le  Istorie. 

Che  degli  Estratti  di  lui,  che  s' incominciano  post  mortem 
Cosimi  e  vanno  per  insino  al  dicembre  dell'anno  1503,  è  du- 
plice l'indole;  quantunque  gli  editori  fin  qui  li  pubblicassero 
senza  scevrare  molto  logicamente  gli  uni  dagli  altri.  Dap- 
poiché alcuni  sono  opera  comune  del  Machiavelli,  di  Biagio  Bo- 
nacce rsi,  d'Agostino  di  Terranova;  e,  quantunque  anche  questi, 
paiano  compilati  sotto  la  direzione  di  Niccolò,  dell'umore  del 
quale  alcuna  volta  trapela  qualche  sentore;  tuttavia  essi  non 
sono  che  il  sommario  prammatico  dei  documenti  da'  quali  tras- 
sero orìgine;  la  notizia  delle  lettere  che  furono  lette  nelle 
adunanze  de'  Dieci  o  nelle  pratiche,  il  registro  di  quelle  che 
vennero  scritte  per  ordine  de'  Dieci  o  de'  Signori  ;  sono  cioè 
un  pretto  e  puro  lavoro  degli  ufficiali  della  cancelleria.  Ma 
ve  n'ha  d'altra  natura;^  ve  n'à  di  quelli  in  cui  di  leggieri 
s' avvisa  come  al  transunto  secco  e  forte  de'  documenti  s'ag- 

1  Cf.  Négoeiations  diplomaUqtie»  de  la  France  avec  la  Toscane,  documents  recueUlis 
par  G.  Canestbini  et  ptibliés  par  A.  Dbsjabdinb,  Paris  1859,  pag.  169  e  segg.  Kbbvtn  de 
Lettsnhovb,  Lettre»  et  négodations  de  Philippe  de  Commynes.  Bruxelles  1867-74.  Busbb  Die 
Beziehungen  der  Mediceer.tu  Frankreich  wahrend  der  laìire  1434-1494,  Lipsia  1879. 
pag.  108. 

*  Non  sappiamo  perchò  nelPedizione  Passerini-Milanesi  riproducendoli  (M.  Opp.,  v.  ii, 
pag.  189-156)  gli  editori  siansi  appellati  alPedisione  fiorentina  del  1843,  quando  quelli  com-> 
parvero  prima  nelPed  igiene  fiorentina  del  Cambiagi,  1788,  pag.  50-80).  Suirautenticità  e 
qualità  d'essi  estratti  v.  Morbmi,  BibUogr.  tioricfHragionata  della  Toscana,  X.  ii,  pag.  3. 
—  (>iuLiAHo  DB*  Ricci  ne  copiò  nel  suo  codice  con  buon  discernimento,  registrando  quelli 
che  furono  condotti  per  la  composizione  delle  Istorie  (cf.  Apografo^  pag.  364  segg.)  e  la- 
sciando gli  altri  che  furono  pretto  lavoro  cancelleresco.  I  moderni  editori,  seguitando  solo 
l'ordine  cronologico,  pregiudicarono  l'ordine  logico. 


Digitized  by 


Google 


PRIMO J  GLI  ESTRATTI  DI  LETTERE,  lOB 

giunge  la  reminiscenza  personale,  il  potente  colore  che  non 
s'attinge  alle  lettere,  ma  vien  dalla  mente  e  dalla  memoria; 
sì  '  cli*ei  si  vede  chiaro  che  non  è  già  uno  specchio  indifferente 
che  riflette  gli  uomini  e  gli  avvenimenti,  ma  un  occhio  vivo 
che  guarda  e  giudica  e  dà  rilievo  secondo  che  1*  intelletto  ap- 
prende e  discerne.  E  questi  estratti  appunto  son  quelli  che 
Giuliano  de*  Ricci  registrò  nel  suo  apografo,  quasi  fosse  sola 
o  migliore  testimonianza  del  pensiero  del  Machiavelli  in  mezzo 
agli  avvenimenti  cui  accenna.  E  le  note  di  Giuliano  e  quelle 
del  compilatore  dell'apografo  barberiniano  ci  avvertono,,  come 
questi  li  trovassero  notati  in  quadernucci,  e  come  quelli  an- 
dassero per  insino  all'anno  1515,  cioè  oltre  al  tempo  che  Nic- 
colò rimase  in  cancelleria.  Da  ciò,  e  dal  trovarsi  negli  apografi 
frammischiati  a'  distesi  o  frammenti  storici,  apparisce  chiaro 
che  quei  sunti  furon  l'opera  non  del  segretario,  ma  dell' iste- 
rico, e  che  furon  lavoro  preparatorio  al  proseguimento  delle 
istorie  fiorentine;  del  quale  i  frammenti  e  le  nature  d' uo- 
mini fiorentini,  preparati  per  essere  inserti  a  luoghi  acconci, 
ci  sono  saggio  e  reliquia. 

Pertanto  la  duplice  qualità  degli  Estratti  che  si  pubbli- 
cano tra  le  opere  del  Machiavelli  ne  pare  manifestissima;  e 
risulta  non  tanto  dalla  diversità  del  fine  cui  furon  diretti, 
quanto  dalla  differenza  originale  del  pensiero  che  li  condusse. 
Infatti  negli  uni  non  si  registra  fatto,  per  particolare  e  mi- 
nuto che  sia,  che  non  risulti  da  documento  di  cancelleria  o  da 
relazione  d' ufficiale  pubblico  ;  negli  altri  la  personale  infor- 
mazione di  Niccolò  s' incontra  spessissimo,  ed  è  morale  commento 
de'  tempi. 

—  «  In  Firenze  il  popolo  chiamava  i  Franzesi,  et  quelli 
che  governavano  non  li  volevano.  —  Non  si  trovava  in  Firenze 
chi  prestasse  un  soldo  ;  fra  Girolamo  faceva  fare  digiuni,  pro- 
cessioni, limosine  et  gridava  che  si  perdonasse;  pure  fu  im- 
piccato addi  12  di  decembre  Antonio  di  Bernardo  di  Miniato.  »  — 

Ora,  a  questa  ultima  parte  epigrammatica  della  mente  di 
Niccolò  con  cui  egli  accompagna  gli  avvenimenti  pubblici,  ci 
pare  non  inopportuno  di  dare  qualche  rilievo  ;  sembrandoci  con- 
veniente, quando  ancora  non  ci  è  concesso  veder  lui  nell'anione, 
e  quando  ci  è  pur  forza  tener  proposito  de'  casi  generali  di 
Firenze  e  d' Italia,  che  per  que'  motti,  come  per  isprazzi  di  luce, 
ne  venga  rischiarata  la  condizione  soggettiva  del  pensiero  di 
lui.  Pertanto  co'  suoi  Estratti  e  frammerUi  il  Machiavelli  potrà, 


Digitized  by 


Google 


I 


100  CAPO  SECONDO.  [t 

sotto  un  certo  punto  di  vista,  servirci  di  fonte  storica;  e  contem- 
poraneamente dal^  ragguaglio  dell'altre  fonti  storiche  ci  verrà 
commentato  e  dichiarato. 

In  Italia  del  resto,  dopo  la  morte  del  Magnifico,  si  stava 
in  paurosa  attesa  di  calamità.  Predicatori,  astrologi,  uomini  di 
lettere  e  di  filosofia  concorrevano  ne'  timori  de*  popoli.  Non 
cadeva  fulmine  che  non  s'avesse  più  per  mal  presagio,  che  per 
disgrazia;  ^  morto  Lorenzo  s'era  spezzata  la  bilancia  d'Italia; 
il  naufragio  alla  navicella  di  Pietro,  lo  scompiglio  alla  pace 
dei  pQpoIi  era  minacciato  dal  mancare  di  papa  Innocenzo  ottavo; 
spenti  il  Poliziano,  il  Barbaro,  il  Menila  pareva  s'avesse  ad 
estinguer  la  face  del  bel  vivere  umano  e  della  buona  coltura. 
E  in  tutto  questo  non  era  tanto  rettorìca,  quanto  paura  vera. 
Fraticelli  gridavano  dal  pergamo  come  energumeni;  tanto  che 
la  pleiade  loro  riusciva  quasi  ad  affogare  la  singolarità  del  Sa- 
vonarola. Firenze,  Venezia,  Roma  ebbero  i  loro  frati  agita- 
tori, i  quali  contemplando  imperturbati  una  società  che  non 
reggeva,  se  non  perchè  non  era  chi  le  desse  crollo,  non  aveano 
bisogno  né  di  molta  virtù  né  di  molto  acume  per  andar  gri- 
dando fra  la  gente  che  la  vita  civile  mancava  dalle  fondamenta, 
e  che  i  flagelli  sarebbero  venuti.  Che  quando  entrarono  ne'  par- 
ticolari de'  flagelli,  quando  vollero  mostrar  di  sapere  per  filo  e 
per  segno  gli  avvenimenti  futuri,  risicarono  profezie  e  visioni 
che,  0  non  fu  chi  s'accorse  mai  che  s'avverassero,  o  ci  vollero 
secoli  a  compierle.*  «  E  vi  dico,  o  Romani,  cosi  secondo  l'Infes- 
sura,  poco  prima  (1491)  avea  sclamato  al  popolo  un  uomo  di 

>  Machiavelli,  Estratti  (1492)  «  Ammalò  Lorenzo....  i  predicatori  minacciavano.  Cascò 
addi  5  d'aprile  la  saetta  in  su  la  terrazza  della  cupola  >.  E  Dbmbtrio  Calcokdila,  a  Mar- 
cello Virgilio,  a*  di  quattro  di  maggio,  scriveva  :  «  nam  et  ictus  fulminis,  tam  horrendus  in 
Templum  civitatis  praecipuum  et  cum  tanta  mina,  staporem  ingentem  injecit,  ac  magnam 
quid  portendere  visum  est,  et  mors  magnifici  Laurentii  viri  hac  nostra  tempestate  ciarla- 
simi  et  in  omni  re  elegantissimi,  non  mediocrem  mihi  dolorem  adtulit  ».  V.  Ang.  Maria 
Bamdini,  Colleetio  vet.  aliquot.  monum,  etc.,  Arretii,  mdcclii,  pag.  22  e  segg.  —  V.  anche 
Pabbnti,  Storie  (mss.  Bibl.  Nazionale),  novembre  1494.  «  Cosi  in  brevissimo  tempo  tre  sin- 
gulari  uomini  mancomo,  Ermolao  Barbaro,  Angelo  Poliziano  e  Gio.  Pico  della  Mirandola; 
un  quarto  si  aggiungeva,  Giorgio  Menila,  uomo  negli  studi  d'umanità  degnissimo,  il  quale 
a  Milano  sua  vita  terminò,  per  la  qualcosa  coniettura  si  fece  che  all'Italia  gravissimi 
mali  soprastavano,  da  che  tanto  singolari  uomini,  et  di  si  prestante  ingegno  in  al  breve 
tempo  tutti  mancati  erano  ». 

*  Annali  del  Malipibro,  pag.  372  (Archivio  storico  ital.,  serie  i,  t.  vn,  p.  i).  La  prò- 
fegia  che  correva  tra  U  popolo,  fatta  da  più  di  trenta  anni. 

«  Gf^lomm  levitas  Germanos  justificabit.... 
Papa  cito  montar:  Caesar  regnabit  ubique 
Sub  quo  tnnc  vana  cessabit  gloria  cleri  ». 

V.  Id.  ibid.,  pag.  317.  Visto  qiMm  vidi  ego  servulus  Christi,  fìrater  JnnoeenHu*  or- 
éinis  praedicatorum,  teribenda  Angeli  jussu.    iNFBtsuRA,  in  Bccaed,  t.  n,  19». 


Digitized  by 


Google 


no]  DOPO  LA  MORTB  DSL  MAGNIFICO.  107 

vile  nazione,  che  in  abito  di  mendicante,  con  una  piccola  croce 
di  legno  nelle  mani,  sorgeva  a  predicare  per  le  piazze;  «  e  vi 
dico,  o  Romani,  che  in  questo  anno  piangerete  assai,  e  vi  piom- 
berà sopra  la  tribolazione,  per  1*  uccisioni  e  il  sangue,  perchè 
molti  morranno  di  voi  in  quest'anno...,  i  cittadini  potenti  occul- 
teranno il  fromento  ;  i  poveri  e  le  famiglie  insorgeranno,  e  fa- 
ranno impeto  contro  di  voi  e  sarà  gran  guai.  E  nell'anno  se- 
guente le  tribolazioni  si  stenderanno  suir  Italia  ;  e  in  esso  Fi- 
renze e  Milano  e  tutte  le  altre  città  perderanno  la  libertà  e 
andranno  sotto  l'altrui  dominio;  i  Veneti  saranno  spogliati  di 
quanto  posseggono  entro  terra  ;  e  nell'anno  terzo,  il  sacerdote 
si  troverà  senza  dominio  temporale,  e.  allora  sarà  angelico  il 
pastore  che  avrà  cura  solo  della  vita  dell'anima  e  delle  cose 
spirituali  ».  —  Dalla  qual  profezia,  per  prima  cosa  risulta,  come 
ignorantissimo  fosse  il  profeta  della  condizione  delle  città  ita- 
liane, a  quel  tempo  in  cui  la  perdita  della  libertà  per  Milano 
e  per  Firenze  non  poteva  esser  più  una  minaccia;  quanto  poi 
ci  volle  perchè  i  fatti  di  quel  terzo  anno  si  avverassero,  gì'  Ita- 
liani lo  sanno,  e  lo  sanno  appena. 

A  Firenze  frattanto,  morto  il  Magnifico,  fu  un  concorrere 
d'oratori  d'ogni  nazione  e  d'ogni  corte,  a  condolersi  della  per- 
dita di  tanto  uomo  e  raccomandar  Piero  figliuolo  di  lui,  <  an- 
chora  che  fussi  superfluo  perchè  le  opere  o  li  meriti  della  fe- 
lice memoria  del  padre  et  le  optime  parti  che^si  conoscono  in 
lui  porgevano  certa  speranza  che  la  città  per  lui  sarebbe  in 
grandissima  parte  reintegrata  della  iactura  et  perdita  facta.  »  ^ 
—  Così  scrivevano  gli  Otto  di  pratica  a  Pierfilippo  Pandolfini, 
che  allora  trovavasi  a  Roma  ambasciadore  presso  il  papa.  Ma 
gli  storici  non  portarono  egual  giudizio  di  lui. 

Il  Guicciardini,  *  il  Nerli,  il  Nardi  e  l'Ammirato  ce  lo  di- 
pinsero assai  disdegnoso  e  facile  all'ira,  inclinato  ai  piaceri  e 
alle  donne;  neghittoso  nelle  cose  di  Stato,  per  abbandonarsi 
agli  esercizi  del  corpo,  a'  giuochi  della  palla,  del  pugno  e  del 
calcio,  ne' quali  giungeva  a  pretenziosa  eccellenza  ;  inclinato  a 
comporre  versi  italiani  all'  improvviso,  e  a  gareggiare  poetando, 
cosi  che,  quantunque  intollerante  d'ogni  celia  che  potesse  pa- 
rergli una  punzecchiatura,  era  facile  inghiottire,  talvolta,  anche 
una  villania  scagliatagli  contro  in  talune  di  siffatte   gare  di 

^  Otto  di  pratica.  Carteggio  retpofuive.  A  Pierfilippo  Pandolfini,  tzii,  c.  SOS. 
>  OuicciABDiici,  Storia  d'Italia,  1  —  Nardi,  làtorie  di  Firenze,  i,  Idbm,  Vita  di  Antonio 
Giaeomini  —  Nbbli,  Commentari,  lib.  3,  pag.  58  —  Ammibato,  St.  di  Firenze,  lib.  xxti. 


Digitized  by 


Google 


lOS  VAPO  SECONDO.  [l 

rime.  Lorenzo  e  Giovanni  figliuoli  di  Pier  Francesco  Medici, 
aspreggiò,  e  la  cagione  non  è  ben  .nota.  Via  chi  rattribul  a 
dispetto  della  popolarità  che  questi  due  fratelli  aflFettavano;  chi 
a  gelosia  per  accordi  eh'  essi  tenevano  col  re  di  Francia;  chi 
a  stizza  per  rivalità  d'amori.  Fatto  sta  ch'egli  disconobbe  le 
necessità  politiche  che  ereditava  dal  padre,  staccandosi  dagli 
Sforza  e  da  Francia  ;  disconobbe  le  utilità  che  Lorenzo  avea 
preparate  a  suo  sostegno,  maltrattando  suo  fratello  Giovanni; 
il  quale  era  costretto  a  esortarlo  :  ^  facciamo  per  l'amore  d' iddio 
che  noi  ci  diamo  riputatione  l'uno  all'altro;  facciamo  che  paia 
che  tu  babbi  uno  cardinale  a  tuo  modo  ed  a'tui  propositi,  et 

io  te  con  cotesto  stato  a'  miei.  — Quando  io  babbi  a  fare 

a  tuo  modo  in  ogni  cosa  et  tu  non  a  mio  in  nessuna,  la  cosa 
non  ne  potrà  star  bene.  Forse  che  tu  dirai:  quando  io  fussi  in 
discordia  teco,  che  ne  sarebbe  per  noi?  rispondo  :  non  altro  se 
non  una  tua  infamia,  perchè  quando  si  vedrà  la  causa  di  tal 
discordia  essere  tutta  da  te,  ancora  la  colpa  sarà  tutta  tua.  »  ^  — 
Frattanto  i  tempi  che  seguitavano  procellosi  e  gonfi,  lo  travolsero 
giovane  nella  loro  ruina,  e  a  noi  non  è  dato  indagare  se  altri, 
meglio  ch'esso  non  fece,  avrebbe  potuto  *a  questi  resistere.  ^ 

L'orizzonte  che  erasi  di  già  conturbato  al  mancar  di  Lo- 
renzo, ora  accennava  a  vieppiù  intorbidarsi,  che  la  salute  di 
papa  Innocenzo  destava  gravi  timori.  11  papa  inoltre  avea 
fatto  ultimamente  investitura  del  reame  di  Napoli  nel  duca  di 
Calabria  e  principe  di  Capua,  ch'era  venuto  a  supplicarlo  in 
Roma;  e  quando  i  cardinali  ebbero  firmato  in  concistoro  la 
bolla  d'investitura,  gli  oratori  francesi,  in  ijome  del  loro  Cri- 
stianissimo re,  sursero  in  mezzo  a  levar  proteste,  non  inten- 
dendo, che  per  quell'atto,  si  avesse  a  pregiudicare  alle  ragioni 
che  questi  accampava  su  quel  regno,  retaggio  degli  Angioini. 

Ma  il  papa  ben  presto  roso  da'  suoi  malori,  ne  venne 
presso  che  in  fin  di  vita  ;  non  fu  ristoro  di  vigoria  che  non  si 
tentasse  per  sostenerlo.  L' Infessura  conta,  che  un  ebreo,  ch'e- 
ragli  medico,  tentò  puranco  trasfondergli  nelle  vene  il  sangue 
di  tre  giovanetti,  che  nella  vana  operazione  spirarono:   eran 

>  Archivio  fiorentino f  Med.  f.  14,  e.  296,  a' di  21  d'agosto  1402.  —  Busbr;  op.  cU. 
pag.  533  e  seguenti. 

*  Il  Machiavelli  lo  stritola  con  un  periodo  :  «  Piero  mpoM  sue  favole,  et  ch4  volwa 
stare  cU  mexzo  et  essere  intatto  da  tanti  mali  che  si  apparecchiavano».  Cf.  Diateto  della 
passata  di  Carlo  VlIIy  ne' frammenti  storici  (Cod.  Giulian  de' Ricci,  pag.  303-305.  Cod. 
Barb.,  pag.  183  e  segg.)  In  tutti  e  due  i  Codici  la  narrazione  autentica  va  sino  alle  parole: 
«  a  Firenze  andava  sottosopra  ogni  cosa  ».  Dopo  queste  è  notato  da  Giulian  de* Ricci: 
«  Quel  che  segue  non  ò  del  Machiavello  ». 


Digitized  by 


Google 


PWMO]  CONCLAVE  ly ALESSANDRO  SESTO,  1(» 

costati  un  ducato  ciascuno.  Tuttavia,  di  questi  particolari  non 
ci  offre  notizia  il  Valori  nelle  sue  lettere  agli  Otto  in  cui 
racconta,  che  il  papa  di  poco  altro  nutricasi  che  di  latte  di 
donna.  Addi  17  di  luglio  e' scriveva:  «  hoggi  tutti  i  cardinali 
sono  stati  a  palazzo  et  hanno  portato  il  ferro  della  lancia 
ch'era  nello  studio  dello  papa  in  San  Pietro:  vicitorno  lor  si- 
gnorie prima  il  papa,  a'  quali  sua  santità  usò  molto  tenere  et 
buone  parole  in  raccomandare  la  chiesa  et  chi  rimaneva  di  lui  : 
Appresso  notificò  al  Collegio  come  si  trovava  48  mila  ducati, 
de*  quali  domandò  di  gratia  li  fusse  licito  distribuirlo  ne*  suoi; 
il  Collegio  lo  consentì  molto  liberamente,  et  cosi  ha  distri- 
buito e*  predetti  danari  nel  signor  Francesco,  figliuoli  di  ma- 
donna Teodorina  et  altri  suoi  nepoti  et  parenti,  et  una  buona 
somma  deputati  per  la  sepoltura  sua  ».  ^  Morto  il  papa,  si  adunò 
tosto  il  conclave:  competitori  e  non  pochi,  e  forti  ciascuno  di 
singolare  e  diverso  appoggio,  armeggiavano  fra  i  cardinali  per 
essere  eletti:  Ascanio  il  fratello  di  Ludovico  Sforza  che  reg- 
geva Lombardia,  Roderigo  Borgia  lo  scaltro  e  danaroso  vice- 
cancellario,  Lorenzo  Cibo,  Raffaello  Riario  e  Giuliano  della 
Rovere  ligure,  tenace  'di  tempra,  amatore  del  popolo.  Vinse 
chi  coir  animo  dissimulatore  sapeva  rassicurare  i  sospetti,  e 
coU'oro  accaparrarsi  le  voci  venali. 

Epigrammi,  diari,  tradizioni  storiche  ci  attestano  che  Ro- 
derico  Borgia  mandò  le  sue  mule  cariche  d*oro  alle  case  di 
Ascanio  Sforza;  *  e  il  Valori  afferma:  che  <  Monsignore  Ascanio 
è  stato  quello  che  solo  ha  facto  venire  con  arte  non  pichola 
il  pontificato  in  costui  ».  Cosi  quegli  venne  ìcreato  papa  addi  11 
d' agosto,  in  giórno  di  sabato  e  di  buon  mattino  ;  ^  prese  nome 
d'Alessandro;  e  subito  i  lodatori  con  quel  nome  giocarono,  pa- 
ragonandolo al  Macedone,  cui  il  nuovo  papa,  a  detta  loro,  an- 
dava innanzi,  quanto  ad  un  uomo  un  dio:  ille  vir,  iste  deus; 


i  Archivio  fiorentino.  Otto  dì  pratica.  Carteggio  responsive,  viii,  pag.  329. 

>  Cf.  M.  {Estratti  di  lettere,  cod.  Oiulian  de*  Ricci)  «  Mori  papa  Innocenxio  addi  84  lu> 
glio  nel  02.  Creossi  papa  Alessandro  sesto,  Roderigo  Valenziano  ex  domo  Borgia  Calisli 
nepos;  fu  fatto  per  simonia;  dette  a  tutti  i  cardinali  doni,  e  massime  ad  Ascanio,  euiits 
opera  fuU  pontifeac  ».  Cominbs,  Mémoires,  lib.  vii,  pag.  469  :  «  le  dit  Ascaigne  en  avoit 
estè  le  principal  roarchand,  qui  avoit  tout  guide  et  en  eut  grand  argent».  —  IIBbosch, 
Papst  Julius  II  und  die  Oriindung  des  Kirchenstaates,  cap.  in,  pag.  50,  nota  che  tutti 
i  particolari  attorno  al  conclave  di  Alessandro  VI  si  hanno  in  questo  estratto  del  Machia- 
velli, le  cui  parole  attorno  a  un  solo  punto  gli  sembrano  men  che  esatte.  Infatti  a  Giuliano 
della  Rovere  è  da  ascrivere  l'aver  guadagnato  al  Borgia  la  voce  di  Maffeo  Oherardi,  pa- 
triarca di  Venezia,  cai  il  Senato  veneto  appoggiava  colla  superbia  solita  di  quella  repubblica. 
è  chiaro  che  VestraUo  del  Machiavelli  si  fonda  sulla  corrispondenza  di  Filippo  Valori. 

*  Infbssuba,  Diario. 


Digitized  by 


Google 


no  CAPO  SECONDO.  [libto 

che  se  maggiore  per  dignità,  non  eragli  per  probità  minore;  e 
poi,  a  promettersi  di  lui  il  maggior  bene  che  si  potesse:  tor- 
nare Tetà  d  oro,  i  bei  regni  di  Saturno  e  la  giustizia. 

Veramente,  un  po'  di  giustizia  cominciò  a  ricondurla.^  Su- 
bito che  fu  creato  pontefice,  ebbe  notizia  come  dal  di  della 
morte  d'Innocenzo  alla  sua  creazione,  cioè,  in  meno  di  venti 
giorni  erano  accadute  più  di  duecento  e  venti  uccisioni.*  Egli 
pertanto  ordinò  visitatori  delle  prigioni,  commissari  che  ascol- 
tassero le  querele  della  città  ;  ed  esso  stesso  per  far  ragione, 
dava  a  maschi  e  femmine  ne'  martedì  udienza  pubblica.  Né  era 
impresa  agevole  fare  allora  da  prìncipe  negli  stati  della  chiesa; 
ch'essi  erano  a  tale,  che  un  uomo  destreggiatore  poteva  bastare 
a  governarli  ;  un  uomo  che,  visto  il  fine,  non  indietreggiasse  dal 
proposito,  non  rompesse  negli  ostacoli,  non  si  sgomentasse  dei 
mezzi:  o  il  principato  ecclesiastico  moriva  o  si  voleva  dargli 
nuova  vigoria  di  vita  con  sangue  vivo. 

A  Roma  i  papi  non  erano  bene  signori:  li  spaurivano 
la  fazione  orsina  o  la  colonnese.  Già  quando  papa  Innocenzo 
aveva  levate  co'  ribellati  baroni  le  bandiere  contro  al  re  di 
Napoli,  .ebbe  sentito  che  ceppi  alla  mano  de'  pontefici  fossero 
i  vicari  delle  città  della  chiesa,  pronti  ad  ogni  incitamento, 
voltarsi  nemici:  di  guisa  che  i  Baglioni  a  loro  placito,  mossi 
da' Fiorentini,  ribellarono  Perugia;  e  Fuligno,  Spoleto,  Monte- 
falco,  Assisi  la  seguitarono.  Co'  Baglioni  congiuntosi  il  Gatto, 
rivoltavano  Viterbo;  di  città  di  Castello  disponevano  i  Vitelli; 
e  i  vicari  delle  città  di  Romanità  reluttavano  spesso  a  pa- 
gare il  censo  di  che  s'erano  alla  chiesa  obbligati,  presti  a  con- 
dursi sempre  agli  stipendi  d' altri  principi,  senza  neppure  ec- 
cettuare di  non  esser  tenuti  a  servirgli  contro  la  chiesa,  e  ri- 
cevendo obbligazione  da  loro  di  difenderli  anche  contro  1'  auto- 
rità e  l'armi  de'  pontefici.  ^  Da  quei  principi  essi  erano,  ricevuti 
cupidamente,  perchè  quelli  potessero  valersi  delle  armi  e  dell'op- 
portunità degli  stati  loro;  e  per  impedire  che  la  potenza  de'pon- 
tefici  troppo  non  si  accrescesse.  Come  i  da  Polenta,  i  Malatesta, 
gli  OrdelaflS,  i  Manfredi  e  i  Bentivoglio  avean  tenute  le  città 

^  Inpessuba,  «  lustitiam  mirabili  modo  Tacere  coepit  ».  E  Fàusto  Maddalbno  de'  Capo 
J>i  FEKRO,  epigrammista  dell'Accademia  e  parassita  della  Curia,  cantò  {cod.  Vat.^  3351)  : 

«  Hercule  Alexander  major;  Cacas  ùnus  ab  ilio 
Caesus;  ab  hoc  plures  fata  tulere  Caci  ». 

■  V.  BuRCARDo,  Diario. 

*  GuiccuRDiNi,  Istoria  d'Italia. 


Digitized  by 


Google 


PBiMo]  LA  FAMIGLIA  BORGIA.  Ili 

romagnole  in  signoria,  e  i  Veneziani  insidiatele.  Così,  dove  i 
papi  supponevano  possessi,  trovavano  agguati.  Schiantare  i  vi- 
cari adunque,  tirannelli  piccini  e  grave  oppressione  alle  plebi, 
doveva  esser  opera  d'  uomo  che  volesse  risuscitare  veramente 
in  quella  confusione  uno  stato.  Ma  quest'uomo  non  avrebbe 
mai  potuto  essere  un  pontefice,  che  quella  spada  e  quell'arte  che 
gli  faceva  mestieri.  Cristo  non  gliele  metteva  nelle  mani.  Toc- 
cava dunque  scegliere  fra  il  parere  uomo  dappoco  e  buon  papa, 
0  l'essere  forte  e  astuto  principe,  ma  tristo  pontefice.  Di  questa 
contradizione  che  il  civil  principato  indusse  nella*  persona  del 
supremo  sacerdote,  già  aveva  fatto  accenno  un  epigramma  del 
Poliziano,  ^  e  Roderigo  Borgia,  che  il  pontificato  lo  avea  compro, 
non  lasciava  dubbio  qual  parte  intendeva  prescegliere. 

Né  gli  mancavano  fidati  che  l'opera  sua  con  ogni  studio  cal- 
deggiassero e  l'aiutassero  del  volere,  del  braccio  e  del  senno.  Ro- 
derigo Borgia  aveva  sua  famiglia;  egli  da  Vanezza  Catani  *  che 
eragli  da  cardinale  stata  amanza,  da  tre  mariti  onestata,  avea 
ottenuto  figliuoli,  de'  quali,  mortogli  don  Fedro  in  Ispagna,-' 
quand'egli  era  tuttor  cardinale,  gli  vivevano  Cesare,  Giovanni, 
JufFrè  e  Lucrezia.'*  Cesare,  il  maggiore,  che  sì  trovava  allo 
studio  della  ragion  canonica  a  Pisa,  quando  udì  il  padre  scelto 
a  pontefice,  subito  volò  a  Roma  a  presentarglisi.  Papa  Cibo  lo 
avea  fatto  già  protonotario,  e  preconizzatolo  vescovo  di  Pam- 
plona;  Alessandro  lo  fece  arcivescovo  del  suo  arcivescovado 
di  Valenza. 

Non    già   che  costui,    eh'  era  nato   a  cingersi  la   spada, 
troppo  s' andasse- torcendo  alla  religione;  che  egli,  ben  com- 

1  PoLiziiiHO,  Opp.  sopra  Paolo  II  e  Sisto  IV.  Distico: 

'A^X^epcùc  à'foS'c;  nKÙ>js(  irprè,  àXXà  xaxò;  oòi;, 
vuv  ^'à'yod'b;  (baro;  q)ci>;,  xaxò;  à^itpcù;. 

*  V.  Sul  nome  della  Vanoxza,  v.  Qbbgobovius  :  Geschichte  der  Sladt  Rom,  voi.  vii, 
in  nota,  alla  pag.  315. 

»  V.  Mariana  (26,  e.  ii). 

*  Un  al^o  figlinolo  per  nome  Giovanni,  morto  Tomonimo  che  fu  duca  di  Gandia,  sembra 
nascesse  al  papa  nel  1497  dopo  i  di  14  del  giugno.  S'incontrano,  che  risguardan  questo 
figliuolo,  due  bolle  di  legittimazione,  datate  di  un  medesimo  giorno,  fatte  con  tutte  le  so- 
lennità cancelleresche,  nella  prima  dello  quali  il  fanciullo  è  legittimato  per  nato  del  duca 
Cesare,  e  quanto  al  suo  difetto  degnatali  è  sentenziato:  «  Si  uUo  unquam  tempore  forsan 
dubitari  et  tibi  opponi  contingeret  te  forsan  dictum  defectum  de  alio  quam  duce  prefato 
pati  quem  «tiam  quocumque  modo  et  quacumque  alia  persona  ecclesiastica  vel  seculari 
etiam  cuiuscumque  dignitatis  et  excellentie  mundane  vel  Ecclesiastice  etiam  supreme, 
etiam  tali  quod  de  illa  spetialis  specifica  et  ex  pressa  mentio  habenda,  illaque  omnino  spe- 
ciali nota  digna  foret,  alioquin  presentium  total  iter  periret  efiectus,  illum  patiaris  vel  pati 
dici  po8ses;.ad  omne  dubiiìm  submovendum  ac  oavillationes  evitandas  quietique  tue  con- 
sulendnm  eisdem  motu  scientia  auctoritate  et  potestatis  plenitudine  haberi  yolumus  quo 
pienissime  et  sufficienter  expresso  eam  vim,  eumdemque  vigorem  et  effectum  omnem  con- 


Digitized  by 


Google 


118  CAPO  SECONDO.  [lidbo 

presa  la  sua  natura  e  l'opportunità  de'  tempi,  gettava  il  pal- 
lio per  l'armatura,  e  questa  per  quello,  secondo  era  duopo; 
e  posto  l'animo,  a  fecondare  colla  scaltrezza  sua  la  fortuna 
paterna,  usci  capitano,  principe,  e  quasi  che  sollevatore  d'  I- 
talia.  Alto  della  persona  ed  .aitante,  ^  tenace  d'animo,  potente 
dello  sguardo  a  persuader  benevolenza  e  dissimulare  gl'intenti, 
dopo  non  molto  tempo  a  Roma  si  proverbiava  che  il  Papa 
non  faceva  mai  quello  che  diceva,  e  il  Valentino  non  diceva 
mai  quello  che  faceva.  Dell'ambizione  del  fratello  duca  di 
Gandia,  che  dava  ombra  alla  sua,  presto  fu  liberato.  Un  di 
si  seppe,  che  quegli  di  notte  era  stato  scannato,  e  travolto  poi 
nelle  acque  del  Tevere.  Alla  sorella  Lucrezia,  Cesare  faceva 
strangolare  il  marito  duca  di  Bisceglie,  di  sangue  aragonese, 
anche  a  malgrado  del  papa.^  Don  Juffré,  principe  di  Squil- 
lace,  sposato  giovinetto 'alla  figliuola  d'Alfonso  d'Aragona,  se- 
condo che  la  veneta  relazione  con  grande  efficacia  si  esprime, 
<  gli  calzava  gli  sproni  ».  Ben  tosto,  lo,  temeva  il  papa  stesso, 
quando  il  sangue  di  Perotto  di  Gandes,  svenatogli  dal  duca 
sotto  il  manto  pontificale,  ove  erasi  rifugiato,  ebbe  a  chiaz- 
zargli il  viso.  Del  resto  tale  indole   era  in  Cesare,   quale  si 

sequi  et  sortiri  tibique  soffragari  debere  ac  si  dictiis  defectus  qaicumque'  fuerit  et  esse 
dici  posset  alius  specifice  et  pienissime  expressus  fuisset,  ipsasque  praesentes  ad  probandum 
etiam  pienissime  defectum  predictura  quomodocunque  et  andecumque  proveniat  ut  pre- 
fertur  in  iudicio  et  extra,  ac  alias  ubilibet  etiam  pienissime  suificere,  nec  ad  id'  probationis 
alterius  adminiculum  requiri  ».  Nell'altra  bolla  poi  è  detto  :  «  Cum  autem  tu  defectum  pre- 
dictum  non  de  prefato  duce  sed  de  Nobis  et  dieta  muliere  patiaris,  quod  bono  respectu,  in 
litteris  predictis  specifico  exprimere  noluimus,  etc.  »  Ambedue  questi  documenti  proven- 
gono dairarchivio  di  Stato  di  Modena.  (Cf.  Orbgobovius,  Lucrezia  Borgia,  tKich  Urkundsn 
iifid  Correipondenxen  ihrer  eigenen  Zeit.  Anhang,  pag..  76-85).  Du9  altri  documenti  che  si 
riferiscono  a  questo  Giovanni  de*  Bolgia  domicellum  romanunij  e  rinvestono  delle  terree 
d^' diritti  di  Giulio  Cesare  da  Varano  (doc.  in),  e  insieme  con  Roderigo  Borgia  d'Aragona 
duca  di  Bisceglie,  figliuolo  alla  Lucrezia,  in  tertio  vel  circa  atatum  auarum  annis  consti' 
tutis  (doc.  Il),  del  Castel  Bassano,  della  tenuta  dì  Norma,  di  Ninfa,  di  Cisterna,  ecc.,  pub- 
blicò il  cav.  Amadio  Ronchim  dagli  archivi  parmensi.  Cf.  Atti  e  Memorie  delle  Deputa- 
zioni di  storia  patria  dell'  Emilia.  Nuova  serie,  voi.  i,  Modena,  1877.  ~  Dispacti  d'An- 
tonio Qiusliniani,  voi.  ii,  91.  —  Cittadella  cav.  Luigi  Napolbonb:  Saggio  dÀ  albero  ge- 
nealogico e  di  memorie  sulla  famiglia  Borgia j  Torino,  1872,  pag.  46-49. 

^  La  vita  che  di  lui  scrisse  il  Tommasi  (Gregorio  Leti),  dedicata  a  Vigorìa  della 
Rovere,  è  tutta  fiabe.  Questi  descrive  il  Valentino  deforme  del  corpo,  lo  fa  minore 
d*anni  al  duca  di  Gandia,  erra  nel  nome  della  madre,  ecc.,  mentre  le  relazioni  degli  am- 
basciadori  veneti  ce  lo  danno  «  bellissimo  di  corpo,  grande,  ben  fatto  e  meglio  del  re  For- 
randino  ».  V.  Alberi,  Relazioni,  ecc.,  serie  ii,  voi.  iii.  —  Il  papa  stesso,  nella  Bolla  in 
cui  concede  al  figliuol  suo  il  vicariato  delle  terre  di  Romagna,  cosi  ragiona  dei  meriti  di 
lui:  «  Ad  personam  tuam  quamplurimis  meritis  pollentem  singularibus  virtutibus  ac  aliis 
multiplicium  gratiarum  muneribus  Altissimus  insìgnivit,  tuamqne  devotionem  et  pràeclaram 
fidem,  quam  in  nos  et  eandem  geris  Ecclesiam,  grata  quoque  et  accepta  servìtta,  quae 
Nobis  et  praodictae  Ecclesiae  hactenus  impendisti  et  continuo  sollicitis   studiis  impendere 

non  desistis,  grandia  quoque  eVlaudabilia  prudentiae  tuae  merita debitum  respectum 

habentes,  etc.  »   —  Cf.  anche  Alvisi,  Cesare  Borgia^  Imola,  1878,  pag.  105  e  seguenti. 

*  Circa  a\V Estratto  del  Machiavelli,  relativo  all' uccisione  del  duca  di  Candia,  v6di  il 
giusto  commento  fattone  dall' Alvisi,  op.  cit.,  pag.  45. 


Digitized  by 


Google 


primo]  canti  carnascialeschi.  113 

voleva  per  gli  uomini  e  le  cose  che  gli  stavano  a  fronte  :  regalis- 
simo  e  prodigo  co'  venali  ;  coi  nemici  aperti,  crudele  ;  co'  segreti, 
simulatore;  forte  e  magnifico  davanti  al  popolo  che  l'ammi- 
rava ucciditore  di  tori,  cui  negli  steccati  del  Vaticano  spic- 
cava d'un  colpo  di  giannetta  la  testa.  Accanto  a  Djem,  fratello 
del  Sultano,  prigioniero  presso  il  papa,  cavalcava  in  abito  tur- 
chesco.  Capacissimo  d'ogni  condizione  di  vita,  nella  malva- 
gità sua  era  incapace  di  far  male  vano;  e  questo,  in  mezzo 
alla  imprudente  malizia  de'  contemporanei,  lo  faceva  non  vile. 
Ciascuno  poi,  o  che  il  lodasse  o  che  gli  facesse  biasimo,  con- 
veniva in  un  pensiero:  questo  duca  sarà,  se  vive,  uno  dei 
primi  capitani  d'Italia.  ^ 

Ora,  contro  a  tanta  potenza  si  levava  un  doppio  ordine 
di  nemici:  l'uno,  di  coloro  che  in  buona  fede  scorgevano  tra- 
volto in  basso  l'apostolato,  bruttata  la  dignità  del  pontefice  di 
tanta  simonia,  e  sinceramente  lamentavano  i  pericoli  «che  per 
tanta  corruzione  correvano  gli  ordini  ecclesiastici;  l'altro,  di 
coloro  che  aveano  visto  il  Borgia  salire  al  faldistoro,  cui 
essi  agognavano;  stringere  in  pugno  quella  potenza,  che  essi 
avevano  ambito  ;  alzar  quello  i  suoi  congiunti,  invece  che  essi 
i  loro.  Inoltre  gli  Orsini  e  i  Colonna,  divisi  fin  qui  di  fazione, 
di  pretensioni  e  d'interessi,  ora  un  comune  pericolo  ricon- 
giungeva ;  che  il  Borgia  non  era  papa  da  stare  a  computare  fra 
loro,  in  quali  braccia  e'  s'avesse  a  gittare;  vedevano  invece 
che  si  trattava  d'essere  soffocati  tutti  fra  le  braccia  di  lui. 
Ma  di  questi  avversari,  quelli  che  in  Alessandro  nimicavano 
il  principe  si  stringevano  in  sospetto  e  guardavansi  attorno  in 
cerca  di  esterna  difesa.  Coloro  poi  che  per  zelo  della  chiesa 
cristiana  avversavano  il  pastore  si  poco  cristianeggiante,  si  li- 
mitavano co'  loro  lamenti  a  chiamare  tempi  migliori  e  provvidi 
castighi  di  Dio.  Contro  a  questi  terrori  ascetici,  che  minaccia- 
vano il  diluvio  delle  molte  acque  e  il  coltello  aflBlato  dell'  ira 
eterna,  e  che  tuttavia  non  bastavano  a  far  che  la  paura  pi- 
gliasse il  posto  della  virtù,  Niccolò  Machiavelli  in  mezzo  alle 
piacevolezze  delle  carreggiate  carnevalesche,  recava  un  bar- 
lume del  leggiadro  spirito  di  Lorenzo.  Che  non  dubitiamo  ascri- 
vere a  questa  prima  epoca  della  sua  vita  certi  canti  di  carne- 
sciali  che  sanno  della  lascivia  elegante  del  Medici,  e  sem- 
brano un  po'  troppo  imitativi  della  maniera  di  quello,    come 

*  Reiasione  veneta  di  Paolo  Cappello. 
Touv A8IKI  -  Machiavelli.  ^ 


Digitized  by 


Google 


114  CAPO  SECONDO.  [lhibo 

sarebbe  il  canto  d'uomini  che  vendono  le  pine  o  quel  de'  ciur- 
madori,  i  quali  hanno  tante  parole  trattose,  come  direbbe»  il 
Lasca,  quanto  quel  de'  calzolai,  de'  cialdonai,  de'  berricocolai, 
di  Lorenzo.  Se  non  che  non  era  Niccolò  uomo  che  in  qualsia 
ordine  di  cose  e  di  idee  potesse  starsi  alla  imitazione;  non  era 
uomo  da  non  speculare  l'utilità  possibile  e  pronta  d'ogni  fatto; 
né  gli  pareva  utilità  più  bella  che  la  politica  o  cittadinesca:  e 
a  questa  vuol  che  anche  l'esilaramento  e  la  baldoria  servano. 
^  Quindi  è  che  in  seguito  il  canto  carnescialesco  di  lui  si  tras- 
^  ,  forma  e  piglia  un'  impronta  singolare,  un  carattere  spiccatis- 
simo da  tutti  gli  altri  componimenti  dello  stesso  genere,  di  cui 
Firenze  ebbe  tanta  copia.  E  non  più  i  venditori  della  città  mer- 
cantesca gli  daranno  pretesto  o  soggetto  alle  rappresentazioni 
e  alle  celie  ;  né  sarà  il  godente  de'  trivi  che  si  compiace  delle 
indecenze  semicoperte  dalla  maschera;  ^  ma  l'uomo  che  si 
fa  specchio  della  condizione  morale  de'  suoi  concittadini,  scissi, 
opposti,  litiganti  non  tanto  per  la  potenza  nello  stato,  quanto 
per  r  influenza  del  cielo  e  dell'  inferno.  Però  ei  chiamerà  dia- 
voli 0  spiriti  beati  a  trascorrere  giù  per  le  vie  di  Firenze, 
lasciando  incerti  libertini  o  piagnoni,  non  già  di  quel  ch'e'  siano, 
ma  di  qual  di  loro  si  burlino;  sorprendendoli  colla  perfetta 
conoscenza  che  anno  delle  faccende  del  mondo.  E  tra  la  prima 
maniera  di  siffatti  componimenti  e  la  seconda  ^  sta,  a  nostro 
credere,  come  a  segnare  uno  stadio  intermedio  il  canto  d'a- 
manti disperati  e  di  dame,  nel  quale  la  leggerezza  epicurea 
si  affronta  in  certo  modo  coir  elemento  ascetico,  e  dal  cozzo 
d'entrambi,  come  appunto  dall'urto  di  frateschi  e   di   medicei 

^  V.  nella  Novellaia  fiorentina  dell*  Imbriani,  p.  48,   le  «oc»  de*  venditori  ambulanti 

fiorentini,  che  piene  di  malizie  e  di  sali  originarono  forse  questa  maniera  di  componimenti. 

*  Ascriviamo  alla  seconda  maniera  il  canto  degli  Spirili  beati  e  quello  dei  romitìy  che 

debbonsi  pure  assegnare  agli  ultimi  anni  della  vita  di  Niccolò.  Nel  primo,  infatti,  in  cui 

si  dice  giusta  Pira  di  Dio 

e  lo  sdegno 

Poiché  vede  il  suo  regno 

Mancaro  a  poco  a  poco,  e  la  sua  gregge 

Se  pel  nuovo  pastor  non  si  corregge, 

Tant*è  grande  la  sete 

Di  guastar  quel  paese 

Che  a  tutto  il  mondo  die  le  leggi  in  pria. 

Che  voi  non  v'accorgete 

Che  le  vostre  contese 

Agi*  inimici  vostri  aprìn  la  via. 

Il  signor  di  Turchia 

Aguzza  Tarmi,  e  tutto  par  che  avvampi 

Per  inondare  i  vostri  dolci  campi. 

si  hanno  due  chiare  allusioni  alla  recente  elezione  del  cardinal  Oiulio  de*  Medici  a  pon- 


Digitized  by 


Google 


PBIMO] 


CANTI  CARNASCIALESCHI. 


US 


insieme,  trae  fuori  una  scintilla  d'  un  ridicolo  nuovo  ed  ini 
mitato. 

Ma  per  ora,  per  questa  prima  parte  della  vita  di  Niccolò 
ci  preme  avvisare  com'egli  si  astenga  dal  mostrarsi  parteggia 
tore.  «  Fu  in  questi  ultimi  tempi  un  gran  diluvio  d'acqua  ini 
Lombardia  »,  registra  egli  ne'  suoi  estratti,  «  i  predicatori  mi-j 

nacciavano »  —  «  —  i  predicatori  di  nuovo  gridavano  »,i 

ma  non  è  né  a  quel  diluvio  d'acque  né  a  queste  profezie  tristi 
d'ascetici  ch'egli  allude  co'suoi  canti  carnascialeschi.  La  sua 
vita  corre  modesta  e  guardinga  di  non  accattare  la  mala  animo- 
sità d'alcuno;  egli  studia  i  tempi  e  li  vede  ingrossare  e  ag- 
grovigliarsi per  guisa  da  attendersene  immediati  i  tramutamenti 
preparati  da  cause  si  lunghe,  presentiti  anche  dai  meno  accorti. 


tofice  (19  novembre  1523)  e  alle  dichiarazioni  fatte  da  lui,  terminate  le  solennità  della 
incoronazione,  di  voler  concordare  ì  principi  cristiani  contro  la  potenza  di  Solimano,  che 
Aveva  già  occupato  Rodi.  li'altro  canto  àe'Romitif  venuti  giù  a  Firenze  dagli  alti  gioghi 
d*A  pennino, 

«  Imperocché  ogni  astrologo  e  indovino 
V*han  tutti  sbigottiti 


Che  un  tempo  orrendo  e  strano 

Minaccia  ad  ogni  terra 

Peste,  diluvio  e  guerra 

Fulgor,  tempeste,  iremuoti  e  rovine, 

Come  se  già  del  mondo  fosse  il  fine. 

E  voglion  soprattutto  cho  le  stelle 

Inflnssin  con  tant*  acque 

Che  '1  mondo  tutto  quanto  si  ricopra,  » 


▼a  senza  dubbio  attribuito  al  carnevale  dell'anno  susseguente  (1524),  e  il  presente  pas- 
saggio, tolto  al  Priorista  di  Giovanni  del  Nbro  (Bibl.  Vat.,  codice  ott.  3099),  ne  fa  prova 
e  commento.  «  Nota  come  parecchi  anni  sono  fu  pronunziato  per  mol^  astrologi  de* primi 
si  trouauano  nell'Italia  come  Panno  1524  avena  a  essere  un  grandissimo  diluvio  d'acqua 
per  molti  pianeti  s'accozauano  insieme,  che  tutti  mostrauano  piove;  per  modo  che  alcuno 
predicatore  de*  frati  conventuali  l'avevano  detto  in  pergamo,  e  i  frati  osservanti  di  San  Do- 
menico se  ne  facevano  beffe;  che  procedevano  come  cristiani  e  diceuano  che,  ancora  che 
tali  segni  mostrassino  gran  piove,  che  l'erano  molto  stelle  et  pianeti,  che  loro  non  hanno 
«cognizione.  Ora,  entrando  nell'anno  1524  dissono  detti  astrologi  che  del  mese  di  febbraio  1523 
(1524  St.  com.)  a' di  5,  7  e  9  aueuano  ad  essere  gran  diluvi  d'acque  e  venti  terribili  e  tuoni 
e  saette  e  tremoti,  e,  come  piacque  a  Dio,  che  ogni  cosa  governa  per  dimostrarli  infedeli 
e  bugiardi,  fu  detto  mese  di  febbraio  1524  tanto  grazioso  e  mai  non  piovve,  che  io  scrit- 
tore di  50  anni,  che  io  mi  recordo,  e  per  detto  di  molti  altri  antichi,  non  andò  mai  il  più 
bel  tempo  di  tal  mese  ;  per  modo  che  a  Bologna  fu  uno  di  detti  astrologi  che  arse  tutti  i 
suoi  libri  che  trattauano  di  dette  astrologie,  veggendosi  rimanere  tanto  svergognato,  di 
non  esser  riuscito  alla  minima  parte  di  quello  aviano  detto;  e  fucci  de'monaci  che  pareano 
ben  regolati  che  feciono  provvedimento  di  farine  e  missonle  in  poggio,  stimando  che  e'mu- 
lini  avessero  a  disfarsi,  e  alsì  alcuni  saui  di  questo  mondo:  molti  altri  lo  credeuano,  ma 
faceuano  come  fanno  della  morte,  che  confessono  avere  a  morire,  ma  non  fanno  poi  l'opere 
corrispondenti  alla  morte.  Cosi  faceuano  costoro  e  lo  credeuano,  ma  non  faceuano  prov- 
vedimenti di  vettovaglie,  perchè  era  fede  morta  ». 

1  Estratti  di  lettere  dell'apografo  di  Giuliano  de' Ricci  Machiavelli,  Opp.,  ediz.  Pas- 
serini, Tol.  n,  pag.  233,  239,  240.  Tutti  questi  appunti  storici  del  Machiavelli  non  anno  il 
carattere  di  scritto  propriamente  contemporaneo  a' fatti  che  accennano  e  sembrano  piut- 
tosto ricordi  che  estratti. 


Digitized  by 


Google 


116  CAPO  SECONDO.  [libeo 

—  «  Addi  25  di  febbraio  ^  (1494)  morì  il  re  Ferrando  di 
Napoli  e  successe  il  re  Alfonso  ch'era  suo  figliolo  ».  —  Cosi 
men  che  esattamente  gli  estratti  di  lettere.  Era  il  regno  di 
Napoli  feudo  della  chiesa;  i  papi  che  l'avevano  alle  spalle,  ben 
voleano  tenersene  sicuri;  e  per  la  formola  del  giuraménto,  fche 
nella  solennità  della  coronazione  imponevano  ai  re,  questi  ve- 
niano  ad  accettar  condizioni  per  le  quali  erano  quasi  segre- 
gati dal  resto  d'Europa.  In  quell'estremo  lembo  d'Italia  i  papi 
non  volevano  che  vassalli.  A  costoro  non  doveva  importare 
né  del  re  de'  Romani,  né  de'  signori  di  Lombardia,  né  doveano 
intromettersi  del  governo  della  città  di  Benevento,  né  delle 
terre  della  chiesa,  ovunque  fossero;  né  di  Spoleto,  né  di  Città 
di  Castello,  né  di  Bologna;  né  de'  beni  della  chiesa  poteano 
per  qualsivoglia  titolo  acquistare,  né  mantenere  in  quelli  po- 
desteria 0  capitaneria,  o  notaria.  ^  Essi  non  erano  che  ligi  dei 
pontefici,  a  raffrenare  la  prepotenza  dei  quali  a  quei  re  non 
restava  che  un'arma:  trar  dalla  loro  la  parte  orsina  o  la  co- 
lonnese,  che  contendendo  signoreggiavano  Roma,  e  potevano, 
quando  che  fosse,  colle  loro  forze  stringere  il  papa  e  fargli  il 
trono  mal  sicuro.  Però  aveano  usato  i  re  di  Napoli  ad  alcuna 
di  queste  fazioni  tender  sempre  buon  esca,  nella  speranza  della 
quale  l'una  di  esse  tenesse  sempre  dalla  parte  loro.  Ambedue 
queste  casate  avevano  i  beni  su  i  confini  dello  stato  vicino  al 
regno  :  quindi  il  contado  dì  Tagliacozzo,  eh'  era  presso  a'  beni 
d'ambedue,  fu  spessissimo  loro  proposto  a  premio,  spessissimo 
ebbero  a  litigarlo  e  strapparselo  a  vicenda.  Morto  papa  In- 
nocenzo Vili,  Franceschetto  Cibo  avea  venduto  a  Virginio 
Orsino,  ch'era  tutto  del  re  di  Napoli,  le  castella  d'Anguillara 
e  di  Cervetri,  senza  che  il  pontefice  ne  fosse  interpellato;  la 
qual  cosa  cagionò  che  Alessandro  entrato  in  sospetto  del  re, 
cercasse  maniera,  col  precipizio  di  lui,  d'assicurarsene.  Fer- 
rando vide  il  pericolo,  e,  con  quanto  studio  potè,  s'affrettò  ri- 
conciliarsi il  pontefice,  persuadendo  a  Virginio  che  venisse  a 
patti.  Dopo  lunghe  indugie  si  concluse  accordo  tra  il  papa  e 
la  casa  Orsina  ;  ma  Alessandro  non  era  uomo  da  confidarsi  mai 

*  Quest* avvenimento,  ordinato  cronolof^icaraente  secondo  lo  stile  fiorentino,  si  registra 
negli  Estratti  di  lettere  sotto  Tanno  1493.  La  morte  del  re  Ferrando,  secondo  il  Caracciolo 
{De  Ferdinando  eittsq.  posteri»  in  Muratori  Rer.  it.  script.,  t.  xxii,  col.  116)  e  il  Summontb 
(Istoria  di  Napoli,  t.  in,  pag.  539),  accadde  non  già  nel  febbraio,  come  scrive  il  Machia* 
velli,  ma  a*  di  25  di  gennaio  dell*  istesso  anno  «  a  bore  sedici  ».  Sulla  tomba  di  lai,  che  é 
a  Napoli  in  San  Domenico  Maggiore,  sta  scritto  :  Fbrdinandos  primus  araookus  rbx  pa- 

CIFICUS  OBIIT  A.   D.   1494. 

*  V.  BURCHAROO  in  ECCARD,  vol.  Il,  2033. 


Digitized  by 


Google 


primo]  frammenti  STORICI.  117 

più  del  re;  di  quel  re  che,  manifestamente,  quando  ei  fu  eletto, 
aveva  lamentato  l'elezione  di  lui  come  quella  che  non  sarebbe 
stata  a  pace  d'Italia;  e  re  Ferrando  passava  per  sottilissimo 
uomo  di  stato.  Inoltre,  alla  gran  brama,  che  avea  papa  Borgia 
di  far  grandi  i  suoi  figli,  non  si  eran  mostrati  troppo  compia- 
centi gli  Aragonesi;  e  quantunque  si  trovassero  in  tali  strette 
da  dover  comperare  l'amicizia  del  papa  a  qual  sia  prezzo,  poiché 
s'alzava  già  per  loro  di  lontano  una  triste  nube,  pure  alla  pro- 
posta che  al  figliuolo  del  papa  Don  Jufiré  fosse  data  sposa  la 
figliuola  d'Alfonso,  la  quale  gli  recasse  il  principato  di  Squil- 
lace  e  il  contado  di  Coriata  in  dote,  quegli  s'era  dimostro 
assai  malvogliente  in  sul  principio  ;  e  l'orgoglio  de'  Borgia  n'era 
stato  ferito  non  vanamente.  ^ 

Quando  più  tardi  il  matrimonio  fu  concluso,  l'avida  am- 
bizione d'Alessandro  s'acquetò,  ma  la  ferita  del  suo  amor  pro- 
prio non  fu  salda.  S'aggiunse  che,  morto  Ferrando,  Alfonso  sa- 
liva al  trono  senza  il  retaggio  del  senno  paterno,  e  quella 
tempesta  che  quegli  avea  saputo  trattenere,  questi  faceva  in 
modo  di  tirarsela  sul  capo.  Egli  avea  maritato  a  Giovanni 
Galeazzo,  signore  di  Lombardia,  Isabella,.^  sua  figliuola;  e 
questi,  vissuto  sotto  la  tutela  di  Ludovico  Sforza,  ch'oragli  zio, 
veniva  da  lui  a  dirittura  allontanato  dal  governo,  maltrattato, 
e  di  piano,  e  di  cheto,  spoglio  di  tutte  le  ragioni  che  sul  do- 
minio esercitava.  Di  tanta  ingiustizia,  spesso  Isabella  aveva 
fatto  richiamo  al  padre,  e  questi  sollecitato  il  re  Ferrando 
a  soccorso  del  genero;  ma  Ferrando  non  erasi  mai  lasciato 
strascinare  nell'impresa  perigliosissima;  anzi,  conosciuta  la 
mente  di  Ludovico  capace  di  rovesciare  il  mondo  co'  suoi  gar- 
bugli purché  un'ambizione  gli  si  appagasse,  aveva  procurato 
dileguarne  i  sospetti,  e  in  tutto  soddisfargli.  3  Ma  Ludovico 
non  si  quetò:  guardossi  attorno:  si  vide  a  fronte  i  Veneziani, 


1  A  questo  rifiuto  attrìbaisce  il  M.  ne'  Frammenti  storici  la  cagione  per  cui  Alessandro 
chiamò  il  re  di  Francia  in  Italia. 

*  ìie^Frammenti  storici  del  Machia vblli  questa  è  chiamata  Ippolita,  facendo  confu- 
sione colla  minor  figliuola  d*  Isabella,  morta  nel  1501.  Gf.  Malipiebo,  Annali  veneti,  pag.  310: 
«  La  causa  ch*el  re  Carlo  ottavo  de  Pranza,  zovene  de  24  anni  viene  in  Italia,  è  che  '1  re 
Ferando  de  Napoli  ha  dà  una  fla  de  Alfonso  so  fio  per  mogier  a  Zuan  Galeazzo  duca  de 
Milan,  stando  in  tutela  de  Lodovico  Sforza  so  barba  ». 

*  Bene  a  ragione  osserva  il  Rbumont  {Arch.  storico,  terza  serìe^  t.  xiv,  Rassegna  bibliO' 
grafica  del  Codice  Aragonese  pubblicato  dai  Trincbbra,  pag.  414)  :  «  Il  Machiavelli  (Fram- 
menti storici)  scrìvendo  che  Ferrante  disegnava  fare  il  divorzio  tra  Gian  Galeazzo  Sforza 
e  Isabella  d'Aragona  e  dare  la  fanciulla  a  Lodovico,  dimenticava  che  «  la  fanciulla  »  aveva 
tre  figK  e  che  il  Moro  era  marito  di  Beatrice  d*Este.  »  Oltracciò  non  sappiamo  donde  potesse 
trarre  la  strana  notizia. 


Digitized  by 


Google 


I 


118  CAPO  SECONDO.  [jJBEa 

gittatisi,  contro  quél  che  la  natura  del  loro  stato  portava,  a 
far  conquiste  sul  continente.  Da  un  fianco  gli  stava  Firenze 
malsicura  deiramicizia  sua:  più  lungo  il  pontefice  guadagna- 
bile  da  chi  gli  satollava  la  famiglia  ingorda;  e  poi  gli  Ara- 
gonesi nemici,  e  bisognosi  a  qualunque  costo  dell'aiuto  papale. 
Parve  però  a  Ludovico,  per  prima  cosa,  doversi  accertare 
dell' amistanze  dubbie,  il  che  s'avvisò  fare  con  mezzucci,  che 
a  lui  parevano  sottigliezze  d'ingegno  acuto. 

Non  appena  papa  Alessandro  fu  esaltato  al  trono  ponti- 
ficale, ch'egli  cominciò  a  mettere  innanzi  come  sarebbe  stato 
bella  prova  dell'italiche  forze  collegate,  che  invece  di  mandar 
ciascuno  da  sua  parte  ambasciatori,  che  prestassero  l'obbe- 
dienza al  papà,  si  facesse  un  sol  corpo  d'ambasceria  in  Roma, 
e  fosse  composto  de'  principalissimi  uomini  d'ogni  governo,  dei 
quali  un^solo  avesse  a  pigliar  la  parola;  e  si  desse  così  al  pon- 
tefice argomento  delle  compatte  forze  d' Italia.  La  precedenza 
degli  oratori  avrebbe  avuto  luogo  secondo  l'ordine  :  prima  quel 
del  reame  di  Napoli,  che  avrebbe  tenuta  l'orazione,  poi  un 
milanese,  poi  un  fiorentino,  e  in  ultimo  un  ferrarese.  Il  partito 
parve  in  sulle  prime  accettevole  e  s'approvò;  ma  quel  che  la 
ragione  di  stato  .  aveva  lasciato  accogliere,  lo  stornarono  poi 
pretenzioncelle  e  puntigli  di  subordinati. 

Gentile  Becchi  da  Urbino,  vescovo  di  Arezzo,  cui  si  aspettava 
far  l'orazione  se  l'ambasceria  fiorentina  fosse  andata  da  sola, 
vide  di  mala  voglia  che  l'adito  di  mostrar  l'eloquenza  sua 
cosi  gli  fosse  chiuso:  Piero  de' Medici  non  si  contentava  che 
della  magnificenza  della  sua  comitiva  non  potesse  far  sì  leg- 
giadra mostra,  come  sarebbe  per  accadere  quando  la  splendi- 
dezza dell'altrui  non  l'adombrasse.  ^ 

Però  i  Fiorentini  procurarono  che  artificiosamente  si  persua- 
desse il  re  di  Napoli  a  contrariare  il  consiglio  di  Ludovico;  di 
che  quegli  li  compiacque  facilmente,  ponendo  innanzi  pretesti, 
e  allegando:  sarebbe  stato  più  piacevole  al  papa  che  a  lui  ne  an- 
dassero parecchie  ambascerie  con  singolare  sfoggio  di  pompa, 
che  non  una  sola,  in  un  sol  tempo,  la  quale  potesse  sembrare 
diminuzione  più  che  unione  della  solennità. 

^  Guicciardini,  1^,  Ammirato,  xxvi.Vedi  nelle  Négociationè  iiplomatiques  delaFrance 
avee  la  Toscane,  pag.  317-965,  la  legazione  di  Gentile  Becchi  e  di  Pier  Sederini,  che  ò  va- 
levole a  dare  idea  sufficiente  della  grande  capacità  politica  del  vescovo  d'Arezzo  :  «  Uomo 
dì  cui  i  contemporanei  ammirarono  il  8aj[>er  dire  e  il  saper  fare  »,  cosi  ebbe  sapientemente 
a  giudicare  di  lui  il  Guasti  {Arch.  $tor.,  seconda  serie,  t.  xiv,  p.  ii.  pag.  35)  :  «  Noi  de- 
ploreremo che  la  gratitudine  gì*  imponesse  talora  uffici  inconvenienti  a  un  cittadino  di  liberà 
città,  per  non  dire  a  un  sacerdote  costituito  in  dignità  tale  ». 


t  Digitized  by  VjOOQIC 


r 


o]  CARLO  OTTAVO.  119 

S' irritò  Ludovico  del  rifiuto,  non  sospettando  le  cause  pic- 
cine che  l'avevano  prodotto;  e  spingendosi  a  trarre  di  questo 
fatto  conseguenze  inadequate,  si  volse  con  ogni  studio  a  mac- 
chinare la  perdita  di  coloro  di  cui  sentiva  tinlore.  Adescò 
con  mal  considerata  ambizione  un  potente  straniero  a  piom- 
bare sulla  debole  Italia,  a  ciò  che  nella  ruina  degli  altri  prin- 
cipi sorreggesse  lui  solo.  Di  tanta  colpa  non  fu  storico  che 
non  l'abominasse;  ma  tuttavia  se  vogliamo  scevrar  del  nostro 
giudizio  l'irritamento  che  le  sventure  della  patria  ci  produ- 
cono naturalmente  nell'animo  ;  se  vogliamo  collocare  lo  Sforza 
nella  luce  che  gli  spetta  entro  a'  tempi  in  cui  visse,  dovremo 
ammettere  ch'esso  non  fu  più  reo  de'  contemporanei  suoi,  nei 
quali  l'amore  della  nazione  taceva  in  guisa  che,  non  che  irri- 
tarsi, appena  si  ridestava  all'  insulto  degli  stranieri.  ^ 

Sul  trono  di  Francia  stavasi  Carlo  ottavo,  ventiquattrenne, 
uscito  dalla  prudente  tutela  di  Anna  di  Beaujeu;  brutto  della 
persona,  di  deboli  voglie,  fantastico,  più  proclive  a  dar  corpo 
all'ombre  che  a  ponderare  i  partiti;  vago  d'imprese  ch'aves- 
sero sembiante  di  cavalleresche,  neghittoso  all'  utili.  11  padre 
di  lui,  che  aveva  cerco  d' allacciare  le  disperse  provincie  fran- 
cesi in  unità  salda  di  reame,  gli  avea  tramandato  buoni  am- 
maestramenti nell'arte  di  stato:  ma  egli,  indocile,  gittava  vo- 
lentieri lo  sguardo  oltre  alle  Alpi.  L'opera  di  Ludovico  XI  era 
calda  e  pareva  fosse  d' uopo  di  chi  la  lasciasse  maturare  ; .  ma 
Carlo,  la  mente  del  padre  e  quella  della  tutrice  sua  non  V  in- 
tendeva ;  e  spiccatosi  dagli  antichi  consigliatori,  che  avvisavano 
nella  conquista  de'  Paesi  Bassi  doversi  cercar  piuttosto  l'ag- 
grandimento  e  la  quiete  di  Francia,  sognava  il  bel  cielo  e  le 
belle  marine  di  Napoli;  traeva  di  carcere  il  cugino  principe 
d' Orleans^  quello  che  a  lui  pupillo  era  stato  ribelle,  per  met- 
terselo a'  fianchi  come  consigliere  ed   amico  ;  e  il   Comines, 

>  A  ragione  scrìve  il  Busbr  {Die  Beziehung&n  der  MeéUceer  zu  Franlseiehf  pag.  237)  : 
«  E  non  doveva  il  sentimento  del  popolo  francese  essere  anche  più  inasprito  dalla  condotta 
degli  oratori  italiani  ì  Quando  un  ambasciatore  perseguitava  l'altro  e  palesemente  e  in  se- 
greto, rappresentando  tutta  l'Italia  come  una  terra  aperta  alle  voglie  di  Francia;  quando 
il  settentrione  tradiva  il  meszogiomo  e  il  mezzogiorno  il  settentrione  alla  Corte  del  mo- 
narca francese  ;  non  doveva  crescere  nel  popolo  naturale  l'opinione  che  fosse  necessario 
r  intervento  e  la  conquista  in  Italia  ì  »  Traduciamo  queste  severe  parole  perchè  tutti  gli 
Italiani  possano  ripensare  utilmente  ai  tempi  tristi  e  immoralissimi  della  patria  disunita; 
quando  il  cardinale  Ascanio  Sforsa  irrideva  a  que'  tantoHi  ftancesi  che  invocati  a  discen- 
dere non  venivano;  e  tutti  i  vilissimi  potenti  si  barattavano  la  colpa  di  quell'invito,  acca- 
gionandone, secondo  private  mire,  chi  gli  Sforza,  chi  il  cardinale  di  S.  Pietro  in  Vincoli, 
chi  il  papa,  chi  il  duca  di  Ferrara.  Cf.  Busbb,  op.  cit.,  pag.  240  e  seg.  Malipiero,  Annali 
veneti  ueìVArch.  stor.,  vii,  p.  i,  pag.  319.  Machiavelli,  Frammenti  storici,  Opp.,  edizione 
Passerini,  pag.  77  e  seguenti. 


Digitized  by 


Google 


120  CAPO  SECONDO.  [libro 

Tantico  mediatore  della  casa  de'  Medici,  T  ammiraglio  Gran- 
ville,  il  d'Esquerdes  lasciava  inonorati  da  parte.  Metteva  poi 
tutta  la  sua  mente  e  la  fede  nel  senescalco  di  Beaucaire,  Ste- 
fano de  Vers;  in  Guglielmo  Brigonnet,  vescovo  di  San  Malo, 
che  reggeva  le  finanze  del  regno,  e  in  altra  gente  cupida  e 
leggiera. 

A  costoro  r  Italia  pareva  distesa  innanzi  come  preda  certa; 
e  poi  che  lo  Sforza  avea  invitato  il  re,  gli  esuli  di  Napoli  nemici 
agli  Aragonesi  gli  faceano,  come  sogliono  i  fuorusciti,  l'impresa 
lievissima,  che  ad  espedirla  la  voglia  bastava.  Quando  poi, 
crucciatosi  con  papa  Alessandro,  Giuliano  della  Rovere,  cardi- 
nale di  San  Pietro  in  Vincoli,  cercò  in  Francia  sicurezza 
d'asilo  e  strumento  di  vendetta  contro  de'Borgia,  la  mente  vana 
del  giovane  re  fu  tutta  accesa.  Il  cardinale  che  era  in  tutta 
Italia  potentissimo,  1  eh' avea  con  Roderigo  Borgia  gareggiato 
del  pontificato,  che  se  T  era  visto  fuggir  di  mano,  quando  ei 
già  se  lo  sentiva  nelle  vene,  contro  gli  scandali  del  suo  rivale 
e  della  famiglia  di  lui  vociava  irrequieto.  Eppure,  se  la  ele- 
zione del  pontefice  fosse  stata  libera  e  in  quello  fosse  caduta 
la  scelta  in  cui  rifulgeva  maggiore  la  santità  della  vita,  non 
il  della  Rovere  sarebbe  stato  l'eletto.  ^  Ed  ora,  fuggitosi  dal 
castello  d'Ostia  ove  s'era  stretto,  ed  afibrzato  contro  papa 
Alessandro,  era  venuto  accanto  al  re  giovinetto  e  gli  rinfoco- 
lava l'animo  nel  proposito  del  passaggio  in  Italia,  afiaccian- 
dogli  ch'esso,  eh' avea  il  nome  e  la  fede  di  Carlo  Magno,  ^  ne 
avrebbe  pur  la  grandezza  guadagnata,  se,  occupata  Roma,  pur- 
gasse la  chiesa  con  salubre  riforma,  provocasse  un  concilio  per 


1  n  Machiavelli  annota  negli  Estratti  come  venendo  a  Roma  Federigo  d'Aragona,  tì- 
^liiidlo  del  re,  «  in  su  questo  fece  sospetto  al  papa  perchè  usava  e  onorava  più  San  Piero 
a  V incula  di  lui,  tale  che  il  papa  se  ne  andò  in  castello  ». 

3  «  Il  reverendissimo  San  Clemente  Savoino,  da  Torino,  ama  molto  la  Signoria  nostra 
tid  è^  di  vita  molto  esemplare  :  saria  stato  papa,  se  si  avesse  fatto  il  papa  senza  forze  ». 
Ah^iiRit  Relaz.  venete,  serie  ii,  voi.  ni. 

■  Anche  Alessandro  sesto  nélV ammonitoria  della  scomunica  contro  al  re  accenna  alla 
comune  allusione  :  «  Optamus  namque  ut  Carolum  illum  magnum,  antecessorem  tuum,  hujus 
Ranciae  sedis  obsequentissimum  fìlium  ita  operibus  sicut  nomine  referas  ».  I  Fiorentini  poi 
non  avevano  mai  cessato  di  risguardare  i  re  di  Francia  come  successori  del  «  gloriosissimo 
Carlo  Magno  »  che  aveva  riedificato  la  loro  città,  distrutta  prima  da  Totila  e  dagli  Unni,  dan- 
daLtt  anche  nuovo  nome.  Cf.  la  Commissione  de* Dieci  di  Batta  ad  Agnolo  Acciaiuoli,  am- 
basciatore in  Francia,  riferita  dal  Desjabdins,  op.  cit.,  pag.  64.  E  la  bozza  del  discorso 
del  vescovo  d'Arezzo  che  il  Desjardins  medesimo  reca  a  pag.  335  e  seguenti  dell'op.  cit.: 
■■  CUmant  id  menia  a  Carolo  Magno  restituta,  clamant  aedes  pubblica,  clamant  fora,  eia- 
mant  tempia  tuis  armis  insignita,  clamant  denìque  lapides  ipsi,  tacentibus  nobis.  Non  na- 
scitur  Florentie  puer,  qui  sculta  in  corde  suo  tua  lilia  non  habeat;  nunquam  summus  ille 
ntster  magistratus  aditur  quin  prò  Corona  MajestAtis  tue  juretur.  Primaria  Civitatis  nostre 
familia  in  gentem  Tue  Majestatis  adscita  est  ». 


^ 


Digitized  by 


Google 


puMo]  CARLO  OTTAVO,  121 

deporre  il  sacrilego  papa,  e  poi  da  Napoli  s'avventasse  a  di- 
struggere la  prepotente  e  barbara  signoria  degli  Osmani.  In- 
citaménti che  l'astuto  ligure  non  poteva  gittare  in  terreno 
più  acconcio;  che  la  fantasticheria  dell'animo  di  Carlo  gli  fa- 
cea  davvero  piuttosto  aver  gli  occhi  a  gli  eroi  della  leggenda 
che  alla  severa  pagina  della  storia  patema. 

Inoltre  tutto  disponevasi  a  rappresentare  Carlo  Magno 
come  un  ideale  imitabile  a  quel  re  voglioloso.  Come  quegli,  ei 
si  trovava  chiamato  a  passare  in  Italia;  e,  come  già  a  quello, 
ora  a  lui  un  uomo  della  chiesa  correva  incontro  ad  aprirgli  le 
Alpi  serrate  indarno  dalla  natura.  Sul  libro  di  preghiere  che 
in  Italia  ei  portò  seco,  fu  rinvenuta,  scritta  in  francese,  una 
orazione  che  si  diceva  essere  già  stata  di  Carlo  Magno  e  che 
il  Malipiero  ci  die  tradotta  letteralmente.  È  la  preghiera  d'un 
buon  vassallo  che  presta  omaggio  a  Dio  de'  beni  naturali,  spi- 
rituali e  temporali  onde  questi  si  piacque  concedergli  investi- 
tura: «  et  in  segno  et  recognition,  vi  pago  con  questo  piccol 
tributo  la  matina,  et  la  sera».  ^  Come  non  fosse  abbastanza 
che  i  profeti  d'Italia  sperassero  nella  invasione  straniera,  quasi 
che  quel  gastigo  di  Dio  funestissimo  potesse  esser  salubre  al 
popolo  corrotto,  le  loro  voci  trovavano  eco  malaugurato  in  Fran- 
cia. Giovanni  Michiel  profeta  umilissimo,  secondo  che  e'  si 
chiama,  e  mendicante,  andava  spargendo  nel  popolo  le  visioni 
sue  della  prosperità  del  re  Cristianissimo,  del  rinnovamento  del 
secolo,  della  riconquista  di  Gerusalemme:  Carlo  sarebbe  stato 
signore  e  dominatore  di  tutti  i  dominanti  :  *  egli  avrebbe  ricu- 
perata dalle  mani  di  Mohammed  la  città  santa,  «  tutti  i  suoi 
nemici  sarebbero  come  fieno  e  tutta  la  loro  gloria  e  cavalleria 
come  flore  di  fieno  ».  Quel  che  i  profeti  annunziavano,  quel  che 
i  cavalieri  anelavano,  lo  cantarono  anche  i  poeti  ;  e  ormai  non 
era  altro  proposito  nel  popolo,  che  delle  grandi  battaglie  che 
Carlo  avrebbe  guadagnato: 

—  «  CharU$  fera  si  grand  hataUles 
Qu'  il  conquerra  Ui  ItaiUea; 
En  Jèrutalam  entrerà 
Et  tnont  OUvet  monterà  >.  — 

Restava  che  il  re  dicesse:  «  Andiamo  adunque  dove  ci  chiama 
«  la  gloria  della  guerra,  la  discordia  de'  popoli  e  gli  aiuti  degli 

1  V:  Malipibso,  Annali,  nell'Archivio  storico  it.,  serie  i,  voi.  vii,  parte  i,  pag.  393. 
*  PiLoBOBSUt,  Campagne  et  buUetins  de  la  grande  armée  d'Italie  command'ie  par 
Charles  Vili  d'aprèa  dea  documenta  rarea  ou  inèdita,  pag.  431. 


Digitized  by 


Google 


128  CAPO  SECONDO.  [libeo 

<  amici,  >  come  il  Machiavelli  rettoricamente  gli  fa  dire;  ma 
v'era  pure  una  parte  del  popolo  francese  che  poetava  senza 
rettorica  e  che  sentiva  la  verità.  ^ 

La  città  di  Firenze  avea  avuto  sempre  inclinazioni  fran- 
cesi a  cagione  della  parte  guelfa  e  de'  commerci  cui  attendeva, 
e  i  prudenti  credevano  naturaln^ente  che  Piero  de' Medici  sa- 
rebbesi  tenuto  di  certo  dalla  parte  del  re  di  Francia,  i  cui 
gigli  per  recente  privilegio  s'erano  annestati  all'arme  de' Me- 
dici. «  E  già  mi  par  di  veder  Piero,  scriveva  il  Pontano,  far 
«  pensiero  che  il  banco  de'  Medici  habbia  da  esser  la  tavola 
«  in  la  quale  se  conteno  tutti  li  dinari,  che  saranno  mandati 
«  da  Francia  in  Italia,  e  che  li  panni  della  prestantia  habbiano 
«  da  uscire  dal  fundico  suo  ».  ^  —  Eppure  non  era  cosi  :  Piero 
voleva  stare  di  mezzo:  rammentava  quanto  la  inimicizia  dei 
reali  di  Napoli  fosse  stata  funesta  al  padre  suo,  del  quale  due 
esempi  gli  stavano  più  particolarmente  nell'animo:  l'uno  che, 
postosi  nelle  mani  de'  nimici  quasi  che  prigioniero,  quando  era 
ridotto  alle  strette,  seppe  con  sue  belle  parole  tornarseli  amici, 
e  volgerli  tutti  dalla  sua  con  fiducia  quasi  d'amicizia  antica; 
l'altro  che  quegli  reputò  salvaguardia  della  potenza  de' Me- 
dici quando  fossero  incerti  delle  inclinazioni  del  pontefice 
ch'essi  tenessero  le  loro  forze  congiunte  a  quelle  del  reame 
di  Napoli.  Ninno  più  incerto  del  Borgia  ;  quindi  a  Piero  pareva 
indispensabile  dilungandosi  da  Francia,  unirsi  col  re  Alfonso. 
Ma  Piero  non  era  Lorenzo.^  E  il  legato  di  Carlo,  che  era  venuto 
a  domandare  il  passaggio  a' Fiorentini,  poiché  al  tragitto  s'era 
scelta  da  Francia  la  via  di  terra  e  di  Toscana,  era  trattenuto 
in  parole,  e  s'accorgeva  come  nel  popolo  fiorentino  fossero  altre 

'  Cf.  Machiavelli,  Disteso  del  passaggio   di  Carlo  ottavo,  tra' frammenti  storici.  — 
Nel  Recueil  de  poésies  firancoises  des  XV  et  XVI  siècles,  t.  viii,  pag.  74,  si  leggp  la  Com- 
plainte  de  Franco  pel  passaggio  di  re  Carlo  in  Italia: 
«  Plourez,  petis  poupars, 
Vos  pères  soni  espars, 
Sur  Rommains  et  Lombars 
Par  le  mons  de  Savoyo  ». 

•  Fontano,  Lettere.  V.  Tallarigo,  Giovanni  Pontano  e  i  suoi  tempi,  pag.  214. 

•  Il  generale  de' Servi  da  Bologna  scriveva  a  Piero  nel  seguente  tenore:  «  M.  Piero 
henefactore  et  patrono  mio.  Chorao  quello  che  sono  certo  eh'  io  vi  posso  parlare  a  fidanza, 
dico  quelo  medesimo  che  altra  volta  ve  ho  decto  :  che  alla  generosa  casa  de'  Medici  sono 
duo  chose  comuni  :  le  gote  e  lo  tribulatione,  e  in  nela  persona  vostra  mi  pare  che  le  tribù- 
latione  precedono  per  la  comune  sententia  che  da  più  se  dice  che  de  questi  casi  tutta  la 
mina  viene  a  voi  e  in  voi  se  ha  finire,  e  tutto  il  mondo  e  chi  in  publico  e  chi  in  secreto 
ne  minaza....  —  non  solo  deviata  dal  ordinario  de  la  cita,  ma  dale  vestigia  paterne,  perchè 
la  immortale  memoria  del  M.  Lorenzo  'uele  sue  tribulatione  se  agliuto  assai  o  almeno  di- 
mostro de  agliutarsi  con  il  re  de  Francia al  tempo  de  Lorenzo,  la  città  stette  ferma: 

Dico,  che  Piero  non  ò  Lorenzo  ».  Arch.  fior,  med.,  f.  100,  e.  175.  Bcsbb,  op.  cit.,  pag.  533. 


1  Digitized  by  VjOOQIC 


PBIMO]  FIRENZE  E  FRANCIA.  123 

intenzioni  che  in  Piero.i  II  popolo  agitato  dal  Savonarola,  do- 
minato dagli  avanzi  dello  spirito  guelfo,  riscaldato  dalla  tradi- 
zione che  la  città,  distrutta  da  Totila,  fosse  stata  da  Carlo  Magno 
riedificata,  benevolo  de'  Francesi,  in  mezzo  a  cui  tanti  concittadini 
esercitavano  le  banche  e  i  commerci,  *  era  addirittura  rivolto 
a  favorire  il  re  Carlo,  e  non  occultava  per  nulla  le  sue  spon- 
tanee inclinazioni  a  quel  partito,  a  cui  Piero  accennava  non 
volersi  piegare.  E  il  legato  insisteva  e  teneva  a  calcolo  quella 
separazione  d'intenti  che  scindeva  Firenze  e  i  Medici.  Stretto 
fra  l'uscio  e  il  muro,  Piero  titubava  quando  titubare  era  inu- 
tile :  mandò,  oratori  a  re  Carlo,  Guidantonio  Vespucci  e  Piero 
Capponi,  perchè  seguitassero  a  trattenere  il  re  in  parole.  Ma 
il  Capponi  intanto  avvertiva  sottomano  il  re  di  quel  che  fosse 
a  fare  per  rivoltare  Firenze  contro  il  Medici:  ^  cacciare  i 
Fiorentini  dal  reame,  bandire  i  mercatanti  i  e  bastava,  perchè 
ferita  l'utilità  del  popolo,  questo  si  mettesse  tosto  a  rumore. 
Col  Capponi  avevano  intelligenza  due  cugini  del  Medici,   fl- 

>  BusEB,  Die  Beziehungen  der  Mediceer  zu  Frankreich,  pag.  324.  % 

*  Ecco  i  nomi  de'mercanti  fiorentini  residenti  in  Lione,  che  si  trovano  in  un  memoriale 
diretto  al  tesoriere  Robertet: 

«  Les  marchans  florentins  manans  et  habitans  de  Lyon  frequentans  les  foires  d'icelle 
et  leor  faict  et  trahin  de  marchandise,  changes,  vantes,  affaires  ainsi  que  ont  acoustumez 
long  temps  ya,  supplient  au  Roy  que  son  bon  plaisir  soit  leur  octroyé  isaufconduit  general 
pour  demeurer  seurement  leurs  personnes  et  biens  tant  au  d.  Lyon  que  es  pays  subyects 
an  d.  seig.  pour  pouvoir  aller,  venir,  user,  traffiquer  et  frequenter  leurs  affaires  seurement 
comme  bons  subyects  et  serviteurs  du  dit  seigneur  et  que  à  l'occasion  des  emoxions  de 
guerre  qui  sont  de  present  Ton  ne  leur  fasse  tant  à  leurs  personnes  que  biens  aucun  des- 
tourbier  ou  empeschement.  Ainsi  qu*il  a  pleu  au  Roy  en  ordonner  dernierement  a  Autun. 

«  S'ensuivent  les  noms  et  sumoms  des  dits  marchans  florentins  qu*  il  fault  qu*  ils  soient 
nommez  au  dit  saufconduit. 

«  Prémierement  : 

-  Robert  Albisse  (Albiszi)  -  Thomas  Guadaigne  (Guadagni)  et  compagnons  -  Robert 
et  Guillaume  Naay  (Nasi)  et  compagnons  -  Berthelemy  Painchaty  (Panciatichi)  et  com- 
pagnons -  Heritiers  d*Aleman  et  Baptiste  Salviaty  et  compagnons  -  Jehan  et  Heritiers  de 
Léonard  Bertholin  (Bartolini)  et  compagnons  -  Nicolas  del  Bene  et  compagnons  >  Francois 
et  Léonard  Manelly  (Mannelli)  et  compagnons  -  Anthoine  et  Pierre  Anthoine  Gondy  et 
compagnons  -  Laurens  et  Philippe  Strossy  (Strozzi)  -  Pierre  Bigny  (Bini)  et  compagnons 
-  Heritiers  de  Pierre  Dei  et  compagnons  -  Camille  Anthinory  (Antinori)  et  compagnons  - 
Albisse,  Delbene  et  Zenobi  Ginory  et  compagnons  -  Heritiers  de  Martin  Martini  et  Julien 
Reibdlphy  (Ridolfi)  et  compagnons  -  Zenobi  Martini  et  compagnons  -  André  Cerbini  et 
Heritiers  de  Loys  Anthinory  et  compagnons  -  Jean  Manelly  et  compagnons  -  Aldobrandini 
Infangaty  (Infangati)  et  compagnons  -  Francois  Pithy  (Pitti)  et  compagnons  -  Bernard 
Pourhonni  (Burroni)  et  ses  frères  -  Charles  Marocelli  (Marucelli)  et  compagnons  -  An- 
thoine Bethon  (Bottoni)  -  Léonard  Thedaldy  et  Gaspard  Douchy  (Ducei)  et  compagnons  - 
Jerosme  de  Nobili  -  Charles  Dei  -  Aparde  (?)  Lothini  (Lettini)  -  Léonard  Sally  (Sali  o 
Sassi  o  forse  Pazzi)  -  Estienne  Dubeguyn  et  compagnons  (forse  del  Benino)  -  Mathée  An- 
thinory -  Antoine  Mellini  -  Bertholomée  Salviati  ».  Molini,  Documenti  di  itùria  Ualicyna, 
n.  xLviii  bis,  pag.  102. 

*  OoMiNBS,  Mémoires,  lib.  vii,  e.  v.  Il  Guasti,  a  proposito  dciralfermazione  del  signor  di 
CoMiiws  per  rispetto  al  Capponi,  annota:  «  I  consiglieri  del  re  tentarono  di  corrompere  il 
Capponi,  ed  il  Capponi  da  buon  fiorentino  gli  cuculiò  »  {Arch,  stor.,  xiv,  p.  ii,  pag.  45,  se- 
conda serie). 


Digitized  by 


Google 


124  CAPO  SECONDO.  [libro 

gliuoli  di  Pierfrancesco.  Costoro  che  avevano  sempre  affettato 
le  parti  popolari,  ed  eransi  sovente  bisticciati  con  Piero,  ora 
eh'  egli  si  teneva  dagli  Aragonesi,  mandavano  segretamente  a 
confortare  il  re  di  Francia  che  venisse  pure  tranquillo  ;  la 
città  sarebbegli  stata  devota  e  fedele.  E  Carlo  ottavo  ben  di- 
sposto dell'animo  verso  di  essi,  onorò  Giovanni,  l'uno  de' fra- 
telli, del  titolo  di  suo  maggiordomo.  ^ 

Viene  ad  Asti  ;  quivi  inferma,  ma  risana  in  breve  :  lo  Sforza 
gli  va  incontro,  e  con  adulatrici  parole  ricupera  l'animo  e  il 
favore  di  lui;  procedendo  a  Pavia,  lo  conduce  a  visitare  il 
misero  duca  Giovanni  Galeazzo,  che  languiva  malato;  poi  lo 
mette  innanzi  per  la  via  di  Toscana.  Quando  egli  fu  a  Piacenza, 
seppe  che  Galeazzo  era  morto  «  e  fu  opinione  che  morisse  di 
<  veleno  come  un  cane  >.  ^  Era  questione  di  chi  nel  ducato 
4ovea  succedere.  Rimasto  un  figliuoletto  di  lui,  se  questo  fosse 
stato  riconosciuto.  Isabella  d' Aragona  sua  madre  sarebbe  stata 
reggente.  E  questo  non  potea  garbare  ne  al  re,  né  al  duca 
d'Orleans,  che  sul  ducato  di  Milano  vantavan  ragioni;  le  quali 
ae  allora  non  parca  prudente  affacciare,  non  voleva  neppure 
pregiudicare  coli' ombra  d'una  successione  ratificata.  E  Ludo- 
vico che  fiutò  le  pretensioni  altrui  e  l'occasione  sua,  volato 
a  Milano,  si  proclamò  duca:  «  et  fusi  la  conclusionj  comme 
plusieurs  disoieni,  purquoy  il  nous  avoit  faii  passer  les 
inonis  ».^  Ma  da  questo  momento  egli  sapeva  che  al  re  ed 
al  duca  d'Orleans  gli  conveniva  voltare  il  dosso  per  sempre. 

Frattanto,  com'essi  avanzavano,  era  necessario  che  in  Fi- 
renze si  pigliasse . partito,  e  colà,  invece,  si  nicchiava  ancora: 
una  forza  prepotente  si  faceva  loro  sul  capo,  ed  essi  non  ave- 
vano il  buon  senno  di  concedere  pronti  e  spontanei  quel  che 
non  avrebbero  potuto  ricusare  costretti.  Piero  era  volto  sempre 
coir  animo  al  re  d'Aragona,  il  quale  gli  avrebbe  voluto  già 
donare  Ostuni  o  la  contea  di  Cajazzo,  ch'era  de'Sanseverini,  ^ 
e  farlo  di  mercatante,  barone.  Se  non  ch'egli  cui  si  conve- 
niva dissimulare  la  signoria,  aveva  con  prudenza  supplicato  il 
re  che  non  gli  desse  titoli  ;  ma  ora  anche  la  dissimulata  signo- 
ria, gli  finiva;  ed  erano  i  suoi  cugini  a  raderne  le  fondamenta. 
Essi,  corsi  a  Piacenza  all'  incontro  di  Carlo  ottavo,  lo  aveano 


1  Nabdi,  Storia  di  Firenze,  lib    ì°,  pag.  32. 

•  Machiavelli,  Frammenti  storici,  pag.  80. 
»  CoMiNES.  Mémoirei,  1.  vii,  c.  6. 

*  Lettera  di  Piero  de' Medici  a  Dionigi  Facci,  Archivio  storico,  prima  serie,  i,  343. 


Digitized  by 


Google 


PWMO]  /  MEDICI  FUORI  DI  FIRENZE.  125 

attizzato  ad  entrar  dentro  a' confini  di  Toscana;  che  allora 
Firenze,  la  quale  non  potea  più  reggere  il  peso  di  Piero,  si 
sarebbe  sbracciata  per  la  parte  di  Francia.  E  quando  il  re  vi 
entrò  per  le  montagne  di  Parma,  e  distrusse  Fivizzano,  ca- 
stello de'  Fiorentini  in  Lunigiana,  e  v'  ammazzò  tutto  il  presidio, 
Firenze  andò  in  subbuglio,  e  Piero  de'  Medici  fuori  di  senno. 
Egli,  che  non  aveva  ereditato  nulla  della  virtù  paterna,  pretese 
ereditarne  gli  espedienti  ;  e  come  quegli,  trovatosi  alle  strette, 
andandosi  a  mettere  nelle  mani  di  re  Ferrando,  se  l'amicò; 
egli  cosi,  partendo  subitamente  pel  campo  di  re  Carlo,  suppose 
di  poterne  riguadagnare  il  favore  e  l'aiuto.  Ma  «  Traho  ad 
immolandum  »  scriveva  egli  da  Empoli  al  Bibbiena;  «  non  sono 
il  primo  infermo  che  si  conduce  alla  extrema  unctione  senza 
conoscersi  mortale  ».  ^  Appresentatosi  a  Carlo  «  se  gli  pose  gi- 
nocchione  innanzi  »,  scrive  pieno  di  sdegno  il  Machiavelli  contro 
lui  che  avviliva  la  patria;  ^  «  escusandosi  ed  in  fine  offerendogli 
sé  e  la  sua  città  ».  E  la  città  prese  sospetto:  spacciò  subito 
prima  sette,  poi  altri  cinque  oratori  a  ossequiare  il  re.  Carlo 
fu  cortese  a  Piero  ;  intendeva  domandargli  l'occupazione  delle 
fortezze  di  Pisa  e  di  Livorno  durante  la  guerra:  e  Piero  gli 
ofiri  non  solo  queste,  ma  Sarzana,  Sarzanello,  Librafratta  e 
Mutrone:  in  somma  dette  quel  che  neppure  si  domandava;  e 
i  castellani  che  quelle  fortezze  tenevano,  le  consegnarono  solo 
per  r  autorità  di  Piero,  senza  neppure  attendere  lettere,  e  con- 
trassegni della  Signoria. 

Tanto  eccesso  di  leggerezza  vile,  tanto  obbllo  d'ogni  ri- 
spetto agli  ordini  della  città,  tanta  negligenza  della  patria 
commossero  Firenze,  la  sollevarono.  Invano  Piero  si  confidò 
di  potervi  tornare,  appoggiato  alle  bande  mercenarie  e  al  favor 
degli  Orsini.  Le  porte  di  palazzo  gli  furono  chiuse  sul  viso: 
invitato  ad  entrar  pel  portello  e  solo,  si  smagò  e  non  volle: 
la  gente  lo  minacciava  col  volto,  co'  gesti,  colle  becche  dei 
capucci,  i  fanciulli  co' sassi:  tornò  alle  sue  case  impaurito: 
lasciò  che  il  fratello  Giovanni,  cardinale,  ne  uscisse;  ma  que- 
sti non  trovò  né  riverenza  coli' abito  ecclesiastico,  né  fautori 
colle  parole,  né  co' denari  plebaglia  che  lo  seguitasse.  Per  la 
via  di  San  Gallo,  ove  i  Medici  avevano  avuto  sempre  parti- 
giani, non  trovarono  chi  per  loro  si  rivoltasse.  Sgomenti,  s' ab- 


^  Dbsjardins,  op.  cit.,  pag.  539,  590. 
«  Machiavelli,  Frammenti  storici. 


Digitized  by 


Google 


1«J  CAPO  SECONDO.  [libro 

bandonarono  :  era  forza  cedere  il  campo  :  la  campana  grossa  di 
palazzo  sonava  a  martello  e  il  popolo  s'andava  armando:  quella 
campana  chiamava  fuor  del  suo  chiostro  il  frate  Savonarola 
coir  onda  de'  suoi  seguitatori  e  segnava  a  Piero  e  a'  Medici 
l'ora  dell'esilio.  Gentile  Becchi  più  d'un  anno  prima  glielo 
aveva  predetto  :  «  Vanne  a  questa  volta  il  tutto,  Piero  mio  ;  o 
resterete  la  più  bella  cosa  d' Italia  o  la  più  brutta  >.  ^  —  Esso 
usci  dalla  porta  San  Gallo  e  il  cardinale,  camuffato  sotto  un  saio 
di  francescano,  lo  segui  a  Bologna. 

Frattanto  la  libertà  rinata  luceva  negli  occhi  di  tutti; 
la  servitù  sessantenne  s'era  alla  fine  scossa;  i  fuorusciti  rien- 
travano, la  casata  de'  Pazzi  ritrovava  la  patria;  i  Neroni  Die- 
tisalvi  con  essa.  S'abbattevano  i  segni  dell'ingiurie  servili.  ^ 
I  figliuoli  di  Pierfrancesco  Medici  sulle  loro  case  ponevano 
la  croce  rossa  in  campo  bianco,  arme  del  popolo,  gittando  via 
lo  scudo  e  il  nome  degli  odiati  congiunti. ,  Ma  la  gioia  della 
libertà  fu  presto  rotta  dall'incursione  straniefa:  il  re  di  Francia 
s'avanzava  per  Pisa,  e  quella  città  che  Firenze  da  tant'anni 
tenevasi  ancella,  quella  città  la  sicurezza  del  cui  possesso  orale 
vitale,  sotto  l'usbergo  di  re  Carlo  si  ribellava  alla  signoria 
fiorentina  e  scacciavane  i  commissari.  Questa  ribellione  fu  il 
principio  fatale  di  nuove  inimicizie  fra  gì'  Italiani,  la  cagione 
dell'isolamento  di  Firenze  dall'altre  forze  della  penisola,  d'uno 
sperpero  infinito  di  valore,  di  danari,  di  prudenza,  di  sagrificì. 
Ma  in  breve  Carlo  ottavo,  festeggiato  da'  mercatanti,  acclamato 
da'  profeti,  celebrato  dal  clero,  faceva  il  suo  ingresso  nella  bella 
città  d' Arno.  Era  il  novello  Carlo  Magno  che  entrava  goffo  a 
cavallo,  sguardando  superbo  cogli  occhi  azzurri  la  moltitudine 
assiepata.  Aveva  sulla  coscia  appuntato  il  bastone  del  comando, 
con  certa  balda  significanza  che  i  Fiorentini  non  intendevano  a 
che  accennasse;  disteso  dentro  la  staffa  il  piede,  che  le  scar- 
pette di  velluto  nero  gli  facevano  come  d' un  bue.  Poi  quando 
mostrò  le  intenzioni,  minacciando  al  popolo  di  far  dare  fiato  alle 
trombe,  Pier  Capponi  lo  spaurì  col  promettergli  di  far  dare 
nelle  campane;  in  quelle  campane  che  avevano  teste  posto  in 
fuga  Piero  de'  Medici  e  che  re  Carlo  dubitava  non  fossero 
dello  stesso  gitto  di  quelle  del  Vespro  di  Sicilia. 

*  Desjabdins,  Négociations  diplomatiques^  ecc.,  pag.  340. 

•  M.,  Estratti:  «  Fecionsi  la  notte  le  guardie.  Fu  preso  Antonio  di  Bernardo,  sor  Gio- 
vanni delle  Riformagioni,  ser  Simone  da  Staggia,  ser  Lorenzo  di  Dogana,  e  ser  Ceccone^ 
cancellieri  e  gente  ribalda.  Saccheggiorono  le  case  dei  soprascritti,  et  quelle  dei  Medici. 
Nota  che  in  tante  moltitudine  non  fu  morto  se  non  un  birre  ». 


V 


Digitized  by 


Google 


primo]  I  FRANCESI  IN  ITALIA.  Vii 

Un  quadro  moderno  all'Accademia  delle  belle  arti  in  Fi- 
renze, rappresenta  l'ingresso  del  Cristianissimo  vanitoso  nella 
città,  dal  borgo  di  San  Frediano.^  In  mezzo  alla  ressa  dei  plau- 
denti che  spargon  l'aria  d'incensi  e  di  fiori,  a  lato  ai  dome- 
nicani racconsolati  è  una  figura  d'uomo  che  medita  e  dif- 
fida: quell'uomo  è  il  Machiavelli,  che  in  que' giorni,  in  cui 
neppur  v'era  cancelliere  in  palazzo,  segnava  il  brutto  ricordo 
di  quel  re  forestiero  :  «  le  querele  che  da  ogni  parte  venivono 
per  li  mali  portamenti  de'  francesi  >.  *  Parecchi  anni  appresso 
appuntava  ivdk  gli  estratti  suoi:  «  vennono  e  franzesi  a  noia  ».  ^ 
E  finalmente  nella  Clizia,  ricordando  i  gentiluomini  francesi 
che  alloggiarono  in  Firenze,  aggiunse  :  «  quelli  che  ci  furono 
messi  in  casa  ci  feciono  infiniti  mali  ».^  Ed  ecco  l'ambiente 
politico  in  cui  Niccolò  sarà  condotto  a  muoversi:  questi  vili 
principi,  queste  deboli  repubbliche  erano  i  governi  d'Italia  al- 
lora; interessati,  intimiditi,  ingiuriati  tutti  dagli  stranieri. 


1  Guillaume  de  Villeneufvab,  Historia  belli  Italici  sub  Carolo  Vili  rege  in  Mabtbkb 
e  DuBAKD,  Thiuaurui  novut  anecàotorum,  t.  in,  pag.  1506  :  «  Par  la  terre  et  seigQourie  de 
Flonrence,  la  où  il  feist  la  plus  belle  entrée  en  armes  tant  de  gens  de  cheval  que  de  gens 
de  pie,  qui  jamais  fut  faite  aux  Italies....  » 

*  Machiavelli  :  Appunti  storici,  1494,  a*  xvii  di,  autografi  nella  Biblioteca  Nazionale 
di  Firense:  doc.  Mac,  busta  vi,  n.  72,  carte,  1,  2.  Cf.  TìéiV Archivio  storico^  nuova  serie, 
t.  xrv,  p.  II,  pag.  57,  il  cenno  che  dà  il  Guasti  del  Libercultui  litterarum  que  scripte  sunt 

é  a  nona  die  novembri»  i494  usque  ad  diem  4  lanuarii  quo  tempore  rex  Oallorum  Fio- 
rentie  erat   et    locus  hic  Cancellario  carebat. 

*  Machiavelli:  Estratti  di  lettere,  ed.  ult.,  pag.  246. 

*  Machiavelli:  Clizia,  atto  i,  se.  i.  E  il  Comines,  Mimoires,  1.  vii,  cap.  6:  «le  peuple 
nous  aduovoit  comme  saincts,  estiinans  en  nous  tonte  foy  et  bonté;  mais  ce  propos  ne  leur 
dura  gueres,  tant  pour  nostre  desordre  et  pillerie.  qu*aussi  les  ennemi  preschoient  le  peuple 
en  tout  quartiers,  nous  chargeans  de  prendre  femraes  à  force  et  Tai^ent  et  autres  biens, 
ou  nous  le  pouvion#  trouver.  De  plus  grand  cas  ne  nous  pouvoient-ils  charger  en  Italie  ; 
car  ils  sont  jaloux  et  avaricieux  plus  qu'autres.  Quant  aux  femmes  ils  mentoient,  mais  du 
demeurant  il  en  estait  quelque  chose  ». 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


LIBRO  SECONDO. 


Com'  e*  vede  11  suo  ftanguo  e*  suol  sudori 
E  che  '1  suo  viver  ben  servendo  stanco 
Con  Ingiuria  e  calunnia  si  ristori. 

(MAcniAVELLi.    Capitolo    della 
•  ingratitudine .  v,  37-39). 

Fast  rQhrend  ersrhelnt  uns  in  Geist  wle  Ma- 
chlavel  in  seinen  «  Legazioni  "  mangelhaft  Ins- 
trulrt,  ItOmmerilch  ausgestattet ,  als  unterge- 
ordneter  Agent  behandelt,  verliert  Er  niemals 
seinen  frelen,  hohen  Beobaclitungsgeist  und  seine 
Lust  des  anschaulichen  Berlchtens. 

(Boulàjldt:  RenaisBanee,  pag.  78). 

The  >  legazioni  •  or  oiTlrlal  correspondence 
of  Machiavelli,  while  statloned  at  the  dlfferent 
European  courts,  may  be  regardcd  as  the  com- 
plete manual  of  dlplomacy  as  It  existed  at  the 
beginning  of  the  sixteenth  century. 

(P&B8C0TT.  Hittory  o/  Ferdinand  and 
Isabella^  parte  2",  cap.  1°,  p.  257). 


ToMMASiKi  -  MacMavelU.  10 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


Introduzione 


LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO. 


■  . . .  nacque  ...  un  proverbio  che  diceva  :  co* 
fstoro  hanno  uno  animo  in  piazza,  ed  uno  in 
palazzo  •. 

(N.  Macìiiavii.li,  DiÈConi,  1.  1^,  e.  xlvii). 

■  Vedevasi  accadere  questo,  che  ogni  Signorìa 
saliva  In  palagio  in  favore  del  popolo,  poi  In 
spailo  dt  poco  tempo  si  volgeva  a  fìavore  dei 
grandi.  In  maniera  che  né  il  popolo  si  fidava 
della  Sri*,  né  le  Sri«  haueuano  credito  col  po- 
polo •  . 

(Parbmti,  Utorie  nut.  ad  ann.  1499). 


L'età  prima  e  preparatoria,  quella  della  educazione  del 
Machiavelli,  passa,  come  vedemmo,  non  cognita  per  fatti  certi; 
la  probabile  condizione  intellettuale  di  lui  si  riassume  per  con- 
getture. Seguita  immediatamente  la  seconda  età,  tutta  operativa 
e  pratica;  e  questa  ce  lo  mette  in  piena  luce  subito,  presentan-l 
docelo  talvolta  come  strumento,  più  o  meno  subordinato  ne'po- 
litici  congegni  della  repubblica,  talvolta  come  la  mano,  talvolta 
come  l'anima. dello  stato.  Ne  si  può  dir  che  manchino  docu- 
menti per  constatare  quanta  e  quale  fosse  l'opera  di  lui  ne' quat- 
tordici anni  incirca,  ch'egli  spese  in  servigio  della  città  sua.  Ma 
quei  documenti  rischiarano  meglio  la  persona  che  l'uomo,  meglio 
il  segretario  che  Niccolò;  e  a' giorni  nostri  non  si  è  ancora  ben 
determinata  la  condizione  sua  vera  nella  cancelleria  fiorentina. 

Il  Capponi  1  scrisse  ch'egli  ebbe  piuttosto  commissioni  che 
uffici;  che  fu  segretario  solo  del  magistrato  dei  Dieci;  che  però 
n^n  era  a  confondere  cogli  altri  segretari  o  cancellieri  della 
Signoria,  i  quali  tenevano  il  filo  delle  faccende  e  col  mutar 
dei  magistrati  non  mutavano.  Ed  in  questa  affermazione  dello 
storico  di  Firenze  è  del  vero  e  del  men  che  vero;  e  chi  prese 
a  contradirlo,  capitò  nella  stessa  sorte,  di  dir,  cioè,  cose  in 

*  Gino  Capponi,  Storia  di  Firenze,  lib.  vi,  cap.  7. 


Digitized  by 


Google 


182.  INTRODUZIONE,  '  [libw> 

parte  vere  e  in  parte  no;  però  che,  aflfermandosi  ch'ei  fu  ad 
un  tempo  segretario  dei  Dieci  e  cancelliere  della  seconda  can- 
celleria del  comune,  e  che  questo  ufficio  ei  lo  tenne  di  continuo 
per  infino  che  alla  ritornata  de' Medici  non  ne  fu  casso,  s'af- 
fermò il  vero;  ma  non  è  già  che  l'ufficio  suo  fosse  perpetuo^ 
quantunque  non  mutasse  ogni  due  mesi  col  mutarsi  de' magi- 
strati. Parimenti,  è  verissimo  che  molti  degli  affari  dei  Dieci 
si  spedivano  nella  seconda  cancelleria  del  comune;  ma  non 
già  phe  fosse  tutta  una  cosa  la  seconda  cancelleria  e  quella 
dei  Dieci,  o  che  questa,  in  seguito  alla  particolare  qualità  dei 
tempi  e  a'continui  intricamenti  politici  e  diplomatici  di  Firenze, 
vincesse  d'importanza  l'altra  e  assorbisse  tutto  il  pensiero  e 
l'opera  del  Machiavelli. 

Pertanto  non  sarà  inutile  per  ben  intendere  molte  delle  par- 
ticolari condizioni  della  vita  cancelleresca  di  Niccolò,  farci  a 
tratteggiar  prima  l'ambiente  di  piazza  e  di  palazzo  in  cui  s'ebbe 
ad  agitare;  descrivere  cioè  l'andamento  amministrativo  della 
cancelleria,  gli  ordinamenti  politici  della  città  ;^  donde  verrà  a 
gittarsi  non  poco  lume  su  gli  offici  che  quegli  compiè,  sul  modo 
che  tenne  nel  condurli,  sulle  cause  per  cui  egli,  piuttosto  che 
non  altri,  fu  a  quelli  deputato,  e  sulla  ventura  che  ebbe  a  se- 
guitargliene. 

L'ambiente  di  piazza  e  di  palazzo  dicemmo,  e  non  senza 
ragione;  però  che  quella  e  questo  non  di  rado  facevano  a'cozzi 
e  il  popolo  ne  proverbiava;  e  a  chi  attendeva  a  pubblico  ufficio 
non  si  voleva  prudenza  mediocre  ad  evitare  la  diffidenza  del- 
l'uno 0  dell'altra.  Da  questa  prudenza  studiosamente  osser- 
vata nasceva  che  le  persone  pubbliche  fossero  tratte  a  nascon- 
dere nella  loro  qualità  officiale  i  sentimenti  e  le  opinioni  perso- 
nali ed  intime;  e  che  tutto  dietro  di  quella  riparassero  l'uomo, 
sospettato,  esplorato,  bersagliato  costantemente   dalle   fazioni. 

Pertanto  c'incontra  di  non  poter  raccogliere  neppur  ora 
tutto  l'animo  di  Niccolò  dagli  scritti  che  gli  uscivano  di  mano 
nel  tempo  che  il  riguardo  cancelleresco  l'obbligava  a  silenzi, 
a  reticenze,  ad  affermazioni  necessitate.  Anzi  ci  capiterà  pa- 
recchie volte  d'abbatterci  a  rilevanti  diversità  di  giudizi,  fra 
lui,  organo  del  pensiero  governativo,  cauto  ed  attento  a  non 
parer  di  compromettere,  parlando  per  suo  proprio  sentimento,  la 
opinione  officiale;  e  lui  scrittore  civile,  lontano  dagli  impieghi^ 
libero  d'ogni  ragione  estrinseca  di  convenienza,  non  d'altro 
sollecito  che  della  verità  delle  cose  e  della  salute  d'Italia. 


^ 


Digitized  by 


Google 


[SECONDO  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  133 

In  palazzo,  per  tutto  il  tempo  che  i  Medici  aveano  tenuto 
la  città  nella  loro  balìa,  non  si  erano  accolti  che  strumenti 
della  potenza  e  dell'  insidie  loro.  Tutto  avean  quelli  saputo  vol- 
gere a  ordigno:  giustizia,  finanza,  amministrazione  di  luoghi 
pìi,  cancelleria,  camerlengato  del  monte,  tutto.  La  furia  de'  par- 
lamenti serviva  per  adonestare  con  suffragio  di  popolo  tutti 
gl'intacchi  fatti  all'antica  costituzione  repubblicana,  tutti  i  modi 
illegali  con  cui  i  partigiani  governavano;  quel  che  rimaneva  poi 
delle  leggi  antiche,  si  torceva  con  sottigliezze.  Passava  per  re- 
gola di  diritto:  che  fossero  a  giudicare  gli  amici  con  favore,  i  ne- 
mici con  rigore;  ^  per  canone  di  vita  civile:  che  la  canaglia,  ve- 
stita de'  panni  di  grana  di  San  Martino,  potesse  salire  agli  stalli 
dei  nobili;^  per  accorgimento  potitico:  che  fossero  a  usar  le 
gravezze  in  luogo  di  pugnali,  cioè  che  coli*  imposta  progressiva 
0  decima  scalata,  e  coll'arbitrio  della  sovrimposta  di  ricchezza 
mobile  si  potesse  impoverire  e  mettere  a  terra  le  famiglie  degli 
avversari;  e  che  a  queste  si  avessero  a  ritenere  le  paghe  de' monti, 
ossia  a  non  corrispondere  gl'interessi  del  debito  pubblico. 

Sotto  Lorenzo  de'  Medici  la  decima  scalata  avea  raggiunto 
l'enorme  importo  di  378,000  fiorini,  la  maggior  somma  d'im- 
posta diretta  che  mai  avessero  pagato  i  Fiorentini;  e  nel  1494, 
alla  cacciata  di  Piero  dalla  città,  toccava  già  pel  secondo 
anno  i  fiorini  .90,000.  ^  Ora,  non  appena  Piero  e  il  cardinale 
erano  stati  dichiarati  ribelli,  che  al  popolo  prese  furore  de'  ri- 
pristinamenti  degli  ordini,  delle  giustizie,  dello  scemamento 
d'imposte;  sete  delle  vendette.  E  per  quanto  fosse^chi  ratte- 
nesse  o  impacciasse  il  troppo  correre  su  tutte  queste  vie,  il 
proposito  delle  riforme  occupò  tutti  :  riforma  della  città  e  della 
cancelleria:  si  giurò  di  non  più  far  parlamenti;  si  volle  ov- 
viare al  pericolo  d'aver  mai  più  cancellieri  nominati  a  mano, 
come  dicevasi.  Contro  alle  persone  non  si  fu  violenti  troppo; 
quelli  che  senza  coscienza  e  senza  limiti  avevano  servito  d'ar- 
meggi alla  tirannide  furon  colpiti  insieme  con  una  medesima 
infamia:  «  cancellieri  e  gente  ribalda».^  Ma  le  leggi  orga- 
niche, tanto  per  la  costituzione  dello  stato,  quanto  per  quella 
degli  uffici  cancellereschi  s'indugiaron  parecchio,  come  portava 


*  Fb.  GtncciABDiNi  :  Reggimento  ài  Firenze,  lib  i. 

*  Id.,  ib. 

s  Gius.  Canestrini,  La  scienza  e  Varie  di  Staio  desunta  dagli  atti  ufficiali  della  Rep. 
fiorentina  e  de*  Medici.  Firenze,  1862,  cap.  ni. 

*  Machiavelli,  Estratti  di  lettere^  1.  e. 


Digitized  by 


Google 


134  INTRODUZIONE.  [libro 

e  la  natura  delle  cose  e  la  diversità  delle  inclinazioni  de'  cit- 
tadini. 

I  venti  accoppiatori,  eletti  in  principio  a  rinnovare  le  im- 
borsazioni,  ossia  a  rifar  le  liste  de'  capaci  de'  pubblici  offici,  e 
a  studiare  una  nuova  forma  di  governo;  per  le  loro  ritrosie 
aristocratiche,  per  le  mene  di  Paolo  Antonio  Sederini  e  per 
la  passione  democratica  eccitata  dal  Savonarola  furon  costretti 
a  rinunziare  all'incarico;  e  la  legge  fondamentale  di  riforma- 
zione della  città,  sancita  a'  di  23  del  dicembre  (1494)  apri  a 
tutti  i  cittadini  benefiziati  ^  le  porte  del  Consiglio  grande. 

Se  non  che,  non  era  il  semplice  rispetto  del  censo  che 
dava  l'abilità  al  gran  Consiglio;  si  richiedeva  anche  l'età  di 
ventinove  anni  e  l'esperienza  pratica  o  tradizionale  della  pub- 
blica cosa  ;  bisognava  cioè  essere  stati  veduti  o  seduti  *  in  al- 
cuno dei  tre  maggiori  offici  della  città,  o  avere  tal  beneficio 
dagli  antenati  in  linea  retta,  senza  risalire  oltre  a'  bisavoli; 
quantunque  fosse  lasciato  adito  aperto  anche  ai  non  veduti, 
che  in  numero  di  sessanta  potessero,  coiranno  1497,  esser  fatti 
capaci  di  quella  assemblea;  e  a  ventiquattro  giovani,  d'età  non 
minore  d'anni  ventiquattro,  fosse  dato  di  poter  essere  squitti-, 
nati  come  se  fossero  d'anni  ventinove,  a  ciò  che  non  mancasse 

<  Fra  le  postillo  marginali  autografe  delle  istorie  del  Pitti  si  legge:  «  Cittadino  bene- 
fixiato  è  quello,  il  quale,  o  il  padre  o  l'avolo,  ha  ottenuto  uno  dei  tre  maggiori  offizii  della 
città,  cioè  o  de'  signori,  o  de'  gonfalonieri  di  compagnia,  o  dei  dodici  dei  buoni  uomini,  o 
veramente  veduto  stato  fussine  »  (Cf.  Archivio  storico  iteti.,  prima  serie,  voi.  i,  pag.  20ò). 
—  I  benefiziati  erano  propriamente  detti  dal  benefizio  che  godevano  dal  Monte  per  le  pre- 
stanze versate  in  quello,  quando  le  prestanze  erano  fruttifere.  V.  Paonini,  La  decimaj 
lìb.  I,  e.  V. 

*  I  cittadini  benefiziati  si  distinguevano  in  veduti  e  seduti.  V.  Donato  Oiannotti,  La 
repubblica  fiorentina,  lib.  ii,  e.  vii,  il  quale  dimostra  come  questa  distinzione  introdotta 
da  principio  per  saggio  provvedimento,  fu  poi  maneggiata  dki  Medici  come  artificio  di  ti- 
rannide. ChÀ  primieramente  nella  città,  essendo  tempo  in  cui  una  pestilenza  mieteva  e  i 
cittadini,  abbandonando  ogni  ufficio,  fuggivano;  si  pensò  di  trovare  una  misura  che  li 
costringesse  a  non  disertare  la  vita  civile;  fu  però  sancito  che  sarebbero  stati  incapaci 
de*  tre  maggiori  ulfic!  della  repubblica  i  figliuoli  e  i  nipoti  di  quelli  che  non  sedessero  allora 
in  palazzo  a  disimpegnare  i  pubblici  incarichi,  essendo  tratti  dalle  borse  ;  o  almeno  non  si 
presentassero  in  ringhiera  nel  giorno  che  i  nuovi  magistrati  erano  solennemente  istallati. 
Pertanto  il  significato  delle  parole  sopracitate  viene  chiarito  di  leggieri,  quando  si  toglie 
la  reticenza  del  diverso  luogo,  che  è  sottinteso,  cioè:  seduti  in  palazzo,  veduti  in  ringhiera. 
Pertanto  nella  Novella  XXXVIII  del  Sbrmim,  ed.  Vigo,  pag.  435,  si  legge: 

«  Sopra  della  ringhiera  oramai  veggio 
U*  sempre  si  de'  dire  il  ben  comuno 
Nun  andavvi  nessuno, 
Salvo  che  presentati  a  farli  danno  ». 

Secondo  il  Forti  {Foro  fiorentino^  dal  ms.  ottob.  27S4)  dicevasi  poi  visto  in  palazzo  quello 
ch'era  stato  imborsato  ad  uno  degli  offizl  maggiori,  come  pure  dicevasi  visto  alla  parte, 
chi  era  stato  imborsato  per  gli  offizi  de'  capitani  di  parte.  Giudichiamo  superfluo  ragionare 
qui  degli  statuali  e  degli  aggravezzati,  nelle  quali  categorie  si  comprendevano  tutti  quei 
cittadini  che  non  erano  benefiziati. 


Digitized  by 


Google 


arcoNDo]  LA  CITTA  E  IL  PALAZZO.  135 

né  ^stimolo  alla  virtù,  né  rispetto  all'intelligenze  presto  ma- 
ture. 

Oltre  al  Consiglio  grande,  veniva  dalla  novella  costituzione 
instituito  una  specie  di  senato,  composto  di  ottanta  cittadini, 
d'età  non  minore  dei  quaranta  anni,  i  quali  eletti  di  sei  in  sei 
mesi  e  senza  divieto  di  rielezione,  erano  i  naturali  consiglieri 
della  Signoria  e  dei  magistrati.  Questi,  insieme  co' Dieci  di  Li- 
bertà, coll'officio  degli  accoppiatori  e  con  alcuni  onorevoli  cit- 
tadini secondo  l'opportunità  chiamati,  formavano  il  Consiglio 
dei  Richiesti.^ 

Com'  è  ben  facile  accorgersi,  la  novella  forma  dello  stato 
fiorentino  mostrava  arieggiar  quella  della  repubblica  veneta;^ 
ma  l'andazzo  popolaresco  volle  troppo  allargare  il  gran  con- 
siglio; e  diffidando  degli  ottimati  non  tollerò  che  i  Richiesti 
stessero  un  anno  in  officio,  come  i  Pregadi  stavano  a  Venezia. 

Del  resto  il  corso  degli  affari  andava  cosi:  la  creazione 
dei  magistrati  e  degli  officiali  interni  ed  esterni,  le  delibera- 
zioni relative  alla  guerra  o  alla  pace,  le  imposizioni,  le  pro- 
poste di  leggi  approvate  prima  dai  Signori  e  Collegi,  discusse 
poi  nel  Consiglio  degli  Ottanta,  si  presentavano  da  ultimo  nel 
Consiglio  grande,  dove  venivano  definitivamente  approvate  o 
respinte. 

Com'  è  chiaro  a  chiunque  osservi,  il  popolo  poteva  troppo 
e  poteva  poco,  e  il  governo  ne  usciva  debole  e  infermiccio. 
Da  poi  che  il  deliberar  della  guerra  o  della  pace  popolar- 
mente conduceva  a  partiti  più  di  ventura  che  di  buon  senno; 
e  la  naturale  avversione  a'  tributi  rendeva  estremamente  diffi- 
cile ottenere  dal  consiglio  grande  una  provvisione  di  danari  che 
non  arrivasse  tarda  e  scarsa;  faceva  poi  impossibile  a  dirittura 
ottenere  uno  stanziamento  segreto  e  condurre  un  affare  per 
modo  che  non  fosse  snocciolato  prima  innanzi  alla  moltitudine. 

Quando  poi  all'  incertezza  della  cosa  pubblica  si  -pensò  di 

1  Secondo  Testratto  della  provvisione  di  riforma  della  città  e  dello  stato  fiorentino, 
dato  dal  Caioìstbini  (Opp.  vneàUe  di  Fr.  GuiceiardÀni,  voi.  n,  pag.  231),  parrebbe  che  il 
Consiglio  dei  Richiesti  e  quel  degli  Ottanta  fossero  una  medesima  cosa.  Ma  i  libri  delle 
CoMuUe  e  pratiche  dèlia  rsp.  fior,  del  1500-1501  (Arch.  fior.,  classe  n,  distins.  5,  n.  182, 
pag.  332)  ci  conducono  ad  altra  sentensa.  Quivi,  per  esempio,  si  legge:  «  A  di  28  aprile  1501. 
Nella  sala  vecchia  del  Consiglio  alla  presensa  del  Consiglio  delli  80  e  di  circa  XXti  ri- 
chiesti, Piero  di  M.  Tommaso  Soderini  gonf.  di  just,  dixe  etc.  »  —  Questi  libri  di  Praiiche 
e  CannUie,  che  sono  a  risguardare  come  i  processi  verbali  delle  assemblee  civili  di  quel 
tempo,  tornano  d*  utilità  incomparabile  per  la  storia  e  per  la  notizia  particolare  degli  or- 
dini amministrativi  di  Firense. 

s  V.  neir Archivio  veneto,  t.  vin,  pag.  79,  il  bel  giudizio  dato  dal  Cipolla,  Fra  Qiro- 
ìamo  Sawmarola  e  la  cotìUuxions  vet^ta. 


Digitized  by 


Google 


136  INTRODUZIONE.  [libto 

portar  rimedio,  eleggendo  a  vita  il  gonfaloniere  di  giustizia, 
(anche  questo  ad  imitazione  del  duce  perpetuo  di  Venezia), 
1*  autorità  di  lui  venne  praticamente  a  sopraffare  la  Signoria  e 
i  Consigli;  per  quella  riverenza  naturale  che  gli  veniva  dal- 
l'esser  lui  la  sola  persona  che  non  mutasse  in  palazzo;  per 
quell'uso  sottile  d'artifici  e  di  mezzucci  che  costituiscono  la 
tattica  parlamentare,  e  ch'erano  in  mano  sua.  Inoltre  sembra 
che,  assicuratosi  il  favore  del  Consiglio  grande,  il  gonfaloniere 
perpetuo  sapesse  schermirsi  un  po'  troppo  dagli  Ottanta.  In 
iìatti  il  Guicciardini,  standosi  legato  in  Ispagna  nel  1512,  scri- 
veva astiosamente  della  signoria  fiorentina:  «  piglia  consiglio 
negli  Ottanta;  quando,  di  quello  e  secondo  li  pare  »...  -  ...  «  e 
se  bene  i  magistrati  si  fanno  in  consiglio,  pure  anche  la  signo- 
ria qualche  volta  in  certi  casi,  offici  e  commissioni,  elegge 
qualche  cancelliere  e  notaio  di  magistrati,  cne  non  è  anche 
di  poco  momento  ». 

Può  essere  che  queste  parole  non  esprimano  che  l'ambi- 
zione torbida  e  non  soddisfatta  d'un  egoista  intelligentissimo; 
ma,  ad  ogni  modo,  un  qualche  fondamento  di  verità  doveva  es- 
serci, e  nel  procedere  del  nostro  esame  c'incontrerà  di  sor- 
prendere veramente  qualche  minuto  schermo  del  Sederini  co'di- 
versi  congegni  della  costituzione  repubblicana,  fatto  sotto  l'egida 
del  favor  popolare.  E  dalle  parole  medesime  del  Guicciardini 
ci  par  chiaro  che  nemmen  la  legge  di  riformazione  delle  can- 
cellerie, la  quale  si  deliberò  su' primi  dell'anno  1498,  bastò 
ad  arrestare  i  sospetti  de' meticolosi  o  le  dicerie  de' malevoli, 
usi  a  designare  in  certi  commissari  eletti  o  ne' segretari  pre- 
feriti gli  arcani  strumenti  dell'autorità  soverchiante. 

Partitisi  i  Medici  di  Firenze,  fu  rimosso  tosto  insieme  con 
altri  cancellieri  lo  Scala,  al  quale  era  affidata  la  prima  cancel- 
leria. Poi  la  necessità  delle  cose  e  la  migliore  estimazione  della 
persona  fecero  ch'ei  fosse  rieletto  e  che  per  insino  al  1497  re- 
stasse in  quell'ufficio,  quand'ei  venne  a  morte.  La  legge,  che 
poco  appresso  fu  deliberata  per  la  elezione  de' cancellieri  e 
coadiutori,  stabiliva  che  questa  elezione  avesse  a  farsi  per  modo 
indiretto,  dal  Consiglio  maggiore,  cui  spettava  votare  su  quattro 
nomi  già  squittinati  nel  Consiglio  de'  Richiesti.  Inoltre  stabQiva 
il  numero  dei  cancellieri  e  de' coadiutori  da  nominare;  ad  essi 
limitava  il  salario;  determinava  il  tempo  durante  il  quale  re- 
stavano in  officio,  il  termine  entro  il  quale  potevano  rinunciare 
a  questo. 


Digitized  by 


Google 


^  SBCOICDO]  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  187 

Nella  stessa  provvisione  troviamo  accettata  e  sanzionata 
la  distinzione  tra  la  prima  e  la  seconda  cancelleria,  ^  senza 
che  vengano  distinte  le  attribuzioni  dell'una  e  dell'altra,  né 
accennate  le  loro  relazioni  vicendevoli.  Par  certo,  dall'ispe- 
zione de'  registri,  che  la  seconda  cancelleria  trattasse  più  parti- 
colarmente gli  affari  intemi  del  dominio;  pertanto  avendo  un 
cumulo  materialmente  più  vasto  di  cose  a  disbrigare,  al  can- 
celliere della  seconda  cancelleria  erano  assegnati  due  coadiu^ 
tori,  mentre  quel  deUa  prima  non  ne  aveva  che  un  solo;  se  non 
che  la  ragione  de' loro  salari  stabiliva,  se  non  il  grado  della 
loro  accidentale  importanza,  quello  della  loro  personale  subor- 
dinazione nell'ufficio. 

Inoltre  ad  essi,  al  cancelliere  delle  riformazioni,  a  quello 

^  Vedi  nairAppeDdice  la  Promisiané  éU,  Riforma  deUa  Canceììaria.  —  Circa  alle  in- 
combenxe  de'cancellieri,  vedi  gli  SUUuta  populi  et  Comminw  Florentiae,  Friburgo,  1783, 
apnd  Michaelem  Klnch,  traci,  i,  lib.  v,  t.  ii,  pag.  099;  «  de  offitio  notarii  et  scribae  do^ 
fnmorum  priorum  ».  Negli  stessi  sUtuti,  a  pag.  7QS,  è  detto  :  ««  Et  teneatur,  et  debeat 
notarìus  et  scriba  praedtcti  babere  unum  libmm  in  quo  scribere  debeat  per  se  vel  eins 
coadiutorem  omnia  et  singnla  ordinamenta,  quae  Derent  per  praefatos  dominos  et  coUegia 
vai  -vigore  coinscamque  baliae  eisdem  qnomodolibet  competentis,  ut  sic  semper  et  de  fa- 
cili reperìri  possint,  qui  debeat  remanere  penes  eius  successorem,  in  quo  etiam  successor 
scribere  possit  et  debeat  ordinamenta  'praedicta  ».  È  probabile  che  oltre  alla  trascrisione 
degli  ordinamenta  si  praticasse  per  consuetudine  di  far  estratti  di  documenti  e  reiasione 
degli  avvenimenti  contemporanei,  nella  quale  occupazione  si  addestrassero  probabilmente 
coloro  che  si  preparavano  a  diventare  poi  coadiutori.  Pertanto  nelle  Hiatorie  fiorentine  di 
PiBEo  BoNiNSEGNi,  lib.  II,  pag.  314,  occorre  di  trovar  notato  fra. le  spese  del  Cornane  del- 
Tanno  133S:  «  Al  notaio  che  registra  i  fatti  del  Comune  1.  100  ».  Che  per  fermo  le  can- 
cellerie de' Comuni  liberi  s'ebbero  a  costituire  con  qualche  rispetto  d'analogia  all'antica 
cancelleria  imperiale,  e  le  attribusioni  dei  cancellante  dei  referendarii  e  dei  notarii,  quelle 
del  magister  memoriae,  del  magister  epistolarum,  del  magister  libellornm  si  cumularono 
probabilmente  nel  capo  della  cancelleria  comunale.  Secondo  questa  analogia  si  costituirono 
le  cancellerie  degli  antichi  stati  germanici  e  quella  del  regno  di  Francia  (Cf.  Notitia  imp. 
occid.y  ed.  Boxino,  pag.  60.  —  Cl.  Salmasii,  De  secretariis  dissertano,  in  Sallbnorb, 
Novus  thesauriM  antiquitatum  romanarum,  t.  ii,  pag.  662  e  seg.  —  Sickbl,  Lehre  von 
den  Urkunden  der  ersten  Karolinger,  Wien,  1867,  pkg.  72).  —  Qual  maraviglia  che  questo 
accadesse  anche  in  Italia?  >-  Cosi,  era  debito  del  notaio  fiorentino  «  in  arte  dictaminis 
eapert^tó  »  scrìvere  tutte  le  lettere  a  nome  del  Comune  agli  ambasciadori  ;  «  quando  essi 
tornavano  doveva  ricevere  e  registrare  i  rapporti  delle  loro  ambascerie,  datogli  prima  il 
giuramento  che  quello  avessero  fatto  con  ogni  puntualità.  Si  apparteneva  alla  sua  carica 
far  la  fede  e  attestati  di  cittadinanxa  e  di  nobiltà  e  l'attestazione  di  chi  era  stato  notaio 
e  di  che  luogo.  Scriveva  ancora  per  esso  Comune  tutte  le  cose  che  fossero  state  di  bisogno 
e  faceva  generalmente  tutto  quello  quanto  per  debito  era  tenuto  ».  Cosi  il  Forti,  Foro 
fiorentino  (dal  Cod.  ottob.  8784,  cap.  36).  —  Ora  è  ben  naturale  che  la  necessità  condu- 
cesse a  distinguere  presto  in  due  sezioni  diverse  la  cancelleria,'  e  la  distinzione  più  logica 
avrebbe  recato  che  l^xna  di  quelle  attendesse  solo  al  disbrigo  degli  aifari  intemi  del  do- 
minio e  l'altra  a  quello  degli  estemi  ;  ma  la  responsabilità  concentrata  in  un  solo  cancel- 
liere menava  naturalmente  a  pregiudicare  in  fatto  non  di  rado  questa  distinzione.  Neil' Ar- 
chino fiorentino  i  registri  di  lèttere  della  seconda  cancelleria  cominciano  coiranno  1441, 
sebbene  vi  sia  poi  una  lacuna  dal  1446  al  1469  incinsi vamente.  Nei  primi  anni  (1441  e  se- 
guenti), quando  cioè  era  cancelliere  Leonardo  Bmni,  sembra  che  di  fatto  alla  seconda  can- 
cellerìa fosse  preposto  .un  ser  Giovanni  Guiducci.  Nel  1470  si  trova  rìsiedere  in  quell'uf- 
ficio ser  Antonio  di  Mariano  Muzzi.  Gli  succede  nel  1475,  a  quanto  pare,  ser  Niccolò  di 
Michele  di  Feo  Dini;  to/na  nel  1400  ser  Antonio  Muzzi;  nel  1495  v'ò  ser  Francesco  Gaddi; 
comincia  nel  1499  il  Machiavelli. 


Digitized  by 


Google 


188  INTRODUZIONE.  [l 

delle  tratte,  a'  loro  coadiutori,  al  coadiutore  del  notaio  dei 
Signori,  a'  due  segretari  della  Signoria  i  salari  venivano  pa- 
gati di  mese  in  mese,  senza  altro  apposito  stanziamento  dal  Ga- 
merlingo  delle  graticole  del  Monte.  Pertanto  è  solo  ne'  qua- 
derni di  cassa  di  costui  che  s'incontrano  appunti  di  pagamenti 
all'Adriani;  mentre,  all' infuori  dei  libri  del  Monte,  i  molte- 
plici stanziamenti  a  favore  del  Machiavelli,  quelli  pel  Bonac- 
corsi  0  per  Agostino  da  Terranova  accadon  sempre  in  seguito 
di  qualche  particolare  commissione  loro  affidata,  e  non  mai  pel 
consueto  ufficio  di  lui  o  per  la  loro  coadiutoria. 

Ciò  posto,  diamo  un'occhiata  alla  condizione  del  Machia- 
velli, quale  la  dovette  essere  per  forza  della  sua  elezione  e  in 
conseguenza  della  provvisione  predetta.  In  forza  della  sua  ele- 
zione, a'  di  15  del  giugno  1498,  egli  venne  preferito  in  Con- 
siglio maggiore  a  Francesco  de'  Gaddi,  a  Ser  Andrea  Ro- 
muli,  a  Francesco  di  Ser  Baroni,  eh'  erano  stati  con  lui 
squittinati  nel  consiglio  de'  Richiesti,  per  succedere  nel  luogo 
di  Alessandro  Braccesi.  Ora  il  Braccesi,  insieme  col  della  Valle, 
era  stato*  bensì  de'  segretari  della  Signoria;  ma  non  il  can- 
celliere della  cancelleria  seconda;  nel  qual  luogo,  come  la 
provvisione  ci  avverte,  serviva  ser  Antonio  di  Mariano  Muzzi. 
Inoltre,  circa  a  un  mese  dopo,  a'  14  di  luglio,  i  Signori  coman- 
dano a  Niccolò  che  sotto  pena  della  loro  indignazione  e  per 
insino  a  tutto  il  mese  d'agosto  prossimo  stia  anche  a'  servigi 
dei  Dieci:  ^  ne'  quali  offici  venne  mantenuto  in  seguito.  È  però 
luogo  a  credere  che  la  condizione  del  Machiavelli  come  capo 
della  seconda  cancelleria  fosse  più  di  fatto  che  di  diritto;  che 
egli  succedesse  nel  luogo  ^i  ser  Antonio  Muzzi  non  per  es- 
sere stato  nominato  successore  a  quello,  ma  per  avere  eserci- 
tato quelle  stesse  funzioni,  che  dopo  del  Muzzi  aveva  disimpe- 
gnate ser  Francesco  Gaddi;  senza  che  di  quest'ultimo  la  prov- 
visione di  riforma  tenesse  ragione  come  di  cancelliere  della 
seconda  cancelleria. 

Parimenti  è  luogo  a  credere  che,  per  essere  stato  pre- 
scelto a  successore  del  Braccesi,  come  uno  dei  segretari  della 
Signoria,  fosse  poi  destinato  dalla  Signoria  a  servigio  dei  Dieci. 
Pertanto,  lo  ripetiamo,  in  questi  offici  di  Niccolò  occorre  piut- 
tosto una  surrogazione  di  fatto  che  una  elezione  di  diritto  ;  e 

>  V.  le  deliberazioni  relative  a  queste  dae  nomine  neirArch.  di  Stato  in  Firence  (Delib. 
dei  signori  e  collegi  del  1497-98,  a  e.  79)  pubblicate  dal  Passbuni  nella  ptefaiione  al  toI.  i 
deiropp.  del  M.,  edi2.  ultima,  pag.  lix-lx. 


k. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  la  città  e  il  PALAZZO.  139 

questa  qualità,  e  le  precarie  commessene,  e  le  condotte  occasio- 
nali a  tempo  della  istituzione  delle  milizie,  cagionarono  quella 
molteplicità  e  confusione  di  titoli  che  s' incontra  nelle  lettere 
a  lui  dirette  per  tutto  il  tempo  che  servi  la  repubblica,  ^  e  che 
rimase  poi  fra  gli  storici  quando  cercarono  di  determinare  la 
precisa  natura  deiroflScio  di  lui  nell'amministrazione  fiorentina. 

Inoltre  la  provvisione  di  riforma  lasciava  libero  a  ciasche- 
duno che  interveniva  nel  Consiglio  dei  Richiesti  di  dare  il 
proprio  voto  a  persona  «  di  quella  qualità  et  conditione  che  a 
lui  pareva  e  piaceva  non  ostante  alcuna  proibizione  o  divieto  ». 
E  questo  significa  anzitutto  ch'era  il  favore,  cioè  le  fave  nere, 
che  decidevano  dell'elezione;  e  che  a  tener  della  legge  ba- 
stava essere  eletto  per  essere  eleggibile.  Quindi  è  ben  vero  che 
i  candidati  non  avevano  timore  che  contro  loro  s'affacciasse 
pretesto  d'incapacità  legale;  ma  è  pur  vero  che  dell'uflScio  loro 
non  erano  mai  sicuri,  dovendo  dopo  due  anni  andar  sottoposti 
alla  riconferma  del  maggior  Consiglio,  e  poi  esser  raffermi  di 
anno  in  anno  e  con  un  numero  tale  di  suffragi  da  non  rendere 
incerto  il  favore  della  maggioranza  assoluta  verso  di  loro.  Per- 
tanto quando  le  mene  dei  malevoli  di  Niccolò  per  ottonerò 
ch'egli  sia  privato  dei  suoi  incarichi,  secondo  il  disposto  d'an- 
tiche leggi  che  l'avrebber  reso  incapace  ad  offici  pubblici,  git- 
tano  in  campo  un  divieto,  fondato  sopra  una  misteriosa  condi- 
zione di  fatto  del  padre  suo;^  il  Bonaccorsi  riesce  ad  allon- 
tanar la  tempesta  dal  capo  dell'amico,  producendo  la  leggo 
della  riformazione,  benché  gli  avversari  cercassero  stiracchiarla 
per  mille  versi  e  darle  interpretazioni  sinistre. 

Ma  quel  che  sopra  tutto  dovea  riescir  difficile,  in  tanto 
arruffio  di  parti  che  agitava  Firenze,  era  il  tenersi  conciliati 
a  forza  d*  imparzialità,  di  segretezza,  di  prudenza  i  diversi  par- 
titi politici  ne'  quali  si  divideva  il  Consiglio,  tanto  da  non  es- 
sere abbandonato  a' tempi  delle  rafferme.  E  questo  riusciva 
anche  più  difficile,  quando  non  era  che  il  raccostarsi  occasio- 

>  Dalla  cancelleria  gli  si  dà  più  regolarmente  il  titolo  di  «  seeretario  et  mandatario 
fior.  »  —  Roberto  Acciaioli  lo  intitola  «  secretarlo  de  Ili  exc'eUi  signori  »  (busta  iv,  doc.  M., 
n.  50).  —  Alessandro  Nasi  scrive  «  N.  d.  M.  secr.  fior,  praecipuo  »  (ibid.,  iv,  57).  E  tutt« 
queste  intitolazioni  e  le  speciali,  secondo  la  qualità  delle  commesserie  e  delle  funzioni  che 
esercita,  vengono  a  quando  a  quando  o  esagerate  dall'adulazione  o  diminuite  dalla  negli- 
genza 0  dalla  fretta  degli  scriventi.  Nella  Submissio  civitatis  Piearum,  che  rechiamo  in 
appendice,  s' incontra  il  nome  del  Machiavelli  subito  dopo  quello  di  Marcello  Virgilio  «  primo 
seeretario  excelse  Dominationis  Fiorentine  »,  e  quivi  viene  indicato  come  «  etiam  secre- 
torio D.  prefate  ». 

*  Vedi  più  oltre,  al  capo  sesto  il  testo  della  Lettera  di  Biaoio  Bomaccobsi,  e  T  inter- 
pretazione datane  da  noi. 


Digitized  by 


Google 


140  INTRODUZIONE.  [lmbo 

naie  delle  fazioni  che  componeva  le  maggioranze  delFassemblea* 
Niccolò  tra  i  bigi  non  aveva  molti  fautori;  Marcello  Virgilio  li 
accarezzava.  Le  inclinazioni  personali  del  Machiavelli  lo  fa- 
cevano meglio  accetto  ai  compagnacci;  a  coloro  cioè  a' quali 
non  garbava  quanto  di  fratesco  era  nel  reggimento  libero,  in- 
trodotto pe*  conforti  del  Savonarola.  Di  essi  erano  in  Consiglio 
circa  a  centocinquanta,  e  secondo  che  nota  il  Pitti,  '  •  «  vi  da- 
vano, gran  tracollo  ai  partiti  ».  Co*  piagnoni  poteva  avere  ud 
appicco  che,  seppure  non  gli  guadagnava  appoggio,  almeno 
sospendeva  le  malvoglienze,  per  mezzo  di  Niccolò  d'Alessandro 
Machiavelli,  suo  cugino  e  seguitatore  ardente  del  frate.*  A 
conciliarsi  la  grazia  e  la  fede  degli  ottimati  mettea  cura  e 
industria  grandissima,  e  quando  gli  capita  occasione  d'accapar- 
rarsi un  Albizi,  un  Salviati,  un  Sederini,  un  Vettori,  ei  non 
lascia  sfuggirsela,  aborrendo  pur  sempre  da  modi  lusinghieri  e 
bassezze  cortigianesche.  ^ 

Alle  occupazioni  molteplici  dell'ufficio  suo  mal  potremmo 
assegnare  un  limite,  o  tracciare  i  gradi  dell'importanza  per  cui 
si  accrebbero,  o  il  punto  da  cui  s' incominciarono.  Dappoi  che 
non  è  verosimile  che,  senza  alcun  tirocinio,  ei  fosse  destinato 
di  balzo  alle  maggiori  faccende.  Si  racconta  del  signore  d'Ar- 
genson,  ministro  di  Luigi  decimoquinto,  che  avesse  avvezzi  gli 
impiegati  suol  a  fare  estratti  di  lettere  per  riferirne  con  brevità 
a' consigli.'*  Probabilmente  già  da  pi-ima  la  Signoria  di  Firenze 
aveva  voluto  lo  stesso  dai  suoi  cancellieri  ;  ed  era  precisamente 
quest'ufficio  che  gli  scaltriva  a'  più  gravi  maneggi  della  cosa 
pubblica  e  rendeva  possibile  a'  mutabili  priori  l'assumere  rapi- 
damente il  filo  degli  afiari  avviati.  E  vedemmo  già  come  il  Ma- 
chiavelli ne  compilò  e  come  invigilò  che  i  coadiutori  ne  compi- 
lassero. E  ^mentiris,  Biasio  annota  egli  in  margine  a' tran- 
sunti del  Bonaccorsi,  quando  questi  nel   cavare  il   succo  dei 


*  Pitti,  Storia  di  Firenze,  1.  i,  pag.5l. 

*  Nella  «  Lista  de'  sottcscripti  in  favore  de  frale  Teronimo  Savonarola  »  occorrono  :  Nic- 
colò de  Lixandro  Malchiauelli  e  Lisandro  de  Niccolò  Mnlchianellì.  Cf.  Arch.  stor.  lomb., 
t.  I,  1S71.  —  Portigli,  Nuovi  documenti  iul  Savonarola,  pag.  342-313. 

*  BiBL.  NAZ.,  doc.  Machiavelli,  iv,  104,  lettera  di  Biagio  Buonaccorsi  a  N.  M.  « ....  et 
poi  io  fo  delle  cose  che  non  fareste  voi,  et  pure  sono  necessarie;  perchè  tutti  li  huomini 
vogliono  essere  ricognosciuti  et  honorati  et  pregati,  ancorché  le  cose  sieno  chiare,  et  pare 
conveniente  che  chi  serve  ne  sia  ringratiato  et  pregato  prima  et  ripregato  ;  ad  che  quanto 
voi  siete  apto,  lo  lascio  judicare  ad  voi  ». 

*  et.  Flassan,  Hiitoire  g'nàrale  de  la  diplomatie  frat^aise:  «  (M.  d'Àrgenson)  avait 
habitué  ses  employé  à  faire  des  extraits  de  toutes  les  dépéches  et  offlces,  ce  qui  lui  8er> 
vait  à  rapporter  sommairement  au  conseil  les  affaires  qui  meritaient  moins  de  dìscussion  ». 
V.  anche  la  Guide  diplomatique  del  Martbns,  pag.  32. 


Digitized  by 


Google 


8BOONDO]  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  141 

documenti  non  è  esattissimo.  ^  Lo  vedrem  poi  talora  assistere 
alle  Pratiche^  alle  Consulte,  alle  Disamine  e  distenderne  i  ver- 
bali ;  *  attendere  alle  minute  bisogne  della  cancelleria,  dar  prova 
della  fede  e  della  industre  sottigliezza  sua  ad  ogni  atto  ;  guardarsi 
che  nulla  s' interpreti  nella  sua  condotta,  che  paia  accennare  ad 
altro  da  quel  ohe  come  pubblico  officiale  gli  si  appartiene. 

Chi  considerasse  il  solo  suo  lavoro  neir  interno  della  can- 
celleria avrebbe  occasione  d'ammirar  la  grande  e  sottile  ope- 
rosità di  lui  ;  8  ma  ben  presto  i  Signori  l'adoperano  nelle  commes- 
sene, lo  inviano  come  mandatario  presso  a'  potenti,  cui  non 
sì  conveniva  o  non  si  voleva  mandare  oratori;  o  lo  inviano  a 
preparare  la  strada  a  questi,  o  lo  metton  loro  a'  jBanchi  per- 
chè tracci  il  sentiero  e  non  paia;  insinui  il  partito  e  non  ne 
pretenda  il  merito;  dlscerna  (Juel  che  questi  non  veggono; 
penetri  dove  questi  non  vanno,  sia  come  l'anima  che  move  il 
corpo  e  s'accontenta  di  rimanere  invisibile. 

Per  questi  modi  egli  acquistò  tal  gloria  al  suo  titolo  mo- 
desto di  segretario,  che  altri  poi  a  titolo  più  pomposo  non 
seppe.  4  E  quando  andò  straordinariamente  oratore  fu  meno 
pel  rispetto  della  nobile  casata  di  Machiavelli,  meno  per  la 
rara  intelligenza  e  per  la  fede  sua  che  per  la  necessità  dello 
stato  e  per  la  straordinaria  condizione  della  repubblica,  ch'ei 
fu  mandato  con  quel  grado. 

'  Quale  poi  fosse  o  l' ideale  eh'  ei  si  propose  della  persona 
del  segretario,  o  la  conclusione  a  cui  venne  per  la  esperienza 
fattA  di  quell'ufficio;  ci  convien  raccoglierlo  dalle  considera- 
zioni eh'  ei  ne  scrisse  poscia  che  ne  fu  allontanato,  e  quand'egli 
accenna  non  senza  compiacimento  la  fatica  pericolosa  e  diffi- 
cile che  in  quello  ebbe  a  durare. 

Ei  non  dissimula  esser  cosa  certissima,  che  coloro  «  che 
consigliano  una"  repubblica  e  quelli  che  consigliano  un  prin- 


*  BiBL.  NAZ-,  doc.  MachiaTelli,  busta  i,  83.  V.  edis.  ultima  delle  opere,  voi.  ni,  pag.  43. 

*  Oltre  la  Consulta  w  debba  farai  l'impresa  di  Cascina,  che  trovasi  fra  i  Documenti 
Machiavelli  nella  Bibl.  Naz.,  basta  i,  n.  71,  si  hanno  nell'Archivio  di  Stato  in  Firenze,  di 
mano  del  Machiavelli  fra  le  Consulte  e  Pratiche,  voi.  C7,  mod.,  il  verbale  della  Consulta 
«  die  XV  octobris  1499  »  pag.  131t.-135;  altro  ^  die  xvin  decembris  99  *,  ibid.,  pag.  17dt-177. 
B  nel  medesimo  libro,  da  pag.  18S  sino  alla  183  inclt^sive,  occorrono  sette  minute  di  let- 
tere inserte  di  mano  del  M.  medesimo. 

»  Vedi  nell'Appendice  V Elenco  degli  autografi  di  N.  M.,  che  si  conservano  nell'Ar- 
chivio di  Stato. 

*  n  Nrm,  MachiaveÙi  studiato  nella  vita  e  nelle  dottrine,  pag.  54-55,  in  nota,  rilevò 
egregiamente  la  importanza  del  M.  nelle  diverse  commissioni  diplomatiche,  e  il  valore  ef- 
fettivo che  i  mandatari  della  Repubblica  avevano  per  rispetto  agli  oratori  nel  secolo  de* 
cimosesto. 


Digitized  by 


Google 


l«  INTRODUZIONE.  [lbbo 

cipe  sono  posti  intra  queste  angustie,  che  se  non  consigliano 
le  cose  che  paiono  loro  utili  o  per  la  città  o  per  il  principe, 
senza  rispetto,  ei  mancano  dell' ulBcio  loro;  se  le  consigliano 
egli  entrano  nel  pericolo  della  vita  e  dello  stato;  essendo 
tutti  gli  uomini  in  questo  ciechi,  di  giudicare  i  buoni  e  cattivi 
consigli  dal  fine  ».  ^  E  pensando  in  che  modo  fosse  a  sfuggire 
0  quell'infamia  o  questo  pericolo,  e  fatto  scòrto,  forse  dopo  suo 
danno,  dell'opportunità  della  massima,  ei  deve  convincersi  che 
altra  via  non  e'  è  se  non  <  pigliar  le  cose  moderatamente,  e 
non  ne  prendere  alcuna  per  sua  impresa,  e  dire  l'opinione  sua 
senza  passione,  e  senza  passione  con  modestia  difenderla;  in 
modo  che  se  la  città  o  il  principe  la  segue,  che  la  segua  vo- 
lontario e  non  paia  che  vi  venga  tirato  dall'importunità  altrui. 
^  «  Quando  tu  faccia  così,  conclude  Niccolò,  non  è  ragionevole 
che  un  principe  ed  un  popolo  del  tuo  consiglio  ti  voglia  male,  non 
essendo  seguito  contro  alla  voglia  di  molti;  perchè  quivi  si  porta 
pericolo  dove  molti  hanno  contraddetto,  i  quali  poi  nell'infe- 
lice fine  concorrono  a  farti  rovinare.  E  se  in  questo  caso  si 
manca  di  qualche  gloria,  che  si  acquista  nell'esser  solo  contro 
molti  a  consigliare  una  cosa,  quando  ella  sortisce  buon  fine, 
ci  sono  al  rincontro  due  beni:  il  primo  di  mancare  del  peri- 
colo ;  il  secondo,  che  se  tu  consigli  una  cosa  modestamente,  e 
per  la  contradizione  il  tuo  consiglio  non  sia  preso,  e  per  il 
consiglio  d*  altrui  ne  seguiti  qualche  rovina,  ne  risulta  a  te 
grandissima  gloria.  E  benché  la  gloria  che  s'acquista  de'  mali 
che  abbia  la  tua  città  o  il  tuo  principe  non  si  possa  godere, 
nondimeno  è  da  tenerne  qualche  conto  ».  ^ 

Ma  avrà  egli  Q  Macchiavelli  serbato  sempre  quell'equani- 
mità gelida  nel  consigliare,  ch'esso  raccomanda?  avrà  egli  sa- 
puto schivare  il  pericolo  che  viene  dal  sostenere  un  partito 
con  calore,  egli  il  restitutore  delle  milizie  comunali,  egli  il 
contradittore  di  certi  aforismi  e  di  certe  pratiche  che  pare- 
vano tutto  lo  stillato  degli  accorgimenti  de' politicanti  di  pa- 
lazzo, tutto  il  senno  del  popolo  baloccato?  o  non  era  per  la 
esperimentata  ragion  de'  contrari  ch*ei  si  faceva  tardi  a  spe- 
culare quale  è  la  via  di  non  riuscire  a'  propri  danni  per  chi 
consiglia  principi  o  popoli  ?  fin  dove  arrivò  la  prudenza  fredda 
del  cancelliere  o  dove  la  vinse  l'ardore  del  cittadino,  la  con- 


*  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  ni,  cap.  35. 

*  Machiavelli,  loc.  cit. 


Digitized  by 


Google 


«BCOiCDoJ  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  14S 

sapevolezza  del  proprio  genio  politico,  reccltamento  deiranimo 
alla  vista  de*  pericoli  della  patria? 

Anzi  tutto  egli  si  trovava  a  fronte  un  ricettario  invec- 
chiato di  massime  tradizionali,  di  cui  s'afforzavano  allora  gli 
uomini  di  governo  e  dal  quale  traevano  nelle  cangiati  condi- 
zioni de*  tempi  la  ragione  di  decidere  senz'altro  esame:  —  Toro 
essere  il  nerbo  delle  guerre  ^  — la  cavalleria  giovar  nelle  bat- 
taglie più  che  i  fanti  ^  —  esser  Pistoia  a  tener  colle  parti,  Pisa 
colle  fortezze 3 —  fondare  sul  fango  chi  fonda  sul  popolo*  — 
convenirsi  godere  i  benefici  del  tempo.  ^ 

1  Machiavblli,  JHteorti,  lib.  n,  cap.  x.  —  Questa  mMsimA,  a  dir  yero,  è  piuttosto  a 
risgaardare  come  denyazione  della  coltura  classica  che  del  pregiudizio  mercantesco.  (Gf. 
CicBBOMB,  PhiUppica,  ▼,  §  8:  «  Prìmum  nenros  belli,  pecuniam  intpitam,  qua  nunc  eget; 
deinde  equitatum,  quantum  velit  ».  E  Tucidide,  lib.  vi  34:  «  XJgxiévt  'yàp  xal  àp^pov 
irXtìaTcv  xsxmvrai,  o^iv  on  mXep/v<  xoù  raXXa  iuitcpcl  ».  Scipione  Obmtilb  nelle  sue 
Ditputationes  iUtutres  the  de  Jurs  p^bUeo  popuU  romani,  nel  Th$$aur.  antiquU.  roman. 
9t  groéc.  del  Polsho,  t.  i.  1138,  reca  i  seguenti  parerga  militaria,  che  sanno  proprio  d*an- 
tiiDachiavellisroo  :  «  I.  Non  esse  peditatus,  quam  equitatus  majorem  rationem  habendam, 
eamque  ad  rem  perperam  vulgo  atque  a  pmdentissimis  Yiris  obijci  instituta  Romana.  — 
II.  Vere  a  Q.  Curtio  et  aliis  dictum:  Nervos  belli  pecuniam  esse;  yerius  a  Muoiano:  belli 
cìtìIìs.  —  in.  Arces  et  propugnacula  adversus  hostes  extrui,  utilissimum  ;  neqne  aliud  sen- 
■isaa  Romanos,  centra  quam  scriptor  callidissimus  putat...  —  IV.  Oermanos  non  tam 
disciplina  militari  a  Romanis  superatos  fuisse,  quam  genere  pugnae,  genere  armorum  ».  — 
A  noi,  per  verità,  non  successe  di  ritrovare  in  Quinto  Curzio  la  sentensa  che  a  lui  e  ad  altri 
attribuisce  Scipione  Gentile.  Bensi  vi  leggemmo  qualcosa  che  suona  il  contrario,  e  lo  citiamo 
dalla  traduzione  di  Candido  Dbcbmbbio,  ch*era  già  a  stampa  nel  1478,  lib.  nr:  «  Le  ghuerre 
col  ferro  et  jaon  colPoro,  con  gli  huomini  et  non  cogli  edifici!  delle  città  fare  si  sogliono  ». 

Se  non  che  tutto  questo  prova  una  cosa:  che  il  Gentile,  nel  comporre  que*suoi  Parerga, 
non  ebbe  dinanzi  Quinto  Curzio,  ma  invece  tenne  sott'occhlo  i  Discorsi  del  Machiavelli,  che 
non  volle  nominare  ;  quantunque  per  la  crt&^ione  si  fidasse  interamente  alPautorità  di  lui. 
Infatti  questi,  che  sentiva  come  la  massima  che  i  danari  sono  il  nervo  della  guerra,  de- 
rivava da  autorità  di  classici  sfruttate  da  pedanti,  non  ricordando  precisamente  ove  quel 
tasto  si  leggesse,  scrive  inesattamente  :  «  La  quale  sentenza  è  detta  da  Quinto  Curzio  nella 
guerra  che  fu  intra  Antipatro  macedone  e  il  re  Spartano;  dove  narra  che  per  difetto  di 
danari  il  re  di  Sparta  fu  necessitato  azzuffarsi,  e  fu  rotto  ;  che  s^i  differiva  la  zuffa  pochi 
giorni,  veniva  la  nuova  in  Grecia  della  morte  d* Alessandro,  donde  e*sarebbe  rimaso  vin- 
citore senza  combattere.  Ma  mancandogli  i  danari  e  dubitando  che  lo  esercito  suo  per  di- 
fetto di  quelli  non  lo  abbandonasse,  fu  constrettp  tentare  la  fortuna  della  zuffa;  talchò 
Quinto  Curzio  per  questa  cagione  afferma,  i  danari  essere  il  nervo  della  guerra  ».  —  Ora 
Quinto  Curzio  non  afferma  nulla  di  tutto  questo;  della  guerra  fra  Antipatro  e  Aglde,  fra 
Macedoni  e  Spartani,  tratU  nel  libro  vi,  in  principio  (Cf.  De  rebiM  gesti»  Alea^andri  Magni, 
loc.  cit.);  e  nò  quivi  né  altrove  si  dice  nulla  di  quanto  il  Machiavelli  asserisce  (Cf.  Ma- 
CHU VELLI,  Diàcorsi,  lib.  n,  cap.  x).  Nelle  Hore  di  ricrecUione  di  L.  GqcciABDiNi,  pag.  198, 
si  accenna  a* danari  come  nervo  della  guerra;  e  quivi  Taforismo,  composto  in  modo  più 
rasionale  e  meglio  conforme  alla  sentenza  da  noi  recata  di  Tucidide,  si  attribuisce  a  Gian 
Giacomo  Trivulzio. 

>  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  n,  cap.  xviii. 

«  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  ni,  cap.  xxvn.  E  relativamente  al  tenere  Pistoia  colle 
parti,  in  una  lettera  scrìtta  da  Niccolò  a  nome  dei  Priori  e  del  Gonfaloniere  «  ex  palatio 
die  i^  junii  mcccccj  »  ai  Commissari  fiorentini,  si  legge:  «  La  ragione  vi  s*ò  detta  di  sopra, 
che  è  non  ci  parere  tempo  a  fare  disperare  alcuna  di  cotesto  parti.  Voi  siete  prudenti,  nò 
qui  manca  chi  intenda  le  cose  di  costà;  e  fu  sempre  mai  giudicato  utile  el  tenere  la  cosa 
bilanciata  fra  loro  ;  e  se  mai  fu,  si  giudica  al  presente,  ecc.  »  —  V.  Tedizione  Passerini- 
Milanesi,  Opp.  di  M.,  t.  m,  pag.  324. 

^  Machia VBLU,  Principe,  ix. 

»  V.  Machuvblli,  Discorsi,  i,  88,  n,  15.  —  Guicciabdihi,  Ricordi  poUHei  e  civUi,  lxxix 


Digitized  by 


Google 


144  INTRODUZIONE.  [libbo 

A  petto  di  queste  fredde  regole,  che  avevatio  la  preten- 
sione di  far  trapassare  l'opportunità  in  consuetudine  e  di  sur- 
rogare col  precetto  cieco  la  sopra weglianza  continua  dell'in- 
telletto su  i  fatti,  s'apriva  il  cuore  del  popolo,  richiamato  in 
un  subit»  potentemente  alla  vita  politica,  per  opera  del  Savo- 
narola. E  dal  popolo  uscivano  pensieri  pieni  di  affetto,  ma  non 
punto  respettivi  della  necessità  giornaliera;  pensieri  diritti,  ma 
non  buoni  a  far  computo  degli  ostacoli  grossi  che  stavano  op- 
posti; pensieri  che  avrebbero  rinnovellato  tutti  gli  ordini  in 
un  momento,  come  se  la  parte  vecchia  non  istesse  sotto;  come 
se  con  quella  non  si  avesse  ad  addentellare  il  nuovo,  se  quella 
non  si  avesse  o  a  tramutare  o  a  radere.  Oltre  a  ciò,  i  con- 
fini dello  stato,""come  non  gli  intendeva  il  frate,  cosi  non  li 
conosceva  il  popolo  ;  e  molti  cercavano  con  proposte  e  con  sup- 
plicazioni di  provvisioni  e  di  leggi,  ricondurre  colla  violenza  nella 
città  la  virtù  e  l'amore  del  bene  comune.  Veggasene  a  riprova 
la  Riforma  sancia  et  pretiosa  fatta  da  Domenico-  di  Roberto  di 
Ser  Mainardo  Cocchi.  ^  Questo  libriccino  prezioso  davvero  e 


—  NsRLi,  Commentari^  lib.  ▼,  il  quale  scrive  del  Soderini  :  «  Non  seppe  mai  esser  prìn- 
cipe né  cattivo  nò  buono,  e  credette  troppo  colla  pazienza,  godendo,  come  si  dice,  U  be- 
neficio del  tempo,  superare  tutte  le  difficoltà  che  se  gli  opponevano,  etc.  ».  Dalla  più  su- 
perficiale ispezione  delle  Consulte  e  Pratiche  della  Repubblica  fiorentina  apparisce  per  ogni 
verso  come  cosifTatta  massima  fosse  fitta  e  radicata  nell'animo  e  nell'ossa  de'cittadini.  Dal 
Codice  Ottoboniano  2759  della  Bibl.  Vaticana,  che  contiene  non  piccola  parte  delle  Con- 
mite  di  questi  tempi,  togliamo  a  comprova  i  seguenti  estratti: 

«  Cod.  ott.  2750.  Consulte  e  pratiche.  Consulta  a  di  nxx  di  luglio,  pag.  57.  M.  An- 
tonio Strozzi  Che  non  si  ritirerebbe  per  ancora  né  con  Francia  né  con  nessuno  ;  et  circa 
al  mandare  1*  imbasciadori  (a  Massimiliano)  che  soprasedrebbe  (sic)  per  valersi  del  bene- 
ficio del  tempo  et  in  tanto  tenerli  a  ordine  che  pure  quando  il  bisogno  venissi  non  si  habbìa 
a  tardare  ». 

E  più  sotto,  pag.  58:  «  Luca  di  Maxo  {degli  Albizi):  idem  adintare  el  beneficio  del 
tempo  col  mandare  uno  ad  Milano  ». 

Pag.  60.  Consulta  sei,...  settembre  1507.  Pierfranc.  Tosinghi  dixe:  Che  circa  le  cose 
di  Francia  godeva  il  beneficio  del  tempo. 

Pag.  62  t.  Lorenzo  Neroni  el  medesimo  che  M.  Francescho  Pepi  ;  et  tanto  più  sendosi 
sempre  consigliato  di  godere  el  beneficio  del  tempo  et  tanto  più  bora  havendo  ordinato 
d*  intendere,  ricordò  el  farsi  amici. 

Antonio  Canigiani  el  medesimo 
Giovanni  Pitti 
Giovanni  Corsi 


Tommaso  Tosinghi      '  ^^  rnedenìmo. 
Filippo  della  Antella  . 

Pag.  65.  Bernardo  Nasi  dixe  : 

«  Che  la  cosa  s'era  ben  consigliata;  et  in  efl'ecto  el  beneficio  del  tempo  é  util  cosa  et 
confirmò  in  tutto  al  decto  del  Oualterotto  ». 

Lo  stesso  per  la  Consulta  die  xxi  octobrìs  1507.  pag.  79  tergo,  die  xiii  nov.  1507.  M.  Fr. 
Gualterotti:  «  et  potendosi  errare  a  mandare  et  non  mandare,  nelle  cose  dubbie  ò  manco 
pericolo  godere  al  beneficio  del  tempo  ».  —  V.  ne'Detti  e  fatti  di  Lud.  Ooicciabdikx,  Ve- 
nezia, 4571,  Torigine  del  detto  «  godere  il  beneficio  del  tempo  ». 

*  La  citiamo  da  una  copia  che  ne  possediamo,  in-8.  Il  Mobeni,  BibUogr.  cit.j  dubita  so 
questa  edizione  in-8  e  quella  ^n-4  dell*  istess'anno  contengano  la  medesima  opera  del  Gecchi, 


Digitized  by 


Google 


«ECONDoJ  •  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  145 

rarissimo,  può  a  buon  diritto  considerarsi  come  il  programma 
di  tutte  l'aspirazioni  popolari  di  quel  tempo.  Scritto  con  una 
semplicità  e  una  fede  grandissima,  va,  senza  torcere  e  come 
una  spada,  dove  vuol  colpire  :  —  <i  Di  ciò  che  fai  raguarda  al 
fine  »  — ,  scrive  ser  Domenico,  e  vuole:  stabilita  guardia  e  difesa 
alla  libertà  e  alla  vita  comune,  «  imperò  sapete  che  ghuasta 
più  uno  manovale,  che  non  rachoncierebano  ciento  maestri  >  — ; 
accresciuto  il  Consiglio  grande,  perchè  non  si  dica,  come  a  Ve- 
nezia: «chi  à  reggiménto,  paghi»;  e  tutti  pagheranno  volen- 
tieri la  loro  decima,  partecipando  al  governo.  E  qiielli  «  che 
anno  fatto  bottega  dello  stato,  faranno  bottega  di  lana  o  di  seta 
o  d'altre  mercatanzie  e  faranno  buone  le  gabbelle  e  daranno 
le  spese  al  popolo  ».  S'istituisca  un  Consiglio  piccolo  che  tratti 
gli  affari  che  restino  sotto  all'importare  di  seicento  lire.  «  Non 
si  muti  gravezza,  non  si  metta  arbitrio  ;  s' imponga  una  decima 
l'anno  anche  ai  preti  e  d'accordo  con  loro. —  «S'ànno  a  guardare 
e' loro  beni  come  e' nostri...  e  loro  non  anno  spesa  di  figliuoli 
e  noi  si  ».  —  Si  limitino  le  doti   alle   fanciulle  ;   si  proibisca 
far  doni;  libero  chi  vuole  edificare  e  senza  imposizione  di  tasse: 
un  magistrato  nuovo  sopravvegli  che  i  debitori  paghino  esatti; 
un  sindacato  di  dottori  forestieri  sindachi  tutti  gli  oflSzi  di  Fi- 
renze e  guardi  che  le  leggi  si  osservino.  Si  allarghi  lo  studio 
fiorentino,  i  giudei  si  scaccino,  i  colpevoli  contro  al  buon  co- 
stume si  opprimano  con  pene;  si  scrivano  ed  esercitino  milizie 
paesane  nella  città,  nel  contado  e  nel  territorio  di   Firenze: 
<  e  non  aremo  a  fidare  di  forestieri  che  come  egli  anno  presi  " 
e' nostri  danari,  rendono  l'arme  anno  accattate  per  far  la  mo- 
stra, e  assai  se  ne  vanno  con  dio.  Vedete  a  che  modo  possiamo 
esser  difesi,  e  vedete  quanti  danari  si  sono  gittati  via,  per  non 
essere  buono  ordine:  e  cosi  interverrebbe  per  l'ay venire  se  non 
pigliate  quest'ordine  buono.  I  nostri  danari  non  gli  avranno 
e'  forestieri!  »  —  Così  il  popolo,  i  generosi  del  popolo,  che  vedono 
spesso  il  segno  dove  si  deve  andare,  ma  non  sanno  mai  la  strada 


e  se  questa  riforma  sia  tutt'una  cosa  coll'opera  di  lui  intitolata  Pì'OTvedigioni  e  léggi  da 
ouervarsi  dalkt  Repubblica  fiorentina,  per  Francesco  di  Di9w  di  Iacopo,  1496.  Nella  nostra 
copia  il  titolo  ò  supplito  con  ms.  al  modo  seguente:  «  Riforma  sancta  kt  pbbtiosa  lia 
fatta  Domenico  di  Ruberto  di  ser  Mainardo  Cecchi  per  chonservazione  della  città  di  Fi- 
renze  pel  ben  comune  e  questo  el  buono  et  vero  lume  et  tesoro  dognuno  et  della  città 
et  farà  hoservare  la  giustizia  et  buon  (joverno  &  notate  bene  hogni  cosa  che  questa  è  la 
uera  et  buona  uia  a  venire  presto  in  gran  felicità  gniuno  et.  et.  Et  dipoi  in  brieve  tempo 
tutta  italia.  et  tutto  l'universo  mondo  per  che  impareranno  da  questa  et.  et.  »  Dalla  de- 
scrizione del  contenuto  nell'ediz.  in-4,  osservata  dal  Moreni,  rileviamo  che  questo  è  identico 
affatto  a  quello  della  nostra  edii.  in-8  che  quegli  non  vide. 

ToMMA8I^-I  -  MachtatelU.  U 


Digitized  by 


Google 


.116  INTRODUZIONE.  [tiBEo 

che  a  quello  conduce,  né  punto  voglion  credere  che  la  distanza 
abbia  ad  essere  lunga.  Se  non  che  quando  questi  non*  vanno 
errati  nel  far  giudizio  delle  generalità,  tocca  all'uomo  di  stato 
il  preparare  e  l'acconciare  i  particolari  e  far  che  s'accordino 
Taspirazioni  popolari  e  i  processi  del  governo,  la  politica 
della  città  e  quella  del  palazzo.  ^  E  noi  vedrem  Niccolò  co- 
raggiosamente accingersi  all'opra  e,  attingendo  ispirazione  dal 
popolo  e  conforto  dagli  antichi  statuti  della  città,  preparare 
la  più  grande  e  salutifera  riforma  dello  statò  moderno,  resti- 
taire  le  milizie  paesane  siccome*  la  naturale  e  la  più  eflScace 
«Ielle  difese,  la  migliore  malleveria  per  l'ordine  civile. 

Ma  al  disotto  del  popolo  operoso  e  inesperto  c'è  il  volgo 
bestiale  e  ritroso;  e  il  pregiudizio  volgare  pareva  a  quando 
a  quando  levarsi  anche  sopra  il  capo  de'  burbanzosi  pramma- 
tici e  alla  ponderata  azione  dell'uomo  di  stato  aggiungere  osta- 
coli nuovi  e  formidabili.  —  «  Né  Dieci,  né  danari  non  fan  pei 
nostri  pari  >  ^  —  ricantavano  i  monelli  per  le  vie  di  Firenze, 
quando  il  popolo  smunto  delle  sostanze  e  del  sangue  dal  re 
(li  Francia,  da  Massimiliano,  dal  duca  di  Milano,  da'  Vene- 
ziani, dalle  condotte,  dai  mercenari,  dall'assedio  di  Pisa,  dalla 
ribellione  d'Arezzo  e  Val  di  Chiana,  dalle  minaccio  del  Valen- 
tino e  de'  Medici,  non  volea  più  né  guerra  né  tasse,  e  cancel- 
lando i  Dieci  che  amministravano  la  guerra,  credeva  d'aver 
tolto  di  mezzo  la  guerra.  Povero  popolo!  pensava  senza  dubbio 
allora  il  Cancelliere  de' Dieci;  povero  popolo,  che  non  si  capacita 
che  la  cagione  del  male  é  la  febbre  e  non  il  medico  ;  ma  tut- 
tavia aspettò  altra  stagione  per  annotare  «  come  in  diversi  po- 
poli spesso  si  veggono  intervenire  i  medesimi  accidenti  »,  e 
come  vedendo  anche  il  popolo  di  Roma  nascere  una  guerra 
dall'altra  e  non  poter  mai  riposarsi  «  la  prese  coi  consoli  e  non 
coU'ambizione  dei  vicini  »,  e  pensarono  per  questo  che  fosse  ne- 
cessario «  o  levar  via  i  consoli,  o  regolare  in  modo  la  loro  po- 
destà eh'  e'  non  avessino  autorità  sopra  il  popolo  né  fuori,  né 
in  casa  ».  — 

Parimenti,  quando  i  Fiorentini  mettevano  tutti, i  loro  sforzi 
a  ridurre  Pisa  nuovamente  in  servaggio,  ^  e  sopportavano  tra- 


•  V.  MAcmAVBLLi,  Discorsi,  1.  ii,  e.  xltiii. 

•  Machiavelli,  Discorsi,  i,  171.  —  Guicciabdxni,  Storia  di  Firenze,  cap.  xix. 

«  «  Pisa  dà  a  vivere  a  tutta  la  Toscaba  e  fa  frutti  per  anni  cinque  »,  scriveva  il  Fo- 
«CABi  nella  sua  Ambasceria,  riferita  dal  Sanuto  (V.  Arch.  slor.  ital.,  serie  1»,  t.  vn,  p.  ii, 
pag.  946). 


Digitized  by 


Google 


«KCONDo]  LA  CITTA  E  IL  PALAZZO.  147 

versie,  torti,  spese  d'ogni  maniera  per  riuscire  a  questo  scopo, 
e  i  Pisani  si  appigliavano  a'  ferri  infocati  pur  di  non  rica- 
dere sotto  al  giogo  di  quelli;  Niccolò  coll'ordinamento  delle 
milizie,  co'  preparativi  della  guerra,  colle  trattative  dirette  e 
indirette  fece  per  mare  e  per  terra  onde  procurare  il  ria- 
<5quisto  di  quell'erpicate  consumata  città;  ma  ad  altra  età  della 
vita  soltanto  scrisse  parole,  che  sapessero  di  compassione  per 
quell'infelice  repubblica,  e  solo  allora  pronunciò  questa  sen- 
tenza, quando  non  gli  poteva  esser  rimproverata  come  incongrua 
e  inofficiosa:  «  di  tutte  le  servitù  dure,  quella  è  durissima  che 
ti  sottomette  a  una  repubblica;  Tuna,  perchè  la  è  più  durabile 
-e  meno  si  può  sperare  d'uscirne;  l'altra  perchè  il  fine  della 
repubblica  è  snervare  e  indebolire,  per  accrescere  il  corpo 
suo,  tutti  gli  altri  corpi  ».} 

Chi  avesse  manifestamente  compassionato  Pisa,  correva 
allora  troppo  gran  pericolo,  e  Niccolò  si  tacque;  quantunque 
da  prudente  sentisse  che  pigliar  cura  di  governare  città  con 
violenza,  «  massime  quelle  che  fussino  consuete  a  viver  libere, 
è  una  cosa  difficile  e  faticosa  »,  ^ 

Ma  il  popolo  non  voleva  solò  il  fine  a  suo  modo;  anche 
i  mezzi  dovevano  essier  quelli  che  più  gli  piacessero  :  Pisa  do- 
veva pigliarsi  per  assalto  e  non  per  fame.  E  non  solò  ai 
partiti,  ma  alle  avversioni  e  alle  simpatie  popolari,  cosi  spesso 
e  repentinamente  mutabili,  era  un  gran  guaio  contrastare. - 

Né  pericolava  meno  chi  si  sbracciasse  per  le  cose  di  chi 
vezzeggiasse  uomini.  Dappoiché  oggi  erano  i  frateschi  al  go- 
verno: domani  i  medicei:  posdomani  altri  ottimati  che  non  fos- 
sero ne  pel  frate  né  per  le  palle.  Bernardo  del  Nero,  Niccolò 
Ridolfi,  Lorenzo  Tornabuoni  erano  stati  de'  Signori,  e  lasciarono 
pochi  mesi  dopo  il  capo  sotto  la  scure;  Francesco  Valori,  l'anima 
del  popolo,  ebbe  pur  egli  le  case  assediate  dalla  bordaglia;  che, 
mortagli  la  moglie,  trucidò  anche  lui  sulla  pubblica  via;  il  Sa- 
vonarola riforma  oggi  la  città  e  intrattiene  il  re  di  Francia, 
domani  brucia  appiccato  e  maledetto  a  un  palo  di  piazza.  E 
Paolo  Vitelli?.....  questi  e  la  sua  disavventura  ci  porgon  più 
chiara  occasione  di  considerare  la  cautela  con  cui  Niccolò  cer- 


^  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  ii,  2. 

*  Il  Parenti,  {Storie,  ras.  anno  1500,  del  mese  di  luglio)  ci  racconta  invece  la  sorte 
<che  toccò  a  chi  fu  roen  prudente  del  Segretario  :  «  Giovan  Francesco  di  messer  Poggio 
lìracclolini,  canonica  del  .duomo,  accusato  da'  Frateschi  d'aver  detto  che  i  Pisani  avean 
ragione  di  voler  conservarsi  in  libertit,  fu, confinato  per  cinque  anni».  — 


Digitized  by 


Google 


148  IXTRODUZirjyp:.  [libro 

cava  di  salvare  la  sua  qualità  officiale,  col  pieno  soffocamento 
dell'opinione  e  del  sentimento  individuale;  anzi  un  documento 
nel  quale,  secondo  eh' è  proprietà  del  pensiero  di  Niccolò,  la 
ragione  di  decidere  di  un  singolo  caso  è  tratta  da  una  norma 
precettiva  che,  partendo  dall'intima'  natura  delle  cose,  com- 
prenda il  maggior  numero  de' casi  consimili,  ci  è  indizio  forse 
che  al  Machiavelli  non  mancò  né  necessità  di  porre  altrui  sot- 
tocchio ch'ei  conosceva  quale  esser  dovesse  la  sua  condotta 
di  cancelliere,  ne  occasione  di  procurar  forse  ch'altri  con  ca- 
lunnie non  gli  nocesse. 

Ma  un  pochino  di  dichiarazione  a  questo  proposito  non  sarà 
fuor  di  luogo. 

Tutti  sanno  che  dopo  la  battaglia  di  San  Regolo,  e  la 
sconfitta  che  Pisani  e  Veneziani  dettero  a'  Fiorentini,  quando 
le  fanterie  di  questi  furono  sgominate  dalla  loro  cavalleria 
ributtata,  (e  Ciriaco  dal  Borgo,  che  vi  si  trovò,  ne  contò  egli 
medesimo  i  particolari  al  Machiavelli)  per  rimediare  ai  'danni 
si  pensò  di  condurre  un  capitano,  reputatissimo  sopra  tutti  gli 
altri  in  Italia,  Paolo  Vitelli  con  Vitellozzo  fratel  suo,  i  quali 
avrebbero  dovuto  racquistar  Pisa  poco  men  che  in  un  batter 
d'occhio. 

S'aspettava  molto  da  loro;  s'aspettava  presto:  costavano 
cari:  coloro  ch'erano  stati  cagione  de' precedenti  errori  'gli' 
astiavano;  il  conte  Ranuccio  da  Marciano,  ch'era  stato  già  go- 
vernatore del  campo,  rimaneva  con  questo  stesso  titolo  subordi- 
nato al  Vitelli:  questi  generalissimo,  e  con  maggior  paga:  dis- 
uguaglianze e  contatti  pericolosi. 

Eguagliar  le  paghe  prima  di  tutto  procacciò  il  conte: 
Paolo  proteggere  l'autorità  propria  ;  quegli  afforzarsi  de'  popo- 
lani; questi  de' nobili.  Dalla  dualità  nell'esercito  n'uscì  la  di- 
visione nello  Stato  :  ^  a  PaolOj  mandato  in  Casentino  contro  i 
Veneziani  e  Piero  de'  Medici,  non  si  voleva  riconoscer  neppur 
la  lode  d'averli  saputo,  ridurre  a  mal  partito  in  Bibbiena  : 
piuttosto  s'esaltava  un  abate  Basilio  dell'ordine  di  Camal- 
doli,*  che  per  verità  aveva  contribuito  non  poco  jad  accendere' 

♦ 

»  Guicciardini:  Storia  di  Firenze,  e.  IS.  —  Macmiavblli :  Discorsi,  lib.  ii,  e.  xvi.  — 
Ranke,  Historisch-biographische  Studien,  pag.  32S. 

'  Dell'abate  Basilio  scrive  il  Machiavelli  negli  Estratti  di  lettere  (ed.  Passorini-Mi- 
lanes',  voi.  n,  pag.  149):  «  Camaldoli  lo  difese  Tabate  Basilio,  cuius  fuit  summa  maniis 
in  bello  et  amor  et  fides  in  patriam  ».  —  G  di  lui  ragiona  Agostino  Vespucci  in  una  sua 
lettera  da  Bologna  a  N.  M.  «  a'  di  xxviij  dicèmbre  1503  :  L'abate  Baxylio  facto  novite-'^ 
maestro  di  casa  del  nro  Rev.»»  Vulterrano  si  raccomanda  ad  Voi  et  congratulatur  libi 
de  nova  militia  ».  (Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta.iv,  n.  93. 


Digitized  by 


Google 


%&KCOKDo]  ZA  CITTX  E  IL  PALAZZO.  149 

i  villani  del  paese  alla  resistenza,  aveva  dati  i  primi  urti  e 
i>'era  trovato  a  tutto. 

Ma  Paolo  co'  popolani  non  poteva  trovar  grazia  :  i  no- 
bili erano  per  lui:  i  Medici  cercavano  adescarlo,  procurando 
con  ogni  industria  ch'ei  mordesse  all'amo  loro;  egli  disgustato 
del  procedei-e  della  Signoria,  ma  repugnante  a  tradire,  si  di- 
vincolava dalle  carezze  pallesche  e  venete,  accampando  diffi- 
coltà e  pretese;  ^  ma  la  natura,  i  modi,  il  grado  di  gentiluomo 
gli  tornavano  fatali  presso  la  repubblica  e  lo  facevan  sospetto. 
Gli  si  dava  colpa  di  non  aver  spinto  innanzi  con  maggior  sol- 
lecitudine l'assedio  di  Bibbiena,  nel  cuore  del  '  verno  e  in  luoghi 
montuosi  ed  aspri  ;  e  più,  gli  si  apponeva  d'aver  lasciato  uscire 
da  quella  il  duca  di  Urbino  gravemente  malato  per  ritrarsi  nel 
ducato  suo. 

Il  Vitelli  allegava  d'averlo  fatto,  benché  senza  saputa  dei 
Dieci,  con  intesa  del  commissario  Ricasoli,  e  per  impedire  che, 
morto  il  duca,  i  Veneziani  non  gli  occupassero  lo  Stato:  ma 
non  bastava.  Quando  poi  entrò  nel  popolo  la  furia  di  sforzare 
Pisa  colle  armi,"  mandato  Paolo  a  campo  a  Cascina,  in  pocliis- 
.simi  giorni  l'espugnò.  Ma  nemmeno  questa  vittoria  gli  valse 
buon  nome;  però  che, 'preso  in  Cascina  prigioniero  Rinieri  della 
Sassetla,  il  quale  stando  a'  soldi  de'  Fiorentini  era  poi  pas- 
sato ai  Pisani  occultamente,  e  intimando  la  Signoria  a  Paolo 


*  Il  dociimento  trovato  dal  Brosch  (v.  V Historìsche  Zeitschrift  xxxviii,  165),  neir Archi- 
vio di  Venezia  non  ci  pare  sufficiente  a  provare  il  tradimento  del  Vitelli,  consistendo  quello 
in  nna  lettera  di  risposta  del  Consiglio  dei  Dieci  ad  una  proposta  di  Pietro  de'  Medici.  In 
lineila  lettera  i  Dieci  dichiarano  :  «  Nut  hauer  grandemente  desidero  et  desiderare  el.ritomo 
uostro  et  dei  fradelli  uostri  nella  patria,  si  come  per  experentia  habiamo  dimostrato  et  tu- 
tavia  dimostrarne.  Et  però  quando  el  M.co  Paulo  sia  per  far  fare  questo  effecto,  Nui  siamo 
per  vederlo  tanto  più  volentiera,  quanto  dir  so  possi  et  maxime  essendo  accompagnato  cum 
la  compositione  dele  cose  pisane,  si  come  ne  hauete  proposto  ».  (Àrch.  di  Stato  veneto. 
Delib.  Cojis-  X."  Misti,  n.  27,  an.  M95-9S  pag.  212t.  e  segg.)  —  I  Veneziani  pertanto,  pure 
Hpalleggiando  Pietro  de*  Medici,  non  nascondono  il  dubbio  che  Paolo  «  sia  per  fare  questo 
effecto  ».  E  aggiungono  :  «  diremo  anche  questo  altro  particulare  per  stringersi  più  ala 
conclusione,  che  stipendio  del  prefato  M.co  Paulo  ne  pareria  conveniente  dover  esser  quello 
ne  ha  dechiarato  nostra  M.tia  lui  al  predente  hauer  cum  fiorentini,  zoè  ducati  xLmila,  de  If 
quali  Nui  contrìbuisamo  la  portione  nostra  ».  —  Quel  che  risulta  chiaro  dal  citato  docu- 
mento è:  che  Piero  cospirava  davvero  contro  la  patria  coi  Veneziani;  che  sollecitava  il  Vi- 
telli a  passare  a'apldi  suoi;  che  il  Vitelli,  maltrattato  dalla  fazione  democratica  in  Firenze, 
vanamente  accarezzato  da*  nobili,  quando  la  condotta  gli  fosse  venuta  meno,  forse  si  sa- 
rebbe acconcio  assoldi  de*  Veneziani  e  di  Piero.  Ma  manca  la  certezza  dell'intesa  fra 
Piero  e  lui,  anzi  nel  documento  s*accenna  a  difficoltà  ch'ei  possa  opporre  all'accordo.  Manca 
a  dirittura  il  prezzo  del*  tradimento,  giacché  oifrendoglisi  da  coloro  lo  stesso  stipendio  che 
avaa  già  dai  fiorentini,  egli  avrebbe  mutato  padrone  ma  non  ottenuto  lucro;  manca  di  so- 
prappiù  la  notizia  di  qualunque  fatto  di  cui  possa  essdre  certamente  accagionato  ;  rimane 
il  sospetto  soltantb  senza  riprove  ;  tutto  quello,  cioè,  su  cui  fondarono  la  loro  condanna 
i  fiorentini  allora,  ed  ebbero  ad  esserne  gravemente  biasimati  da  chi  giudicava  senza  pre- 
concetti e  senza  studio  di  parte. 


Digitized  by 


Google 


150  INTRODUZIONE.  [libho 

che  lo  mandasse  per -essere  esaminato  subito  a  Firenze,  dove 
il  popolo  avrebbe  sfogato  in  lui  il  risentimento  e  la  rabbia; 
Paolo,  che  intendeva  come  per  quello  l'esame  non  volea  dir  che 
tortura,  è  come  poi  gli  avrebbero  tagliato  certo  la  testa;  non 
volle  essere  bargello  d'un  soldato  da  bene  e  valente,  secondo 
che  scrive  il  Guicciardini,  e  lo  lasciò  sfuggire.  ^ 

Laonde  contro  il  Vitelli  sdegni  più  forti.  Perchè  l'avrebbe 
egli  lasciato  sfuggire,  se  delle  disamine  di  colui  non  avesse 
avuto  paura?  Dunque  Rinieri  della  Sassetta  era  suo  complice: 
dunque  Paolo,  cospirava  contro  la  città  che  si  disanguava  a 
empierlo  d'oro  e  soddisfargli  richieste  infinite. 

Su  lui  dunque  tutte  l'ire  covavano  e  aspettavano  il.  mo^ 
mento  a  prorompere.  Vada  a  Pisa,  le  faccia  il  male  che  può, 
la  pigli.  Nel  1497  la  Signoria  lo  aveva  domandato  d'un  pa- 
rere per  riaverla,  ora  non  cerca  più  pareri,  ma  la  rivuole 
da  lui. 

All'ultimo  di  luglio  1499  e'  vi  si  pone  coll'esercito  a  campo  : 
il  sospetto  sul  capitano  si  lancia  co' proiettili.  *  A' dieci  d'agosto 
s'occupa  Sta-in-pace,  rocca  forte  di  quella  città;  di  che  l  Pi- 
sani sbigottiscono  in  guisa  da  perder  ogni  speranza,  da  credere 
d'aver  già  l'armi  de'  Fiorentini  dentro  le  vie.  Chi  può  calarsi 
giù  dalle  mura,  si  fugge  a  Lucca;  parea  che  l'ultima  ora  del- 
l'eroica repubblica  fosse  sonata;  ma  i  Fiorentini,  ignari  del 
perturbamento  de'  nemici,  non  preparati  a  dar  battaglia,  non 
seguitano  la  vittoria. 

Il  capitano  non  ha  saputo  afferrar  l'occasione  ;  là  guerra 
che  avrebbe  potuto  esser  chiusa  in  un  subito,  chi  sa  per  quanto 
tempo  ancora  e  con  quanto  disagio  si  protrae:  i  Pisani  s'ac- 
corgono della  freddezza  degli  assalitori  e  tornano  ai  ripari,  e 
impediscono  che  per  la  via  di  Sta-in-pace  si  possa  entrar  nella 
terra. 


^  Guicciardini,  l   e,  capo  xix,  pag.  204. 

>  In  alcune  delle  palle  bronzine  tirate  dalle  artiglierìe  fiorentine  dentro  la  fortena 
erano  impresse  e  leggibili  queste  parole  «  scritte  con  lettere  moderne  »,  come  racconta 
Tanonimo  autore  pisano  della  Guerra  del  Cinquecento: 

«  Ex  quo  nec  Florentinorum  clementia  spem  veniae,  nec  tot  Vitelliorum  militares  vii^ 
lutes  metum  captfvitatis  inj icore  vobis  hactenus  potuorunt,  experiemini  modo  quam  aspe» 
rlora  futura  sint  ultima  primis  ». 

Furono  fatte  molte  risposte,  le  quali  per  brevità  pretermitterò,  contentandomi  soluni 
di  questa  nostra,  videlicet: 

«  Petant  veniam  peccatores  :  nos  prò  patrìa  juste  sancteque  pugnamus.  Ars  Vitelliorum 
militaris  non  captivitatem,  sed  libertatem  nobis  ut  hactenus  est  allatura  ».  Archivio  sto- 
rico,  prima  serie,  voi.  v,  p.  ii,  pag.  387.  —  V.  nel  luogo  citato  anche  il  Memoriale  dì  Por- 
TovBNERX,  pag.  342  e  seguenti. 


Digitized  by 


Google 


BBG02CD0]  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  151 

Di  soprappiù  T  intemperie  e  Tacque  cominciano  a  gua- 
stare, dilagare,  «battere  il  campo:  l'aria  corrotta  ad  ammalo- 
rare  i  soldati  :  febbri  pestilenziali  recano  sterminio  nelle  file, 
mietono  connestabìli  e  commissari  :  Piero  Corsini  ne  muore:  è 
repitaffio  suo:  QUI  giace  fisa.  ^  Francesco  Gherardi  e  Paolan- 
tonio  Soderini  mandati  in  sua  vece,  in  pochi  giorni  ammalano; 
e  Luigi  della  Stufa  e  Pierantonio  Bandini  lo  stesso;  e  simil- 
mente Piero  Vespucci  mandatovi  appresso  :  tutti  morirono. 

Pisa,  gridavano  i  Fiorentini,  «  è  la  sepoltura,  dell*  avere, 
dell'onore  e  della  vita  nostra;  tutto  per  causa  del  traditore 
capitano».^  Contro  il  quale  la  cieca  animosità  tanto  poteva  che, 
mentre  prima  lo  facevano. di  parte  francese,  caduto  Ludovico 
Sforza,  Io  sospettavano  della  parte  duchesca. 

Quando  poi  Paolo,  che  avea  sempre  atteso  a  batter  le 
mura  e  aprirle  colle  bombarde,  visto  che  l'esercito  gli  sce- 
mava ogni  giorno  e  nuovi  fanti  da  Lucca  erano  entrati  in 
Pisa,  levò  il  campo  disperando  della  vittoria,  fu  tanta,  indigna- 
zione universale  che  non  potè  più  restare  sopra  se  stessa,  *  e 
determinossi  prorompere. 

Se  qualcosa  c'era  che  potesse  anche  meglia  rinfocolare  e 
in  qualche  parte,  forse,  giustificare  quell'ire  era  il  credito  di 
.Anton  Giacomini  colla  Signoria  e  col  popolo,  il  quale  aveva 
con  Paolo  Vitelli  ruggine  antica,  ^  e  vagheggiatore  della  mi- 
lizia comunale  e  patria,  mal  soffriva  le  pratiche  e  le  consue- 
tudini d'uomini  di  guerra  professionali  e  prezzolati. 

Fatto  sta  che  attorno  a  Paolo  s'era  cominciato  a  fare  il" 
vuoto  e  il  silenzio,  aspettandosi  il  momento  di  coglierlo  sicuro. 
A  di  sei  di  settembre  i  Dieci  scrìvevano  lettere  piene  di  ma- 
lumore concentrato  e  freddo,  (le  lettere  erano  di  mano  del 
Machiavelli)  significando  «  si  cedesse  alla  voglia  di  codesti 
signori  circa  il  ritrarre  il  campo  >.  ^  Per  codesti  signori  in- 
tendevano U  capitano  e  Vitellozzo,  fratel  di  lui;  —  «  circa  al 
provvedere  nel  resto,  fra  due  o  tre  dì  manderemo  costì  nuovi 

1  GfJienra  del  Cinquecento,  deirAnonimo;^.  e,  pag.  379.  ^ 

s  Parknti,  Istorie,  (settembre  1499). 

*  n  Pitti,  autore  della  VUa  di  Antonio  Giacomini,  scrive  a  questo  proposito  :  «  Fra 
i  quali  (commissari)  non  parve  a  proposito  mandare  Antonio  Giacomini,  si  per  sedere  egli 
allora  de'  Signori,  magistrato  supremo  della  nostra  'città,  si  ancora  per  la  poca  benevo- 
lensa  ch'era  tra  lui  e  il  Vitelli  ».  Archivio  storico,  iv,  p.  n,  pag.  124.  E  Giovanni  del  Nbbo, 
Priorista  (ms.  ottob.  3098,  pag.  523),  dice  il  Giacomini  «  uomo  popolano  e  spicciolato  e  non 
di  molta  riputasione  appresso  a  gli  uomini  grandi,  ma  di  credito  e  fede  grande  inverso  il 
popolo  e  mai  non  volle  il  popolo  fidarsi  d'altri  che  di  lui  in  tale  impresa  del  guasto,  ecc.  » 

*  U.,  Seritti  inediti,  Firense,  1857,  pag.  77. 


Digitized  by 


Google 


152  INTRODUZlOyE.  [l 

commissari  bene  istruiti  e  informati  di  nostra  intenzione,  acciò 
possine  disporre  tutto  secondo  la  nostra  volontà  ». 

I  due  commissari  erano  Antonio  Canigiani  e  Braccio  Mar- 
telli, i  quali  con  Bernardo  Rucellai,  con  Filippo  Buondel- 
montj,  con  Luca  degli  Albizi,  ristrettisi  insieme  al  gonfaloniere 
Guasconi,  a  Francesco,  Guiducci  e  Niccolò  d'Alessandro  Ma- 
chiavelli, ch'erano  de'  Signori,  prepararono  il  colpo.  Si  forti- 
ficasse Cascina:  s'intimasse  a'Cascinesi  da  14  anni  in  su,  che 
se  fra  tre  giorni  dal  bando  non  si  presentassero,  al  magistrato 
fiorentino,  fossero  dichiarati  ribelli  e  i  loro  beni  confiscati.  E 
questo,  perchè  la  maggior  parte  de'  Cascinesi  erano  a  soldo  nel 
campo  o  col  Vitelli.  ^  Si  volea  levargli  quel  presidio  attorno, 
e  col  tenerlo  corto  a  danari,  sbandargli  le  soldatesche.  Poi, 
invitato  lui  a  recarsi  in  Cascina,  sarebbe  rimasto  facilmente 
fra  gli  artigli  delja  loro  vendetta. 

Frattanto  a  Luigi  XII  di  Francia,  che  la  morte  di  Carlo  Vili 
avea  fatto  contento  del  regno  e  della  moglie  di  lui,  ^  tutti  i 
signori,  le  comunità,  i  potenti,  i  condottieri  ragguardevoli,  ec- 
cetto re  Federigo,  mandavano  ambasciatori. 

Paolo  Vrtelli  partecipò  a'  commissari  come  intendeva  an- 
cora egli  mandare  a  lui  messer  Corrado,  suo  cancelliere.  I  Dieci, 
sempre  per  mano  del  Machiavelli,  ne  rispondevano  al  Cani- 
giani  e  al  Martelli:  «  Quanto  all'andata  di  messer  Corrado  a 
Milano,  sarete  col  capitano  e  commenderetelo  della  partecipa- 
zione fatta  ;  e  mostreretegli  come  di  tale  mandata  noi  ne  siamo 
contentissimi,  come  coloro  che  abbiamo  desiderato  sempre  e 
desideriamo  ogni  suo  onore  e  riputazione,  e  massime  appresso 
la  cristianissima  maestà,  della  quale  noi  siamo  osservantissimi» 
ma  vogliamo  bene  che  gli  abbi  questo  rispetto  di  non  mandare 
messer  Currado  o  altro  mandiate  suo  in  tempo  che  vi  sia  avanti 
li  oratori  nostri,  che  partiranno  fra  due  dì.  A  che  sua  signoria 
doverrà  restare  paziente,  importando  questo  all'onore  nostro, 
e  a  lei  non  pregiudicando  in  alcuna  cosa  ».  ^ 

Questo  si  scriveva  a'  di  diciannove  di  settembre.  Sei  giorni 
dopo  il  coadiutore  del  Machiavelli  riscriveva  in  nome  de'  Dieci  : 
—  «  Noi  desideriamo  più  che  la  vita  che  si  rechi  a  fine  quello, 
che  si  ragionò  con  Girolamo  Pilli  (de  capiendo  capitaneo  ge- 
nerali); e  però  vi  confortiamo  ed  esortiamo  a  non  perdere  al- 

^  Machiavelli,  Scritti  inediti  -  Spedisione  contro  Pisa  -  1490,  pag.  80  e  seguenti. 

»  V.  Machiavelli,  Decennale  I,  v.  187-188. 

*  M.,  Scritti  inediti,  ocliz.  Canestrini  -  Spedizione  contro  Pisa  -  pag.  W-93. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  la  CITtX  e  il  PALAZZO.  '  153 

cuna  occasione  per  riavere  l'onore  della  patria  nel  cospetto 
di  tutta  Italia  ;  e  però  fate  presto,  presto,  presto  quello  dovete 
fare  ». 

I  subdoli  temevano  della  presenza  del  re  di  Francia  e 
del  credito  che  il  Vitelli  potesse  avere  presso  di  quello;  però 
voleano  spacciar  la  cosa  subito;  e  pochi  giorni  dopo  infatti  la 
recano  a  compimetìto.  Il  conte  Rinuccio  si  teneva  malato  in 
Cascina,  e  Paolo  Vitelli  chiamato  artificiosamente  a  consulta, 
senza  .dubitare  d' insidie,  va  a  Cascina,  e  per  gentilezza  a  vi- 
sitare il  Marciano.  Il  conte  era  consapevole  della  trama;  ^  e  non 
gli  fremè  l'animo  di  perdere  a.  tradimento  un  collega,  un  guer- 
riero. Paolo  fu  preso;  Vitellozzo  che  era  al  proprio  padiglione, 
potè,  avvisato,  scampare.  L'infelice  capitano  il  dì  appresso, 
a  circa  tre  ore  di  notte,  ben  guardato,  fu  messo  in  Firenze. 
«  Cosi  condottolo  in  palagio  dove  l'aspettavano  e'  Signori,  Col- 
legi, Otto  et  alquanti  cittadini,  caldo  caldo  l'hebbono  alla  pre- 
senza et  a  parole  il  cominciorono  a  examinare.  Esso  qualificava 
gagliardamente  senza  alcuno  timore  tutte  le  interrogazioni  contra 
fatteli  ».  —  «  Hebbe  in  più  volte  tredici  tratti  di  fune,  di  poi 
el  dado,  et  ultimamente  l'acqua  per  bocca,  et  mai  niente  con- 
fessò »  —  «  parea  che  a  un  sacco  si  dessi  la  tortura  ^  ».  —  Cosi 
il  Parenti,  che  delle  circostanze  che  accompagnarono  il  giu- 
dizio di  lui  dà  le  notizie  più  particolari. 

Inoltre  si  cercarono  tutte  le  lettere  e  scritture  sue.  Cer- 
bone  da  Castello,  cancelliere  di  lui,  e  Cherubino  dal  Borgo, 
suo  soldato,  ebbero  pur  essi  la  corda;  ma  dagli  scritti  non  si 
cavava  nulla  che  il  facesse  parere  colpevole  o  dubbio-;  nulla 
confessarono  i  tormentati. 

Tuttavia  la  colpa  vi  dovea  essere  e  si  dovea  trovare;  il 
gonfaloniere  Guasconi  e  i  Dieci  cosi  l'intendevano.  Se  Paolo  non 
dava  né  parole  né  gemiti  in  mezzo  ai  tormenti,  era  perchè 
avea  fortezza  di  natura;  se  fra  le  sue  carte  non  si  trovavano  di 
quelle  che  lo  compromettessero,  era  perchè  ei  doveva  averle 
ben  trafugate  o  distrutte;  se  Cherubino  e  Cerbone  non  con- 
fessavano, era  perchè  egli  non  conferiva  i  suoi  segreti  con 
loro;  Paolo  doveva  esser  reo.  Ma  non  tutti  della  Signoria  e 
della  Pratica  ricusavano  vedere  che  contro  di  lui  non  si  ave- 
vano prove  ;  cosi  che  alcuni  entravano  in  timore  di  colpire  un 


»  Parkxti,  Istorie  ms 

»  Pabknti,  Istorie  mtt.  Guicciardixi,  1.  c.^  pag.  210. 


Digitized  by 


Google 


154  INTRODUZIONE.  [UBBO 

innocente  ;  altri  nel  dispetto  di  non  trovare  il  reo;  e  del  di- 
spetto loro  si  facevano  un'arma  di  più,  anzi  una  ragione;  ^ 
tanto  è  vero  che  l'opere  che  cominciano  codarde  finiscono 
spesso  crudeli. 

Jacopo  Pandolfini,  ch'era  congiunto  del  conte  Rinuccio 
e  nemico  al  Vitelli,  pronunziò  Vexpedit  ut  moriatur.  La  turba 
del  popolo,  accalcata  sulla  bocca  di  palazzo,  gridava  fiera  e 
forte  :  impicca.  ^  La  Signoria  speculò  sulla  paura  :  si  sen- 
tenziò che  chi  non  voleva  che  il  capitano  morisse,  andasse  a 
parlare,  altrimenti  s' intendesse  tacitamente  consentire.  «  Sta- 
tosi alquanto  cosi,  nessuno  della  Pratica  si  mosse  »  ^  A  questo 
punto  lascerem  seguitare  il  racconto  dalla  cronaca:  «  E  il 
fatto  fu  che  ai  fautori  del  capitano,  benché  molti  ve  ne  fussi, 
non  bastò  l'animo  con  viva  voce  difenderlo.  11  perchè  la  Si- 
gnoria, licenziata  la  Pratica,  con  fortissimi  gravamenti,  ri- 
tenne e*  Collegi  e  li  Octo,  e  quali  di  nuovo  examinarono  decto 
capitano,  et  non  molto  traeteli  di  bocca,  deliberarono  che  mo- 
rissi ;  onde  factolo  confessare  et  comunicare,  su  nella  medesima 
sala  di  sopra  tagliare  li  feciono  la  testa,  la  quale  el  mani- 
goldo mostrò  al  popolo  ragunato  in  piazza  »  —  «....  morì  con 
grandissimo  animo  et  della  morte  timore  alcuno  non  mostrò, 
sputando  (secondo  che  chi  era  presente  riferi)  che  mai  havea 
truffato  il  popolo  fiorentino-  ». 

Del  resto  questa  morte  data  per  espediente  ebbero  i  Fio- 
rentini a  pagarla  cara:  Vitellozzo  era  sfuggito  alle  loro  mani 
e  si  volgeva  con  ogni  sforzo  a  vendicare  il  fratello,  accor- 
rendo dovunque  fossero  nemici  di  Firenze.  E  vedrem  quanto 
travaglio  e  dispendio  seppe  cagionare  alla  città;  alla  quale  di 
quella  uccisione  venne  infamia  grandissima. 

Al  re  di  Francia  dovettero  mandare  a  scusarsi  del  fatto: 
i  Veneziani,  come  non  fossero  quelli  che  avevano  ucciso  il  Car- 
magnola, sbraitarono  di  quella  barbarie;  gli  epigrammisti  sfo- 
garono la  loro  passione  in  distici  e  in  terzetti  :  i  Pisani, 
pronti  a  cogliere*  ogni  occasione   di   nuocere  a' nemici  scon- 

^  Parenti,  Istorie  ms.  «  Si  consigliò  che  chi  non  era  da  pigliare  non  era  da  lasciare  ; 
che  si  considerassino  li  scandoli  che  potrebbono  nascere  se  lui  si  lasciassi  ;  sempre  'sarebbe 
capitalissimo  inimico  di  questa  città,  nò  mai  posare  la  lascierebbe  ;  T^onore  nostro  essere 
ricuperato  se  lui  si  ammazzassi;  et  dove  per  suo  mezzo  eravamo  ruinati  in  ogni  danno  e 
vilipendio,  hora  resurgeremo  in  reputatone  et  mostreremo  a  tutto  il  mondo  che  degenerati 
non  eravamo  da  i  nostri  antichi;  né  ci  mancava  animo  né  prudenzia  a  governare  il  nostro  • 
Imperio  ».  * 

»  Parenti,  \.  e. 

»  Parenti,  1.  c. 


Digitized  by 


Google 


«BCOKDO]  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  155 

fortavano  gli  assedianti,  esclamando  ai  militi  e  condottieri  : 
«  Voi,  illustrissimi  signori  Taliani,  che  per  le  virtù  militari 
meritate  il  bastone  (intendevano  il  comando),  considerar  pos- 
sete  che  merito  e  glqria  da  Fiorentini  aspettar  dovete.  Specchia- 
tevi nello  exceliente  capitano  signor  Paolo  Vitelli,  e  di  poi, 
parendovi,  militate  sotto  loro  ingratissimo  vessillo  ».* 

Or  eccoci  al  punto  di  scandagliar  in  questo  triste  dranuna 
l'animo  del  Machiavelli;  e  di  mettere  T intimo  pensiero  di  lui 
a  rimpetto  dell'esterna  condotta  sua  come  cancelliere  della 
repubblica.  Vedemmo  già  come  nell'istruzione  del  processo  e 
nella  cattura  del  Vitelli  egli  avesse  ad  essere  interprete  della 
furia,  esecutore  della  voglia  de'  suoi  signori.  Probabilmente 
assistè  alle  disamine,  alle  consulte  per  la  condanna  di  Paolo, 
probabilmente  alla  uccisione  di  lui.  Fra  i  deboli  difensori  e 
gli  accusatori  violentissimi  doveva  esser  pericolo  il  non  mo- 
strarsi dell'opinione  più  forte  e,  o  Niccolò  corse  probabilmente 
questo  pericolo,  o  ebbe  ad  esser  posto  nella  stretta  necessita 
di  purgarsi  del  dubbio. 

Quando  pubblicò  il  suo  primo  Decennale  stando  ancora 
nel  suo  officio  di  cancelliere,  alluse  al  supplizio  di  Paolo,  senza 
allontanarsi  dalla  linea  di  condotta  che  la  sua  condizione  offi- 
ciale determinava,  senza  mettersi  in  opposizione  d'apprezza- 
menti coU'operato  del  governo.  ^ 


^  Cf.  Parenti,  Ist.  ms.  In  Firenze  s'appose  un  temale  sarcastico  sotto  la  figura  del 
Vitelli,  eh*  era  parodia  del  :  veni,  vidi,  vici  di  Cesare  : 

«  Paolo  son,  che  venni,  vidi  e  finsi 

di  dar  Pisa  a  Marzocco  ed  esaltarlo, 
ma  quel  di  gloria  e  me  di  fama  estinsi  ». 

Il  Giovio,  per  contrario,  reca  il  seguente  epigramma  d'Anton  Francesco  Ranieri: 
«  Urbis  ut  ingratae  scelus  et  victricia  Pauli 
Audìit  immiti  colla  resecta  manu, 
Scipiadum  major:  tua  quid  benefacta,  Vitelli, 
Quid  valuere  meaf  ah,  dixit  et  ingemuit  ». 

*     Un  altro  ci  occorre  nell'Anonimo  della  Ouerra  del  Cinquecento  (Archivio  alorieo,  seri<* 
prima,  t.  vi,  p.  2",  pag.  383)  attribuito  al  «  sapiente  messer  Anton  Pelotto  »  : 

«  Cum  caesum  audisset  Paulum  Vitelocius  acer 

Vultu  immutato  protulit  ille  suis  : 
Non  sint  qui  plorent;  erit  haec  mihi  cura  perempti, 

Ne  sit  qui  ulterius  dixerit:  ultor  ero. 
Néc  plura  est  cari  fratris  de  morte  loquutus, 

O  cor  invictum,  verbaque  digna  viro!  » 

*  Maciìiavblli,  Decennale  I,  v.  223. 

«  Poco  di  poi,  del  ricevuto  inganno 
Vi  vendicaste  assai,  dando  la  morte 
A  quel  che  fu  cagion  di  tanto  danno  ». 


Digitized  by 


Google. 


ir>6  ISTRODUZIOSi:.  [libro 

Poi,  quando  fu  rimosso  dal  suo  posto,  cacciato  di  palazzo, 
tornato  all'esercizio  dell'illimitata  libertà  del  pensiero  suo; 
quando  i  nuovi  fatti  e  le  nuove  signorie  sopravvenute  ebbero 
gittate  i  tempi  del  precedente  suo  segretariato  nel  dominio 
della  storia;  padrone  de' pensamenti  suoi,  e' gli  fa  uscire  come 
corollario  di  regole  generali,  desunte  dall'esperienza  e  dal- 
l'osservazione; e  nota  come  il  senato  romano  ben  soleva,  guar- 
darsi d'inceppare  le  commissioni  ai  consoli  della . repubblica 
con  consigli,  con  pregiudizi^  con  diffidenze:  e  gli  dà  lode  di 
usar  con  ciò  termine  prudentissimo  :  «  perchè,  non  ostante  che 
in  quello  fussino  tutti  uomini  esercitatissimi  nella  guerra,  non- 
dimeno non  essendo  in  sul  luogo,  e  non  sappiendo  infiniti  par- 
ticolari che  sono  necessari  sapere  a  voler  consigliar  bene,  avreb- 
bero, consigliando,  fatti  infiniti  errori.  E  per  questo  e'  volevano 
che  *il  consolo  per  sé  facesse  e  che  la  gloria  fusse  tutta  sua, 
lo  amore  della  quale  giudicavano  che  fusse  freno  e  regola  a 
farlo  operar  bene.  Questa  parte  si  è  più  volentieri  notata  da 
me,  perchè^  io  veggio  che  le  repubbliche  de' presenti  tempi, 
come  è  la  veneziana  e  fiorentina  la  intendono  altrimenti;  e  se 
gli  loro  capitani,  provveditori  ò  commissari  anno  a  piantare  una 
artiglieria,  lo  vogliono  ntendere  o  consigliare.  11  quale  modo 
merita  quella  laude  che  meritano  gli  altri,  i  quali  tutti  insieme 
l'anno  condotte  ne' termini  che  al  presente  si  truovano  ».  ^ 

Or  non  sarà  egli  a  credere  che  sottintesa  a  questo  biasimo 
e  a  quella  lode  sia  la  commemorazione  del  Carmagnola  e  del 
Vitelli?  e  che  i  riguardi  ch'egli  vuol  usare  alle  persone  vive 
ch'ebbero  parte  all'  uccisione  di  questo,  i  riguardi  che  partico- 
larmente usava  alla  famiglia  Rucellai,  e  a  Bernardo  sopra  tutti, 
ch'era  stato  sommamente  avverso  al  capitano,  lo  trattenessero  dal 
pronunciarne  il  nome?  E  quando  esamina  «il  caso  veramente 
esemplare  e  tristo  »  di  Sergio  e  di  Virginio,  che  essendo  a  campo 
à  Veio,  per  loro  rivalità  e  superbie  furon  cagione  del  diso- 
nore della  patria  e  della  rovina  dell'esercito,  e  osserva  che, 
«  dove  un'  altra  repubblica  gli  avrebbe  puniti  di  pena  capitale, 
Roma  gli  punì  in  denari  »,  perchè  usava  anche  le  colpe  com- 
messe per  malizia  de'  suoi  capitani  punire  umanamente  ;  non 


*  M.,  Discorsi,  n,  e.  33.  B  nel  Principe,  cap.  xii  :  «  Fecero  i  Fiorentini  Paolo  Vitelli 
loro  capitano,  uomo  prudentissimo,  e  che  di  privata  fortuna  aveva  preso  riputazione  gran- 
itissima. Se  costui  espugnava  Pisa,  nessuno  sarà  che  nieghi  come  e' conveniva  a' Fioren- 
tini star  seco;  perchè  se  fusse  diventato  soldato  de' loro  nemici,  non  avevan  rimedio;  e 
lenendolo  avevano  ad  ubbidirlo  ».  E  non  ne  dice  altro. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  la  città  e  il  PALAZZO.  157 

è  egli  a  giudicare  che  tutte  le  riflessioni  di  quel  capitolo  siano 
state  motivate  dal  ricordo  del  violento  supplizio  di  Paolo? 

Pure  una  sua  lettera  particolare,  o  piuttosto  una  copia  o 
progetto  di  lettera,  indirizzata  forse  a  un  cancelliere  di  quel 
messer  Francesco  da  Lucca  che  circa  a  questo  tempo  mori  in 
Cascina,  ^  o  ad  alcun  altro  cancelliere  lucchese,  si  esprime 
assai  recisa  e  forte  e  ci  è  argomento  dell'ideale  che  Niccolò 
facevasi  dell'ufficio  di  segretario,  delle  convenienze  che  gli 
parea  dovesse  serbare  chi,  essendo  collocato  in  officio  pubblico, 
veniva  considerato  naturalmente  5  come  la  lingua  »  de*  suoi 
signori. 

È  noto  chie,  quantunque 'Lucca  cercasse  nella  questiono 
di  Pisa  tenersi  in  bilancia,  pure,  siccome  i  Dieci  di  Firenze 
ebbero  ad  avvisarne  l'oratore,  *  quella  città  favoriva  segreta- 
mente i  Pisani  e  prestava  a  questi  ogni  maniera  d'aiuti.  Cosi 
morto  Paolo  Vitelli,' essendo  venuta  probabilmente  la 'signoria 
in  possesso  d'alcuna  lettera  scritta  da  un  cancelliere  lucchese 
à  un  canonico  pisano,  nella  quale  si  biasimava  aspramente 
l'operato  de' fiorentini  in  riguardo  del  capitano  morto,  e  s'ac- 
cagionavano questi  d'averlo  tolto  di  mezzo  per  avarizia,  per 
non  rendergli  danari  da  lui  avuti  in  prestito,  avvenne  che  o 
Niccolò  Machiavelli  ebbe  incarico  di  rimbrottare  fuor  delle  vie 
oflSciali  quel  cancelliere;  0  si  volle  indirettamente  chiedere  una 
dichiarazione  da  Niccolò  ;  0  egli  sentì  che  farla  era  necessario  ; 
o  la  repubblica  accattò  un  mezzo  termine  per  procacciarsi  all'in- 
cessanti accuse,  che  le  si  facevano,  una  difesa  autorevole  a  un 
tempo  ed  officiosa.  Giudichi  dal  contesto  il  lettore  :  ^ 

«  Sondo  pervenuta  nelle  mani  d' un  mio  amico  una  lettera 


^  A  di  4  d'ottobre  N.  scriveva  a'commissari  in  Cascina,  ordinando  che  essendo  mono 
messer  Francesco  da  I<ucca,  ambasciatore  della  Repubblica,  si  raccogliessero  le  sue  robo 
I>er  consegnarle  all'erede.  V.  Canestbini,  ScriUi  inedili  di  A'.  3f.,  pag.  lOl. 

«  Canestrini,  1.  e.  Lettere  de* Dieci  a  Tommaso  Capponi,  pag.  90. 

*  Questa  lettera  pubblicò  già  il  signor  Nitti,  Machiavelli  nella  vita  e  nelle  dottrine, 
t.  X,  pag.  67,  in  nota.  Al  signor  Villari,  N.  M.  e  i  suoi  tempi,  pag.  338,  non  parve  auto- 
grafa; né  credette  che,  a  giudicar  dallo  stile,  potesse  pure  attribuirsi  al  Machiavelli.  Noi 
lasciamo  la  questione  dello  stile  al  giudizio  d'esperto  lettore;  ma,  quanto  a  quella  del- 
Tautogralia,  siamo  nella  necessità  di  non  consentire  col  signor  Villari;  e  pur  troppo,  coidi) 
accade  in  ogni  ca.^o  di  perizie  calligrafiche  e  paleografiche,  se  competenti  persone  stettero 
per  l'opinione  di  lui,  competenti  ne  stanno  anche  per  la  nostra;  le  quali  opinano  che  la 
scrittura  di  quella  lettera  (che  è  la  40"  della  busta  i  dei  Doc.  Jilachiavelli  nella  Bibl.  Naz.) 
sia  proprio  di  Niccolò,  e  che  debba  riferirsi  al  primo  dei  due  periodi  paleografici  da  noi  in- 
dicati in  quest'opera  (lib.  i,  pag.  99).  Certo,  che  il  mettere  d'accordo  il  contesto  di  quella 
lettera  così  recisa  colle  altre  affermazioni  di  Niccoli  rispetto  al  Vitelli,  piene  di  tanta  cau- 
tela, non  è  cosa  facile;  e  cosi  parve  anche  al  signor  Nitti,  il  quale  rilevò  come:  «  questa 
lettera  fosse  l'unica  prova  che  mostri  essere  stato  l'animo  del  Machiavelli  favorevole  alla 
condanna  di  Pafllo  Vitelli  >  (op.  cit.,  p«ig.  OS).  Se  mn  che  forse  un  siffatto  documento  non 


Digitized  by 


Google 


158  ISTRODUZIOSK.  [libeo 

sopradscripta  ad  iiiosser  Jacobo  Corbino  canonico  pisano,  me 
la  portò;  e  io,  per  lo  officio  mio,  apertola  non  mi  meravigliai 
tanto  del  subbietto  di  epsa,  quanto  io  mi  maravigliai  di  uoi  che 
lo  hauessi  scripto:  perch'io  mi  persuadevo. che  ad  uno  huomo 
grave  quale  sete  uoi  e  ad  una  persona  publica  quale  voi  te- 
nete, si  aspectassi  scrivere  -cose  non  disforme  alla  professione 

sua.  Hora  come  sia   conveniente  ad   un  secretarlo  di  cotesti 

» 

à  né  carattere  né  importanza  diversa  da  quello  che  à  la  lettera  di  Leonardo  Brunm,  are- 
tino, che  sentitola  :  «  Opera  facia  per  messere  Lionardo  d'Arezzo  cancellieri  fiorentino 
in  difesa  del  popolo  di  Firenze  da  certi  chalupniatcri  chel  biasimauano  della  impresa 
della  guerra  di  luccha  facta  per  decto'populo  di  fìrenze».  Questa  lettera  è  inedita;  la 
cita  il  Mbbus  da  mss.  riccardiani  .e  laurenziani  (cf.  J^onardi  Bruni  scripta,  pag.  lkix 
nell'ediz.  dell' ^pp.  del  Bruni);  noi  la  trovammo  nel  Codice  Barberiniano  xlv,  35,  pag.  156- 
167  t.  Ha  per  iscopo  di  purgare  la  repubblica  di  Firenze  dalle  gravi  e  mal  giustiflcabili 
accuse  che  le  vennero  pel  modo  subdolo  con  cui  condusse  la  guerra  contro  Paolo  Guinigi 
e,  cacciato  poi  questo  tiranno^  contro  ai  Lucchesi.  Ebbe  pertanto  ad  essere  scritta  circa 
al  termine  dell'anno  1430,  e  mandata  fuori  circa  a*  primi  dell'anno  1431.  Però  che  a  questa 
si  allude  nella  lett.  iv  del  libro  vi  àeWEpp.  del  Bruni  pubblicate  dal /Mbhus,  che  ha  la 
data  «Florentiae  ti  idus  Januariis  »  (1430  secondo  lo  stilo  fior.).  L'argomento  di  essa  sa- 
rebbe, a  giudizio  dell'editore:  «judiciorum  quondam  certum  ordinem  esse  *■.  Ma  ecco  di 
che  vi  si  tratta  :  «  Ego  tamen  invitus  licet,  quoniam  me  provocas,  defensionem  scripsi  quam 
tibi  mitto.  Et  quia  de  re  populi  agitur,  popularibus  verbis  uti  placuit  »  —  (scrisse  cioè  in  vol- 
gare) —  «ut  populi  ipsi  quorum  causa  agitur,  non  ab  interprete,  sed  ex  se  ipsis  intclligere 
possint  ».  E  segue  poi  :  «  deinde  illnd  vehementer  reprehendo  quod  aut  te  aut  me  rebus  po- 
pulorum  admisceas,  quasi  nostrae  sit  censurae  illos  corrigere,  ac  non  potius  arrogantia  ye- 
saniaque  haberi  debeat,  humunculum  unum,  ex  se  ipso,  nemine  deferente,  tantis  de  rebus 
judicium  sibi  assumere,  praesertim  inaniter.  Quid  enim  quaeso  nostra  hatfc  censura  profl- 
cerj  potesti»  ecc.  (Cod.  Barb.,  xlv,  35,  pag.  156).  «Da  lucha  in  questi  giorni  vennero 
«  lettere  la  soprascripta  delle  quali  si  dirizzava  a  me  proprio,  ma  l'effecto  d'esse  ledere 
«  a  tutti  li  cittadini  nostri  era  comune.  Et  benché  in  quella  sìa  il  nome  dell'autore  et 
•^  Rcriptore  d'esse,  niente  di>  meno  questo  cotale  né  da  me  fu  conosciuto  mai  per  l'adrieto; 
«  né  anchora  oggi  dal  nome  infuori  conosco,  et  parmi  essere  asso,'  chiaro  che  non  da  lui 
«  solo  furono  composte  decte  lectere,  ma  insieme  con  luì  da  più  et  più  altri,  quali  la  pre- 
«  sente  impresa  del  populo  fiorentino  contro  al  signore  di  lucha,  con  loro  false  et  colorate 
«  ragioni  si  sforzano  di  riprendere  sì  come  ingiusta,  et  vituperare  sì  come  inhonesta  ».  — 
«  Ma  prima  ch'io  venga  alla  risposta  mi  piace  della  singularità  mia  chiarire  alcuna  cosa,. 
«  acciocché  ninno  pensassi  per  questo  mio  scrivere  cH'  io  fossi  suto  auctore  o  confortatore 
«  o  impulsore  di  questa  guerra  ».  —  «  Dico  adunque  che  la  impresa  di  lucha  prima  che  il 
«  populo  fiorentino  la  deliberasse^  a  me  non  pìaceua  et  sconfortauala  sempre,  non  perchè 
«  mi  paresse  ingiusta  o  inhonesta,  ma  perchè  le  guerre  si  tirano  dietro  tanti  mali  et  gua- 
«  stamenti  di  paesi  et  altri  inconvenienti  grandissimi,  che  la  natura  mia,  questi  pensando, 
«  le  rifuge  et  alle  in  orrore;  ma  poiché  deliberata  fu  debbo  dire  et  a  ciaschuno  parere 
«  quello  che  la  città  sua  statuisce  «t  delibera  ».  —  Ora,  se  si  ponga  mente  alla  natura 
della  lettera  italiana  di  Leonardo  aretino,  parrà  chiaro  che  egli  non  scrisse  in  condizioni 
diverse  da  quelle  del  Machiavelli.  La  repubblica,  acremente  biasimata  per  l'operato  suo, 
voleva,  esser  difesa  da  chi  non  doveva  aver  parole  che  non  fossero'  devote  a  lei.  Questi 
dovevano  difenderla  senza  parere  che  quella  potesse  mai  sospettarsi  offesa  o  mal  giudi- 
cata; pertanto  il  segretario  doveva  scrivere  come  di  proprio  e  particolare  impulso,  come 
rispondendo  ad  altra  lettera  particolare;  ma  nel  rispondere  doveva  far  sentire  come  non 
8i  conveniva  a  particolari  presuntuosamente  giudicare  delle  cose  pubbliche,  come  non  si 
conveniva  a*  cancellieri  esprimere  mai  un'opinione  personale  che  non  consuoni  colla  pub- 
Mica  ed  officiale,  che  essi  sono  obbligati  ad  esprimere.  Era  questo  genere  di  lettere  un 
espediente,  un  mezsto  termine  di  consuetudine,  una  codardia  avvocatesca,  che  il  governo 
metteva  in  giuoco  per  proteggersi  dal  danno  e  dalla  vergogna  d'atti  ingiusti  %  Chi  sa  !  Man- 
cavano allora  giornali  officiosi,  e  la  hecessità  doveva  spingere  ad  escogitare  alcun  com- 
penso. Porse  il  compenso  era  in  queste  lettere.  Dai  brani  che  rechiamo  della  lettera  di 
Leonardo  e  da  quella  di  Niccolò,  tragga  il  lettore  quelle  relazioni  d'analogia  e  quelle  con- 
clusioni che  più  gli  parranno  ragionevoli. 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDo]  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO,  15» 

M/*  S/'  notare  d' infamia  una  tanta  repubblica  quale  è  questa, 
ne  voglio  lasciare  fare  iudicio  ad  uoi:  perchè  di  quello  che 
dite  contro  ad  qualunque  potentato  d'Italia  se  ne  ha  più  ad 
risentire  e'  S/*  vostri  che  'alcuno  altro  :  perchè  sendo  uoi  la 
lingua  loro,  si  crederrà  sempre  che  quelli  ne  sieno  contenti,  e 
cosi  venite  ad  partorir  loro  odio,  senza  loro  colpa.  Né  io  mi 
sono  mosso  ad  scrivere  tanto  per  purghare  le  calunnie  di  che 
voi  notate  questa  città,  quanto  per  advertire  voi,  adciò  per  lo 
advenire  siate  più  savio,  il  che  mi  pare  essere  tenuto  ad  fare, 
sendo  noi  sotto  una  medesima  fortuna.  Fra  molte  cose  che 
demostrano  lo  homo  quale  e' sia,'  non  è  di  poco  momento  el 
uedere  o  come  egli  è  facile  ad  credere  quello  che  gli  è  decto, 
o  cauto  ad  fingere  quello  che  vuole  persuadere  ad  altri;  in 
modo  che,  ogni  volta  che  un  crede  quello  che  non  debbe,  o 
male  finge  quello  che  vuole  persuadere,  si  può  chiamare  e 
leggieri  e  di  nessuna  prudentia.  Io  voglio  lasciare  indietro  la 
malignità  dello  amico  nostro,  demostrato  per  queste  vostre  let- 
tere ;  ma  solo  me  distenderò  in  demostrarvi  quanto  ineptamente 
o  voi  hauete  creduto  quello  ui  è  suto  referito,  o  fincto  quello 
desideravi  si  disseminassi  ih  infamia  di  questo  stato.  Io  vi  rin- 
gratio  prima  della  congratulatione  fate  col  pisano,  per  la  gloria 
che,  ad  vostro  judicio,  hanno  adquisiata  ^t  per  la  infamia  che 
hauiamo  reportato  noi,  condonando  tucto  alla  affectione  ci  por- 
tate. Dipoi  ui  domando:  come  può  stare  insieme,  che  questa 
città  babbi  speso  un  tesoro  da  non  poterlo  estimare,  e  li  pi- 
sani si  sieno  difesi  sanza  fraude  di  Pagolo  Vitelli,  come  voi 
volete  inferire?  perchè,  se  vi  ricorderà  bene,  lo  esercito  fioren- 
tino si  adcostò  ad  Pisa  si  gagliardo  e  si  bene  pagato,  e  a  tale 
progredì  in  pochi  di,  come  dimostrò  la  fuga  di  messer  Pietro 
Gambacorti  e  la  paura  uostra,  che  se  la  fraude  vitellescha 
non  ui  intercedeva,  né  noi  ci  dorremmo  della  perdita,  né  voi 
ve  ne  rallegreresti.  Appresso  ui  domando:  quale  sana  mente  o 
quale  bene  edificato  ingegno  si  persuaderà  o  che  Pagolo  Vi- 
telli ci  babbi  prestati  danari,  o  che  la  cagione  dello  hauerlo 
preso  sia  per  non  pagarlo  ?  né  vi  aduedete,  pouero  huomo,  che 
questo  totalmente  excusa  la  città  nostra  e  accusa  Pagolo?  per- 
ché ogni  volta  che  un  crederrà  che  Pagolo  ci  babbi  prestati 
danari,  crederrà  de  necessitate  che  Pagolo  sia  tristo;  non  po- 
tendo hauere  avanzato  danari,  siccome  ognun  sa,  se  non  per 
corruptione  factegli  perché  c'inghanassi;  o  per  Tion  hauere  te- 
nuto ad  un  pezo  la  compagnia;  donde  ne  nascie  che,  o  per  non 


Digitized  by 


Google 


IflO  INTRODUZIONE.  [libro 

hauere  voluto,  sendo  corropto,  o  per  non  hauere  potuto,  non 
hauendo  la  compagnia,  ne  sono  nati  per  sua  colpa  infiniti  mali 
ad  la  nostra  (impresa).  E  merita  V  uno  o  l'altro  errore  o  tucta 
due  insieme,  che  possono  stare,  infinito  (castigo).  (Alle)  altre 
parti  della  lettera  vostra,  per  essere  fondate  tucte  in  su  questi 
due  (capi)  non  mi  occorre  respondere,  ne  mi  scade  etiam  justi- 
ficarui  la  captura  come  cosa  che  non  mi  si  aspecta  ad  farla: 
et  quando  mi  si  aspectassi,  ad  uoi  non  si  richiede  lo  intenderla. 
Solum  vi  ricorderò  che  njon  ui  rallegriate  molto  della  praticha 
che  uoi  dite  andare  attorno,  non  sapiendo  maxime  le  contrap- 
pratiche  che  si  fanno.  Et  admunirovvi  fraterno  amore  che 
quando  pure  uoi  uogliate  per  lo  advenire  seguitare  nella  nostra 
captiua  natura  di  offendere  sanza  alcuna  nostra  utilità,  uoi 
offendiate  in  modo  che  ne  siate  tenuto  più  prudente  ». 

A  noi  par  ben  possibile  in  questa  ramanzina,  fatta  con 
più  sussiego  che  fraterno  amore,  <5hecchè  lo  scrittor  ne  dica, 
di  riconoscere  il  pensiero  del  Machiavelli,  la  sua  logica,  la 
concisione  efficace  dell'espressione  sua.  Come  altresì  ci  sembra 
che  da  questo  ideale  della  persona  del  cancelliere,  ^  quale  ci 
ce  lo  descrive  in  questa  lettera,  facesse  il  possibile  per  non 
allontanarsi  mai.  E  si  ch'egli  ebbe  a  capitare  in  contingenze  dif- 
ficili, in  cui  la  pubblica  opinione  mutava  col  mutar  delle  Si- 
gnorie, e  il  potente  dell'oggi  poteva  esser  la  vittima  dell'in- 
domani, e  al  terzo  giorno  aver  vendetta  e  onoranze  come  un 
martire. 

Pigliamo  il  caso  del  Savonarola,  ed  osserviamo  anche  per 
questo  che  prudente  gradazione  s'incontra  tra  i  giudizi  ch'egli 
dà  del  frate,  dal  tempo  eh'  ei  rimane  in  officio,  fino  al  giorno 
in  cui,  remoto  per  buon  tratto  dalla  vita  di  palazzo,  dall'ob- 
bligo  di  serbare  conveniente  riguardo  verso  i  parteggiatori 
dell'arso  domenicano,  può  esporre  la  sua  opinione  netta  e  si- 
cura. 

Pigliamo  prima  di  tutto  gli  Estratti  di  lettere,  e  facciamo 
ragguaglio  tra  quelli  che  sono  pretto  e  secco  lavoro  officiale 
e  gli  altri  post  raortem  Cosimi.  Si  noti  nella  brevità  di  questi 


*  L'idealo  della  persona  dell'ambasciatore  oi  ce  lo  descrisse  nella  Istruzione  a  messéfr 
Ifaffaello  d'Averardo  di  Bemardetto  de' MedÀci,  quando  andò  in  Ispagna  ambasdadore 
all'imperatore.  Questo  importante  scritterello  ebbe  ad  esser  composto  nell'autunno  del- 
l'anno 1522.  È  osservabile  che  in  quello  non  si  fa  alcun  accetino  tivcdv  Ttpcolr.xsi  rf  rreXct 
AO-;'cv  Trapà  -Trpgal^rjToG  Xapelv,  luogo  memorabile  e  che  avrebbe  potuto  opportunamente  ci- 
taiti  dell'orazione  di  Demostene  Trtpl  r^;  irapairpsoPsla;,  che  Marcello  Virgilio  aveva  tra- 
dotto, e  che  a  Niccolò  sarebl)e  stato  facile  conoscere,  senza  aver  bisogno  di  saper«  di 
greco. 


Digitized  by 


Google 


8BCOMDO]  ZA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  161 

ultimi  appunti  che  frizzo  epigrammatico,  che  sapore  mordace, 
che  satira  amara  spiccia  fuori  a  ogni  inciso:  ^ 

«  Fra  Girolamo  prometteva  e  minacciava  —  fece  fare 
mille  orazioni  e  venire  la  tavola  di  nostra  donna  in  Firenze 
—  tornò  fra  Girolamo  dal  re:  disse  averli  letto  il  padre  del 
porro:  *  ordinossi  legge  per  conforto  del  frate  che  non  si 
potesse  far  parlamento  >. 

E  più  oltre:  «Fra  Girolamo  in  questi  tempi  faceva  il 
diavolo  —  predicò  il  frate  in  questi  tempi  la  predica  d'esser 

ito  al  cielo; ^  fu  chiamato  dal  papa  :  ricorreva  a' potenti  per 

aiuto  —  le  male  contentezze  in  Firenze  erano  grandi  :  chi  bia- 
simava una  cosa  e  chi  un'altra;  il  frate  chi  lo  amava  e  chi 
no  —  i  forestieri  vi  dileggiavono  dicendo  che  uoi  eri  usciti 
dalle  mani  dei  Medici  et  entrati  in  quelle  del  frate*  —  il  car- 
nasciale si  fece  in  Firenze  con  le  processioni  —  fra  Girolamo 
schiamazzava  et  aueua  fatta  una  combriccola  di  fanciulli  et 
un  fra  Giuliano  da  Ripa,  suo  seguace,  fu  preso  per  cicala  — 
proibirono  il  parlare  contro  a  frate  Girolamo,  et  gastigarono 
il  Geo  ^  che  faceva  i  sonetti  contro  di  lui  —  ponevano  silenzio 
ai  predicatori  che  predicassino  contro  al  frate  r-  Piero  (degli 
Alberti,  gonfaloniere)  cominciò  a  disputare  s*  egli  era  bene  che 
il  frate  predicasse  o  no  :  a  chi  pareva  et  a  chi  non  pareva.  — 
Et  in  questa  disputa  predicando  a'  4  di  maggio  in  Santa  Maria 
del  Fiore  si  levò  tumulto  per  un  roniore  fatto  in  chiesa;  ar- 

1  Machiavelli,  Opere  ed  ult.,  yol.  ii,  pag.  250-262. 

*  Intende  deirandaUt  del  Savonarola  a  Carlo  Vili,  che  insolentiva  colla  città.  «  Dire 
a  nno  il  padre  del  porro,  scrive  il  Varchi  {Ercolano,  pag.  99),  e  cantargli  il  vespro  o  il 
mattutino  degli  Erminij,  significa  riprenderlo  e  accilsarlo  alla  libera  e  protestargli  quello 
che  avvenire  gli  debba  non  si  mutando  ». 

*  Fu  la  predica  del  maggio  1495,  la  quale,  a  detta  anche  del  Villari,  «  pare  che  sol- 
levasse alcune  critiche  e  contraddizioni  nella  città,  giacchi^  troviamo  .  che  in  una  lettera 
cui  afnieum  de/tcientem  il  Savonarola  se  ne  lanftnta;  affermando  che  quelle  dicerie  erano 
mosse  da  malignità  »  (Villari,  Savonarola  e  i  suoi  tempi,  cap.  vi,  pag.  305).  Il  signor 
Villari  medesimo  riconosce  questa  predica  essere  effetto  di  fantasia  alterata.  V.  anche  quel 
che  il  chiaro  autore  dice  del  «  dialogo  della  verità  profetica  »  del  frate  domenicano  (ibid.) 

*  V.  il  carteggio  di  Ricciardo  Becchi,  oratore  fiorentino  in  Corte  di  Roma,  fra  i 
Jfuovi  documenti  e  studi  intomo  Girolamo  Savonarola^  Firenze  1878,  pag.  64-78.  Scrive 
fra  gli  altri:  «ex  Urbe,  die  xxvi  martii  1496  cursim:  Basta  che  siate  dileggiati  et  derisi 
da  lasciarvi  governare  da  un  frate  »  ecc.  Cf.  i  Documenti  pisani  intomo  a  Fra  Savona^ 
rota  pubblicati  dal  Lupi.  Arch.  storico,  t.  xiii,  pag.  180-190.  — 

<  Il  Nbrli,  ne' Commentari  (lib.  iv,  pag.  74),  reca  la  coda  d*uno  di  questi  sonetti  : 

«  O  Dio  per  qual  peccato 
Consenti  Tu  che  Firenze  rovini 
A  petixion  di  (Quattro  cittadini 

Ambisìosi  e  fini 
Ch*han  fatto  sottilmente  un'idolatria 
Solo  per  usurparsi  questa  patria?  » 

V.  la  frottola  di  ser  Antonio  Musi  contro  il  Savonarola,  e  la  condanna  ch'ebbe  per 
questa,  pubblicata  dal  Passbbiki  {Giornale  storico  degU  arch.  tose.,  voi.  ii,  pag.  80  e  segg.) 

ToMMAScs'i  -  Machiavelli.    -  12 


Digitized  by 


Google 


Itó  ISTRODC^rOXE. 

mossi  la  parte  sua,  et  lo  rimenorao  a  casa,  et  Giovan  Batista 
Ridolfi  prese  l'arme  per  il  frate  —  gli  Otto  avevajio  interdette 
le  prediche  a  ciascuno  per  levar  via  gli  scandoli  —  di  luglio 
a'  8  dì  *  (1497)  vennono  da  Roma  escomuniche  contro  a  fra 
Girolamo  et  suoi  fautori  —  per  mostrare  i  cittadini  frateschi 
che  fra  Girolamo  era  buono,  se  ne  soscrisse  più  di  400^  — 
vennono  fanciulli  di  fra  Girolamo  alla  Signoria  a  pregare  che 
predicasse  —  fu  preso  un  frate  del  Carmine  che  predicando 
prediceva  —  fra  Girolamo  faceva  processioni  per  il  convento, 
et  facevasi  reputazione  —  fece  fra  Girolamo  el  di  del  natale 
di  Cristo  una  processione  in  su  la  piazza  di  San  Marco,  la 
croce  innanzi,  fanciulli  poi,  frati  poi,  poi  uomini  et  donne  con 
croci  rosse  in  mano,  gridando:  viva  Cristo. —  Partito  messer 
Domenico  (Bonzi)  da  Firenze  con  commissione  d'impetrare  venia 
che  il  frate  predicasse,  e'  fautori  del  frate  feciono  i  gradi,  et 
rizzoronli  in  chiesa,  donde  ne  erano  suti  levati.  Il  frate  come 
aveva  fatto  tutto  il  verno,  attendeva  a  fare  processioni  a  Fie- 
sole et  in  Firenze  per  li  conventi:  et  stando  la.ciftà  divisa 
che  predicherebbe  et  no,  il  primo  dì  di  quaresima  venne  a 
predicare  con  una  gran  turba.  Disse  nel  predicare:  ego  autem 
constitutus  sum  rex,  e  scrisse  le  parole  nel  pergamo;  et  nel 
predicare  esclamò  più  volte,  che  se  mai  e' chiedeva  perdono 
di  quella  scomunica,  che  il  diavolo  ne  lo  portasse.  Veniva  la 
creazione  del  nuovo  magistrato  sopra  il  quale  si  sperava  che 
il  frate  avesse,  secondo  la  elezione,  a  morire  o  vivere.  Erasi 
comunicato  il  frate  pubblicamente  e  fattosi  il  di  di  carna- 
sciale el  fuoco  in  su  la  piazza  de'  Signori,  et  una  processione, 
dove  volorno  gatte  e  polli  morti.  —  Entrata  la  nuova  Signoria, 
vennono  lettere  da  Roma,  per  le  quali  il  papa  di  nuovo  esco-.  • 
municava  il  frate  e  chi  T udiva:  onde  lui  si  ritrasse  in  san* 
Marco,  ui  Jesus  qui  absconclit  se.  —  Venneno  nuove  lettere 
del  papa,  che  minacciavano  la  città,  che  il  frate  si  mandasse 
a  Roma,  alias  che  procederebbono  contro  alla  città.  Fecesi 
pratica  addi  9  di  marzo  sopra  queste  lettere.  —  I  Compagnacci 
cominciarono  ad  ebollir  contro  il  frate.  —  11  frate  cominciò  a 

*  Questa  data  è  inesatta.  Il  Machiavelli  deve  alludere  alla  scomunica  pubblicata  a'  dì 
18  di  giugno  dello  stesso  anno,  e  alla  quale  allude  il  Bracci,  mandatarìp  segreto  a  Roma, 
in  una  sua  lettera  ai  Dieci  in  data  «  Rome  xxvii  junii  mcccclxxxxvii,  Intendendo  che  fra 
Hieronimo  era  stato  declarato  costi  excommunicato,  per  opera  di  privati  cittadini  »  ecc. 
Dac.  cit.f  pag.  00. 

•  Cf.  la  lAatra  cit.  più  sopra,  pubblicata  dal  Portigli.  V.  anche  la  Consulta  circa  la 
medesima  sottoscrizione,  fatta  «  die  dominicOf  de  sero,  nono  julii  ii97  *  edita  dal  Lupi, 
Arch.  storico,  serie  ni,  t.  ni,  pag.  28. 


Digitized  by 


Google 


fecondo]  la  città  e  il  PALAZZO.  Ifl8 

dire  che  entrer-ebbe  nel  fuoco,  fra  Domenico  ad  affermare  :  un 
frate  di  San  Francesco  ad  uccellarlo.  Elessesi  cittadini  a  pra- 
ticare questa  cosa:  ^  condussonsi  innanzi  alla  Signoria:  feciono 
il  contratto  di  chi  dovesse  entrare  nel  fuoco;  che  per  la  parte 
di  san  Francesco,  uno  de*Rondinelli,  ^  per  la  parte  di  san 
Marco,  fra  Domenico  da  Pescia.  —  Sbarrossi  la  piazza.  —  Fe- 
cesi  il  palco  in  piazza.  —     .  • 

Divisesi  la  loggia  per  li  frati  et  fu  addi  7- d'aprile  in  sa- 
bato santo. 

Piovve  crudelmente.  — 

Vennono  prima  san  Francesco  e  poi  san  Marco. 

Erano  armati  i  gonfaloni  alla  guardia. 

Vennono  a  spogliarsi  le  vesti,  et  poi  fra  Girolamo  volse  che 
il  suo  andasse  con  il  Corpo  di  Cristo  in  mano  :  fu  questo  il  sabato. 

La  domenica  si  levò  il  remore  in  santa  Reparata:  corsesi 
in  piazza:  la  Signoria  si  ristrinse.  Lanfredino  proposto,  disse 
che  s'unissino.et  farebbe  ogni  cosa. 

Tutta  notte  a  San  Marco.  Fu  preso  il  frate.  —  Venne  in 
Firenze  ad  esaminare  fra  Girolamo  quello  che  fu  poi  cardi- 
nale et  il  generale  del  loro  ordine,  ^  et  di  poi  l'arsone  con 
due  frati,  addì  22  di  maggio  ».  — 

Cosi  questa  seconda  cronica  del  Machiavelli,  con  pochi 
tratti  incisivi,  ci  fa  rilevare  la  condizione  vera  del  Savonarola, 
in -Firenze,  meglio  che  non  sia  dato  rappresentarcela  per  par- 
ticolari racconti. 

Che  se  questo  domenicano  collo  splendore  dell'eloquenza 

e  con  più    cordiali  procedimenti  verso  la  città  riusci  a  esser 

contradistinto  per  antonomasia  col  titolo  di  frate,  non  è  men  vero 

i#.  ch'ei  si  moveva  a  contrasto  con  altri  frati  parecchi,  e  che  tutti  in- 

isieme  mettevano  Firenze  in  tal  confusione  che  mai  la  maggiore. 

Già  prima  di  lui  frate  Bernardino  da  Feltro  l'aveva  col 
suo  predicare  commossa,  caldeggiando  l'estirpazione  dei  Giudei 
e  la  fondazione  del  monte  di  pietà,  che  il  Savonarola  seppe 
poi  recare  u  compimento.  E  già  in  allora  a  frate  Bernardino 
da  Feltro  fu  giudicato  espediente  toglier  la  licenza  di  predi- 
care. ^  Quando  poi  fra  Mariano  da  Genazzano,  fra  Domenico 

.    1  Vedi  i  bellissimi  Consigli  nella  audientia  sopra  la  offerta  facta  da*  prati  Predicatori 
«t  Minori  d'entrare  nel  fuoco j  neir Archìvio  storico  it.,  serie  3^,  t.  in,  pag.  55  e  segg. 

*  Fra  Giuliano  de'Rondinelli. 
3  Furono  Francesco  Romolino,  vescovo  d*Ilerda,  detto  poi  il   Cardinale  fRomolino,  e 

Gioacchino  Turriano,  generale  dei  domenicani.  Morirono  col  Savonarola  fra  Domenico  da 
Pescia  e  fra  Salvestro  Maruffl. 

*  Pabkkti,  Storie  ms.j  a.  14^3. 


# 


Digitized  by 


Google 


V 


.64  INTRODUZIONE.  [LiBR«y 

da  Ponsa,  frate  Jacopo  da  Brescia  e  altri  frati  d' ogni  regola^ 
concorrendo  con  quel  da  Ferrara,   si  dividevano  la  città  e  il 
contado   e  riducevano  a  conventicole  politiche  le  chiese    del 
Dio  unico,  la  Signoria  venne  in  tali  difficoltà,  che  dovè  inter- 
dire a  tutti  di  più  salire  il  pergamo. 
,        •  Ora,   certo  si  è  che,  quantunque  frate  Girolamo  schiet- 
j  tamente  ardesse  del   più  puro   amore  del   bene,  per  la  con- 
;  dizione  de' tempi  in  cui  versò,  per  l'abuso  delle  sue  fantasti- 
'  cherie  profetiche,  non  poteva  a  Firenze  e  all'Italia  tutta  ca- 
\  gionare  peggior  male  di  quello  che  apportò  in  fatto.   Dappoi 
che  nel  momento  che  un  re  e  un  esercito  oltramontano  si  ver- 
savano dall'Alpi  sopra  all'Italia,  egli,  sperando  da  quello  la  ri^ 
formazion  della  Chiesa,  eccitò  a.  stare  ad  attendere  tutta  quella 
barbarie  a  braccia  aperte,  come  una  grazia  e  una  benedizione 
di  Dio.  Se  egli  sferzò  e  screditò  con  parola  onesta  la  corru- 
zione papale,  operò  che  non  fosse  udita  la  paròla  del  ponte- 
j    fice,  quando  questi   confortava  tutti  a  esser  b.uoni  Italiani  e 
f    collegarsi   contro  il  tiranno   d' Italia,  ^   come   il  Borgia  chia- 
mava il  re  di  Francia.  Se  era  òttima  cosa  ch'egli  attendesse 
alla  purificazione  de'  costumi  e  a  risvegliare  l'ossequio  della  legge 
eterna,  commetteva  errore  grandissimo  a  sgomentare  il  popolo, 
per  raggiungere  questo  buon  fine,  come  faceva,  e  minacciarlo 
:  '  di  guerra,  di  peste  e  di  fame.  ^  E  ce  ne  fa  fede  il  Parenti,  il 
\  quale  fu  testimone  oculare  de'  successi  e  de'  processi  del  frate, 
;  il  quale  non  era  certo  né  d' animo  guasto,  né  partigiano  della 
*  tirannide,  né  irriverente  alle  cose  di  religione;  ma  quantunque 
'  sentisse  e  ardentemente  dicesse  in  Consiglio  grande  che  vero 
fondamento  al  difendersi  era  la  unione  de'  cittadini,  «  oltre  alla 
forza,  la  quale  massime  consisteva  nel  vivere  popolare,  »  ^  non 
potè  esser  mai  de' frateschi,  non  potè  sopportare  che  un  visionario 

^  Parenti,  Ut.  ms..  dicembre  1495,  gennaio  1495-96.  Vedi  anche  ne*  citati  Nuovi  Doc. 
e  studi  intorno  al  Satonarola^  pag.  80,  la  lettera  del  Bracci  ai  Dieci,  in  cui  riferendo 
questi  le  parole  del  papa,  scrive  :  «  nostro  precipuo  studio  et  intento  è,  come  sa  el  nostro 
Signore  Dio,  di  unire  insieme  et  fare  uno  intero  et  medesimo  corpo  di  tucta  Italia  »,  e  pro- 
mette, quando  i  Fiorentini  entrino  nella  lega,  restituir  Pisa,  «  con  questo,  che  voi  vi  acco- 
stiate a  noi  et  siate  buoni  italiani,  lassando  li  Franzesi  in  Francia,  et  di  questo  vogliamo 
da  voi  et  sicurtà  et  altra  obligatione  che  di  parole  ». 

'  Parenti,  1.  e,  febbraio  1495-96.  «  Imperocché  ne  seguiva  che  e*mercatanti  ratteneano 
le  loro  opere,  et  non  si  lavorando,  il  popolo  minuto  gravemente  a  patire  ne  venia;  prae- 
terea  si  effeminavano  troppo  gli  animi  ne* tempi  a  guerra  disposti,  et  bisognandosi  difen- 
dere con  Tarmi,  non  erano  bastanti  Torationi  ». 

*  Id.  ib.,  addi  XXXI  nia^io  1495.  Il  Parenti  fecesi  anche  ad  esortare  che  i  nobili 
donessero  giù  il  primato  e  rinunsiassero  all'ufficio  dei  venti  accoppiatori.  «  Onde  in  narti- 
colare  grandemente  commendato  ne  fui,  per  il  primo  essere  stato  che  tali  persuasioni  in 
pubblico  movessi». 


Digitized  by 


Google 


secondo] 


Lk  CITTA  E  IL  PALAZZO. 


16S 


mettesse  a  cimento  la  salute  della  città  e  la  sprovvedesse  di 
Ogni  aiuto,  colla  sola  buona  ragione  che  a  quelle  sue  visioni 
credeva  in  buona  fede.  Epperò,  morto  che  il  vide  insieme  ai 
suoi  due  compagni,  e  indegnamente  morto,  poiché  cadde  per 
la  mano  vendicativa  di  quella  curia  eh'  egli  avrebbe  voluto  coi 
tutti  suoi  sforzi  purificare  ;  riguardando  con  animo  di  buon  fi^ 
Tentino  le  tristi  condizioni  della  sua  repubblica,  era  impossibil 
non  sentisse  maggior  pietà  per  questa  che  per  quei  caduti, 
non  esclamasse:    «Incompensabile  fu  il  danno  ricevutosi  pe 
questa   città  da  e'  sopraddecti  frati:  fecionci  spendere  inutil- 
xnente  grandissimo  tesoro:  tennonci  la  città   divisa:  et  occa- 
sione furono  della  morte  et  disfatione  di  molti  nostri  cittadini 
et  non  degli  ultimi  ».i 

E  come  il  Parenti,  doveva  pensarla  Niccolò,  a  giudicarne 
da  tratti  profondamente  incisivi  degli  appunti  che  abbiam  re- 
cato. Forse  quando  gli  ordinava  a  quel  modo,,  dovea  già  fre- 
mergli nella  mente  il  disegno  d' argutissime  pagine  di  storia 
in  cui  gli  fosse  dato  descrivere  T  infratescarsi  della  libertà, 
r  inteologarsi  della  politica  popolare,  il  trionfjire  della  fantasia 
ascetica  sul  genio  civile.  Ma  se  tutto  questo  vagheggiava  presso 
air  ultimo  stadio  della  sua  vita,  e  non  tanto  per  cozzar  colle 
povere  lane  del  frate,  quanto  per  guarire  quella  fazione  che 
gli  avea  sopratwissuto,  osserviamo  com'egli  trattò  del  Savo- 
narola ne' tempi  precedenti. 

In  una  lettera  de' di  4  di  marzo  149|  diretta  ad  un  amico 
prete  in  Roma,  ^  ci  si  offre  il  primo  giudizio  di  Niccolò  intorno 
alle  prediche  del  domenicano.  In  quella  espone  l'argomento  e 
l'ordine  della  prima  predica  di  lui  in  san  Marco,  nella  quare- 
sima di  queir  anno.  In  quella  predica  il  nostro  domenicano, 
come  poi  fece  Lutero,  distingueva  il  fine  di  tutti  gli  uomini 
da  quello  de'  cristiani ,  i  quali  hanno  per  solo  fine  Cristo. 
«  Degli  altri  uomini,  e  presenti  e  passati,  è  stato  ed  è  altro 
secondo  le  sette  loro  ».  La  quale  distinzione  dovea  bastare  ad 


r 


1  Parenti,  litoria,  mss.  ad.  annum. 

*  Nelle  edizioni  è  lasciato  al  buio  il  nome  della  persona  cai  fu  indirizzata  questa  let- 
tera, che  tra  le  famigliari  è  la  seconda.  Se  ci  fosse  permessa  una  congettura,  supporremmo 
che  Nfccolò  abbiala  potuto  mandare  probabilmente  o  a  un  don  Clemente  di  Pietro,  presbitero 
0  a  un  don  Giusto  di  Iacopo,  chierici  fiorentini  ambedue,  che  intervennero  a  giurar  per  lui  in 
on  atto  di  stipulazione,  rogato  addi  xxi  gennaio  1498  per  istrumento  di  Francesco  Pagno 
di  Pescia.  notaio  apostolico,  pel  quale  Niccolò  acquistava  da  messer  Tebaldesco  de'Tebal- 
deschi,  sollecitatore  apostolico,  làico  romano  ds  regione  Parionis,  la  metà  de*  redditi  del- 
roUldo  suo  di  sollecitatore  «  per  precio  de  ducati  cento  sexaginta  cinque  doro  in  oro  di 
Camera  ».  Quest'atto  venne  pubblicato  dal  GaspaboMi  nel  giornale  II  Buonarroti^  voi.  ni, 
Roma,  1866,  pag.  62. 


Digitized  by 


Gqogle 


1« 


INTRODUZIONE. 


[UBBO 


r^\i 


.c^  x^ 


-(•^ 


evitare  da  quindi  in  poi  la  confusione  della  chiesa  collo  stato; 
ma  a  parlare  schietto,  riusciva  questa  una  verità  cosi  nuova, 
che  ninno  per  allora  pensò  a  tirarne  conseguenze  ;  anzi  la  con- 
fusione durò  si  lunga,  che  il  primo  pensiero  de' rinnovatori 
andava,  come  andò  quello  del  Ferrarese,  a  far  piuttosto  una 
chiesa  o  una  frateria  dello  stato,  che  non  a  emancipare  lo  spirito 
di  Cristo  da  quello  mondano,  e  ad  assegnare  a  ciascuno  la  sfera 
sua  propria  d'azione.  Niccolò  seguita  a  scrivere  del  Ferrarese: 
<  e' cominciò  a  squadernare  i  libri  vostri,  o  preti,  e  trattarvi  in 
modo  che  noù  ne  mangerebbero  i  cani».^  E  questa  era  la  parte 
veramente  apostolica  che  il  Savonarola  sosteneva,  quando  co- 
raggiosamente lottò  per  la  riforma  della  disciplina  del  clero  e 
per  la  purgazione  della  chiesa.  E  se  a  questa  ei  si  fosse  sem- 
plicemente attenuto,  senza  brigarsi  né  di  predizioni  ne  di  pro- 
nostici, né  di  viaggi  in  paradiso,  né  di  colloqui  colla  Vergine, 
né  d' intreccianjenti  del  giglio  fiorentino  con  quelli  di  Francia, 
egli  avrebbe  avuto  più  devoti  che  partigiani,  non  si  ^sarebbe 
perduto  fra  i  meandri  della  politica,  non  avrebbe  contradetto 
a  sé  stesso,  aUe  massime  proprie,  alle  leggi  da  lui  promosse, 
e  il  Machiavelli  l'avrebbe  senza  forse  celebrato  come  San. Fran- 
cesco e  San  Domenico,  che  sostennero  cogli  omeri  loro  la  va- 
cillante chiesa  e  la  tornarono  a' suoi  puri  principi. 

Ma  osservando  invece  come  quegli  ne' scritti  suoi  mostrò 
la  dottrina,  la  prudenza  e  la  virtù  dell'animo;  e  ne' fatti  poi 
comparve  ambizioso  e  partigiano,  ^  più  forse  per  monastica  qua- 
lità e  inesperienza  che  per  altro;  e  non  sapendo  conciliare  la 
recia  ratio  agibilium  del  frate  scrittore  con  la  temerarietà  del 
frate  politico;  ebbelo  in  conto  di  ciurmatore,  di  abbindolatore  del 
popolo,  la  quale  opinione  ricopri  con  que'  termini  ambigui,  che 
lo  facessero  salvo  presso  a'  frateschi.  ^  Ma  non  si  tenne  di  com- 


^  L^autografo  di  questa  lettera  (Bibl.  Naz.,  doc.  Mac.  busta  i,  n.  58)  à,  a  questo  passo  : 
«  che  non  vi  harebbono  mangiato  e  cani  ».  E  Ugolino  Vebini,  nella  sua  InveUwa  contro 
il  Savonarola  {Nuovi  Docum.  e  studia  ecc.,  pag.  197)  :  «  contra  omnes  pariter  invectus 
cuiuscumque  ordinis  ut  solus  sibi  nomen  sanctitatis  arriperet,  Cleram  in  primis  magna  su- 
perbia lacerabat  neroini  parcens;  tanquam  regulufl  linguae  virus  effudit  ». 

*  M.,  Discorsi,  lib.  i,  cap.  xlv. 

*  Discorsi,  lib.  i,  e  xi.  L*  ironia  d'alcuni  passi  del  Machiavelli,  risguardanti  il  Savo- 
narola, non  comparve  talvolta  agli  stessi  biografi  di  questo.  U  Villari  (op.  cit.  voi.  i, 
pag.  2S5),  osserva  come  nel  primo  Decennale  lo  dicesse  :  a/flato  di  virtù  divina;  ma  quel 
che  seguita  basta  a  provare  quanto  poco  Niccolò  credesse  in  quella  divina  virtù,  che  fa 
spenta  con  maggior  foco.  Inoltre  nelle  lacune  che  vennero  lasciate  nell'edisione  del  Pa- 
renti (Fir.  1843)  alla  lettera  xlix,  tra  le  famigliari  di  Niccolò  al  Guicciardini,  e  che  noi, 
mercè  dei  Codici  Giulian  de* Ricci  e  Barberiniano,  riempimmo,  v*à  un  passo  che  dice,~a 
proposito  d*un  predicatore  che  quegli  do vea  trovar  per  Firenze:  «Io  vorrei  trovarne  uno 
più  pazzo  che  il  pazzo,  più  versuto  che  fra  Girolamo,  più  ipocrito  che  fra  Alberto,  perché 


Digitized  by 


Google 


secondo]  la  città  e  il  PALAZZO.  167 

battere  apertamente  l'eredità  funesta  del  frate,  quella  serie 
di  massime  che  riduceva  la  religione  nostra  ad  essere  tutta 
contemplativa,  astinente,  oziosa  ;  e  volgeva  la  città  in  chiostro, 
e  faceva  dell'estasi  la  condizione  permanente  degli  uomini,  e  la 
beatitudine  loro.  *  Ma  tutte  queste  esortazioni,  queste  consi- 
derazioni," queste  opinioni  intorno  al  Savonarola  si  fanno  nel 
Machiavelli  più  esplicite,  com'egli  più  si  allontana  dal  tempo 
in  cui  esercitava  il  suo  uflScio  in  cancelleria.  Nella  prima  let- 
tera sua  è  cauto;  ne' Decennali  è  ironico,  ma  ambiguo;  nei 
Discorsi  è  schietto,  ma  respettivo;  nell'^^mo  par  che  com- 
batta la  massima  e  non  1*  individuo  ;  nella  lettera  al  Guicciar- 
dini finalmente  gli  dà  la  sferzata. 

A  questa  maniera  di  cautele  lo  guidavano  per  verità  non 
tanto  la  coscienza  del  proprio  ufficio  quanto  l' intolleranza  de- 
mocratica, della  quale  non  mancarono  esempi  che  sapessero 
di  ferocia.  L'esempio  di  Giovanfrancesco  di  messer  Poggio  Brac- 
ciolini, doveva  stargli  vivo  d' innanzi  ;  ^  dopo  la  morte  del  Sa- 
vonarola, Giovanni  Garzoni  dall'ambasciatore  veneto,  che  in- 
sisteva perchè  scrivesse  la  vita  di  quello,  ebbe  a  schermirsi  per 
paura  di  non  andare  a  verso,  dicendo  il  vero,  a'  frati  di  san 
Domenico.  ^  Tanto  pareva  pericoloso  il  pronunziare  giudizi. 
Non  è  però  meraviglia  se,  istruito  da  vari  casi  e  stretto  dalle 
circostanze,  Niccolò  educossi  ad  un  riserbo,  che  in  tempi  di  ti- 
rannia non  occorre  l'eguale.  E  questo  riserbo  stesso,  aggiunto 
all'acume  suo,  gli  fece  trovar  grazia  presso  i  potenti  esterni, 
ai  quali  certe  cose  garbava  non  dirle  ed  esser  compresi,  e  star 
senza  tema  che  l'intenzioni  loro  venissero  con  leggerezza  spub- 
blicate. Pertanto  qualche  volta,  in  certe  commissioni  scabrosis- 
sime, in  cui  il  miglior  officio  del  segretario  è  pel  segreto,  lo 
vediamo  risparmiar  lettere;  guardarsi  da  espressioni  che  non  sa 
come  possano  da' suoi  signori  esser  ricevute;  sopportar  volentieri 
il  carico  d'esser  uomo  che  scrive  poco.  Le  lettere  che  scrive, 
registra  a' suoi  quadernucci  in  forma  d'estratto;  ^  talvolta  ne  fa 
e  ne  spaccia  più  copie,  se  teme  che  le  non  abbiano  a  capitar 
male  per  la  difficoltà   delle  vie;  talvolta  involge  nell'arcano 


mi  p&rreKbe  una  bella  cosa,  e  degna  della  bontà  di  questi  tempi,  jche  quello  che  nói  ab- 
biamo sperimentato  in  molti  frati,  si  sperimentasse  in  uno   ». 

>  Machiavelli,  AHno  d'oro.  Capitolo  quinto. 

«  V.  la  nota  2  a  p'ag.  147. 
,    3  Nuovi  DocufMnti  e  Sttcdt  intorno  a  G.  Savonarola^  pag.  10. 

*  V.  in  App.  VAnaiisi  del  Codice   Giulian  de' Ricci,  S  xiv,  e  il  Cod.  Barberiniatw, 
pag.  83,  108,  ecc. 


Digitized  by 


Google 


168     ^  INTRODUZIONE.  [lxbbo 

delle  cifre  il  suo  pensiero  e  le  comunicazioni  di  novelle  pe- 
ricolose ;  e  quando  si  trova  a  tracciar  la  via  ad  altri  del  modo 
da  tenere  nelle  commissioni  e  nelle  ambasciate,  inculca  sopra- 
tutto schivare  la  taccia  e  il  pericolo  di  consigliatore  dei  propri 
signori,  e  indica  i  mezzi  termini  per  introdurre  loro  nell'animo 
certe  deliberazioni,  che  paiano  invece  nate  loro  spontanee,  sì 
che,  rinunciandone  il  merito,  e'  si  acquisti  credito  più  di  fedele 
che  d'avveduto. 

Pertanto  i  Dieci  potevano  scrivergli:  «  Tu  se'  prudente  et 
per  hauere  el  secreto'  di  tutte  le  cose,  non  è  necessario  di- 
scorrerti altritìflenti  el  desiderio  nostro  »;  ^  e  Agostino  Vespucci 
che  vuol  raccomandargli  un  ser  Luca  a  ciò  che  sia  sostituito  in 
cancelleria  al  posto  dell'Alfano,  non  sa  scrivergli  di  meglio  che 
questo:  «  Scis...  qtiantopere  fide  oc  iaciturnitate  valeat,  »  ^  le 
lodi  della  mano  veloce  e  della  buona  penna  vengono  poi:  e  si  che 
a  detta  del  Vespucci  stesso  c'era  da  ammarcire  nel  lavoro;  e 
gran  fortuna  quando  il  Machiavelli  non  era  lungi,  che  colla 
sua  festività  e  colle  celie  riusciva  a  condire  di  buonumore  la 
grave  fatica.  «  E  certamente,  lo -essere  insieme  con  voi,  scrive 
anche  il  Bonaccorsi,  dà  il  tracollo  alla  bilancia». 

E  quando  egli  n'  andava  lontano,  i  pettegolezzi,  i  ranco- 
rucci,  le  questioncelle  astiose  parevano  guastar  la  pace  a  tutti, 
si  che  il  suo  ritorno  come  quello  d' un  patrono  benevolo  e  com- 
positore di  litigi  era  desideratissimo.  ^ 

Ma  tutte  queste  belle  qualità,  naturali  e  acquisite,  non 
bastavano  ad  assicurar  Niccolò  dalle  male  disposizioni  della 
città  faziosa.  Quando  un  governo  di  frateschi  poteva  proibire 

1  Bibl.  Nas.,  doc.  M.,  bnsu  iv,  n.  143. 

*  AUG.  VbspuccAts,  N.  de  Maclavellis,  4tc.,  die  xx  octob.  1500.  Bibl.  Marucelliana, 
ms.  D.  66,  misceli.  Bandini.  Il  Banoini  stesso  la  pubblicò  nella  Colleetìo  vet.  alìquct.  mo' 
num.f  pag.  49  «■  seguenti. 

Non  ci  sembra  inutile  darà  le  varianti  non  libvi  fra  Tautografo  di  questa  lettera  e 
il  testo  dato  dal  Bandini: 

Autografo  :  * 

«  nam  et  a  N.  N.  et  ex  Bles,  regione  qui- 

(lem  longinqua». 

«  Rapha:  Oirolamum  ». 

«  quorum  quinquennium  (sex  annos)  etc.  » 

«  die  XX  octobris  m.d.  tenute  a*  di  29  et 

ecchoti  e' sa.  nr.  Aug.  Vespuccius  tuus  in- 

visissimus  ». 


T.  Bandini,  op.  cit: 

Pag.  50  «  nam  et  a  N.  M.  et  exules  re> 
gione  quidem  longinqua  ». 

Pag.  58  «  Rapha,  Girolaminum  ». 

Id.  «  quorum  quinquennium  pars  ma- 
gna fuimus  ». 

Id.  «  die  XX  octobris  m.d.  Aug.  Ves- 
puccius tuus  ». 

*  Le  lettere  che  maglio  descrivono  le  minute  vicende  di  lui  in  cancelleria  sono  le  se- 
guenti (bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  m,  n.  9,  14,  [15, 16, 17, 18,  19,  21,'«2,  23,  26]  38,  39,  iv 
[79,  80,  81,  82,  83,  84,  36]  93  [102,  108,  104,  105]  119).  Quelle  indicate  fra  parentesi  sono  di 
Biagio  Bonaccorsi.  ^ 


Digitized  by 


Google 


SBCOXDol  LA  CITTA  E  IL  PALAZZO.  169 

a  DoflFo  Spini  e  alla  sua  brigata  d'amici  di  non  fr.re  allegrie  e 
cone;  quando  a  chi  pareva  tristo  e  macero  i  monelli  rican- 
tavano a  rumore  e  ad  insulto  pef  le  vie  V  arrendetevi  pia- 
gnoni; quando  una  foggia  di  vestito  ^  bastava  a  far  credere 
un  uomo  avverso  al  popolo,  e  l'amicizia  e  la  fiducia  de'Sode- 
rini  procurava  l'invidia  e  la  diffidenza  di  chi  tenea  da'  Ru- 
cellai  0  da'Salviati;  come  poteva  essere  che  passasse  illeso  il 
Machiavelli,  il  quale  coli' istituzione  delle  milizie  pareva  a  cer- 
tuni ch'ei  fornisse  puntelli  alla  tirannide,  a  cert' altri  che  se- 
condasse i  capipopolo  e  coli'  andare  in  commissione  fidato,  fosse 
gretto  ordigno  di  chi  comandava;^  ed  era  per  venire  a' popolani 
tutti  in  mille  occasioni  increscioso  colla  sua  propensione  a  partiti 
pronti  e  forti,  pe' quali  si  voleano  sagrifici  d'opere  e  di  danaro? 

In  cosiffatte  condizioni  di  cose  e  d'uomini  i  torbidi  della 
vita  sono  inevitabili  e  un  solo  conforto  li  compensa:  l'amicizia 
dei  buoni,  la  stima  profonda  de' pochi,  di  coloro  che  veggono 
un  uomo  a  tutte  l'ore,  che  ne  conoscono  la  pazienza  lunga, 
modesta,,  energica,  ignota  alla  moltitudine.  Pertanto  gli  Albizi, 
i  Rucellai,  i  Ridolfi,  i  Tosinghi,  i  Soderini  l'avean  carissimo; 
di  quest'ultima  famiglia  Francesco,  che  fu  poi  cardinale  di  Vol- 
terra, gli  die  prove  d'ogni  maniera  di  amorevolezze. 

Quando  messer  Piero,  fratello  di' lui,  fu  scelto  a  gonfa- 


1  Parenti,  Istoria  msa.  (settembre  1501,  n.  159).  «  Circa  xii  giovani  nri  fiorentini  de*  pri- 
mati vennono  tra  loro  in  ragionamento  di  lasciare  e  cappucci  et  mantelli,  et  pigliare  nuoyo 
habito  più  honorevole  et  comodo  et  manco  molesto  alla  testa.  Feciono  veste  aperte  dallato 
a  uso  di  lucco  et  chiuse  dinnanzi,  eccettochò  da}  capezzale  quattro  dita,  donde  comoda- 
mente potessino  mettere  il  capo;  chiamaronle  ughettoni.  Di  sotto  haucuano  gabbanelle  con 
maniche  larghe  et  dovitiose.  In  capo  berrette  con  mezza  piega.  Questo  habito  da  molti  fu 
biasimato  come  incivile  et  cortegiano;  et  reputossi  da  superbia  procedessi,  et  da  intelli- 
gentia  piò  che  da  altra  cagione,  acciò  si  distinguessino  dalli  altri  cittadini  popolari.  Usci- 
rono loro  contro  alcuni  sonetti  sanza  certo  autore.  Altri  commendavano  tale  portatura, 
maxime  fu^endosi  la  molestia  de*cappucci,  gravi  alla  testa  et  motivi  di  scesa».  S'intende 
da  ciò  perché  il  Pitti  intitolasse  la  sua  difesa  del  governo  largo  e  democratico  :  Apologia 
de'cappucci.  In  una  lettera  di  Biagio  Bonaccorsi  a  N.  M.  in  Imola,  Florenliae^  die  XXI 
octotyris  iSOS  (Bibl.  naz.,  doc.  M.,  busta  in,  n.  6)  si  legge:  «  Nicholò,  perchè  hieri  quando 
ricevè  la  vostra  era  festa,  non  potetti  farvi  fare  luchettone  »  ecc. 

*  Rechiamo  a  questo  proposito  il  seguente  brano,  non  poco  invidioso  dal  Discorso  in 
del  QmcciABDiNi,  Opp.  inedite^  voi.  ii,  pag.  283:  «  Non  è  bene  che  la  Signoria  abbia  auto- 
rità di  distribuire  in  cittadini  uffici  di  sorte  alcuna,  non  mandare  imbasciadori  o  commis- 
sari, se  non  in  caso  di  una  subita  necessità  per  breve  tempo,  il  quale  non  si  possi  per  via 
diretta  né  indiretta  prorogare;  né  si  possano  per  simili  cose  mandare  segretari  di  palazzo, 
ne  non  con  deliberazione  delli  Ottanta,  o  di  quel  Consiglio  che  li  rappresentassi,  sondo  la- 
sciato in  simile  modo  il  caso  di  una  necessità  subita.  Questo  serve  e  alli  effecti  detti  di 
sopra  e  a  tórli  modo  di  potere  per  mezzo  di  simili  istrumenti  tenere  pratica  con  principi 
forestieri.  Non  è  bene  che  colle  sei  fave  e' possine  cass'are  magistrato  alcuno  per  alcuna 
causa;  non  cassare  i  cancellieri,  secretarli  pubblici,  perché  questo  timore,  vedendo  che  il. 
Gonfaloniere  lo  possi  maneggiare,  li  fa  stare  sotto  tanto  che  li  sono  uno  mezzo  grande  a 
aggirare  le  cose  delle  leggi  e  dello  stato  a  suo  modo  ;  e  se  ne  è  visto  lo  esemplo  a  tempo 
di  Pier  Soderini  ». 


Digitized  by 


Google 


179  INTRODUZIONE.  L^-ibbo 

loniere  perpetuo,  Niccolò  non  tardò  a  scrivergliene  congratu- 
landosi; e  quegli  subito  gliene  riscrisse:  «  salve,  mio  carissimo; 
non  sarebbe  faccenda  d'un' ora  né  cosa  da  noi  il  rispondere 
alle  lettere  tue  elegantissime;  ma  solo  risguarderò  pel  momento 
l'amor  tuo  verso  la  patria  e  la  famiglia  nostra,  e  ti  ringra- 
zierò  per  q^uesto  e  pregherò  Dio  che  si  degni  assistere  alla  scelta 
e  al  giudizio  del  popolo  fiorentino.  Noi  saremo  sempre  gli  stessi, 
legati  alla  patria  da  tanto  debito,  che  per  essa  e  pe' concit- 
tadini nostri  spenderemo  sempre  ogni  nostra  fortuna  e  la  vita. 
E  poi  che  tu  sei  tale  che  a  nessuno  la  cedi  e  per  amore  e 
per  virtù,  non  sarai  più  per  noi  quel  medesimo  di  prima,  ma 
assai  più  caro  e  più  grato;  però  che,  per  quanto  riguarda  me, 
cosi  possa  io  esser  trovato  degno  di  quei  beni,  di  cui  finora 
la  divina  bontà  volle  ricolmarmi  ;  ma  se  il  caso  e  l' errore  mi 
fecero  pervenire  a  qualche  grado,  io  farò  conto  d'aver  tutto 
ricevuto  per  la  .patria  e  per  gli  amici.  Amami  come  fai  ».  * 

Ed  è  bello  vedere  questo  buon  prelato,  caldo  d'affetto, 
rompere  in  esclamazioni  sincere  per  la  nuova  libertà  (Ji  Fi- 
renze: «  dono  divino  et  non  humano,  nisi  corrumpaiur  malitia 
aut  ignoratione!  »  ed  esortar  Niccolò:  «voi  che  ci  avete  tanta 
parte,  non  mancate  in  alcuna  cosa  nist  velitis  habere  Deum 
et  homines  iratos  ».  ^  Similmente  lo  commenda  talvolta  del  bello 
stile  di  tutte  le  sue  scritture:  <e  Le  cose  scritte  da  uoi  sono 
di  natura  che  le  può  leggere  ogni  castigato  judicio,  et  se  in 
ciò  non  avete  posto  ogni  vostra  industria,  come  uoi  dite,  et 
noi  crediamo,  pensate  di  chQ  prestantia  saranno  le  cose  alle 
quali  metterete  tutta  la  forza  dell'ingegnò  e  dottrina  vostra, 
al  che  vi  confortiamo  quanto  sia  possibile  et  preghiamo  che 
alla  giornata  ne  fate  partecipe  delle  vostre  lucubrazioni  ».  ^ 

E  Niccolò  a  tanta  bontà  e  tanta  fiducia  corrisponde  con 
venerazione  e  stima  profonda,  non  scossa  mai  dalle  mutazioni 
della  fortuna.  Se  si  deve  dir  quel  che  apparisce,  di  tutta  la 
casata  de' Sederini  è  il  cardinal  Francesco  che  gli  pare  più 
uomo.  Piero  è  mite  ed  onesto,  ma  i  capricci  e  l'ostentazione 
ora  ne  coprono,  ora  ne  scoprono  la  debolezza;  Piero  indugia  e 
tollera  e  spera  tutto  dalla  sua  virtù  passiva;  Francesco,  sa 

*  Francisccs   de  Sodbrinis,  jep.   Viilterris    N.   Jf.,  dÌ6    29    sept.  1502    (Bibl.   Nax., 
Apografo  G.  de  Ricci.  V.  in  Appendice  §  xvi. 

■  Fr.  de  Soderink,  N.  M.j  Bononie,  die  xv  dee.  mdvi  (BÌbl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv, 
n.  01. 

*  Fr.  de  Soderin'is,  N.  3f,  compatri  cariss ,  Romae,  die  iii  augn.sti  MDvm  (Bihl,  Naz., 
doc.  M.,  busta  iv,  n.  61). 


Digitized  by 


Google 


8BC02n>o3 


LX  CITTA  E  IL  PALAZZO. 


171 


^che  «  la  troppa  patLentia  da  animo  attristi  dovunque  si  tro- 
vono  et  qualunque  siano  ».i  —  Giovanvittorio  nona  grande  le- 
vatura di  mente;  Paòlantonio  era  stato  troppo  de'frateschi;  e 
quando  questi  e  gli  arrabbiati  Vennero  alle  armi,  e  la  turba 
andò  tumultuante  alle  case  di  lui  per  saccheggiargliele,  chi 
salvò  le  sostanze,  la  dignità  e  ogni  cosa  fu  messer  Francesco, 
che  allora  non  era  altro  che  vesC')Vo  di  Volterra;  il  quale 
messosi  il  rocchetto  episcopale  in  dosso  e  gli  altri  panni  eccle- 
siastici, si  fa  avanti  alla  moltitudine  armata,  e  colla  parola  e 
l'aspetto  venerando  la  ferma,  la  placa,  là  riconcilia.  In  città 
se  ne  parlò  per. molti  giorni  come  d'un  fatto  eroico,  e  Niccolò, 
quando  i  Sederini  non  erano  più  potenti,  ne  volle  far  comme- 
morazione gloriosa,  onorando  il  buon  vescovo  colla  bella  simi- 
litudine de' versi  virgiliani: 

Tum  pietate  gravem  oc  meritU  si  forte  virum  quem 
Conspeooere,  sileni;  arrectisqvte  auribus  adstanl.  * 

Con  Piero  Soderini  poi  le  relazioni  di  Niccolò  ebbero  ad 
essere  singolarissime;  e  appena  si  riesce  a  determinarle  esa- 
minando i  fatti  .minuti,  congetturando  da' motti  ambigui  di  Nic- 
colò, vagliando  la  tradizione  che  attribuisce  a  lui  epigrammi 
acri,  ghiribizzi  cinici  contro  al  gonfaloniere  perpetuo.  ^  L'esame 
diligente  di  tutto*  ciò  vale  appena  a  farci  intendere  la  difficoltà  e 
la  naturalezza  di  quelle  relazioni.  Quel  che  le  spiega  è  che  l'af- 
fetto e  il  giudizio  fra  que'  due  uomini  non  procedevan  d'accordo. 

Niccolò  vede  il  Soderini  a  capo  dello  stato  popolare,  a 
difesa  della  libertà  minacciata,  insidiata,  pericolante  per  ogni 
lato:  vede  su  tutto  quell'incendio  il  mansuetissimo  messer 
Piero  spruzzare  serenamente  acqua  di  rose,  confidandosi  che  in 
lui  sta  la  forza  perchè  in  lui  è  il  buon  diritto.  Molte  cose  egli  sa  : 
sa  di  finanza;  sa  destreggiare  ne' Consigli,  avvalersi  delle  ghermi- 
nelle parlamentari,  scuotere,  quand'occorra,  il  popolo  ;  ma  egli 
arriva  a  farsi  veder  anche  piangere  dal  popolo;  vuol  godersi 
anch' egli  il  beneficio  del  tempo,  e  non  sa  che  il  terppo  non  si 
può  aspettare,  che  la  bontà  non  basta,  che  la  fortuna  varia, 
che  la  malignità  non  trova  dono  che  la  plachi;  ^  e  quando  è 
bisogno  d'altro  che  d'umanità  e  di  pazienza  ei  non  sa  trovare 
in  sé  stesso  altre  virtù.  Pertanto  il  Machiavelli,  a  cui  l'audacia 


>  Bibl.  Naz..  doc.  M.,  busta  "iii,  n.  57.        ' 

s  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  i,  e.  liv. 

*  V.  in  Appendice  VAnalisi  dell'apografo  di  Oiulian  de'Ricei,  S  xxxi. 

**  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  i,  e.  lii;  lib.  iii,  e.  ix-xxx. 


Digitized  by 


Google 


I 


172  INTRODUZIONE.  [libeo 

de'  propositi  e  la  prontezza  delle  risoluzioai  erano  più  naturali,^ 
giungeva,  nell'animo  proprio,  a  spregiare  i  partiti  di  quello; 
ina  voleva  gran  bene  alla  persona  di  lui  che  gli  era  così 
larga  di  confidenza  e  d'aflFetto. 'E  d'altra  parte  il  gonfaloniere 
napeva  quanta  era  la  fede  di  Niccolò,  quanto  Taccorgimento  di 
lui  nel  condurre  a  termine  le  imprese,  nell' eseguire  i  par- 
titi, nel  conoscere  le  persone  ;  ma  quando  per  avventura  esso 
lo  chiamava  a  ragionar  delle  cose,  quando  l'udiva  farglisi  in- 
nanzi con  qualche  istigazione  a  opere  ardite  e  straordinarie, 
scrollava  il  capo  e  repugnava  a  seguitarlo,  parendogli  dì  cor- 
rere a  precipizio  nel  confidarsi  con  lui.  Donde  risultava  per 
ambedue  una  condizione  tristissima;  che  l'uno  diffidava  come 
per  istinto  dell'opinione  di  colui,  nel  quale  aveva  piena  e  si- 
cura fede;  e  T altro,  pure  osservando  l'improvvida  meschinità 
delle  delib3razioni  di  quello,  doveva  farsene  tutto  di  l'inter- 
prete e  l'espressione;  e  amando  fortemente  la  libertà,  vedo- 
vala soffocata  dall'uomo  che  meglio  pareva  fatto  per  darle 
respiro. 

Oltracciò  Piero  adoperando  il  Machiavelli,  come  il  mi- 
gliore '  e  il  più  fidato  esecutore  de'  consigli  suoi,  e  di  quelli 
delle  maggioranze  sue,  contribuiva  a  renderlo  oggetto  dell'astio 
e  del  mal  talento  degli  avversari.  Cosi  quando  questi  andava 
in  commissioni,  avea  mestieri  di  chi-  gli  guardasse  le  spalle 
dalle  arti  e  dalle  macchinazioni  degli  emuli;  e  niuno  gli  pre- 
stava un  simile  officio  con  maggior  zelo  di  Biagio  Bonaccorsi, 
coadiutore  suo,  cieco  d'ammirazione  per  l'alto  intelletto  del- 
l'amico,  geloso  della  sua  benevolenza  e  di  soli  tre  anni  più 
giovane  di-  Niccolò.  Dotato  d' un  cuore  squisito  e  d' un  ingegno 
mediocre,  non  mancava  ad  alcun  gentile  officio  della  vita,  e, 
borbottando,  dapertutto  accorreva  colla  sua  buona  voglia.  Un 
piccolo  segno  di  premura  bastava  a  consolarlo;  una  preten- 
sioncina  affettuosa  non  soddisfatta  bastava  a  metterlo  di  ma- 
lumore. • 

Quando  il  Machiavelli  andò  primieramente  oratore  col  Casa 
alla  Corte  di  Francia,  gli  scrisse  a  su^  inattesa.  Ed  egli:  <  Ho- 
norando  et  charo  mio  Niccolò,  se  io  vi  ho  ad  confessare  la 
verità  questa  vostra  lettera  ricevuta  stamani  mi  à  fatto  un 
poco  gonfiar  et  levai^fe  in  superbia,  vedendo  che  tra  li  stra-. 
diotti  di  cancelleria  pure  tenete  un  poco  più  conto  di  me;  et 
per  non  calare  di  questa  "mia  opinione  non  ho  voluto  ricercare» 
se  ci  è  suto   vostre   lettere  in  altri.    Io  ne  ho  preso  piacere 


Digitized  by 


Google 


BSCOKDo]  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  m 

grandissimo  parendomi  parlare  con  voi  proprio  e  familiarmente 
come  eravamo  usati:  et  ne  bavero  preso  qualche  poco  di  pas- 
sione, havendo  visto  la  prima  volta  vostre  lettere,  et  non  es- 
sere facto  da  Voi  mentione  alcuna  di  me,  dubitando  cbe  il 
proverbio  cbe  si  dice  volgarmente:  di  lungi  da  occbiò,  di  lungi 
da  quore,  non  si  verificassi  in  noi,  il  cbe  questa  vostra  lettera 
ha  cancellato:  et  così  vi  prego  seguitiate  quando  vi  avanza 
tempo  cb'io  per  me  non  mancberò  mai  di  fare  mio  debito  verso 
di  voi.  —  Io  non  voglio  mancare  di  significarvi  quanto  le  vostre 
lettere  satisfanno  a  omniuno:  et  credetemi  Niccolò,  cbe  sapete 
che  r adulare  non  è  mia  arte,  cbe  trovandomi  io  a  leggere 
quelle  vostre  lettere  a  certi  cittadini  et  de' primi,  ne  fusti  som- 
mamente commendato:  di  cbe  io  presi  piacere  grandissimo:  et 
mi  sforzai  con  qualche  parola  dextramente  confermare  tale 
oppimene,  monstrando  con  quanta  fadilità  lo  faciavate  :  et  cosi 
dove*io  veggo  potere  giovare,  lo  fo,  parendomi  farlo  per  me 
proprio,  come  certamente  lo  fo  )^.  E  altra  volta:  «  Stassera... 
si  leggeranno  nelli  80  et  Praticha  tutte  le  vostre  lettere  et 
così  si  seguiterà  »...  «  Scrivete  ancora  qualche  volta  a'Nove,^ 
perchè  ognuno  vuol  essere  dondolato  et  stimato  ;  et  pure  bi- 
sogna farlo  chi  si  truova  dove  voi  ;  et  quattro  buone  parole 
con  due  avvisi  li  satisfaranno  et  parrà  sia  tenuto  conto  di  loro  » .  ^ 
E  cosi  talora  lo  manda  in  visibilio  un  atto  di  cortesia  de'  Si- 
gnori. —  «  Caro  Niccolò  mio,  cbe  ho  tanto  favore  con  questi 
signori  che  giugnendo  iersera  il  cavallaro  mandato  da  voi 
circa  ore  sei,  et  vedutovi  mie  lettere,  subito  me  lo  manda- 
rono a  casa».  — Poi  teme  di  non  esser  abbastanza  avuto  in 
pregio  e  carezzato  dall'  amico  e  se  ne  corruccia  :  «  Niccolò,  io 
non  sono  adirato  né  ancora  fo  juditio  dell'  animo  vostro  verso 
di  me  da  queste  favole,  (perchè  in  fatto  non  mi  è  se  non  briga, 
et  io  pure  ho  delle  occupazioni  poi  non  ci  sete),  ma  si  bene 
da  infinite  altre  cose  che  mi  costrignerebbono,  ricordandomene» 
ad  non  vi  portare  quell'affectione  che  io  fo;  di  che  io  non 
voglio  mi  sappiate  grato,  perchè  volendo  non  amarvi   et  hon 

essere  tutto  vostro,  nonio  potrei  fare,» <  ma  io  veggo  mi  ho 

a  dolere  della  mia  cattiva  fortuna  et  non  buona  elezione,  et 
non  di  voi,  poiché  io  non  truovo  riscontro  alcuno  in  quelli 
che  io  amo  tanto,  quanto  me  medesimo». ^ 

1  I  Nove  della  milixia. 

s  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  80. 

s  BoMACcoBSi  Biagio  a  N.  M.  a  di  18  ottobre  1502.  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  in,  n.  5. 


Digitized  by 


Google 


174  INTRODUZieyE.  [l 

E  in  altra  lettera:  «  voi  vi  volete  scusare  sempre  o  con 
la  trascurataggine  o  con  le  faccende  et  questo  non  basta  alli 
amici  perchè  vogliono  esser  riconosciuti  per  tali,  et  io  sono 
in  modo  fracido  ad  fare  scuse  per  Voi,  che  se  noi  fusti  mio 
padre  harèi  più  d'una  volta  decto  un  di,  ad  recere:  Scrivete 
un'altra  volta  ».  ^  —  Finalmente,  quando  la  sua  pazienza  è 
agli  sgoccioli  :  «  pregate  Dio  vi  dia  miglior  fortuna  che  non 
fa  a  me,  che  forse  la  merito  più  di  Voi».^ 

A  questi  piccoli,  sfoghi  del  non  men  dabbene  che  petulante 
amico,  Niccolò  rideva  in  cuor  suo,  e  quando  quegli  faceva 
pressa  per  esser  raccomandato,  o  messo  in  buona  vista  co' si- 
gnori, 0  spinto  innanzi  nei  gradi  dell'  uflScio;  egli  pur  cercando 
giovarlo  in  quel  che  poteva,  finiva  per  ismussare  con  una  celia 
le  pretese  di  lui,  cui  non  poteva  capire  in  testa,  che,  pur  pro- 
vandosi di  fare  quel  che  gli  altri  fanno,  non  si  acquista  di- 
ritto d'arrivare  dove  gli  altri  arrivano. 

Il  Bonaccorsi  compose  un  Diario  de' successi  seguiti  in  Ita- 
lia e  particolarmente  in  Firenze  daWanno  1498  sino  al  1512;  ^ 
un'altra  cronica  delle  cose  fatte  da  Luca  degli  Albizi  e  del- 
l'assalto dato  a  Pisa  dai  Fiorentini:  e  ciò  malgrado  al  Ma- 
chiavelli non  poteva  parere  uno  storico.  Avea  scritto  qualche 
canto  carnascialesco, .pieno  di  buone  intenzioni  e  di  poco  di- 
letto, e  alcune  poesie  amorose  per  una  sua  Angelica:  ma  con 
tutto  questo  a  Niccolò  non  potè  parere  poeta.  Non  si  acconten- 
tava d' esser  coadiutore  nella  segreteria  dei  magnifici  Dieci 
della  guerra;  e  una  volta  che  gli  capitò  d'esser  mandato  in 

»  Bibl.  Naz.,  (Busta  iv,  doc.  M.,  n.  84,  50)  Die  vi  octobris  1506. 

*  Bibl.  Naz.,  (Busta  v,  doc.  M.,  n.  11)  Florentiae,  die  xxii  augusti  1580. 

■  Pubblicato  dal  Giunti,  insieme  con  la  Vita  di  Lorenzo  de' Medici  del  Valori,  nel  1508. 
I /altra  operetta  isterica  del  Buonaccorsi  trovasi  nell'Arc/imo  storico  (tomo  iv,  p.  ii)  con 
un  accuratissimo  avvertimento  premessovi  dal  Polidori,  nel  quale  sono  non  poche  noti- 
zie intorno  alla  vita  del  nostro  Biagio,-  e  alcuni  saggi  di  poesie  composte  da  lui,  che  leg^ 
g^nsi  manoscritte  nella  Bibl.  nazionale  (classe  vii  della  Magliabechiana,  cod.  720).  Da 
alcuni  si  mosse  dubbio  suU'autjBnticità  del  Diario.  Non  mancò  chi  cercasse  attribuirlo  al 
Machiavelli.  Il  Morbni  (Bibliografia  storico-ragionata  della  Toscnna,  t.  i,  pag.  3)  scrisse 
a  questo  proposito  :  «  Sostiensi  da  molti  che  il  Diario  che  è  stampato,  e  che  passa  comu- 
nemente  sotto  il  nome  di  Biagio  Bonaccorsi,  sia  del  Machiavelli;  difatti  sembra  assicu- 
rarcene il  ms.  autografo  posseduto  dai  signori  marchesi  Riccardi,  se  non  vogliamo  dire  che 
Bìtigio,  essendo  nel  medesimo  uffizi»  che  Niccolò,  potette  anch' egli  prendere  il  sunto  delle 
lettere  che  venivano  alla  Repubblica  e  formarne  il  suo  diario  consimile  all'altro  ».  Il  Vil- 
LARI,  op.  cit.,  pag.  3SS,  in  nota,  osservò  già  come  a  un  occhio  esercitato  non  sia  possibile 
confondere  la  scrittura  del  Bonaccorsi  con  quella  del  Machiavelli  ;  da  una  postilla  margi- 
nale dell'autografo  stesso,  in  cui  si  accenna  all'assenza  dell'autore  da  Firenze  per  sei  mesi, 
durante  ì  quali  Niccolò  fu  quasi  sempre  nella  cancelleria,  argomentò  a  buon  diritto  come 
quest*  ultimo  non  s'abbia  a  ritenere  autore  del  Diario.  Se  non  che  la  natura  e  lo  stile  del 
libro  sono  la  prova  più  eloquente  che  l'autore  del  Sommario  non  è  quel  medesimo  che 
compose  gli  Estratti  di  lettere,  de*  quali  ci  occupammo  già  a  lungo.  Nel  Codice  Vaticano, 
n.  5S83j  innanzi  al  predetto  Diario  è  posta  la  seguente  lettera  dedicatoria:  «  Blasius  Bonac^ 


Digitized  by 


Google 


SBCOWDo]  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO.  175 

Francia  ad  accompagnare  il  vescovo  Sederini  e  'Alessandro 
Pazzi,  oratori,  scrisse  al  Machiavelli:  «  mi  lascerò  prima  impic- 
care che  andare  >.  Né  pare  che  mai  più  fosse  destinato  a 
commissario  fuori.  Qualche  volta  s' incontrano  stanziamenti  a 
suo  favore,  per  essere  andato,  a  tempo  dell'istituzione  delle 
milizie,  a  scrivere  e  rassegnare  fanti.  Ma  il  Machiavelli  non  lo 
credeva  fatto  per  dimenticar  sé,  le  proprie  fortune,  gli  amici,  • 
la  famiglia  stessa,  a  prò  della  patria;  non  lo  credeva  fatto 
per  la  politica;  e  senza  ricantargli  sul  viso  questa  verità  bru- 
sca, gli  sorrideva  scherzando  e  divagarido  quando  e'  si  lamen- 
tava d'esser  tenuto  addietro;  e  lo  lasciava  affaccendar  minuzio- 
samente per  le  stanze  del  palazzo  e  arrabattarsi  per  sgallinare 
fiorini.  ^ 

Pure  se  le  lettere  di  Biagio  ci  fanno  impressione  grade- 
vole, siccome  rari  documenti  per  cui  ci  comparisce  il  Machia- 
velli ne' particolari  della  sua  vita  domestica,  nell'intimità  della 
persona  sua,  spoglio  d'aulici  indumenti,  ve  n'à  qualcuna  cho 
senza  merito  dello  scrittore  ci  commuove,  e  ci  parla  alla  fan- 
tasia, e  ci  colloca  il  segretario  della  repubblica  nella  più  bella 
luce  che  desse  quel  secolo,  e  ce  lo  fa  parere  un  titano  a  petto 
d'un  altro  titano,  unendo  il  nome  di  lui  a  quello  di  Miche- 
langelo. 2 

Michelangelo . e  Niccolò,  figli  d'una  stessa  terra,  i  cui  soli 
nomi  basterebbero  a  giustificare  l'orgoglio  della  patria  italiana, 
s'agitano  in  una  stessa  cerchia  di  mura,  respirano  l'aria  stessa, 
travagliano  insiemjB  pel  miglioramento  civile,   s'affannano  in- 

cursiuSf  Marco  Belloccio  amico  praecipuo  salutem.  Hauendo  io,  Marco  càrlrao,  nel  tempo 
ch'ero  a'servitii  do* nostri  excelsi  Signori  fatto  qualche  poco  di  ricordo  delle  cose  seguito 
in  quelli  tempi,  spettante  non  solo  alla  città,  ma  a  qualunque  altro  luogo,  cosi  in  Italia 
come  fuora,  delle  quali  veniva  notitia  alli  orecchi  mia,  ho  giudicato  intra  li  amici  mia  de- 
stinarlo a  Te  »  ecc.  —  Nò  questo  manoscritto  è  di  poca  autorità,  leggendovisi  a  pag  cxx  t.  :  ■ 
«  Nota  che  da  qui  in  drieto  è  copiato  da  uno  simile  di  mano  d*.uno  Biagio  di  Bonaccorso 
cancelliere  al  magistrato  de*  Dieci  di  libertà  et  pace,  o  vero  sotto  cancelliere  cioò  che  ser- 
viva al  detto  otScio  per  cancelliere  sotto  messer  Marcello,  primo  segretario  di  questa  Si- 
gnoria. Et  benché  qualcuno  dica  et  così  stimi,  esser  note  et  membriale  fìitte  dal  d.  m.  Mar- 
cello non  ò  il  vero,  ma  ò  compositione  che  fece  da  sé  il  detto  Biagio  come  quello  che 
uedeua  tutti  gli  avisi  et  lettere  che  venivano  ad  decto  offitio;  et  cosi  che  si  scriueuano,  et 
cosi  lui  seguitò  fino  a  questo  tempo  che  fu  mutato  lo  stato  et  reggimento  che  venne  ne*  Me- 
dici, dove  lui  fu  levato  via  insieme  cdn  gli  altri,  et  in  scambio  del  detto  magistrato  de*Di£CÌ 
segui  quello  degli  Otto  della  pratica,  secondo  l'usanza  del  reggimento  de*  Medici,  il  quale 
offitio  fu  trovato  al  tempo  loro  per  stare  continuamente  al  tempo,  di  pace,  et  quello  de*  Dieci 
non  harebbe  ragionevolmente  a  stare  se  non  solo  a  tempo  di  guerra,  che  cosi  fu  sempre 
usato  ». 

1  Bibl.  Naa.,  busta  ni,  n.  26.  Lettera  al  M.,  Florentiae,  die  v  Qbrìs  1502. 

>  Bibl.  nax.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  105  (91),  n.  81  (46).  Busta  iii,  a.  22  (56).  In  quella 
I>rima,  Biagio  scrive  a  N.  :  «  In  oltre  harete  per  mano  di  Michelagnolo  scultore  ricevuto 
lì  denari  della  <1  di  che  expecto  intenderne  qualcosa  per  la  prima  vostra  ».  (Il  segno  <] 
si  spiega:  staffetta). 


Digitized  by 


Google 


I 


rN^^>^6  INTRODUZIONE.  [libro 


^^ 

,  \^\r  ^  '     feieme  deirora  in  cui  il  danno  e  la  vergogna  durano.  Predo- 
jt'^'  K*  ^   .  minati  tutti  e  due  dall'idea  dantesca,  cospirano  a  riportare  gli 

'  (^.  '^  y^      ' '-  '  splendori  dell'antica  civiltà  in  seno  del  cristianesimo  corrotto 

.;  >^;   .     '  e  fuorviato:  tutti  e  due  ricercano  l'integra  legge   della  vita, 

notomizzando  cadaveri,  l'uno  per  plasmarne  il  suo  Mosè  ter- 
rìbile, l'altro  per  formarne  il  principe,  il  profeta  armato  che 

•  raddrizzi  l' Italia.  Degli  impeti  di  papa  Giulio  stomacati  entrambi, 
l'uno  gli  scappa  dalla  corte,  l'altro  punto  non  si  confida  di 
quelle  imprese  men  belliche  che  rabbiose:  i  della  Rovere  non 

\  gì' illudono;  i  Medici  non  fanno  loro  tanta  lusinga  che  e' perdano 

di  vista  il  simulacro  santo  della  libertà;  nell'ora-  che  gli  stra- 

\  nieri  minacciano  la  loro  città  prediletta,  l'uno  studia,  tenia, 

escogita  il  piano  di  fortificarla,  l'altro  drizza  i  ripari  di  San 

Miniato  al  Monte  e  quindi  fulmina  la  barbarie  spagnuola,  che' 

^  nelle  mura  di  Firenze  percuote  la  città  sacra  del  rinascimento 

italiano.  Ma  i   nonìi  di  questi  due  strenui   ed  impareggiabili 

eroi,  rimasti  illesi  contro  ogni  violenza  di  spade  e  di  dommi, 

mantengono  cara  e  benedetta  ne'  fasti  della  civiltà  quell'ora 

che  fu  alla  patria  nostra  fatale  e  dogliosa,  e  la  ricomprano  dalle 

volgari  vergogne.  • 

•  Nel  tempio  di  santa  Croce,  dove  i  grandi  morti  ancora  par- 

'  lano  ai  vivi,  i  due  illustri  Fiorentini  ora  si  ritrovano  accanto, 

come  già   un  tempo  nelle  lettere  di  Biagio  Bonaccorsi,  come 

;  per  gli  anditi  della  corte  papale  e  del  palazzo  de' Signori.  Ma 

*  allora,  come  adesso,  paiono  l' uno  dell'  altro  non  accorgersi  ne 

I  lasciano  accenno  d'essersi  incontrati,  conosciuti,  pregiati.  Tiene 

\  '      ognuno   il  suo  cammino,   come  se  andassero  per  vie  diverse, 

^  come  se  non  avessero  un'  intenzione  comune,  un  palpito  uni- 

\  sono.  Forse,  se  il  Machiavelli  avesse  vissuto  ai  giorni  dell'as- 

•  sedie,  si  sarebbero  stretti  insieme  la  mano  su  i  bastioni  della 
città  eroica;  ma  prima,  nel  disgregamento  di  tutte  le  forze,  di 
tutti  gli  affetti  italiani,  uno  non  fa  motto  dell'  altro,  uno  del- 

\  l'altro  non  cura. 

E  non  è  a  dire  che  stupenda  miriade  d'artisti  Niccolò  ve- 
desse esercitarglisi  intorno,  a  quel  tempo  ch'egli  si  travagliava 
in  cancelleria.  Una  statua  di  Michelangiolo  è  sollecitata  con 
ansietà  dal  maresciallo  de  Gies,  fa  la  delizia  del  Rubertet;  ^ 
Michelangelo  e  Leonardo  da  Vinci  gareggiano  nel  delineare  i 
cartoni  della  guerra  di  Pisa;   Rafiael   Santi  s'appresenta  a 

'  »  Cf.  Viia  di  Michelangelo  BuonarroUj  narrata  con  l'aiuto  di  nuovf  documenti  da  Au- 

relio Gotti,  voi.  i,  pag.  31-32. 


Digitized  by 


Google 


SBCOiroo]  LA  CITTÀ  E  IL  PALAZZO,  177 

Pier  Soderini  raccomandato  da  Giovanna  di  Montefeltro  della 
Rovere,  prefettessa  di  Roma;  ^  Benvenuto  Cellini,  quello  stesso 
che  dirizzava  poi  T  artiglierie  del  Castel  Sant'Angelo  contro  il 
connestabile  di  -  Borbone ,  allora  di  tenera  età  «  sonava  di 
flauto  e  faceva  sovrano  insieme  con  i  musici  del  palazzo  in- 
nanzi alla  Signoria,  e  sonava  al  libro,  e  un  tavolaccino  lo  te- 
neva in  collo  »;  ^  e  Piero  di  Giorgio  miniatore,  figurava  nell'offi- 
cio dei  Dieci,  segno  estrinseco  della  nazionalità  sorgente,  la  bella 
immagine  della  donna  di  provincie,  la  nostra  benedetta  Italia. 

Ma  Niccolò  non  tien  parola  né  d' arti  né  d'artisti:  Q  suo  pro- 
posito é  sollevar  davvero  la  bella  donna  di  provincie,  da  tanto 
tempo  giacente,  sul  nobile  stallo  cui  la  natura  e  l'istoria  la 
chiamavan  per  dritto:  a  nulla  bada  se  non  a  portar  a  fronte 
degli  ^oltramontani  l'accorgimento  e  la  coscienza  della  civiltà 
italiana;  di  nuli' altro  è  sollecito  se  non  di  rimetter  in  pugno 
ai  figli  d'Italia  l'armi  cedute  ai  prezzolati,  di  ridestar  le  mi- 
lizie, di  rinvigorir  gli  animi.  E  che  questa  parte  possa  esser 
.riserbata  a  lui,  ilato  tanto  discosto  da' pubblici  maneggi,  ri- 
guarda con  compiacenza  ineffabile.  Se  i  Medici  fosser  rimasti 
al  potere,  egli  non  sarebbe  mai  stato  accettato  a' loro  servigi; 
se  loro  fosse  succeduta  una  aristocratia  compatta  e  serrata, 
forse  egli  avrebbe  potuto  intisichire  negli  offici,  ma  non  sarebbe 
stato  mai  mandato  fuori,  non  avrebbe  mai  veduto  in  veste 
d'oratore  corti  di  re,  d'imperatori  e  di  papi.  Se  le  finanze  di 
Firenze  libera  fossero  state  prospere  ed  ubertose,  non  sarebbe 
stata  difficoltà  ne'cittadini  d'accettare  legazioni,  che  erano  in- 
vece di  gran  dispendio  e  di  nessun  lucro;  e  il  Machiavelli  non 
sarebbe  stato  mai  mandato  là  dove  dell'oro  n'andava  un  pro- 
fluvio. 3  Tutte  queste  cagioni  contribuirono  ad  innalzare  il  no- 
stro Niccolò  alla  bella  ventura  di  rappresentare  la  patria,  di 
parlare  per  lei,  di  moderarne  colla  sua  prudenza  i  destini. 


»  Cf.  a  proposito  di  questa  lettera  nel  Zabn,  Jahrìnicher  fxir  KunslwiSMntehaft, 
Lipsia,  1863,  Tarticolo  del  Rbumokt,  D^  Etnpfshlitngsbrief  fiir  den  jungen  Raphasl. 

•  Cbllini,  Vita,  lib.  v. 

*  Scrìve  il  Parenti  (1.  e,  settembre  1500)  che  chiedendo  il  re  di  Francia  ambascia- 
dori  «  non  si  trovava  cittadini,  e'  qnali  volentieri  andare  vi  volessino  ;  si  per  la  materia 
■piacevole,  si  per  il  poco  profitto  vi  facevano  rispetto  alle  spese  e  alla  fatica  grande  si 
durava  a  seguir  quella  Corte  ». 

ToMMASnn  -  Machiavelli.  13 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


Capo  Primo 


DOPO  LA  MORTE  DI  CARLO  OTTAVO 

STORIA  L^ITALIA  DEL  GUICCIARDINI  —  APPUNTI  STORICI  DI  NICCOLO 

SUE  PRIME  COMMISSIONI  —  SUA  PROGENIE. 


>  Italia....  corea  da  Carlo,  predata  da  Luigi, 
sforzata  da  Ferrando  e  vituperata  da  Svizzeri  ■. 


(Machiavilli,  Principe,  cap.  xii). 


L*armi  francesi  erano  passate  minacciando  e  trionfando 
per  mezzo  a  Firenze  «  sumommée  la  belle  ou  la  gentille  >;  ^ 
il  Cristianissimo,  che  voleva  comparirvi  novello  Carlo  Magno, 
vi  fu  celebrato  anche  maior  et  maximus;^  s'inurbò  poi  a 
Roma,  e  innanzi  agli  scaltrimenti  del  papa  spagnuolo,  parve  pic- 
colo; 3  e  i  suoi  cavalieri  paventarono  della  leggenda  romana.* 
Egli  procede  innanzi  toccando  scrofole  a  gente  d'ogni  parte 
d'Italia  e  d'ogni  nazione, ^  accompagnato  da  singoiar  favore 
d'uomini  e  di  natura.^  Le  sue  artiglierie,  la  cui  sola  fama 
aveva  messo  spavento,  ''  spazzavano  crudamente  la  via  dinnanzi 

1  Andbì  db  la  Viome,  Extrait  ds  Vhistoire  étu  voyage  ds  NapUt  du  roi  Charles  Vili, 
V^.  119. 

*  V.  aeir  Archivio  di  Stato  di  Firenze,  tra  gli  Atti  pubblici,  cartapecore  t.  vi,  Francia  n.  30, 
fl  trattato  concluso  fra  la  republlca  fiorentina  e  il  re  di  Francia,  a*  di  25  di  novembre  1494. 
Il  Dbsjaboins,  op.  cit.,  pag.  606,  ne  dà  l'estratto.  V.  particolarmente  l'art.  S  del  preambolo. 

*  OonsFBOT,  pag.  ^  e  seguenti,  V.  Tratte  entre  le  pape  Alexandre  et  le  roy,  1494. 
«  In  primis  papa  remanebit  bonus  pater  regis  et  rex  fllins  papae  ». 

«  Cf.  ViLLBNBUFTE,  op.  cit.  in  Mabt^nb  et  DuBAND,  The»,  aneedot.f  t.  in,  col.  1507, 
t  5  e  6. 

■  AzcDBé  db  la  Vignb,  loc.  cit.  pag.  141. 

*  CoBio,  Historie  MUaneii,  p.  vii:  «Questo  verno  grandemente  si  mostrò  favorevole 
al  re;  per  modo  che  non  altramente  parea  essere,  che  nel  tepido  zefiro,  che  rimena  il  dolce 
tempo  0  l'autunno,  nel  quale  ogni  cosa  pare  salutifera,  non  pioggia,  non  ghiaccio,  non 
niave  alcuna  cosa  impediva,  etc.  » 

^  V.  in  BcsBB,  op.  cit.,  pag.  54S-550  una  lettera  del  Sassetti  a  Piero  de*  Medici  da 
Chambéry  :  «  che  se  una  volta  possono  mettere  piò  in  terra  et  porre  artiglieria  a  uno  luogho, 
nonni  fidate  che  nonllo  mettine  per  terra.  Io  lo  credo  perche  ho  uisto  cose  spauenteuole 
di  questa  loro  artigleria  ».  —  E  lo  sepper  Fivizzano,  Monte  San  Giovanni  e  Monte  Fortino. 
(V.  PiLOBOBBiB,  Campagne  et  bulletins  de  le  grande  armée  d'Italie,  pag.  176-180). 


Digitized  by 


Google 


180  CAPO  PRIMO.  [libro 

a  lui.  Napoli  tremava;  Alfonso  d'Aragona,  disperato,  per  le  poche 
forze  sue  e  il  molto  odio  del  popolo  che  si  sentiva  sopra,  abdicò  a 
favore  di  Ferrandino  suo  figlio,  al  quale  l'amore  della  molti- 
tudine poteva  forse  offrire  ancora  qualche  sostegno.  Atterrito 
poi  si  ritirò  in  un  chiostro  d' Olivetani  a  Mazzari,  in  Sicilia; 
dove  umile  ministrando  a'  monaci,  lungo  gli  paiTe  aspettare  la 
non  tarda  morte.  ^  Ferrandino  non  si  mostrò  indegno  né  del 
trono  né  del  pericolo;  ma  né  virtù  né  prudenza  gli  valsero,  se 
non  ad  essere  maggiore  della  sua  fortuna.  Giangiacomo  Tri- 
vulzio  che,  fedele  del  re  di  Francia,  trovavasi  condotto  dagli 
Aragonesi,  mentre  si  studia  acconciarlo  col  Cristianissimo,  cede 
Capua;  Gaeta  non  regge;  Napoli  si  ribella.  Ferrandino  proscio- 
glie dal  giuramento  il  popolo  dubitoso  e  si  ritrae  con  Federico 
suo  zio  nel  Castel  dell'Ovo  ;  quindi  a  Ischia.  A'  di  ventidue  di 
febbraio,  in  giorno  di  domenica,  festa  della  cattedra  di  San 
Pietro,*  Carlo  s'incorona  e  s'impossessa  del  reame  di  Napoli. 
Degl'Italiani  aveva  disfatte  tutte  l'illusioni:  lo  Sforza  lo  ni- 
micava: ne  diffidava  Firenze:  il  Savonarola  non  lo  vedeva  ri- 
formare la  chiesa;  i  cardinali  di  Roma  non  ne  avevano  avuto 
il  papa  deposto  ;  il  Valentino,  che  aveva  voluto  ostaggio,  gli 
era  fuggito:  ^  Djem  morto.  Nessuno  in  Italia  l'appaiava  più  con 
Carlo  Magno,  nessuno  credeva  più  alla  crociata;  s'era  stretta 
lega  per  osteggiarlo:  in  quella  lega  erano  lo  Sforza,  i  Ve- 
neziani, il  papa;  non  il  duca  di  Ferrara,  non  i  Fiorentini  aggi- 
rati dal  Savonarola;  e  v'erano  due  potenti  stranieri:  il  re  di 
Spagna,  legato  per  parentela  agli  Aragonesi,  cupido  di  con- 
quiste ;  il  re  dei  Romani,  cavalleresco,  geloso  delle  prerogative 
dell'impero.^  Questa  lega  faceva  l' Italia  segno  a  nuove  mire, 
campo  di  nuove  guerre;  e  re  Carlo,  che  non  aveva  molto  avuto 
a  pensare  per  la  sua  venuta,  cominciò  gravemente  a  temere 
del  ritorno  in  Francia. 

Due  mesi  dopo  aver  preso  possesso  del  regno  cosi  conqui- 
stato, otto  giorni  dopo  l' entrata  solenne  in  Napoli,  il  re  si  mette 

^  V.  in  PiLOROBRiE,  op.  cit.  pag.  434-447,  Le  regretz  et  compUnnU»  du  roy  Alphonce 
d'Arragon  à  son  partemetU  de  Nafiples,  e  la  Louenge  de  la  victoire  du  très  creaUen  roy 
de  France  obtenue  en  Ut  conquisle  de  sa  ville  et  cyti  de  Napples,  aveeque»  Iss  regretz 
et  lamentadom  du  roy  Alphonee. 

'  «  Le  joor  etc.  qui  ét&ìt  la  féte  de  la  chaire  Saint  Pierre,  ainsi  qu*il  fut  élevé  à  Roma 
et  mia  en  la  haute  chaire  du  pontiflcàt  lieutenant  de  Dieu  en  terre,  pareillemeint  a  pria 
nostre  sire  le  Roy  la  couronne  et  possession  de  son  royamo  de  Naples  ».  V.  in  Pilobobbib 
op.  cit.  S*ensuyt  Ventrée  et  eouronnement  du  roy  nostre  sire  en  la  viUe  de  Naples  f<Uct& 
le  XXII  jour  de  fevrier  i495. 

»  André  db  la  Vionb,  1.  e.  pag.  188. 
•    *•  CoMiKBS,  Mémoires,  1.  vn,  e.  xv. 


Digitized  by 


Google 


SBCOMDO]  PASSAGGIO  DEL  TARO,  181 

iu  cammino  per  retrocedere.  Trapassa  Roma  senza  poter  tro- 
vare il  papa;  sforza  Toscanella,  prende  Siena  in  protezione; 
dà  promesse  a  Pisa,  valica  l'Appennino  a  Pontremoli;  a  For- 
novo,  dove  trova  l'esercito  della  lega,  si  vota  a  San  Dionigi 
e  San  Martino,  e  combatte  una  battaglia  sanguinosa  e  corta.  ^ 
Francesco  Gonzaga,  duca  di  Mantova,  governatore  generale 
pe' veneziani  vi  fa  portenti  di  valore:  Rodolfo  Gonzaga,  suo 
zio,  vi  muore,  e  «  sopra  il  ventre  dell'italico  drappello  »,*  i 
Francesi  passano  il  Taro.  Il  fatto  d'arme  fu  a' sei  di  luglio; 
al  mattino  de'  dì  7  re  Ferrandino,  apparso  con  sessantanove 
vele  spagnuole  nel  golfo,  rientra  a  Napoli,  adorato  dalle  turbe 
del  popolo,  che  solo  a  vederlo,  gli  spalancano  le  porte,  le- 
vando a  cielo  il  grido  aragonese  :  «  jSerro,  flerro  !  »3  E  Carlo 
torna  in  Francia,  né  si  ricorda  più  del  suo  nuovo  regno,  non 
di  Montpensier  che  v'à  lasciato  luogotenente;  non  di  monsi- 
gnor d'Aubigny  rimaso  in  Calabria,  non  del  duca  d'Orleans 
che  affama  in  Novara.  Il  Comines^  e  il  Villeneuve  ci  dipin- 
gono ben  tutti  i  patimenti  amari  che  toccarono  ai  Francesi, 
che  il  re  si  lasciò  alle  spalle,  nella  nostra  penisola.  Pure  il 
buon  Villeneuve  ripete  ancora:  bisogna  dire  che  non  per  nulla 
porta  il  nome  di  Carlo  «  car  ce  fui  pour  le  jour  ung  second 
Charlemaine  >.^  Quel  «  pour  le  jour  »  acconcia  tutto. 

A  questo  Carlo  Magno  i  capitani  disobbedivano:  il  d'ÌEn- 
tragues,  ch'aveva  in  mano  la  fortezza  di  Pisa,  quando  eragli  in- 
giunto renderla  a' Fiorentini  la  dava  a' Pisani,  sedotto  per  da- 
naro 0  per  amore  di  donna.  E  il  duca  di  Milano  e  i  Veneziani 
tendevano   mano  soccorrevole  alla  città  assediata,  verso  cui 


1  Cf.  GuicciABDiNii  Storia  d'Italia,  lib.  n.  —  Croniche  del  Marchese  di  Mantova^  ed. 
Visconti,  in  Areh.  ttor.  lomh.,  fase,  xxi,  pag.  49.  —  CoMmES,  Mémoires,  1.  viii,  pag.  6: 
«  et  ne  dura  point  le  combat  un  quart  d'heure;  car  dèa  quMls  earent  rompu  ou  ietté  les  lancea, 
tout  fhit.  La  chasse  dura  environs  troia  quart  d*henre.  Leurs  batailles  d'Italie  n*ont  point 
accoustuiné  d'estre  telles;  car  il  combatent  esquadre  après  esquadre,  et  dure  quelque  fois 
tont  le  jour,  sans  ce  que  l'un  ne  Tautre.gagne  ».  >—  Sioismondo  Conti  nei  frammenti  delle 
wxe  Storie,  pubblicati  dal  Ciampi  (Arch.  storico,  rv  serie,  t.  i,  pag.  62):  «  (praelium),  quod 
non  a  mane  ad  vesperani,  ut  plerumque  solet  tracturo,  sed  unius  horae  spatio  fuit  tran- 
sactum  ».  Cf.  Machiavbi.i.i,  Discorsi,  libr.  ii,  cap.  vi,  ove  accenna  alle  guerre  «  corte  e 
grosse,  come  dicono  i  Franciosi  »,  donde  l'osservazione  (ibid.,  lib.  ii,  cap.  xvii)  circa  le 
anxffe  campali  «chiamate  ne' nostri  tempi  con  vocabolo  francioso  giornate,  e  dagl'Italiani 
fatti  d'arme  ».  — 

•  Machiavelli,  Deeenf%ale  /,  v.  97.  —  V.  in  Malipibbo,  AnmUi,  pag.  364,  come  la  gior . 
nata  del  Taro  paresse  vittoria  ai  Veneziani. 

>  Ramkb,  Qesehichte  der  romanischen  und  germanischen  Vdllier.  Lipsia,  1874,  pag.  60. 

*  CoMiNKS,  Métnoires,  lib.  viii,  cap.  9  e  13.  —  Villbnbupvb,  Viatique  de  VaUer  et 
ca»queste  du  Reauame  de  Naples  par  le  roy  très-^hrestien,  roy  de  Prance,  de  SeciUe  et 
de  Jerusaìem  Charles  Vili,  passun^ 

»  Villbnbufvb,  1.  e,  col.  1509-1510. 


Digitized  by 


Google 


182  CAPO  PRIMO.  [libm 

i  francesi  non  sapevano  essere  né  amici,  né  nimici.  Massimi- 
liano d'Austria  scendeva  a  Genova,  si  presentava  a  Livorno,  du- 
bitava se  soccorrer  Pisa  per  la  via  di  Vico  o  di  Cascina;  poi, 
rotti  i  suoi  Alamanni,  tornavasene,  come  se  non  fosse  venuto; 
svagato  da*  suoi  propositi  per  beneficio  di  natura  e  non  per 
virtù  d'uomini;  che  i  soldati  de' fiorentini  mandatigli  contro 
parvero  «bestie  e  putte  scodate  »,  ^  e  l'armata  francese  chiesta 
d'aiuto  s'ebbe  invano  a  desiderare. 

A  re  Carlo  in  Lione  fu  annunziato  il  pericolo  della  vita, 
poi  la  morte  dell'unico  figlio.  Non  se  ne  afflisse  gran  fatto;  e 
per  consolare  il  dolor  profondissimo  d'Anna,  sua  moglie,  du- 
chessa di  Bretagna,  regina  di  Francia,  volle  che  gentiluomini 
venissero  a  danzarle  alla  presenza,  e  fra  gli  altri  il  duca  di 
Orleans,  che  poteva  avere  trentaquattro  anni,  annota  il  Co- 
mines  maliziosamente,^  e,  per  la  morte  del  Delfino,  rimaneva 
il  più  prossimo  alla  corona  di  Francia.  Fu  vano  poi  che  il 
re  provasse  spingerlo  coll'esercito  in  Italia  contro  il  duca  di 
Milano,  venuto  in  uggia  a  tutti:  la  salute  del  re  destava  ti- 
mori,^ e  l'erede  non  voleva  allontanarsi. 

Nel  cartello  d'Amboise,  regalmente  edificato  da  Carlo  col- 
l'opera  di  artisti  italiani,  il  re  noverava  e  confessava  gli  errori 
largamente  commessi  nella  sua  conquista  d'Italia;  e  si  propo- 
neva un  secondo  passaggio  per  ammendarli,^  e  voleva  instau- 
rare il  regno  della  giustizia,  e  arrivare  a  non  commettere  più 
peccati  né  mortali,  né  veniali.  In  questi  propositi  la  morte  lo 
fermò.  A' dì  sette  d'aprile  andava  colla  regina  ad  una  gal- 
leria del.  castello,  per  assistere  da  quella  al  giuoco  della 
palla,  che  si  faceva  ne' fossati.  Era  luogo  strano  e  sudicio: 
entrandovi,  dette  del  capo  nell'uscio;  cadde  riverso,  e  senza 
parola  così  sopra  un  pagliericcio  giacque  sino  all'undici  di 
sera,  quando  gli  cessò  la  vita.  Quel  medesimo  dì,  annota  il 
Machiavelli  come  singolare  riscontro,  «  seguì  in  Firenze  il 
caso  del  frate  »,  cioè  la  prova  del  fuoco.  E  <  dopo  la  morte 

1  Agostino  da  Terranova,  Eitratti  di  lettere,  Bibl.  Naz.  :  Dee.  M.,  busta  ti,  n.  72, 
e.  12  6  13. 

'  Cournss,  1.  e,  lib.  viii,  capo  xiii. 

*  CoMiNBs,  1.  e,  lib.  vili,  capo  xv.  ~~  Machiavelli,  Estratti:  «  Qualche  tempo  avanti 
la  morte  del  re  di  Francia  si  vide  su  lui  segni  di  epilessia,  e  la  sua  morte,  te  non  fu  di 
questo,  ne  temè  assai  ». 

,  *  CoMiNBS  :  «  et  si  avoit  son  coeur  tousionrs  de  faire  et  accomplir  le  retonr  en  Italia, 
et  confessoit  bien  y  avoir  fait  des  fautes  largement,  et  les  contoit,  etc.  »  —  Il  ICachia- 
velli  numerò  e  pesò  poi  gli  errori  di  Luigi  e  non  di  Carlo,  come  di  colui  del  quale,  «  per 
aver  tenuto  più  lunga  possessione  in  Italia,  si  sono  meglio  visti  li  suoi  andamenti  ».  V. 
Principe,  capo  ni. 


Digitized  by 


Google 


■BCOHDo]  RB  LUiqi  XII.  183, 

del  re  Carlo  fu  fatto  re  Luigi  XII,  e  quella  medesima  ora 
cominciò  a  pensare  del  divorzio  con  la  moglie,  per  pigliare  la 
regina  vecchia  rispetto  alla  Brettagna,  e  al  volerle  bene;  e 
ancora  fu  concluso  che  il  titolo  suo  fosse  re  di  Francia,  Si- 
cilia, Gerusalemme,  e  duca  di  Milano;  che  già  si  mostrava  il 
pensiero  suo  a  quello  stato  ».  — 

Cosi  il  re  novello,  scoperse  in  un  Istante  debolezze  e  pre- 
tensioni ;  così  mise  tutti  in  sull'avviso.  Ma  pel  reame  di  Sicilia 
non  era  più  Ferrandino  che  doveva  paventarlo:  egli  era  morto 
nel  bel  mezzo  de'  suoi  racquisti,  lasciando  l'eredità  litigiosa  a 
Federigo,  suo  zio.  Così,  come  osserva  il  Guicciardini,*  il  reame 
di  Napoli  vide  «  in  tre  anni  cinque  re».  — 

A  questo  punto  degli  avvenimenti  non  ci  sembra  inoppor- 
tuno soffermarci  per  lieve  sosta  ;  e  intrattenerci  sopra  una  que- 
stione che  riguarda  Niccolò  nostro,  e  pone  il  suo  pensiero  a  con- 
tatto con  quello  dell'autore  dell'/storia  d'Italia.  Fin  qui  non  potè 
il  cancelliere  esserci  posto  in  rilievo,  e,  come  vedemmo,  l'unica 
via  per  cui  egli  partecipa  alle  pubbliéhe  vicende,  ci  vien  trac- 
ciata dalla  sua  mente  in  que' sommari  che  corrono  sotto  il  ti- 
tolo d'Estratti  di  lettere  ai  Dieci  di  balia.  Come  non  fossero 
tutti  della  medesima  natura  e  della  medesima  importanza  quelli 
che  si  anno  autografi  di  lui  e  i  risultanti  dall'  apografo  di  Giu- 
lian  de'  Ricci,  già  ponemmo  in  sodo.  Resta  ora  ad  esaminare  se 
gli  si  appartengono  realmente  quelli  che,  aggirandosi  su  i  me- 
desimi tempi  e  le  medesime  contingenze*  e  distendendosi  a  com- 
prensione più  larga  e  universale,  vennero  pubblicati  per  suoi, 
quantunque  non  ne  rimanga  manoscritto  autorevole.  ? 

È  osservabile  che  il  Machiavelli  ne' Frammenti  storici 
dal  maggio  al  novembre  del  1497,  a  proposito  della  congiura 
ordinata  per  rimettere  Piero  de'  Medici  in  Firenze,  scoperta  e 
punita,  scrive:  «  donde  ne  furono  poi  morti  quelli  cinque,  come 
io  ò  notato  in  un  qìmdernuccio  nelle  mie  scatole  che  solo 
tratta  della  scoperta,  esamina  et  morte  de*  detti  cinque,  de'  quali 
si  parla  altrove  >?  —  Che  per  questa  designazione  non  debbansi 
intendere  i  quadernucci,  ricopiati  poi  nell'apografo  di  Giuliano 
de'  Ricci,  è  manifesto  dal  non  trovarsi  negli  estratti^  che  deri- 
vano da  questo  manoscritto  e  da  quello  barberiniano,  altra  notizia 


^  Guicciardini,  Istoria  d'Italia,  lib.  in. 

'  Comparvero  la  prima  volta  neiredix.  delle  Opp.  del  M.  fatta  dal  Cambiagi,  Firenxe, 
MSccLxxxii,  voi.  n,  pag.  50-80. 

*  V.  Machiavelli,  Opp.,  ed.  nlt.,  t.  ii^  pag.  116. 


Digitized  by 


Gbogle 


184  CAPO  PRIMO.  [libbo 

circa  r  esame  e  la  morte  di  quei  favoreggiatori  dei  Medici,  se 
non  qnesta: 

«  Agosto.  Fu  preso  Lamberto  dall' Antella  all'Antella: 
esaminato,  nominò  assai  e  furono  presi, 

4c  Settembre.  Addì  20  d'agosto  furono  e' cinque  cittadini 
condannati  a  morte  ».  ^ 

Invece  negli  Estratti  dell'edizione  fiorentina  del  1782,  ri- 
prodotti nell'edizione  ultima,*  si  pone  la  sentenza  «  a'  di  di- 
ciotto »;  errore  quello  e  questo,  però  che  la  non  fu  pronunciata 
che  a' di  diciassette  d'agosto;  ma  in  seguito  vi  si  danno  esat- 
tamente i  nomi  dei  condannati,  e  minutamente  vi  si  contano 
i  particolari  del  giudizio  e  della  esecuzione.  Laonde  è  chiaro 
che  solo  a'  quadernucci  che  contenevano  questi  ultimi  estratti 
si  potè  far  accenno  da  Niccolò  ne'  Frammenti  predetti.  Per- 
tanto non  è  a  dubitare  che  quelli  non  siano  genuina  opera  di  lui. 

Inoltre,  quando  in  quei  primi  Estratti  s'incontra  men- 
zione dell'assassinio  del  duca  di  Candia,  il  racconto  è  fatto  a 
questo  modo: 

«  Addi  10  di  giugno  avendo  cenato  insieme  il  duca  di 
Candia  et  il  cardinale  di  Valenza,  partendosi  da  cena,  essendo 
venuti  al  ponte  a  Sant'Angelo,  venne  a  lui  uno  turato,  et  par- 
latogli, licenziò  i  compagni  :  et  andatosene  con  lui,  non  fu  mai 
più  rivisto,  salvo  che  fu  trovato  nel  Tevere  dopo  tre  di,  morU> 
con  più  ferite  ».'  — 

E  negli  ultimi: 

«  Circa  mezzo  il  mese  fu  morto  il  duca  di  Candia.  Per 
allora  non  si  seppe  da  chi  ;  poi  si  tenne  per  certo  che  il  car- 
dinale di  Valenza,  o  per  suo  ordine,  fusse  stato  autore  di  questo 
omicidio  per  invidia,  o  per  conto  di  Mona  Lucrezia  ».  ^ 

1  M.  Opp.f  ed.  ult.,  voi.  n,  pag.  259. 

*  Ibid.  voi.  II,  pag.  189. 

■  M.  Opp.y  ed.  ult.,  voi.  n,  pag.  259. 

*  M.,  Opp.  ed.  alt.,  voi.  ii,  pag.  31.  Gf.  Alvi»,  Ceaare  Borgia  duca  di  Romagna^ 
Imola,  1878,  pag.  33-45.  Circa  a  questo  trace  avvenimento,  manca  nell* Archivio  fiorentino 
la  lettera  dell'oratore  Bracci,  in  data  del  xvi  luglio,  che  ne  dava  informazioni.  Rechiiumo 
della  corrispondenxa  di  lui  que*  brani  che  vi  si  riferiscono  (Archivio  di  Stato  in  Firenze.  Let' 
tere  de'X  di  Batta  da  maggio  a  XBre  i497y  ci.  x,  dist.  4>,  n.  54  a  e.  53)  : 

C.  53.  «  Magnifici  etc.  Hierì  diedi  notitia  alle  S.  V.  del  miserando  caso  del  Duca  di 
Candia,  el  quale  fu  seppellito  a  bore  xxiig  in  S.  Maria  del  Popolo;  et  andò  scoperto  in 
sulla  bara  con  non  molta  cerimonia  di  pompa  funebre  :  et  fu  accompagnato  dalli  Oratori 
della  Legha  excepto  il  Venitiano,  et  dalla  famiglia  sua  et  del  Papa,  la  cui  Santità  non 
resta  d'affliggersi,  et  non  dà  anchora  audienza  a  persona.  Et  per  li  ministri  suoi  di  justitia, 
et  per  tutti  li  modi  possibili  di  coniecture,  d*  indictii  et  d'altro,  non  si  attende  se  non  a 
ricercare  et  investigare  li  autori  del  male,  nò  por  anchora  traevano  cosa  di  fondamento  : 
et  se  bene  hanno  varie  opinioni,  non  le  rischontrano  poi.  El  Ghovernatore  et  cosi  il  Bar- 
gello sono  entrati  in  più  case,  non  solum  dove  il  Duca  havea  qualche  consuetudine  mani- 


Digitized  by 


Google 


ucoxDo]  MORTE  DEL  DUCA  DI  CANDIA.  185 

Ora,  il  sospetto  che  Cesare  Borgia  potesse  essere  stato  ca- 
gione della  morte  di  suo  fratello  non  nacque  se  non  quando, 
per  dirla  con  una  frase  del  nostro  Niccolò,  il  papa  pensò  ca- 

festa,  ma  anchora  occulta,  non  senxa  nota  di  qualche  persona  da  bene^con  examinare 
famìgli  et  fantesche  :  intra  li  quali  è  suto  il  Conte  Antonio  Maria  della  Mirandola  per  bavere 
una  figliuola  molto  formosa,  ma  di  bonissima  fama;  et  questo  perchd  è  certissimo  che  el 
Duca  fu  morto  non  molto  dischosto  dalla  casa  sua  la  quale  ò  poche  lontana  da  luogho 
donde  el  Duca  fu  buttato  in  fiume;  et  è  comune  opinione  che  chi  ha  voluto  condurre  alla 
rete  il  povero  Signore,  li  babbi  gittato  innansi  questo  logoro,  et  datoli  ad  intendere  che 
Tordine  fùsse  dato  per  quella  sera;  perchò  colui  che  li  parlò  stravestito  et  che  li  montò 
in  groppa,  li  ha  parlato  altra  volta  in  simile  habito,  et  sempre  di  nocte,  per  mostrarli  bene 
el  secreto,  et  stimasi  che  lo  babbi  pasciuto  con  vana  speranza  d*una  simile  impresa  tanto 
che  chi  lo  voleva  giugnere  al  bocchone  bavessi  Tescha  bene  preparata.  Et  certamente  chi 
ha  ghovemato  la  cosa  ha  bavuto  et  cervello  et  buono  coraggio,  et  in  ogni  modo  si  crede 
sia  stato  gran  maestro.  La  Santità  del  Papa  è  in  modo  accesa  alla  vendetta,  per  quanto 
si  può  intendere,  che  non  ò  per  lassare  alcuna  provisione  indietro  per  ritrovare  li  malfat- 
l4>ri,  et  per  valersi  della  iniurìa;  La  quale  non  li  poteva  essere  fatta  nò  più  intollerabile 
nò  maggiore  per  le  circumstantie  che  la  agravano...... 

«  Roma,  xvij  Junii  1497.  «  Alexa.ndbb  Bbaccius,  OrcU.  » 

C.  63.  « La  Santità  del  Papa  monstra  tuctavolta  attendere  a  ritrovare  quelli 

che  hanno  morto  el  Duca  di  Candia;  ma  questa  mattina  mi  fu  detto  da  persona  degna  di 
fede  che  a  quest*  bora  Sua  Beatitudine  ha  assai  di  presso  notitia  del  vero,  ma  andrà  dis- 
simulando per  fare  pruova  se  potesse  giugnere  li  auctorì  al  sonno,  per  essere  buomini 
d'importantia  et  che  hanno  stato:  et  di  cosi  ò  la  commune  opinione;  et  sarà  forse  tale 
che  non  ingannerà  la  brigata  di  molto  per  la  natura  sua. 

«  Monsignor  di  Valenza  non  andrà  alla  incoronatione  del  Re  Federicho,  et  stimasi  che 
il  Papa  vi  manderà  il  Vice  Cancelliere,  il  che  non  sarà  senza  misterio,  perche  non  si  crede 
che  la  sua  Rev.ma  Signoria  volessi  pigliare  questa  gita  se  non  vi  fusse  sotto  qualche  altra 
copertura.  Alla  Sua  Rev.ma  Signoria  fu  dato  da  principio  qualche  caricho,  etiam  de  quelli 
di  Palazzo  et  dalla  famiglia  del  Papa,  et  non  dalli  inferiori,  che  lei  havesse  tenute  le  mani 
al  tractato  contro  al  Duca  di  Candia  per  alcuni  sdegni  et  iniurie  che  il  Duca  predecto  li 
baveva  facti,  insino  a  ritrovarsi  presente  in  far  porre  le  mani  addosso  a  due  de  suoi  staf- 
fieri et  farli  impiccare,  circa  un  mese  fa  ;  di  che  il  Vice  Cancellieri  si  dolse  poi  gravissi- 
mamente col  Papa,  et  usò  di  strane  parole.  Da  questo  caricho  nacque  che  Sua  Rev.ma 
Signoria  fece  qualche  dimostrazione  di  temere,  se  ben  si  cognosceva  innocente  :  et  però 
dove  prima  si  stava  al  giardino  per  pigliare  aria,  si  ritornò  alla  Cancelleria;  et  facendosi 
Consìstono  poi  el  Lunedì  che  segui  dopo  il  caso  del  Duca,  Sua  Rev.ma  Signoria  non  ci 
volle  andare,  et  dixe  expressamente  la  cagione  acciocché  il  Papa  la  risapesse  :*  per  la  qual 
cosa  Sua  Santità  li  mandò  lo  Oratore  di  Spagna  et  quello  del  Re  di  Napoli  a  significarli 
che  di  lui  era  cosi  certo  non  ci  haveva  bavuto  colpa,  come  di  se  medesimo  ;  et  fecelo  con- 
fortare et  richiedere  che  volesse  andarlo  a  vedere.  Et  Sua  Signoria  ci  andò  sotto  la  fede 
di  decti  Oratori,  et  in  loro  compagnia,  et  non  di  meno  con  buono  ordine  quando  fussi  vo- 
luto esser  ritenuto  :  et  stiò  con  la  Santità  Sua  quattro  grosse  bore  giovedì  sera  ;  et  ritor- 
nossi  a  casa  pure  accompagnato  da  decti  Imbasciadori.  Hier  mattina  dipoi  ritornò  alla 
prefata  Santità,  et  stiè  con  lei  parecchi  bore  ;  et  finalmente  in  su  questo  accidente  seguito, 
il  Papa,  per  quanto  si  ritrahe  per  molti  rischoatri,  monstra  essersi  del  tucto  coUeghato 
con  lui,  et  si  existima  che  babbi  a  ghovemare  la  Santità  Sua  et  a  dispome  più  che  mai,  etc. 
«  Roma,  23  Junii  1497.  «  A.  Bbaccius  ». 

C.  74.  « La  Santità  Sua  ha  pure  statuito  che  il  Cardinale  di  Valenza 

vada  alla  Incoronatione  del  Re  Federico,  perchò  la  M.à  Sua  ha  mostro  desiderarlo  pel 
messo  dello  Ambasciador  suo,  quale  ha  man<]ato  qui  a  condolersi  della  morte  del  Duca 
di  Candia. 

«  Veduto  ch'el  Papa  non  si  mostra  tanto  curioso  di  ritrovare  quelli  che  hanno  morto 
il  Duca  di  Candia,  si  tiene  per  indubitato  che  la  Santità  Sua  ad  questa  bora  babbi  ritro- 
vato il  vero,  et  che  non  pensi  ad  altro  se  non  ai  modi  del  potersene  valere  ad  man  salva. 
«  Roma,  primo  Julii  1497.  «  Alex.  Bbaccids  ». 

C.  7$.  « Della  morte  del  Duca  di  Candia  si  parla  ogni  di  variamente  ;  et 

chi  afferma  el  Papa  baveme  lo  intero,  ma  dissimulare  per  la  cagione  ho  detta  per  altra: 


Digitized  by 


Google 


186  CAPO  PRIMO,  [libbo 

vargli  l'abito  ecclesiastico  e  dargli  stato  da  laico  ;  ^  e,  per  quel 
che  sembra,  il  sospetto  ebbe  origine  veneziana.  Se  ne  fa  pa- 
rola in  un  dispaccio  del  Pigna,  da  Venezia,  e  a'  di  22  del  feb- 
braio 1498;*  e  pare  che  l'odio  veneto  l'argomentasse  dalla 
considerazione  delle  utilità  probabili.  Ora,  a  noi  non  sembra 
dubbio  che  già  quei  primi  estratti  del  Machiavelli  fossero  com- 
pilati parecchio  tempo  dopo  il  1498;  in  un  tèmpo  in  cui,  se 
da  pubblici  documenti  della  cancelleria  iSorentina  gli  fosse  ap- 
parsa l'affermazione  di  quel  sospetto,'  ei  non  avrebbe  preter- 
messo al  certo  di  fame  notamente.  Invece,  in  quelli  non  ne 
tenne  parola.  Perchè?  perchè  quegli  estratti,  quantunque  or- 
dinati alla  composizione  delle  Istorie,  non  anno  ragione  se  non 
di  quel  che  è  transunto  di  pubbliche  scritture  d'oratori  e  man- 
datari della  repubblica  fiorentina;  mentre  gli  ultimi  raccol- 
gono notizie  anche  da  altre  fonti,  si  dilatano  ad  abbracciare 
documenti  d'importanza  più  generale,  mettono  accanto  allo 
spoglio  cancelleresco  il  commento  della  tradizione,  fanno  cor- 
rispondere al  pensiero  de'  politici  il  sentimento  del  popolo.  Così 
in  questi  si  à  notizia  della  presura  e  della  morte  di  Perkin 
Warbec,  famoso  impostore  che  sotto  il  nome  di  Riccardo  Plan- 
tageneto  (Niccolò  lo  chiama  Piata  Giannetta  3),  passò  per  figlio 
d'Edoardo  quarto,  e  fu  da  Carlo  ottavo  invitato  a  Parigi  e 
ricevuto  con  tutti  gli  onori  convenienti  a  un  dùca  di  Yorck. 
E  chiamandolo  «  duca  di  Jorch  »  anche  il  Machiavelli,  ci  dà 
luogo  a  congetturare  che  la  notizia  la  traesse  da  fonte  fran- 
cese, e  da  chi  non  era  persuaso  dell'impostura  del  venturiero 
fiammingo. 

Parimenti  per  la  causa  del  divorzio  fra  la  regina  Giovanna 
«  la  moglie  vecchia  »  e  il  re  nuovo  di  Francia,  giudicata  dal 

et  alcuni  dichono  el  contrario.  Ma  quomodocumque  sit,  S.  Santità  non  fa  più  cerchare,  et 
li  suoi  tacti  parlano  in  una  medesima  sententia  che  non  se  ne  sappia  el  vero. 

«  Roma,  7  Jal.  1497.  «  Braccius  ». 

1  M.,  Estratti,  pag.  134. 

*  Cf.  Alvisi,  op.  cit.,  pag.  44.  —  V.  anche  i  Frammenti  dalle  Storia  di  Sigismondo 
Conti  pubblicati  dal  Ciampi,  Archimo  storico  italiano,  vr  serie,  t.  i,  pag.  94-95,  in  cai  si 
dice:  «  Cum  diu  dubitatum  fuisset  a  quo  Ioannes  dux  Candise  necatus  esset,  compertom 
fuit  Valentinum  eius  rei  auctorem  fuisse,  emnlatione  potenti»  qua  is  Alexandre  patri,  quem 
oculis  et  omnibus  oris  lineamontis  referebat,  carior  et  acceptior  esset  ».  —  V.  anche  Kkopflbe 
N.,  Dw  Tod  dea  Herzogs  von  Oandia,  nella  Theologische  Quartalschrift  (voi.  xux,  pa- 
gine 488-476)  il  quale  afferma  non  prima  del  1500  essersi  propagata  Taccusa  contro  del  Var 
Untino.  PiBTBo  Mabtirb,  Opus  epistol.  pag.  99:  «  Viget  opinio,  quod  frater  ipse  Casar 
hic  cardinalis  tanti  facinoris  pre  invidia,  aut  prò  selotypia  fuerit  auctor  ».  —  Cf.  anche 
Nembc  V.  Papst.  Alexander  VI,  Klagenfurt,  1879,  pag.  120-128. 

>  M.  Estratti,  1.  e.  pag.  1^.  Humb,  History  of  England,  cap.  25.  Hallam,  ConstUì*" 
lUmal  history  of  England,  cap.  i. 


Digitized  by 


Google 


BECOFDo]  STORIA' D'ITALIA  DEL  GUICCIARDINI,  187 

cardinale  di  Mans,  dal  vescovo  di  Seez  (Sezza),  egli  sembra 
avere  attinto  agli  atti  autentici,  di  cui  riferisce  i  sommi  capi 
e  le  parole  testuali.  E  quando  poi  accagiona  il  Valentino  di 
aver  fatto  morire  il  vescovo  di  Seez,  per  aver  rivelato  che  quegli 
portava  con  sé  in  Francia  la  dispensa  pontificia,  che  lo  scaltro 
Borgia  intendeva  sfruttare  a  prò  delle  cupidigie  proprie  e 
paterne,  racconta  la  cosa  non  come  tradizione  di  sospetti  pro- 
babili, ma  l'afferma  siccome  certa,  e  la  sua  affermazione  entra 
solenne  nélYIstoria  del  Guicciardini.  ^ 

Ora  egli  è  precisamente  a  questo  punto  che  vogliamo  restrin- 
gere le  nostre  considerazioni  intorno  a  questi  estratti,  per  de- 
rivarne la  conclusione  nostra  e  stabilirne  l'importanza  e  la  diffe- 
renza dagli  altri.  Alcune  notizie  storiche,  e  segnatamente  quelloi 
che  si  riferiscono  al  Valentino,  nell'opera  maggiore  del  Guic- 
ciardini non  trovano  riscontro  che  in  questi  ultimi  Estratti  del 
Machiavelli.  Come  occorre  ciò?  forse  che  tutti  e  due  i  grandi 
storici  attinsero  ai  medesimi  documenti?  Non  lo  crediamo.  Il 
Ranke  in  una  sua  opera  poderosa,  sebbene  giovanile,  ^  trattando 
la  questione:  «  se  il  Guicciardini  sia  da  considerare  assoluta- 
mente come  fonte  isterica  »,  conclude  pel  no;  e,  quantunque  i 
suoi  argomenti  non  abbiano  tutti  un  egual  valore  e  le  analogie 
da  lui  riconosciute  non  ci  paiano  sempre  manifeste,  tuttavia 
comprendiamo,  sotto  un  certo  rispetto,  la  ragionevolezza  della 
conclusione  sua.  Ma  quel  che  ci  maraviglia  è  questo:  che, 
mentre  per  la  notizia  della  conquista  e  delle  guerre  di  Carlo 


*  Guicciardini,  Istoria  d'ItcUiat  lìb.  iv.  —  L'Alvisi,  Cesare  Borgia,  pag.  53  e  segg., 
giudica  strano  il  racconto  del  Machiavelli;,  perchè  Ferdinando  d'Almeida,  vescovo  di 
Seez  (egli  lo  dice  di  Setta,  come  il  Guicciardini)  mori  all'assedio  di  Forlì,  due  anni  dopo 
Tandata  del  Valentino  alla  corte  di  Francia;  e  perchè  la  notizia  della  dispensa  concessa 
dal  pontefice  era  cosa  notoria.  A  questo  si  può  rispondere  :  1^  che  il  vescovi  di  Seez  era 
allora  non  Ferdinando  d'Almeida,  ma  Egidio  di  Lavai,  morto  dopo  a  di  3  d'ottobre  1502; 
nel  qual  giorno  consta  che  conferi  la  chiesa  di  Escocheio  (Cf.  Saint^Marthb,  Oallia  cri- 
sUana,  t.  xi,  col.  701).  2P  che  una  cosa  è  il  sapere  che  la  lite  è  stata  decisa  ed  un'altra  l'avere 
in  mano  la  sentenza;  che  per  certo  i  vescovi  nei  quali  la  causa  era  stata  rimessa,  avevano 
opinato  :  «  consulendum  Sanctissìmo  prò  dispensatone  matrimonii  rati  et  non  consumati  *, 
ma  il  titolo  di  diritto  che  importava  al  re,  era  proprio  la  pergamena  pontificia.  —  «  L'e- 
stratto del  Machiavelli,  aggiunge  l'Alvisi,  à  le  notizie  troppo  confuse  col  commento,  per 
non  far  credere  che  il  gran  Segretario,  anziché  star  contento  a  riprodurre  i  fatti  come 
erano  ne'  dispacci  che  esaminava,  non  li  spiegasse  o  li  commentasse  come  li  udì  poi  nar- 
rare a' suoi  di,  quando  la  maledetta  fortuna  de' Borgia  faceva  sospettare  di  tutte  le  morti 
che  attorno  a  loro  avvenivano  ».  -  Ora,  per  quel  che  concerne  l'accettazione  di  dicerie  e 
dì  commenti  in*  questi  Appunti  ttoriei ,  siaro  d' accordo  coll'Alvisi  ;  ma  non  crediamo  di 
certo  che  il  Machiavelli  fosse  per  proposito  tra  coloro  che,  nella  sventura  dei  Borgia,  si 
compiacquero  ad  esagerare  e  moltiplicare  le  colpe  loro.  Anzi  il  giudizio  che  Niccolò  profferse 
del  duca  Cesare,  tutt'altro  che  maligno,  eccitò  sospetto  e  malanimo  de'  posteri  e  verso  il 
giudice  e  verso  il  giudicato. 

*  Raivkb,  Zur  Kritih  neuerer  Oesehichtschreiber,  Leipzig,  18S4,  1'  ediz.,  pag.  8. 


Digitized  by 


Google 


188 


CJLPO  PRIMO. 


ottavo,  eì  si  piace  a  ravvicinare  il  testo  del  grande  autore 
della  prima  Istoria  d'ItcUia  col  libro  di  Bernardo  Rucellai 
de  Bello  Italico,  sembra  poi  non  accorgersi  delle  grandissime 
analogie  che,  in  alcuni  punti,  gli  Estratti  del  Machiavelli  anno 
colla  Istoria  d'Italia  ;  e,  nell'appendice  ove  tratta  del  Segre- 
tario fiorentino,  di  lui,  come  di  possibile  fonte  storica,  non 
tiene  alcuna  ragione.  Pure  le  rassomiglianze  nei  dati  dei  due 
scrittori  appaiono  palpabili;  bensì  tenuto  conto  della  forma  na- 
turalmente diversa  de' loro  scritti;  che  l'uno  estraeva  sommari 
e  l'altro  distendeva  racconti.^  E  oltre  agli  argomenti  intrin- 


1  Che  nel  libro  quarto  della  Istorie  del  Ouicciardini,  quanto  si  riferisce  del  Valentino 
sia  desunto  dagli  EstrcttU  del  Machiavelli,  crediamo  averlo  provato  per  quel  che  di  sopra 
fu  detto.  Per  quanto  concerne  il  libro  3^  rechiamo  alcuni  esempi,  fra  i  molteplici  che  po- 
trebbero addursi  : 


OnicciABDiNi,  Storia  d^ItaHa^  lib.  3^: 

«  la  qual  mala  disposizione  dette  spe- 

ransa  a  Piero  de* Medici,  incitato  oltra  queste 
occasioni,  di  poter  facilmente  ottenere  il  de- 
siderio suo;  ..••massimamente  poi  che  fu  av- 
visato essere  stato  creato  Gonfaloniere  di 
giustizia,  che  era  capo  del  Magistrato  Su- 
premo, Bernardo  del  Nero,  huomo  di  gravità 
«t  d*  autorità  grande  e  stato  lungamente  amico 
paterno  e  suo,  et  essere  stati  eletti  al  me- 
desimo magistrati  alcuni  altri,  i  quali  per  le 
dipendente  vecchie,  credeva  che  havessero 
inclinatione  alla  sua  grandezza  ». 

Id.,  ibid.  : 

«  a  Siena ....  ebbe  segretamente  altre  genti, 
in  modo  che  con  seicento  (1)  cavalli,  et  quat- 
trocento fanti  eletti  si  parti,  due  giorni  poiché 
era  cominciata  la  tregua...,  verso  Firenze,  con 
speranza  che  arrivandovi  quasi  improvviso 
in  sul  far  del  giorno,  hauesse  facilmente  o 
per  disordine,  o  per  tumulto,  il  quale  speraua 
hauersi  a  leuare  in  suo  favore,  a  entrami  ; 
il  qual  disegno  non  sarebbe  forse  riuscito 
vano,  se  la  fortuna  non  hauesse  supplito  alla 
negligenza  de*  suoi  avversarii,  perchè  essendo 
al  principio  della  notte  alloggiato  alle  Ta- 

vemelle con  pensiero  di  camminare  la 

maggior  parte  della  notte,  una  pioggia  che 
sopravvenne  molto  grande  gli  dette  impedi- 
mento che  non  si  potette  presentare  a  Firenze, 
se  non  molte  bore  poi  che  era  levato  il  sole  ; 
il  quale  indugio  dette  tempo  a  quegli  che 
facevano  professione  d'essergli  particolari 
nimici  (perchè  la  plebe  et  quasi  tutto  il  resto 
de*  cittadini  stana  ad  aspettare  quietamente 
resito  della  cosa)  di  prendere  Parme  con  gli 
amici  e  seguaci  loro  e  ordinare  ecc....  e  farsi 
forti  alla  porta  che  va  a  Siena  ;  alla  quale, 
pregato  da  loro,  andò  medesimamente  Pa- 
golo  Vitelli,  che  ritornando  da  Mantova  era 


Machiavelli,  Ettratti,  ecc.  (ed.  Passerini- 
Milanesi),  voi.  ii,  pag.  129-130: 

«  Partissi  Piero  de*  Medici...*,  sperando  nei 
disordini  della  città,  negli  affanni  del  popolo, 
e  ne*  Signori,  capo  dei  quali  era  Bernardo  del 
Nero  ;  e  anche  da  qualche  suo  parente  e  amico 
gli  era  stato  dato  opinione  d^ meglio...» 


Id.,  ih. 

«  Partissi  Piero  de*  Medici  da  Roma  ardi  di- 
ciannove e  venne  a  Siena.  Dietro  gli  vennero 
quattrocento  fanti  e  TAlviano  con  circa  tre- 
cento cavalli...  -  E  congregata  questa  gente 
a  Siena,  la  sera  a*  di  ventisette  si  parti,  e 
venne  la  notte  in  modo  che  al  di  si  tro- 
vava alle  Tavornelle  di  Valdelsa  ;  e  cosi  si 
condusse  per  la  diritta  fino  alle  porte,  ere* 
dendo  ad  ogni  modo  che  in  Firenze  si  tumul* 
tuasse...  — 

«  Parti  Piero  da  Siena  a'  di  ventisette  ad 
ore  quindici  e  la  notte  ebbe  una  grande  acqua 
che  gli  dette  grave  impedimento,  che  se  non 
fussi  stata,  giugneva  al  di  alla  porta  e  al- 
l' improvvisa. 


«  A  chi  importava  si  mostrò  molto  ignaro  ; 
che  stavano  gli  uomini  in  cappuccio,  come  a 
vedere  una  processione  ». 

«  Trovossi  a  caso  nella  terra  Pagolo  Vi- 


Digitized  by 


Google 


8BCOKDO]  '  APPUNTI  STORICI  DEL  MACHIAVELLI.  \9è 

seci,  soccorre  anche  la  tradizione  in  appoggio  dell'opinione 
nostra;  tradizione  osservabile,  poiché  ci  yien  tramandata  da 
scrittore  non  remoto  per  tempo  dai  nostri  due  autori,  e  non 
indegno  di  fede.  ^ 

Fu  Giovan  Matteo  Toscano  il  quale  aflfermò  che  il  Ma- 
chiavelli, morendo,  donasse  al  Guicciardini  i  commentari  che 
aveva  composto  delle  cose  occorse  ne' tempi  suoi.  Per  questi 
commentari  ci  sembra  non  sia  da  intendere  altro  che  gli 
Estratti  di  lettere.  Ora,  non  volendo  accogliere  intera  questa 
tradizione,  ci  sarebbe  a  dubitare  se  i  suoi  estratti  Niccolò  glieli 
donasse  tutti,  e  soprattutto  se  glieli  donasse  morendo.  Noi  in- 
clineremmo a  credere  che  da  vivo  glieli  lasciasse  nelle  mani, 
e  che  non  gli  desse  se  non  questi  ultimi  estratti,  che  più  vo- 
lentieri, considerata  la  natura  loro,  chiameremmo  Appunti 
storici;  de' quali  soltanto  nelV Istoria  del  Guicciardini  si  tro- 
vano riscontri,  ne' quali  soltanto  occorrono  notizie  che  altrove 
non  ci  appaiono  registrate.  Cosi  per  questa  stagione,  in  cui  nella 
cancelleria  la  vita  di  Niccolò  ancora  ci  rimane  oscura,  il  suo 
pensiero  ci  è  lume  a  percorrere  i  tempi  e  pesar  gli  uomini  coi 
quali  è  per  affrontarsi;  egli  è  vera  fonte  storica  per  riguardo 
agli  avvenimenti,  e  dipintore  mirabile  rispetto  alle  persone. 
Alessandro  sesto,  «  papa  tristo,  pregno  il  capo  de'  suoi  disegni, 
ciurma  Milano  e  Firenze;^  i  tempi  lo  servono  bene;  perchè 
trova  un  re  di  Francia  che  per  separarsi  dalla  moglie  vecchia 
gli  promette  e  dà  più  che  verun  altro  »;3  il  duca  di  Ferrara 
«  fa  il  mannerino  »  ;  ^  Ludovico  Sforza  «  come  uomo  lieve  spera, 

per  sorte  la  sera  precedente  giunto  in  Fi-  telli  che  tornava  da  Mantova,  e  lui  insieme 
renze  »  etc. ,  con  gli  altri  gli  fu  mandato  dietro  ».  —  (Cf. 

M.,  Frammenti  atorici,  pag.  114-115,  ed.  cit.) 

Ib.,  1.  30 :  Id.,  ib.,  pag.  133: 

«  Nella  fine  di  questo  anno  essendo  prima  «  La  dieta  che  si  era  ordinata  prima  a  Mon- 
interrotte  per  le  dimando  immoderate  de*  Re  pelierì,  poi  trasferita  a  Narbona,  poiché  fu 
di  Spagna,  la  dieta  che  da  Mompolieri  era  rotta  la  prima  volta,  non  si  rappiccò  mai, 
stata  trasferita  a  Nerbona,  si  ritornò  tra  perchè  le  condisioni  della  pace  erano  scarse 
quelli  re  a  nuove  pràtiche,  militando  pure  la  per  ognuno,  et  il  re  di  Francia  era  in  sul 
medesima  difficoltà,  perchè  il  re  di  Francia  gagliardo.  Et  infine  a  quest*ora  la  Spagna 
era  determinato  di  non  acconsentire  più  ad  non  consentiva  l'acquisto  di  Napoli,  se  non 
accordo  alcuno,  nel  quale  si  comprendesse  aueua  lui  la  Calabria  ;  il  quale  appuntamento 
Italia;  et  a*  re  di  Spagna  pareua  grave  la-  segui  poi  con  Taltro  re  ». 
sciargli  libero  il  campo  di  soggiogarla. 

1  OiovAM  Matteo  Toscano,  P»phu  ItaUae,  Lutetiae,  1578,  pag.  52  :  «  Commentarios 
qoibus  ea  quae  sua  tempestate  gesta  sunt  complexus  erat,  Francisco  Ouicciardino  moriens 
dono  dedit.  Quorum  subsidio  Franciscus  illud  tantopere  vulgo  commendatum  historìse  opus 
absolvit  ».  — 

•  M.,  Eftratti,  1.  e,  pag.  138,  a.  140. 

*  M.,  ibidem,  pag,  150. 
«  M.,  ibidem,  pag.  158. 


Digitized  by 


Google 


190  CAPO  PRIMO.  [libbo 

poi  teme,  ed  ora  si  ormeggia  in  su  questo  ora  in  su  quello ».i 
Questi  è  quel  Ludovico  <  che  con  livree,  con  strani  proverbi 
mostrava  poi  la  guerra  d' Italia  essere  per  finire  a  sua  posta, 
et  udiva  volentieri  chi  ne  lo  esaltava,  et  infra  gli  altri  un 
bufibne  che  gli  diceva:  «  questo  glorioso  principe  ha  per  spen- 
ditore  i  Viniziani,  per  capitano  il  re  di  Francia,  e  per  cor- 
riere lo  Imperadore  ».  Dicevasi  ancora  nella  sua  corte:  «  Iddio 
in  cielo  et  il  Moro  in  terra,  sa  il  fine  di  questa  guerra  ».*  Vana 
burbanza  di  furbo  meschino  che  spera  salute  e  gloria  da  gar- 
bugli. Per  compenso  il  marchese  di  Mantova  è  il  «  solus  qui 
avaritiam  Gallorum  in  tanta  eorum  felicitate  non  implevit  ».  ^ 
Ma  degli  altri  condottieri  non  si  resta  Niccolò  dal  ferire 
la  bassezza,  Y  ingordigia,  la  mala  fede,  della  quale  erano  na- 
turalmente i  cancellieri  in  condizione  di  conoscere  meglio  tutta 
la  portata,  come  coloro  che  assistevano  intermedi  e  testimoni 
ai  trattati  e  ne  vedevano  le  indegne  violazioni  e  l'interpreta- 
zioni utilitariamente  subdole.  Cosi  tra  di  loro  se  li  proverbia- 
vano ;  e  Antonio  da  Venafro,  cancelliere  di  Pandolfo  Petrucci, 
motteggiava  l'Appiano  signor  di  Piombino,  e  Niccolò  registrava 
il  motteggio:  «il  signor  di  Piombino  discorre  bene,  conchiude 
male,  eseguisce  peggio.  »^  E  appunto  col  signor  di  Piombino 
capita  Niccolò  ad  aver  primieramente  che  fare,  per  commis- 
sione de'  Dieci  di  libertà  e  balia.  L'Appiano  era  stato  condotto 
ai  soldi  comuni  de' Fiorentini  e  del  duca  di  Milano:  Il  con- 
dottiero accampava  le  pretensioni  solite  di  que'  signorotti,  dediti 
all'armi  per  mestiere:  voleva  accresciuto  il  numero  degli  as- 
soldati suoi  ;  aumentato  il  prezzo  della  condotta  oltre  le  sti- 
pulazioni. Niccolò  ebbe  istruzione  d'andarlo  a  incontrare  presso 
Pontedera,  d'acquietarlo  con  parole;  quanto  al  danaro,  stesse 
contento  a' patti;  circa  al  numero  degli  uomini  d'arme,  desse 
tempo  dì  pigliare  accordi  col  duca  di  Milano.  ^ 

1  M.,  ibid.,  pag.  138. 

*  Machiavelli,  FrammenU  storici,  pag.  180.  -  Questo  secondo  proverbio  leggesi  cosi 
recato  in  francese  dal  contemporaneo  Cui  Coquille: 

«  Christ  aa  ciel  et  More  en  terre 
S^avent  le  succes  de  cette  guerre  ». 
Cf,  FoNCEMAaNB  nelle  Jlem.  de  l'Académie  des  inscript,  et  belles  lettres,  t.  xvi,  pag.  239 

*  M.,  Estratti  di  lettere,  pag.  273.  Cf.  Croniche  del  marchese  di  Mantova,  1.  e,  pag.  65. 
Questi,  ricevendo  a  Vespolato  gli  ambasciatori  veneti  che  gli  recavano  le  insegne  di  ca* 
pitano  generale,  nel  padiglione  grande  della  guardia,  Taveva  ornato  «  de  drappi  di  vel- 
luto cum  lettere  et  sigili  d*oro  de  la  Camera  de  Re  Karolo,  guadagnati  al  facto  d'arme  ». 

*  N.  M.,  Frammenti  storici,  pag.  127,  ed.  cit. 

■  V.  Istruzione  a  N.  M.  seeretario  all'  illustre  Signore  di  Piombino.  Ex  palatio  fioren- 
tino dei  24  martii  mcccclxxxXviii  (St.  fior.) 


Digitized  by 


Google 


SBOOMSO]  IL  DUCA  DI  VALBNTINESS.  191 

Il  duca  di  Milano,  alla  successione  di  re  Luigi  al  trono 
di  Francia,  era  stato  gittate  in  più  gravi  pensieri.  Già  le  rela- 
zioni avute  con  lui,  quand'era  duca  d'Orleans,  non  erano  state 
buone:  la  serqua  de' titoli  assunti  allora  dal  Cristianissimo  coro-, 
nato  lo  sgomentò.  Il  papa  invece  non  se  ne  prese,  come  quegli 
che,  fatta  esperienza  nel  passaggio  di  re  Carlo,  avea  capito 
che  non  era  né  da  que're,  né  da  quel  popolo  che  la  cupi- 
digia pontificale  doveva  guardarsi.  Anzi,  desideroso  di  cambiare, 
con  qualche  maniera  di  temporale  accomodamento  per  la  fami- 
glia propria,  la  sua  merce  spirituale,  di  cui  conosceva  essere  il 
novello  re  ricercatore,  avea  permesso  al  cardinal  di  Valenza, 
rimasto  l'unico  soggetto  su  cui  il  favore  paterno  si  potesse  spie- 
gare, di  gittar  via  l'abito  ecclesiastico,  per  una  ragione  che 
non  si  tenne  dallo  allegare  in  concistoro,  nel  deporre  il  cap- 
pello cardinalizio,  cioè  :  a  non  avere  avuto  mai  l'animo  incli- 
nato alla  professione  sacerdotale  ».  ^  Ora  poiché  re  Luigi  avea 
chiesto  dal  papa  la  bolla  apostolica,  che  sancisse  il  divorzio 
ch'egli  voleva  della  sua  prima  moglie  Giovanna,  sterile,  mo- 
struosa e  fattagli  sposar  quasi  per  forza  da  Luigi  undecime, 
per  poter  tórre  a  donna  la  vedova  di  Carlo  ottavo  che  era  bella, 
e  che  gli  recava  in  dote  il  ducato  di  Bretagna;  s'era  stabilito 
che  Cesare  Borgia  sarebbesi  recato  in  Francia;  che  avrebbe 
portato  con  sé  la  bolla  della  dispensa  papale;  e  che  in  com- 
penso il  re  gli  avrebbe  prestato  man  forte  per  ridurre  alla  sog- 
gezione della  Santa  Sede  le  città  possedute  dai  vicari  di  Ro- 
magna, e  gli  avrebbe  dato  buona  provvisione  di  danari  per 
fornire  l'impresa. 

Infatti  recatosi  Cesare  in  grande  magnificenza  di  pompe  a 
quella  corte,*  e  quivi  ricevuto  con  gentile  splendidezza  fran- 
cese, il  re  Luigi  gli  dà  condotta  di  cento  lancie  con  venti- 
mila franchi  di  provvisione,  gli  concede  la'  ducèa  di  Valenti- 
nese  nel  Delfinato,  con  altri  ventimila  franchi  d'entrata;  gli  dà 
speranza  di  maggiori  ajuti  e  d'un  maritaggio  utilissimo.  Il  car- 
dinal di  Valenza  mutato  cosi  in  duca  di  Valentinese,  ardito  e 
scaltro  sotto  la  maglia  come  era  stato  sotto  la  porpora,  chiede 
subito  a  moglie  Carlotta  d'Aragona,  figlia  a  re  Federigo,  che 

^  Màchuvblli,  Ettraitit  «d.  cit.,  pag.  143.  Ouicciaboimi,  St.  d'Italia,  lib.  in.  Bubcabdo, 
Diario. 

*  V.  nella  Bibl.  Nazionale,  basta  vi,  doc.  M.,  n.  34,  la  Nota  deUa  pompa  colla  qucUe 
entrò  il  Valentino  in  Cynone,  quando  andò  a  torre  danna  e  dare  U  eappello  a  Roano. 
Fa  pabblicato  dal  Fbb&ato  in  un  opuscoletto  por  laare*.  Venexia,  1868.  Cf.  Bbjlntomb, 
Capitainee  ìtrangen. 


Digitized  by 


Google 


1»  CAPO  PRIMO.  [v 

trovava  a  quella  corte.  Il  re  conobbe  il  perfido  tiro  che  quegli 
preparava,  sposando  le  pretensioni  de*  Borgia  a  quelle  degli 
Aragonesi  sul  reame  di  Napoli,  che  voleva  per  sé  ;  e  fingendo 
.assecondare  le  ripugnanze  della  Carlotta,  o  istigandola  forse 
in  segreto,  non  consentiva  a  quelle  nozze.  Si  contentarono  poi 
re  e  duca  della  figliuola  di  monsignor  d'Albret,  il  quale,  per 
esser  di  sangue  reale  e  per  la  grandezza  de' suoi  stati,  non 
era  inferiore  ad  alcuno  de*  signori  di  tutto  il  reame  di  Francia. 

Frattanto  Fiorentini  e  Veneziani  erano  alle  prese  intorno  a 
Pisa.  I  Fiorentini,  paurosi  della  ritornata  francese,  non  sape- 
vano, malgrado  le  intimazioni  del  re,  ^  né  decidersi  per  lui,  né 
unirsi  a  chi  gli  stesse  contro;  e  però  tutti  i  loro  andamenti 
si  risentivano  di  quella  titubante  fiacchezza.  I  Veneziani  ave- 
vano gettato  in  quella  città  quattrocento  uomini  d'arme,  ot- 
tocento stradiotti,  più  di  duemila  fanti;  e  secondati  dall'in- 
trepido e  ostinato  valore  di  quel  popolo  combattente  per  la 
libertà  sua,  facilmente  tenevano  testa  ai  i^oldati  de'  Fioren- 
tini e  a' loro  ausiliari  Francesi,  turbolenti  e  malfidi.  Ludo- 
vico Sforza,  che  quel  terribile  incendio  della  guerra  pisana 
aveva  goduto  di  vedere  acceso,  ora  che  da' propositi  di  re 
Luigi  si  sentiva  quasi  avventar  quelle  fiamme  addosso,  vide 
che,  per  provvedere  a' casi  suoi  e  staccare  i  Fiorentini  dalla 
causa  di  Francia,  non  c'era  altro  che  procurare  a  quelli  il 
racquisto  di  Pisa,  e  veder  cessata  la  cagion  della  guerra;  come 
se  r  unico  interesse  che  avvinceva  Firenze  alla  causa  di  Francia 
fosse  la  questione  di  Pisa.  Pertanto  il  duca  induce  i  Fioren- 
tini ad  unirglisi  insieme  e  soldar  tante  forze,  quante  bastino 
a  conquistar  le  terre  di  tutto  quel  contado.  Conducono  cosi 
ai  loro  soldi  Alessandro  Bentivoglio  e,  perché  i  Veneziani  tro- 
vassero resistenza  in  Romagna,  Ottaviano  Riarió,  figlio  di  ma- 
donna Caterina  Sforza,  signora  d'Imola  e  di  Forjì;  la  quale  pel 
figliuolo  giovinetto  reggeva  allora  lo  stato. 

Ottaviano  Riario  aveva  diciannove  anni;  era  dedito  alla 
milizia.  Recava  con  sé  cento  uomini  d'arme  e  cinquanta  ba- 
lestrieri a  cavallo;  aveva  concluso  la  ferma  per  un  anno  d'ob- 
bligo e  un  anno  di  beneplacito;  ma  l'anno  di  beneplacito  doveva 
esser  richiesto  quattro  mesi  innanzi.  I  Fiorentini  in  fatti,  che  lo 
volevano,  ne  lo  richiesero  al  tempo  prescritto;  ma  allora  il 
giovine,  0  improvvido  o  non  accortosi  della  tempesta  che  gli  si 

>  D£8JABDZN8,  Négociation$,  t.  n,  pag.  22. 


Digitized  by 


Google 


8BC02CDO]  NICCOLO*  MACHIAVELLI  A  FORLÌ*.  1«3 

raddensava  alle  spalle,  ricusò.  Se  non  che  quando  la  scaltris- 
sima  donna,  che  vegliava  a  sua  tutela,  vide  grandeggiare  il 
Valentino,  e  fiutò  gì' intendimenti  ambiziosi  de' Borgia,  e  la 
poca  vita  che  restava  al  duca  Ludovico,  fatto  segno  all'ira  di 
Francia;  raccostossi  co' Fiorentini  e  sollecitando  da  loro  il  rin- 
novamento della  condotta  pel  figliuolo,  le  parve  metterlo  sotto 
air  usbergo  dell'  unica  città  amica  di  Francia  ;  e  si  confidò  per 
questo  che  né  il  duca  Cesare  si  sarebbe  attentato  d' offenderlo, 
ne  re  Luigi  lo  avrebbe  lasciato  immolare.  Però  fu  dessa  allora 
che  scrisse  ai  Dieci,  domandando  se  volean  la  conferma  del  be- 
neplacito del  figliuolo;  ma  non  senza  dignità,  e  come  in  sem- 
biante d'interrogarli  con  preferenza,  per  essere  stata  sollecitata 
anche  dal  duca  di  Milano  d'uomini  d'arme  e  di  balestrieri;  e 
nell'istesso  tempo  facendo  sentire  i  propri  meriti  presso  quella 
repubblica;  <  abbiando  esposto  nui  et  Stati  nostri,  per  tutela 
et  conservatione  delle  cose  loro  ».  ^  I  Fiorentini  compresero 
come  la  donna  prudente  ricercava  per  iscaltrezza  e  sotto  le 
strette  della  necessità  quel  che  il  figliuolo  improvvido  avea 
prima  ricusato;  e  deliberarono  di  trarre  utile  dal  bisogno  e  dal 
desiderio  altrui.  Mandarono  Niccolò  a  Forlì  all'illustrissima 
Madonna,  con  commessione  d'accomodar  le  cose,  e  di  fermare 
il  beneplacito  con  soldo  di  soli  diecimila  ducati  per  quell'  anno  ; 
provvisione  che  poteva  parere  scarsa,  ma  che  rispondeva  alla 
strettezza  di  danari  della  repubblica,  e  doveva  anche  spegnere 
le  bramose  illusioni  dei  condottieri,  riscaldati  dalle  gare  del 
conte  Rinuccio  e  de'  Vitelli. 

Niccolò  parte;  non  appena  è  in  via  che  una  staffetta  gli 
è  spiccata  dietro  per  ,una  piccola  commissione  da  curare  a 
Castrocaro,  donde  passava;  giunge  a  Forlì,  e  nel  giorno  istesso 
è  introdotto  a  quell'  illustre  Madonna.  Essa  aveva  vissuto  in 
corte  di  Roma,  a' tempi  di  Sisto  quarto,  onoratissima;  Imola 
e  Forlì  avean  veduto  le  pompe  maravigliose  delle  sue  ìiozze 
col  conte  Girolamo  Riario;  la  sua  vendetta  virile  dell'ucci- 
sione  del  marito.  ^  Di  quella  parte  della  cittadella  che  era 

^  Machiavelli,  Opere,  voi.  iii,  pag.  7,  ediz.  Passerìni-Mìlanesi. 

*  et.  MKcmKyEi.1^1,  Istorie  fiorentine,  lib.yui,c.  xxxiv.E  il  medesimo  racconto,  anche  più 
drammatico,  s*  incontra  negli  Estratti  di  lettere,  edis.  Passerini-Mìlanesi.  Opp.,  voi.  11,  p.325. 
La  storiella  della  famosa  risposta  fatta  da  lei  a  coloro  che  minacciavano  ucciderle  i  figli 
fn  accolta  e  dìlRisa  anche  dal  Boccalini,  RaggiMgli  di  Parnaso  (centuria  1^,  pag.  144)  e 
giustificata  con  argomenti  degni  d*un  tacitista  «  che  come  il  contenersi  entro  i  limiti  della 
modestia  era  obbligo  delle  donne  private,  cosi  le  principesse  e  nate  di  alto  sangue,  negli 
axM^identi  gravi,  che  accadevano  loro,  erano  obbligate  mostrar  virilità».  —  E  Gino  da  Pi- 
stoia è  introdotto  a  seguitare  la  spagnuolesca  difesa  di  quella  vùriìUà  da  donnacola.   DI 

TomcASna  -  Machiaveltt,  14 


Digitized  by 


Google 


IM  CAPO  PRIMO.  [l 

stata  testimonio  dell'  umiliazione  sua  temporanea  dinnanzi  a' ri- 
voltosi, aveva  voluto  fosse  rasa  la  fabbrica,,  perchè  si  cancel- 
lasse la  memoria  dell'onta;  e  nella  parte  più  eccelsa  di  quei 
baluardi,  tenuti  inespugnabili,  fece  sorgere  la  sua  nuova  e 
superba  dimora,  nominata  da  lei  il  paradiso,  dalla  bellezza  delle 
aeree  stanze,  costrutte  con  leggiadra  architettura,  ornate  d'il- 
lustri pitture,  splendenti  pe' vaghi  soffitti  posti  a  oro  ed  inta- 
gliati a  rose  e  a  biscioni,  ^  intrecciamento  delle  nobiltà  de'  Riari 
e  de' Visconti,  che  s'erano  nella  illustre  gentildonna  sposate. 
In  quelle  stanze,  fra  que' rivellini,  dove  aspettò  più  tardi 
intrepida  l'ambizione  de' Borgia  e  la  sventura  sua,  accoglieva 
allora  Niccolò  segretario,  il  quale  ebbe  a  riportare  della  bel- 
lezza di  lei, ^  della  grandezza  dell'animo  suo,   dell'acconcezza 


quest'aneddoto  tacciono  il  cronista  Andrea  Bkbnabdi,  testimonio  oculare;  tacciono  il  Co- 
BBLLi  e  gli  altri  storici  forlivesi.  Non  ne  parla  Fabio  Oliva,  VUa  di  Caterina  Riario  Sforsa. 
n  gesuita  BuRBiÉL,  Vita  di  C  Riario  Sforza,  lib.  ii,  cap.  viii,  pag.  2S6  e  seguenti,  con- 
futa le  «  ciancio  del  Boccalini  in  occasione  dei  ligliuoli  di  Caterina  alla  Rocca  »,  e ,  sia 
caso  0  proposito,  non  fa  motto  del  Machiavelli.  E  similmente  Niccola  Ratti,  Della  fami- 
glia Sforsa,  parte  ii,  pag.  50,  dopo  avere  escluso  il  fatto  con  criteri  di  storico,  lo  giustifica, 
nel  caso  mai  fosse  vero,  con  argomenti  peggiori  di  quelli  del  Boccalini  :  «  mentre  certe  azioni 
divengono  buone,  o  cattive  secondo  il  fine  a  cui  sono  dirette  ;  e  se  non  tacciasi  una  donna 
che  mostra  airocchio  non  sempre  pudico  del  professore  ciò  che  la  modestia  le  proibisce  di 
mostrare  al  pubblico;  perchè  non  avrebbe  potuto  Caterina  fare  un  atto  che,  nato  da  sti- 
molo di  lascivia,  indecente  sarebbe  stato  e  degno  di  condanna,  ma  diretto  ad  abbattere  la 
ferocia  del  nemico  e  salvare  sd  ed  il  suo  popolo,  poteva  reputarsi  necessario,  ecc.  ».  — 
E  neppur  egli,  che  rimprovera  il  Muratori  d'aver  errato  accogliendo  la  novella  ne*  suoi 
AnnaU  d'Italia  e  d'averi^  male  inserita  a  proposito  dell'assedio  di  cui  la  strinse  il  Valentino, 
fa  motto  del  Machiavelli  che  n'è  la  fonte.  Oltracciò  il  rimprovero  del  Ratti  è  ingiustissimo, 
dappoiché  il  Muratori  la  pone  esattamente  all'anno  148S.  Cf.  Annali,  t.  xlvi.  Che  la  no- 
vella del  Machiavelli  non  uscisse  dal  capo  di  lui,  ma  corresse  nella  tradizione  popolare 
ò  provato  dal  trovarsene  menzione  nella  Cronaca  di  Bologna,  ms.  della  bibl.  Estense  citata 
dal  Muratori  medesimo.^ 

1  Oliva,  Vita  di  Caterina  Sforza,  ms. 

*  Iacopo  Filippo  da  Bergamo,  Opus  de  Claris  selectisque  muUeribus  novissime  con- 
gestum:  «  est  quippe  haec  Catherina  inter  mulieres  nostri  saeculi  formosissima  et  eleganti 
aspectu  ac  per  omnes  corporis  artus  mirifice  decorata  est  ».  —  E  il  Bonaccorsi  (Doc.  M., 
busta  II,  n.  77)  scrive  celiando  a  Niccolò:  «  Io  non  dubito  punto  che  la  Ex.iIk  di  Madonna 
Ti  faccia  quello  honore,  et  vi  vegga  lietamente,  come  ne  scrìvete,  maxime  per  più  respecti, 
li  quali  al  presente  non  replicherò,  per  non  essere  tedioso,  chò  prestd  vi  verrei  a  noia  ». 
—  E  più  oltre  :  «  Io  vorrei  per.  il  primo,  mi  mandassi  in  su  uno  foglio  ritracta  la  testa  di 
Madonna,  che  costi  se  ne  fa  pure  assai;  et  se  la  mandate,  fatene  uno  ruoto  lo  ad  ciò  le 
pieghe  non  la  guastino  ».  «  Circa  i  ritratti  di  lei  cf.  Bvvri&l,  Vita  di  Caterina  Sforza 
Riario,  pag.  855;  Ratti,  Famiglia  Sforza,  t.  ii,  pag.  44.  —  Nel  rovescio  d'una  delle  due 
medaglie  che  di  lei  si  hanno,  non  è  senza  significato  che  si  vegga  una  Venere  col  destro 
piede  poggiante  sopra  un  globo;  e  stringente  un  pomo  nella  sinistra,  e  nella  destra  un  timone 
di  nave;  né  poco  eloquente  è  il  motto  che  vi  si  legge  sotto:  Tibiet  virtuti.  —  Il  Machia- 
velli si  proponeva  probabilmente  nel  seguito  delle  sue  Istorie  di  parlare  degli  amori  di  essa 
pel  Feo.  V.  Estratti  di  lettere,  ed.  cit.,  pag.  252.  —  Storici  ed  epigrammisti  la  ragguagliar 
rono,  fra  le  donne  antiche,  a  Semiramide  e  Cleopatra.  —  Il  Maodalbno  (Cod.,  vat.  3351, 
pag.  79  t.)  tra  gli  altri,  inneggiando  a  Cesare  Borgia,  nota  in  margine  «  Catherinam  Sfor- 
tiam  Cleopatram  appellat  »  e  scrive  : 

«  Sfortia  te  sensit,  Caesar,  Cleopatra  :  triumpÌMm 
Accipe  de  Livii  Corneliique  foro  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  BERNARDO  MACHIAVELLI  MUORE.  1» 

del  castello  a  oppor  valida  resistenza,  una  impressione  pro- 
fonda. * 

Dopo  armeggio  d'alquanti  giorni  la  commissione  fu  com- 
piuta: il  beneplacito  fermo  per  dodicimila  ducati  all'anno  in 
tempo  di  pace;  l'obbligo  di  protezione  pel  proprio  stato,  che 
Caterina  voleva  dalla  Signoria  si  assumesse  in  iscritto,  restò 
verbale;  alcuni  contadini  di  Salutare,  luogo  de' Fiorentini  a  un 
miglio  da  Forlì,  angariati  dalle  soldatesche  del  giovine  Otta- 
viano, cercarono  che  il  Machiavelli  presentasse  alla  Signoria 
le  loro  ragioni.  Egli  scrisse  le  parole  loro:  «  questi  nostri  Si- 
gnori per  aver  troppo  da  fare,  ci  anno  abbandonati  >.  Questa 
era  eloquenza  schietta;  i  Signori  se  ne  commossero  e  que' tapini 
furono  in  parte  risarciti. 

Niccolò  tornò  in  Firenze,  alle  consuete,  pratiche  della  Can- 
celleria. La  sua  vita  privata  passa  oscura,  occupatissima;  le  date 
certe  della  sua  vita  domestica  sono  segnate  solo  da  dolori  me- 
morabili: a' di  11  d'ottobre  del  1496  gli  era  morta  la  madre; 
a*  19  di  maggio  del  1500  gli  manca  il  padre.  Tetto,  suo  fra- 
tello e  le  due  sorelle  costituiscono  la  sua  più  stretta  famiglia; 
ma  la  Primerana  è  moglie  a  Francesco  Vernaccia,  la  Ginevra 
a  Bernardo  Minerbetti;  e  Niccolò  non  indugia  a  vagheggiare 
il  proposito  di  tórre  donna.  Se  non  che  dietro  la  persona  del 
segretario,  l'uomo  s'eclissa  di  nuovo;  gli  avvenimenti  pubblici 
lo  ravvolgono,  lo  rapiscono,  e  lo  storico  è  tratto  necessariamente 
ad  avvisarne  il  riflesso  dentro  al  pensiero  di  lui. 

Le  cose  d' Italia  volgevano  con  tragica  vicenda  varie  per 
tutti,  fuorché  pe'  Fiorentini.  L' acquisto  di  Pisa,  cagione  di  tanta 
lite  con  chiunque  lo  contrastasse,  gli  aveva  nimicati  anche 
co' Veneziani,  solleciti  a  gittar  l'amo  su  quella  preda,  a  tenere 
inferma  la  nuova  repubblica  democratica,  risorta  dalla  tirannia 
mercantesca  de' Medici.  Fu  fatta  guerra  aspra  e  diflScile  in 
mezzo  dal  verno,  e  in  su  le  montagne,  cosi  scrive  Niccolo;* 
e  quando  i  Veneziani  furono  stracchi  di  battagliare,  paurosi 
del  Turco,  impensieriti  de' numerosi  e  gravissimi  fallimenti  dei 
loro  banchieri,  ^  uscirono  con  onore  da  Pisa  e  ricorsero  all'arbi- 
trato del  duca  di  Ferrara,  che  sentenziasse  se  quella  città  avesse 
ad  essere  de' Fiorentini  o  della  libertà.  Cosi  quando  le  forze 
venivan  meno  pareva  agli  uomini  di  ritornare   all'umanità  e 

>  Machiavelli,  Arte  della  guerra,  lib.  vii. 

s  Machiavelli,  ÉttraUi  di  lettere,  ed.  cit.,  pag.  131. 

'  Malipikbo,  Annali  veneti,  1.  e,  pag.  716. 


Digitized  by 


Google 


M»  CAPO  PRIMO,  [UBEO 

sedare  le  cupidigie  per  via  di  ragione.  Se  non  che  i  Fioren- 
tini che  volevano  riconoscere  la  restituzione  di  Pisa  dal  re  dì 
Francia,  esitavano  a  deporta  nelle  mani  del  ferrarese,  per  ti- 
more che  il  .duca  di  Milano,  vedendo  sé  isolato  e  tutti  gli 
altri  volti  al  parteggiar  pe' Francesi,  non  sollecitasse  l'impe- 
ratore Massimiliano  a  scendere  pur  esso  in  Italia,  a  conservare 
e  liberar  Pisa,  e  tórre  il  porto  di  Livorno  di  mano  dei  Fio- 
rentini. 1 

Il  lodo  del  marchese  di  Ferrara  riusci,  com'era  naturale^ 
a  malcontentar  tutti:*  se  ne  indispettirono  i  Pisani,  e  prima 
decisero  morire  che  ratificarlo;  i  Veneziani  uggiti  e  superbi, 
benché  ne  eseguissero  i  capitoli  che  loro  tornavano  a  comodo, 
negarono  la  ratifica.  I  Fiorentini  soli,  quantunque  gravatissimi, 
lo  sottoscrissero.  Tanta  era  la  smania  di  recuperare  quella  città 
ch'erat  il  loro  porto,  il  cui  territorio  faceva  frutti  per  cinque 
anni  e  dava  a  vivere  a  tutta  Toscana.  ^ 

Andato  il  duca  di  Ferrara  a  Venezia,  fece  nuove  addizioni 
e  dichiarazioni,  che  ai  Fiorentini  più  spiacquero.  <  La  copia 
n'è  in  filza,  annota  Niccolò;  e  se  prima  la  brigata  si  doleva 
di  quel  giudizio,  molto  più  se  ne  doleva  poi  ».  '^  Ma  quel  ch'era 
più  duro,  i  Pisani  non  eseguivano  niilla  delle  convenzioni: 
però  la  Signoria  di  Firenze  deliberò  d'afierrare  il  momento 
e  ripigliarsi  da  sé,  collo  sfogo  di  tutte  le  forze  proprie,  quel 
che  mal  era  attendersi  da  altrui.  La  guerra  tra  il  re  di  Francia 
e  il  duca  di  Milano  erasi  incominciata:  i  contendenti  facevano 
profferte  alla  repubblica  per  trarla  ciascuno  in  suo  favore:  ma 
questa  si  asteneva  da  impegni  ;  richiamava  il  Vitelli  da  città 
di  Castello,  il  Marciano  dal  contado  d'Arezzo,  le  genti  d'arme 
che  aveva  in  Casentino,  e  voleva  procedere  vigorosamente  al- 
l'assalto o  all'assedio. 

È  da  credere  che  in  tali  circostanze,  chiamati  i  connesta- 
bili  e  i  capitani  a  consulta,  per  formare  un  piano  di  guerra  che 
conducesse  allo  scopo  finale,  a  Niccolò  forse  raccomandato  di 
stenderne  relazione  al  Magistrato  dei  Dieci  ;  che  tale  appunto 
riesce  quel  suo  «  Discorso  sopra  le  cose  di  Pisa>.  La  chia- 
rezza,  la  concisione,  J' ordine  serrato  di  questo   scritto  dee 

^  Cf.  Diipacci  al  Senato  veneto  di  Fb.  Foscabi  neWArch.  stor.  it.,  i  sèria,  parte  n, 
t.  VII,  pag.  845. 

•  V.  il  sunto  negli  Estratti  di  lettere,  1.  e,  pag.  152.  Cf.  Ammibato,  Istorie  fiorentine, 
lib.  XXVII,  ad  annum. 

«  Dispacci  del  Foscabi,  1.  e,  pag.  M«. 

«  Machuvblli,  Estratti  di  lettere,  1.  e,  pag.  153. 


Digitized  by 


Google 


8£COiix>o]  DISCORSO  SOPRA  LE  COSE  DI  PISA.  187 

avergli  procacciata  non  poca  stima  appresso  coloro  cui  venne 
alle  mani;  tanto  è  pieno  d'acume,  di  precisione,  e  di  persua- 
sione. —  «  Che  riavere  Pisa  sia  necessario  a  volere  mantenere 
la  libertà,  perchè  nessuno  ne  dubita,  non  mi  pare  da  mostrarlo 
con  altre  ragioni,  che  quelle  le  quali  per  voi  medesimi  intendete. 
Solo  esaminerò  i  mezzi  che  conduchino  o  che  possano  condurre 
a  questo  ».  —  Cosi  esordisce  egli,  evitando  a  dirittura  la  que- 
stione pregiudiziale  e  solo  aggiungendo  poi:  —  «  Pisa  non  è 
città  da  lasciarla  volentieri  per  chi  se  ne  trovasse  signore  ». — 

Quanto  alla  scelta  de*  mezzi,  o  la  è  a  recuperar  per  as- 
sedio, 0  la  si  cede  volontaria.  Volontariamente  può  arrendersi 
da  per  sé  stessa,  riponendosi  sotto  al  giogo  fiorentino:  il  che 
è  incredibile.  0  potrebbe  esser  ceduta  da  altri  che  l'occupasse; 
e  in  tal  caso  quel  che  altri  potrebbe  fare  in  vantaggio  de' Fio- 
rentini sarebbe,  tutt'al  più,  lasciarla  disoccupata  e  non  soccorsa. 
Tornerebbe  però  necessario  anche  allora  usare  la  forza  per  ri- 
cuperarla. «  Sondo  adunque  necessaria  la  forza,  mi  pare  da 
considerare  se  gli  è  bene  usarla  in  questi  tempi  o  no.  Ad  ulti- 
mare l'impresa  di  Pisa,  bisogna  averla  o  per  assedio  e  fame; 
o  per  espugnazione,  con  andare  con  artiglieria  alle  mura  »  e 
il  più  fermo  modo,  secondo  che  dicono  i  più  esperti  condottieri, 
sarebbe  il  fare  tre  campi,  uno  a  San  Piero  in  Grado,  l'altro  a 

Sant'  Iacopo,  il  terzo  alla  Beccheria E  perchè  a  San  Piero 

in  Grado  è  trista  aria,  dove  per  avventura  avendovi  a  stare  a 
campo  si  ammaleria;  e  perchè  parrebbe  forse  troppo  grave  te- 
nere detti  tre  campi,  si  potria  tenere  detto  campo  di  San  Piero 
in  Grado  tanto,  che  in  quel  luogo  si  facesse  un  bastione  grosso, 
capace  di  trecento  o  quattrocento  uomini  in  guardia,  il  quale 
si  farebbe  in  un  mese;  e  fatto  il  bastione,  levarne  il  campo,  e 
lasciarvi  il  bastione  e  la  guardia,  e  rimanere  con  quelli  altri 
due  campi;  e  cosi  non  si  verrebbe  ad  avere  la  spesa  di  tre 
campi  se  non  per  un  mese  ». 

Propone  poi  un  altro  modo  d'assedio  men  gagliardo;  ma 
lo  lascia  da  banda  come  men  sicuro.  Afferma  che  il  sistema 
dei  tre  campi  o  del  bastione  con  i  due  campi  «  è  il  più  appro- 
vato da  questi  Signori  condottieri  ».  —  «  Anno  ancora  esaminato, 
se  gli  è  credibile  che  l'assedio  basti  senza  la  forza:  e  sono 
di  parere  che  non  basti;  perche  credono  che  eglino  abbiano  da 
vivere  sino  al^  grano  nuovo,  per  i  riscontri  si  à  da  chi  viene 
da  Pisa,  e  per  i  segni  si  vede  del  pane  vi  si  vende,  e  dello 
ostinato  animo  loro  li  può  indurre  a  patire  ». 


Digitized  by 


Google 


198  CAPO  PRIMO. 

E  prevalse  il  partito  che  poderosamente  si  procedesse  al- 
l'assalto della  città. 

Come  le  gare  fra  Marcianesi  e  Vitelleschi  ne  stornassero 
l'acquisto,  come  non  conducessero  ad  altro  che  alla  morte  del 
Vitelli,  a  uno  sciupo  doloroso  di  danari  e  di  credito,  avemmo 
già  a  raccontare.  Questi  erano  i  risultati  militari  che  Firenze 
otteneva.  Quanto  alla  politica  poi  «  e' non  si   servi   né   a  dio 
né    al  diavolo  ».  ^  Invano  il   re   di  Francia,    che  procedeva 
ben  deliberato  a  disfare  lo  Sforza,  insisteva  in  nome  dell'an- 
tica amicizia  perchè  i  Fiorentini  si  stringessero  con  lui.  A  dif- 
ficoltare le  cose  di  Pisa  potevano  bastare  molto  meno  ingegno  e 
forze  che  non  erano  nello  Sforza,  e  coloro  pel  riguardo  di  lui 
giocavano  cogl' indugi,  facevano  patti  segreti,  promettevano  al 
re  di  non  essergli  contro,  di  lasciarlo  fare,  d' entrare  col  tempo 
in  maggiore  impegno.  Le  gravezze  che  per  la  guerra  pesavano 
sul  popolo,  avevano  fatto  venire  in  uggia  i  Dieci  della  guerra: 
si  rista  dallo  eleggerli,  e  s'ordina  che  non  si  rifacciano  più 
se  non  precede  la  deliberazione  del  Consiglio  degli  Ottanta, 
vinta  con   tre  quarti  de'  voti.  ^   Questo  era  un  disfarsi  degli 
uomini   autorevoli,    col  pretesto  ch'erano  i   soliti.   Come   per 
compenso,  parve  utile  chiamare  almeno   a  capo  del  governo 
uomini    cogniti:    Bernardo  Rucellai,  ma   e' non   si    presenta; 
Guidantonio  Vespucci,  ma  la  popolaglia  attacca  capestri  e  motti 
alle  inferriate  della  casa  di  lui:  o  zucchetta,  e'  ti  sarà  tolta  la 
forma  della  berretta.  In  mezzo  a  questo  trescare,   l'armi  di 
Francia  si  rovesciano  un'altra  volta  sull'  Italia.  Avevano  lega 
coi  Veneziani,  col  papa,  con  Filiberto  di  Savoia;  le  comandava 
Giangiacomo  -Trivulzio,   che   per   essere    mortai  nemico    allo 
Sforza  si  diceva  guelfo.  In  breve,  occupano  i  castelli  d'Arazzo 
e  d'Anon,  pigliano  Valenza,  Tortona  cede;  Voghera,    Castel- 
nuovo  e  Pontecorone  s'arrendono.  «A  cette  heure,   toui  est 
gagnè  »  sclama  re  Luigi  a  Lione  ;  ^  trionfando  non   men   del 
nemico  che  degl'incerti  amici;  i  Veneziani  confederati  col  re, 
rompono  la  guerra  presso  Lodi,  entrano  nella  Ghiaradadda  è 
s'insignoriscono  di  Caravaggio.  Lo  Sforza  in  breve,  abbandO' 
nato  da  tutti,  si  fugge  per  Como  in  Alemagna  all'Imperatore, 
invocando  contro  a' maledetti   Veneziani  il  Turco;  e   il  Tri- 


*  Macbiatblli,  Estrani  di  lettere. 

*  Machiavelli,  Discorsi^  lib.  i,  cap.  xxxiv.  —  Idem.,  Eitratti  di  lettere,  ed.  cit.,  pag.  15S. 
—  Nerli,  Commentari,  pag.  82.  —  Guicciardini,  Storia  di  Firenze^  cap.  xix,  pag.  808. 

>  Machiavelli,  Ettrattif  ed.  cit.,  pag.  156. 


Digitized  by 


Google 


ucoRDo]  IL  VALENTINO  OCCUPA  IMOLA  E  PORLI*.  199 

Tulzio  occupa  Milano  da  uomo  di  parte,  e  in  nome  del  re  di 
Francia. 

Dopo  un  tale  acquisto  non  è  a  dire  se  Luigi  XII  guardasse 
con  superbia  i  Fiorentini,  e  se  questi  si  sentisser  mogi  e  piccoli 
rispetto  a  lui.  Pensare  che  i  Veneziani,  scaltrissimi,  per  nient'alr 
tro  che  per  l'alleanza  di  lui,  quasi  che  senza  colpo  di  spada, 
aveyansi  guadagnato  Cremona  e  la  Ghiaradadda,  uno  stato 
che  rendeva  ducentocinquantamila  ducati  Tanno,  che  faceva 
quasi  il  terzo  del  ducato  di  Milano;  e  che  essi  per  essere  stati 
tardi,  per  tenersi  in  bilico,  dovrebbero  ora  soddisfare  al  re  mal- 
vogliente  e  sobillato  da' nemici,  chi  sa  che  somma  di  danaro! 
pensar  che  il  Trivulzio,  venuto  coi  Francesi,  entrava  come  un 
nuovo  competitore  nell'intrico  di  Pisa,  e  sollecitava  dal  re  il 
permesso  di  poter  accettare  la  dedizione  di  quella  città,  che  se 
gli  era  offerta!  L'indugio  non  era  possibile,  e  la  frétta  poteva 
tornare  vana  e  umiliante  insieme.  Ma  non  fu  cosi  per  ven- 
tura, e  i  nuovi  ambasciadori  mandati  a  Milano  riuscirono  a 
piegare  il  rè  ad  accettare  anche  Firenze  nella  lega,  a  fargli 
promettere  che  avrebbe  mandato  le  sue  genti  a  restituirle  Pisa  e 
le  fortezze  ;  obbligandosi  i  Fiorentini  a  pagare  a  lui  il  debito  che 
avevano  con  Ludovico;  a  prestargli  man  forte  per  la  conserva- 
zione di  Milano,  a  fornirgli  qujattrocento  uomini  d' arme  e  cin- 
quemila Svizzeri,  pagati  per  tre  mesi  per  l'acquisto  di  Napoli; 
o,  in  cambio  degli  Svizzeri,  dargli  cinquantamila  ducati;  a  pi- 
gliare per  capitano  il  fratello  del  cardinal  della  Rovere,  del 
nemico  di  papa  Alessandro. 

Ma  papa  Alessandro  non  si  ristava  dall' importunare  il  re; 
la  dispensa  matrimoniale  concessagli  glielo  aveva  tutto  ob- 
bligato. Il  duca  Valentino  voleva  cominciare  a  piantare  in 
Italia  le  fondamenta  della  sua  nuova  potenza,  e  il  re  s'era  im- 
pegnato di  prestargli  armi  e  favore.  Gli  manda  però  qualche 
centinaio  di  lancie,  Ivo  d'Allegre  per  condottiero;  e  quegli  non 
esita,  ma 

«  Sotto  la  insegna  dei  tre  gigli 
D*  Imola  e  di  Forlì  si  fé*  signore 
E  cavònne  una  donna  co'  suoi  figli  ».  > 

Questa  donna  era  la  bella  e  forte  vedova  del  Riario,  era  la 
nipote  di  quello  Sforza,  cacciato  via  dal  ducato,  che  doveva 
tornarvi  dopo  cinque  mesi  per  un  momento,  quando  il  popolo 
ebbe  sazietà  delle  francesi  soperchierie,  ed  esseme  dopo  due 

1  Macbuyblli,  Decennale  I,  v.  243. 


Digitized  by 


Google 


SOO  CAPO  PRIMO,  Cl 

mesi  di  nuovo  trabalzato,  e  gettato  in  un  fondo  di  torre  nel 
castello  di  Loches  a  finire  la  vita.  «  E  cosi  si  notò,  scrive  il 
Guicciardini,  tre  grandi  case,  d'Aragona,  Sforzeschi  e  Medici, 
che  avevano  acquistato  potenza  in  Italia,  quasi  in  un  tempo  me- 
desimo averla  perduta».  —  ^ 

Né  a  Niccolò  sarebbe  sembrato  prevedibile  che,  non  che 
tutte  queste  famiglie,  quell'altera  Madonna  cosi  tosto  avesse 
potuto  essere  spodestata  della  signoria.  Pochi  giorni  innanzi, 
scrivendo  al  Canigiani,  esso  gli  aveva  notificato  come  si  sapeva 
che  il  papa  voleva  dar  Imola,  insieme  con  Rimini,  Faenza, 
Pesaro,  Cesena,  Urbino,  al  Valentino;  e  aveva  aggiunto:  «  Cre- 
desi  che,  se  li  popoli  non  faranno  a  Madonna  il  peggio  possine, 
lei  si  difenderà;  e  quando  non  difendessi  le  terre  per  la  per- 
fidia dei  popoli,  le  fortezze  si  defenderanno;  a  ogni  modo  di  tale 
animo  ci  pare  intendere  si  trovi  ».  ^  E  l'animo  non  le  mancò; 
quand'anche  i  Fiorentini  non  la  vollero  aiutare,  non  persuasi 
di  quel  che  essa  diceva,  che  cioè  ^  la  festa  sua  era  la  vigQia 
loro  »;  5  bensì  quelle  fortezze  di  che  ella  ed  altri  faceva  sì 
gran  fondamento,  non  tennero  all'urto  del  risoluto  nemico,  e 
Niccolò  ebbe  a  specularne  poi  la  cagione.  ^ 

In  pari  tempo  il  moto  di  Milano,  in  favore  di  Ludovico, 
aveva  fatto  che  i  Galli  «  voltassero  il  becco  »  verso  di  quello;  ^ 
(Niccolò  non  sa  far  meglio  che  continuar  la  metafora  misogal- 
lica)  e  «  lasciassero  in  secco  »  il  papa  e  il  Valentino.  E  poi  che 
i  Fiorentini  in  questa  occasione  si  mostrarono  libéralissimi  di 
aiuti  alla  corona  di  Francia,  smessa  per  un  istante  la  consueta 
esitanza  loro,  il  re  fece  intendere  che  gli  avrebbe  aiutati  alla 
ricuperazione  di  Pisa  e  dell'altre  terre,  che  i  Sanesi  e  i  Luc- 
chesi occupavano  loro.  Anzi,  piuttosto  che  il  re,  sarebbe  a  dire 
che  cosi  li  compiacesse  il  cardinale  di  Rouen,  ^  il  quale,  risie- 

^  Fb.  Odicciabdinx,  storia  di  Firenze,  pag.  223.  Cf.  Macbiavblli,  Il  Principe,  e.  m, 
XX,  xxiY.  —  Discorsi^  lib.  ii,  cap.  xxiv. 

*  Cf.  CANBSTBmi,  Scrini  inediti  di  N.  3f.,  pag.  129. 

*  McBATORi,  Script.,  xxiY,  Chronicon  Venetum. 

*  Machiavelli,  Arte  della  guerra^  lib.  yii. 

*  Macbuyblli,  Decennale  I,  1.  e. 

*  Giorgio  d*AinboÌ86,  primo  ministro  del  re  e  arcÌTescovo  di  Rouen.  —  In  seguito  alle 
capitolazioni  fra  il  re  di  Francia  e  la  repubblica  Fiorentina,  essendo  in  breve  sorti  alcuni 
dubbi  di  fatto  che  occorreva  delucidare,  pare  che  la  Signoria  pensasse  di  mandar  Nic- 
colò al  Trivuliio  e  al  vescovo  di  LuQon,  ch'era  cancelliere  del  cardinale  di  Rouen,  con 
facoltà  di  riferire  il  vero  e  comporre  la  cosa  ;  ma  sembra  pure  di  quell'andata  poi  non  si 
facesse  nulla,  perchè  ne*  registri  di  Cancelleria  non  si  trova  altro  che  le  lettere  d'avviso 
e  quelle  di  presentasione,  nel  cui  margine  è  scritto  :  vacai.  Cf.  Archivio  di  Stato  in  Firenze, 
Carteggio  missive,  reg.  i,  cancell.  classe  x,  dist.  1,  n.  102  a  106.  Ibid.  n.  102  a  156.  Furono 
pubblicate  dal  Passerini,  ed.  cit.,  voi.  m,  pag.  34  e  seguenti. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  COMMISSIONE  IN  CAMPO  PRESSO  PISA.  SOI 

dendo  a  Milano,  governava  tutte  le  cose  coirarbitrio  suo,  e  avendo 
altra  volta  partecipato  alla  trista  ventura  di  Luigi,  quando  non 
era  che  duca  di  Orleans,  non  appena  questi  venne  sul  trono 
ebbe  la  più  piena  autorità  in  compenso.  In  Francia  si  pro- 
verbiava, quando  fosse  a  far  qualche  cosa:  <  laissez  faire  à 
George  ».  Questo  voleva  dire  che  il  cardinale  era  sicuro  del 
suo  sopravvento. 

Infatti  il  Trivulzio  e  gli  altri  che  circondavano  re  Luigi 
l'avrebbero  desiderato  restio  ad  aiutar  Firenze,  o  per  lo  meno 
a  offendere  Pisa;  ma  il  cardinale,  che  a  Milano  veniva  premu- 
rosamente sollecitato  da' Fiorentini,  che  sentiva  come  questi 
avrebber  volentieri  ricevuto  per  comandante  degli  ausiliari  un 
suo  protetto,  il  signor  di  Beaumont,  il  quale,  nel  restituir  loro 
prontamente  Livorno,  avea  mostrato  più  fede  che  gli  altri  suoi 
connazionali,  1  s'accordò  con  loro  di  fare  l'impresa,  per  amore 
di  lui  che  a  questa  chiedevan  preposto. 

Questi  recava  con  sé  cinquemila  Svizzeri,  da  pagarsi  dai 
Fiorentini,  e  cinquecento  lance  da  pagarsi  dal  re  e  buona 
fatta  d'artiglierie  e  di  munizioni.  A  di  diciannove  di  giugno 
alloggiò  tra  Cascina  e  Vico,  e  in  dieci  giorni  che  le  soldatesche 
▼i  dimorarono,  fecero  tali  insulti  e  ruberie  ai  vivandieri  ita- 
liani che  maggiori  non  erano  ad  aspettarne.  I  Dieci  mandarono 
per  commissari  presso  quell'esercito  Giovambattista  Ridolfl  e 
Luca  degli  Albizi,  a' quali  poi  spedirono  il  Machiavelli.  « 

Il  Ridolfi  era  uomo  di  reputazione  fatta,  di  prudenza  grande, 
d'età  maggiore  dell' Albizi.  Questi,  più  giovane,  più  risoluto,  più 
disposto  a  partiti  forti  e  talvolta  temerari,  o  per  modestia  o 
per  irritazione  d'orgoglio,  lasciava  all'altro  governare  ogni  cosa 
e  si  teneva,  come  un  Achille,  in  disparte,  dentro  la  tenda.  Il 
Machiavelli  restava  intermedio  fra'  due,  osservatore  del  danno 
che  seguiva  alla  repubblica,  per  aver  preposto  due  persone  ad 
una  impresa  per  cui  una  bastava  e  due  impacciavano;  che  della 
lentezza  dell'  uno  e  della  baldanza  dell'altro,  lungi  dal  resul- 
tare un  temperamento  giovevole  di  resoluzioni,  derivavano  due 
maniere  di  deliberazioni  contrariamente  improvvide  ed  egual- 
mente nocevoli. 

La  prudenza  del  Ridolfi  veniva  interpretata  dal  Beaumont 
per  pochezza  d'animo.  Quando  quegli  vuol  tornarsene  a  Firenze, 

^  Machiavelli,  Dtseorti,  lib.  i,  cap.  xxxvni.  Il  Be&umont  era  risguardato  dai  Fran- 
cesi come  un  capitano  «  sane  capacité  et  sane  ascendant  sur  les  soldats  ».  Cf.  Dbbjabdins, 
yégoeiation  dipi,  t.  ii,  pag.  30. 


Digitized  by 


Google 


im  CAPO  PtUMO.  r^aiB» 

dl«4?av^^v>  degli  2Sìà2kiDez,u  del  c^nrpo  e  crQCGici,z>  ah.  etetì  5>- 
kri  de;>  lueac^bra:  *  e'  ri  du'^le  3  cuore,  gli  iSoc  ni^riesifiiad? 
Ìj  eapiuùo,  e'  ri  daole  il  cure  e  non  la  spalla  >- —  '«E  r^:>5 
e  l'altro  >  replica  d;  rìiriando  il  R:d:lfi,  ncn  seixa  ir:iL.i».  *  Ed 
e</y>  Loca  degli  AI  Vizi,  rimasto  sc-I^'s  iar?i  tìto  in  i:^  s^'ic*^:-: 
a/fyy>r;ere  eoa  prenìura  p-r  tutvj,  prorreiere  iiifiasTr^^^r.ie. 
fyjTis'mÌjire  a^n  ener^'^  dar  prora  d'indcbiiaio  ralrre- 

11  Machiarelii  non  p,'té  rimanersi  dall'anjLÌrare  c:a«sta 
of#ercjj.ia  inatt^^a  e  nuora  mostrata  dall' Albizi;  la  quale  per 
cei-Ui  ri^jp'indera  meglio  all'  indole  e  ai  desideri  del  segr^-tario. 
Ma  non  andò  moluj  ch'ebbe  a  trorarsi  anche  c:n  lui  in  di- 
«a/>y>rdo  di  pareri  ;  poiché  i  Pisani,  i  quali  si  rederano  snin- 
ger^i  da'  Francesi  air  intomo,  e  sentirano  C4:«me  3  resistere  po- 
terà e*ser  lungo,  ma  il  cadere  era  certo,  Cacerano  rgni  pra- 
tica e  usarano  ogni  arte  per  sedurre  quegli  ausiliaria  per 
muorere  la  loro  pietà,  per  rinfocolare  la  ranita  loro.  Perchè 
lar-i  scherani  d'un  p^ij^olo  che  mole  morir  libero?  perchè  ser- 
vire di  «t rumente  alla  prep^^tenza  crudele  dei  Fiorentini? perchè 
i  Franc^fHÌ  piuttosto  non  conquistano  Pisa  alla  Francia?  e  sep- 
pure la  vf^Iiono  poi  gittare  in  mano  alla  feroce  repubblica, 
appettino  quattro,  tre  mesi,  trenta  di,  venticinque;  tanto  che 
pr>«ftano  i  cittadini  sgombrare  le  robe  loro  e  andar  salvi;  poi 
senza  battaglie  si  arrenderanno. 

.  Orni  già  al  Ponte  a  Capezzano,  così  a  Campi  eransi  pro- 
vati gli  orat/)ri  pisani  d'adescare  il  Beaumont;  il  quale,  a  dir 
voro,  penc4^)lava  alquanto  in  favore  di  questa  risoluzione;  si  che 
ne  tenne  proposito  col  commissario.  Egli  era  li,  diceva,  per 
dar  Pisa  ai  Fiorentini;  poterla  dar  loro  forse  con  minor  in- 
dugio, certo  con  minore  spendio;  accettassero.  Ma  TAlbizì  non 
si  fidava  e  confortava  la  signoria  a  non  fidarsi.  Questa  diffi- 
denza era  più  un  sentimento  per  lui,  che  un  frutto  di  razio- 
cinio; e  il  Machiavelli,  che  ne*  partiti  pensava  le  conseguenze 
ultime,  non  trovava  ragione  perchè  quel  sentimento  avesse 
a  prevalere.  Perchè  doveva  egli  parer  più.  sicuro  confidare 
nella  sfrenata  soldatesca  di  Francia  e  nell'accortezza  mili- 
tare del  duce,  quando  della   fede  di  quel  duce  s'avevano  ar- 

^  Bibl.  Nas.,  Doc.  M.,  butta  i,  n.  i,  fog.  83.  In  questa  icrìttura,  laddove  è  accennalo 
che  Luca  degli  Albixi  ricusava  di  rimaner  solo  «  sotto  a  un  tanto  peso  »,  partendosi  il  Ri- 
dolA,  il  Machiavelli  annota  in  margine  :  ^Mentiria  Bla.  »  Ciò  indica  che  quel  passo  è 
opera  di  Biagio  Bonaccorsi.  —  Cf.  Macbuvblli,  DiKorsi,  lib.  iii,  capo  xv.  Questi  per 
essere  stato  presente  ai  fatti  e  conoscitore  degli  uomini,  poteva  correggere  con  autorità 
Taffermasione  del  coadiutore. 


Digitized  by 


Google 


■BCONDo]  COMMISSIONE  IN  CAMPO  PRESSO  PISA.  20$ 

gomenti  buoni,  del  guerreggiare  di  quelle  armi  prove  pes- 
sime? perchè,  quando  la  città  non  poteva  fare  a  meno  di  con* 
fidare  del  re  di  Francia,  del  quale  era  nelle  mani,  non  s'accet- 
tava quel  partito,  per  cui  «  il  re  potesse  rendere  Pisa  sendovi 
dentro,  e  non  la  rendendo,  scoprire  l'animo  suo»,  piuttosto  che, 
non  l'avendo  lui  €l  potendola  solo  promettere,  esser  forzati  com- 
perare quelle  promesse  ?  »  ^ 

Ma  Niccolò  vedeva  lungi,  vedeva  il  fine  ultimo,  sorvolava 
al  penoso  mezzo  in  cui  TAlbizi  ai  dibatteva.  Quando  i  soldati 
di  Francia  non  avessero  a  combattere  i  Pisani,  ruberebbero, 
prederebbero  il  campo  e  le  provvisioni  fiorentine;  toccherebbe 
cioè  agli  aiutati  sentire  e  portare  tutto  il  gravame  di  quelle 
soldatesche;  però  l'Albizi  temeva  delle  soste;  non  voleva  che 
i  Pisani  potessero  godere  il  beneficio  del  tempo;  non  voleva  che 
il  Beaumont,  accostandosi  loro,  corresse  pericolo  di  venirne 
intenerito  e  guasto;  e  lo  riscaldava  coU'esempio  del  La  Tre- 
rnouille.  Questi  aveva  saputo  già  ripigliar  Milano,  corroborato 
di  tante  forze  ;  coitìe  avrebbe  potuto  il  valoroso  signor  di  Beau- 
mont creder  bello  occupare  Pisa  irresistente  e  vuota  di  po- 
polo? —  Cosi  con  malumore  fu  decisa  e  ripresa  la  guerra; 
cosi  si  credette  in  quelle  armi,  la  disciplina  delle  quali  già 
debole  per  consueto,  allora  per  intrico  de'  comandanti  veniva 
maggiormente  scossa.^  Ivo  d'Allegre,  che  vedemmo  già  capita- 
nare le  soldatesche  del  Valentino,  invidiando  Beaumont,  aveva 
operato  di  soppiatto  che  i  capitani  gli  obbedissero  poco,  e  impe- 
dissero a  ogni  modo  la  vittoria  dei  Fiorentini.  Francesco  Tri- 


^  Gf.  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  i,  cap.  xxxviii,  e  i  Doeumenti  M.  nella  Bibl.  Nas.^ 
basta  I,  n.  83.  Dal  ragguaglio  di  questi  due  testi  e  dalle  note  marginali  apposte  da  Niccolò 
al  secondo  di  questi,  apparisce  chiaramente  come  fu  in  seguito  a  divei^enza  di  giudizi  tra 
l'Albisi  e  Niccolò,  in  quest*  incontro  manifestatasi,  che  il  segretario  postillò  in  cancel- 
leria il  transunto  dei  coadiutori  e  insinuò  poi  la  citazione  dell'esempio  nel  'soprindicato 
luogo  dei  Discorsi. 

*  Rechiamo  la  seguente  lettera  de*  Commissari,  che  in  parte  è  autografa  del  Ma» 
chiavelli,  e  non  fu  compresa  dagli  editori  nella  CotMnissione  al  Campo  contro  i  Pisani., 
È  data  «  die  xvi  junii,  bora  7^  noctis  mccccc  »  —  (Arch.  fior.,  classe  x,  dist.  ii,  n.  44, 
f.  17,  e.  87  e  seg.)  —  «  Monstra  Monsig.*  di  Beumonte  prompta  voluntà  alla  impresa  in 
servigio  di  V«  S«.  Le  vectovaglie  et  artiglierie  non  potria  più  sollecitare,  intanto  che  non 
li  parendo  haverci  ricordato  questo  capo  ad  bastanza,  sondo  licentiati  da  lui,  ci  fece  re- 
vocare, et  trovato  Sua  Signoria  con  parechi  di  quelli  altri  Signori  Capitani,  replicò  che 
era  necessario  farci  bene  intendere  che  bisognia  facciate  grande  provisione  di  vittuallie' 
perchè  da  dua  di  in  là  non  è  possibile  Lucchesi  possino  prò  vedere;  et  omni  disordine  che 
seguissi  tornerebbe  in  grave  danno  delle  Sig.i«  Vostre,  perchè  la  fame  caccia  il  lupo  del 
bosco.  Risponderne  che  alle  S.«  Vostre  non  manca  vittuallie  da  prò  vedere  questo  exerclto, 
purché  sia  ridocto  in  luogo  che  dalle  Terre  vostre  la  vi  possa  andare  securamente.  Sopra 
che  fu  risposto  dal  Capitano  et  quelli  altri  Signori,  che  non  basta  dire  di  non  potere,  ma 
che  bisognia  fare  carovana  grande  donde  la  roba  può  venire,  et  loro  manderanno  la  scorta 
per  accompagniarla,  perchè  la  sia  sicura  da  Pisani  ». 


Digitized  by 


Google 


SOi  CAPO  PRIMO.  [libro 

vulzio,  luogotenente  della  compagnia  di  Gian  Giacomo,  praticava 
allo  stesso  effetto:  il  conte  di  Ligny,  ^  favorito  dal  re,  spacciava 
conforti  a' Pisani  e  gli  assicurava  che  non  avean  nulla  a  te- 
mere; che  il  re  stesso  non  avrebbe  acconsentito  mai  alla  caduta 
di  quella  città,  conquistata  la  quale,  non  gli  restava  più  sta- 
tico della  fede  de*  Fiorentini;  e  si  giunse  a  credere  che  anche 
il  cardinale  di  Rouen  la  pensasse  lo  stesso. 

E  come  se  tuttociò  non  fosse  bastante  a  tener  mal  conciliati 
i  commissari  coi  capitani  francesi,  la  scarsezza  e  T  irregolarità 
degli  approvigionamenti  accrescevano  i  malumori  della  sol- 
datesca. *  Di  Pisa  s'eran  battute  e  atterrate  le  mura  sino  a  qua- 
ranta braccia;  ma  l'esercito  corso  furiosamente  all'assalto,  vi 
s'era  poi  fermato  davanti  senza  entrar  per  la  breccia,  a  cagione 
d' un  fosso  profondamente  scavato  fra  il  muro  e  la  trincèa  di 
dentro. 

Il  sospetto  de' Fiorentini  a  quel  soprastare  s'accresce  e  col 
dispetto  loro,  s'aumenta  ancora  l'impertinenza  delle  milizie  au- 
siliarie. «  Non  poteva  il  commissario  né  alcuno  de' sua  andare 
per  il  campo,  che  non  fussi  sbeffato  et  urtato  come  inimico 
loro:  ulterius,  dove  si  suole  in  uno  esercito  aver  cura  alla 
distribuzione  delle  vettuaglie  et  salvare  chi  ve  le  conduce,  co- 
storo disonestamente  et  in  vari  modi  operavano  il  contrario,  ru- 
bando chi  ve  ne  portava,  et  quella  che  vi  era  condotta  nascon- 

1  Luigi  di  Lussembai^o,  conte  di  Ligny,  figliuolo  di  Luigi,  conestabile  di  Francia. 
Ci.  CoMiNKS,  Mémoire8,  voi.  i,  pag.  400. 

*  Il  Machiavelli  scrìve  per  Luca  degli  Albizi  :  «  ex  terribilibut  GaUorum  Castris  apud 
Caseinam  xxiiq  junU  iSOO  »  :  «  questo  è  tempo  da  non  perdonare  a  nulla  per  expedirsi  et 
uscirne  ad  honore,  e  con  mancho  danno  è  possibile  ».  —  (Arch.  fior.,  ci.  x,  dist.  2,  n.  44, 
f.  17,  e.  26)  —  E  similmente  «  ex  castrìs  GaUorum  apud  Pisas  xxvii^  junii  1500  »  :  «  Ma- 
gnifici Domini  mei  singularissimi  salutem,  &.  Siamo  ad  bore  21,  et  due  bore  sono  vi  si 
scrìpse.  Et  dipoi  è  tanto  multi plicato  el  disordine  del  vieto,  che  dove  questa  gente  ha  con- 
tinuamente patito  di  vino,  al  presente  patiscie  di  vino  et  pane,  in  modo  eh*  io  non  so  io 
medesimo  giudichare  el  fine  nostro,  procedendo  in  tanto  disordine  sanza  rimediare  ad  parte 
alcuna,  ansi  crescendo  tanto  più  la  carestia  del  vieto,  quanto  più  croscio  il  bisognìo  per 
la  vicinità  del  nimico  il  quale  verso  di  queste  genti  mostra  essere  più  disposto  a  prove- 
dere ai  bisogni  sua,  che  noi  che  li  haviamo  condocti  loro  in  su  le  mura  per  sottometterli  : 
il  che  mi  pesa  tanto  più,  quanto  più  importa,  veggendo  uno  perìculo  et  una  mina  da  non 
ci  potere  rimediare  sanza  presta  et  gagliarda  provisione.  Et  però  alle  S\gM  Vostre  piaccia 
subito  subito  provedere,  ad  ciò  che  questo  mancamento  nostro  non  dia  loro  occasione  et 
scusa  contro  al  bisognio  nostro  ;  et  perchè  quelle  possine  con  celerità  provedere,  si  manda 
questa  Staffetta.  Danari  non  si  dimentichi,  che  Beumonte  ogni  bora  ci  è  addosso  :  gli  stra- 
ordinarìi  multiplicano,  et  multiplicheranno  più  che  Le  non  credono;  et  de  Sviszeri  postdo- 
mani  viene  le  paghe.  Proveghino  per  Dio  con  celerità  et  prestezza,  se  Le  desiderano'  el 
bene  loro  come  la  ragione  vuole,  et  ad  ciò  che  el  nemico  non  pascha  gli  amici  nostri  per 
inclinarli  ad  compassione  come  ad  ogni  bora  fanno,  et  con  porgere,  et  con  offerire  cose  da 
mangiare.  Importa  questa  provisione  la  Victoria;  et  faciendo  in  contrario,  oltre  al  perdere 
Pisa  ci  mette  in  perìculo.  Bene  valeant  Dominationes  vostre. 

«  Ldcas  Antonii  Alditius,  Commisiariiu  generaUs  ». 

B  neppur  queste  lettere  furono  inserite  nella  Commissione  in  campo  contro  i  Pisani, 


Digitized  by 


Google 


BBCONDo]  SX  TERRIBILIBVS  OALLORUM  CASTRIS.  106 

dendo  in  vari  luoghi,  perchè  il  campo  venissi  in  necessità, 
et  fussi  costretto  ad  partirsi.  Sogliono  negli  altri  eserciti  li  ca- 
pitani essere  ubbiditi;  et  in  questo,  se  comandava  che  si  fa- 
cessi delle  fascine,  non  che  quelli  che  non  le  facevano,  aves- 
sero paura  della  disobbedienza,  riprendevano  chi  l'ubbidiva, 
et  cacciavalo  da  tale  opera  con  li  sassi;  e'marraiuoli  appresso, 
uomini  necessari  nelli  eserciti,  erano  lacerati,  et  da  tutto  lo 
esercito  in  modo  trattati,  che  li  erano  necessitati  partirsi.  Et 
così,  sendo  loro  causa  delli  inconvenienti,  si  querelavano  di  poi, 
venuti  ch'e  li  erono  ».  ^  Di  questi  disordini,  di  questi  "dispregi, 
di  queste  violenze  era  Niccolò  testimonio,  e  talora  anche  vit- 
tima. Però  eccitato  dalla  sofferenza  e  dall'indignazione,  il  suo 
pensiero  si  voltava  a  tentar  rimedio  contro  del  male.  Triste  le 
bande  mercenarie,  tristissime  le  soldatesche  ausiliarie,  buone 
a  far  di  quel  male  che  non  possono  i  nemici;  a  insultare  gli 
ingiuriati,  e  delle  ingiurie  ripetere  gratitudine.  Se  non  che  Nic- 
colò doveva  essere  spettatore  anche  di  peggio. 

Un  tal  capitano  Giannotto,  che  aveva  con  sé  cinquecento 
Svizzeri,  si  presenta  a  Firenze,  domandando  soldo  da  quella 
Signoria.  Questa,  per  paura  eh'  ei  non  se  ne  andasse  ai  Pisani, 
non  si  niega,  ma  lo  indirizza  al  Commissario  in  campo  dicen- 
dogli che  dell'assoldare  e  del  pagare  i  soldi  aveva  quegli 
l' incarico. 

Il  Commissario,  che  avea  testé  ricevuto  appena  i  denari  per  la 
paga  degli  Svizzeri  del  re  di  Francia;  che  si  vedeva  già  stare  in 
suir  artigli  i  Guasconi,  a' quali  le  paghe  correvano  quindici  giorni 
dopo  gli  Svizzeri;  e  che  di  soprappiù  si  vede  arrivare  il  capitano 
Giannotto  cogli  Svizzeri  suoi,  si  trova  in  tale  impaccio  che  mai 
il  maggiore.  Pari  all'  impaccio  il  pericolo.  ^  Al  capitano  Giannotto 
ei  si  rifiuta  a  dirittura;  e  gli  Svizzeri  si  ammutinano,  i  Guasconi 
si  gittano  a  predare.  Nel  giorno  destinato  a  dar  battaglia  tutti 
si  ribellano  agli  ordini;  gridori  e  tumulti  mettono  a  soqquadro 


1  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  i,  n.  83,  fog.  l^,  Cronichetta  del  Bonaccorsi,  edita  in 
parte  nel  voi.  in  deìVOpp.  del  M.,  ediz.  Passerini-Mllanesi,  legaz.  it. 

*  Luca  degli  Albizi  e  Niccolò  presentivano  ravvicinarsi  di  gravi  danni.  In  una  lettera 
ai  Signori  «  ex  ca^ris  Gallorum  apud  Pisas  g  Julii  md.  »,  Niccolò  scrive  in  nome  del  Com- 
missario: «  Le  Sig>  Vostre  mandomo  più  di  sono  per  aiuto  delle  cose  vostre  qui  Pieran- 
tonio  Camesecchi  et  Cosimo  Saxetti,  e  quali  del  continuo  hanno  desiderato  ritornare  costi. 
Et  ultimamente  anchora  che  non  pot^ssino  essere  più  approposito  delle  cose  di  qua,  ve- 
duto iUoro  desiderio  non  gli  ho  voluto  sconsolare,  et  ho  conceduto  loro  licentia,  per  quanto 
si  sia  per  me  possuta  dare,  cognoscendo  che  quanti  meno  saremo  nel  pericolo,  tanto  più 
si  salverà  per  la  città  »  ~  (Arch.  lìor.,  1.  e.  filza  Strozzi  xii  e  148).  Anche  questa  lettera 
non  fa  data  in  luce. 


Digitized  by 


Google 


a»  CAPO  PRIMO.  [l 

il  campo.  Trattasi  di  levare  T  assedio  o  di  entrare  in  accordi 
co'Pisani:  il  Beaumont  e  Luca  degli  Albizi  vengono  a  parole, 
rinfacciandosi  ciascuno  i  doveri  reciproci,  accagionandosi  en- 
trambi d'avervi  mancato.  Or  mentre  quegli  intende  di  costrin- 
ger l'Albizi  a  pigliar  partito,  e  questi  inclina  piuttosto  a  levare 
il  campo  e  ritirarsi  a  Cascina;  gli  Svizzeri,  dubitando  che  se 
Luca  scampava  in  Cascina  non  fosse  per  farsi  beffe  di  loro  e 
ricusar  le  paghe  che  gli  voleano  estorcere,  ricorrono  a  vio- 
lenza estrema. 

Vanno  in  frotta  all'alloggiamento  dell' Albizi;  lo  attorniano 
né  a  lui  è  più  possibile  con  parole  o  promesse  chetarli:  voglion 
le  paghe  e  vogliono  andarsene:  a  Luca  è  inutile  far  repliche; 
e'  lo  menan  prigione. 

A  tutta  questa  orribile  scena  Niccolò  sta  presente;  spende 
invano  parole  ed  uffici  ;  la  sbrigliata  moltitudine  non  è  più  ca- 
pace di  sentimento  onesto  od  umano.  Salvar  l'amico,  il  supe- 
riore suo,  il  commissario  della  repubblica,  seguitarlo  almeno, 
gli  è  tolto  da  quei  furibondi.  In  tal  frangente,  egli  altro  non 
fa  che  correre  all'alloggiamento  di  San  Michele  e  scriverne 
appassionato  a'  Signori  ;  sperando  che  quelli  «  s' ingegneranno 
che  uno  loro  cittadino,  con  tanti  suoi  e  loro  servitori,  non 
muoino,  e  nelle  mani  di  chi!»... ^  Certo  che  quel  giorno  per 
l'Albizi,  per  Niccolò,  per  tutti  quelli  che  l'accompagnavano  fu 
terribile;  e  nulla  può  meglio  dipingercelo  che  la  lettera  istessa 
che  l'Albizi  poche  ore  dopo  la  presura  ne  scriveva  ai  Signori: 
«  Io  non  so  se  nell'estrema  ora  della  vita  mia  (che  a  Dio  piaccia 
sia  presto),  in  me  sarà  il  quarto  dell'afflizione  e  dolore  ch'io 
sento  al  presente  ».  Infatti  a'dolori  che  sopportavano  s'aggiun- 
geva il  cruccio  di  parer  non  creduti  e  di  vedersi  abbandonati 
<c  come  persone  rifiutate  e  perdute  ».^ 

Nei  registri  degli  stanziamenti  dei  Dieci,  e' ne  à  uno  addi 
xxviij  d'agosto  1501: 

•  «  Giovacchino  Macigni  provveditore  dello  ufficio  dei  X^'  di 
libertà  pongo  creditore  lo  egregio  Niccholò  di  m.  Bernardo 
Machiavelli  di  fiorini  sei  larghi  in  oro^  a  riscontro  di  tanti 
apparisce  debitore  che  gliene  pagò  Luca  d'Antonio  degli  Albizzi 


*  Machiavelli,  Commisione  in  campo  contro  i  Pisanif  lett.  ii.  Le  edizioni  leggono 
invece  di  non  «  muoijto  »  non  «  mutino  ».  (!) 

■  Machiavelli,  Commisione  in  campo  contro  i  Pisani,  lett.  iv. 

»  Circa  lire  it.  72.  Per  la  provvisione  del  di  30  mawo  1464  a'  florini  d'oro  larghi  cor 
reva  il  vantaggio  del  20  per  cento  su' fiorini  di  suggello,  ossia  valevano  lire  sei  fiorentine. 


Digitized  by 


Google 


SKCONDO]  PRIMA  ANDATA  DEL  MACHIAVELLI  IN  FRANCIA.  W! 

generale  commissario  in  campo  contro  a  Pisa  lo  anno  passato, 
e  quali  fiorini  sei  li  danno  et  donano  per  remuneratione  delle 
fatiche  vi  sopportò  et  pericoli  vi  corse,  et  questo  in  ogni  mi- 
glior modo  ecc».  Da  quindi  risulta  chiaro  che  l'opera  di  lui 
al  campo  fu  tutta  di  fede  verso  i  commissari  e  la  repubblica, 
e  per  lui  di  gran  pericolo.  Che  se  un  anno  dovette  aspettare 
ad  esserne  rimunerato,  questo  ci  è  prova  che  né  egli  era  im- 
portuno a  chiedere,  né  la  repubblica  sollecita  a  dare,  anche 
quando  il  debito  fosse  chiaro  e  certo.  Chi  gli  restò  per  sempre 
avvinto  di  singolare  affezione  fu  Luca  degli  Albizi,  il  quale 
pagata  la  sua  liberazione  a  costo  di  mille  trecento  fiorini  d'oro, 
riconosceva  dall'amicizia,  dalla  sollecitudine  di  lui  intera  la 
vita.  Scrivendogli  lettere,  lo  chiama  fratello  carissimo,  e  gli 
aggiunge:  «  ricordovi  che  io  sono  vostro  et  che  io  desidero 
piacervi  »,  e  lo  ringrazia  del  troppo  concetto  che  Niccolò  à 
di  lui.  1 

Di  tanti  mali  frattanto  un  qualche  bene  dovea  seguire. 
Innanzi  a'  Pisani  s' era  visto  la  prima  volta  *  *  come  i  Fran- 
zesi  possono  esser  vinti  »;  innanzi  a' Fiorentini  s'era  dimostro 
come  gli  stranieri  ausiliari,  tornano  a  rovina  ed  a  peste  di 
chi  gli  ritiene  e  gli  adopera.  3  La  fiducia  che  il  re  di  Francia 
dovesse  essere  lancia  spezzata  della  repubblica  era  stata  scossa; 
trattavasi  di  far  conoscere  a  lui  la  vera  condizione  delle  cose, 
ma  era  assai  difficile  incarico;  perocché  per  dirgli  il  vero,  biso- 
gnava cominciare  a  parlar  male  di  tutti  i  soldati  suoi  lasciati 
di  qua  dall'Alpi.  E  questo  egli  o  non  avrebbe  voluto  udire,  o 
r  avrebbe  udito  irritandosene.  Bisognava  dunque  al  cospetto  suo 
non  accusar  gli  altri,  e  non  avvilire  sé;  bisognava  fargli  in- 
tendere di  quanto  vitupero  fosse  macchiata  la  sua  corona,  0 
lasciargli  capire  che  quel  vitupero  non  veniva  dagl'Italiani. 
Disgustarlo  poi,  nel  momento  che  papa  Alessandro  e  il  Valentino 
da  lui  speravano  tutto,  era  un  gittar  via  Y  unica  alleanza  che 
i  Fiorentini  possedessero,  V  unica  alleanza  mantenuta  a  prezzo 
di  tanti  sagrificì ;  e  un  crearsi  l'ultimo  dei  nemici.  Laonde  fu 
deciso  mandar  subito  qualcuno  presso  al  re,  che  l'informasse 
giustamente  dell'  accaduto,  che  conciliasse  con  prudenza  l'esat- 
tezza del  vero  colla  osservanza  delle  persone,  e  lo  piegasse  a 
raddirizzare  con  migliori  provvedimenti  l' impresa. 

>  Bibl.  Nax.,  doc.  M.,  busta  n,  n.  71. 
s  Macbutblli,  Decennale  I,  y.  2S1. 
*  Cf.  Machiatblli,  Discorsi,  libro  ni,  e.  xv. 


Digitized  by 


Google 


20S  CAPO  PRIMO.  [LXBBO 

Furono  scelti  a  quest'uopo  Francesco  della  Casa  e  Nic- 
colò Machiavelli.  Il  Casa  era  stato  già  in  Francia  alla  corte  di 
re  Carlo,  a' tempi  di  Piero  de' Medici;  conosceva  luoghi,  uomini, 
cose;  aveva  la  confidenza  del  Comines,  benevolo  sempre  a  Fi- 
renze; e  quantunque  vi  fosse  andato  per  incarico  di  quella  mala 
signoria,  aveva  pure  osato  scrivere  a  Piero:  «  Voi  siete  savio 
e  penserete  a  tutto,  non  tanto  del  particolare  vostro  come 
della  repubblica»  ^  e  infine  lo  aveva  avvertito  come  il  re  sce- 
vrasse  la  causa  di  lui  da  quella  del  popolo.  Pertanto  il  popolo 
l'aveva  avuto  a  grado,  ed  era  stato  eletto  a  far  parte  del  Con- 
siglio grande.  Ora,  tanto  egli  quanto  Niccolò  erano  stati  presenti 
a' fatti,  2  e  avrebber  saputo  colorire  le  cose  con  vivacità,  rim- 
beccar le  calunnie  con  prontezza,  rispondere  all'obbiezioni,  pre- 
parare il  terreno  a  nuove  trattative.  Così  i  rischi  passati  furono 
merito,  ed  occasione  che  Niccolò  avanzasse  ne' gradi  del  suo 
ufficio. 

Non  già  eh'  ei  fosse  mandato  con  attribuzione  più  alta  che 
d'un  cancelliere;  e  a  lato  del  Casa,  mandatario.^  Se  non  che  al 
Casa  erano  state  assegnate  lire  otto  di  fiorini  piccoli  al  giorno  per 
tutto  il  tempo  della  legazione,  e  al  Machiavelli  oltre  il  salario 
ordinario  della  Cancelleria,  venti  fiorini  larghi  di  grossi  per 
ciascun  mese.  ^  Questa  difierenza  allo  scaltro  segretario  non 
piaceva  ;  ma  tacque  per  fino  a  che  non  fu  partito.  E  prima  di 
partire,  una  nuova  sventura  domestica  lo  perturbò;  la  morte 
della  sorella  sua,  moglie  al  Vernaccia,  il  cui  figliuolo  Gio- 
vanni ebbe  sempre  carissimo,  come  suo  proprio.  ^ 

^  Desjardims,  Négociations  diplomatiques,  pag.  306.  —  Id.  ib.,  pag.  314. 
^  Biagio  Bonaccobsi,  Diario,  pag.  34.  —  Pitti,  Storia,  1.  e.  pag.  90.  —  Nardi,  lib.  iv, 
pag.  206. 

*  II  Parenti,  Istoria,  mss.  (loglio  1500),  reca:  «Mandossi  appresso  Francesco  della 
Casa  et  uno  de'cancellieri  di  palazzo  a  significare  con  prontezza  alla  maestà  del  re  il  ter- 
mine in  che  si  trovava  la  nostra  città  ». 

*  Archivio  di  Stato  -  Legazioni  e  Commissioni  -  Elez.  istruz.  lett.,  n.  26,  a  e.  82.  Inoltre 
negli  Stanziamenti  dei  X  (classe  xiii,  dist.  n,  n.  64  a  90  terzo)  si  legge  :  «  Allo  egregio 
Niccolò  di  M.  Bernardo  Machiavelli  stato  mandatario  delle  loro  signorie  presso  il  re  cri- 
stianissimo lire  mille  dugento  sessantotto,  piccioli  netti,  cioè  lire  CLinj,  per  suo  salario  i 
giorni  quarantanno,  a  ragione  di  lire  4  il  giorno,  incominciati  a  dì  xix  di  luglio  et  finiti 
per  tucto  di  xxvnj  di  agosto  proxime  passato,  et  lire  1104  per  suo  servito  di  giorni  cxxxvnj 
a  ragione  di  lire  otto  piccioli  il  giorno,  incominciati  a*  di  xxviiij  di  agosto  proxime  passato 

et  finiti  per  tucto  di  xiiij  del  Presente,  che  tornò  a  Firenze,  in  tucto lire  1263».  Questo 

stesso  appunto  trovasi  indicato  a*  di  xxviiij  di  aprile  1501  perchè  lo  stanziamento  fatto  non 
eragli  mai  stato  pagato. 

*  V.  le  lettere  di  Niccolò  a  costui  inserite  nel  Codice  Oiulian  de* Ricci  nell'Analisi,  ecc., 
in  App.  8  xxnr.  E  nella  bibl.  Naz.,  doc.  M!,  busta  in,  n.  17,  in  una  lettera  di  Domenico 
Leoni  a  N.  M.  in  Imola  «  addi  xvi  d'ottobre  »  si  scrive,  domandandogli  favore  .*  «  benchò 
stimo  che  poca  cognitione  habbiate  di  me,  salvo  solo  se  non  avessi  inteso  che  Giovanni 
Vemacci,  vostro  nipote,  stia  meco  a  bottega  »  —  Ibidem,  busta  i,  n.  59,  «  a  di  5  di  gen- 


Digitized  by 


Google 


•■cowix)]  PRIMA  COMMISSIONE  IN  FRANCIA.  800 

Pertanto  Niccolò  va,  lasciando  le  cose  sue  in  aria  e  senza 
alcun  ordine  «consumandosi,  com'egli  scrive,  in  più  modi».  Ma 
non  appena  arriva  a  Saint  Pierre  le  Moutier  incomincia  a  farsi 
vivo,  e  supplicare  i  Signori  che  gli  lascin  «  tirare  il  medesimo 
salario  che  il  suo  compagno,  non  vedendo  che  vi  sia  ragione 
né  divina  né  umana  non  avere  il  medesimo  emolumento  che 
esso;  e  se  la  spesa  in  me  vi  paressi  troppa,  io  credo,  o  che  sia 
hene  speso  in  me  quanto  in  Francesco,  o  che  e' venti  ducati 
mi  date  al  mese  sien  gettati  via».^ 

Le  sue  dimando,  non  senza  indugio,  trovarono  ascolto 
presso  la  Signoria  sì  che  ei  non  ebbe  a  soffrir  torto,  né  trat- 
tamento diverso  dal  Casa.  Bensì  ebbe  a  sopportar  disordini  e 
accidenti  lungo  il  cammino  che  talvolta  lo  costrinsero  insieme 
col  collega  a  soprastare.  *  Arrivarono  a  Lione  stracchi,  ma  di 
buona  voglia;  quivi  s'aboccarono  col  Lonzi,  che  era  oratore  or- 
dinario de*  Fiorentini  presso  il  re  Cristianissimo,  e  che  avea  avuto 
licenza  di  ritornare.  Da  lui,  secondo  avevano  ricevuto  istruzione, 
presero  buona  informazione  dello  stato  della  corte,  delle  di- 
sposizioni dell'animo  del  re,  delle  persone  di  cui  avevano  a 
fidarsi  o  a  guardarsi,  del  modo  che  doveano  tenere  a  scu- 
sarsi e  ad  accusare.  Si  provvidero  di  vestimenta,  di  cavalli  e  di 
servitori,  e  si  rimisero  in  cammino  per  seguire  la  corte  che 
andava  peregrina,  posposto  ogni  disagio  e  timore  di  morbo,  di 
che  il  paese  era  pieno.  Giunti  innanzi  al  re  espongono  la  com- 
missione loro,  limitati  dal  rispetto  degl'Italiani  presenti,  che 
solevano  intervenire  a' consigli:  Giangiacomo  Trivulzio,  il  ve- 
scovo di  Novara,  ch'era  Girolamo  Pallavicini,  e  gli  altri  fuo- 
rusciti della  casata  medesima. 

Se  non  che,  qual  grazia  potevano  sperare  i  Fiorentini  de- 
boli, disuniti,  senza  danari,  pieni  di  buone  ragioni,  presso  la 
corte  avida,  il  rfe  necessitoso,  il  cardinale  di  Rouen  che  per 
volere  sèmpre  più  accostarsi  al  papato,  aveva  di  continuo  gli 
occhi  più  a  papa  Alessandro  che  alla  patria  e  allo  stato  suo? 
I  due  oratori  erano   trattati  con  frequenti  asprezze;   con  in- 

naio  1517  »  (st.  fior.)  Niccolò  lo  consiglia  :  «  Io  credo  che  le  cose  tae  sieno  migliorate  assai 
in  questa  stanza  che  Tu  hai  facta  costi  et  quando  le  si  trovassino  nel  termine  ho  inteso 
io  ti  consiglierei  a  pigliare  donna  :  et  a  pigliare  una  per  la  quale  tu  accresceresti  al  pa- 
rentado meco  et  è  bella  et  ha  buona  dote  et  ò  da  bene  :  perchè  vorrei  che  hauendo  a  so- 
prastare costi  0  tu  mi  scrivessi,  o  tu  me  lo  facessi  dire  ad  Alberto  Canigiani  che  opinione 
ò  la  tua  ».  —  «  A  di  17  di  febraio  15£0  »  (st.  fior.)  Niccolò  gli  partecipa  come  e  in  quanto 
eredita  d' una  certa  monna  Veggia  ».  —  E  nella  busta  v,  n.  14,  è  una  lettera  di  Gio.  Ver- 
naccia in  Pera,  sp.  v.  D.  Nicholao  Machiavello  in  Firenze,  viiij  di  maggio  1521. 

1  Machiavelli,  Commissione  in  Francia,  Lett.  19,  edia.  Pass.  Milanesi,  pag.  125. 

*  Commita.  cit.,  1.  13. 

ToioiAsntx  -  MachiavetU,  ^ 


Digitized  by 


Google 


210  ■      CAPO  PRIMO.  [UBRO 

differenza.  Il  Trivulzio,  col  quale  il  Lenzi  gli  aveva  ammo- 
niti fare  le  viste  di  confidarsi  e  di  cercare  consigli,  com- 
passionandoli diceva  loro  de' Francesi:  <  e'vorrebbono  pure, 
sotto  il  dire  che  da  ogni  parte  s'è  fatto  errore,  la  colpa  eh' è 
tutta  loro,  accomunarla  con  altri  ».  i  E  intanto  il  pontefice 
ricercava  dal  re  favore  per  l'impresa  di  Faenza  che  volea 
pel  suo  Valentino  aggiungere  a  Forlì  e  ad  Imola;  e  quando 
Niccolò  e  il  Casa  chiedevan  Pisa,  s'aveano  risposta  che  in 
Firenze  era  invece  chi  voleva  Piero  de' Medici,  e  non  Pisa.* 
E  se  si  lamentavano  della  barbara  soperchieria  de' Svizzeri,  il 
cardinale  di  Rouen  non  negava  veramente  la  loro  bestialità, 
ma  aggiungendo  poi  che  gli  erano  usi  a  far  sempre  così  «  can- 
cellava la  disonestà  loro  colla  consuetudine  ».3 

Finalmente  i  due  mandatari  furono  ridotti  a  scrivere  alla 
Signoria  che  in  corte  «  tutto  nasce  dal  sapersi  acquistare  ami- 
cos  de  mammona  iniquitatis  »  però  che  non  sono  le  buone 
ragioni  che  danno  aiuto,  «  e  quando  qui  si  comincia  ad  ascol- 
tare uno  che  prometta  e  dia,  egli  è  diflScile  il  credere  che  non 
si  pigli».'*  Il  re  è  sempre  assai  mal  disposto,  e  all'orecchie 
di  Niccolò  e  del  Casa  giungono  avvisi  che  egli  intende  pi- 
gliarsi Pisa,  restituirle  il  contado,  farvi  uno  stato,  aggiungen- 
dole Pietrasanta,  Livorno,  Piombino,  e  col  tempo  anche  Lucca, 
il  che  gli  sarebbe  facile  fare  e  mantenere  «  per  trovare  parte 
della  materia  disposta,  ed  esser  contiguo  allo  stato  di  Milano». 5 
Poco  più,  e  i  poveri  mandatari  disperano;  non  anno  né  qua- 
lità ne  commissione  che  sia  grata  alla  maestà  del  re;  tutti  gli 
anno  in  dispetto  «  tutti  gl'inimici  s'aggravano  contro  a' Fio- 
rentini, e  massime  gì'  Italiani  che  si  può  di  tutti  dire  che  senza 
freno  studino  nel  metterli  in  disgrazia  del  re».^ 

Oltre  a  ciò  tanto  il  Machiavelli  che  il  suo  collega  son  ri- 
masti senza  danari  ;  e  in  ispacci,  e  vesti  e  mantenere  cavalli 
anno  consumato  quel  che  avevano  portato  seco  e  contratto  de- 
biti. —  «  Se  V.  S.  non  ci  provvedessino,  saremmo  forzati  abban-^ 
donarci;  perchè  ciascuno  dì  spendiamo  uno  scudo  e  mezzo,  e 
in  vestirci  e  metterci  ad  ordine  abbiamo  speso  più  che  cento 
scudi  per  uno,  e  siamo  senza  un  soldo,  ed  abbiamo  già  esperi- 

1  Machiavelli,  Prima  commisiioiM  in  Francia,  Lettnra  23. 

"  Loc.  cit.,  Lettera  27. 

'  Loc.  cit.,  ibidem. 

«  Loc.  cit..  Lettera  27  e  28. 

»  Loc.  cit..  Lettera  3i. 

'  Loc.  cit.,  Lettera  33. 


Digitized  by 


Google 


MCOKDo]  PRIMA  COMMISSIONE  IN  FRANCIA.  SU 

mentato  il  credito  invano  e  nelle  cose  pubbliche  e  nelle  pri- 
vate... »  ^  —  Non  resta  loro  che  dar  questo  parere:  che  man- 
dino oratori  reputatissimi  e  in  condizione  da  poter  fermare 
qualche  accordo,  non  avendo  Niccolò  e  il  Casa  altro  mandato 
che  d' excusare  e  di  purgare:  inoltre  che  si  trovino  un  qual- 
che patrocinatore  che  sostenga  e  propugni  caldamente  in  corte 
la  causa  loro,  qualche  amico  mosso  da  altro  che  da  affe- 
zion  naturale.  —  «  Tutti  ne  anno  !  »  —  Veggano  di  soddisfare 
al  re  nel  pagamento  di  trentottomila  franchi  che  domanda,  sic- 
come dati  pe' Fiorentini  agli  Svizzeri;  e*  gli  vuole  a  ogni  costo, 
da*  Fiorentini  amici  o  nemici. 

C'era  poco  a  dibattersi  e  la  Signoria  doveva  fatalmente 
piegare  e  sopportare  le  pretensioni  del  re  protettore.  Anche 
gl'indugi  le  venivano  ascritti  a  colpa:  un  giorno  che  il  car- 
dinale di  Rouen  conversava  con  Niccolò,  rampognandolo  che  i 
nuovi  ambasciadori  non  peranco  si  vedessero;  e  replicando 
Niccolò  rispettosamente  che  gli  avea  già  detto  com'erano  stati 
creati  e  poco  doveano  tardare  a  giungere,  sua  signoria  reve- 
rendissima gli  rispose  proprio  queste  formali  parole:  «dixistiy 
vei^m  est;  Sed  erimus  mortui  antequam  oratores  veniant; 
sed  conabimur  ut  alti  prius  moriantur  ».^  Da  tutto  que- 
st'insieme apparisce  quanto  esattamente  abbiano  affermato  il 
Bonaccorsi  e  il  Nardi,  e  finanche  il  minuzioso  Ammirato,^ 
che  Niccolò  e  il  Casa  furon  ricevuti  in  Francia  con  dimostra- 
zioni benignissime.  Al  Casa  non  sembrò  vero  d'esser  gravato 
di  febbre  e  d'avere  cosi  un  buon  motivo  di  scendersene  a 
Parigi,  lasciando  solo  il  suo  compagno,  che  seguitò  la  corte 
da  Mélun  a  Blois. 

Chi  legge  alcuna  delle  lettere  ultime  di  questa  legazione, 
scritte  da  Niccolò  rimasto  solo,  vede  che  intelletto  per  quelle 
è  messo  a  nudo.  ^  Niccolò  finge  d' aver  avuto  colloquio  con  un 
amico,  con  tale  da  cui  suole  trarre  secreti  assai  del  papa,  e 
quindi  coglie  occasione,  tanto  per  mettere  in  suU'  avviso  i  suoi 
signori  in  Firenze,  delle  riposte  intenzioni  di  papa  Alessandro, 
dell'  armeggìo  del  Valentino,  delle  pratiche  di  Piero  de'  Medici 
condottosi   di  Francia  a  Pisa;  quanto  per  dare  argomenti   da 

1  Machiavklli,  loc.  cit.,  Lettera  31  e  32. 

*  Id.,  Lettera  42.  Da  questa  lettera  apparisce  come  la  conversazione  ufficiale  fosse  tal- 
volta anche  in  latino.  Tuttavia  è  a  credere  si  tenesse  più  frequentemente  in  francese. 
Cosi,  ad  esempio,  nella  Lettera  43  occorre:  «  Parlali  del  mandato  del  Papa  in  Pisa;  ri- 
spose alterato  che  non  era  rUn  ». 

•  Ammibato,  Istorie  fior.,  lib.  xxvii. 

*•  Machiavelli,  Comm.  cit.,  Lett.  96,  ed.  Passerini-Milanesi. 


Digitized  by 


Google 


S12  CAPO  PRIMO.  [libro 

stornare  il  re  dalla  perniciosa  amicizia  coi  Borgia,  inculcando 
che  quegli  doveva  «  riparare  e  seguire  l'ordine  di  coloro  che 
hanno  per  lo  addietro  volsuto  possedere  una  provincia  esterna, 
che  è:  diminuire  i  potenti,  vezeggiare  li  sudditi,  mantenere  li 
amici,  e  guardarsi  da' compagni,  cioè  da  coloro  che  vogliono 
in  tale  luogo  avere  eguale  autorità  »  ;  e  quando  quella  maestà 
riguardasse  chi  in  Italia  gli  volesse  essere  compagno,  trove- 
rebbe che  non  erano  né  Firenze,  né  Ferrara,  né  Bologna,  ma 
quelli  che  in  addietro  cercarono  di  rovinarlo  ».  —  Alle  quali  con- 
siderazioni il  cardinale  di  Rouen  s' accontentava  rispondere  che 
sua  maestà  avea  «  l'orecchie  lunghe  e  il  creder  corto  »,  come  se 
il  corto  credere  a  questo  mondo  fosse  sempre  segno  di  grande 
accortezza.  *  Finalmente,  determinatosi  il  re  a  mandare  in  Italia 
persona  che  pigliasse  precisa  notizia  de' fatti  accaduti  al  campo 
di  Pisa  e  gliene  riferisse,  gli  oratori  poterono  tornarsene.  Tut- 
tavia Niccolò  non  nascondeva  a' suoi  Signori  che  tornava  la- 
sciando l'essere  loro  con  quella  maestà  «tenero  e  in  aria  ».  E 
l'ultimo  avviso  che  potè  dare  da  lungi  (e  si  preparava  a  ri- 
peterlo a  voce  da  vicino)  era  che  si  procacciassero  un  qualche 
amico,  «  come  fanno  tutti  coloro  che  fanno  qui  faccende.  E 
fo  questa  fede  alle  Signorie  vostre  che  se  (l'oratore  che  verrà) 
non  potrà  mostrare  a  Rubertet  qualche  gratitudine,  rimarrà 
al  tutto  in  secco,  e  non  che  altro,  non  potrà  spedire  una  let- 
tera missiva  e  ordinaria». 

Questa  buona  impressione  riportava  il  segretario  della  re- 
pubblica della  moralità  della  prima  corte  di  re  che  aveva  vi- 
sitato. Tornatosi  a  Firenze,  stette  poco  tempo  in  riposo;  che 
nuovi  torbidi  dentro  il  dominio  gli  procacciarono  occasione 
d'esser  distratto  a  più  riprese  dalla  cancelleria. 

Causa  di  queste  gite  frequenti,  furono  i  tumulti  sangui- 
nosi, che,  per  le  parti  de'Panciatichi  e  de' Cancellieri  in  cui 
dividevasi  tutta  [Pistoia,  scoppiarono  l'agosto  del  millecin- 
quecento e  crebbero  a  tanto,  che  fu  a  temere  cosi  Firenze 
non  perdesse  anche  quella  città,  come  aveva  già  perduto 
Pisa.  Da  poi  che  quelle  due  famiglie  e  consorterie  nemiche, 
che  s'erano  sempre  arrabattate  con  ogni  mezzo  crudele  per 
soperchiarsi,  non  vivendo  l' una  che  dell'oppressione  dell'altra, 
quando  Pistoia  venne  in  soggezione  de'  Fiorentini,  presero  ad 

1  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lettera  50.  —  In  una  lettera  de*  «  di  18  giugno  1504  »  Q  Se- 
gretario dorentino  scriveva  esser  «  prudensa  credere  facilmente  a  ttitto  ciò  che  sembra 
recar  danno  allo  Stato  ».  Arch.  fior,,  ci.  x,  dist.  3,  n.  112. 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDo]  LB  PARTI  IN  PISTOIA.  213 

accaparrarsi  ciascuna,  come  propri  patroni  in  Firenze,  certi 
personaggi,  certe  famiglie,  dalle  quali  s'aspettavano  nelle  pub- 
bliche deliberazioni  essere  spalleggiate  e  favorite.  Di  maniera 
che  la  parte  cancelliera  e  la  panciatica  s'eran  distese  a  Fi« 
renze  colle  protezioni,  come  già  dibattevansi  a  Pistoia  colle 
violenze.  Cosi  i  Medici,  da  Lorenzo  in  poi,  erano  stati  tutti 
di  parte  panciatica:  di  che  era  seguito  che  per  tutto  il  tempo 
che  quelli  ebbero  in  mano  il  governo  di  Firenze,  la  parte 
cancelliera  in  Pistoia  si  rimase  oppressa  dall'altra.  Ma  im- 
mezzo alle  soperchierie  della  parte,  non  è  a  credere  già  che 
dominasse  o  s'aggrandisse  quella  famiglia  che  alla  parte  dava 
nome;  dappoiché  per  una  istessa  legge  e  per  un  istesso  fato  le 
due  famiglie  nemiche  eran  tratte  a  impoverire,  sopportando  i 
carichi  e  le  spese  del  comune,  senza  speranza  mai  di  goderne 
gli  utili  e  le  dignità,  alle  quali  eran  fatte  incapaci  per  esser 
notate  fra  i  grandi;  cioè  fra  i  nobili  di  castella,  cui  tutti  i 
liberi  comuni  d'Italia  avevano  sempre  fatto  opposizione.  Per- 
tanto, tutto  quel  che  potevano  sperare  era  veder  ne'  magistrati 
qualcuno  de' loro  partigiani  e  fautori;  dare  il  loro  nome  alle 
discordie,  sopportarne  i  danni. 

In  questa  condizione  di  cose  era  naturale  che,  cacciati  via 
i  Medici  nel  1494,  di  quell'  avvenimento  s'avesse  a  sentire  il 
contraccolpo  in  Pistoia.  Poiché  se  i  Panciatichi  in  quei  signori 
perdeano  un  propugnacolo,  i  Cancellieri  si  liberavano  d'un 
impaccio,  e  poteano  farsi  validi  dell'  apjpoggio  delle  casate  fio- 
rentine che  tenevano  dalla  loro.  Né  eran  già  pochi  in  Firenze 
che  li  favoreggiassero;  però  che,  oltre  i  naturali  amici  che 
possedevano,  chi  osteggiava  i  Medici,  si  schierava  pe'  Cancel- 
lieri. E  di  soprappiù,  tutti  quelli  che  non  avevano  simpatia  pei 
Vitelli,  la  sfogavano  contrastando  a'  Panciatichi,  poi  che  una 
sorella  di  Paolo  e  di  Yitellozzo  era  andata  a  marito  con  un 
de' capi  di  parte  panciatica.  Cosi  avvenne  che  anche  in  Fi- 
renze occorsero  due  umori  diversi  di  casate,  che  per  piegare 
a  favore  dell'una  o  dell'altra  famiglia  pistoiese,  furon  con- 
traddistinte coir  appellazione  di  case  di  famiglia.^  Eran  prin- 
cipali a  protezione  de' Cancellieri:  Luca  degli  Àlbizi,  Bernardo 
Rucellai,  i  Nerli,  Guidantonio  Vespucci,  Francesco  Gualterotti, 
Giovan  Battista  Ridolfl,  Guglielmo  de' Pazzi,  Lorenzo  di  Pier 

X  Fb.  OuiccxARDiMi,  SUnia  fiorentina,  cap.  xxxi,  pag,  23S  « gridando  molti  popol*. 

Botti,  che  si  Toleva  seguitare  lo  esemplo  de*  passati,  e  non  faro  de*8Ìgnorì  di  Case  di  fa- 
miglia ». 


Digitized  by 


Google 


214  CAPO  PRIMO.  [LiBmo 

Francesco  Medici,  Iacopo  Pandolflni.  Pe'Panciatichi  starano 
principalmente:  Piero  Sederini,  Piero  Guicciardini,  Alamanno  e 
Iacopo  Salviati.  Dell'  una  parte  e  dell'  altra  si  comprendevano 
amici  del  nostro  Niccolò  di  non  poca  importanza,  e  tutto  di 
loro  era  quel  precetto  politico  che  Pistoia  fosse  a  tener  colle 
parti,  ossia  colle  divisioni  intestine,  coir  ingiustizie,  coU'oppres- 
sione  della  moltitudine  e  col  sostegno  d' una  fazione  violenta, 
che  volentieri  sacrificasse  all'odio  degli  avversari  le  ragioni 
del  bene  comune. 

Ma  quando  nell'agosto  del  1500,  i  Panciatichi  sono  espulsi  da 
Pistoia  per  forza  de' Cancellieri,  quando  tutto  è  mina  ed  uc- 
cisioni da  una  parte  e  dall'altra,  nella  città  e  nel  contado,  e 
Firenze  è  per  perdere  l'obbedienza  da  tutti  e  teme  <c  che  non 
segua  di  Pistoia  come  di  Pisa  »  *  la  vi  manda  commissari,  prima 
Niccolò  Antinori  e  Filippo  Carducci;  poi  Niccolò  d'Alessandro 
Machiavelli  e  Giovanbattista  Ridolfi  con  nuover  forze  ;  più  tardi 
Anton  Giacomini  e  Filippo  Carducci  di  nuovo  i  quali  tolgano 
l'armi  alla  moltitudine,  stabiliscano  la  pace,  mandino  ostaggi  in 
Firenze,  usino  tutti  que' provvedimenti  che  possano  bastare  a 
tener  la  città  in  soggezione. 

A'  commissari  ebbe  il  nostro  Niccolò  ad  essere  inviato  tre 
volte:  nel  febbraio  prima,  poi  nel  giugno  e  nell'ottobre  dello 
stesso  anno.  ^  Di  queste  due  andate  non  si  à  altro  documento 
che  le  patenti  e  gli  stanziamenti  che  le  rimunerano  :  non  una 
I  lettera.  Ma  l'azione  di  lui  feconda  e  prospera  ci  vien  rivelata 

dall'esame  delle  corrispondenze  officiali,  dal  tramutamento  gra- 
I  dato  della  politica  fiorentina,  rispetto  a  Pistoia,  dovuto  alle  per- 

I  suasioni  prudentemente  indotte  dal  segretario,  dalla  vittoria  sua 

del  vieto  pregiudizio,  domo  con  una  pratica  meglio  risoluta  e 
salutare.  É  pur  vero  che  le  condizioni  esterne  della  repubblica 
ora  aiutavano,  ora  contrariavano  i  conforti  del  Machiavelli;  è 
pur  vero  che  la  varietà  delle  signorie  mutabili  menava  con  se 
sovente  mutabilità  di  partiti;  ma  il  certo  si  è  che  dalla  con- 
suetudine di  barcamenare  fra  le  fazioni  cittadinesche,  si  arrivò 
in  fine  ad  appigliarsi  a'  modi  proposti  da  Niccolò  per  proibire, 
spegnere,  annullare  le  parti  in  Pistoia. 

Questi  modi  si  recarono  ad  atto  nell'ottobre  di  quell'anno, 

^  V.  Machiavelli,  De  reh%^t  Piatorientibus,  Bibl.  Nai.,  busta  i,  n.  11. 

■  Nel  febbraio  andò  verso  Pistoia,  nel  giugno  a  Cascina,  a  Pistoia  a  Siena,  e  stette 
giorni  dieci  ih  dette  gite;  neirottobre  v*andò  prima  per  staffetta  e  poi  col  Valori,  e  si 
trattenne  otto  giorni.  V.  gli  Stansiamenti  appositi,  editi  dal  Passerini.  Opp.  1. 1,  pag.  lz»lXi. 


Digitized  by 


Google 


«BCOKDo]  LE  PARTI  IN  PISTOIA.  21 

quando  nell'aprile  s'era  atteso  tuttora  a  dar  securtà  ai  reduci 
panciatichi  o  cancellieri.  Nel  maggio  i  Priori  facevano  che 
Niccolò  avesse  a  scrivere  ai  commissari  «  conoscere  per  mille 
esperienzie  non  si  potere  deliberare  cosa  alcuna  di  cotesto  oc*- 
correnzie,  che  non  offenda  o  tutte  e  dua  o  una  di  cotesto  parti, 
secondo  eh' e' ne  riferiscono  e  dolgonsi  pubblicamente  ».  ^  Ma 
quando,  pochi  di  poi,  il  duca  Valentino,  chiedendo  passo  e  vet- 
tovaglie per  trasferirsi  di  Romagna  a  Roma,  entra  ne'  confini 
di  Firenze,  e  s' intromette  come  sbarra  ^  fra  questa  città  e  Pi- 
stoia, la  paura  piglia  la  signoria,  e  ordina:  «  costi  non  si 
abbia  ad  alterare  cosa....  »  «fermare  le  cose  per  via  di  tregua  ».^ 
Un  mazziere  della  signoria  colla  mazza  d'argento  e  l'insegna 
vien  preso  prigione  da'  soldati  del  Valentino.  Si  teme  che  per 
mezzo  di  costui,  il  duca  non  tenti  di  trarre  in  inganno  i  comi- 
missari  di  Pistoia.  —  «Non  ubbidirete  in  alcuna  cosa  alcuno 
nostro  mazieri,  se  non  à  seco  uno  commissario  o  uno  tabulac- 
cino  nostro  ;  e  fia  el  commissario  uomo  noto  e  pratico  »  ^  — 
Finalmente  il  pericolo  del  duca  Valentino  è  scongiurato,  ma  il 
danno  di  quella  paura  rimane.  Il  soprastare  ch'orasi  fatto  dalle 
misure  forti  e  rigorose  per  riguardo  del  vicino  nemico,  aveva 
lasciato  anche  in  persone  non  deboli,  come  il  Giacomini  e  il 
Carducci,  uno  strascico  di  riguardi  poco  men  che  fiacchi  verso 
i  faziosi,  usi  a  venir  poco  prima  in  Firenze  con  carattere  d'am- 
basciadori.  Riaver  l'obbedienza  tanto  di  quelli  che  abitano  là 
città,  come  di  quelli  che  abitano  il  contado,  riaver  l'obbedienza 
di  gente  usa  a  non  ubbidire  ad  alcuno  e  a  viver  a  suo  modo,  ^ 
divien  fermo  proposito  del  governo  ;  e  Niccolò  Valori  e  il  Ma- 
chiavelli tornano  sul  luogo,  per  spingere  innanzi  i  provvedi- 
menti a  questo  fine.  Le  istruzioni  sommarie  che  il  segretario 
reca  sono  fortissime:  ordinare  un  buon  vivere  a  comune;  le 
parti  spegnere  e  costringerle  a  mutar  nome  ed  arme;  tenere 
il  Comune  responsabile  de' danni  civili  per  le  private  offese, 
quando  i  rei  non  capitassero  in  mano  all'autorità;  pene  a  chi 
pigliasse  l'armi  per  qualunque  parte  o  si  levasse  in  alcun  modo  : 
«  quelle  pene  che  si  giudicheranno  essere  abastanza».^  Gancel- 

^  MkCEiAyrgLiA,  Commitaione  a  PUtoia,  lett.  33  ed  alt. 

*  Id.,  ibid.,  Lettera  43. 

*  Id.,  ibid.^  Lettera  39. 

*  Macbiavblu,  1.  e,  lett.  44. 

s  Macbiavblli,  CommÌÈsione  a  Pistoiay  lett.  70  ed  ult. 

*  MAcniATBLLi,  Sommario  deUa  città  $  del  contado,  Opp.,  Tolome  m,  pagine  355  e 
seguenti. 


Digitized  by 


Google 


216  CAPO  PRIMO.  [i 

late  le  parti  nelle  città,  con  mezzi  somiglianti  schiantarle  dal 
contado. 

Nello  spazio  di  cinque  giorni,  il  Machiavelli  era  tornato 
al  suo  ufficio.  I  signori  avevano  udito  relazione  da  lui  della 
condizione  delle  cose.  Il  Giacomini  e  il  Carducci  s'erano  tro- 
vati ancora  impacciati  con  promesse  tra  Panciatichi  e  Cancel- 
lieri;^ ma  il  governo  della  repubblica  s'udiva  finalmente  par- 
lare parole  degne:  quelle  promesse  noiano,  «  volendo  noi  ser- 
vare l'onore  vostro,  e  dall'altra  parte  levare  questa  pietra  dello 
scandalo  » .  ^  —  Cosi  il  vecchio  aforismo  scade  abominato,  e 
pietra  dello  scandalo  si  chiamarono  lealmente  quelle  fazioni, 
che,  agitando  l' infelice  città,  l'avevano  così  fatta  serva  e  trista. 
Questa  conversione  a  una  politica  onesta  e  salubre  avevala  con- 
dotta in  gran  parte  il  senno  e  l'industria  del  nostro  Niccolò. 
I  modi  duri  e  crudi,  proposti  nel  suo  Sommario,  a  raggiungere 
il  fine  voluto,  non  erano  che  i  sufficienti.  Di  questi  egli  ebbe 
a  sentirsi  forse  accagionato  allora;  però  volle  in  altra  stagione 
della  sua  vita  giustificarsene,  tacciando  a  sua  volta  d' inumanità 
il  popolo  fiorentino  «  il  quale,  per  fuggire  nome  di  crudele, 
lasciò  distruggere  Pistoia  ».  ^  Ma  gli  dolse  forse  che  que'  modi 
straordinari  designati  da  lui,  o  la  necessità  delle  cose  o  la  na- 
tura degli  uomini  non  li  facesse  adoperare  con  quel  vigore  che 
a  lui  sembrava  opportuno.  «  Quando  si  comanda  cose  aspre, 
conviene  con  asprezza  farle  osservare »  «  a  voler  essere  ub- 
bidito è  necessario  saper  comandare  »  ;  e  «  un  uomo  prudente  », 
scrive  più  tardi  Niccolò,  ^  «  diceva  che  a  tener  una  repubblica 
con  violenza,  conveniva  fusse  proporzione  da  chi  sforzava  a 
quel  ch'era  sforzato  » . 

Se  non  che  usciamo  un  istante  dalle  politiche  vicende,  per 
guatar  qualche  particolare  della  vita  domestica  di  Niccolò,  che 
1  se  per  lo  storico  del  pensiero  di  lui  par  meno  importante,  à 

r  peso  tuttavia  come  ogni  evento,  da  cui  riceva  impronta  certa  la 

j  vita  dell'uomo.  Niccolò  ritraeva  già  del  suo  officio  riputazione 

non  piccola  e  sufficiente  guadagno:  della  casa  paterna  aveva 
ereditato  qualcosa,  ch'egli  godeva  a  metà  con  Tetto  f ratei  suo; 
[  da  cui,  per  lodo  de' di  21  di  giugno  del  1518,  ebbe  a  riscat- 

I  tarla  intera.  Venuto  nel  proposito  d'ammogliarsi,  tolse  a  donna 

I 

1  Machiavelli,  Committione  a  Pistoia,  lett.  70  ed  alt. 
.^^.-                                       ■  Id.,  ibid. 

»  Machiavblli,  Principe,  cap.  xii. 

*  Machiavelli,  JHtearsi,  lib.  ni,  cap.  xui. 


Digitized  by 


Google 


STCONDo]  LA  MOGLIE  DI  NICCOLCT  MACHIAVELLL  S17 

Manetta  di  Lodovico  Corsini,  donzella  egregia  per  indole,  per- 
spicace d'ingegno.  Il  padre  erale  morto  già  fin  dal  1497;  la 
madre  fu  figliuola  di  Francesco  Gambioni.  ^  La  fanciulla  aveva 
dote,  ebbe  caldo  affetto  al  marito,  cure  solerti  alla  prole.  Quando 
Niccolò,  costretto,  a  cagione  delle  sue  commissioni,  peregrinava 
lontano,  la  Manetta  se  ne  restava  afflitta  e  a  Biagio  Bonac- 
corsi,  e  all'Alessandra,  moglie  di  lui,  accadeva  di  racconsolarla. 
Nell'ottobre  del  1502  Biagio  gli  scriveva  da  Imola:  «  Mona  Ma- 
netta mi  ha  mandato  per  il  suo  fratello  ad  domandare  quando 
tornerete,  et  dice  che  la  non  vuole  scrivere,  et  fa  mille  pazzie 
et  ducisi  che  voi  li  promettesti  di  stare  8  dì  et  non  più;  sicché 

tornate  in  nome  del  diavolo,  che  la  m non  si  risentissi,  che 

saremmo  spacciati  con  frate  Lanciolino  ».^ 

Un  anno  dopo,  mentre  Niccolò  è  a  Roma,  Biagio  gli  scrive 
miglior  novella.  Egli  à  un  primo  figliuolo;  «  et  di  più  vi  dico 
che  la  Manetta  T  à  dato  a  balia  qui  in  Firenze,  et  lui  et  lei 
sta  bene,  gratia  di  Dio.  Vero  è  che  lei  vive  con  grandissima 
passione  di  questa  vostra  assentia,  né  vi  è  rimedio;  et  quando 
l'Alessandra  potrà  andarvi,  non  ne  mancherà,  che  pure  dome- 
nicha  vi  fu,  et  lei  et  io  pensiamo  sempre  ad  farvi  piacere:  cosi 
pensassi  voi  ad  me  ».3  Quel  primo  figliuolo,  per  pia  ricordanza 
dell'avo,  si  chiamò  Bernardo.  Una  prima  figliuola,  non  gli  visse; 
un'altra  a  memoria  dell'avola  Bartolomea,  ebbe  nome  Baccia; 
altri  tre  figliuoli  ebbero  nome  Ludovico,  Guido  e  Piero.  *  Una  let- 
tera che  ci  rimane  di  Niccolò  al  penultimo  de' suoi  figliuoli,  ci  è 
argomento  dell'  amor  suo  per  essi  e  della  cura  con  cui  gli  edu- 
cava a  generosi  e  liberi  sentimenti.  Il  testamento  di  lui  ci  com- 
prova la  riverenza  eh'  egli  conservò  sempre  per  la  sua  com- 
pagna, e  la  fiducia  in  cui  visse  e  morì,  ch'ella  sapesse  non  pure 
educar  l'animo  di  quelli,  ma  amministrarne  e  proteggerne  le 
sostanze.  Lei  sola  lasciò  tutrice  e  curatrice  de'  minori,  sciolta 
dall'onere  di  rendere  conto  della  tutela  sua.  ^  E  quei  figliuoli 
crebbero  vivaci  e  forti,  ammaestrati  dal  paterno  esempio  ad 
amare  la  libertà  della  patria  e  a  spendere  la  vita  per  essa.  ^ 

1  V.  Luiai  Passerini,  Genealogia  storica  della  famiglia  Corttni,  Firense,  1858. 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  Machiavelli,  busta  3>,  82. 

*  Ibidem,  busta  3^,  n.  xxni. 

*  II  Machiavelli,  «  da  Firense,  80  9bre  1515  »  scriveva  al  Vernaccia:  «  La  Manetta 
et  fanciulli  stanno  bene  et  poi  ti  partisti  mi  sono  nati  dua  figliuoli,  una  femina  che  mori, 
ad  uno  mastio  che  vive,  ha  uno  anno  et  dua  mesi  Piero,  per  Piero  del  Nero,  che  è  morto  », 
lett.  ist.  di  provenienia  dall'ab.  Parigi. 

'  V.  /{  Secondo  testamento  di  Niccolò  Machiavelli. 

*  Ecco  le  notizie  che  possono  aversi  della  famiglia  e  de*  figliuoli  di  Niccolò  : 

La  Baccia  andò  sposa  a  Giovanni  Ricci.  Bernardo,  nacque  nel  1503,  assente  il  padr«  » 


Digitized  by 


Google 


218  CAPO  PRIMO.  [limo 

A' di  17  novembre  1503  scriveva  il  Bonaccorsl  a  Niccolò:  «erami  acordato  rispondere  alla 
domanda  vostra  delli  altri  compari  che  furono  messer  Batista  Machiavelli, .  messer  Mar*> 
cello,  Lodovico,  il  capitano  Domenico  et  io,  di  bella  brigata;  et  demovi  tutti  grossi  nuovi. 
1.  V.  »  —  (Btbl.  Naz.,  Doc.  M.,  busU  ni,  n.  83)  —  Fu  impiegato  presso  la  Corte  di  Roma, 
in  qualità  di  tesoriere  pontiflcio.  Ebbe  in  moglie  Ippolita  di  Alessandro  Rinucci.  Nella 
Bibl.  Nas.  (Doc.  jlf.,  busta  v,  n.  37)  si  à  una  lettera  di  lui  a  Niccolò  in  Lucca  «  die  vu 
di  settembre  1520  ».  —  Trovasi  che  nel  1523  ebbe  a  durare  una  condanna  degli  Otto  in  un 
anno  d'esilio  al  di  là  di  tre  miglia  da  Firenze,  e  in  lire  150  di  multa  per  aver  tentato  di 
yiolentare  una  contadina,  e  bestemmiato,  giocando,  il  nome  di  Maria. 

Ludovico,  fu  avviato  ne- commerci;  viario  in  Oriente;  passò  a  Pera  presso  Giovanni 
di  Francesco  Vernaccia.  Nel  1517  tornò  per  la  via  di  Ragusa  in  Italia,  sbarcando  ad  An- 
cona, donde  scrisse  al  padre  «  addi  xx  di  maggio  »  (Bibl.  Nac,  Documenti  Jtf.,  busta  v, 
n.  22).  Ebbe  pur  esso  che  far  cogli  Otto;  il  di  11  maggio'  1525  ebbe  ad  esser  condannato 
in  due  fiorini  d'oro,  per  aver  bastonato  ser  Clemente  Pistelli,  notaio.  Tornò  in  Oriente 
un'altra  volu  e  a'  dì  14  d'agosto  1525  scrive  da  Adrianopoli  a  Niccolò,  ragguagliandolo 
di  torti  ricevuti  in  affari  commerciali  da  certo  Carlo  Machiavelli,  che,  tornato  a  Pera, 
converrà  innanzi  al  balio  (Ibid.,  busta  v,  n.  46).  Quando  nel  1527,  dopo  il  sacco  di  Roma, 
i  fiorentini  si  ribellarono  a*  Medici,  egli  si  distinse  in  fare  sfregi  a'  stemmi  loro,  abbatter  la 
statua  di  Leone  X,  e  deturparla  all'Annunziata.  Il  di  16  giugno  1529  fu  novamente  condan- 
nato per  cinque  anni  di  confini  a  IJvomo,  essendo  venuto  più  volte  alle  mani,  con  spargi- 
mento di  sangue,  insieme  con  Agostino  del  Nero  e  Giovan  Battista  Martelli.  La  Signoria 
erasi  interposta  più  volte  per  pacificarlo  con  questi  suoi  nemici  :  giurata  la  pace,  egli  primo 
la  violò.  E  nello  stesso  anno  ebbe  a  portar  nova  pena  in  lire  50  e  quattro  mesi  di  confine, 
per  aver  aggredito  il  detto  G.  B.  Martelli,  per  gelosia  d'una  cortigiana,  che  avea  sopran- 
nome «  la  pesciolina  ».  Ludovico  rimase  nella  rissa  ferito  a  una  gamba:  laonde  ottenne 
proroga  per  andare  a*  confini  ;  e,  come  fu  guarito,  non  parti  per  restare  a  difesa  e  soccorso 
della  patria,  minacciata  dall'armi  di  Papa  Clemente  e  di  Carlo  V.  Usci  col  Ferrucci  di 
Firenze,  si  trovò  alla  battaglia  di  Gavinana.  Il  Ferrucci  stesso  parla  di  lui  in  una  lettera 
del  26  ottobre  1529  ai  Dieci,  raccontando  come,  caduto  in  mano  degl'Imperiali  lo  aveva 
riscatuto  coH'arme  in  pugno.  Il  Guerrazzi  fece  di  Ludovico  Machiavelli  un  personaggio 
importantissimo  del  suo  romanzo  il  più  caldo  di  patrio- amore.  Di  lui  conclude  (Asiedio  di 
Firenze,  cap.  xxix,  in  nou)  :  «  Finalmente  affermano  che  nel  1530  morisse  gloriosamente 
in  una  sortita,  tenendo  stretta  la  insegna  della  sua  compagnia.  Che  che  ne  sia,  questo  è 
sicuro,  che  i  figli  di  Niccolò  Machiavelli  furono  educati  a  spargere  il  sangue  in  benefizio 
della  patria  e  della  libertà  ».  — 

Guido,  il  più  giovane  de'  figliuoli  di  Niccolò,  si  dette  agli  studi  e  pare  entrasse  nella 
cheresia.  Scrìveva  al  padre  a'  17  d'aprile  1527  :  «  comincerò  questa  pasqua,  quando  Baccia 
sia  guarita  assonare  et  cantare  et  fare  contrapunto  a  tre,  et  se  l'uno  et  l'altro  istarà 
sano  spero  tra  un  mese  potere  fare  sanza  lui,  che  a  dio  piaccia.  Della  gramatica  io  entro 
oggi  a'  participii  et  ammi  lecto  ser  Luca  quasi  il  primo  di  Ouidio  meumorphoses,  el  quale 
ni  uoglio,  comunque  Voi  siate  tornato,  dire  tutto  a  mente  ».  —  (Bibl.  Naz.,  Doc.  Jf.,  bu- 
sta V,  n.  21).  Cosi  rispondeva  all'affettuosa  lettera  di  Niccolò,  citata  già  da  noi  in  questa 
opera  (pag.  101,  in  nota).  —  Di  Guido  Machiavelli  si  conservano  nella  Biblioteca  Nazio- 
nale fiorentina  (Documenti  M.,  busta  v,  n.  178-187)  le  opere  seguenti: 

1.  Copia  di  lettera  di  Guido  Machiavelli  del  5  dicembre  1556  a  M.  Agnolo  Biffoli,  colla 
quale  gli  raccomanda  il  fratello  Piero  che  era  carcerato.  Gli  esibisce  tutti  i  mezzi  che 
sono  in  lui  per  farlo  liberare; 

2.  Sermone  autografo  per  la  notte  del  sabato  santo; 

3.  Sermone  intitolato  Eaortatio  ad  fratre»; 

4.  Allocuzione  per  uno  sposalizio  (autografa); 

5.  Traduzione  autografa  del  principio  de  l'Epistola  di  S.  Paolo  ai  Romani; 

6.  Traduzione  autografa  del  principio  del  Momo  di  Leon  Batista  Alberti; 

7.  Commedia  di  Guido  Machiavelli,  copiata  da  Giuliano  de'  Ricci.  Manca  il  titolo  e 
non  contiene  che  il  solo  atto  primo  e  parte  del  secondo; 

8.  Commedia  del  suddetto  intitolata  Tizia,  mancante  di  qualche  carta  in  principio. 
Natte  (o  siano  burle)  fatte  da  varie  persone  a  G.  M.  B.  (Giovan  Maria  Benintendi).  Copia 
del  capitolo  dell'Ingratitudine,  opera  di  Niccolò  Machiavelli.  Gli  Adelfi,  commedia  di 
Terenzio  tradotta  da  Guido  Machiavelli; 

9.  Capitelo  e  Bolla  del  Concilio  Tridentino  ; 

10.  Nota  dei  50  giovani  destinati  a  portare  il  baldacchino  nell'entraU  in  Firenze  di 
Giovanna  d'Austria  sposa  di  Francesco  de'  Medici  nel  1005. 

11.  Nota  dei  canonici  ed  altre  dignità  del  Duomo  di  Firenze  e  di  chi  sono  patronati. 


Digitized  by 


Google 


SBCOWDO]  PROGENIE  DI  NICCOLO'  MACHIAVELLI.  «W 

Piero.  Nella  Bibl.  Nas.  fiorentina  (Doe.  Jtf.,  busta  v,  n.  188)  si  anno,  scritti  dal  fra- 
tello Guido  sacerdote^  cenni  della  vita  di  Piero  Machiavelli.  Egli  «nacque  in  Firenze, 
Tanno  1514,  a*  di  4  di  settembre  »  Aufn  sol  oriebatur.  -~  Fu  molto  stimato  per  la  sua  co- 
noscenza delle  cose  di  mare.  Servi  nella  marina  militare  toscana  sotto  Cosimo  I.  —  Ebbe 
anche  egli  che  fare  colla  giustizia,  e  addì  24  marzo  1533,  per  aver,  contro  la  legge,  sco- 
varto  una  fossa  ne*  suoi  possessi  di  San' Cascia  no,  per  prendervi  i  lupi,  ed  essendovi  ca- 
duto dentro  e  alFogatovisi  Cristoforo,  fornaciaio,  fu  condannato  in  contumacia  alla  prigione 
delle  Stinche.  Ottenne*  grazia,  dopo  tre  anni  (addi  12  giugno  1536)  a  intercessione  di  Mar- 
gherita d'Austria,  che  andava  sposa  al  Duca  Alessandro.  Nel  1560  era  a  comando  di  3  galee, 
e  toccò  una  sconfitta  nelle  acque  del  monte  Argentale,  da  16  galeotte  turche,  guidate  da 
un  rinnegato  corso.  Fu  neli*istess*anno  all'impresa  dell* isola  delle  Qerbe,  e  poi  fu  scelto 
commissario  delle  galee  toscane,  e  nel  15612  ordinato  cavaliere  di  S.  Stefano,  il  qual  ordine 
fh  a  quel  tempo  istituito  dal  granduca.  Mori  nel  1564  a*  di  21  d'ottobre  in  Gibilterra,  d\ 
febbre.  Visse  anni  50,  un  mese  e  diciassette  giorni.  Il  testo  citato  della  Bibl.  Nazionale 
dice  che  mori  di  febbre,  ma  una  postilla  che  pare  di  mano  di  Giulian  de*  Ricci,  aggiunge: 
«  ta  fatto  avvelenare  dal  Signore  di  Piombino  col  quale  gareggiava  al  governo  delle  galee; 
Tawelei^ò  ^un  suo  paggio  nel  dargli  bere  ».  —  Fra  le  Carte  del  Machiavelli  (Bibl.  Naz., 
busta  I,  n.  4)  si  à  una  lettera  di  Piero  a  Cosimo  I,  duca  di  Firenze,  che  incomincia:  «  AHI 
26  del  presente  scrissi  a  V.  Ecc.  IH  .ma  il  bisogno,  ecc.  »  ^  e  manca  del  fine.  Questa  let- 
tera è  a  stampa.  Parimente  (Doe.  M.,  busta  v,  n.  0)  si  à  una  lettera  di  Gio.  Francesco 
de*  Medici  «  a  Piero  Machiavelli  cav.  luogotenente  delle  galere  in  Ferraio  ».  La  data  è 
de*  25  d'ottobre  1563.  — 

La  vedova  dì  Niccolò,  venne  a  morte  a*  di  7  febbraio  1552.  Una  sua  lettera  autografa 
a  N.  M.,  che  si  conserva  nel  manoscritto  Rinucciniano  segn.  di  n.  2  della  Mediceo-Lau- 
renziana  in  Firenze,  ci  è  prova  della  gentile  virtù  di  lei,  moglie  e  madre. 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


Capo  Secondo 


RIBELLIONE  DELLA  VAL  DI  CHIANA  —  IL  GONFALONIERE  A  VITA 
IL  MACHIAVELLI  E  I  BORGIA. 

E  per  pigliare  1  kuoì  nemici  al  vischio, 
Fischiò  soavemente,  e  per  ridurli 
Nella  saa  tana,  questo  Imvallschio. 

Nò  molto  tempo  perdo  nel  condurli; 
Che  '1  traditor  di  Fermo  e  Vitellozzo, 
E  quelli  Orsin,  che  tanto  amici  fùrll. 

Nelle  sue  insidie  presto  dier  di  cozzo  ; 
Dove  rOrso  lasciò  più  d'una  zampa. 
Et  al  Vitel  fu  l'altro  corno  mozzo. 

(Hacbutilli,  Decennale  I,  v.  393  sgg.) 

Nelle  gravi  difficoltà  pistoiesi,  la  Signoria  di  Firenze  erasi 
trovata  sgomenta  e  non  avea  voluto  assumersi  tutta  la  respon- 
sabilità delle  deliberazioni.  Però  aveva  fatto  ricorso  al  con- 
siglio altrui,  radunando  una  Pratica  di  circa  quaranta  fra'  prin- 
cipali cittadini,  la  quale  proponesse  rimedi,  disponendosi  a 
seguitare  il  parere  di  lei  in  tutto  e  per  tutto.  I  mali  della  città 
si  riducevano  facilmente  ad  uno:  la  disunione,  e  questo  la  Pra- 
tica poteva  piuttosto  accrescerlo  che  medicarlo;  perchè  tra 
quei  quaranta  cittadini  trovandosene  d'ogni  partito,  e,  secondo 
i  partiti,  avendo  in  mira  ciascuno  diverso  fine,  non  venivano 
a  capo  di  nulla  che  urgesse;  e,  intavolando  questioni  insidiose, 
inasprivano  gli  animi. 

Fra  le  questioni  prese  a  discutere  si  faceva  capitar  sempre 
quella  della  forma  di  governo,  nella  quale  i  partigiani  ravvi- 
savano la  cagione  sola  delle  cittadine  sventure;  si  che  non 
pareva  loro  col  governo  popolare,  col  Consiglio  grande,  si  po- 
tesse andare  più  innanzi.  Altri,  più  moderati,  avrebber  pure 
lasciato  sussistere  il  Consiglio  grande;  ma  a  quello  degli  Ot- 
tanta avrebbero  surrogato  un'altra  a.ssemblea  senatoria,  i  cui 
membri  fossero  a  vita,  e  si  scegliessero  solo  fra  que'  cittadini 
che  fossero  stati  già  gonfalonieri  di  giustizia,  commissari  ge- 
nerali, ambasciadori  a  papi,  re,  o  duchi;  dal  novero  de' quali 
fossero  a  prendere  poi  sempre  i  Dieci  di  balia.  Tal  altro  opi- 


Digitized  by 


Google 


a»  CAPO  SECONDO. 

nava  che  fosse  a  modificare  il  modo  di  votazione  per  le  leggi 
d'imposte;  e  che  mentre  prima  si  volevano  ad  approvarle  i  due 
terzi  de  Voti  favorevoli,  ora  una  maggioranza  relativa  bastasse. 

Per  siffatta  guisa,  variando  le  opinioni  all'infinito,  e  non 
uscendo  nulla  di  concreto  da  quelle  adunanze,  e  sapendosi  in- 
sieme che  a  quelle  intervenivano  persone  che  non  amavano 
l'ordine  attuale  di  cose,  la  moltitudine  cominciò  a  veder  di  mal 
occhio  quella  congrega,  ad  aver  caro  chi  si  astenesse,  caris- 
simo chi  ricusasse  d'intervenirvi.  Fu  tra  quest'  ultimi  Piero  So- 
derini,  1  al  quale  è  dubbio  se  più  ripugnassero  le  insidie  tese 
alla  libertà,  o  più  facesse  solletico  la  popolarità  che  s'acqui- 
stava col  suo  procedere.  Fatto  è  che  il  maraviglioso  favore 
della  moltitudine  maggiormente  gli  si  accrebbe  quando  eletto 
gonfaloniere  di  giustizia,  condusse  il  magistrato  suo  per  modo 
che,  senza  convocar  mai  Pratiche  di  sorta,  senza  chiamar  mal 
consiglieri  facoltativi,  lasciò  deliberare  tutte  le  cose  a'  Collegi 
ch'erano  i  suoi  consiglieri  di  diritto.  Questi,  riconoscenti  del- 
l'ossequio ch'egli  scrupolosamente  manteneva  alla  costituzione 
democratica,  dei  riguardi  che  pareva  usare  alle  loro  particolari 
persone,  nella  maggior  parte  delle  cose  si  riportavano  a  lui. 
Cosi  egli  faceva  tutto,  col  brando  della  legge,  coU'amore  dei 
popolani,  a  gran  disdegno  dei  nobili. 

Ma  i  nobili  sanno  che  quando  alcuno  de'  loro  si  gitta  al 
popolo  per  godere  autorità  non  partecipata,  va  da  sé  nello 
sdrucciolo  della  propria  ruina;  e  che  l'opera  della  vendetta 
loro  è  voltargli  contro  del  petto  l'arme  stessa  che  impugna. 

Il  Sederini  era  l'uomo  che  men  ch'altri  avrebbe  saputo 
proteggersi  da  siffatta  vendetta;  egli  ascendeva  solo,  perchè  solo 
sapeva  rispettare  le  leggi  fatte  e  gli  ordini  stabiliti;  e  poi  che 
le  une  e  gli  altri  trovava  essere  razionalmente  osservabili,  gli 
pareva  non  avesser  mestieri  d'altro  sostegno  che  della  bontà  loro 
perchè  non  temessero  mutazioni.  Il  precipizio  doveva  pertanto 
aprirglisi  quando  fosse  stato  necessario  guardare  dall'insidie 
molteplici  quello  stato  che  tanti  avversavano  e  ch'egli  solo 
doveva  difendere  con  mezzi,  che  nelle  leggi  e  negli  ordini  sta- 
biliti non  gli  pareva  trovare.  Ma  in  sul  principio  del  suo  ascen- 
dere anche  le  esteme  condizioni  della  repubblica  sembravano 
aiutarlo. 

Il  re  di  Francia  aveva  cupidigia  e  bisogno  di  danari;  per 

*  Guicciardini,  Storia  fiorentina,  cap.  xxii,  pag.  S38.  —  Macbuvblli,  EttrtOH  di  lai- 
Ur#,  pag.  276,  ediz.  Passerini-Milanesi. 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDO]  ESULI  Plir  POTENTI  CHE  LA  REPUBBLICA.  223 

la  povertà  di  Firenze  poteva  sperare  di  trarne  pochi  dal  po- 
polo, i  cui  commerci  erano  scaduti;  questi  pochi,  per  le  natu- 
rali lungaggini  del  Governo  libero,  gli  avrebbe  dovuti  stentare. 
Dalla  casa  Medici  al  contrario  gli  sarebbe  stato  facilissimo 
averne  promessa  pronta  e  pagamento  sicuro;  la  loro  banca  di 
Roma  era  malleveria  più'  che  bastevole;  e  ripigliata  poi  la  si- 
gnoria di  Firenze,  questi  avrebber  soddisfatta  ogni  voglia  fran- 
cese intera  e  presto. 

Il  re  pertanto  riceveva  a  corte  Giuliano  con  ogni  cortesìa; 
questi  aveva  libero  accesso  al  cardinal  di  Rouen  e  intratte- 
nevasi  con  lui  in  colloqui  lunghi,  forse  artificiosamente  lunghi; 
mentre  invece  al  Tosinghi,  orator  fiorentino,  toccavano  le  so- 
lite asprezze,  che  già  avevano  contristato  il  soggiorno  del  Ma- 
chiavelli e  del  Casa  ;  fino  a  sentirsi  dire  che  facesse  il  piacere 
d'andarsene  dalla  corte,  perchè  non  s'apparteneva  a  oratori 
di  nemici  il  restarvi;  non  potendo  risguardar  se  non  per  tali 
coloro  che  non  mantenevano  le  capitolazioni  sancite  a  Milano; 
le  quali  importavano  pagamenti,  che  i  Fiorentini  non  soddisfa- 
cevano. 

Cosi  il  re  piacevasi  tormentare  i  democratici,  non  cessando 
dall' inculcare  che  quel  loro  governo  scapigliato  non  andava 
bene,  che  con  quello  non  si  poteva  concludere  niente  di  sodo, 
che  conveniva  pensassero  a  mutarlo,  o  a  modificarlo  almeno. 
E  in  quel  tenore  medesimo  più  risolutamente  erasi  espresso  loro 
su' confini  l'imbaldanzito  duca  di  Valentinese,  reduce  da  Bologna, 
dove  per  intromissione  del  re  di  Francia,  aveva  risparmiato  il 
Bentivoglio;  e  veniva  recando  con  sé  Vitellozzo,  il  giurato  ne- 
mico di  Firenze,  pronto  ad  accorrere  in  ogni  campo,  dove  fosse 
speranza  di  vendicare  il  fratello.  Dietro  le  spalle  poi,  a  Loiano, 
nel  bolognese,  il  duca  Cesare  teneva  in  serbo  Giuliano  de'  Me- 
dici; sui  confini  del  senese  accorreva  Piero.  ^  Già  una  prima 
volta,  a  Barberino,  il  Borgia  aveva  fatto  intendere  agli  am- 
basciadori  di  Firenze  (erano  Pier  Soderini,  Alamanno  Sal- 
viati  e  Jacopo  Nerli)  che  quella  lor  maniera  di  governo,  non 
gli  "piaceva  ;  che,  per  via  de'  fuorusciti,  o  con  ordinare  un  Go- 
verno a  suo  modo  avrebbe  cercato  sicurtà  de'  patti.  *  Poi,  per 

Cf.  Alvisi,  Cétaré  Borgia,  pag.  188.  —  DBSJARDms,  Négoeiaiions  diplomaiiques, 
t.  n,  pag.  53:  «  E*  ci  inclina  l*animo  a  dabiUrne,  per  il  desiderio  che  ha  il  papa,  secondo 
che  è  sua  natura,  e  a  qualche  suo  disegno  di  alterare  il  presente  stato  della  città,  e  lo 
appetito  che  hanno  ancora  quegli  altri  capi  chi  d'una  cosa  e  chi  d*  un'altra,  e  tutto  dise- 
gnarsi con  il  messo  degli  usciti  nostri  ». 
*  Biagio  Bo:<accob8i,  Diario. 


Digitized  by 


Google 


tu  CAPO  SECONDO. 

la  via  di  Pancaldoli,  a  Firenzuola,  e  quindi,  per  la  Val  di 
Marina,  viene  al  Ponte  a  Signa.  Firenze  chiama  alle  porte  l'a- 
bate Basilio  e  i  suoi  fanti;  manda  a  Pistoia  per  quelle  genti  che 
v'erano;  le  mura  commette  esplorare  ad  Ambrogio  da  Lan- 
driano  e  a  Luca  degli  Albizzi;  al  Valentino  manda  oratori  Fran- 
cesco de'  Nerli,  Alessandro  Acciainoli,  Cosimo  de'  Pazzi.  ^ 

Naturalmente,  i  Fiorentini  escludono  ogni  proposito  di  muta- 
zione nello  interno  del  loro  stato  ;  se  n'escono  con  una  condotta 
data  al  duca  Cesare  di  trecento  uomini  d'arme  per  tre  aani,  libero 
al  duca  di  tener  due  cavalli  leggieri  in  luogo  d'un  uomo  d'arme; 
il  soldo  fissato  in  trentaseimila  ducati  l'anno  :  «  non  obligando 
però  il  prefato  signor  duca  la  persona  sua  ad  intervenirci  al- 
trimenti che  per  suo  luoghotenente  *  »  ;  condizione  più  grata  a 
Firenze  che  al  Valentino,  il  quale,  per  quella  stipulazione,  s'as- 
sicurava che  la  città  non  gli  avrebbe  fatto  impedimento  alla 
impresa,  ch'egli  preparava  contro  al  signor  di  Piombino.  Di  più, 
un'altra  condizione  che  faceva  comodo  a  tutte  due  le  parti, 
perchè  lasciava  agio  a  sottintesi  tanto  pel  furbo  che  pei  de- 
boli, era  che,  a  richiesta  della  Signoria  di  Firenze,  quelle  armi 
condotte  dovessero  dal  duca  esser  mandate  a  servigio  del  re 
di  Francia  per  l'impresa  di  Napoli.  Il  duca  non  avrebbe  cosi 
fatto  mai  al  re  servigio  gratuito;  la  repubblica  avrebbe  con  un 
solo  obbligo  soddisfatto  a  due  prepotenti. 

Dal  re  di  Francia  la  repubblica  si  sapeva  protetta;  ma 
non  ignorava  il  poco  frutto  che  aveva  a  sperare  di  quella 
protezione.  ^  11  re  di  Francia  voltava  allora  tutte  le  sue  forze 
al  regno  di  Napoli,  per  ricacciarne  per  sempre  Federico  d'Ara- 
gona; e  poi  che  questi  avea  gli  occhi  continuo  alla  corona  di 
Spagna,  dalla  quale  si  lusingava  di  aiuto,  pensò  re  Luigi  che, 
per  preoccupargli  ogni  rifugio,  fosse  cosa  ottima  far  esso  lega 
col  re  Cattolico,  cedendogli  metà  di  quel  reame  che  avrebber 
dovuto  conquistarsi  con  armi  comuni:  Calabria  e  Puglia  alla 
Spagna;  Abruzzi  e  Terra  di  Lavoro  alla  Francia;  re  Federico 
rimarrebbe  schiacciato. 

1  GoicciARDi^ii,  Storia  fiorentina.  —  Machiavelli,  Estratti  di  lettere,  pag.  278. 

*  V.  neW Archivio  stor.  t(.,  t.  xv,  pag.  869,  la  Convenzione  de' dì  15  maggio  1501  tra  la 
Signorìa  di  Firenze  e  il  Valentino,  fatta  «  in  pontificiia  et  felicibus  chastris  ad  chasteUum 
Campium  eomitatus  Florentie  ». 

*  A*  di  28  di  maggio  il  re  scrìveva  alla  Repubblica:  «  Nous  avons  esté  adverti  par 
vostre  ambassadear,  ajoute-t^il,  comment  nostre  cousin,  le  due  de  Valentinoys,  s'est  tire 
en  Vostre  Seigneurie,  avec  ses  gens  d*annes,  pour  vouloir  faire  qnelque  entreprìse  sur 
icelle,  en  vostre  préjudice,  de  laquelle  chose  ne  nona  poavons  trop  esmerveiller  ».  V.  Des- 
JABDINS.  Négociations  diplomatiquea,  t.  n,  pag.  53. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  RIUELLWyE  DELLA  VAL  DI  CHlAyA.  225 

Provò  questi  mirabilmente  resistere,  e  afforzarsi  in  Capua: 
ma  Capua  ebbe  a  soggiacere  alja  furia  degli  assalti  fran- 
cesi, e  a  sopportare  saccheggio,  depredazioni,  violenze  di  ogni 
maniera.  Cadde  fra  que' morti  Rinuccio  daMarsciano;  ne  godè 
Vitellozzo:  era  un  principio  di  vendetta;  ma  era  poco.  Egli 
vedevasi  intorno  sparire  principi  e  re:  l'Appiano,  che  abban- 
donato dal  re  di  Francia,  da  Firenze,  da  Genova,  invocate  va- 
namente a  soccorso,  esulava,  sopraffatto  dal  Valentino,  insigno- 
ritosi dell'  Elba,  della  Pianosa,  di  Piombino  :  l'Aragonese  che, 
tradito  dal  re  di  Spagna  suo  congiunto,  cedeva  al  destino, 
perdendo  il  regno,  rassegnandosi  a  morire  in  Francia  duca 
d'Anjou.  Ma  Vitellozzo  assetava  d'una  vendetta  più  ardua;  egli 
volea  vedere  oppresso  un  popolo,  distrutta  la  fiacca  repubblica 
fiorentina.  Però  tien  pratica  in  Arezzo  per  fare  insorgere  la 
città  con  tutta  Val  di  Chiana;  e  Arezzo  si  ribella  anche  prima 
ch'ei  non  voglia,  e  non  sia  presto  a  portarle  soccorso.  Il  podestà 
fiorentino,  i  commissari,  il  vescovo"  Pazzi  si  rifugiano  nella  cit- 
tadella, fidenti  che  l'aiuto  di  Firenze  non  indugi.  Ma  se  Vi- 
tellozzo tardava  a  soccorso  dei  ribellati,  i  Fiorentini  non  cre- 
devano neppure  che  fosse  vera  la  ribellione;  ne  reputavano  la 
notizia'  un  artifizio  di  nemici  per  distorli  dall'assedio  di  Pisa, 
dal  racquisto  di  Vico  Pisano.  E  quando  A^itellozzo  giunse,  e  vide 
l'incuria  e  l'inerzia  di  essi,  credette  che  veramente  Dio  ac- 
cecasse quelli  che  volea  perdere,  come  usavano  scrivere  i  cro- 
nisti del  medio  evo;  e  ingagliardito  nelle  speranze,  afibrzò  di 
buon  numero  di  cavalli  la  terra.  Con  lui  s'aggrupparono  Paolo 
e  Fabio  Orsini,  alcuni  uomini  d'arme  di  Paolo  Baglioni,  spalleg- 
giando Piero  de' Medici;  ne  andò  molto  che  Vitellozzo  acquistò 
anche  la  cittadella,  e  poi  senza  difficoltà  Cortona  colla  sua 
ròcca,  il  Borgo  a  San  Sepolcro,  Anghiari,  Castiglione  Aretino, 
la  Pieve  a  San  Stefano,  il  Monte  a  Sansavino;  tutto  occu- 
pando a  nome  di   Piero   e  del  cardinal  de' Medici. 

A  Firenze  non  si  sapeva  intendere  se  questo  nuovo  in- 
sulto veniva  dalla  furia  sola  di  Vitellozzo,  condottiero  indi- 
sciplinato del  Valentino;  o  se  egli  operava  d'accordo  col  papa 
e  coir  insaziabile  duca.  Prima  d'aver  la  cittadella  d'Arezzo, 
Vitellozzo  aveva  richiesto  di  mille  fanti  Guidubaldo  di  Mon- 
tefeltro,  signore  d'Urbino.  Questi  avea  risposto  che  per  la 
santità  del  papa  e  pel  duca  avrebbe  fatto  ogni  cosa;  ma  che, 
essendo  i  Fiorentini  in  protezione  di  Francia,  per  suo  disca- 
rico presso  il  re,  gli  facesse  scrivere  dal  papa  un  breve,  al 

ToMMA8i>'i  -  Machiavelli.  16 


Digitized  by 


Google 


a»  CAPO  SECONDO.  [l 

quale  come  buon  vicario  obbedirebbe.^  Vitellozzo  sdegnossene; 
questo  non  si  poteva,  disse.  La  richiesta  medesima  poco  dopo 
gli  vien  dal  Valentino  ;  e  Guidubaldo  la  stessa  risposta  ;  insiste 
quegli  che  il  breve  non  verrebbe  a  tempo;  questi,  fiutando 
la  perfidia  che  intendeva  per  un  modo  o  per  l' altro  metterlo 
in  qualche  apparenza  di  torto,  trova  un  mezzo  termine  per  com- 
piacere al  duca  Cesare  e  non  compromettersi  col  re.  Se  non 
che  il  Valentino  da  Spoleto  gli  è  sopra  rapido  e  improvviso, 
e  Guidubaldo  fuggendo,  insidiato  per  le  campagne,  scampa  a 
Ravenna  e  quindi  a  Mantova,  salvando  d'ogni  fortuna  sua  ap- 
pena appena  la  vita,  «  un  giuppone  et  una  camiscia  ».* 

Cesare  Borgia,  con  maraviglia  di  tutti,  si  seppe  impadro- 
nito d'Urbino,  prima  che  partito  dall'Umbria.  Passa  quindi  a 
Camerino  a  spegnere  i  Varano.  De' rapidi  progressi  di  lui  il 
re  di  Francia  entra  in  pensiero  ;  si  indispettisce  contro  al  papa, 
tergiversante  dopo  la  notizia  del  trattato  di  Granata,  che  spar- 
tiva il  regno  di  Napoli;  dell'alleanza  spagnuola  si  faceva  forte 
e  sicuro;  era  in  collera  e  in  sospetto  per  l'opere  de' condottieri 
del  duca  verso  i  Fiorentini. 

Dall'altra  parte  il  Valentino  non  tanto  si  confidava  della 
fortuna  che  non  cercasse  assicurare  con  prudenza  il-  nuovo 
suo  stato.  Il  re  di  Francia  lo  aveva,  per  verità,  aiutato  ai  primi 
acquisti,  ma  non  avrebbe  creduto  fosse  per  arrivar  tanto  innanzi; 
però  il  Borgia  non  lo  considerava  più  amico.  La  repubblica  dì 
Firenze  aveva  innata  inclinazione  francese;  era  isolata  in  Italia; 
s'intrometteva  nel  corpo  de' suoi  nuovi  possessi.  A  lui  dunque 
dovea  premere  d'averla  o  amica  certa  o  impotente  nemica.  Do- 
vevasi però  staccarla  da  Francia:  conveniva  sentisse  bisogno  e 
timore  di  lui:  bastava  lanciarle  sopra  i  Medici  e  Vitellozzo. 

Ora,  Vitellozzo  pe'  Borgia  rappresentava  due  occasioni  di- 
verse e  fatali.  Egli  non  aveva  forze  sue  che  lo  rendessero  temi- 
bile, e  le  circostanze  parevano  levarlo  alto  come  per  fare  di  lui 
un  gioco  della  mala  ventura.  Egli  odiava  Firenze  ;  ed  era  col 
nome  di  lui  che  il  Valentino  teneva  in  paura  quella  città,  che 
non  poteva  ne  amicarsi  né  opprimere.  Quegli  fra  i  condottieri 
non  era  né  il  più  reputato,  né  il  più  prode;  fra  i  vicari  non 
quello  che  avesse  lo  stato  più  forte  ;  ma  l' irrompere  suo  nella 
Val  di  Chiana  gli  dava  importanza  e  gli  riuniva  attorno,  sic- 

»  Lettera  del  duca  d'Urbino  da  «Mantova  xxvni  iunìi  1502»,  neàVArch.  fior., pubbli' 
caU  dall'ALviBi,  op.  cit.,  pag.  528  e  seguenti. 
*  Id.  ibid.,  pag.  533. 


Digitized  by 


Google 


arcoWDo]  PRIMA  ANDATA  DEL  MACHIAVELLI  AL  BORGIA.  M7 

come  ad  un  nucleo,  quella  minutaglia  di  vicari  che  dalla  sorte 
de'  Montefeltro  e  de'  Varano,  da'  tentativi  contro  a'  Bentivoglio, 
avevano  appreso  a  diffidare  de'  Borgia  e  volevan  guardarsene. 

Attorno  a  lui  infatti  si  stringono  gli'  Orsini,  guerreggiati  a 
Bracciano,  i  Baglioni  nimicati  a  Perugia,  Oliverotto  Euflfreducci, 
colla  uccisione  crudele  di  Giovanni  Fogliani,  suo  zio  materno, 
insignoritosi  di  Fermo.^  Quest'illusoria  importanza  di  Vitellozzo 
lo  faceva  vittima  e  richiamo  di  vittime.  Coli' occupazione  di 
Arezzo  aveva  offeso  il  re  di  Francia;  coll'attorniarlo  i  vicari 
mettevano  a  saggio  la  fede  loro  e  facilitavano  l' opera  a  chi 
avrebbe  dovuto»  penare  per  coglierli  alla  spicciolata.  Ed  ecco, 
il  Valentino  fa  intendere  a  Firenze  gli  si  mandi  un  uomo  col 
quale  poter  trattare;  che  le  novità  d'Arezzo  e  della  Val  di 
Chiana  si  potranno  presto  accomodare  con  lui. 

Firenze  esita;  non  sa  se  le  convenga,  aspettando  assistenza 
dal  re  protettore,  entrare  in  trattative  col  flgliuol  del  papa. 
Del  resto  essa  è  senza  difesa;  armi  da  condurre  con  reputa- 
zione non  ci  sono  ;  il  marchese  di  Mantova  non  si  può  tórre  per 
non  dispiacere  a  Francia,  memore  di  chi  fu  eroe  al  passaggio 
del  Taro;  il  conte  di  Pitigliano,  Bartolommeo  d'Alviano,  i  Co- 
lonna si  tengono  co'  Veneziani  o  col  re  di  Spagna.  Neil'  inten- 
zione d'acquistar  tempo  la  Signoria  si  piega  a  mandare  al  Borgia 
in  Urbino  Francesco  Sederini,  vescovo  di  Volterra,  accompa- 
gnato dal  Machiavelli.  Pier  Sederini  intanto  sollecitava  a  Milano 
i  soccorsi  francesi.  - 

Niccolò  e  messer  Francesco  partono;  e  come  sono  di  là 
dal  Ponte  a  Sieve  apprendono  da  un  frate  la  notizia  dell'occu- 
pazione d'Urbino,  fatta  dal  duca. 

Il  vescovo  non  era  stato  mai  maltrattato  dai  Borgia  ;  non 
aveva  particolari  ragioni  di  nimicarli;  l'odio  stesso  delle  mol- 
titudini per  loro  gli  pareva  cieco,  e  attenuava,  come  per  rea- 
zione, la  severità  del  giudizio  ch'egli  portava  di  essi.  Erano 
un  miscuglio  di  vizi  e  di  virtù,  diceva:  «  e  tra  le  lodi  che  si 

1  Macbiavblli,  /{  Principe,  cap.  viu.  —  M.  Tabarrini,  Annotazioni  alle  Cronache 
fermane  di  Antonio  di  Ificeolò,  pag.  173  e  seg.  —  Fbacassetti,  Commentario  storico  degli 
Euffreducci. 

*  Il  timore  che  Firenze  aveva  de' baroni,  in  ostilità  o  in  accordo  co' Borgia,  viene 
espresso  nell'Istruzione  data  a  Pier  Sederini  e  Alenandro  Nasi:  «  Secondo  il  giudizio 
nostro,  noi  reputìiimo  tutti  costoro  inimici  di  Sua  Maestà,  e  lasciandoli  procedere  cosi,  po- 
tere col  tempo  recare  difflcultà  alle  cose  sue  in  Italia,  metterlo  anche  in  pericolo,  mas- 
sime anche  se  il  papa,  sopraffatto  da  tanti  accidenti,  eleggessi  piuttosto  qualunque  accordo 
che  una  guerra  pericolosa.  E  in  questa  parte  bisognerebbe  discorrere  le  qualità  e  inclina- 
sioni  e  pensieri  di  ciascuno  di  questi  inimici  del  papa,  e  quali  noi  reputiamo  ancora  nostri, 
e  desiderare  nuocerci  »  (Dbsjabdins,  Négòciationt  diplomatiqueSf  t.  n,  pag.  74). 


Digitized  by 


Google 


a»  CAPO  SECONDO.  [libeo 

possono  dare  di  grande  uomo  al  papa  e  al  duca,  e* è  questa: 
che  siano  conoscitori  dell'occasione  e  la  sappiano  usar  benis- 
simo ».  ^  Queste  parole  udite  dal  Sederini,  il  Machiavelli  tra- 
scrisse; l'esperienza  gli  provò  che  il  vescovo  aveva  ragione,  e 
la  radice  dell'ammirazione  sua  pel  Valentino  è  tutta  qui. 

Pernottando  a  Ponticelli,  i  particolari  uditi  dell'occupa- 
zione di  Urbino  ancor  più  lo  maravigliano:  «  el  modo  di  questa 
vittoria  è  tutto  fondato  su  la  prudenza  di  questo  Signore,  el 
quale  essendo  vicino  a  sette  miglia  a  Camerino,  sanza  mangiare 
e  bere,  s'appresentò  a  Cagli,  che  era  discosto  circa  miglia  tren- 
tacinque, e  nel  medesimo  tempo  lasciò  assediato  Camerino  e 
vi  fece  far  correrie,  si  che  notino  vostre  Signorie  questo  strat- 
tagemma e  tanta  celerità  coniunta  a  una  eccellentissima  fe- 
licità >.2 

Cosi  nella  prima  lettera,  che  è  di  mano  del  Machiavelli. 
A'  di  ventisei  di  giugno,  avanti  l'ora  di  vespro,  giungono  a  Ur- 
bino: il  misterioso  duca  li  fa  incontrare  da  messer  Agapito 
Gerardini  da  Amelia,  segretario  suo,  e  da  un  messer  Fran- 
cesco, cameriere;  avrebbe  voluto  fossero  entrati  di  notte;  li  fa 
alloggiare  al  vescovo  Arrivabene  in  vescovado  ;  dove  non  sono 
mandati  a  cercare  prima  che  la  seconda  ora  della  notte  non  sia. 
Vanno  al  palagio  dove  abita  il  Borgia  con  pochi  de' suoi:  la  porta 
n'è  serrata  e  guardata  con  attenzione:  tutto  è  cautela,  tutto 
è  segreto.  Intromessi  lo  trovano  solo:  sono  accolti  con  cortesia, 
ma  con.  modi  spicci  e  di  una  franchezza  nuova.  Lamenta  il 
duca  Cesare  che  non  gli  abbinino  osservato  i  patti  della  con- 
dotta; ei  vuole  Firenze  o  amica  o  nemica;  ma  vuol  prima 
sapere  con  chi  à  a  trattare  ;  .poi,  che  securtà  gli  è  data  della 
fede. 

—  «  Questo  governo  vostro,  e'  dice  loro,  non  mi  piace  e 
non  mi  posso  fidare  di  lui,  bisogna  lo  mutiate,  e  mi  facciate 
cauto  dell'osservanzia  di  quello  mi  promettessi:  altrimenti  voi 
intenderete  presto  presto  che  io  non  voglio  vivere  a  questo 
modo:  e  se  non  mi  vorrete  amico,  mi  proverete  inimico  ».  — 

Le  risposte  del  vescovo  a  questo  proposito  non  potevano 
essere  soddisfacenti;  e  il  duca  non  voleva  dar  sentore  d'alcun 
buon  animo  verso  la  città,  finché  questa  non  s'acconciasse  a 
suo  modo. 


^  Maciiiatbllz,  Del  modo  di  trattare  i  popoli  della  Val  di  Chiana  ribellati. 
*  V.  Legazione  del  Soderini  al  Valentino!  Lettera  3. 


Digitized  by 


Google 


SKCONDO]  IL  MACHIAVELLI  TORSA  A  FIRESZE:  289 

—  «  Non  aspettate  voi  che  io  cominci  a  farvi  benefìzio, 
perchè  non  solo  non  lo  avete  meritato,  ma  lo  avete  demeri- 
tato: egli  è  ben  vero  che  Vitellozzo  è  mio  uomo;  ma  io  vi 
giuro  che  del  trattato  di  Arezzo  non  seppi  mai  nulla.  Non 
sono  stato  già  male  contento  di  cosa  aviate  perduta,  anzi  ne 
ò  auto  piacere,  e  cosi  arò,  se  seguitarà  più  avanti  ».  —  E 
quando  il  vescovo  domandava  che  cagione  gli  avesse  dato  il 
popolo  fiorentino,  che  i  condottieri  di  lui  l'avessero  ad  offen- 
dere in  quel  modo:  —  «  Vitellozzo  lo  fa  per  vendicarsi,  disse, 
e  altre  mia  genti  non  si  sono  mescolate:  anzi  delle  vostre  terre 
che  mi  si  sono  volute  dare,  io  non  le.ò  accettate;  ma  risolvetevi 
presto,  perchè  qui  non  posso  io  tenere  il  mio  esercito,  sondo 
questo  luogo  di  montagna,  che  troppo  sarebbe  danneggiato,  e 
tra  voi  e  me  non  à  da  esser  mezzo  ;  o  bisogna  mi  siate  amici 

0  nimici  >.  ^  — 

Il  duca  Cesare  avea  mostro  a  chiare  note  che  sapeva  quale 
e  quanta  fosse  la  debolezza  di  Firenze;  e  come  per  le  male 
provvisioni  e  le  disunioni  del  governo,  Vitellozzo  solo  sarebbe 
bastato  a  ridurla  alle  strette  estreme:  che  sarebbe  stato  poi 
s'egli  avesse  aggiunto  le  sue  proprie  alle  forze  di  quello?  Ma 
«egli  non  volea  di  quel  d'altri  »,  soggiungeva;  e  poi,  guardando 
bene  in  volto  ai  due  personaggi  che  aveva  davanti,  lasciava 
scivolare  una  frase:  -  «  io  non  voglio  di  quel  di  persona,  io 
non  son  qui  per  tiranneggiare,  ma  per  spegnere  e'  tiranni  ».  ^ 

Quella  frase  non  cadeva  nel  vuoto.  I  due  fiorentini  stati 
con  lui  lunga  pezza,  si  congedai:ono.  Il  giorno  appresso  furon 
visitati  da  Giulio  e  da  Paolo  Orsini:  del  Signore  non  aveano 
avuto  chiamata  per   insino  al   tramonto  e  si  maravigliavano. 

1  visitatori  frattanto  colle  loro  spavalderie  pretenziose  e  con 
minacce  contro  Firenze  avevano  provocato  inconsultamente  i 
due  mandatari,  eh'  ebbero  a  risponder  loro  gagliardamente  e  a 
ritener  per  fermo  che  le  disposizioni  più  ostili  contro  la  loro 
repubblica  erano  in  que'  condottieri.  A  tre  ore  di  notte  tornano 
a  veder  il  duca,  e  si  ripetono  gli  stessi  argomenti  ;  se  non  che, 
quegli,  sempre  più  facendo  pressa  di  qualche  conclusione,  si 
decide  che  il  Machiavelli  torni  subito  subito  a  Firenze  con 
quanta  prestezza  può,  per  far  intendere  a  voce  il  progresso 
di  que*  trattati. 

Niccolò  era  stato  presente  a  ogni  cosa:  due  volte  avea  ve- 

1  Machiayblli,  loc.  cit.,  Lett.  7. 
*  Id.,  ibidem. 


Digitized  by 


Google 


«30  CAPO  SECONDO.  [l 

duto  il  Valentino  ;  e  gli  era  tosto  sembrato  «  molto  splendido 
e  magnifico,  e  nelle  armi  tanto  animoso,  che  non  è  si  gran 
cosa  che  non  li  paia  piccola;  e  per  gloria  e  per  acquistare 
stato  mai  si  riposa,  né  conosce  fatica  o  pericolo  :  giugne  prima 
in  un  luogo,  che  se  ne  possa  intendere  la  partita  donde  si  lieva; 
fassi  ben  volere  a'  suoi  soldati,  à  cappati  e  migliori  uomini 
d'Italia;  le  quali  cose  lo  fanno  vittorioso  e  formidabile,  aggiunte 
con  una  perpetua  fortuna  ».  ^ 

Ma  all'ammirazione  che  Niccolò  avea  concepito  di  quella 
tempra  d'uomo  e  di  quella  potenza,  non  eran  molti  che  con- 
sentissero. La  plebe  fiorentina  soprattutti  lo  detestava.  Già 
dapprima  aveva  chiamato  cattivo  cittadino  chi  dicesse  non  po- 
tersi ovviare  alla  necessità  di  trattare  con  esso;  «  non  haue- 
uano  temuto  il  re  di  Francia  con  trenta  mila  persone;  perchè 
temere  pochi  scalzi  con  un  bastardo  schiericato  figliuol  di  un 
prete?  »  * 

Questa  era  ampollosità  di  villanie  da  parte  del  popolo; 
da  parte  del  governo  poi  «  tutto  si  fa  per  differire  il  male  più 
che  si  può,  e  preparandosi,  usare  il  benefizio  di  quel  tempo 
più  ».  8  Ogni  lettera  del  vescovo  Sederini  pare  che  soprag- 
giunga più  impacciante:  «  qua  è  gran  segreto,  grande  ordine  e 
gran  celerità,  e  le  forze,  quali  si  è  detto  altra  volta  ».  -*  Cosi 
scriv'egli  e  se  prima  che  il  Machiavelli  partisse,  aveva  pre- 
gato «  che  per  carità  le  Signorie  gli  mandino  un  compagno, 
ch'egli  non  è  per  potere,  né  per  volere  solo  un  tal  carico  » 
partito  Niccolò,  non  vuol  parlare  di  nulla:  gli  diano  licenza 
in  ogni  evento:  «  a  questi  trattati  saranno  buoni  istrumenti 
più  atti  che  non  son  io,  massime  solo  ».  ^  Teme  che  ogni  let- 
tera possa  essere  intercetta,  teme  per  la  sua  sicurezza,  per  la 
sua  vita  quasi;  e  non  appena  gli  si  concede,  parte  con  cele- 
rità e  sospetto,  come  chi  sa  d'aver  tenuto  un  uomo  terribile 
indegnamente  a  bada  con  parole. 

Per  buona  sorte,  il  timore  che  gli  Spagnuoli  trovassero 
fondamento  alla  loro  prepotenza  in  Italia  nelle  forze  accre- 

>  Machiatblli,  Ibidem.  Il  Baldi,  Vita  di  Quidubaldo  da  Montefeltro,  1. 1,  pag.  216, 
descrive  le  miliaie  del  Valentino  vestite  con  casacche,  addogate  di  vermiglio  e  giallo,  colori 
della  saa  divisa.  Avevano  cintura  fatta  a  scaglie  di  serpenti,  variate  di  colorì  e  d'oro,  imi- 
tanti ridra,  dalle  cui  bocche  venivano  formate  le  fibbie,  le  quali  pareva  che  mordendo 
stringessero  i  foderi  degli  stocchi  omatissimi,  coi  pugnali  e  l'else  dorate. 

«  Parenti,  Storia  ms. 

s  Legai,  cit.,  Lett.  10. 

*  Legaz.  cit.,  Lett.  15. 

»  Lega*,  cit.,  Lett.  7,  11,  18,  13,  21. 


Digitized  by 


Google 


8BC01ID0]  UIMBAULT  E  VITELLOZZO.  831 

sciute  ad  un  papa  e  ad  un  figliuolo  di  papa  ch'erano  pur  essi 
spagnuoli,  stimolò  gli  aiuti  di  Francia,  che  questa  volta  ven- 
nero poderosi  e  non  tardi.  Duecento  lance  sotto  il  comando  del 
capitano  Imbault  furono  mandate  subito  da  Milano,  poscia  altre 
duecento  col  signor  di  Lancres.  Il  re  da  Grenoble  sta  per  ve- 
nire ad  Asti  ;  offre  intanto  due  mila  Svizzeri  :  sostengansi  i  Fio- 
rentini solo  per  otto  giorni,  poi  provvederà  egli  a  tutto.  E  i  Fran- 
cesi davvero  accorrono;  son  già  a  Montevarchi,  e  Vitellozzo 
comincia  a  pensare  al  partito  da  prendere  quando  il  Valen- 
tino aveva  già  preso  il  suo. 

Presentandosi  in  Asti  al  re  Luigi,  egli  trova  presso  di 
lui  gli  oratori  di  Venezia,  il  duca  di  Mantova,  quello  di 
Urbino,  quel  di  Ferrara,  Paolo  Orsini,  andatovi  ad  accusare 
le  tristi  arti  de'  Borgia,  portandovi  la  parola  pe'  Baglioni,  pe" 
Vitelli,  pel  Petrucci,  scaltro  signore  di  Siena.  Il  Valentino 
adocchia  i  nemici  e  studia  la  via  di  perderli.  Cede  al  re; 
sconfessa  ogni  partecipazione  air  impresa  del  Vitelli  in  Val  di 
Chiana;  ricorre  ad  estremo  rifugio  col  tentare  la  fedeltà  delle 
lance  francesi,  e  appicca  trattati  col  capitano  Imbault,  per 
metterlo  a  certe  condizioni  in  Arezzo.  Tradimento,  gridano  i 
Fiorentini:  pari  l'Imbault  al  Beaumont:  un  garbuglio  questo 
come  quello  della  restituzione  di  Pisa:  i  Francesi  li  truffano. 
Ma  r  Imbault  non  piega  a  gridori  e  seguita  le  capitolazioni. 

In  Firenze  era  per  questo  un  subbuglio,  una  irritazione 
d'animi  indicibile.  Ce  ne  rendono  adequata  testimonianza  le 
storie  del  Pitti  e  alcuni  appunti  inseriti  poi  da  Niccolò  Machia- 
velli ne' suoi  Discorsi.  Questi  due  testimoni  ci  rappresentano 
precisamente  le  due  correnti  opposte;  l'uno  non  vede  nel- 
r  Imbault  che  «  malvagi  e  avari  portamenti,  »  ^  mancanza  di 
rispetto  al  re,  di  fede  alla  città,  perdizione  d'ogni  cosa.  L'altro, 
che  osservammo  già  nelle  trattative  di  Pisa  dar  ragione  al 
Beaumont,  tiene  pel  capitano  francese  anche  in  questa  oc- 
casione. I  Fiorentini  ne  sanno  poco,  sembra  secondo  il  Machia- 
velli dicesse  l'Imbault,  «  e  seguitò  da  sé  le  pratiche  dell'ac- 
cordo, senza  partecipazione  de'  commissari  ;  tanto  ch'e'  lo  con- 
chiuse a  suo  modo,  e  sotto  quello  con  le  sue  genti  se  ne  entrò 
in  Arezzo,  facendo  intendere  a'  Fiorentini,  come  egli  erano 
matti,  e  non  s'intendevano  delle  cose  del  mondo:  che  se  vo- 
levano Arezzo,  lo  facessino  intendere  al  re,  il  quale  lo  poteva 

*  Pitti,  Storia  di  Firenze,  lib.  i,  pag.  84. 


Digitized  by 


Google 


232  CAPO  SECONDO,  [libbo 

dar  loro  molto  meglio,  avendo  le  sue  genti  in  quella  città  che 
fuori  ».  ^ 

La  lettera  imperiosa  e  severa  che  i  Fiorentini  ottennero 
re  Luigi  scrivesse  all'Imbault  e  al  Lancres,  tramandataci  dal 
Pitti,  ci  è  argomento  a  credere  che  le  diffidenze  de'  sospet- 
tosi non  fossero  inutili,  e  forse  non  vane.  Ma  Niccolò  ad  ogni 
modo  esagera  quando  afferma  che  «  se  Beaumont  fosse  stato 
simile  a  Imbault  si  sarebbe  avuto  Pisa  come  Arezzo  ».  Egli 
vuol  senza  dubbio  dare  a  se  quella  ragione  che  altri  poteva 
ne'  due  casi  diversi  egualmente  avergli  rifiutato.  Però  che  i 
Fiorentini  in  fondo  sentivano  che,  essendo  politicamente  isolati 
da  tutti  gli  altri  stati  d' Italia,  la  sola  alleanza  francese  avrebbe 
potuto  bensì  procurar  loro  il  racquisto  delle  terre  ribellate  e 
mantenerli  in  credito;  ma  che  se  i  Francesi  avessero  avuto 
nelle  mani  loro  quelle  terre,  si  sarebbero  sentiti  non  più  alleati 
ma  padroni  di  Firenze  e  l'avrebbero  non  più  accarezzata,  ma 
spenta;  però  quelli  non  vollero  ne  che  allora  il  Beaumont, 
di  cui  si  fidavano,  entrasse  in  Pisa  per  suo  trattato,  né  che 
ora  egualmente  occupasse  Arezzo  l' Imbault,  di  cui  diffida- 
vano. 

Pertanto  la  condanna  amara  che  Niccolò  fa  della  qualità 
dei  partiti  che  in  questi  tempi  prendeva  la  sua  città,  ci  rivela 
più  che  altro  l'inquietezza  dell'animo  di  lui,  irritato  non  meno 
dall'aspetto  de'  danni  che  sovrastavano  alla  patria,  che  dal  sen- 
timento della  fiacchezza  di  lei  e  del  dispregio  in  che  era  avuta 
da  tutti.  Gli  pareva  che  lo  sfacelo  preparato  da  cause  tanto 
antiche  e  profonde  si  potesse  ancora  impedire  per  prudenza 
d'uomini;  che  la  debolezza  delle  forze  si  potesse  correggere 
con  ardimento  di  propositi.  Ascolta  d'ogni  parte  biasimare  la 
costituzione  fiorentina  ;  ma  quei  biasimi,  quantunque  veri,  vengon 
tutti  da  male  intenzionati,  ai  quali  gli  cuoce  non  potere  opporre 
un  fatto,  che  non  sia  a  vergogna  del  popolo.  Ascolta  da  ogni 
parte  spavalderie  minacciose  contro  Firenze,  e  vorrebbe  che 
la  città  debole  non  fosse  meticolosa,  e  quello  che  è  necessitata 
fare,  mostrasse  farlo  di  buona  voglia  e  spontanea;  e  quello  che 

1  Machiavelli,  Diteorsi,  lib.  i,  cap.  xxxviii.  —  Veggati  la  Lettera  de' SS  luglio  i502 
ad  Antonio  Giacomini  e  colleghi  commissari  in  campo  contro  gli  Aretini,  negli  Scritti  ine-» 
diti  di  N.  M.  pubblicati  dal  Canestrini,  pag.  14,  in  cui  si  contengono  assai  buoni  ali- 
menti contro  la  capitolazione  dell*  Imbault  ;  e  nel  Diario  della  ribellione  d' Arezzo  di  ser 
Francesco  Pezzati  la  strana  condotta  del  capitano  francese,  convitato  dagli  Aretini:  «e 
dopo  desinare  se  fece  un  bel  ballo  con  molta  gioventù  »  {Arch.  stor.  it.,  1. 1,  pag.  219).  E  veg' 
gasi  ivi  ancora  la  sostanza  del  bando  che  V  Imbault  a*  di  31  di  luglio  fece  pubblicare  per 
la  città  contro  i  Fiorentini. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  /  FRArfCESI  IN  AREZZO.  233 

dee  perdere,  se  lo  lasciasse  tórre  piuttosto  colle  forze  che  colla 
paura  delle  forze.  Così  gli  pesano  sul  cuore  gl'indugi  alla  ra- 
tifica dell'accordo  col  re  di  Francia,  quando  vuol  passare  in 
Italia  contro  lo  Sforza;  ^  e  le  lungaggini  opposte  al  passaggio 
del  Valentino,  quando  domanda  procedere  verso  Piombino;  * 
le  mézze  misure  co'  faziosi  di  Pistoia,  i  segni  della  disunione 
civile  ostentati  anche  da  fedeli  della  repubblica  e  rinfacciatigli 
dagli  stranieri;  3  la  diffidenza  mostrata  all'Imbault  soperchia- 
tore;  la  bassezza  con  cui  lo  vezzeggiavano  anche  dopo  averlo 
accusato  al  re;  ^  le  misure  inadequate  prese  per  riconciliare  e 
punire  le  racquistate  terre  della  Val  di  Chiana. 

Infatti  ai  29  di  luglio  Vitellozzo,  Gian  Paolo  Baglioni,  tutti 
i  loro  uomini  d'arme  e  le  fanterie  sgombrano.  —  «  Si  dice  che 
voliano  vire  centra  el  Duca  Valentino;  che  non  nascesse  qualche 
male,  perchè  à  grande  esercito  seco  ».  —  Così  il  Pezzati,  testi- 
monio di  veduta,  che  fu  tra  gli  ostaggi  mandati  poi  dal  Gia- 
comini  in  Firenze. 

I  commissari  fiorentini  inviati  a  ripigliare  il  possesso  delle 
terre  e  assicurarsi  della  loro  fede  sono  tenuti  in  rispetto  dalla 
presenza  de'  Francesi;  la  Signoria  non  sa  risolversi  circa  al 
modo  da  tenere  con  Arezzo;  a  Pier  Sederini  commette  mezze 
misure;  e  benché  ad  Antonio  Giacomini  ed  Alamanno  Salviati 
i  Dieci  scrivano:^  «  nonostante  che  noi  fussimo  volti  a  farci 


^  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  ii,  cap.  xiii. 

*  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  i,  cap.  xxxviii. 

*  Machiavelli,  Discorsif  lib.  in,  cap.  xxvii  :  «  Nel  1501,  quando  si  perde  Arezzo  e  tutto 
Val  di  Tevere  e  Val  di  Chiana,  occupatoci  dai  Vitelli  e  dal  duca  Valentino,  venne  un  mon- 
signor di  Lant,  mandato  dal  re  di  Francia  a  fare  restituire  ai  Fiorentini  tutte  quelle  terre 
perdute;  e  trovando  Lant  in  ogni  castello  uomini  che,  nel  visitarlo,  dicevano  ch'erano 
della  parte  di  Marzocco,  biasimò  assai  questa  divisione,  dicendo  che  se  in  Francia  uno 
di  quelli  sudditi  del  re  dicesse  d'essere^  della  parte  del  re,  sarebbe  gastigato,  perchè  tal 
voce  non  segnificherebbe  altro  se  non  che  in  quella  terra  fusse  gente  nimica  del  re  ;  e  quel 
re  vuole  che  le  terre  tutte  siano  sue  amiche,  unite  e  senza  parte.  Ma  tutti  questi  modi  e 
queste  opinioni  diverse  dalla  verità,  nascono  dalla  debolezza  di  chi  sono  signori;  i  quali, 
veggendo  di  non  poter  tenere  gli  stati  con  forza  e  con  virtù,  si  voltano  a  simili  industrie; 
le  quali  qualche  volta  nei  tempi  quieti  giovano  qualche  cosa,  ma  come  e' vengono  l'avver- 
sità ed  i  tempi  ftfrti,  le  mostrano  la  fallacia  loro  ».  Questo  monsignore  di  Lant,  che  ci 
danno  le  edizioni  italiane  dei  Discorsi,  il  quale  nelle  traduzioni  francesi  del  Buchon  e  del 
Louandre  è  chiamato  Laon,  non  deve  essere  altri  che  monseigneur  de  Lanques,  a  cui  nel 
settembre  del  150S  veniva  inviato  lo  stesso  Niccolò  Machiavelli. 

^  Lettera  ad  Ani.  Giacomini^  addi  9  agosto  :  «  E  se  Imbalt  si  è  doluto  che  a  noi  e  a 
il  re  è  snto  scritto  sinistramente  di  lui,  non  nasce  questo  se  non  da  dubitarne,  per  parergli 
essersi  portato  un  poco  fuora  del  dovere.  Tanto  è  che  noi  desideriamo  segua  nello  intrat- 
tenerlo, e  in  ogni  altra  cosa  come  ài  fatto  sempre  »,  ed.  Canestrini,  op.  cit.,  pag.  22  e  seg. 
E  vedi  anche  i  frammenti  delle  altre  lettere  di  lui  recati  dal  Pitti,  Vita  d'Anton  Giaco- 
mini  {Arch.  stor.  it.,  t.  iv,  parte  2«,  pag.  156-164). 

■  I  Dieci  ad  Ant.  Giacomini  e  Alamanno  Salviati,  commissari  in  Arezzo,  addi  3  ot- 
tobre 1502.  Registri  de' Dieci,  n.  100,  pag.  3,  edita  dal  Canestrini,  1.  e,  pag.  37. 


Digitized  by 


Google 


234  CAPO  SECONDO.  [i. 

opportuni  reraedii,  i  ricordi  vostri  ci  anno  più  rescaldati  »,  a 
partiti  forti  non  si  decidono  mai. 

E  Niccolò  Machiavelli,  a  cui  palpita  il  cuore  nel  vedere 
come  questi  due  uomini  basterebbero  sopra  tutti  a  dare  virtuoso 
assetto  alle  cose,  solo  che  fossero  secondati  con  energia,  li  esalta 
con  ardore  «  per  la  buona  mente  e  la  grande  affezione  anno 
alla  patria  »;^  scrive  loro  con  gioia  l'intenzione  dei  Dieci,  che 
è  :  «  pigliarci  drente  tutti  quelli  espedienti  che  ci  sono  e  di  qua- 
lunque sorte,  non  perdonando  a  cosa  alcuna  né  avendo  alcuno 
respetto  ad  altri  per  salvare  noi  >;  ma  ben  poco  vede  segui- 
tare di  tali  propositi.  Un  anno  appresso  Niccolò  scriveva,  com- 
mentando Livio,  ^  alcune  considerazioni,  del  modo  di  trattare 
i  popoli  della  Val  di  Chiana.ribellati,  e  in  quelle  ragguagliava 
il  modo  con  cui  i  Romani  eransi  condotti  co'  ribelli  loro  Lanu- 
vini,  Aricini,  Nomentani,  Tusculani,  Pedani,  Veliterni  e  Anziati, 
e  quello  che  aveva  tenuto  Firenze  con  Cortona,  Castiglione, 
Borgo  a  San  Sepolcro,  Foiano  e  Arezzo.  «  I  Romani  pensarono 
una  volta  che  i  popoli  ribellati  si  debbano  o  beneficare  o  spe- 
gnere, e  che  ogni  altra  via  sia  pericolosissima.  A  me  non  pare 
che  voi  agli  Aretini  abbiate  fatto  nissuna  di  queste  cose;  perchè 
e'  non  si  chiama  benefizio  ogni  di  farli  venire  a  Firenze,  avere 
tolti  loro  gli  onori,  vendere  loro  le  possessioni,  sparlarne  pub- 
blicamente, avere  tenuti  loro  soldati  in  casa.  Non  si  chiama 
assicurarsene  lasciare  le  mura  in  piedi,  lasciarvene  abitare  i 
cinque  sesti  di  loro,  non  dare  loro  compagnia  d'abitatori  che 
li  tengano  sotto,  e  non  si  governare  in  modo  con  loro,  che 
negli  impedimenti  e  guerre  che  vi  fussero  fatte  voi  non  avessi 
a  tenere  più  spesa  in  Arezzo,  che  all'incontro  di  quello  ne- 
mico che  vi  assaltasse  ». 

Questo  discorso  del  Machiavelli  trova  riscontro  in  altre 
considerazioni  ch'egli  svolse  identicamente  parecchi  anni  dopo, 
commentando  lo  stesso  passo  di  Livio  ;  né  forse  a  questo  scritto 
di  lui  sarebbe  da  attribuire  particolare  importanza,  se  non  fosse 
ch'esso  dà  fondamento  ad  alcune  congetture  relative  tanto  alla 
condizione  interna  della  sua  mente,  quanto  alla  relazione  estrin- 
seca e  all'autorità  di  lui  cogli  uomini  di  governo. 

E  indubitato  che  di  tutti  gli  scritti  politici  di  Niccolò 
questo  è  il  primo  che  abbia  un  carattere  retrospettivo;  è  anche 
il  primo  in  cui  vi  s'invochi  la  storia  a  maestra  delle  azioni  umane, 

1  Màcbiavblli,  loc.  cit. 

•  Tito  Livio,  Historiar.,  lib.  viti,  cap.  13,  14. 


Digitized  by 


Google 


BBOOMSO]        MODO  DI  TRATTARE  I  RIBELLI  DI  VAL  DI  CHIANA.  235 

e  si  creda  al  suo  magistero  nella  vita  morale  non  altrimenti 
di  quel  che  nella  vita  fisica  all'esperienza,  perchè:  «  il  mondo 
fu  sempre  ad  un  modo  abitato  da  uomini  che  anno  avuto  sempre 
le  medesime  passioni;  e  sempre  fu  chi  serve  e  chi  comanda; 
e  chi  serve  malvolentieri  e  chi  serve  volentieri,  e  chi  si  ri- 
bella ed  è  ripreso  >.  —  V*è  pertanto  il  sentore  d'un  metodo 
e  d'un  indirizzo  filosofico  determinato,  v'è  l'accenno  ad  altri 
studi,  ad  altre  occupazioni  che  non  sono  nel  chiuso  della  vita 
cancelleresca;  v'è  la  coscienza  della  reputazione  acquisita,  per 
cui  il  segretario  dei  Dieci  sa  di  poter  parlare  come  cittadino 
autorevole,  di  poter  riprendere  non  vanamente  le  deliberazioni 
della  città;  e  questo  ei  fa  tanto  più  coraggiosamente  quanto  ei 
sa  d'aver  due  maniere  di  protezioni  che  lo  assicurano.  Poiché, 
argomentando  coir  interpretazione  di  un  classico,  col  parallelo 
della  politica  antica,  sa  di  trovar  fede  presso  i  classicisti  e  i 
teorici  del  tempo  suo;  e  sostenendo  que' partiti  che  sarebbero  stati 
d'uomini  come  il  Salviati  e  il  Giacomini,^  sa  che  una  potente 
fazione  e  gran  parte  del  popolo  consenton  con  lui.  S'egli  avesse 
potuto  innestare  insieme  il  Giacomini,  uomo  popolarissimo  e 
tutto  della  repubblica,  con  messer  Alamanno,  fra  i  nobili  un 
de'  più  grandi  per  animo,  de'  più  capaci  dello  stato,  de'  più  pos- 
sibili ad  esser  tratto  virtuosamente  dentro  a  quell'ordine  di  cose, 
avrebbe  per  certo  ottenuto  alla  città  spossata  il  rinforzo  dei 
più  validi  consigli,  delle  opere  le  più  calde  ed  affezionate. 

Non  gli  riusci.  Il  Salviati  era  troppo  disdegnoso  del  po- 
polo; il  Giacomini  di  questo  aveva  più  la  fiducia  che  l'amore; 
l'idolo  della  moltitudine,  quello  a  cui  ogni  specie  d'onori  e 
d'incarichi  incessantemente  si  conferivano,  era  Pier  Sederini. 


>  n  Pitti,  Vita  d'AnUmio  Qiacomini,  pag.  105,  scrive  :  «  Intanto,  avendo  Antonio  man- 
dato capitani  e  fanti  ne* luoghi  ricevuti,  andò,  chiamato,  a  consultare  con  Piero  Soderini 
in  Areno;  e  considerato  il  tutto,  avvisa  li  Dieci  —  stare  in  maniera  da  perderle  pia  fa- 
cUmente  di  nuovo  che  la  prima  volta,  non  le  curando  altrimenti;  né  dice  questo  per  la 
•ecurtà  sua,  che  tornare  se  ne  vuole  ad  ogni  modo  ;  e  più  caro  li  sarà  avere  grata  licenzia 
da  loro  Signorie  —  li  quali,  partendosi  li  Franzesi  d'Arezzo,  ve  lo  elessero  (essendosi  Luca 
degli  Albizi  amalato)  in  compagnia  di  Piero  Soderini,  commissario;  coppia  degna  vera- 
mente di  medicare  cotale  infermità;  essendosi  congiunta  insieme,  oltre  alla  prudenza  di 
ciascuno,  la  clemenza  e  la  severità;  con  le  quali  due  virtù  risanarono  assai  piaghe  di 
quel  corpo  discretamente  ».  Cosi  il  Pitti,  il  quale  partigiano  del  Soderini,  in  quel  congiun- 
gimento magnificato,  intendeva  idealeggiar  lui  nella  clemenza.  Niccolò  Machiavelli  andò 
per  commissione  de' Dieci  al  Giacomini  il  15  d*agosto  e  ne  tornò  prima  de' di  20.  Il  Gia- 
comini, in  una  sua  lettera,  recata  dal  Pitti,  loc.  cit.,'pag.  163,  in  cui  risponde  ai  Dieci  che 
Pavevano  dimandato  quanta  gente  bisognava  ad  entrare  in  Arezzo  :  «  di  questo,  scrive, 
saranno  ragguagliati  da  Niccolò  Machiavelli  :  e  se  se  ne  andranno  in  considerazione  di 
ragionare  del  provvedimento  che  bisogna  e  gli  uomini,  possono  loro  Signorie  fare  conto, 
te  li  vorranno  adoperare,  averli  a  ricercare  fuori  di  qua  :  che  '  buona  parte  de'  cavalli  se 
xi*ò  andata  ». 


Digitized  by 


Google 


236  CAPO  SECONDO.  [libbo 

Esso 'de' Dieci,  esso  in  Lombardia  alla  Chaumont,  esso  in  Asti 
al  re  ;  accetto  a  questo,  grato  al  papa,  amico  de'  Golonnesi,  che 
voleva  dir  nemico  agli  Orsini  e  a'  Medici;  amatore  del  vivere 
libero  e  popolare,  congiunto  nello  stesso  tempo  colla  nobiltà 
de'  Malespini,  marchesi  di  Fosdinovo,  per  parte  della  bellis- 
sima moglie  sua,  Argentina;  non  potea  accogliere  più  qualità 
che  lo  facessero  spettabile,  né  di  queste  esser  più  riguardato.  ^ 

Ma  il  suo  principal  merito  veramente  consisteva  nell'es- 
sere il  solo  che,  adoperandosi  nella  cosa  pubblica,  lo  facesse 
senza  dispetto  delle  istituzioni  novelle,  senza  segreto  desiderio 
che  mutassero,  senza  sforzar  la  legge,  senza  malcontentar  le 
persone.  E  un  altro  gran  merito  di  lui,  quando  i  disdegnosi  si 
astenevano  dall'accettare  incarichi  dalla  repubblica  (e  quelli 
che  li  accettavano  di  gran  cuore,  come  i  Pier  Corsini,  i  Gu- 
glielmo de'  Pazzi,  i  Luigi  della  Stufa,  i  Gioacchino  Guasconi  * 
eran  persone  da  poco)  consisteva  nel  valer  lui  e  per  intelli- 
genza e  per  pratica  delle  cose,  assai  più  di  tutti  questi,  e  nel 
non  rifiutarsi  mai  ad  alcun  officio. 

Quando  pertanto  venne  il  tempo  che  la  furia  democratica 
ebbe  stancato  e  impaurito  la  città,  che  le  rimostranze  dei  po- 
tenti e  il  dissesto  interno  persuasero  Firenze  a  migliorare  la 
sua  costituzione  politica  (e  la  non  voleva  né  far  senato,  per 
dispetto  de'  nobili,  né  toccare  il  Consiglio  grande,  caro  al  po- 
polo); quando  la  città  pensò  che  riformare  la  condizione  del 
gonfalonierato,  era  il  minor  pericolo,  molto  favore  a  questo 
nuovo  ordine  venne  dall'avere  i  popolani  grato  ed  in  serbo  il 
nome  del  Soderini. 

Si  deliberò  frattanto  se  per  tre,  per  cinque  o  per  più  anni, 
0  se  a  vita  dovesse  crearsi  il  gonfaloniere.  A  questi  partiti  fa- 
cevano buona  accoglienza  i  supremi  e  gl'infimi  del  popolo: 
questi  perché  a  quella  dignità  non  credevano  poter  mai  sa- 
lire; quelli  perché  alla  probabilità  che  pareva  loro  avere,  sor- 
rideva l'idea  d'un  potere  lungo  e  grande.   Agli  altri  pareva 

»  V.  la  Vita  dì  Pier  Soderini  delPabate  Silvano  Razzi,  Padova,  1737.  NoU*  archivio 
Soderini  (tomo  100)  sono  due  lunghi  frammenti  della  Vita  di  Pier  Soderini  gonfaloniere 
perpetuo,  coll'annotazione  seguente  :  «  Questa  Viu  è  del  cav.  Francesco  Settimani,  fio- 
rentino ».  Tuttavia,  interpellato  a  nostra  isUnza  il  signor  prof.  Benedetti,  che  attende  a 
scrivere  la  vita  del  cav.  Settimani,  venimmo  assicuraci  che  questi  non  compose  di  nuovo 
alcuna  vita  del  Soderini,  ma  bensi  corresse  e  allargò  quella  del  Haszi,  come  risulta  da  un 
carteggio  del  Settimani  stesso  col  Marini,  bibliotecario  della  Magliabecchiana.  —  In  questa 
occasione  rendiamo  grazie  al  signor  cav.  Giuseppe  Garroni,  notaio,  che  con  gentilezsa 
squisita  ci  permise  studiare  le  carte  dell'archivio  Soderini,  di  cui  egli  è  depositario. 

*  Guicciardini,  Storia  fiorentina,  cap.  xxv,  pag.  274. 


Digitized  by 


Google 


•BCONDoJ  //.  GONFALOSIERK  A  VITA,  237 

prevedibile  che  quando  si  fosse  creato  un  gonfaloniere  a  modo 
del  duca  de'  Veneziani,  si  sarebbe  col  tempo  dovuto  necessaria- 
mente introdurre  anche  un  consiglio  alto  a  modo  dei  Pregàdi. 
Far  il  gonfaloniere  a  vita  piaceva  soprattutto  ai  frateschi,  perchè 
precisamente  un  magistrato  a  vita  e  di  quella  natura  era  stato 
fra  i  vagheggiamenti  di  frate  Girolamo.  Finalmente  ad  Ala- 
manno Salviati  riuscì  indurre  i  Signori  e  i  Collegi  a  proporre 
la  provvisione  del  gonfalonierato  perpetuo.  Nel  consiglio  degli 
Ottanta  le  fece  grande  opposizione  Bernardo  Rucellai  «  perch'e' 
vedeva  volgersi  il  favore  a  Piero  Sederini  >  ;  ^  e  ciò  malgrado, 
principalmente  per  l'ardore  messovi  da  Alamanno,  da  Alessandro 
Acciainoli,  da  Niccolò  Morelli,  proposto  per  la  seconda  volta,  il 
progetto,  venne  approvato.  Restava  il  Consiglio  Grande;  e  anche 
in  questo,  al  secondo  giorno  gloriosamente  la  provvisione  fu 
vinta.  L'avean  difesa  Piero  Guicciardini,  Jacopo  Salviati;  so- 
stenuta strenuamente  Piero  Ardinghelli,  ch'era  de'  dodici  Bo- 
nuomini,  e  coglieva  quest'occasione  per  aprire  la  strada  all'am- 
bizione sua.  Tre  quarti  della  gloria  di  questo  faito  spettarono 
ad  Alamanno  Salviati, ^  dice  il  Guicciardini;  e  il  Pitti,  che  si  fa 
eco  dei  sospetti  popolari  annota  come  gli  autori  della  provvi- 
sione, «  ristrettisi  insieme,  procacciavano  con  mezzi,  con  sette,  con 
intelligenze,  che  tale  elezione  caggia  in  uno  di  loro  »;  ^  e  quando 
parve  loro  avere  operato  a  bastanza,  si  venne  all'elezione  di 
quello  nel  Consiglio  grande.  Il  Parenti,  più  equanime  storico, 
descrive  minutamente  e  senza  malignità  quali  furono  quelle 
pratiche  e  quegli  indugi.  La  nuova  Signoria  entrata  in  settembre, 
voleva  aspettare  i  gonfalonieri  nuovi  che  entravano  a'  dì  otto  ; 
voleva  anche  aspettare  i  nuovi  Dodici,  che  entravano  ai  ven- 
ticinque; poi  dette  ordini  si  facessero  orazioni  in  molti  luoghi 
sacri  ;  si  recasse  in  città  l'effigie  di  Santa  Maria  Impruneta  con 
processione  solenne:  «  et  comandossi  ancora  per  il  contado  a 
tutti  e'  castelli  che  ne  facessino  processioni  et  pregassino  Idio 
ci  concedesse  tal  nuovo  gonfaloniere  che  prima  reggessi  la  città 
ad  onore  suo;  di  puoi  ad  utilità  et  agumento  di  tutti  noi  ».  * 
Finalmente  a'  dì  ventidue  si  stabili  che  l'elezione  avesse 
luogo;  era  giorno  solenne;  duemila  elettori  si  trovarono  ra- 
dunati nella  sala  del  Gran  Consiglio.  Il  popolo  invanito  vedeva 


*  Guicciardini,  Storia  fiorentina,  cap.  xxv,  pag.  282. 

*  Guicciardini,  Storia  fiorentina,  cap.  xxvi. 
'  Pitti,  Storia  di  Firenze,  libro  i,  pag.  86. 

*  Parenti,  Istoria  mss.,  e.  59,  (settembre  1502). 


Digitized  by 


Google 


888  CAPO  SECONDO.  [libbo 

pender  da  lui  i  grandi  speranzosi:  questi  si  sentivano  presso  o 
al  supremo  seggio  o  a  una  fatale  caduta:  quei  di  loro  che  non 
partecipavano  a  questa  incertezza,  i  noti  medicei,  adocchiavano 
già  dove  cercare  alleanze  per  combattere  il  prossimo  eletto. 

S'incominciarono  a  trarre  le  panche  a  sorte,  i  singoli  se- 
duti a  votare  per  nome.  Dopo  sei  od  otto  panche  parve  che  di 
nomi  ne  fossero  usciti  già  troppi  e  non  si  voleva  accamparne 
altri;  circa  duecento  cittadini  andavano  a  partito.  Fra  que'nomi 
n'era  qualcuno  vile  e  ignobile,  messo  innanzi  dai  nemici  della 
nuova  istituzione.  ^  Finalmente  i  voti  parvero  concentrarsi  sopra 
tre  cittadini  :  Antonio  Malegonnelle,  Gioacchino  Guasconi,  Pier 
Sederini. 

Su  questi  tre  nomi  s'era  fatto  un  gran  discorrere,  un  grande 
intendersi  ne'  giorni  precedenti.  Pel  Guasconi  erano  i  frateschi, 
che  gli  riconoscevano  sincerità  e  «  parzialità  »  ;  *  s'erano  radu- 
nati in  trecento  entro  san  Marco  la  sera  innanzi  per  stabilire  di 
dar  favore  a  lui.  Nel  Malegonnelle  si  raccoglievano  quelli  che 
dal  gonfaloniere  a  vita  speravano  uscisse  il  senato,  gli  statuali; 
i  democratici  eran  tutti  pel  Sederini. 

Alla  seconda  votazione  i  primi  due  nomi  scaddero:  alla 
terza  il  Soderini  si  trovò  solo.  Cosi  comprese  ciascuno  ch'egli 
era  l'eletto,  e  il  giubilo  de'  popolani  fu  immenso;  ^  se  n'accon- 
tentarono i  frateschi;  gli  statuali  e  i  palleschi  n'uscirono  con 
un  corruccio  infinito.  Si  mandò  subito  questo  annunzio  a  Piero, 
che  trovavasi  commissario  ad  Arezzo  ;  al  fratello  vescovo  che 
era  a  Volterra;  e  Niccolò  Machiavelli  portò  la  voce  della  con- 
tentezza pubblica  al  nuovo  potente.  Certo  che  il  segretario  non 
godè  nell'animo  suo  di  quella  scelta:  non  per  quella  sarebbe 
cresciuta  robusta  e  dignitosa  la  libertà  fiorentina;  non  per  quella 

>  V.  il  verbale  di  questa  elezione,  pubblicato  in  appendice  alla  Vita  di  Pier  Sodsr ini 
di  Silvano  Razzi. 

*  Parenti,  Storia  ms.,  e.  59 1. 

»  Parenti,  Istoria  mas.,  e.  CO  tergo.  —  Nardi,  Storia  di  Firenze.  —  Razzi,  1.  e.  — 
Pitti,  1.  c.  —  Ammirato,  1.  c.  —  n  Nardi  reca  a  questo  proposito  una  lode  di  Marcello 
Virgilio,  del  quale  si  desume  quanto  merito  nelPandamento  degli  affari  spettava  alla,  pru- 
dente condotta  della  Cancelleria.  «  Non  voglio  mancare  di  riducere  in  considerasione  alle 
menti  de'  buoni  e  grati  uomini  la  somma  lode  che  si  conviene  meritamente  attribuire  a 
messer  Marcello  Vii^ilio,  primo  cancelliere  e  segretario  de*  nostri  Signori,  per  la  prudenza, 
diligenza  e  fede  continovamente  usata  da  lui  nel  conservare  nel  petto  suo  le  cose  occor- 
renti di  mano  in  mano  nel  governo  della  repubblica,  e  conferite  successivamente  ai  magi- 
strati che  nuovamente  succedevano  in  officio  secondo  gli  ordini  della  città.  Perciò  che  quello 
intervallo  che  era  dalPnno  magistrato  all'altro,  era  non  altrimenti  fatto  che  uno  interregno, 
e  vacanza  de'magistrati  nella  repubblica,  e  quasi  una  certa  qualità  di  mutazione  di  go- 
verno. Si  che  nel  petto  di  quest'uomo  restava  continuato,  in  quel  modo  che  meglio  si  po- 
teva, il  filo  perpetuo  e  cobtinuo  del  maneggio  delle  cose  della  repubblica  che  alla  giornata 
seguiva  »  {Istorie  di  Firenxe,  lib.  xv). 


Digitized  by 


Google 


secondo]  elezione  DI  PIERO  SODERINI.  23 

sarebbe  risanata  la  grande  piaga  dello  stato;  altri  aveva  egli 
in  mira,  d'altri  nutriva  fiducia,  ma  il  suo  uomo  naufragò  din- 
nanzi al  voto  pubblico  ;  e  Niccolò  ricopri  il  nome  di  lui  con  ri- 
spetto, e  si  affidò  a  rivelarlo  appena  quando  la  città  ebbe  po- 
tuto levar  saggio  dell'eletto  suo.  Pertanto  allora  scrivendo  ad 
Anton  Giacomini  e  ad  Alamanno  Salviati  commissari  a  nome 
della  Signoria  notifica  loro  che  :  «  al  Roano,  ed  al  re  era  som- 
mamente piaciuta  la  elezione  di  Piero  Soderini,  facendone  segni 
evidentissimi  d'allegrezza,  dicendo  che  si  è  deputato  uno  uomo 
che  teme  Iddio,  savio  e  amatore  della  sua  patria  >.  *  Questo  era 
il  giudizio  dei  Francesi  ;  ma  quando  egli  è  presso  al  Valentino, 
a  colui  che  dopo  il  re  aveva  più  insistito  per  la  riforma  dello 
Stato,  non  fa  motto  dell'eletto  e  solo  accenna  che  quel  nuovo 
ordine  «  à  dato  tanta  riputazione  alla  città  che  non  è  uomo  che 
lo  credesse  ».* 

Al  Valentino  del  resto  tutto  faceva  bel  gioco;  l'opportu- 
nità sua  sapeva  egli  vederla  per  tutto;  i  Soderini  forse  erano 
miglior  elemento  per  lui  che  per  Firenze;  non  foss'altro  erano 
avversi  agli  Orsini,  suoi  nemici,  e  in  quel  momento  valevano 
meglio  che  i  Medici.  Questi,  usciti  d'Arezzo  con  Vitellozzo,  affia- 
tati co' vicari  impauriti  della  sorte  minacciata  ai  Bentivoglio, 
toccata  a' Manfredi,  allo  Sforza,  ai  Varano,  ai  Feltreschi,  po- 
tevano forse  mettere  le  loro  ricchezze  a  sostegno  di  quella  ri- 
balda minutaglia  di  condottieri,  di  quella  dieta  di  falliti,  come 
li  chiamò  sarcasticamente  il  Machiavelli  ;  ^  che  s'adunavano  a 
congiura  in  que'  giorni  nel  castelletto  della  Magione  sul  Tra- 
simeno. 

Quivi,  tra  la  vita  e  la  morte,  in  giorno  di  domenica  si 
conducevano  il  cardinal  Orsino,  il  duca  di  Gravina;  Paolo  e 
Franciotto  Orsini,  Ermete  Bentivoglio  con  un  altr'uomo  che 
avea  pieno  mandato  dal  padre  suo,  Ottaviano  Fregoso  per  Guido 
da  Montefeltro  suo  zio,  messer  Anton  da  Venafro,  segretario 
fldatissimo,  anch'egli  con  pieni  poteri,  per  Pandolfo  Petrucci; 
,  Oliverotto  da  Fermo,  Giovan  Paolo  Baglioni  e  Vitellozzo,  che 
<  sifilitico  e  in  malo  stato  >  vi  s'era  fatto  portare  nel  letto. 
Goladdentro  ordinarono  lega  disperata,  giurando  aiutarsi  tutti 
a  difesa  di  tutti,  «  come  veri  e  buoni  fratelli  ».  Ma  intanto 
ch'essi  afiFaccendavansi  a  scrivere  capitoli  ed  obbligar  la  parola 

1  Machiavelli,  Scritti  inediti.  Ribellione  della  Val  di  Chiana  e  di  Arezzo,  pag.  39,  40. 

*  Machiavelli,  Legazione  al  Valentino,  Lett.  10,  edi2.  Passerini-Milanesi,  pag.  85. 

*  Machiavelli,  Legazione  al  Valentino,  Lett.  5. 


Digitized  by 


Google 


£40  CAPO  SECONDO.  [libro 

in  carta,  fissando  pene  in  danaro,  minacciando  chiamar  tradi- 
tore chi  non  osservasse  la  fede,  proponendo  far  guerra  ^  «  co- 
muni concordia  et  deliberatione  »,  queir  istesso  che  aveva 
trovato  modo  di  unirli  insieme  nella  disperazione,  attendeva 
sottilmente  a  sconcertarli  negli  animi  e  separarli  ne'  partiti. 
Maravigliosa  apparisce  la  perfidia  del  Borgia,  esaminando  gli 
scaltrimenti  minuti  ond'ei  conduce  la  trista  sua  tela;  che  per 
ogni  mossa  egli  à  l'uomo  acconcio;  ed  ogni  mossa  è  per  lui 
uh  passo  innanzi,  certo,  saldo,  dissimulato.  Per  disturbare  le 
conclusioni  degli  adunati  alla  Magione,  intanto  che  raccoglie 
le  forze  sue,  intavola  trattati.  E  chi  adocchia  intermedio?  Paolo 
Orsini,  signore  di  Lamentana,  che  era  il  più  vecchio,  il  suo- 
cero di  Vitellozzo,  «  di  levatura  più  facile  >,  come  lo  dice  il 
Baldi,  ^  cioè  credulo  secondo  l'utilità,  incerto  a'  partiti  ardui, 
vanaglorioso,  avaro.  E,  oltre  a  sue  lettere,  chi  gli  spaccia  par- 
ticolarmente ?  un  altro  Orsini,  un  bastardo  d'Orso,  conte  di 
Nola,  che  si  faceva  chiamare  il  cavaliere  Orsino,  ed  era  fra 
i  gentiluomini  del  Borgia.  ^  Cosi  addormentava  que'  disperati, 

^  V.  Copia  di  Lettera  di  Giovan  Paolo  Baglioni  et  Pietro  Paolo  della  Cortìia  ad  inesser 
Vincenzio  pi  testa  di  Firenze,  de'  di  xi  d'ottobre  Ì50S,  pubblicata  nella  Leg-azionu  xi  delU) 
Opere  del  M.,  ed.  lior.,  1875.  pag.  04  e  seg.,  in  nota. 

*  B.  Baldi,   Vita  e  fatti  di  Guidubaldo  Montefeltro  duca  d'Urbino^  t.  u,  1.  vii,  p.  38. 

s  Di  questo  cavaliere  Orsino  non  dà  il  nome  il  Grkgorovius,  che  Io  cita  una  volta 
come  tale  {Oeschichte  der  Stadt  Rom,  t.  vii,  pag.  462),  e  parla  poi  di  Roberto  VI  e  Vili 
senza  dar  cenno  del  settimo,  che  è  appunto  questo.  Nella  Genealogia  degli  Orsini  del  Litt.v 
(tav.  XVI)  egli  è  dato  per  figliuolo  naturale  del  conte  Orso  e  d'una  donna  detta  Santa  o 
Paola  da  Nola.  A'  2  di  gennaio  del  1499  era  prigione  a  Firenze.  Mori  negli  ultimi  d'agosto 
del  1504.  Il  ViLLARi  (Dispacci  d'Ant.  Giustinian,  voi.  i,  pag,  356-357)  raccoglie  e  rico- 
nosce quanto  di  vero  e  d'erroneo  raccontano  del  cavaliere  Orsino  le  cronache  contempo- 
ranee. Il  Machiavelli  tien  parola  di  lui  nelle  lettere  6,  12,  16,  Zi^  36  di  questa  legazione 
al  Valentino  (ediz.  Passeriui-MilanesiJ.  Noi  Io  trovammo  indicato  col  suo  vero  nome  nel 
ms.  urbinate  490  della  Biblioteca  Vaticana,  in  cui  si  contiene  una  Vita  di  Francesco  Maria 
della  Rovere^  duca  d' Urbino^  ignota  al  Colucci  e  al  Lazzeri,  che  non  ne  fan  parola  nelle 
Antichità  picene;  incognita  al  Baldi,  al  Leoni,  all'Ugolini,  al  Dennistoun,  a  tutti  gli  storici 
de'  Montefeltro  e  del  Piceno.  Il  ms.  è  del  secolo  decimosesto  ed  autografo,  e,  per  le  notizie 
che  dà  relativamente  a  Guidubaldo  di  Montefeltro,  di  cui  racconta  le  peripezie  ne' primi 
quattro  libri,  e  per  le  interessantissimo  particolarità  relative  ai  moti  de' condottieri  e  alla 
catastrofe  di  Senigaglia,  ci  parve  preziosissimo.  È  opera  di  persona  che  fu  «  a  molte  d'esse 
cose  prosente  et  manigiale  »  (Cod.  cit.,  pag.  85),  e  però,  deviando  dall'argomento  princi- 
pale, vuol  raccontarle.  Le  correzioni  e  postille  fatte  dalla  stessa  mano  dello  scrittore 
provano  che  si  à  che  fare  con  un  ms.  originale.  Questo  à  in  principio  tre  carte  noA  nu- 
merate; la  prima  numerata  reca  il  n.  56;  la  numerazione  segue  per  pagine.  A  pag.  250  la 
qualità  della  carta  e  la  dimensione  della  scrittura  cangiano.  Termina  il  ms.  a  pag.  271-t 
col  prologo  del  libro  ix,  alle  parole:  «la  prossima  norma  del  vicino  essempio  ».  Se  aves- 
simo a  congetturare  il  nome  dello  scrittore  dì  questa  Vita,  ci  parrebbe  non  improbabile  af- 
facciar quello  di  Federigo  Veterani,  bibliotecario  de' duchi  d' Urbino  ;  anzi  tutto,  perchè  l'au- 
tore debbo  aver  vissuto  a'  tempi  di  Federigo,  di  Guidubaldo  da  Montefeltro  e  di  Francesco 
Maria  della  Rovere,  come  del  Veterani  intervenne;  poi,  perchè,  a  pag.  33  del  manoscritto, 
quando  in  una  digressione  encomia  il  duca  Federigo,  le  sue  lodi  sono  soprattutto  per  lo  splen- 
dore del  palazzo  edificato  e  della  biblioteca  raccolta,  di  cui  esalta  i  codici  preziosi  ;  e  anche 
altra  volta,  quando  il  della  Rovere  conquista  il  castello  di  Grararolo,  fa  gran  festa  pel 
ritrovamento  d'un  codice  smarrito.  L'autore  pertanto  ha  gran  passione  pe' libri.  E,  aila 


Digitized  by 


Google 


secondo]  a  YVERSIONE  DE'  FIORENTINI  PEI  BORGIA,  tiì 

e  frattanto,  dopo  •averli  scoperti  all'ira  incostante  e  remota 
dì  Francia,  ei  gli  aveva  insegnati  anche  ali*  inimicizia  di  Fi- 
renze. E  se  anche  questa  non  pareva  sufficiente  a  disperderli, 
una  congiunzione  d*odi  e  d'utilità  sarebbe  stata  in  quel  momento 
possibile  e  proficua.  Pertanto  il  Borgia  fece  sentire  a'  Fioren- 
tini che  gli  mandassero  un  oratore,  col  quale  conferire  e  con- 
cludere i  termini  d'una  particolare  alleanza.  Ma  parlare  al 
popolo  di  Firenze  d'alleanza  collo  schiericato  bastardo  era  guai; 
era  un  pigliare  di  cozzo  la  santa  memoria  del  Savonarola. 
Questa  volta  di  soprappiù,  siccome  supponevasi  che  la  voglia 
del  Valentino  e  del  pontefice  fosse  snidare  i  Francesi  d' Italia, 
era  un  ferire  le  simpatie  francesi,  che  i  Fiorentini  non  sape- 
vano smettere.  Pertanto  quando  s'incominciò  a  susurrare  che 
si  praticava  trattato  col  duca,  il  malumore  del  popolo  si  espresse 
con  segni  gravi,  anche  contro  a  persone,  use  a  godere  rive- 
renza e  grazia  della  moltitudine. 

Di  notte  furono  dipinte  forche  e  capestri  all'uscio  de'  Se- 
derini, de'  Salviati  e  alla  casa  di  Francesco  d'Anton  di  Taddeo, 
uscito  gonfaloniere  di  giustizia,  accetto  mirabilmente  alle  turbe.  ^ 
Frattanto  il  Valentino  insisteva  che  gli  si  mandasse  ambascia- 
tore. Dopo  i, soliti  indugi,  dopo  mólto  dibattito  se  gli  s'avesse 

pag.  141,  in  una  digressione  non  meno  inopportuna  che  pia  intomo  alle  bestemmie  de*  sol- 
dati e  ai  castiglìi  che  le  si  meritane,  mostra  non  meno  ignoranza  della  milizia  che  esage- 
razione di  sentimenta  religioso.  Quando  assiste  al  discoprimento  del  cadavere  del  duca  Fe- 
derigo, fatto  per  volere  dì  Francesco  Kuria  «  poi  trentunoanni  che  fu  tal  corpo  depositato  », 
enuitiera  gli' illustri  che  a  quella  scena  assistevano:  «  Marco  Antonio  Colonna,  Giuliano 
de*  Medici,  Qaspar  Pallavicino,  Roberto  di  Bari.  Cesare  da  Gonzaga,  Baldasserra Castiglione» 
e  poi  modestamente  più  discosto  aggiunge  :  «  Et  Federico  Veterani  da  Urbino  che  fu  già  uno 
dilli  tuoi  seruitori  e  presente  allo  apprir  del  deposito,  poi  che  anchor  egli  uide  illeso  il  corpo 
tuo,  spinto  dalla  dolce  memoria  che  di  te  teneua,  et  da  quello  amore  che  insieme  cum  gli 
altri  seruitori  et  sudditi  affettuosamente  el  ti  portaua,  non  senza  tenerezza  di  lacryme,  su- 
bito proruppe  nel  susseguente  epigramma,  preponendo  che.  quantunque  morto,  come  anchor 
uiuo.  parlasti  a  chi  leggesse  in  questo  modo»,  ecc.  -r-  L'umiltà  con  cui  lo  scrittore  de- 
signa il  Veterani  rappresentandolo  non  come  bibliotecario  ma  come  uno  de'  servitori  dei 
Montefeltro,  non  sarebbe  giustificabile,  se  lo  scrittore  non  sentisse  che  parla  della  persona 
propria.  E  l'affetto  di  quelle  sue  parole  dimostra  ancora  come  quella  servitù  fosse  piena 
di  fede.  Cosi  s'intende  com'  egli  fosse  ben  consapevole  de*  fatti,  come  potesse  averne  confi- 
dente notizia  e  da  Guidubaldo  e  dall'uomo  d'Urbino.  Di  quest'uomo  d'Urbino,  cosi  indicato 
nel  nostro  manoscritto  si  à  sentore  anche  nella  Lett.  48,  legaz.  xi  del  Machiavelli.  Esso 
era  Ottaviano  Fregoso.  (Cf.  Reposati,  op.  cit.,  t.  i,  pag.  346).  —  Aggiungeremo  finalmente 
che  nulla  ci  sembra  più  naturale  che  attribuire  agli  ultimi  anni  della  vita  del  Veterani 
questa  storia  in  cui  non  meno  si  parla  dei  Feltreschi  che  dei  della  Rovere,  quando  questi 
nel  suo  Carmen  super  incli/lam  progenietn  Ferelranam  (Bibl.  Vat.,  cod.  urb.  736,  pag.  4) 
aveva  già  rimpianto  : 

« sed  historici  nimium  vatesque  fuere 

Ingrati  historiam  vel  nulliym  denique.  Carmen 

Edere  dignati,  cum  sint  ea  gesta  Marone 

Dfgna,  patavino  Calamo,  doctàque  Minerva  ». 

>  Pabbkti,  Istorie  mss.,  luglio,  agosto  e  settembre  1902. 

ToMMASiKi  -  MaehiavelU.  17 


Digitized  by 


Google 


242  CkPO  SECONDO.  [libeq 

a  mandare  oratore  o  |io,  si  venne  a  scegliere  una  via  di  mezzo, 
un  mezzo  termine.  Si  dispose  di  mandargli  un  uomo;  quest'uomo 
non  fosse  uno  statuale,  non  un  uomo  di  grande  autorità;  ma 
tuttavia  tale  che  il  duca  lo  vedesse  volentieri,  che  sapesse  stargli 
accortamente  a  fronte.  Cosi  il  re  di  Francia  non  avrebbe  rar 
gione  di  pigliar  ombra,  e  il  duca  di  lamentarsi  ;  e  fu  così  che 
si  mandò  il  Machiavelli.? 

Era  anche  questa  volta  una  condizione  tutta  particolare 
di  cose  che  permetteva  a  Niccolò  d'esser  chiamato  a  un  oflScio 
difficilissimo,  e  presso  a  persona,  che,  quando  pur  non  si  vo- 
lesse confessare,  si  sentiva  da  tutti  essere  la  j)iù  temuta  in 
Italia.  Il  della  Stufa  e  il  Martelli  scrivevano  poco  dopo  a 
Niccolò  dalla  Francia:  «  il  mutare  aria  e  vedere  altri  volti, 
massime  di  cotesta  qualità,  suole  assottigliare  la  mente  ».  * 

Il  Machiavelli  a'  di  sette  ottobre  s'era  posto  a  cavallo 
con  patenti  e  salvacondotto  che  lo  chiamavano  «  nobilissimo  cit- 
tadino e  secretano  ».  La  repubblica  timida,  non  era  già  che  non 
risguàrdasse  la  nobiltà  della  casata  di  Niccolò,  ma  pretendeva, 
magnificandola,  dare  anche  un  poco  a  berne  al  Borgia.  A  Scar- 
peria  il  segretario  monta  in  poste,  e  arrivato  frettolosamente 
in  Imola,  subito  cosi  cavalchereccio .  si  presenta  a  Sua  Eccel- 
lenza^ dalla  quale  è  amorevolmente  accolto.  Gli  espone  la  cora- 
missiorie;  fa  ampie  proteste  della  devozione  di  Firenze  verso  la 
Chiesa,  dell'amicizia  di  lei  pel  re  di  Francia,  di  cui  reputa  gli 
amici  per  suoi  amicissimi  e  coùfedecati.  Il  duca  si  distende  a 
spiegargli  come  volendo  lui  tornare  di  Faenza  a  Roma, 'gli  Or- 
sini e  i  Vitelli  gli  furono  addosso  perch'ei  tornasse  per  la  via 
di  Firenze.  Ei  non  voleva, ,  trattenutone  anche  per  un  breve 
del  papa  che  glielo  vietava;  «  ma  Vitellozzo  piangendo  gli  si 
gettò  a'  piedi  a  pregarlo  facesse  cotesta  via,  promettendogli  non 
farebbero  al  paese  e  alla' città  violenza  alcuna.  Né  volendo  lui 
condiscendere  a  questo,  tanto  con  simili  preghi  vi  si  rimes- 
sero,  che  lui  cedette  iti  venire,  ma  con  protesta  che  non  si 
violentasse  il  paese,  e  che  de'  Medici  non  si  ragionasse  ».^ 
E  i  commissari  con  cui  ebbe  a  trattare  sanno  s'ei  spese-  mai 

*  Parenti,  Istoria  ms.,  settembre  1502.  «  A  Valentino  etiam  s'era  disputato  prima 
assai  se  se  li  mandava  ambasciadore  pubblico,  et  sendo  dubia  la  consulta,  finalmente  si 
concluse  mandarvi  Niccolò  Machiavelli,  uno  dei  nostri  cancellieri  del  Palasse  ».  Oli  stan- 
ziamenti per  le  due  commissioni  d\  Niccolò  al  duca  di  Valentinese  furono  pubblicati  dal 
Passbbini,  loc.  cit.,  pag.  61.   * 

*  Bibl.  Naa.,  doc.  M.,  busta  in,  n.  43. 

*  Machiavelli,  Legazione  al  ^uca  Valentino,  Lett.  5/  edix.  P.-M. 


Digitized  by 


Google 


«WOKDO]  IL  MACHIAVELLI  IN  IMOLA.  .  243 

parola  pe' Medici;  che  anzi  neppure  li  volle  nel  campo  suo. 
Quando  segui  la  ribellione  d'Arezzo  fu  senza  sua  intesa,  benché 
«  l'avesse  cara  »,  sparando  desse  occasione  ;ad  accordo  tra  Fi- 
renze e  lui.  Ma,  conosciuta  la  voglia  del  rè,  disposto  a  bene- 
ficar la  repubblica,  aveva  mandato  uomini  a  Vitellozzo,  a  in- 
timargli si  ritirasse  da  Arezzo  subito  :  «  né  contento  di  questo, 
se  ne  andò  verso  Città  di  Castello  con  sue  ^enti,  e  avrebbe 
potuto  torgli  lo  stato,  perchè  i  primi  uomini  di  quella  tef  ra  gli 
si  venivano  a  ofiFrire  ».  Donde,  diceva  il  duca,  nacque  il  primo 
sdegno  di  Vitellozzo;  e  colorando  così  le  cose  in  modo  acconcio, 
«  sfogava  la  mala  contentezza  sua  contro  i  falliti  della  Ma- 
gione, di  cui  a  una  a  una  riandava  le  ribellioni  e  Toffese  ». 
Ma  i  falliti  della  Magione  avevano  avuto  un  risveglio.  Intanto 
che  co'  loro  capitoli  pendevan  sospesi,  un  fatto  sopraggiunse 
a  scoterli.  Urbino  erasi  .rivoltata.  Ludovico  Paltroni,  un  fedele 
di  Guidubaldo  assai  pratico  nel  Montefeltro,  d'intesa  con  un 
Paol uccio  della  Torricella  e  '  uri  Giovanni  della  Petra  e  cbn 
altri  fabbri  che  lavoravano  nella  fortezza  di  San  Leo,  lasciata 
aperta  una  porta  col  pretesto  d'introdurre  una  trave,  immi- 
sero per  quella  gli  amici  dell'antico  duca,  e  acquistarono  la 
fortezza.  Ciò  fatto,  Tommaso  Felici,  detto  dell'Emilia,  rivoltò 
facilmente  la  città. d'Urbino,  affezionata  ai  miti  e  benefici  suoi 
duchi,  credula  che  le  schiere  dei  condottieri  collegati  piegas- 
sero a  quella  volta.  Il  Valentino  frattanto,  raccolta  sotto  don. 
Ramiro  de  Lorqua  tutta  la  gente  che  aveva  tra  Fano  .e  Pe- 
saro, della  perdita  d'Urbino  non  si  mostrava  gran  fatto  distur- 
bato: —  «  L'esser  io- stato  cleriiénté,  ^diceva  *egli  a  Niccolò 
che  l'ascoltava  attento  per  riscrivere  ai  Dieci  proprio  le  parole 
di  lui,  e  avere  stimato  poco  le  cose  mi  à  nociuto  ;  io  presi,  come 
tu  sai,  in  tre  di  quel  ducato,  e  non  torsi  un  pelo  a  nessuno, 
da  messer  Dolce  ^  e  due  altri  in  fuore,  che  avevano  fatto  contro 
la  Santità  di  nostro  Signore  :  anzi,  che  è  meglio,  io  aveva  molti 
di  quei  primi  preposti  ad  uffìzi  di  quello  stato,  con  un  di  questi 
deputato  sopra  certa  muraglia  che  io  facevo  fare  nella  rocca 
di  San  Leo;  e  due  di  fa  lui  ordinò  con  certi  contadini  del 
paese,  sotto  ombra  di  tirare  alto  una  trave,  certo  trattato:  talché 
à  forzato  la  rocca^  ed  è  perdutasi:  chi  dice  che  la  grida  Marco, 
chi  Vitelli,  chi  Orsini  :  ma  per  ai^cora  né  l'uno  ftè  l'altro  si  è 
scoperto;  ancorché  io  faccia  quel  ducato  perso,  per  essere  uno 

^  Dolce  I^tti  da  Spoleto,  vicario  generale  di  Ouidabaldo.  V.  Rbpgbàti,  Della  zecca  di 
Ouhbio  e  delle  gesta  dei  conti  e  duchi  d'Urbino^  vol.-i,  pag.  3S5*7. 


Digitized  by 


Google 


244  CAPO  SECONDO. 

stato  fiacco  e  debole,  e  quelli  uomini  malcontenti,  avendogli  io 
affaticati  assai  co'  soldati  :  ma  a  tutto  spero  provvedere;  ^  e  tu 
scriverai  a*  tuoi  Signori  che  pendino  heìie .  a'  casi  loro,  e  ^  fac- 
ciansi  intendere  presto,  perchè  se  il  duca  d'Urbino  ritorna,  e 
viene  da  Venezia,  non  è  a  proposito  loro,  e  manco  nostro:  41 
che  fa  che  noi  possiamo  prestare  più  fede  l'uno  all'altro».^  — 
E  il  Borgia  prevedeva  accortamente,  che  gli  Urbinati  ave- 
vano spedito-  subito  un  uomo  alla  Magione,  a  eccitare  i  genti- 
luomini che  si  valessero  dell'occasione  della  rivolta  loro,  per 
fermare  chiari  accordi  e  far  opere  forti.  L!uomo  d'Urbino  s'ab- 
boccò più  particolarmente  col  Baglioni,  che  pareva  il  più  riso- 
luto, e  il  miglior  conoscitore  del  furbo  nemico.  Malgrado  le  re- 
nitenze di  Paolo  Orsini,  i  capitoli  furono  sottoscritti,  e  si  pose 
mano  all'impresa.  Vitellozzo  doveva  esserne  capo:  questi  co- 
manda che  Giovanni  Rossetto  con  mille  e.  cinquecento  fanti  delle 
ordinanze  sue  di  Città  di  Castello,  entri  alla  difesa  d'Urbino; 
che  Bernardo  Camaiano  da  Arezzo,  vada  a  San  Marino,  sul 
principio  del  Montefeltro  verso  Romagna;  conferma  in  Cagli 
Matteo  della  Branca  da  Qubbio;  e  quando  l'uomo  d'Urbino 
con  trenta  cavalleggeri  datigli  da  Gian  Paolo  Baglioni  in  Pe- 
rugia sotto  il  comando  d'Uguccione  da  Carnaro,  s'avvicina  e 
sente  che,  entrati  per  là  valle  dal  Cesano  a  San  Lo;*enzo  in 
Campo,  don  Ramiro  e  don  Michele  colle  genti  del  Valentino, 
anno  saccheggiato  la  Pergola;  ottiene  da  Vitellozzo  che  Giulio. 
Vitelli  con  tutte  le  sue  genti  a  pie  e  a  cavallo  parta  da  Città,  di- 
Castello  e  vada  verso  Cagli.  E  alla  volta  d'Urbino  partono  pure 
il  Baglioni  e  il  duca  di, Gravina;  e  l'uomo  d'Urbino  anch'esso 
con  Uguccione  arrivano  a  Gubbio  e  da  quindi  a  Cagli.  Pare  che 
ormai  un'azione  comune  e  con  forze  convergenti  sia  per  inco- 
minciare. Guidubaldo,  ch'era  a  Venezia,  comincia  a  credere  che 
i  condottieri  si  sian  compromessi  abbastanza  e  che  una  parola 
di  pace  non  possa  più  correre  fra  loro  e  i  Borgia.  A  inasprir 
la  rabbia  della  guerra  e  a  seminar  più  sospetti  s'era  aggiunta 
la  scoperta  di  tradimenti.  Un  prete,  chiamato  Francesco. di 
Landò  di  Materozzi  dalla  ;.Carda,  aveva  avuto  maneggio  per 
dar  Cagli  a  don  Michele.  Matteo  della  Branca  se  n'  accorge  :  il 

prete  è  fatto  in  pezzi.  Gaifa  e  Primicerio  erano  state  occupate 
*         •  .  ' 

1  Baldi,  Vita  di  Quidtibaldo  da  Jifonte feltro y  t.  n,  lib.  vii,  pag.  67:  «  Parve  duro  a*  po- 
poli, avvezzi  ad  una  certa  libertà  scapestrata,  il  dover  si  subito  sottometterei  ad  una  ri- 
gida e  severa  disciplina  ». 

*  Machiavelli,  LegasUme  al  Valentino,  Lett.  5. 


Digitized  by 


Google 


fecondo]  moti  DK  condottieri.  ^5 

da'  Valentineschi  ;  ma  poi  dallo  Spedaletto  a  Fossombrone  le 
bande  dei  collegati  avevano  fatto  grande  strage  di  Borgiani; 
e  il  di  appresso  i  Vitelleschi  e  gli  Urbinati  ripresero  Gaifa  e 
Primicerio.  Il  buon  successo  dava  coraggio  di  tentar  V  impresa 
di  Fano,  per  disfar  colà  l'ultime  reliquie  delle  armi  ducali. 
A  questo  punto  giudicò  Guidubaldo  che  la  lega  de'  vicari  avesse 
avuto  buon  cemento  ;  che  le  lusinghe  di  tornar  mai  più  amici 
co'  Borgia  fosser  dileguate  tutte  ;  che  ritornandosi  egli  ad  Ur- 
bino, avrebbe  confortato  colla  presenza  sua  i  moti  del  popolo, 
e  ritornò.  Recatosi  subito  a  Cartocceto,  ov'era  il  quartier  ge- 
nerale di  Vitellozzo,  comprese  dove  ancora  le  lusinghe  stavano. 
Paolo  Orsini  allo  Spedaletto,  intanto  che  i  collegati  facevano 
man  bassa  della  soldataglia  borgesca,  aveva  gridato:  basta, 
basta  !  pretendendo  frenar  l' impeto  della  battaglia,  perchè  non 
si  facesse  troppo  gran  danno  al  Valentino.  E  se  non  fosse 
stato  Giulio  Orsini  che  si  gettò  di  mezzo,  gridando:  bada,  è 
Paolo!  Giovanni  Rossetto,  indispettito  di  vedersi  troncar  nelle 
mani  la  vittoria,  gli  avrebbe  assestato  tal  colpo  di  partigiana 
in  petto,  che  avrebbe  tolto  di  mezzo  per  sempre  quel  media- 
tore cieco.  Ma  lo  salvò  la  corazzina,  e  fu  a  rovina  di  tutti. 
Egli  stesso  aveva  indugiato  l'impresa  di  Fano,  allegando  che 
le  artiglierie  sufficienti  mancavano.  Si  stabilì  che  la  guerra 
fosse  menata  innanzi  oon  vigore,  e  che  il  Baglione  da  Perugia, 
e  Guidubaldo  da  Urbino  facessero  i  necessari  apprestamenti 
d'uomini  e  d'artiglierie.  Gian  Paolo,  partendosi  perla  sua  città, 
scongiurò  Vitellozzo  che  a  Paolo  non  desse  mai  più  retta,  o 
andrebber  tutti  perduti.  *  E  Guidubaldo  lasciò  sentire  al  vec- 
chio Orsini  quanto  gli  Urbinati  lo  avevano  in  dispetto,  sì  che 
questi  poi  non  ebbe  animo  di  pigliare  alloggio  dentro  alla  città. 
In  questo  mezzo  il  Valentino  aveva  chiesto  a  Firenze 
un'amicizia  non  solo  generica,  ma  particolare:  chiedeva  la 
condotta  per  sé,  voleva  stringer  presto.  Le  istruzioni  del  Ma- 
chiavelli invece  erano:  «  temporeggiare,  non  si  obbligare  e 
cercare  d' intendere  l'animo  di  quello.  ^  —  E  mi  pare  fino  a 
qui,  scriv'egli  ai  Dieci,  aver  fatto  le  due  prime  cose  e  della 
terza  essermi  ingegnato  ».  Ma  il  Valentino  voleva  avere  un 
segno  del  buon  volere  dei  Fiorentini;   mandassero  due  pezzi 

*  Bibl.  Vat.^  ms.  urb.  490,  pag.  79-t  :  «  Questo  istesso  ancho  atBrmaua  Fabio  flgliol 
d'esso  Paulo,  biasimando  appertaineDttt  et  senta  alchun  rispetto  l*oppÌDÌon  del  patre.  come 
rea,  pernitiosa  a  tutti,  et  Aior  d'ogni  ragione  ». 

*  Machiavelli,  ibid  ,  I^ett.  13. 


Digitized  by 


Google 


ne  CAPO  SECO S DO.  [LiBio 

d'artiglieria  verso  Castello,  contro  di  Vitellozzo:  non  temano 
che  abbiano  perciò  a  dispiacere  al  re  di  Francia.  «  Son  più 
certo  che  della  morte,  diceva,  che  quella  maestà  vorrebbe 
che  tutto  il  popolo  fiorentino  venisse  in  persona  in  aiuto  delle 
cose  mie  ».  Non  c'è  bisogno  sguerniscano  d'armi  i  posti  mili- 
tari che  guardano;  mandino  50  o  60  cavalli,  «  comandino 
in  quei  luoghi  un  uomo  per  casa  ».  —  Comandare  un  uomo 
per  casa,  cioè  strappare  agricoltori  a'  campi  e  farne  guastatori 
o  marraiuoli,  come  allora  dicevasi,  era  consueto  espediente 
de*  fiacchi  e  indifesi  comuni.  Se  non  che  Niccolò  vede  presso 
al  Valentino,  specialmente  per  l'industria  non  senza  ferocia 
di  don  Michele  da  Corella,  condottiero  di  lui,  i  comandati  della 
Romagna  tramutarsi  in  soldati  veri.  Questo  spettacolo  nuovo 
commuove  il  Machiavelli  :  dei  comandati  del  contado  di  Firenze 
non  si  potrebbe  forse  fare  altrettanto?  cosi  pensa  lui,  e  gitta 
gli  occhi  su  don  Michele,  come  su  l' unico  uomo  bastevole  a 
quest'effetto.  Ma  tuttavia,  per  allora,  secondo  le  raccomanda- 
zioni del  Valentino,  si  limita  a  sollecitare  i  Dieci  che  mandino 
presso  il  Borgo  S.  Sepolcro  e  ad  Anghiari  qualche  comandato, 
che  faccino  qualche  rassegna,  «  e  di  due  si  potrà  dir  quattro 
per  non  poterne  questo  Signore  avere  gli  avvisi  certi.  —  E  prego 
le  Signorie  vostre  che  non  m'imputino  questo  né  a  consiglio, 
né  a  presunzione,  ma  lo  scrivine  ad  un'affezione  naturale  che 
deve  avere  ogni  uomo  verso  la  sua  patria  ».  ^ 

Poi  sempre  più  si  studia  farsi  addentro  nel  concetto  del 
duca;  e  non  tarda  a  discerriere  che  cumulo  d'ire  irreconcilia- 
bili covano  nell'animo  di  lui  contro  ai  baroni.  Della  congiura 
della  Magione  non  aveva  mostrato  paura  :  «  Fanno  bene,  diceva 
ridendo  di  quei  signori,  fanno  bene  a  dire  uomini  d'arme  in 
bianco,  che  vuol  dire  in  nulla.  Io  non  voglio  bravare,  ma  voglio 
che  gli  effetti,  quali  sieno  questi,  dimostrino  chi  loro  sieno  e  chi 
noi.  Ed  io  gli  stimo  tanto  meno,  quanto  gli  conosco  più,  e  loro, 
e  loro  gente;  e  Vitellozzo,  a  chi  si  è  data  riputazione,  mai 
posso  dire  di  averlo  veduto  fare  una  cosa  da  uomo  di  cuore, 
scusandosi  col  mal  francioso;  solo  è  buono  a  guastare  i  paesi 
che  non  anno  difesa,  e  a  rubare  chi  non  gli  mostra  il  volto, 
e  a  fare  di  questi  tradimenti  ».  *  E  non  tarda  gran  tempo  che 
sente  sconnettersi  quella  unione  posticcia  ;  e  già  Messer  Anton 


>  Machiavklli,  loc.  cit..  Leu.  U 
•  Machiavklli,  loc    cit  ,  Lett    19. 


Digitized  by 


Google 


•écoWdo]  il  machiavelli  in  IMOLA.  «47 

da  Venafro,  Tuom  del  Petrucci,  mandato  dagli  Orsini  si  pre- 
senta in  Imola  ;  ma  arriva  e  riparte,  e  Niccolò  non  può  sapere 
di  che  abbia  trattato.  ^  Poi  sa  dal  duca  stesso  che  gli  Orsini 
tengono  pratiche  d'accordo:  scrivongli  buone  lettere:  oggi  deve 
andarlo  a  trovare  il  signor  Paolo,  domani  il  cardinale  —  <  cosi, 
diceva  quegli,  mi  scoccoveggiano  a  loro  modo:  io  dall'altro 
canto,  temporeggio,  porgo  orecchio  ad  ogni  cosa  ed  aspetto  el 
tempo  mio  >. 

Niccolò  frattanto  scriveva  d'essersi  procacciato*  la  confi- 
denza d'alcun  segretario  del  Valentino,  «  d'alcun  di  quelli  con 
cui  quell'uomo,  uso  a  tacer  tutto  e  a  non  notificare  i  comandi 
che  in  sul  momento  d'eseguirli  »,  taceva  meno. 

—  k  Questo  tale  iersera  ordinò  di  parlarmi,  e  mi  disse  :  Se- 
gretario, io  ti  ò  qualche  volta  accennato  che  lo  stare  sul 
generale  quei  tuoi  Signori  con  questo  duca,  fa  poco  profitto 
a  lui  e  manco  a  loro,  per  questa  cagione:  perchè  il'  duca 
vedendo  rimanersi  in  aria  con  vostre  Signorie,  fermerà  il  pie 
con  altri.  E  io  mi  voglio  allargar  teco  questa  sera;  ancorché 
io  parli  per  me  medesimo  pure,  non  è  in  tutto  senza  fondamento. 
Questo  Signore  conosce  molto  bene  che  il  papa  può  morire  ogni^ 
dì,  e  che  gli  bisogna  pensare  di  farsi,  avanti  la  sua  morte, 
qualche  altro  fondamento,  volendosi  mantenere  li  Stati  che 
lui  à.  Il  primo  fondamento  che  fa  è  sul  re  di  Francia;  il  se- 
condo sulle  armi  proprie;  e  vedi  che  à  già  fatto  un  apparato 
di  presso  a  cinquecento  uomini  d'arme,  e  ^altrettanti  cavalli 
leggieri,  che  saranno  fra  pochi  di  in  fatto.  E  perchè  giudica 
che  col  tempo  questi  due  fondamenti  suoi  potrebbero  non  ba- 
stargli, pensa  di  farsi  amici  i  vicini  suoi,  e  quelli  che 'di  ne- 
cessità conviene  che  lo  difendine,  per  difendere  se  medesimi; 
i  quali  sono  Fiorentini,  Bolognesi,  Mantova  e  Ferrara.  Dei  tuoi 
Signori  fiorentini,  egli  è  manco  di  tre  di  eh'  io  sentii  ragionare 
al  duca  ;  che  voleva  ch'essi  usassero  il  paese  suo  liberamente, 
e  lui  usare  il  loro,  essendo  loro  amici  di  Francia,  e  lui  ;  e  che 
non  era  mai  per  far  loro  contro  in  alcuna  cosa,  ancorché  non 
si  venisse  ad  alcun  fermo  appuntamento.  Ma  quando  vi  venisse 
vedrebbero  che  differenza  é  dall'amicizia  sua  e  quella  d'altri. 
E,  per  tornare  a  proposito,  io  ti  dico  che  lo  stare  sul  generale 
fa  più  d'incomodo  a' tuoi  Signori  che  a  questo  duca;  perchè 
il  duca,  avendo  favorevole  il  re  e  gli  prenominati,  e  voi  non 

1  Macbiatblli,  loc.  eh.,  Lett.  2S. 


Digitized  by 


Google 


248  ..  CAPOSECONDO.  [l 

avendo  altri  che  il  re,  verranno  i  Signori  tuoi  ad  aver  più  bi- 
sogno del  duca  che  il  duca  di  loro.  Né  per  questo  dico  che  il 
duca  non  sia  per  far  loro  piacere  ;  ma  venendo  loro  il  bisogno 
e  non  essendo  lui  obbligato,  potrà  farlo  e  non  lo  fare,  ck)me 
gli  parrà.  Ora  se  tu  mi  dicessi:  che  s'avrebbe  egli  a  fare? 
Venghiamo  un  poco  a  qualche  individuo:  risponderotti,  che 
per  la  parte  vostra  voi  avete  due  piaghe,  che  se  voi  non  le  sa- 
nate, vi  faranno  infermare,  e  forse  morire.  L'una  è  Pisa,^  l'altra 
è  Vitellozzo.  E  se  voi  riaveste  quella,  e  quello  si  spegnesse, 
non  vi  sarebbe  egli  un  gran  benefizio?...  e  per  la  parte  del 
duca  io  ti  dico,,  che  a  Sua  Eccellenza  basterebbe  aver  l'onor 
suo  con  voi,  rispetto  alla  condotta  vecchia  :  e  questo  stima  più 
che  danari  e  che  ogni  altra  cosa:  e  che  quando  voi*  trovaste 

modo  a  questa,  ogni  cosa  sarebbe  acconcia 

—  «  Io  replicai  brevemente,  seguita  Niccolò,  e  solo  a  quelle 
parti  che  importavano.  Dissi  in  prima,  che  questo  Signore  fa- 
ceva prudentemente  ad  armarsi,  e  '  farsi  amici.  Secondo,  gli 
confessai  essere  in  noi  desiderio  assai,  e  di  ricuperare  Pisa,  e 
dell'assicurarsi  di  Vitellozzo,  ancorché  di  lui  non  si  tenesse 
molto  conto.  Tèrzo,  quanto  alla  sua  condotta,  io  gli  dissi,  par- 
lando sempre  come  da  me,  che  l'eccellenza  di  questo  duca,  non 
si  aveva  a  misurare  come  gli  altri  Signori,  che  non  anno  se 
non  la  carrozza,  rispetto  allo  stato  che  tiene;  ma  ragionare 
di  lui,  come  di  un  nuovo  potentato  in  Italia  con  il  quale  sta 
meglio  fare  una  lega  e  un'amicizia,  che  una  condotta.  E  per- 
chè le  amicizie  fra  i  Signori  si  mantengono  òon  le  armi,  e 
quelle  sole  le  vogliono  fare  osservare,  dissi,  che  Vostre  Si- 
gnorie non  vedrebbero  che  sicurtà  s'avesse  per  la  parte  loro, 
quando  i  tre  quarti  o  i  tre  quinti  dell'armi  vostre  fossero  nelle 
mani  del  duca.  Né  dicevo  questo  per  non  giudicare  il  duca 
uomo  di  fede,  ma  per  conoscere  le  Signorie  Vostre  prudenti, 
e*  sapere  che.  i  Signori  devono  essere  circospetti,  e  non  dover 
mai  far  cosa  dove  possano  essere  ingannati  ».  *  — Ma  da  questo 
punto  in  poi  le  corrispondenze  tra  Niccolò  e  la  Signoria  co- 
minciano alquanto  a  impacciarsi  e  ad  interrompersi  ;  non  si  sa 

* .  1  Anche  in  tempo  di  questa  commisfiòne  del  Machiavelli,  Pisa  faceva  pratiche  per  in- 
durre il  duca  Valentino  ad  insignorirsi  di  lei.  Niccolò  ne  fa  cenno  nella  leti.  68.  Ne  parla 
poi  per  disteso  nella  lett.  74.  L'inviato  degli  anziani  è  Lorenzo  d'Acconcio;  i  Pisani  fanno 
intendere  che  il  re  di  Spagna  offre  loro  aiuti  e  «  che  sono  per  pigliarlo  quando  altri  non 
gli  voglia  aiutare  »;  —  l\  Valentino  li  sconsiglia  ma  non  esclude  le  trattative.  Una  traccia 
di  capitoli  fra  i  Pisani  e  il  Borgia,  proposta  gi^  sin  dal  dicembre  del  1501,  pubblicò  il 
Dbsjabdins,  NigodaXUmt  diplomatiqués,  t.  ii,  pag,  69. 
*  Machiavelli,  lec.  cit.,  Lett.  40. 


Digitized  by 


Google 


arcoHoo]  IL  MACHIAVELLI  IN  IMOLA.  249 

chi  intercetta  le  lettere  o  svaligia  i  cavallari:  fatto  sta  che 
al  Segretario  accade  di  scrivere  ripetutamente  delle  istesse  cose, 
e  a  Dieci  a  lamentar  ripetutamente  ohe  non  ricevon  nulla;  tanto 
che  Biagio  Bonaccorsi  avvisa  confidenzialmente  l'amico,  che 
si  guardi  dal  porgere  appiglio  ai  malevoli,  e  spacci  più  sovente 
che  pilo  qualche  notizia;  che  non  abbian  a  parer  troppo  rare 
le  lettere  sue;  e  financo  il  gonfaloniere  Sederini  personalmente, 
con  grande  bontà,  gì' inculca  di  scrivere  spesso.  Niccolò  scrive, 
e  riscrive,  ma  s'accorge  che  non  sodisfa  mai  abbastanza  la  cu- 
riosità de'  Dieci  e  dei  Signori:  «  pensino  che  le  cose  non  s'in- 
dovinano, e  intendine  che  si  à  a  fare  qui  con  un  principe  che 
si  governa  da  sé  ;  e  chi  non  vuole  scrivere  ghiribizzi  e  sogni, 
bisogna  che  riscontri  le  cose,  e  nel  riscontrarle  va  tempo;  e 
io  m'ingegno  di  spenderlo,  e  non  lo  gittare  via  ».  ^  —  Ma  per 
dire  il  vero  non  potrebbero  i  Signori,  avuto  rispetto  alle  cri- 
tiche condizioni  della  città,  confidarsi  in  lui  con  maggiore  ab- 
bandono. «  Noi  lasciamo  volentieri  indrieto  per  confidare  in  te, 
darti  ordine  o  di  parole  o  di  termini  che  abbino  a  satisfare  più 
a  cotesto  illustrìssimo  Signore,  stimando  che  per  te  medesimo 
le  ebbi  ad  fare  e  parlarli  in  nome  nostro  come  ad  Signore 
grand'amico  della  città,  desideroso  di  beneficarla  e  di  chi  si 
conosce  la  potestà  e  volontà  di  farlo;  e  perchè  questa  città 
ebbi  a  far  sempre,  rispetto  alla  fortuna  e  virtù  sue,  tutto  il 
possibile  ».*  —  Se  non  che  ben  comprendeva  Niccolò  che  quello 
non  era  luogo  da  vender  parole,  e  che  non  gli  sarebbe  stato 
a  lungo  possibile  rimanersi  a  eseguire  quell'unica  commissione 
che  non  cessavan  di  replicargli  :  temporeggiare.  —  «  Né  ancora 
so  come  le  audienze  sieno  per  essermi  facili,  perchè  qui  non 
si  vive  se  nou  ad  utilità  propria,  e  a  quella  che  pare  loro  in- 
tendere, senza  prestame  fede  ad  altri.  Onde  io  non  tenterò  la 
catena,  se  non  forzato,  e  una  o  due  che  me  ne  sia  fatta,  non 
la  tenterò  più,  non  ostante  che  per  ancora  non  mi  possa  do- 
lere; pure  non  lo  vorrei  avere  a  fare.  Talché  computata  ogni 
cosa,  desidero  assai  aver  licenza  dalle  Vostre  Signorie  perchè, 
oltre  al  vedere  di  non  poter  fare  cosa  utile  a  codesta  città, 
vengo  in  mala  disposizione  di  corpo;  e  da  di  fa  ebbi  una  gran 
febbre,  e  tuttavolta  mi  sento  chioccio.  Di  poi  le  cose  mie 
non  anno  costì  chi  le  rivegga,  e  perdo  in  più  modi  :  sicché, 
compuiatis  omnibus,  non  oredo  che  Vostre  Signorie  me  ne  ab- 

1  Màchiatblli,  Ioc.  cit.y  Leu.  44. 
*  Màcbiayblli,  Ioc.  eh.,  Lett.  46. 


Digitized  by 


Google 


«so  CAPO  SECONDO.  [libbo 

bianQ  a  scontentare  ».  ^  Ma  ì  Dieci  T intendono  ben  diversa- 
mente da  Niccolò^;  e  gì'  intimano  rimanere  e  seguitar  sua  Ec- 
cellenza dovunque.  Non  è  'a  dire  se  al  Segretario  quest'ordine 
sappia  duro,  poiché,  escluso  il  partito  della  condotta,  la  Signoria 
;  non  gli  dava  nuovi  partiti  da  proporre:  «  e  il   negare,  e  poi 

#  ,  tacere,  non  era  a  proposito  con  que'  cervelli  ».  *  Resta  spet- 

\  tatore  di  quel  che  accade,  e  ragguaglia  di  quel  che  gli  sembra 

\  probabile  sia  per  seguire.  Allo  scaltro  Duca  l'amicizia  de'  Fio- 

^  ,      rentini,  per  quanto  generica,  pareva  far  prò  :  e  il  credito  de'  pronti 

I  soccorsi  francesi,  che  dovean  venire,  a  rafforzarlo  aveva  scorato 

f       ■  e  diviso  la  combriccola  dei  baroni,  dalla  quale  avea  spiccato 

j  il  Bentivoglio  promettendogli  parentado  Seco  ;  tanto  che  ad  al- 

I  cuni  di  loro  nulla  parve  meglio  che  cogliere  a  volo  una  furba 

parola,  lanciata  in  aria  dal  Duca,  come  un'  occasione  per  pro- 
\  vare  di  far  capitoli  e  conciliarsi  con  lui. 

Con  un  salvacondotto  de'  Fiorentini,  a  mezzo  novembre. 
Paolo  Orsini  si  presentò  ràumiliato  al  Borgia.  Le  amorevo- 
lezze-infinite con  cui  questi  lo  accolse,  fecero  che  quegli  sen- 
tisse quasi  soddisfazione  e  baldanza  della  ostinata  fiacchezza 
sua.  Ma  come  mai  prestar  fede  al  breve  intercetto?  diceva  il 
Valentino;  sono  scritture  quelle  che,  quando  sien  vere,  si  spac- 
ciano pen  poste,  e  non  se  ne  studia  il  segreto'  e  non  si  ravvolgono 
in  cifre?  come  mai  il  Paglioni  cosi  sottile  non  vi  fiutò  dentro 
l'insidia  di  qualche  maligno,  che  voleva  nuocere  al. duca  e  a 
loro,  e  dividendoli  degli  animi,  far  deboli  quelli  che,  uniti,  sa- 
rebbero stati  invincibili,  come  la  più  bella  milizia  d'Italia? 
—  Queste  ragioni  al  vecchio  signore  di  Lamèntana  parvero 
egregie,  tanto  che,  più  della  stoltezza  quasi,  che  delle  offese  fu 
per  sentirsi  gravato.  Però,  passando  ad  arrecar  le  scuse  della 
malizia  sua  e  de' complici,  spiegava  com'era  andata  la  coàa 
della  ribellione  d'Urbino.  E  vedendo  che  il  Borgia  pareva  pro- 
prio aggradire  ch'egli  parlasse  aperto,  aggiunse  che  di  quella 
ribellione  essi  altra  colpa  non  avevano  che  dell'occasione  colta; 
perchè  i  mali  trattamenti  di  chi  aveva  preso  ad  amministrare 
quella  città,  le  angherie  del  generale  governatore,  di  Ramiro 
de  Lorqua,  avevano  provocato  a  dispetto  e  sollevato  que'  cit- 
tadini, ordinariamente ,  pacifici  "e  queti.  E  il  Valentino,  che 
sapeva  come  fra  Paolo  e  don  Ramiro  era  vecchio  rancore, 
mostrò  che  quelle  ragioni  gli  facevano  grande  impressione. 

1  Macbiavklli,  loc.  cit..  Leu.  52. 
'  Machiayelli,  loc.  cit.,  Lett.  53. 


Digitized  by 


Google 


8EC0«DoJ  IL  BORGIA  ADESCA  I  CONDOTTIERI.  251 

Insomma,  una  famosa  bozza  di  capitoli  fra  il  Borgia  e  i  con- 
dottieri, proposta  già  da  lunga  pezza,  ritocca,  ridotta,  accomo- 
data, fu  definitivamente  accettata  dal  duca,  come  un  ultimatum; 
«  se  la  volessin  cosi,  la  prendessino  che  non  era  per  fare 
altro  >.  1  —  Fra  le  condizioni  di  que'  capitoli  era,  ch'ei  non 
potesse  mai  costringerli  a  venire  alla  sua  presenza,  *  se  essi 
noi  volessero  di  buon  grado;  ch'egli  riavesse  Urbino;  Guìdu- 
baldo  pacificamente  ritenesse  le  fortezze  di  San  Leo,  di  Ma- 
jolo,  di  Sant'Agata,  la  protezione  di  San  Marino  ;  e  che  in  questi 
luoghi  potesse  portare  quanto  gli  piacesse.  Del  resto,  acco- 
miatando l'Orsini  con  dolcezza  di  parole,  con  doni  di  ricche 
vesti,  di  cavalli,  di  danari,  con  promesse  di  degni  compensi 
per  lui  singolarmente  e  pe'  compagni,  gli  diede  un  suo  genti- 
luomo spagnuolo,  il  Gorvalan,  che  l'accompagnasse  al  campo 
de'  collegati,  e  riportasse  ratificati  i  capitoli,  se  così  piacevano, 
ch'egli  poi  n'avrebbe  sollecitata  l'approvazione  dal  papa. 

Intanto  per  le  terre  dei  vicari,  corsa  la  voce  delle  trat- 
tative, si  vedeva  subito,  da  chiunque  fosse  fuori  dal  fascino 
borgiano,  a  che  fine  queste  avrebbero  menato.  Non  mancavano 
poeti  che  levassero  alto  la  voce  verso  i  malaccorti  baroni  della 
Magione  : 

«  MagnaDimi  signori  saggi  e  scorto 
Che  mossi  avete  i  passi  all'alta  impresa 
Seguite  quella  senza  più  contesa 
Or  che  vittoria  v*ha  aperte  le  porte. 

«  E  speronate  per  le  vie  più  corte 
Non  risguardando  che  vi  fia  distesa 
La  carta  bianca;  che  sotto  vi  è  tesa 
La  rete  per  donarvi  mala  sorte  ".  ' 

Il  Baglioni,  quando  udì  l'accordo  quasi  che  stretto,  corse 
da  Perugia  al  campo.  Trovò  nella  chiesa  fuor  di  Cartocceto 
Vitellozzo  insieme  cogli  altri  condottieri  stretti  a  deliberare  se  i 
capitoli  del  Borgia  fossero  o  no  a  sottoscrivere.  Il  Gorvalan 
aspettava  fuori,  sulla  porta  del  tempio.  La  soldataglia  stizzita 


>  Machiavelli,  Legazione  cit.,  Lett.  48. 

*  La  copia  di  questi  capitoli,  mandata  da  Machiavelli  ai  Dieci,  pubblicò  il  Passerini 
a  corredo- illustrativo  di  questa  legazione.  M.  Opp.  1.  cit.»  pag.  165  in  nota.  Il  ms.  urb., 
490,  già  citAto,  reca  un  estratto  di  questa  convenzione  che  contiene  qualche  differenza  dal 
testo  definitivo,  e  deve  esser  ricavato  dalle  bozze  dei  capitoli  preliminari.  Fra  gli  altri 
ci^itoli  ve  n'ha  uno  in  cui  si  stabilisce:  «  che  nessun  d'essi  (condottieri)  potesse  coman- 
dare, salvo  esso  proprio  Valentino,  né  fossano  obligati  d'obedire  altro  per  gran  personaggio 
che  fosse  ».  E  forse  in  questo  articolo  si  cela  il  risentimento  de'condottieri  italiani  contro 
ai  capitani  spagnuoli,  forse  Podio  particolare  di  Paolo  Orsini  contro  don  Ramiro. 

»  V.  Luioi  Fumi,  Alessandro  VI  e  il  Valentino  in  Orvieto^  Siena,  18T7,  pag.  lOO  e  segg. 
Sonetti  fatti  svtl  conto  del  Valentino  e  del  papa. 


Digitized  by 


Google 


232  C\PO  SECONDO.  [libro 

di  quelle  pratiche  fatali,  tentando  rompere  con  qualche  violenza 
sua  i  propositi  de' duci,  cominciò  a  gettare  insulti  contro  il 
cavaliere  spagnuolo.  Niente;  questi  rimaneva  freddo  in  attesa, 
e  non  fiatava.  ^  Il  Baglioni,  dentro  la  chiesa,  scongiurava 
tutti  a  rigettar  gli  accordi:  sapevano  con  chi  trattassero,  che 
fede  avessero  ad  aspettarsi;  se  non  erano  pazzi,  non  credessero 
che  all'armi  proprie  e  pronte.  Ma  gli  argomenti  risoluti  del 
Baglioni  arrivavano  quando  la  seduzione  di  Paolo  aveva  già 
fatto  troppo  cammino.  L'ossequio  de'  congiunti  era  per  l' Or- 
sini; il  resistere  al  papa  e  al  Valentino  pareva  a' condottieri 
affar  grosso;  l'aver  perduto  tempo  in  trattative,  errore  incor- 
reggibile; all'accordo  avrebber  voluto  poter  credere,  e  Paolo 
mostrava  loro  che  si  poteva.  Invano  la  plebe  scherniva  questo 
vecchio  credulo  e  scempio,  motteggiandolo  come  indegno  del 
nome  d' uomo,  chiamandolo  per  beffa  madonna  Paola.  *  Quando 
i  capitoli  si  firmavano,  il  Baglioni  gridò  Paolo  Orsini  causa 
della  rovina  di  tutti,  e  solo  dissenziente  partissi,  aggiungendo 
che  se  il  Valentino  volesse  lui,  se  l'andasse  a  tórre,  ma  con 
l'armi  e  a  Perugia. 

Il  Gorvalan  tornò  ad  Imola  con  la  ratifica  de'  capitoli 
e  con  buone  parole  di  tutti,  sforzandosi  persuadere  al  Valen- 
tino che  gli  sarebber  fedeli,  li  mettesse  pure  ad  ogni  impresa, 
e  al  paragone  di  chi  che  sia.  Il  duca  d' Urbino  era  abbando- 
nato da  tutti,  fuorché  dal  popolo  inerme.  Contento  di  portar 
con  se  l'amore  de'  sudditi,  parti  ;  disfatte  popolarmente  le  for- 
tezze di  Pergola  e  di  Gubbio;  acciò,  propugnacolo  degli  op- 
pressori, non  indugiassero.il  facile  ritorno  suo. 

Il  Borgia,  simulatore,  mostrava  godere  di  queste  conclu- 
sioni ;  la  lega  era  sciolta  ;  Vitellozzo  istesso  in  particolare  gli 
scriveva  lettere  piene  di  sommessione  e  di  riconoscenza,  dicendo 
che,  se  gli  parlasse  mai  a  bocca,  non  dubitava  di  non  giusti- 
ficarsi del  tutto,  e  di  non  persuaderlo  che  le  cose  seguite  non 
erano  stato  fatte  per  offenderlo.  «  Sua  Signoria,  prosegue  Nic- 
colò, si  piglia  ogni  cosa,  e  a  che  cammino  ella  si  vada,  non 
si  sa,  perchè  gli  è  diffìcile  intenderla  e  conoscerla.  E  avendo 
a  giudicare  questa  cosa  dal  fatto  in  sé,  dalle  parole  sue  e  da 
quelle  di  questi  suoi  primi  ministri,  non  se  ne  può  se  non  creder 
male  per  altri,  perchè  l' ingiuria  è  suta  grande,  le  parole  sue 


>  Bibl.  Vatic,  ms.  490  urbinate. 

>  Baldi,  Vita  di  Ouidubaldo  da  MontefeUro,  duca  d'Urbino,  libro  vii,  voLii,  pag.  58. 


Digitized  by 


Google 


MColcDo]  •  IL  MACHIAVELLI  IN  IMOLX.  25S 

e  quelle  d'altri  sono  sempre  sute  piene  di  sdegno  verso  di.  Vi- 
tellozio.  E  chi  mi  parlava  ieri  di  questa  cosa,  che  è  il  primo 
uomo  che  questo  Signore  abbia  presso  di  sé,  disse:  Questo  tra- 
ditore ci  à  data  una  coltellata,  e  ora  crede  guarirla  con  le 
parple.  —  E  andando  io  investigando  come  questo  signore  abbi 
a  pendere  in  questo  caso,  e  entrando  sotto  a  questo  tale,  che  io 
dico  esser  de' primi,  mi  disse:  Una  volta  noi  ce  ne  ande- 
remo  con  questo  esercito  verso  Urbino,  dove  non  si  dimorerà 
molto,  perchè  noi  siamo  di  ferma  opinione  che  ci  si  darà. nelle 
mani,  che  noi  non  saremo  a  Rimini,  e  tireremo  in  su  verso 
Perugia  o  verso  Castello, .  dove  ci  parrà.  Chiederemo  gli  al- 
loggiamenti dentro  nella  città,  come  gonfaloniere  di  santa 
chiesa,  e  come  a  terre  di  chiesa  ;  e  li  capitoli  non  dicono  che 
noi  non  abbiamo  alloggiare  con  l'esercito  del  papa  dove  lui 
vuole:  vedrassi  che  risposta  ne  fla  fatta  e  secondo  quella  ci 
governeremo  ».  ^  •      • 

Lo  scaltro  duca  lascia  intravedere  a  Niccolò  un  fine-  e  una 
opportunità.  Da  questo  punto  il  mandatario  fiorentino  non  si 
vede  più  passare  accanto  un  degli  Orsini  o  degli  altri  collegati 
della  Magione  che  non  gli  sembri  che  già  rendano  odor  di  ca- 
davere. Si  tratta  per  lui  d'assistere  ormai  a  una  scéna  sangui- 
nosa e  crudele;  se  questa  sia  per  capitare  a  un  convito,  im- 
naezzo  a  una  festa  di  nozze,  sotto  gli  archi  di  un  tempio,  tra 
cantici  religiosi  o  in  una  partita  di  caccia,  non  sa.  Egli  insiste 
nuovamente  per  aver  licenza  ;  ^  non  vuol  trovarsi  a  quel  punto 
in  cui  il  duca  scorra  «  i  giudei  da'  samaritani  » .  ^  Pier  Sede- 
rini gli  scrive:  «  il  tornar  vostro  sarà  presto,  come  desiderate  »  ^ 
ma  intanto  gli  tocca  restare,  e  restar  senza  danari. . 

«  Io  ó  avuto  dalle  Signorie  vostre  cinquantacinque  ducati, 
e  ne  ò  spesi  insino  ad"  qui  sessantadue:  tróvomi  in  borsa  set:te 
ducati  :  di  poi  mi  converrà  ubbidire  alla  necessità.  ^  —  Racco- 
mandomi  alle  Signorie  vostre,  e  di  nuovo  le  riprego  mi  man- 
dino da  poter  vivere,  che  avendo  tre  garzoni  e  tre  bestie  alle 
spalle,  io  non  posso  vivere  di  -promesse;  ó  cominciato  a  far 
debito,  è  infine  a  qui  ò  speso  settanta  ducati,  e  domandatene 
Niccolò  Grillo  tavolaccino  che  è  stato  meco.  Avrei  possuto  avere 
le  spese,  e  potre'  le  avere  dalla  Corte  ;  non   le  voglio  :  e  pel 

^  Machiavelli,  loc.  cit.,  Leu.  56. 
■  Magelax-bll/;  loc.  cit.,  Lett.  62. 

*  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  59. 

*  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  65. 

*  Idem  ibid.,  Lett.  69. 


Digitized  by 


Google 


S54  CAPO  SECONDO,  •  [l 

passato  me  .  ne  sono  valuto  poco,  parendomi  onore  di  vostre 
Signorie  e  mio  far  cosi  ;  e  andando  io  limosinando  quattro  du- 
cati, e  tre  ducati,  pensino  vostre  Signorie  come  io  lo  fo  di  buona 
voglia  >.  —  Ma  il  duca  si  muove  da  Imola,  e  a  Niccolò  tocca 
seguirlo  a  Gastrocaro  e  a  Cesena  :  i  propositi  del  Borgia  s'accon- 
ciano ogni  di  meglio  coi  fatti  ;  la  catastrofe  approssima  ; .  e  Nic- 
colò insta  ancora  perchè  lo  faccian  tornare,  ma  gli  ripetono 
i  Dieci  «  vogliam  che  lo  seguiti  ».^  Da  Cesena  non  s'indovina 
più  dove  il  duca,  sia  per  dirizzarsi,  si  parla  d'andare  a  .Rimini, 
ma  frattanto  ecco  una  sorpresa  che  «  manda  il  cervello  sot- 
tosopra a  tutta  la  corte  ».  *  ì 

Stando  in  palazzo  una  sera,  Niccolò  vede  passare  ristretti 
insieme  i  capitani  francesi  delle  lance  ausiliarie  ch'erano  col 
Valentino.  Andavano  dal  duca,  e  già  prima  d'entrare  face- 
vano atti  e  gesti  alterati,  come  per  grande  novità.  Due  giorni 
dopo  le  lance  francesi  che  eran  col  Borgia,  eccetto  poche,  ri- 
maste con  monsignor  d'Albret,  cognato  di  lui,  licenziate  par- 
tivano. —  «  Questa  partita,  com'elia  è  suta  subita  e  inestimata, 
cosi  à  dato  e  dà  che  dire  a  ciascuno,  e  ogni  uomo  fa  sua  ca- 
stellucci  ». 

Era  questo  un  indizio  di  rottura  fra  il  re  di  Fran<;ia  e  i 
Borgia?  a  chi  faceva  utile  quella  partenza?  lo  Chaumont  che 
appariva  richiamar  quell'armi  in  Lombardia,  n'aveva  commis- 
sione dal  re  o  simulava  «  intendere  qualche  movimento  di  verso 
Lamagna?  »  ^  Il  Machiavelli  cerca  d' intenderne  la  cagione  pro- 
babile.... «  ò  parlato  con  questi  primi:  tutti  mi  anno  detto  che  '1 
duca  non  li  posseva  più  sopportare,  e  che  tenendogli,  gli  davono 
più  noia  l'arme  degli  amici  che  quelle  de'  nimici  »'*  Niccolò  per 
chiarirsi  di  questo  fatto  cerca  udienza  dal  duca;  ma  quegli: 
<  non  scade  per  ora  »,  gli  fa  rispondere;  ringrazia  il  segre- 
tario; occorrendo  lo  farà  chiamare.  ^  Lo  stesso,  giorno,  a  ore  di- 
ciotto di  sera,  manda  a  cercare  quel  Ramiro  de  Lorqua,  suo 
maggiordomo,   che  con  titolo  di  governatore   e  luogotenente 

»  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  76. 

«  Machiavelli,  ibid,,  Lett.  77. 

>  V.  Dispacci  di  Gianvittorio  Soderini,  pabblicati  dal  Villari,  pag.  509  e  seg.,  in  App., 
vpl.  1,  ai  Dispacci  del  Giustiniani. 

*  Da  Cesena  a*  14  dicembre  scriveva  il  Machiavelli  :  «  E  possono  immaginare  le  S.  V. 
come  le  cose  vanno,  e  come  le  sono  ite  ad  Imola,  dove  è  stata  la  corte  tre  mesi,  e  dna 
tutto  questo  esercito,  che  anno  consumato  infino  a*  sassi  ;  e  ueramente  quella  cHtà  e  poi 
tutto  questo  paese  à  fatto  prova  della  bontà  sua  e  di  quello  che  può  sopportare  ;  e  dico 
questo  alle  Signorie  Vostre,  acciocché  Io  intendine  e'  Francesi  e  tutti  gli  altri-  soldati  non 
essere  altrimenti  fatti  in  Romagna,  che  si  sieno  suti  in  'Toscana,  ecc.  »  — 

<  Machiavelli,  ibid.,  Lett.  84. 


Digitìzed  by 


Google 


sccoNDo]  SUPPLIZIO  DI  DON  RAMIRO.  255 

generale,  aveva  per  lui  ferreamente  governato  le  città  di.  Ro- 
magna, ottenendo  merito  d'aver,  ricondotto  giustizia,  biasimo 
d'aver  punito  con  crudeltà;  quel  Ramiro  di  cui  gli  aveva  par- 
lato l'Orsini.   Avutolo  a  lui  gli  notifica  che  si  vuol  «  valere 
della  vita  sua  »  e  lo  imprigiona.  All'alba  del  terzo  giorno,  nella 
piazzetta  fra  la  cittadella  e  la  rocca,  il  capo  del  de  Lorqua 
fitto  a  una  lancia,  il  tronco  del  corpo  disteso  sopra  una  stuoia, 
vestito  ancora  delle  sue  nobili  v^sti,  era  spettacolo  al  popolo. 
La  cagion  del  supplizio  nessuno,  la  sapeva,  tutti  la  fanta- 
sticavano: forse  per  aver  punito  urla  volta  un  Tiberti,  ch'era 
de' fautori  del  duca:  o  per  avere  irritato  con  crudeltà  il  po- 
polo: 0  per  aver  attentato  alla  pudicizia  di  madonna  Lucrezia- 
forse  perchè  aveva  provvisione  dal  Bentivoglio,   dagli  Orsini, 
da  Vitellozzo  contro  del  Borgia?  * 

Tutto  questo  dicevasi;  ma  Niccolò  Machiavelli  riassume 
in  una  sola  la  causa  della  mostruosa  morte  di  lui  :  «  li  è  pia- 
ciuto còsi  al  principe,  il  quale  mostra  di  saper  fare  e  disfare 
li  uomini  a  sua  posta,  secondo  e'  meriti  loro  ».  *  Questa  morte 
èra  un  artificio  scaltrissimo  del  Valentino  con  cui  questi  si 
conciliava  il  popolo,  e  lusingava  chi  voleva  accalappiare. 

Niccolò  segue  il  duca  a  Pesaro,  quindi  a  Fano,  ove  gli 
vien  fatto  di  avvicinarlo.  La  segretezza  del  cancelliere  fioren- 
tino aveva  ottenuto  confidenza  dal  misterioso  Borgia  più  che 
quegli  non  volesse.  Grande  espettazione  suU'indòmanj  gli  lascia 
il  duca  e  si  prepara  a  cavalcar  coU'esercito  a  Sinigaglia;  quivi 
l'aspetta. 

Il  Borgia,  come  per  dar  caparra  d'animo  ricopciliato  e  per 
convalidazione  dell'accordo,  morto  don  Ramiro,  scrive  a  Vitel- 
lozzo che  distenda  i  soldati  suoi  dall'Esine  a  Sinigaglia,  ch'ei   • 


1  Cf.  Al^si,  Cesare  Borgia,  pag.  353  e  seg.  E  stil  governo  delle  città  di  Romagna  , 
fatto  dal  De 'Lorqua,  il^id.,  pag.  231-233,  249-251.  Laverà  causa  deiraccisione  di  lui  è  in- 
dicata dal  codice  urb.  -940  della  Biblioteca  Vaticana,  secondo  il  quale  abbiamo  in  gran 
parte  condotta  la  narrazione  nostra,  per  quel  che  riguarda  i  fatti  dei  condottieri.  A  pag.  75-t 
del  medesimo  si  legge  :  «  et  così  (Paulo  Ursino)  excusata  la  ribellione  del  Stato  d' Urbino, 
nedendo  chel  Valentino  gli  prestava  gratissima  audientia,  prese  animo  et  dette  del  tutto  colpa 
a  Kamirro  suo  general  governatore,  col  quale  esso  Paulo  teneva  qualche  controversia  et 
rancore,  calumnia^dolo  che  la  superbia  da  lui  usata  cum  li  capi  et  altri  soldati,  li  crudi 
et  seueri  modi  che  hauea  tenuti  nel  governo  di  vasalli  senza  rispetto  né  humanitate  alchuna, 
haaea  nei  popoli  generata  disperation  tale,  che  di  qui  erano  nati  molti  mali  animi  contra 
d*esso  Valentino,  lì  quale  mostrando  d'accettare  tutte  le  causo  a  excusation  propostegli 
e  che  gli  fusse  stato  gratissimo  d'intendere  quanta  gli  hauea  detto  di  Ramirro,  gli  rispuose. 
che  presto  di  lui  et  loro  et  li  popuU  ne  resteriano  soddis^aUi.  Et  posti  li  capitoli  in  scriptura, 
con  molta  larghezza  Io  licentiò  ».  7-  È  chiaro  da  ciò  come  colla  morte  di  don  Ramiro  il 
Borgia  tendesse  a  due  Ani  :  propiziarsi  i  popoli  e  dare  una  lustra  di  soddisfazione  ai  baroni. 
«  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  82.  —  Principej  cap.  vii. 


Digitized  by 


Google 


«56  .     CAPO  SECONDO.  [libbo 

vorrà  consultare  coi  condottieri  se  sia  da  risolvere  l'imprésa 
d'Ancona.  La  vicinanza  di  Sinigaglia  era  gran  tentazione  per 
Oliverottó  Euffreducci, .  il  quale  odiava  i  Della  Rovere,  che 
pochi  anni  prima  aveva  offesi.^  Quella  città  si  teneva  dalla 
madre  dell'undicenne  Francesco  Maria,  prefettessa  di  Roma, 
pel  figliuolo  scampato  in  Francia  agli  artigli  borgiani;  strap- 
pargliela sarebbe  stato  gran  desiderio  d'Oliverotto.  Si  va  air 
l'assalto  e  da  Pesaro,  in  una  lettera  che  non  ci  fu  conservata, 
il  Machiavelli  partecipa  a'  Dieci  la  resa  della  città,  che  aveva 
avuto  luogo  a'  di  26  del  dicembre;  ma  la  fortezza  teneva  ancor 
saldo,  affermando  Andrea  Doria,  che  n'era  castellano,  non  vo- 
lerla dare  se  non  nelle  mani  del  Borgia. 

A  quella  volta  poteva  pertanto  il  Valentino  cavalcare  senza 
generare  sospetti  ne'  condottieri,  i  quali  lo  àvean  sollecitato  ad 
avvicinarsi,  per  ottenere  il  castello.  Ei  vi  muove  non  con  grande 
apparato  di  forze;  le  lance  francesi  non  sono  più  con  lui;  le 
armi  che  à  seco  pare  procedano  lungo  la  marina  senza  ordine 
di  marcia;  i  carri  vanno  innanzi  alla  sfilata.  Ma  ben  aveva  egli 
sulle  sei  del  mattino  rassegnate  le  sue  genti  in  riva  al  Metauro; 
disposto  l'antiguardo  e  il  retroguardo,  dato  ordini  particolari  a 
suoi  fidati.  ^  A  Sinigaglia  trovava  Paolo  e  Francesco  Orsini, 
trovava  l' Eufi'reducci,  «  Vitellozzo  el  di  avanti  era  venuto 
da  Castello  In  quelle  parti  »  ;  ^  tutti  gli  concorrono  in  pugno  i 
suoi  nemici,  ed  ei  tutti  gli  afferra. 

Il  Machiavelli,  arrivando  a  Sinigaglia,  apprende  come  il 
terribile  duca  à  colto  l'occasione  sua.  Vede  tumulto  d'armi, 
ferocia  di  soldatesche  per  tutto.  I  borgiani  s'guinzagliati  pre- 
dano la 'città,  tagliano  a  pezzi  le  genti,  dell' Euffreducci.  Circa 
a  ore  ventitré  del  giorno  la  terra  va  tuttavia  a  sacco,  e  il  se- 
gretario fiorentino  è  in  travaglio  grandissimo;  non  sa  se  potrà 
spedir  lettere  a  Firenze,  per  non  trovar  chi  si  parta;  ma  egli 


^  Bibl.  Vat.,  Cod.  urb.  490,  pag.  83-t:  «  Haueaa  Lìuerotto  per  alchuni  anni  prima  De- 
cìso in  le  città  di  Fermo  Raphael  dalla  Rouere,  nepote  di  Gioan  prefetto,  per  il  che  con- 
sapeuole  deirodio  che  gli  portaua  la  casa  della  Rouere,  voluntiere  ìilloggiava  cum  la  fan- 
teria propinquo  a  Senogaglia,  anch*  iui  sperando  bona  occasione  da  posser  di  nuovo  dimo- 
strargli gli  effetti  della  nemicitia  sua  ».  Cf.  Baldi,  Vila  di  Quidubald^  da  MontefeUrp^ 
lib.  VII,  t.  2*^,  pag.  72. 

*  Ms.  urb.  490,  pag.  84:  «  In  Senogaglia  è  certa  casa  già  di  Bernardino  da  Parma,  in 
la  quale  salendosi  dalla  porta  principale  s'arriva  in  sala,  et  per  di  li  s' intra  in  alchune 
altre  stanze,  di  dove  disciendendosi  per  l'altro  lato  appare  una  altra  uscita  fuora.  Questa 
da  don  Michele  conscio  della  voluntà  del  patrone  et  a  cui  era  data  la  cura  d'exeguir  il 
tutto,  fu  provveduta  per  alloggiamento  del  Valentino,  il  quale  partito  da  Gesena  comin- 
ciava cum  la  gente  stretta  prossimarsi  a  Senogaglia  ». 

>  Machiavelli,  Legazione  al  Valentino,  Lett.  86.  . 


Digitized  by 


Google 


■BCONDO]  MORTE  DE'  CONDOTTIERI.  257 

vuol  che  i  suoi  signori  sappiano  il  fatto  subito  :  lo  scaltro  duca 
à  reso  buon  servigio  alla  repubblica,  questa  non  à  più  che 
temere  da'  condottieri.  «  Fecionsegli  intorno,  ed  entrato  eh'  e'  fu 
con  loro  accanto  nella  terra,  si  volse  alla  sua  guardia  e  fé- 
cegli  pigliare  prigioni  »....  «  e  secondo  la  mia  opinione,  scrive 
Niccolò,  e* non  fieno  vivi  domattina  ».  ^  Infatti  alle  ore  dieci 
della  notte  Vitellozzo  e  Oliverotto  morivano,  torcolati  *  e  da 
vili,  «  perchè  Vitellozzo  pregò  che  si  supplicassi  al  papa  che 
gli  dessi  de' suoi  peccati  indulgenza  plenaria;  e  Liverotto  tutta^ 
la  colpa  delle  iniurie  fatte  al  Duca,  piangendo,  rivolgeva  ad- 
dosso al  Vitellozzo  ».5 

A  due  ore  di  quella  stessa  sera  il  rumore  del  saccheggio 
non  era  chetato  ancora,  e  Niccolò,  mandato  a  chiamare  dal 
Valentino,  lo  vedeva  andargli  incontro  «  colla  miglior  cera 
del  mondo  »  e  rallegrarglisi  di  questo  successo  «  dicendo  auer- 
mene  parlato  el  di  d'avanti,  ma  non  scoperto  el  tutto,  com'era 
vero.  ^  Soggiunse  poi  parole  savie  e  affezionatissime  sopra  modo 
verso  cotesta  città  ».  — -  «  Concluse  in  ultimo  che  io  per  sua 
parte  scrivessi  tre  cose  alle  Signorie  Vostre.  La  prima,  che 
io  mi  rallegrassi  con  quelle  del  successo,  per  avere  spento  i 
nemici  capitalissimi  ad  el  re,  ad  lui  e  ad  Voi,  e  tolto  via  ogni 
seme  di  scandolo,  e  quella  zizzania  che  era  per  guastare  Italia; 
di  che  Vostre  Signorie  ne  dovevono  avere  obbligo  seco  ».  * 
In  secondo  luogo  voleva  fanti  da' Fiorentini  per  andare  a  fe- 
rire verso  Città  di  Castello  o  verso  Perugia;  voleva  finalmente 
che  quando  il  duca  d' Urbino,  che  era  a  Città  di  Castello,  ^  si 
rifugiasse  in  territorio  fiorentino,  lo  detenessero.  —  «  E  di- 
cendo io  che  non  sarebbe  della  dignità  della  città  che  quelle 

>  Machiavelli,  Ioc.  cit.,  Lett.  84. 

*  Così  dicevasi  di  chi  moriva  strangolato  «  cum  certo  lacciolo  al  collo  che  cosi  valen- 
tineschi  alhor  usavano  ».  —  Bibl.  Vat.,  ms.  urb.,  cìl. 

Machiavelli,  ibidem.  E  il  m^.  urbinate,  a  pag.  84:  «Et  (Vitellozzo)  fatto  chiamare 
il  confessore  dimandò  venia  a  iddio  di  gli  error  suoi,  et  l'istessa  sera  ch'el  fu  preso,  lochato 
presso  il  fuocho  in  uno  schanetto,  insiem  cum  Liuerotto,  il  qua!  non  vuolse  confessarsi,  fa 
torculato  et  morto  »  ecc. 

>  Machiavelli,  Deaerigione  del  modo  tenuto  dal  duca  Valentino  neW ammazzare  Vi- 
te llozzo,  ecc. 

*  Machiavelli,  Ioc.  cit.,  Lett.  86. 
'  Machiavelli,  ibidem. 

*  Quando,  in  seguito  a' capitoli  stretti  tra  Cesare  Borgia  e  i  condottieri,  Ouidnbaldo 
•bbe  a  lasciar  nuovamente  Urbino,  confortati  i  suoi  popoli,  smantellate  le  fortezze,  n'andò 
condotto  sopra  una  bara,  per  esser  malatissimo  di  podagra,  a  Città  di  Castello,  accompa- 
gnato da  Giulio  Vitelli.  «  Fu  opinione  che  Vitellozzo  in  necessità  della  sua  salute,  venendo 
il  caso,  designasse  di  darlo  prigione,  o  vero  che  in  la  perdita  di  nemici  pensasse,  col  libe- 
rarlo, guadagnarsi  parte  del  stato  d'Urbino,  et  però  che  più  presto  prigione  che  libero  lo 
facesse  portare  a  Castello  ».  —  Ms.  urb.  cit.,  pag.  83- 1. 

ToMMASiifi  -  Machiavelli.  18 


Digitized  by 


Google 


«58  CAPO  SECONDO.  [l 

liene  dessino  preso,  e  che  voi  noi  faresti  mai,  rispose  eh*  io 
parlavo  bene,  ma  che  li  bastava  che  Vostre  Signorie  lo  tenes- 
sino,  né  lo  lasciassino  se  lui  non  se  ne  accordava.  Rimasi  di 
scrivere  tutto:  e  lui  ne  aspetta  risposta  ». 

A  questo  punto  restiamoci  un  tratto  per  considerare  Nic- 
colò sotto  un  duplice  e  diverso  punto  di  vista.  Il  mandatario 
della  repubblica  nella  terribile  legazione  di  Romagna,  come 
testimonio  di  veduta,  è  il  fonte  storico  principalissimo  da  cui 
si  leva  notizia  dei  particolari  della  strage  sinigagliese.  Infor- 
mazioni venete,  croniche  provinciali,  ragguagli  privati  di  seconda 
mano  possono  essergli  posti  a  fronte,  ma  non  pretendere  ad 
autorità  più  grande.  Niuno  più  di  lui  vide,  ninno  praticò  come  lui 
0  fu  meglio  in  grado  di  conoscere  quelle  persone  e  quelle  cose 
da  vicino,  di  congetturare  con  maggior  probabilità  il  vero.  Se 
non  che,  quando  il  segretario  divien  poi  raccontatore,  quando  in 
luogo  di  scrivere  ofBcialmente  il  fatto  giornaliero,  espone  Tawe- 
nimento  per  disteso,  secondo  V  impressione  che  dopo  certo  tempo 
glien'è  rimasta  nell'animo  e  nella  fantasia,  allora,  per  valutare 
la  portata  delle  divergenze  fra  i  particolari  dell'una  narra- 
zione e  dell'altra,  non  è  inutile  il  parallelo  di  queste  colle  altre 
relazioni  contemporanee.  Che  a  noi  pervennero  due  narrazioni 
di  Niccolò,  le  quali  danno  contezza  della  presura  dei  con- 
dottieri; ma  queste  distano  tutte  e  due  dal  fatto  d'un  certo 
e  diverso  intervallo  di  tempo. 

Dalla  prima  lettera  da  noi  citata,  scritta  in  mezzo  a' tumulti 
del  sacco  che  le  genti  ducali  davano  a  quelle  di  Oliverotto 
e  a  Sinigaglia;  da  quella  prima  lettera  breve  in  data  dell'ul- 
timo di  dicembre,  sino  a'  dì  9  di  gennaio  lamentavano  i  Dieci 
di  non  aver  ricevuto  avviso  da  Niccolò  delle  cose  quivi  suc- 
cesse. Egli  se  ne  giustifica:  «  li  uomini  prudenti,  come  sono 
le  Signorie  Vostre,  sanno  che  non  basta  fare  el  debito  suo, 
ma  bisogna  avere  buona  sorte;  e  volentieri  manderei  ad  Vostre 
Signorie  la  copia  di  tutte  le  lettere  scritte  da  me,  se  io  me 
le  trovassi  appresso;  ma  non  le  avendo,  cagione  del  tempo  e 
dei  luoghi  ove  mi  sono  trovato,  replicherò  tutto  brevemente. 
A  dì  ultimo  del  passato  scrissi  dna  lettere,  Tuna  breve,  data 
ad  23  ore,  contenente  la  presura  di  quelli  Orsini  e  Vitelli; 
l'altra  lunga  contenente  particolarmente  el  caso  successo,  e 
quello  che  mi  aveva  parlato  el  duca  ». 

Questa  seconda  lunga  lettera,  se  pure  pervenne  a  Firenze, 
non  arrivò  sino  a  noi,  non  entrò  nel  possesso  della  storia;  che  non 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  DUE  NARRAZIONI  DEL  MACHIAVELLI.  859 

può  per  fermo  esser  quella,  di  cui  un  frammento  autografo  ci  ri- 
mane nella  Biblioteca  Nazionale  fiorentina;  ^  e  non  può  nemmeno 
esser  copia  di  quella,  poiché,  come  il  Machiavelli  confessa,  copie 
ebbe  la  prudenza  di  non  serbarne.  Questa  invece  fu  scritta  per 
fermo  dopo  i  di  tredici  di  gennaio,  quando  appena  Iacopo  Sai- 
viati,  nuovo  ambasciadore  eletto  da' Fiorentini  presso  al  Borgia, 
potè  andare  ad  occupare  il  posto  di  Niccolò,  e  prima  che  Niccolò 
si  spiccasse  dal  Valentino.  Infatti  il  germe  primitivo  di  narra- 
zione ordinata  e  formale  che  in  questo  scritto  già  si  osserva, 
risente  tuttavia  di  certa  ambiguità  che  è  frutto  della  condizione 
ambigua  in  cui  il  Machiavelli  si  ritrovava  ancora.  Egli  non  è 
più  oratore,  ma  non  è  ancora  lontano  dalla  corte,  ne  lungi 
dall'occhio  del  duca.  Egli  non  sa  come  capiterà  quel  suo  scritto, 
né  chi  avrà  a  leggerlo;  egli  teme  che  non  vada  alle  mani  di 
chi  rattenne  già  l'altre  lettere,  di  chi  forse  va  tentando  la  fede 
sua.  Pertanto  gli  occorre  ponderare  con  cautela  ogni  frase;  re- 
primere l'opinione  propria,  tacere  quelle  ipotesi  che  gli  sanno 
più  naturali,  più  rispondenti  a'  fatti;  dar  per  vere  quelle  ciance  che 
il  Valentino  gli  aveva  insinuate  e  ch'egli  aveva  mostrato  di 
credere,  allegare  quelle  falsità  d'asserzioni  con  cui  il  Borgia 
voleva  far  comparire  giusta  una  cattura  fatta  a  tradimento, 
quelle  accuse  che  aveva  sparse  colle  patenti  ducali  e  fatte  ri- 
petere dovunque  arrivava  la  sua  fortuna.  ^  <  E  perchè  costoro 
pensavono  di  potere  sforzare  el  duca,  era  necessario  che  lui 
pensasse  di  sforzare  loro  ».  —  Cosi  Niccolò,  per  allora.  Più 

^  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  i,  n.  19.  Questo  egregiamente  già  rilevò  il  Nitti,  Machia^- 
VéìU  nella  vita  e  nelle  dottrine,  voi.  z,  pag.  187,  in  nota,  osservando  come  neiredixione 
Passerìni'Milanesi  quel  frammento  non  sia  stato  inserito  con  corretto  ordine  cronologico, 
dopo  la  lettera  in  data  «  die  ultima  decembria  ». 

*  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  8-1.  «....  le  patenti  che  si  scrivono  attorno,  dicono  di 
aver  presi  e'traditori  suoi  ».  —  Antonio  Giustinian,  Dispacci,  ed.  Villari,  t.  i,  pag.  304. 
«  E  comeiuò  a  dir  (il  papa)  che,  essendo  già  sentenziato  a  morte  Remiro,  disse  voler  far 
intender  al  Duca  alcune  cose  per  suo  descargo,  e  li  significò  come  aveva  ordine  con  li  Or- 
sini de  darli  la  terra  de  Cesena,  il  che  non  essendo  Keguito,  per  l'accordo  che  nascette  per 
la  Excellentia  soa  et  questi  Orsini,  Vitellozzo  se  aveva  disposto  de  far  ammazzar  el  Duca 
e  che  a  questo  era  consenziente  Oliverotto  da  Fermo  (de  li  altri  non  nominò  alcuno)  ;  e 
non  li  parendo  aver  altro  modo  de  far  l'effetto,  aveva  ordine  con  un  balestrier  che,  ca- 
valcando el  Duca,  lo  dovesse  tuor  de  mira  et  ammazzarlo  con  la  balestra.  Il  che  inteso, 
el  Duca  se  tenne  in  gran  custodia,  e  mai  non  se  cavò  le  arme  de  dosso  fina  ch'el  non  fu 
a  Senigagia  ».  —  «  El  Duca  li  fece  retegnir:  et  subito  dette  principio  a  far  el  processo 
contra  Vitellozzo,  el  qual  de  plano  confessò  esser  vero  tutto  quello  che  Remiro  aveva  de- 
posto de  lui,  e  confessò  che  Oliverotto  li  tegniva  mano  al  trattato  :  per  il  che  il  Duca  li 
ha  fatti  decapitar  tutti  do  ».  —  V.  la  Cronaca  di  Fileno  delle  Tuate,  citata  dall'ÀLvisi, 
op.  cit.,  pag.  356.  —  "NgWa  Lettera  d' Isabella  d'Estb  al  marchese  di  Mantova,  a*  di  10 
cannaio  1502-3  :  «  La  me  scrisse  che  lo  illustrissimo  segnor  Duca  de  Romagna  se  congra- 
tulava cum  il  signor  Zuane  Bentivoglio,  suo  socero,  de  la  presa  haueua  facto  in  Sinega- 
gWsL  de  le  persone  del  signor  Paulo  Orsino  Vitelozo,  duca  di  Oravina  et  Levorato  da  Fermo, 
cum  iustiflcare  tale  captura  :  che  non  obstante  la  aperta  et  notoria  rebelione  per  loro  facta 


Digitized  by 


Google 


«60  CAPO  SECONDO.  [mbbo 

tardi  poi,  quando  niun  rispetto  particolare  lo  lega  a  colui, 
presso  il  quale  fu  mandatario  della  sua  repubblica,  sciolto 
dalla  necessità  di  mostrar  fede  alle  parole  di  quel  <  grandis- 
simo simulatore  »,  di  tacere  tutto  quanto  sapeva  per  confi- 
denza, scopre  trama  e  ordito;  racconta  come  fin  da' di  trenta 
decembre  il  Borgia  aveva  comunicato  <  il  disegno  suo  a  otto 
de'  suoi  più  fidati  »,  com'egli  aveva  consegnato  «  l'uomo  certo 
all'uomo  certo  ».  ^  —  Egli  può  allora  dir  francamente  come 
aveva  trovato  il  duca  in  Imola  «  pieno  di  paura  »;  non  prima, 
quando  gli  era  mestieri  «  usar  con  lui  parole  che  non  lo  al- 
terassino  »,  ^  quando  gli  conveniva  fargli  complimento  :  «  sempre 
io  lo  avevo  fatto  vincitore,  e  se  il  primo  di  io  avessi  scritto 
come  la  intendevo,  e  ora  lo  leggessi,  la  gli  parrebbe  una  pro- 
fezia ».  E  quando  scrive:  «  Guidubaldo  duca  di  Urbino  di 
nuovo  si  fuggi  a  Venezia  »  mentre  a  quei  giorni  il  Montefeltro 
si  trovava  invece  a  Città  di  Castello,  questo  è  probabile  ar- 
gomento a  poter  indurre  che  la  Descrizione  del  modo  tenuto 
dal  duca  Valentino  nello  spegnere  i  baroni  fu  scritta  dopo  che 
del  ricovero  del  Montefeltro  a  Venezia  s'aveva  piena  e  uni- 
versale certezza.  Prima  non  era  facile  conoscere  dove  quegli 
si  celasse  al  papa  e  al  Valentino,  che  lo  braccavano.  Fuggito 
da  Città  di  Castello,  condottosi  a  Siena  dove  non  aveva  tro- 
vato recapito,  dicevasi  si  fosse  per  cinque  giorni  rifugiato  a 
Pitigliano;  ^  Isabella  d' Este  a'  10  di  gennaio,  a  proposito  di 
lui,  scriveva  :  «  la  persona  del  duca  de  Urbino  non  se  intende 
anchora  dove  se  ritrovi;  ma,  per  quanto  se  crede,  era  prima 
levato  da  Cita  de  Castello  per  la  via  de  Casentina;  et  Modesto 
cavallaro,  venuto  da  Venetia,  dice  che  là  era  fama  esser  re- 
ducto  in  loco  salvo,  et  che  presto  se  ritroveria  in  Venetia;  ^ 
ma  di  questo  né  da  la  duchessa  né  da  altri  ò  alcuna  cosa  ». 
—  Di  soprappiù,  in  quest'  ultima  Descrizione  Niccolò  incorpora 
alcuni  episodi  relativi  a  Vitellozzo,  che  Piero  Ardinghelli,  com- 
missario a  Castiglione  Aretino,  aveva  accolto  in  un  suo  dispaccio 
a'  Dieci  de' 3  gennaio,  raccontatigli  da  un  fra  Galasso,  france- 

ali  di  passati  contra  la  Santità  di  N.  S.  et  sua  Ex.,  et  la  remissione  factagli,  di  novo 
haa^ndo  intesa  la  partita  de  la  giente  francese, ' ritornate  a  li  alloggiamenti  suoi;  sotto 
specie  de  ajuto  a  la  impresa  de  Sinegaglia,  cum  tutto  il  loro  potere  erano  venuti  per  pi- 
gliare Sua  Excellentia;  il  che  ha  lei  inteso,  gli  haueua  prevenuti,  et  facto  a  lor  quello  vo- 
levano fare  a  lei  ». 

^  Machiavelli,  Descrizione  del  modo  tenuto  dal  Vaientino,  ecc. 

>  Machiavelli,  Legazione  al  Valentino,  Lett.  50. 

>  A.  OiusTiNiAN,  Ditpaeei,  ediz.  Villarì,  t.  i,  pag.  340-354. 
*  Archivio  Btor.  it.,  App.  n,  serie  H,  pag.  265. 


Digitized  by 


Google 


SBCOPTOO]  TRADIMENTO  DI  SINIGAQLIA,  861 

scano,  1  che  andava  oratore  de'  Perugini  alla  Signoria.  E  mentre 
nell'altra  sua  lettera,  descrivendo  Vitellozzo,  Niccolò  non  fa  che 
riferire  quel  che  aveva  potuto  attingere  sul  luogo  dell'azione, 
e  lo  rappresenta  <  in  su  una  muletta,  disarmato,  con  una  gab- 
banella indosso  stretta,  nera  e  logora,  e  di  sopra  uno  gabbano 
nero  foderato  di  verde;  e  chi  lo  avesse  veduto  non  avrebbe 
mai  giudicato  che  fussi  colui  che  due  volte  quest'anno  sotto 
e' suoi  auspicii  aveva  cerco  cacciare  el  re  di  Francia  di  Italia  »; 
nella  Descrizione  aggiunge:*  «  si  dice,  che  quando  e' si  parti 
dalle  sue  genti  per  venire  a  Sinigaglia,  per  andare  incontro  al 

^  Di  qaesto  fra  Galasso  tace  il  Matebazzo  nelle  Cronache  di  Perugia;  parla  di  lui 
il  Cbistofanz  nelle  Storie  d'Atsiti,  voi.  ii,  pag  215,  come  di  quello,  a  cui  istigazione  i  frati 
di  San  Francesco  irruppero  nel  chiostro  delle  Clarisse  a  cacciare  vituperosamente  i  frati 
del  b.  Amedeo,  messivi  dal  vescovo  Coniugi  a  riformar  la  disciplina  monastica  assai  rilas- 
sata. Ecco  il  dispaccio  delPArdlnghelli,  pubblicato  ne' Manoscritti  Torrigiani  donati  al 
JR.  Archivio  di  Stato  in  Firenze,  Cellini,  1878,  pag.  13:  «  Siamo  a  Zi  bore,  et  qui  ò  capi- 
.tato  un  maestro  Galasso  frate  conventuale  di  San  Francesco,  qual  dice  essere  imbascia- 
dore  della  Comunità  di  Perugia  a*  nostri  Excelsi -Signori,  et  hammi  mostro  le  lettere  di 
credentia.  Afferma  del  certo  la  morte  del  Vitellozo,  signor  Favolo  Orsino,  Duca  di  Gravina, 
et  messer  Liverotto.  Il  quando,  si  dice  essere  stato  sabato  ;  et  in  questo  modo,  che  essendo 
il  duca  Valentino  entrato  in  Sinighaglia,  venne  a  lui  il  signor  Pauolo  Orsino,  scusando 
Vitellozo  et  li  altri  che  per  sospecto  haueuono  della  sua  Excellentia  non  si  volevono  ra- 
presentare.  Dice  che  il  Duca  con  lieta  faccia  mostrò  maravigliarsi  di  questa  dilfldentia,  et 
commiseli  subito  andassi  a  trovarli,  et  per  sua  parte  dicessi  loro  che  e*  venisseno  ad  ogni 
modo,  perchè  e*  li  vedeva  volentieri  ;  et  che  le  iniurie  erano  perdonate.  Andò  el  signor 
Paulo  ad  trovare  e*  prefati  signori,  et  per  parte  del  Duca  expose  loro  la  imbasciata  ;  et 
molto  li  exortò  et  pregò  al  condure  in  Sinighaglia.  Vitellozo  che  era  el  più  duro,  si  volse 
ad  uno  suo  allevato,  chiamato  Cesare,  et  dixe  :  Io  ti  racchomando  questi  mia  nipoti,  perchè 
io  conosco  andare  alla  morte;  et  poi  che  cosi  vi  piace,  io  sono  contento  vivere  et  morire 
con  chi  m' ha  conlegato  la  fortuna.  Partironsi  et  con  pochi  cavalli  si  transferirono  in  Si- 
nighaglia; et  scavalchati,  n'andorono  allo  alloggiamento  del  Duca.  El  quale,  inteso  la  ve- 
nuta loro,  si  fece  incontro  ;  et  come  li  furono  innanzi,  si  volse  alla  guardia  sua  et  ad  altri 
deputati,  e  gridò  forte  :  amaza  amaza  e'  traditori.  Le  S.  V.  possono  pensare  che  e*  mancò 
luogho  alle  ferite  ».  Il  ms.  urbinate  della  Biblioteca  Vaticana,  da  noi  spesse  volte  citato, 
reca  particolari  della  narrazione  che  combinano  egregiamente  con  quelli  introdotti  nel  rac- 
conto del  Machiavelli.  Vitellozzo  non  voleva  andare  ali*  incontro  del  Valentino,  trattenuto 
da  sinistro  presentimento  ;  ma  «  tanto  Paulo  finalmente  lo  persuase,  che  montato  una  mu- 
letta, non  hauendo  alhora  possuto  auere  il  cavallo  più  volte  da  lui  domandato  »  si  fece  alla 
presenza  del  Borgia.  Le  accoglienze  liete  e  fraterne  del  duca  Cesare  non  gli  vinsero  l'animo. 
«  Erasi  Vitellozzo  già  ritirato  da  lui  c\im  animo  di  non  passare  il  ponte  sopra  la  Nevola, 
uè  dMntrare  in  Senogaglia,  ma  di  voltare  più  alto  per  le  ripe  del  fiume,  et  truovato  il  vado, 
passare  alla  gente  sua,  dil  che  aduedutosi  Paulo,  lo  dissuase  »  (ms.  cit.,  pag.  84-t). 

*  L*Alvi8I,  op.  cit.,  pag.  365,  osserva:  «  Il  Machiavelli,  finché  sta  nella  Corte  ducale, 
non  mostra  di  negar  fede  al  tradimento  di  cui  anche  giorni  dopo  gli  discorsero  Cesare  e  i 
segretari  suoi;  ma  ritornato  a  Firenze....  un  mese  dopo  detta  una  relazione  al  tutto  diversa 
dagli  stessi  dispacci  suoi  ».  Le  considerazioni  esposte  sopra  mostrarono  le  ragioni  delle 
differenze  fra  la  prima  e  la  seconda  esposizione  de*  fatti  che  il  Machiavelli  fece;  né  quelle 
differenze  ci  parvero  recare  diversità  intera  di  cose,  o  di  giudizi.  Il  Nrrri,  op.  cit.,  t.  i, 
pag.  199,  nella  «  fredda  indifferenza  che  respira  dalla  Descrizione  »  vide  «  il  riflesso  sin- 
cero ed  intiero  della  coscienza  umana  del  tempo  ».  Il  Vill^ri,  op.  cit.,  pag.  427  e  seg., 
credè  scorgervi  un  primo  segno  della  dirittura  intellettuale  del  Machiavelli  a  idealeggiare 
nel  Borgia  il  suo  tipo  politico,  un  impulso  simile  a  quello  per  cui  più  tardi  scrisse  la  Vita 
di  Castruccio  Castracani.  E  a  pag.  429  notò  parecchie  altre  divergenze  fra  le  date  precise 
che  occorrono  di  certi  fatti  nelle  lettere  della  legazione  e  quelle  approssimative  che  s'in- 
contrano nella  Descrizione;  segno  che  questa  condusse  secondo  la  sua  propria  memoria 
de*  fatti  e  non  giusta  l'esame  delle  lettere  officiali,  delle  quali  non  gli  restava  copia. 


Digitized  by 


Goògle 


JM2  CAPO  SECONDO.  [libro 

duca,  ch'ei  fece  come  ultima  dipartenza  da  quelle.  Ai  suoi 
capi  raccomandò  la  «uà  casa  e  la  fortuna  di  quella,  e  gli  ni- 
poti ammoni,  che  non  della  fortuna  di  casa  loro,  ma  della  virtù 
de'  loro  padri  si  ricordassero  ».  —  E  celebra  anche  poco  oltre 
la  virtù  e  la  disciplina  della  casa  Vitellesca,  cosa  che  presso 
al  Borgia  si  sarebbe  certo  trattenuto  dal  fare.  Pertanto  è  a 
credere  che  in  niun  modo  quella  Descrizione  si  possa  risguardar 
come  parte  della  legazione  del  Machiavelli  al  duca  Valentino, 
mancando  di  tutte  le  qualità  che  costituiscono  il  pregio  e  la 
caratteristica  delle  altre  lettere  del  Segretario  in  quella  com- 
missione; anzi,  incontrandovisi  elementi  incompatibili  con  quelle 
condizioni  di  persone  e  di  tempi.  ^  Né  può  parere  che  da  quella 
maniera  di  racconto  Cesare  Borgia  esca  in  alcuna  parte  idea- 
leggiato 0  magnificato,  come  nel  Principe;  egli  anzi  vi  si  raf- 
figura, come  nei  Decennali^  in  un  basilisco  che  afiascina,  che 
attrae  «  fischiando  soavemente  »,  superbo  d'avere  dalla  parte 
sua  il  destino.  È  sempre  piccolo,  sempre  volpe,^  non  insorge 
mai  come  leone,  non  offre  mai  un  briciolo  di  grandezza; 
si  mostra  «  pieno  di  paura  »  in  Imola,  e  in  Sinigaglia  pieno 
di  furberia  feroce  e  fredda.  Che  cosa  è  dunque  a  credere  che 
sia  quella  Descrizione  a  cui  manca  l'esattezza  della  verità  o 
la  caratteristica  del  romanzo,  e  che  probabilmente  la  moderna 
critica  non  vorrebbe  ritener  per  genuina  del  Machiavelli,  di  quel 
Machiavelli  che  scrisse  i  dispacci,  se  non  ci  fosse  stata  tra- 
mandata autografa  nella  raccolta  strozziana,  se  lo  stile  non  ne 
confermasse  l'autenticità,  se  non  avesse  dato  luogo  a  tanti 
commenti,  se  non  avesse  fatto  le  spese  del  machiavellismo  e 
degli  antimachiavellici?  —  E  si  noti  che  fra  le  carte  dome- 
stiche di  Niccolò  non  doveva  trovarsi,  perchè  non  fu  trascritta 
né  nell'apografo  di  Giulian  de'  Ricci,  né  in  quello  del  Tafani, 
che  è  alla  barberiniana  di  Roma;  comparve  invece  assai  presto 
per  le  stampe.  ^ 

^  Le  diversità  ne*  dati  topografici  che  s*  incontrano  fra  la  descrizione  fatta  nella  let- 
tera e  quella  della  narrazione,  anno  meno  peso  che  non  paia,  essendo  la  distanza  deUo 
spazio  dai  monti  al  mare  pel  sentiero  tra  Fano  e  Sinigaglia  in  tutti  e  due  gli  scritti  misu- 
rala a  vista.  Solo  apparisce  nella  narrazione,  che  il  Machiavelli  à  vinto  colla  pondera- 
zione r  impressione  prima,  o  eh*  egli  à  potuto  attingere  informazioni  migliori.  Così,  per 
esempio,  nella  lettera  scrive  che.  in  alcun  luogo  della  via,  i  monti  si  stringono  col  mare  in 
modo  «  che  da  le  radice  ad  le  acque  non  sono  30  braccia  di  spazio,  e  el  più  che  si  allar- 
ghino non  è  tanto  terreno  che  un  mezzo  miglio  non  sia  pia  ».  —  E  nella  descrizione  riduce 
la  strettura  a  «  uno  brevissimo  spazio  »,  e  il  maggior  largo  alla  «  distanza  di  due  miglia  ». 
Né  e*  è  contraddizione,  se  in  questa  descrive  il  Misa  come  «  un  piccolo  fiume  »  e  poi  nella 
lettera  lo  dice  «  un  fiume  grosso  »;  poiché  in  dicembre  il  Misa,  ingrossato  dal  Nigola,  può 
parere  considerevole;  né  un  fiume  per  esser  grosso  cessa  dal  restar  piccolo. 

*  Primieramente  nella  edizione  romana  del  Biado  del  1531-3S  colle  Istorie  fiorentine. 


Digitized  by 


Google 


MCOHDO]  REPUTAZIONE  DI  mCCOL(y  ACCRESCIUTASI.  »» 

Ora  forse  dal  cominciare  a  dar  molto  minore  importanza 
alla  questione  potrebbe  aprircisi  la  via  ad  una  soluzione  pos- 
sibile. Esaminiamo  la  condizione  di  Niccolò,  rispetto  al  suo  uf- 
ficio di  cancelliere,  dopo  la.  legazione  al  Valentino.  Certo  la 
simpatia  popolare  non  si  era  accresciuta  per  colui  che,  man- 
dato com«  per  transazione  al  Borgia,  quando  la  città  non  va- 
leva a  questo  in  nessuna  maniera  far  onore  d'un  ambasciatore, 
era  poi  stato  testimonio  della  perfidia  duchesca.  Se  non  che  in 
quest'occasione  difficilissima  tutta  la  sagacia,  la  prudenza,  l'uti- 
lità degli  avvisi  del  Segretario  fu  apertamente  riconosciuta  dai 
Signori,  dai  Dieci,  dal  gonfaloniere,  dalle  Pratiche.  —  <  Il  di- 
scorso vostro  et  il  ritratto,  gli  scrive  Niccolò  Valori,  non  po- 
trebbe essere  suto  più  approvato;  et  cognoscesi  quello  che 
sempre  io  in  specie  ò  cognosciuto  in  voi,  una  netta,  semplice 
et  sincera  relatione  sopra  che  si  può  fare  buono  fondamento. 
Et  io  in  verità  discorrendola  con  Piero  Soderini  ne  paghai  il 
debito  tanto  largamente  quanto  dire  si  potessi,  dandovi  questa 
lode  particulare  et  peculiare  ».  ^  E  altra  volta:  «  volessi  Idio 
che  ongni  huomo  si  governassi  come  voi,  che  si  farebbe  manche 
errori  ».  ^  —  Niccolò  pertanto  si  trovava  accresciuta  riputa- 
zione nell'ufficio  e  riconosciuta  autorità  di  consiglio.  Della 
prudenza  di  lui,  del  suo  parere  si  faceva  caso;   si  desiderava 

U  Principe,  la  Vito  di  Cculruecio,  i  Discorsi.  Questa  circostanza  estrìnseca,  d^essere  cioè 
Qscita  in  luce  prìmieramente  insieme  ad  opere  di  natura  tutta  diversa,  menò  i  crìtici  al 
dirisEone  di  cercare  in  quel  componimento  quel  che  non  vi  poteva  essere. 

*  Bibl.  Naz  ,  doc.  M.,  busta  iii,  n.  17.  N.  Valori  egregio  viro  Nicolao  Machiavelli  se- 
eretario  degnissifno  aU'Ill.mo  duca  Valentino,  a*  di  xrd*ottobre  1502.  Ibid.,  busta  ni,  n.  22, 
a*  di  xnij.  Agostino  Vbspucci  gli  scrive  :  «  Heri  mane  dum  letteras  per  x  scriptas  Petro 
Soderìno  recitarem  dumque  ipso  quampluries  eas  inter  legendum  mussitarem,  inquit  tandem  : 
antographus  hic  scriptor  multo  quidem  pollet  ingenio,  multo  judicio  praeditus  est  ac  etiam 
non  mediocri  Consilio  ».  —  E  di  nuovo  il  Valori,  a  di  31  (busta  in,  n.  24)  :  «  Ho  soppe- 
rito in  pnblico  et  in  privato  di  fare  cognioscere  le  opere  vostre,  quae  nihilominus  pre  se 
lucere  :  queste  due  ultime  lettere  ci  hauete  mandate  v'  è  suto  tanto  nervo,  et  vi  si  mostra 
81  buono  iudicio  uostro  che  le  non  potrebbero  essere  state  piili  aprovate  et  in  specie  ne 
parlai  allungo  con  Piero  Soderini  che  non  iudicha  si  possa  a  nessun  modo  rimuovervi  di 
costi  ».  —  E  il  medesimo,  a' di  28:  «  Gli  aduisi  vengono  da  voi  non  potrebbono  essere  più 
approvati,  ma  a  parlare  come  sogliamo,  si  desidererebbe  scrivessi  più  spesso,  ancora  si 
pensi  non  sia  senza  cagione  ». 

'  Bibl.  Nas.,  doc.  M.,  busta  ni,  n.  18.  —  Della  condizione  della  Cancelleria,  durante 
l*assenza  del  Machiavelli,  le  lettere  del  Bonaccorsi,  del  Vespucci,  di  Bartolomeo  Rufflni, 
ótiaDO  idea  sufficiente.  Il  Soderini  ne  piglia  cura  particolare,  e  «  poiché  intrò  in  Palazo, 
pare  si  sia  omni  cosa  cominciata  ad  indirizare,  et  di  già  ha  dato  principio  di  volere  che  le 
fkccende  si  faccino  ad  buon  ora,  perchè  la  mattina  a  18  bore  et  la  sera  ad  3  omniuno 
sbuca»  (B.  Bonaccorsi  al  M.,  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  in,  n.  26).  —  In  altra  lettera  del 
Bonaccorsi  «  Plorentiae  die  v  novembris  1502  »  troviamo  fatta  menzione  della  riconferma 
de*  cancellieri,  e  accennato  a  qualche  difficoltà  o  guerrìciattola  che  al  Machiavelli  si  pre- 
parava: «  El  tempo  della  rafferma  ne  viene  forte,  et  io  Yion  piglierò  già  cura  per  voi  di 
andare  ad  dire  dello  albero,  et  de  fructi,  et  delle  mele,  et  della  m....,  perchè  non  lo  farò 
per  me,  et  anche  non  satisfarei;  pensate  ad  questo  che  importa  »  (ibidem).  —  E  altrove: 
«  Voi  staresti  meglio  qua,  perdonatemi  che  Taffectione  mi  fa  parlare  ». 


Digitized  by 


Google 


M4  CAPO  SECONDO.  [libbo 

anzi  che  altri  a  quello  partecipasse.  E  il  Segretario,  nella 
cui  mente  s'andavano  man  mano  sviluppando  nuove  idee  poli- 
tiche, nuovi  precetti  in  opposizione  a  quelli  vigenti,  cercava 
di  poterli  recare  innanzi  agli  occhi  di  chi  governava,  appog- 
giati all'esperienza,  confortati  dall  opportunità.  Poco  prima  egli 
aveva  sostenuto  contro  i  politicanti  empirici  che  Pistoia  non 
era  a  tener  colle  parti;  poi  nella  repressione  della  ribellione 
d'Arezzo  aveva  cercato  persuadere  che  i  nemici  si  conviene 
vezzeggiarli  o  spegnerli;  ora,  stendendo  una  relazione  delle 
cose  di  Sinigaglia,  non  diversa  né  nello  intendimento,  né  nella 
qualità  da  quella  «  de  rebus  pistoriensibus  »,  ^  da  quelle  che 
scrisse  poi  delle  Cose  di  Francia,  e  di  Lamagna,  cercava 
menare  la  mente  de'  magistrati  a  principi,  che  poi  troviamo  in- 
corporati nelle  dottrine  politiche  di  lui. 

«  Guidubaldo  duca  di  Urbino  di  nuovo  si  fuggi  a  Ve- 
nezia, avendo  prima  fatto  minare  tutte  le  fortezze  di  quello 
stato,  perché  confidandosi  ne' popoli,  non  credeva  che  quelle 
fortezze,  ch'egli  non  credeva  poter  difendere,  il  nemico  occu- 
passe, e  mediante  quelle  tenesse  in  freno  gli  amici  suoi  »  ^  — 
«  non  si  debbo  offendere  un  principe  e  poi  fidarsi  di  lui  »  ;  ^ 
ecco  gli  ammaestramenti  che  escono  dalla  relazione  di  Sini- 
gaglia; ecco  il  primo  apparire  di  quelle  massime  che  Niccolò 
commenta  poi  nei  Discorsi  e  nel  Principe,  avvalorandole  di 
questi  medesimi  esempi.  Ora,  quando  la  detta  Descrizione  del 
Machiavelli  si  riduca  all'importanza  di  quelle  altre  sopracci- 
tate, sarà  maraviglia  se  in  quella,  come  in  queste,  ci  abbat- 
tiamo in  inesattezze  di  particolari;  se  in  quella,  come  in  queste, 
il  sentimento  morale  si  suppone  abbastanza  determinato  dalla 
natura  stessa  delle  cose,  si  che  non  sia  mestieri  per  lo  scrit- 
tore, anzi  non  sia  conveniente  pel  cancelliere  pretendere  di 
dirigerlo  in  chi  dovrà  avere  alle  mani  l'opera  sua?  Questa 


^  Bibl.  Nas.,  doc.  M.,  basta  i,  n.  11.  —  È  la  Relazione  di  Pistoia  che  dal  Machiavelli 
fu  precisamente  intitolata  a  questo  modo.  Le  Cose  di  Montepuleiaf%o  si  trovano  copiate 
negli  apografi  tratti  da  quelli  di  Giulian  de*  Ricci,  insieme  a* Frammenti  storici.  V.  edizione 
Passerini-Milanesi,  voi.  ii,  pag.  81. 

>  Machuvblli,  Descrizione  del  modo  tenuto  dal  dt*ca  Valentino,  ecc.  Cf.  il  Principe^ 
cap.  XX  ;  Discorsi,  cap.  xxiv.  Questa  decisione  del  duca  d*  Urbino  era  così  nuova,  che  parve 
eroica.  La  Cronica,  ms.  urbinate,  cogniu  sotto  il  titolo  di  Commentaria  quarumdem  ter- 
rarum,  ecc.,  scrive:  «  Fu  gran  difficoltà  nelle  fortesse;  diceva  ualere  i  cuori  degli  uo- 
mini »  —  Cf.  Ugolini,  Storia  dei  conti  e  duchi  d'Urbino,  lib.  ix,  pag.  409.  —  ^au)!, 
op.  cit.,  t.  Il,  pag.  63-64.  Rbposati,  Della  zecca  di  Oubìno  e  delle  geste  de'  conti  e  duchi 
d'Urbino,  t.  i,  pag.  S48-349. 

*  Cf.  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  in,  cap.  xvii. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  IL  MACHIAVELLI  TORNA  A  FIRENZE.  S65 

è  l'ipotesi  nostra,  e  altri  vegga  se  può  parere  proporzionata. 
Ora,  ripigliamo  i  fatti. 

Quando  le  lettere  del  Machiavelli  furono  ricevute  a  Fi- 
renze, la  notizia  dell'evento  utile,  la  potenza  nuova  acquisita  al 
duca  Cesare,  collo  spezzamento  deUe  armi  de*  condottieri  i  più 
stimati  in  Italia,  persuasero  i  Fiorentini  a  nominare  un  ora- 
tore di  grande  reputazione  al  Borgia.  Fu  eletto  Jacopo  Sal- 
viati^  che  accettò  e  si  mise  in  via  subito. 

Niccolò  cessa  pertanto  l'opera  sua  e  s'apparecchia  a  prender 
congedo.  Accompagna  ancora  il  duca  a  Gorinaldo,  ad  Assisi,  a 
Torciano,  ne*  pressi  di  Perugia,  a  Città  della  Pieve.  In  viaggio 
riceve  nuove  confidenze  dà  lui:  «  Tu  sai  quanto  io  vo'  bene  con 
quelli  tuoi  Signori  per  reputarli  uno  de'  primi  fondamenti  allo 
stato  mio  in  Italia,  e  per  questo  li  andamenti  miei  e  mie  opere 
intrinseche  ed  estrinseche  non  li  anno  ad  esser  nascose.  Tu 
vedi  in  che  termine  io  mi  trovo  con  costoro  ch'erano  inimici 
comuni  de'  tuoi  Signori  e  miei,  che  ne  sono  parte  morti,  parte 
presi,  parte  o  fugati  o  assediati  in  casa  loro;  e  di  questi  ò  Pan- 
dolfo  Petrucci,  che  à  ad  esser  l'ultima  fatica  ad  questa  nostra 
impresa,  e  securità  delli  stati  comuni;  el  quale  è  necessario 
cacciare  di  casa,  perchè  conosciuto  al  cervello  suo,  e'  danari 
può  fare  e  il  luogo  dov'è,  sarebbe,  quando  restassi  in  piede, 
restata  una  favilla  da  temerne  incendi  grandi;  né  bisogna  ad- 
dormentarsi in  su  questo,  anzi  totis  viribus  impugnarlo.  Io  non 
fo  il  cacciarlo  da  Siena  difficile,  ma  vorrei  averlo  nelle  mani, 
e  per  questo  il  papa  s'immagina  addormentarlo  con  li  brevi, 
mostrandoli  che  li  basta  solo  che  li  abbi  e*  nemici  suoi  per 
inimici  ;  e  intanto  mi  fo  avanti  con  lo  esercito  ;  ed  è  bene  in- 
gannare costoro,  che  sono  suti  li  maestri  de*  tradimenti  ».  Questa 
sciagurata  sentenza  è  indice  della  moralità  -di  tempi  calamitosi 
e  svergognati,  in  cui  il  segno  più  parvente  della  giustizia  eterna 
è  lo  spegnimento  del  male  per  mezzo  del  male;  e  il  terrore  della 
caduta  de'  pessimi  il  più  volgare  argomento  della  provvidenza 
divina. 

Se  mai  fu  coscienza  che  al  Valentino  non  mancasse,  questa 
si  fu  quella  de' suoi  propri  tempi;  fu  l'intuizione  di  certi  fini 
cui  era  forza  arrivare,  di  certe  modificazioni  alla  vita  civile 
de' popoli,  necessarie,  prossime,  conseguibili  solo  in  età  nelle 
quali  molto  s'intenda,  molto  s'interpreti,  poco  si  creda,  e  la 
contemplazione  altissima  e  certa  di  quel  che  è  giusto  o  ingiusto 
s'abbassi  sotto  a  quella  sempre  meschina  e  sempre  instabile 


Digitized  by 


Google 


£66  CAPO  SECONDO.  [libbo 

di  quel  che  torna  a  conto.  Allora,  quando  l'ordine  sociale  è 
scosso  e  il  costume  offeso,  s'incontra  chi,  come  il  bastardo  di 
Gloster,  rompendo  ogni  legge,  saluta  la  natura  ^  di  cui  si  fa 
schiavo,  e  ripete  da  lei  gl'impulsi  propri.  Cosi  il  Valentino, 
prima  assai  che  l' Hegel  ravvisasse  nello  spegnimento  delle  feu- 
dalità una  necessità  istorica  con  mezzi  indegni  ma  proporzionali 
soddisfatta;  prima  che  ilCastelnau^  raffigurasse  in  lui  uno  stru- 
mento provvidenziale  ;  s'era  sentito  tale  da  per  sa  stesso,  e  l'avea 
detto  e  scritto:  <mutatione  temporumjura  varianturhumana*.^ 
Egli,  l'uomo  del  giorno,  il  figlio  della  fortuna  ^  non  conosce  di- 
ritto storico,  prova  le  forze  e  compisce  le  rivoluzioni;  va  in- 
nanzi senza  rispetti,  come  chi  serve  alla  fatalità,  e  poi  dell'opera 
sua  s'aspetta  compenso,  dimentico  della  via  che  à  battuto,  delle 
vittime  spente,  degli  odi  eccitati.  «  E  indica,  cosi  riferisce  Nic- 
colò, che  un  pontefice  nuovo  sia  per  esserli  obbligato,  non  si 
trovando  servo  delli  Orsini  o  de'  Colonnesi,  come  sono  sempre 
suti  e' papi  per  lo  addreto  ».*  —  Quello  che  resta  a  fare,  gli 
sembra  «  fuoco  da  spegnerlo  con  una  gocciola  d'acqua  ».  -^  Or 
vedrem  noi  che  specie  d'obbligo  il  papa  nuovo  gli  saprà  avere. 
Se  non  che  Niccolò  tornandosi  in  patria,  di  quel  terribile 
duca  portava  pieno  l'animo,  commossa  la  fantasia.  Ripensava  la 
moltitudine  d'uomini  che  aveva  veduto  aggirarsi  intorno  a  quel- 
l'uomo solo,  e  sparire  come  nebbia,  per  sottigliezza  di  quel- 
l'uomo si  lungamente  tacito  e  celato;  e,  sapendo  quell'uomo 
già  intento  a  distender  la  sua  forza  contro  una  cerchia  più  dif- 
fusa d'uomini  e  d'ostacoli,  Niccolò  pensa  che  l'opera  che  in 
Francia  fu  di  un  re,  e  di  Luigi  undecime,  in  Italia  possa  es- 

*  Cf.  Sbaxspbabb,  King  L^ar,  atto  !<>,  se.  2*: 

«  Thoo,  nature,  art  roy  goddess;  to  thy  law 
My  Services  are  bound  ». 

*  Heobl,  FQotofia  della  storia^  parte  iv,  ses.  2".  —  Castblnau,  Za  fàune  poUiiqué 
«C  MàeMavel,  nella  RevtM  de  pMloaophie  positive^  1877,  n.  3,  pag.  474  :  «  Cesar  n*étalt 
bon  gre  mal  gre,  qoe  rinstmment  providentiel  dea  conquétes  militaires  do  Saint  Siège 
qne  le  précurseur  de  Jules  II.  C'est  le  cas,  oa  jamais,  d*user  de  ce  terme.  Si  Ton  Toit  l'oea- 
vre  de  Dieu  dans  la  royauté  temporelle  du  Siège  romain,  le  coup  d'état  qui  se  prépare, 
Phomme  qui  va  frapper  ce  coup,  sont  prowidentiels,  car  ils  avanceront  terriblement  cette 
création  politique  ». 

*  V.  Capitula,  f»rivUegia  et  gratiaet  eie.,  concesai  dal  Valentino  al  Comune  e  al  po- 
polo d*  Imola,  pubblicati  dairÀLvxsi,  op.  cit.,  pag.  469. 

*  Nella  Cronaca  del  Matbrazzo,  pag.  2SS:  «  Et  astrolage  et  nigromante  et  descrive- 
vano fUium  Foriunae  ».  Porse  piCi  che  gli  astrologi  erano  gli  ellenisti  a  designarlo  con 
quesVappellaxione,  alludendo  ai  versi  di  Sofocle  con  cui  Edipo  tiranno  glorifica  se  stesso 
(▼.  1060-81): 

ì^ù  ^'ijMiuTdv  waWa  rfts  Tuxias  vI|aqv 

tT^C    sO    ^t^OUOYig    OOX    &Tt|AaO^(70|Mlt. 

<  Macbiavblli,  Lega»,  al  Valentino,  Lett.  88. 


Digitized  by 


Google 


wtcoKDo]  IMPORTANZA  STORICA  DI  CESARE  BORGIA.  267 

sere  di  questo  bastardo  rampollo  papale,  non  nato  presso  al 
irono,  non  lusingato  nella  prima  sua  vita  da  speranze  o  da  ma- 
gnificenze regali,  ma  destinato  a  goder  l'appoggio  d*una  corona 
e  d'una  tiara,  e  a  giocarsi  dell'una  e  dell'altra.  A  costui  tocca 
ferire  il  cuore  della  tirannide  signorile,  fitta  sulle  capanne  e 
sulla  città;  a  costui  domar  l'orgoglio  delle  castella,  strangolare 
i  gentiluomini,  chiamar  fuori  d'ogni  casa  i  difensori  de'  foco- 
lari patrii,  ragguagliar  la  moltitudine  sotto  una  legge  ;  armare, 
purgare  e  liberare  la  Romagna,  forse  l'Italia.  Egli  sa  fare  e 
disfare  uomini,  mutare  coll'opportunità  ;  cominciare  le  imprese 
colle  forze  d'altri  e  terminarle  colle  proprie;  lasciarsi  cascar 
di  dosso  le  armi  ausiliarie,  che  son  quelle  che  opprimono  ;  vol- 
tarsi sempre  ove  importi;  e  se  tutto  quel  che  lo  circonda  è  cor- 
rotto, quell'uomo  solo  à  buona  proporzione  con  tutto. 

Il  Machiavelli  non  dubita  che  quegli  non  sia  lo  strumento 
della  fortuna;  ma  lo  vede  incontro  alla  fortuna  accorrere  con 
una  prudenza  infinita.  Il  re  di  Francia  non  sa  dove  sbocca,  aiu- 
tandolo; la  Chiesa  che  al  suo  gonfaloniero  à  messo  le  armi  in 
mano,  non  sa  che  potenza  fonda  :  egli  va  dove  vogliono  i  cieli. 
Non  à  la  virtù  di  Francesco  Sforza,  che  diventò,  di  privato, 
duca  di  Milano;  ma,  fosse  egli  stato  al  luogo  del  Moro,  non 
sarebbe  piombata  in  Italia  tanta  illuvie  barbarica,  non  avrebbe 
egli  perduto  lo  stato,  e  l'avrebbe  tolto  a  chi  non  lo  reggeva 
che  colla  reputazione;  che  non  è  a  petto  di  costui  che  si  vive 
di  credito. 

Cosi  quell'esempio  vivo  del  duca,  rispondente  coli' ipocrisia 
e  colla  forza  alla  fiacchezza  e  alla  tristizia  de*  tempi,  aiutava 
Niccolò  Machiavelli  a  idealeggiare  quasi  la  realtà,  a  formare  un'o- 
pera d'arte,  ch'avesse  suo  fondamento  nell'osservazione  della  na- 
tura umana;  a  immaginare  un  signore,  il  cui  studio  assiduo  fosse 
coiraccortezza  e  colla  potenza,  colla  cautela  e  coU'ardire,  as- 
sicurarsi della  fortuna,  tenersela  ancella,  mutar  modi  quand'essa 
li  muta,  non  abbandonar  lei  per  la  virtù,  tanto  più  che  la  virtù 
si  tien  paga  a  non  sapersi  spregiata.  A  questa  guisa  1*  intelletto 
finamente  artistico  del  politico  fiorentino  moveva  a  foggiarsi 
nella  fantasia,  come  per  via  d'estetica,  e  ad  incarnare  con  re- 
gole di  politica  il  filium  fortunae  degli  astrologi,  e  a  supplire 
con  provvidenze  umane  la  luce  che  mancava  alle  pupille  cieche 
della  sorte.  A  questa  specie  di  lavorio  lungo  e  ardito  del  can- 
celliere di  Firenze,  Cesare  Borgia  valeva  non  solo  come  il  meno 
imperfetto  dei  modelli  reali,  ma  come  primo  impulso,  come  prima 


Digitized  by 


Google 


I 


268  CAPO  SECONDO.  [i. 

ispirazione  all'opera  ideale;  però  nella  memoria  gli  rimase  fermo, 
quasi  efSgie  marmorea  lungamente  contemplata  con  amore  d'arte; 
all'intelletto  gli  s'affacciava  mobile  sempre,  mutabile  sempre,  os- 
servabile sempre;  col  cuore  lo  abominava  come  uomo  che  non 
conosceva  umanità,  come  un  «  ribellante  a  Cristo  ».  * 

Così  lo  vide  ancora  crescere  e  prosperare  per  qualche 
tempo:  i  Baglioni  ne  tremarono,  Pandolfo  Petrucci  fuggi  da 
Siena,  l'armi  spagnuole  che  trionfavano  per  tutto  il  reame  di 
Napoii  parevano  aggiunger  nuova  fortuna  e  grandezza  all'au- 
dace figlio  del  pontefice  spagnuolo;  il  re  di  Francia  pareva 
impiccinire  a  quella  nuova  potenza;  chi  aveva  già  sperato  in 
lui  era  per  voltare  le  speranze  altrove.  Piero  de' Medici,  che 
avea  accomunata  la  sua  sorte  a  quella  delle  armi  francesi,  af- 
fogava nel  Garigliano:  Firenze,  usa  a  tremar  sempre,  qualunque 
sorte  mutasse  la  penisola,  non  ebbe  finito  di  temere  l'antico 
nemico  della  libertà,  che  cominciò  a  spaventarsi  del  nuovo.  Le 
pareva  già  che  quell'irrefrenabile  Valentino  che  avea  dato  ad 
intendere  come  altra  volta  Vitellozzo  avesse  tentato,  contro 
sua  voglia,  farlo  re  di  Toscana;  stesse  questa  volta  davvero  e 
con  tutte  brame  per  ingollare  Marzocco.  ^  Dietro  a  lui  gli  stati 
de'Colonnesi  e  degli  Orsini,  Città  di  Castello,  Imola,  Forlì, 
Faenza,  Rimini,  Pesaro,  la  Romagna,  il  ducato  d'Urbino,  Ca- 
merino, Fermo,  gran  parte  della  Marca,  Piombino  e  Perugia 
s'erano  aggregate  e  unite  come  per  affinità  naturale.  ^ 

Firenze  impaurita  s'aggrappò  di  nuovo  a  Francia,  s'ingrossò 


^  Machiavelli,  Decennale  I. 
*  Machiavelli,  Decennale  I,  v.  429. 
I  s  Bibl.  Vatic,  ms.  vat.  3351,  pag.  15-16: 


«  Caesar  ades,  rerum  fastigia  summa  sequemar 
Facta  minora  tuis  animis  regnisque  futuris, 
Tu  Fora  Comelii  superas,  Fora  fortia  Livi 
Qvosue  lavat  Rubicon,  quosve  abluìt  unda  Pisauri 
Succubuitque  altis  minitans  Senogallia  muris. 
Contiguas  horrens  acies  compascuit  undas 
Adria,  nac  tollit  fluctus,  sed  subsilet  aequor. 
Nereidesque  vagae  et  placidis  Neptunus  ab  undis 
Exerudre  caput,  figuntque  in  Caesare  vultus. 

Herculeas  Macedo  metas  forte  attiget;  aufers 
Borgia,  Pelleo  es  major;  Macedoque  fatetur. 
Tu  domitas  claros  comites,  fortesque  Sabelloa, 
Tu  perusina  fugas  vel  tantum  nomine  castra  »  ecc. 

Cosi  Evangelista  Maddalbno  dei  Capodifbbbo,  il  quale  in  margine  a  questi  esametri  an- 
nota: «  Solebat  sa  jactare  Alexander  VI  pont.  max.  se  caeteris  praestare  pontificibns, 
quod  familias  Baronum  eiecisset,  quod  multi  ante  se  frustra  conati  fuerant,  idque  Inter 
suas  laudes  puUbat  maximum  ».  Cf.  ^uuta,  Annale»  de  la  Corona  de  Aragona,  lib.  ▼. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  morte  D'ALESSANDRO  VI.  209 

d'armi  ausiliarie  e  condotte  «  credendo  più  sicura  star  cosi  »,  ^ 
e  poter  riuscire  a  dare  il  guasto  ai  ricolti  di  Pisa,  giacche  altro 
danno  non  poteva  fare  a  quella  città  indomita.  E  mentre  tutti 
si  stavano  in  attesa  delle  mene  borgiane,  mentre  s'aspettava  che 
inclinazione  decisiva  queste  fossero  per  dare  alle  cose  d' Italia, 
su  per  gli  ameni  vigneti  di  Monte  Mario  s'inoculava  per  le  vene 
a  papa  Alessandro  e  al  Valentino  il  veleno  occulto  della  febbre, 
non  computato  dai  politici  fra  i  potenti  della  terra;  e  li  tra- 
diva insieme,  come  nessun  uomo  avrebbe  potuto,  distendendoli 
in  letto,  senza  difesa  avanti  a  una  miriade  di  nemici  assetati 
di  vendetta. 


1  Machiavelli,  Decennale  I,  432.  A  questo  tempo  (mano  1503)  è  a  riferire  Tesorta- 
zione  del  Machiavelli  pubblicata  già  nell'Antologia  di  Firenze  (luglio  1822)  intitolata: 
«  Parole  da  dirle  sopra  la  prouisione  del  danaio  facto  un  poco  di  proemio  e  di  scusa  » 
(Bibl.  Nas  ,  doc.  M  ,  busta  i,  n.  77).  Probabilmente  ebbero  a  esser  dette  nel  Consiglio  grande, 
ove,  quando  si  mandava  a  partito  un  progetto  di  legge  o  d'imposizione,  deliberato  già  dai 
Signori  e  Collegi,  studiato  e  formulato  dagli  Otto  Fermatori  di  legge,  approvato  dal  Con- 
siglio degli  Ottanta  a  maggioranza  assoluta  di  voti  ;  da  un  segretario  «  salito  in  una  aringa 
o  bigoncia»,  come  allora  dicevasi,  veniva  presentato  e  letto.  (Oiannotti,  Discorso  sul  go- 
verno di  Firenze).  — In  queste  Parole  àe\  Machiavelli  si  fa  chiara  allusione  all*approvazione 
già  ottenuta  degli  altri  membri  del  corpo  legislativo  dello  stato*;  e  il  titolo  di  prestanze 
dato  agli  ascoltatori  e  il  modo  del  discorso  assai  popolare  persuade  che  questo  ebbe  a 
esser  detto  in  Consiglio  grande.  La  qualità  dell' imposizione  non  viene  messa  in  disputa, 
né  lodata  siccome  buona;  bensì  affermata  come  necessaria.  E  circa  le  difficoltà  di  vincere 
in  queste  condizioni  della  repubblica  le  provvisioni  del  danaio^  dà  lume  maraviglioso  un 
passo  àeW Apologia  de' Cappucci,  loc.  cit.,  pàg.  279.  —  Il  Machiavelli  ragguagliando  nel 
suo  discorso  Io  stato  di  Firenze,  attorniata  da  insidie  ed  improvvida,  con  quelle  di  Costan- 
tinopoli assediata  da  Turchi  e  mal  sollecita  alla  difesa,  pone  il  primo  germe  della  grave 
sentenza  che  profferì  poi  ne*  Discorsi  (lib.  ii,  prologo)  :  «  chi  nasce  in  Italia  e  in  Grecia,  e 
non  sia  divenuto  o  in  Italia  oltramontano  o  in  Grecia  turco,  à  ragione  di  biasimare  i  tempi 
suoi  e  laudare  gli  altri  ». 

Nell'aprile  del  1503,  quando  i  Fiorentini  furono  stimolati  dal  papa  e  dal  duca  Cesare 
a  «  fare  amicizia  e  lega  con  loro  e  con  tutti  li  altri  di  casa  Bolgia  »,  mandarono  a'  di  26 
Niccolò  Machiavelli  in  commissione  a  Pandolfo  Petrucci,  tornato  in  Siena  già  a' 29  del  marzo 
precedente  col  favore  del  re  di  Francia  e  l'amicizia  de*  Fiorentini,  per  significargli  la  cosa. 
In  questa  commissione  Niccolò  non  scrisse  lettere.  La  deliberazione  della  Balia  senese 
de*  di  28  d*aprile,  citata  dal  Pscci  {Memorie  st.  crit.  della  città  di  Siena,  i,  196),  fu  pub- 
blicata nell'edizione  Passerini-Milanesi  (M.,  Opp.,  ii,  294-5).  Le  congetture  che  questi  so- 
lerti editori  accamparono  circa  la  famigliarità  contratta  fra  il  Machiavelli  e  i  Borgia,  ar- 
gomentandola dal  mandato  di  cattura  del  Troches  d*ordine  del  Valentino,  autografo  di 
Niccolò  (Bibl.  naz.  fior.,  doc.  M.,  busta  i,  n.  1),  non  à  buon  fondamento.  Quell'autografo, 
come  ben  riconobbe  il  Villari  (ìV.  M.  e  i  suoi  tempi,  voi.  i,  pag.  442),  è  copia  del  docu- 
mento autentico  ;  non  è  autografa  del  Valentino  la  firma  Caesar;  manca  la  controfirma  del 
segretario  Agapito,  indispensabile  ad  autenticare  il  documento  ;  e  questa  si  trova  in  altri 
documenti  consimili,  anche  ove  l'arbitrio  personale  e  il  segreto  pare  esser  maggiore.  Ci- 
tiamo, ad  esempio,  dal  ms.  chigiano  R,  v.  6,  pag.  157,  un  mandato  del  Borgia  «  datum  Rome 
in  palatio  aplico  xxv  januarii  a.  d.  m.d.ii,  al  nostro  dilecto  familiare  et  commissario  Pepo 
de  la  Corbara  *  in  cui  lo  deputa  «  spetiale  commissario  ad  pigliare  quelle  persone,  quali 
a  bocca  ne  avemo  commesse,  et  conducendole  dove  per  nul  v'è  ordinato  ».  Nel  medesimo 
ms.,  a  pag.  187,  si  trova  una  patente  autografa  di  N.  M.  a  favore  di  Bartolomeo  di  Gio. 
Boria  «  ex  palatio  fiorentino  die  xx  martii  m.d.v.  Nich.  Maclavellius  ».  —  Circa  l'arresto 
del  Troches  e  la  cagione  che  lo  determinò,  v.  Bomaccorsi,  Diario^  78  ;  Cabpbsanus,  Com' 
Vieni,  suor,  temporum  in  Mabtbnb  «Doband,  scriptores,  t.  v,  col.  1255;  Rankb,  Oeschichten 
der  romaniscìien  und  germanischen  Volker,  pag.  169.  —  Nella  buona  fortuna  de*  Borgia 
non  v*ha  traccia  d'altra  relazione  fra  loro  e  il  Machiavelli. 


Digitized  by 


Google 


«70  CAPO  SECONDO.  [libm 

Il  pontefice  ne  mori  come  un  cane.  ^  Il  Valentino  tanto  lottò 
con  quella  morte  vile,  che  riusci  a  sfuggirle,  ma  l'agonia  gli 
consumava  il  tempo  utile  a  far  provvedimenti,  e  s'egli  campò, 
fu  solo  per  sopravvivere  alla  fortuna  sua.*  Da  questo  momento 
l'infamia  si  congiunse  al  nome  di  chi  cessava  d'esser  potente. 
L'odio  scaltro  de'  Veneziani,  la  cupidigia  non  satolla  e  la  viltà 
non  più  trepida  e  imbaldanzita  di  cerimonieri  e  curiali,  i  di- 
stici pettegoli  d'accademici  servili,  pasciuti  alle  mense  di  baroni 
e  di  condottieri,  il  sarcasmo  di  plebei  saettarono  tutti  contro 
il  nome  dei  Borgia,  temuti  e  adulati  fino  allora  con  ossequio 
pauroso  e  senza  fede.  Come  non  avessero  colpe  suflScienti  e 
pubbliche,  se  ne  apposero  loro  segrete;  si  credettero  le  impro- 
babili, se  ne  spacciarono  nefande;  si  composero  fiabe  e  leg- 
gende per  architettare  anche  nella  loro  caduta  una  perfidia 
di  catastrofe.  ^  Cesare,  chiamato  da  Giovanni  Antonio  Flaminio 
«  heroids  parem  temporibus  et  cum  omni  vetustate  compa- 
randum>,^  esaltato  dagli  epigrammi  dello  Sporule,  «  colente 
materia  >  ad  ogni  occasione,  ^  dallo  Justolo,  dal  Maddalene 
celebratissimo,  salutato 

domitiator  ubique, 
Sj/deribtis  tutua,  fati»  et  tutu»  amiciSf  * 

*  Cf.  Okegobovius,  GBschichte  d€r  Stadt  Rom,  vii,  pag.  494  e  seg.  —  Il  Bbltbaiydo 
{Archvoio  di  Modena)  scrive  in  data  14  agosto  :  «  Heri  seri  per  bona  via  intesi  che  Sua  Sant. 
vomitò  el  sabato  una  colera  cirina  et  non  senza  alterazione  di  febbre.  Lo  111.  signor  Duca 
sta  molto  grave  con  due  tertiane  et  vomito  et  passione  di  stomacho  ».  —  Il  Parenti,  nelle 
sue  Storie  mss.  scrive  :  «  Circa  a*  di  14  il  pontefice  cascò  in  febbre  et  trattosegli  sangue 
per  consiglio  de  medici,  non  li  fu  proficuo  ».  —  Idem  :  «  Raggravando  il  pontefice  final* 
mente  a'  di  xviii  circa  bore  81  passò  di  questa  vita  ».  —  E  non  fa  alcun  cenno  della  ma- 
lattia del  Valentino.  Una  lettera  del  Mannelli  fra  le  carte  sforziane  (Arch.  fior.,  f.  250)  fa 
morto  non  solo  il  papa,  ma  anche  il  cardinal  Romolino,  cioè  «  quello  che  si  trovò  qui  com- 
missario del  papa  quando  fu  arso  frate  Girolamo  ».  —  E  del  duca  accenna  com'egli  «la 
borabat  in  extremis  ». 

-  *  Qdbita,  Annales  de  la  Corona  y  Reyno  de  Aragona^  t  v,  pag.  207.  —  «  Mas  todos  estos 
presupuestos,  y  aquel  nuovo  reyno,  que  el  Duque  de  Valentinoys  se  imaginò  que  aviua  de 
adquirir,  y  fundar  de  nuovo  in  Italia,  se  desbarataron  presto,  por  la  muerte  del  ponte- 
fice». — 

*  Il  marchese  O.  d*Adda  pubblicò  neir ArcT^.  stor.  lomh.,  1875,  anno  ii,  pag.  17  e  segg., 
una  curiosa  poesia  popolare,  scritta  in  un  linguaggio  che  è  «  un  miscuglio  di  molti  dia- 
letti deir Italia  settentrionale  »,  rimata  per  ottave.  È  intitolata:  Questa  si  è  la  morte  di 
papa  Alexandro  sesto.  Pare  stampata  a  Venezia  verso  il  1508.  Racconta  la  famosa  sto- 
riella dell'avvelenamento.  L'editore  la  suppone  opera  d' Eustachio  Celebrino,  autore  d'altri 
simili  poemetti  politici  volgari.  —  Come  si  lasciasse  andar  libera  la  fantasia  a  coniare  sto- 
rielle circa  l'avvelenamento  dei  Borgia,  veggasi  nella  quinta  fra  le  Novelle  di  Fbancesco 
Vettobi,  ed.  Lucca.  1857. 

*  Cf.  Alvisi,  Cesare  Borgia,  pag.  466.  —  Gio.  Ant.  Flaminio,  Epp.,  1499. 

»  Fb.  Spebuli,  De  laudibus  Caes.  Borgiae,  poema;  et  Epigrammata  (Cod.  vat.,  5805, 
pag.  32).  —  Un  epigramma  di  sei  versi  dello  Spbeulo  fu  compensato  dal  Valentino  con 
una  pensione  annua  di  cinquanta  ducati. 

*  Cf.  GBBGOBovros,  Geschichte  der  Stadt  Rom,  voi.  vii,  che  allega  questi  ed  altri  esa- 
metri d'un  cancelliere  del  Comune  di  Fano. 


Digitized  by 


Google 


ascoHDo]  INFAMIA  DE*  BORGIA.  171 

porterà  addosso  gli  endecasillabi  del  Sannazaro  che  gì' infa- 
mano la  sorella  ;  ^  e  lui  e  la  sorella  e  il  padre  terranno  sui 
teatri  il  loco  de'  Tiesti  e  degli  Atrei  moderni.  *  La  salma  di 
papa  Alessandro,  senza  onor  di  sepolcro,  non  avrà  neppure 
per  insegna  il  meno  ingiusto  epigramma  dell'accademia.  ^ 


1  Cf.  Sannazaki  Epigr.,  lib.  i,  n.  15: 

«  O  Tauro,  praesens  qui  fugis  periculum  ». 

*  L'Ugolini,  Storia  dei  conti  0  duchi  d'Urbino,  t.  11,  pag.  128,  cita  dal  ms.  urbinate 
dei  Commentario  quarundem,  la  seguente  notizia  :  «  A  li  19  (febbraio  1504)  di  innedi,  si 
fece  la  sera,  in  sala  del  signor  duca,  la  commedia  del  duca  Valentino  e  di  papa  Ales- 
sandro VI,  quando  ebbero  pensiero  di  occupare  lo  Stato  al  duca  d*  Urbino  ;  quando  man- 
darono madama  Lucrezia  a  Ferrara;  quando  invitarono  la  duchessa  alle  nozze;  quando 
-vennero  a  togliere  lo  stato  ;  quando  il  duca  d*  Urbino  ritornò  la  prima  volta,  e  poi  si  parti  ; 
quando  ammazzarono  Vitellozzo  e  gli  altri  signori  ;  e  quando  papa  Alessandro  si  mori  e 
il  duca  d' Urbino  ritornò  nello  stato  *.  E  aggiunge  molto  saviamente  :  «  Ecco  Lucrezia 
Borgia  esposta  nelle  scene  fin  dal  principio  del  secolo  xvi,  e  forse  con  più  verità  che  nei 
drammi  o  romanzi  moderni  ». 

*  La  salma  d'Alessandro  VI  giace  ora  con  quella  di  Calisto  III  senza  alcuna  onoranza 
in  una  stanzetta  presso  la  sacristia  della  chiesa  spagnuola  di  S.  Maria  in  Monserrato. 
L'epigramma  cui  s'allude  è  di  Fausto  Maddalbno  Capodifbrro  (Cod.  vat.,  S119,  pag.  55, 
cancellato)  : 

*  D.  D.  Aleocandri  VI  pont.  mate. 
«  Quis  iacet  heic?  vitium  ac  virtus  simul  esse  queunt  haecf 

Caetera  qui  potuit,  hoc  quoque  Sextus  agit. 
Qui  tot  virtutum  fuerat,  tot  plenus  honorum 

Tot  plenus  scelerum  dedecorumque  fuit  ». 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


Capo  Terzo 


IL    MACHIAVELLI   E   LA   CORTE   DI    ROMA. 


Chi  considera  queste  cose  di  Roma,  come 
le  stanno,  vede  che  ci  si  maneggia  tutta  la 
Importanza  delle  cose  che  girano  al  presente. 

(Macdiavrlm,  Prima  eommissìona 
a  Roma,  lett.  30). 


Tornatosi  Niccolò  a  Firenze,  trovò  non  poco  mutato  Ta- 
spetto  e  la  consuetudine  del  Palazzo.  Il  Sederini  vi  aveva  ac- 
comodato stanze  per  sé,  occupando  quelle  dei  Dieci,  e  quella  del 
cancelliere  delle  tratte;  facendo  aggiustar  piante  e  fiori  sul 
ballatoio,  ove  davan  le  camere  di  madonna  Argentina,  sua  mo- 
glie. Erano  mutamenti  piccoli,  ma  invidiosi,  e  la  gente  ne  moir 
teggiava;  che  prima  d'allora  non  s'eran  viste  ne  gentildonne, 
ne  donne  in  palazzo;  ora  la  repubblica  pareva  cosi  essere 
quasi  infeminita  e  il  malcontento  levava  a  clamore  i  pette- 
golezzi. 

Di  questo  malcontento  parziale,  seguito  subito  all'elezione 
del  gonfaloniere,  non  si  erano  nascosti  gì'  indizi  al  Sederini  fin 
dai  primi  giorni  del  suo  arrivo  a  Firenze;  né  gli  si  dissimularono 
nemmeno  alle  prime  feste  fatte  per  la  nuova  dignità  di  cui 
era  stato  rivestito.  ^ 

Egli  aveva,  in  quest-occasione,  splendidamente  convitato 
i  cittadini  più  autorevoli,  nel  giorno;  nella  sera,  quelli  di  minor 
conto.  Ma  a  quelle  mense  Bernardo  Rucellai  e  Lorenzo  di  Pier 
Francesco  Medici  avevano  ricusato  intervenire;  i  Salviati,  i 
Guicciardini,  i  Pazzi  si  strinsero  con  quesli  e  cominciarono  a 
preparar  fin  d'allora  una  fazione  avversa  al  gonfaloniere,  ostile 

1  Cf.  GincciARDiNi,  storia  di  Firenze.  —  Nardi  —  Pitti  —  Nebli  —  Pabbntt,  mss. 
Razzi,  Vita  di  Piero  Soderini. 

ToMMA.siM  -  Machiavelli.  1^ 


Digitized  by 


Google 


t74  CAPO  TERZO.  [ubro 

a  quella  repubblica,  che  non  sapeva  saziare  l'ambizione  loro; 
contentandosi  volentieri  d'esser  designati  e  odiati  quali  uo- 
mini maioris  momenti,  o  «maggiori  momentanei»,  come  scher- 
nevolmente li  chiamava  la  plebe.  ^  Al  gonfaloniere,  per  contrario, 
si  diedero  in  anima  e  corpo  certi  giovani,  come  Francesco 
Gualterotti,  Bernardo  e  Alessandro  Nasi,  Anton  Canigiani,  Nic- 
colò Valori,  Alessandro  Acciajuoli,  Anton  Pandolfini;  sia  che 
loro  paresse  bello  spiccarsi  da'  vecchi  bottegai  dello  stato,  sia 
che  sperassero  battere  migliore  strada  colla  libertà  popolare 
e  col  Sederini. 

Questi,  entrato  in  palazzo  al  novembre,  aveva  già  all'aprile 
prossimo  eccitato  tanta  scontentezza  ne'  cittadini,  che  i  nemici 
poterono  ostentare  la  baldanza  loro  e  accusarlo  che  sotto  co- 
lore di  popolarità  cominciasse  a  governare  d'arbitrio;  tanto 
che  un  uomo,  per  quel  che  riferisce  il  Parenti,  «  di  buona 
vita  et  discretione  »  andò  a  lui,  e  «  significolli  come  1'  univer- 
sale si  tenea  mal  servito  et  avvertillo  de'  pericoli  portava  in 
procedere  così;  et  se  non  li  bastava  l'animo  a  governare  altri- 
menti, rinunziasse  et  tornasse  privato  ».  ^  —  Piero  tollerò  l'uomo 
e  il  discorso  di  lui,  rispondendo  che  lo  stato,  di  cui  egli  era  a 
governo,  somigliava  ad  una  figura,  abbozzata  da  buon  pit- 
tore, ma  lasciata  poi  incerta  e  incompiuta  nelle  membra  sue; 
che  nella  testa  meglio  condotta,  accennava  il  principio  della 
bella  intenzion  dell'artefice,  ma  l'intenzione  non  bastava  alla 
perfezione  finale  dell'opera:  si  desse  tempo  ed  agio,  e  tutte  le 
altre  membra  comparirebbero  acconce. 

Sotto  a  questa  risposta  sottile  il  gonfaloniere  dissimulò  la 
gran  collera  per  la  visita  e  la  proposta  di  quell'uomo;  e  tanto 
dissimulò,  che  pochi  soli,  e  tra'  più  fidati  suoi,  s'avvidero  dello 
sdegno. 

Il  Machiavelli  intanto,  tornatosi  alla  cancelleria,  teneva 
la  mente  vòlta  ad  un  proposito,  in  cui  era  la  miglior  parte  del 
frutto  riportato  da  lui  nel  contatto  col  Borgia.  Comandare  un 
uomo  per  casa,  per  farne  non  già  marraiuoli,  ma  veri  e  utili 
soldati,  vedemmo  come  fosse  opera  del  Valentino  in  Romagna. 
Il  Segretario  allora  aveva  raccolto  dati  precisi  sulla  spesa  che 
dall'ottobre  al  novembre  era  costata  la  soldatesca  al  Valen- 
tino (più  che  sessantamila  ducati,  secondo  informazioni   dello 


*  Pitti,  Apoljgii  de* cappucci,  pag.  313. 

*  Parenti^  inss..  anno  1503,  e.  40 1. 


Digitized  by 


Google 


«ECONDo]  ROVESCI  FRANCESI  NEL  REGNO  DI  NAPOLI.  275 

Spannocchi,  tesoriere)  e:  «  vedano,  aveva  egli  scritto,  ai  Si- 
gnori, vedano  che  quando  uno  è  messo  in  disordine,  egli  non 
spende  manco,  né  è  anche  servito  meglio  dai  soldati;  e  che 
•chi  è  armato  bene  e  di  arme  sue,  fa  i  medesimi  effetti  do- 
vunque si  volta  >.  ^  Poi  tornato,  nell'arringa  a' cittadini  in 
consiglio,  presentando  la  provvisione  per  le  nuove  imposte,  ri- 
pete: «chi  à  osservato  le  mutazioni  de' regni,  le  ruine  delle 
Provincie  e  delle  città,  non  le  à  vedute  causate  da  altro  che 
dal  mancamento  delle  armi  o  del  senno.  Dato  che  le  pre- 
stanze Vostre  mi  concedine  questo  essere  vero,  come  egli  è, 
seguita  di  necessità  che  voi  vogliate  che  nella  nostra  città  sia 
l'una  e  l'altra  di  queste  due  cose,  e  che  Voi  ricerchiate  bene 
se  le  ci  sono,  per  mantenerle,  e  se  le  non  ci  sono  per  prove- 
derle ».- 

Per  buona  sorte,  Piero  Sederini  era  riuscito  in  quell'istesso 
mese  d'aprile,  malgrado  le  resistenze  e  gì' intrichi  degli  otti- 
mati, a  vincere,  per  vie  straordinarie,  l'elezione  a  commissario 
generale  di  Antonio  Giacomini.  Questi,  mandato  a  dare  il  guasto 
ai  raccolti  pisani,  doveva  riuscir  potente  alleato  di  Niccolò,  perchè 
i  Dieci  sentissero  la  miseria  di  quelle  armi  di  cui  si  valevano  ; 
la  necessità  di  ordini  migliori  che  salvassero  da  ruberie  non 
meno  i  soldati  che  i  signori.  —  «  Fra  i  conestabili  -  egli  scrive 
-  e'  n'è  tale  che  dalla  prima  paga  da  poi  siamo  in  campagna, 
alla  seconda,  à  sminuito  a'  fanti  settanta  ducati....  lo,  per  avere 
saputo  più  anni  sono,  questi  lor  modi,  sono  stato  e  ne  sto  mal- 
contento, se  non  ci  si  provvede;  che,  oltre  al  danno  e  pericolo 
di  mai  non  fare  cosa  buona,  ci  è  il  carico,  anzi  il  vituperio. 
Sfugghino  pertanto,  l'uno  e  l'altro  ».  ^ 

Ma  in  questo  mezzo  gl'inaspettati  e  decisivi  rovesci  dei  Fran- 
cesi nel  regno  di  Napoli  e  le  incalzanti  vittorie  di  Spagna,  do- 
vute all'accorgimento  e  alla  pertinacia  di  Consalvo,  il  gran  Capi- 
tano, cagionavano  nuovi  passaggi  d'eserciti  e  mutazione  di  con- 
dotte in  Italia. 

A  Ruvo,  castello  a  sette  miglia  da  Trani,  Consalvo  aveva 
rotto  e  fatto  prigione  il  La  Palice;  in  Calabria,  a  Seminara 
(21  d'aprile  1503)  aveva  sconfitto  e  ferito  lo  Stuart  d'Aubigny, 
co'  suoi  cavalieri  scozzesi;  sette  giorni  dopo  vinceva  il  duca  di 
Nemours  alla  Cerignola,  in  Puglia.  Sessanta  castelli  erano  pas- 

*  Machiavelli,  Legazione  XI,  lett.  53. 

»  Machiavelli,  Parole  di  dirle  sopra  la  provvisione  del  danaio. 

*  Leu.  di  Ant.  Giacomini,  riportata  dal  Pitti,  loc.  cit.,  pag.  EOI. 


Digitized  by 


Google 


L 


rtò  CAPO  TERZO,  [libbo 

sati  subito  agli  Spagnuoli,  e  poco  dopo  Capua,  Aversa,  Napoli; 
di  guisa  che  in  pochi  giorni  a' Francesi  andava  perduta  tutta 
la  conquista  di  due  anni.  ^  La  scaltra  cautela  di  Ferdinando 
di  Castiglia  aveva  mandato  a  vuoto  l'accordo  di  pace  che  l'ar- 
ciduca Filippo,  figliuolo  deir  Imperatore,  marito  a  Giovanna  di 
Castiglia  e  d'Aragona,  aveva  per  lui  conchiuso  testé  (5  aprile) 
in  Lione  col  re  Luigi.  Questi,  il  quale  sapeva  che  volesse  dire 
a'  Francesi  il  cominciare  a  perdere,  e  a  perdere  soprattutto 
nel  paese  di  Napoli,  raccolto  un  grosso  esercito,  lo  mandava 
verso  il  regno.  Erano  Francesi,  Svizzeri,  Grigioni,  Italiani,  che 
accozzati  insieme  avanzavano  lentamente;  pronti  a  ingiuriarsi  a 
vicenda,  più  che  a  combattere, ^  e  quando  furono  presso  To- 
scana, si  divisero  per  due  vie.  Trecento  lance  e  tremila  pedoni 
procederono  per  Fivizzano,  sotto  il  comando  di  monsignor  di  San- 
dricort;  altrettanti  insieme  al  bailli  d'Occan  per  Pontremoli. 
Incontro  al  Sandricort,  i  Dieci,  secondo  che  apparisce  dagli 
stanziamenti,  mandarono  Niccolò  Machiavelli.  ^  La  qualità  di 
questa  commissione  del  segretario  fiorentino  non  ci  è  cognita; 
probabilmente,  egli  ebbe  a  far  ossequio,  a  raccomandare  la  re- 
pubblica, a  scandagliare  che  forze  eran  quelle  che  soprag- 
giungevano, e  che  poteva  promettersene. —  Poco:  eran  torme 
indisciplinate,  le  quali  misero  la  disperazione  nel  La  Tre- 
mouille  prima,  poi  nel  Marchese  di  Mantova,  quando,  infermatosi 
quello,  fu  preposto  loro  a  capitan  generale.  L'eroe  del  Taro 
anche  pel  re  di  Francia  era  divenuto  uomo  di  virtù  e  di  con- 
siglio <  homme  de  vertu,  de  conduite  et  d'expérience  »  ^  ma 
l'insolenza  di  quelle  armi  non  potè  sopportarla  e  rinunciò  ben 
presto  all'incarico. 

Frattanto  il  più  grande  armeggìo  facevasi  a  Roma,  ove, 
morto  papa  Alessandro,  tutte  le  mire  de'  contendenti  in  Italia 
eransi  voltate  a  cercare  nel  successore  di  lui  un  appoggio  e 
un  rinforzo  all'ambizione  e  potenza  propria.  Il  cardinale  di 
Rouen,  rappresentava  le  cupidigie  sue  personali  e  le  francesi; 
conducendo  con  sé  Ascanio  Sforza,  il  fratello  di  Ludovico,  che 
usciva  dalla  prigionia  della  torre  di  Bourges,   per  votare  in 

i  Fr.  Cabpksam  fiaminis  parmensi»  Commentar ior.  suor,  temp.,  \\h'.  x,  in  Mabt^xb 
et  Durano,  Scriplor.^  t.  v,  lib.  iv.  «  Quidquid  biennio  ante,  rapinis  et  latrociniis  in  eas 
congesserant  vìctores  Galli,  paucis  diebus  amisere  ». 

•  V.  Rankb,  op.  cit.,  pag.  167. 

*  BoNAccoRSi,  Diario.  V.  lo  sfanzùime«to  pubblicato  dal  Passbrin'i,  Opp.,  voi.  i, 
pag.  Lxi. 

*■  Dksjardins,  Négociations  diplomatiqueSf  t.  ii,  pag.  S»!. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  elezione  VI  PIO  TERZO.  277 

conclave,  nel  quale  aveva  promesso  far  propaganda  pel  d'Am- 
boise;  ma  tiadi  le  promesse.  Il  cardinal  d'Aragona,  fratello 
a  re  Federigo,  pareva  stare  anche  lui  con  la  parte  fran- 
cese; il  Della  Rovere  faceva  per  sé;  gli  Spagnuoli  pendevano 
lutti  dal  Valentino,  che  malgrado  l'infermità  sua,  la  morte  del 
padre,  il  concorrergli  de' nemici  addosso,  era  pur  sempre  rimaso 
il  più  potente  in  Roma.  L'accarezzavano,  lo  lusingavano  tutti; 
i  Veneziani  gli  portavano  un  odio  pien  di  paura,  e  tuttavia  non 
osavano  inclinare  ad  un  papa  francese;  i  Fiorentini  non  sape- 
A-an  di  chi  più  diffidare. 

Vegliava  per  loro  il  cardinal  Soderini,  che  dalla  Signoria 
s' usava  chiamare  «  il  cardinale  nostro  »  ;  presso  il  quale 
avean  mandato  a  Volterra  il  Machiavelli,  forse  ad  abboccarsi 
con  lui  per  riguardo  del  conclave  prossimo;  ma  il  Soderini 
ch'era  tra  gli  ultimi  eletti  da  papa  Borgia,  non  poteva  nel 
conclave  avere  influenza  veruna;  né  per  que'  deboli  poi  v'era 
ombra  di  sicurezza  che  nella  sede  vacante. 

Quando  Pio  III,  il  cardinale  di  Siena,  fu  annunziato  pon- 
tefice, parve  che  le  mene  di  lutti  avessero  cercato  in  una  breve 
e  utile  sosta,  miglior  tempo  e  modo  a  ripigliare  gli  orditi  ed 
ammendar  gli  errori.  —  «  È  a  judicar  che  in  poco  tempo  abi  a 
dar  luogo  ad  un  altro  »;  ^  così  del  nuovo  papa  scriveva  il  Giu- 
stinian,  il  giorno  appresso  all'elezione  di  lui;  e  Pio  III  dopo 
Tentisei  giorni  era  morto. 

Nel  frattempo  il  cardinal  della  Rovere  aveva  atteso  a  gua- 
dagnarsi l'appoggio  della  repubblica  di  Venezia,  i  cardinali 
Corner,  Gì  imani,  Caraffa,  Riario.  Il  Valentino  aveva  capito  che, 
poiché  egli  non  poteva  fare  un  papa  a  suo  modo,  doveva  otte- 
nere che  non  riuscisse  almeno  chi  egli  non  voleva,  chi  aveva 
ofieso;*  pertanto  non  Giovanni  Colonna^  nonio  Sforza,  non  il 
Riario,  non  il  della  Rovere;  bensì,  o  uno  spagnuolo,  e  de'  suoi; 
o  il  cardinale  di  Rouen.  Ma  questi  aveva  perduto  o  l'illu- 
sione 0  la  fiducia  negl' intrichi  del  conclave,  e  forse,  più  che 
non  altri,  venne  meno  a  sé  stesso  nella  seconda  lotta. 

Che  anche  questa  volta  i  maneggi,  le  corruzioni,  i  gar- 
bugli si  risuscitarono  con  tanto  maggior  ardore,  quanto  più  senti- 
vasi  ch'era  la  volta  in  cui  l'elezione  avrebbe  avuto  imjKirtanza 
definitiva.  5  In  quest'occasione,  per  vegliare  il  rimescolio  delle 

>  GiusTiNiAN,  Dispacci,  t.  II,  pag.  206. 

«  Machiavrlli,  Principe^  vii. 

»  ^OBiTA,  lib.  V.  —  Brosch.  Papst  JuUus  II,  pag.  82.  —  Rankb,  op.  cit.  pag.  172. 


Digitized  by 


Google 


^  CAPO  TERZO.  [libro 

cupidigie  umane  che  piglian  nome  dal  cielo,  la  Signoria  di  Fi- 
renze mandò  a  Roma,  a  fianco  del  cardinal  di  Volterra,  Niccolò 
Machiavelli. 

Il  segretario  fiorentino  entrò  la  città  degli  Scipioni  e  dei 
Cesari,  che  della  grandezza  antica  pareva  co'  suoi  ruderi  essere 
il  grande  cadavere  guasto  sotto  la  volta  del  cielo.  Già  prima 
di  Niccolò,  un  altro  segretario  della  repubblica  fiorentina,  il 
Bracciolini,  considerando  con  dolore  le  vestigia  dell'antica  civiltà 
latina,  aveva  pianto  la  crudele  varietà  di  fortuna  *  che  aveva 
recato  tanto  mutamento  e  tanta  demolizione.  E  del  concetto 
appunto  doUa  fortuna,  risguardata  come  una  legge  naturale  e 
ineluttabile,  dì  quel  concetto  si  ovvio  e  si  potente  negli  uo- 
mini del  secolo  decimos3sto,  l'aspetto  della  mutata  città  di 
Roma,  doveva  essere  intimo  stimolo  e  appassionamento.  I  cultori 
delle  umane  lettere,  gli  uomini  d'arte,  i  ricercatori  delle  forme 
elette  peregrinavano  con  l'animo  devoto  a  quel  sacro  suolo  e  ne 
tentavano  le  viscere,  non  per  trovarvi  la  città,  ma  la  mina; 
e  fuggivano  dalla  vita  viva  ai  deseria  Urbis,  dove  erano  archi, 
colonne  storiate,  tempi,  colla  fantasia  innamorata  provandosi 
a  risuscitare  la  gloria  delle  morte  cose. 

Quivi  il  Donatello,  il  Brunelleschi,  quivi  Ciriaco  di  An- 
cona, ^  Giuliano  da  San  Gallo,  ^  Leon  Battista  Alberti,  Ber- 
nardo Rucellai,  ^  il  Suardi,  ^  Bramante,  Raffael  Santi,  il  Bo- 
narruoti  ^  ricercavano  le  proporzioni,  rilevavano  le  piante 
degli  antichi  edifici,  ridestavano  nomi,  ricreavano  quanto  di 
formale  restava  di  quella  vita  antica.  Ed  era  fatto  naturalis- 
simo; che  gli  uomini  non  approdano  all'intimità  delle  cose, 
se  non  dopo  che  dell'esteriore  anno  acquistato  il  possesso; 
poiché  è  il  culto  della  forma  che  preludia  sempre  alla  discus- 
sione della  sostanza.  Però,  a  Roma,  dove   quella  eletta  d'an- 

•  Cf  Poggi,  Ruin.  urbiirom.  descripL,  de  Variet.  fortunae,  lib.  i:  «  Stupenda  quippe 
vis  est  ac  varietas  qaae  etiam  ipsas  aediflciorum  moles,  quas  extra  fatum  illarum  condì- 
tores  existiinabant,  funditus  demolita,  nihil  fere  ex  cunctis  rebus  reliqui  fecit  ».  —  E  il 
Machiavelli,  nel  Capitolo  di  fortuna  : 

«  Quivi  si  veggon  Topre  alte  e  divine. 
Dell' imperio  roman;  poi,  come  tutto 
n  mondo  infranse  con  le  sue  rovine  ». 

•  Cf.  ■Mbhos,  Ki/riaci  ane.  Itinerarium,  pag.  lxxiii-lxxv. 

•  V.  ms.  Barberiniano  822. 

^  Bernardi  Oricbllarii,  De  Urbe  Roma,  in  Tartinmi,  Rer.  il.  script,  ii.  * 

»  MoNOERi,  Le  rovine  di  Roma  al  principio  del  sec.  XVI,  studi  del  Bramjnlino,  da 
un  ms.  deirAmbrosiana.  Hoepli,  1S75. 

•  G.  Dr  Rossi,  Piante  icnografiche  e  prospettiche  di  Roma,  anteriori  al  secolo  XVI. 
Roma,  1879. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  il  machiavelli  A  ROMA.  279 

tiquarì  e  d'artefici  scruta  le  ragioni  della  bellezza,  il  Machia- 
velli pare  che  quasi  virtualmente  inauguri  l'altro  stadio  in- 
tellettivo e  scruti  le  ragioni  dell'antica  vita,  e  ne  ritenti  gli 
organi  e  il  moto.  Di  questo  fatto,  che  è  portato  della  sua  pro- 
pria natura,  aspetta  altro  tempo  a  darci  rivelazione;  per  ora 
ei  non  ne  lascia  sentore  che  nel  maraviglioso  silenzio  suo. 

Infatti  si  cercherebbe  invano  fra  le  sue  lettere  private  e 
pubbliche  di  questo  tempo,  alcun  cenno  che  si  riferisca  alle 
antichità  romane,  alle  maraviglie  d'arte  che  tornavano  a  luce, 
alla  commozione  che  quelle  rovine  gli  mettevano  nell'animo. 
Eppure  questa  commozione  c'era  e  nasceva  dall'osservazione 
dolorosa  del  contrasto  fra  l'antica  e  la  moderna  vita.  Niccolò 
contemplava  il  parassitico  attorcigliarsi  del  presente  intorno 
a  quella  grande  mina;  e  dove  un  di  s' agitavano  uomini,  vedeva 
ora  pascer  capre;  le  coclee  di  Trajano  e  d'Antonino,  impron- 
tate dei  miracoli  delle  antiche  legioni,  languivano  fra  le  male 
erbe,  tocche  dal  fulmine;  mal  composte  mura  laterizie  incar- 
ceravano le  colonne  de'  marmorei  portici,  voltati  in  casipole;  la 
gretta  e  nera  torre  baronale  s'accampava  sulla  maestà  di  teatri 
e  di  terme  antiche  ;  l' Urbe  sembrava  tutta  essere  cosi  rinsel- 
vatichita. 

A  queste  condizioni  ordinarie  della  città  romana,  s'aggiun- 
gevano allora  anche  le  occasionali,  che  le  rendevano  più  tetro  e 
grave  l'aspetto.  Le  torte  e  anguste  vie  portavano  le  tracce  di 
recenti  tumulti;  qua  eran  vestigia  di  serragli,  opposti  già  al 
duca  Cesare,  quando  prima  di  cedere  agli  offici  degli  oratori,  che 
lo  persuasero  a  lasciar  sembiante  di  libertà  alla  chiesa  e  ritrarsi 
a  Nepi,  avea  minacciato  assediare  il  primo  conclave,  tenuto  in 
chiesa  alla  Minerva;  là,  torreggiava  gigante  la  vecchia  mole 
di  Castel  Sant'Angelo,^  ridotta  a  nuova  e  minaccevole  forma 
dalla  tirannide  e  dalla  paura;  e  coladdentro,  dopo  l'elezione 

*  In  una  medaglia  di  Alessandro  VI,  nella  biblioteca  Vaticana,  è  impressa  da  una 
parte  l'effigio  di  esso  pontefice  colla  leggenda:  alkxandbr  vi  font.  max.  iust.  pacisqub 
cultor;  e  nel  rovescio  il  Castel  Sant'Angelo,  che  fu  Tultimo  rifugio  del  suo  figliuolo,  colla 
scrìtta:  arcbm  in  mole  divi  hadr.  instaur.  foss.  ac  propugnacvlis  mun.  E  in  una  rac- 
colta di  Stampe  geografiche  e  topografiche  del  secolo  XVL  (Bibl.  Vitt.  Em.  6,  21,  B,  8, 
pag.  117)  e*  ne  à  una  rappresentante  il  caste!  Sant'Angelo  con  la  seguente  leggenda:   en 

tiri  QUISQUIS  BS  LBCTOR  IUCUN'DISSIMB  QUBM  I  AENBIS  NICOLAI  BBATRICII  LOTBARINGl  PBRK- 
LBGAN  I  TBR  rORMIS  RBPRABSENTATA  ROMANI  CABSARUM  |  ABDIFICIA  DELECTANT  IMP.  CAESARIS 
HADRI  I  ANI  AUG.  BFFIOIATUM  HAUD  INBPTB  MAU  |  SOLBUM  QUOD  BT  BONIFACIUS  NO  |  NUS  B 
TOMACBLLA  FAMILIA  PONT.  |  MAXIMUM  PRIMUS  OMNIUM  IN  |  CASTRI  FORMAM  COMMUNIIT  |  IDQ. 
BTIAM  POST  ILLUM  |  ALEXANDER  BORGIUS  |  SBXTUS  HUIUS  |  NOMI  |  NIS  PONT.  MAX.  CAROLI  | 
VIII   GaLLORUM    RBOIS  I  CONSILIO    IN    HANC    QUAM  |  VIDE8    ADMIRANDAB    MUNÌ  |  TIONIS    FORMAM 

RBDEGrr.  I  VALE  i  V  |  — V.  ancho  Antiquarie  prospettiche  romane  per  Prospettivo  Mila- 
nese, V.  150-156. 


Digitized  by 


Google 


8t)  CAPO  TERZO.  [libro 

del  Piccolómini,  erasi  chiuso  co'  cardinali  suoi  il  Valentino. 
Su  lui,  dal  borgo  oltre  il  ponte,  tenevano  gli  occhi  appuntati 
le  bande  degli  Orsini  e  di  Gian  Paolo  Baglioni:  «  latruncoli 
piuttosto  che  soldati  »  ;  Me  case  degli  Orsini  stesse,  a  monte 
Giordano,  fumigavano  ancora  del  fuoco  appresovi  da  don  Mi- 
chele Corolla,  2  r  anima  dannata  del  Borgia,  che  non  aveva 
voluto  sgombrar  da  Roma,  senza  levarsi  la  soddisfazione  d'ap- 
piccar quell'incendio.  Presso  a  quelle  erasi  levato  dilagando 
il  Tevere,  che  ingrossato  dalle  copiose  piogge,  già  da'  di  20  di 
ottobre,  aveva  soperchiato  il  ponte,  e  alle  case  de'  banchieri, 
come  chiamavansi  quelle  d'Agostino  Chigi,  oltre  a  san  Celso,  ^ 
s'era  levato  già  più  alto  che  un  uomo.  Sul  ponte  passava  solo 
e  a  mala  pena  chi  avesse  gran  briga  in  Vaticano;  e  il  cere- 
moniere  Burcardo  racconta,  come  gli  fosse  gran  disagio  averlo  a 
trascorrer  di  sovente  in  sulla  mula  per  le  gravi  faccende  del 
conclave  e  le  gravissime  delle  cerimonie  sue.  In  queste  circo- 
stanze, non  è  maraviglia  se  Niccolò,  .risparmiandosi  d'uscir  di 
casa  alle  tre  ore  di  notte,  scriveva:  «  a  quest'ora  non  si  va 
p9' nostri  pari  troppo  sicuro  per  Roma  i^.'*  ne  se  il  soggiorno 
della  città  non  gli  tornò  molto  gradevole. 

Tanto  più  che  la  commissione  stessa  che  era  chiamato  a 
compiere,  distraendolo  da'  disegni  che  in  Firenze  aveva  prepa- 
rato, lo  gittava  in  un  elemento  a  cui  era  estraneo  e  che  pa- 
reva rendere  men  proficua  l'operosità  sua.  In  corte  di  Roma 
gli  conviene  esser  guardingo  nel  ragguagliare;  e  benché  vegga 
bene,  che  «  vi  si  maneggia  tutta  l'importanza  delle  cose  che 
girano  al  presente,  »  non  gli  vien  fatto  d'usare  della  sua  logica 
con  sicurezza,  di  trarre  una  conclusione  certa,  di  argomentare 
una  previsione,  che  l'evento  non  sia  per  ismentire.  Tanti  son 
quivi  gli  attriti  morali  e  fisici  che  modificano   ogni   delibera- 

»  Machiavelli.  Commiai,  a  Roma^  lett.  72.  —  Burcardo,  Diario.  —  Il  Matarazzo, 
Della  sua  Cronica  (Archivio  storico^  pr.  serie,  t.  16,  parte  ii,  pag.  99),  cosi  descrive  l'arme 
de' Baglioni  :  «  et  li  magnifici  Baglione  portavano  la  divisa  che  lo*  donò  el  conte  Jacomo 
quale  fu  de  Niccolò  Picinino,  ciò  è  una  calia  verde,  cioè  la  manca,  e  una  rosela,  eum  lo 
schiniro  bianco  de  fora  de  man  dritta;  et  per  loro  insegnia  portavano  uno  scudo  azxurro, 
cum  una  sbarra  in  mezzo  a  traberso  d'oro;  cum  lo  cimiero  di  sopra  mezzo  grifone,  e  de 
drieto  pendeva  una  coda  de  serpente  ». 

*  Don  Michele  Corolla  fu  da  qualche  moderno  isterico,  non  sappiamo  sa  qual  fonda- 
mento, e  malgrado  le  testimonianze  de' contemporanei,  spacciato  per  veneziano.  Nell'Archivio 
Horentino,  X»  di  Balia  dal  1506  al  1508^  DeHbm-azioni  e  condoiU^  ci.  xiii,  dist.  ii,  n.  71 
pag.  54  si  rinviene:  «  Don  Michele  di  Don  Giovanni  di  Coriglia,  da  Valenza,  condotto  a' 
soldi  della  loro  repubb.  »  etc. 

*  V.  CuoNONi,  Note  al  Commentario  di  Alé8$andro  VII  sulla  vita  di  Agostino  CMgi, 
nell'Arc/itrio  della  Società  R.  di  Storia  patria,  t.  ii,  pag.  487  e  segg. 

*  Machiavelli,  Legazione  alla  Corte  di  Roma,  lett.  73. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  importanza  DELLA  COMMISSIONE  A  ROMA.  B81 

zione,  e  paiono  piuttosto  dar  la  spinta  ai  fatti  che  cagionarli  ! 
Se  non  che  la  qualità  dei  fatti  stessi  che  Niccolò  è  in  condi- 
zione di  sorvegliare  e  riferire,  dà  a  questa  commissione  sua 
un'importanza  storica  straordinaria.^  Orintrichi  del  conclave 
prossimo  son  piccola  cosa,  presi  in  sé  stessi;  ma  gì' intricanti 
anno  un  valore  grandissimo;  dappoiché  sono  le  due  nazioni  che 
combattono  pel  reame  di  Napoli,  e  che  combattono  le  battaglie  de- 
cisive, le  quali  destano  tutta  l'apprensione  e  Y  interesse,  e  vo- 
glion  guerreggiare  anche  in  quel  papato;  è  il  Valentino  che, 
per  non  affondare,  si  sforza  di  pigliare  in  mano  tutti;  che  vede 
pian  piano  tutto  sfuggirgli  e  tutti  offenderlo  paurosi;  è  la  re- 
pubblica di  Venezia  che,  per  sostituirsi  al  Borgia  nelle  città  di 
Romagna,  giuoca  la  sua  ultima  posta  e  dà  occasione  alla  chiesa 
di  accozzare  contro  a'  possessi  di  lei  in  terra  ferma  tutte  le 
nimicizie  italiane  e  le  forze  straniere  accapigliate  in  Italia. 

Che  se  c'è  cosa  che  dia  argomento  a  giudicare  la  portata 
enorme  del  colpo  che  i  vicari  ecclesiastici  e  i  condottieri  ave- 
vano ricevuto  dalla  potente  politica  de'  Borgia,  questa  è  l' ina- 
nità degli  sforzi  loro  per  rifarsi  vivi,  quando  la  potenza  dei 
Borgia  è  al  tramonto.  Gli  stessi  artifici  del  gran  Capitano 
per  riconciliare  nel  suo  campo  spagnuolo  i  Colonna  e  gli  Or- 
sini, 2  attestano  com'  era  finita  per  essi  la  necessità  o  la  conve- 
nienza di  nimicarsi  a  vicenda,  poiché  nell'inimicizia  era  stata 
già  tutta  la  forza  e  la  considerazione  loro.  Degli  altri  baroni 
e  vicari  superstiti  era  superfluo  tener  ragione.  L'unico  e  il 
migliore  fra  tutti,  Guidubaldo  d'Urbino,  nelle  mutate  circo- 
stanze era  chiamato  a  pigliare  il  posto  che  fu  già  di  Vitel- 
lozzo  alla  Magione:  a  farsi  centro  o  capo  alla  nuova  lega  dei 
falliti,  che  volevano  ritornare  nelle  sedi  perdute.  La  virtù  sua, 
l'affetto  de' sudditi,  gli  avevano  spalancato  subito  le  porte  del 

>  QuestMmportanza  venne  riconosciuta  dal  Ra.nke,  Oe^hichten  der  romanischen  una 
ff^rmanisch^n  VSlker,  pag.  167  e  seg.,  dal  PRESCOTTf  History  of  Ferdinand  and  Isabella, 
parte  ii,  voi.  ni,  cap.  xiv,  pag.  127.  il  quale  annota:  «  The  calmer  and  more  penetrating 
ève  of  the  Fiorentine  discerns  symptoms  in  the  condition  of  the  two  armies  of  quite  a 
diflerent  teudency  ».  —  V.  Dumksnil,  HUtoire  de  Jule»  II,  cap.  ii,  pag.  33  e  seg.  —  Bboscb, 
Papst  Julius  II  und  die  Griindung  des  Kirch&nttaates,  cap.  iv.  —  E.  Gbbhart,  L'hon- 
nèleté  diplomatique  de  Machiavel  (nelle  Séanees  et  travaux  de  l'Acc.  des  se.  mor.  et  pò- 
Utiques).  —  H.  Hbidbmbbimbr,  M.'s  erste  r'ómische  Legation,  ein  Beitrag  sur  Beleuchtung 
seiner  gesandtschaftlichen  Thatigìieit.  Darmstadt,  1873.  —  L'  Hbidbnhbimbr,  seguendo  le 
idee  dell' Ulmann  circa  il  valore  de' dispacci  diplomatici  considerati  come  fonte  di  storia, 
investiga  con  molto  acume  la  condizione  del  M.  presso  alla  Corte  di  Roma;  mette  a  rim- 
petto  dell'informazione  di  lui  quelle  d'altri  oratori  e  scrittori  contemporanei,  e  quand'anche 
alcuna  volta  forse  non  precisi  con  rigorosa  giustezza  l'ufficio  e  l'importanza  effettiva  del 
segreUrio  fiorentino,  le  osservazioni  sue  tuttavia  son  per  la  maggior  parte  ponderate  e  sottili. 

•  Q^^i'^^i  AnnaleSf  ecc. 


Digitized  by 


Google 


282  CAPO  TERZO.  [libro 

ducato;  le  fortezze  abbattute  non  avevangli  frapposto  impaccio, 
come  egli  ebbe  già  ben  previsto.  —  «  Feltro,  Feltro!  »  —  accla- 
marono i  popoli  giubilando  ;  le  borgate  intere  «  con  tamburino 
innanzi  »  ^  si  mossero  per  poter  toccare  la  mano  del  loro  duca; 
ma  degli  altri  signorotti  non  era  successo  altrettanto.  Faenza, 
quantunque  tenera  de'suoi  Manfredi,  non  s'era  molto  commossa 
per  loro;  e  finché  viveva  il  Valentino  e  vi  fosse  speranza  delle 
cose  sue,  non  voleva  mutar  signore;  ^  in  Forlì  balzavano  gli 
Ordelaffi,  ma  non  già  i  Riario;  e  per  sentirvisi  mal  sicuri  ac- 
cattavano aiuti  al  di  fuori.  ^  Il  Malatesta  non  sapeva  far  altro 
di  Rimini,  che  venderlo  ai  Veneziani;  ^  a  Città  di  Castello  por- 
tavano in  processione  un  vitello  d'oro,  ^  ma  il  simbolo  soprav- 
viveva alle  persone.  Mancavano,  come  ben  vedeva  il  Machia- 
velli, i  capi  dello  scandalo,  ®  e  a  quest'ufficio  il  virtuoso  e  ma- 
laticcio Guidubaldo  mal  pareva  disposto.  I  signorotti  volevano 
e  provavano  far  nuova  lega  a'  danni  del  Borgia;  ne  sceglie- 
vano bensì  a  capo  il  Montefeltro,  ma  questi,  standosi  agli  sti- 
pendi dei  Veneziani  e  nelle  buone  grazie  della  Chiesa,  correva 
risico  di  non  riuscire  ad  altro  che  a  strumento  temporaneo  di 
quelli  o  di  questa.  In  tempi  obliqui  il  buon  duca  era  riuscito 
ad  andar  diritto,  a-  proteggere  l'onore  e  la  vita  propria,  ad 
acquistarsi  liputazione,  afietto  e  gloria.  Ma  quei  modi  che  sono 
ottimi  a  chi  si  difende,  non  valgono  a  offendere;  e  per  ricu- 
perare la  libreria  e  i  tappeti  preziosissimi  del  suo  palazzo  toccò 
a  Guidubaldo  sopportare  il  peso  d'un  colloquio  col  suo  mortale 
nemico  e  persecutore  acerrimo,  tollerare  le  domande  di  per- 
dono e  le  cerimonie  spagnolesche  del  Valentino.''' 

Del  resto,  coloro  che  giudicano  far  omaggio  al  sentimento 
morale  negando  di  riconoscere  in   Cesare  Borgia  pregi  intel- 

»  Commentarla  quarumdem.  —  Uoolini,  Storia  de'conti  e  duchi  d'Urbino,  voi.  n, 
pag.  123. 

*  V.  Lettera  de*Dieci  ad  Alessandro  Nasi  «  die  26  oct.  1503  »  pabblicata  neiredis.  P  -M. 
dell'Opere  del  Machiavelli,  voi.  ii,  pag.  305-6,  in  nota. 

■  Machiavelli,  Commissione  in  Corte  di  Roma,  lett.  11. 

*  Cf.  Dispacci  d'Antonio  Ginstiniani^  ed.  Villari,  e  la  nota  a  pag.  224-225. 

*  Ugolini,  op.  cit.,  t.  ii,  pag.  123. 

*  Maciitavklli,  loc.  cit  ,  lett.  30:  «  Circa  le  cose  de* baroni,  non  ci  si  trovando  e'cap 
di  8cand')lo,  dura  el  papa  poca  fatica  ad  intrattenerli,  perchè  per  la  parte  Orsina  ci  è  Tar- 
civescovo  vostro  e  il  signor  Julio,  e  per  la  parte  Colonnese  el  cardinale  e  certi  spiccio- 
lati che  non  importano  ». 

^  V.  la  lettera  di  ser  yiccolò  Sanson  urbinate  pubblicata  dairUooLiNi,  op.  cit.,  t  ii. 
pag.  524.  -  Bibl.  Vat.  ms.  Vrb.  490,  pag,  101,  t.  :  «  Gli  chiese  perdono  delle  offese  fattogli  (sic) 
com*ancho  cuoi  dimostratione  d'animo  rimesso  Guidubaldo  glielo  concesse.  Cosi  da  indi  in 
poi  il  Valentino,  come  rintegrato  seco,  per  più  domesticarsi  cum  esso  lai  anche  cum  fargli 
dimandar  delle  nove,  et  quanto  e  hauesse  dille  cose  di  Romagna,  spesso  lo  mandaaa  a 
uisitare  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  TRAMOyrO  DELLA  FORTUNA  DEL  VALENTINO.  «^ 

lettuali,  conoscenza  perfetta  delle  cose  e  degli  uomini,  maneggio 
maraviglioso  d'espedienti  e  di  schermi,  veggano  essi  d'accon- 
ciare e  spiegare  a  lor  senno  questo  fatto  straordinario  (e  lo 
spieghino  altrimenti  che  colla  prudenza  infinita  di  lui  e  colla 
somma  corruttela  e  fiacchezza  altrui),  che  cioè  nel  momonto 
in  cui  pare  gli  debbano  esser  finite  a  un  tratto  tutte  le  forze; 
nel  momento  in  cui  gì' innumerevoli  nemici  suoi  parche  l'ab- 
biano ad  avere  in  balia,  egli  se  ne  fa  siepe  intorno  e  li  trat- 
tiene; vende  il  suo  favore  con  oculatezza;  si  regge  colla  re- 
putazione del  passato  e  scende  più  che  non  cada,  ed  è  tradito 
invece  d'essere  oppresso,  com'era  brama  d'ognuno  e  secondo 
che  pareva  probabile.  -^ 

Niccolò,  non  appena  è  in  Roma,  gli  mette  gli  occhi  sopra  e 
s'accorge  dell'importanza  precaria  che  ancora  gli  dà  il  conclave 
prossimo;  lo  vede  «  intrattenuto  forte  da  chi  desidera  esser 
papa,  rispetto  ai  cardinali  spagnuoli  suoi  favoriti  »;  i  cardi- 
nali gli  vanno  a  parlare  in  castello;  ed  egli  vive  «  colla  speranza 
d'esser  favorito  dal  pontefice  nuovo  ».^  Non  c'era  altr' àncora 
per  lui;  ma  chi  poteva  oflfrirgli  speranze  attendibili?  Ne' car- 
dinali italiani  poteva  confidarsi  poco;  poiché  il  cardinale  Pic- 
colomini,  da  cui  aveva  avuto  minori  promesse,  gli  aveva  come 
pontefice,  fors'anche  a  malincuore,  fatto  maggior  beneficio  che 
da  alcun  altro  italiano  non  potesse  aspettarsi.  Da  lui  aveva 
ottenuto  brevi  alla  repubblica  di  Venezia,  invadìtrice  della  Ro- 
magna; da  lui  la  protezione  della  vita  contro  gli  Orsini  e  l'Al- 
viano.  Ma  al  povero  Pio  III  né  Venezia  né  i  baroni  aveano 
perdonato  questi  favori  valentineschi;  e  poiché  per  fortuna,  se- 
condo che  pareva  a  que' partigiani,  la  sede  era  vacata;  biso- 
gnava stare  attenti  che  il  nuovo  eletto  non  fosse  d'umore  da 
rinnovar  que'  benefici.  Però  Cesare  Borgia  vedeva  chiaro  che  il 
miglior  espediente  per  lui  era  dar  appoggio  ad  un  papa  che 
non  avesse  soggezione  né  di  Venezia  né  de'condottieri.  Conve- 
niva pertanto  non  fosse  un  italiano:  poteva  forse  essere  uno 
spagnuolo;  ma  gli  spagnuoli  diffidavano  di  chi  s'era  chiamato 
«  Caesar  Borja  de  Francia  »  ^  e  in  casa  dell'oratore  Ispano 
erano  stati  giurati,  sottoscritti,  sigillati  capitoli  fra  Orsini  e 
Colonnesi,  perchè  servissero  tutti  il  re  di  Spagna  contro  quel 

»  Machiavelli,  loc.  cit-,  lett.  8  e  10. 

*  QoRiTA,  AnnaleSf  lib.  iv,  cap.  xlv  :  «  y  caino  era  atrevido  en  todas  sus  cosas,  basta 
lo  mas,  para  declarar  el  odio  che  tenia  a  la  casa  de  Espana,  se  clamava  Cesar  Bnrja  de 
Francia;  j  en  el  principal  quartel  del  escudo  de  sus  armas,  traya  las  de  aquel  reyno.  » 


Digitized  by 


Google 


284  CAPO  TERZO.  [libbo 

di  Francia  nella  guerra  di  Napoli,  e  per  appoggiare,  terminata 
questa,  il  ritorno  de' Medici  in  Firenze;  s'era  percorsa  la  città 
fra  le  luminarie  gridando:  «  Spagna,  Orso  e  Colonna!  ».^  Però 
poteva  darsi  il  caso  che  la  politica  del  re  di  Spagna,  essendo 
altra  da  quella  del  Borgia,  attraesse  il  pontefice  nuovo,  e  lo 
facesse  passar  sopra  alla  riconoscenza  e  dimenticare  gl'im- 
pegni contratti  con  chi  aveva  avuto  tanta  parte,  e  tantx)  ne- 
cessaria, all'elezione  sua.  Restava  quindi  un'unica  via:  accer- 
tarsi il  favore  di  Francia,  affezionarsi  i  Fiorentini,  sostenere 
il  cardinal  d'Amboise. 

E  infatti  il  Machiavelli  trova  che  con  lui  e  col  Sederini 
il  Valentino  s'era  andato  appattumando.  Desiderava  ottenere 
colla  protezione  francese  sicuro  passaggio  da  Firenze  per  an- 
dare in  Romagna  a  tener  saldo  il  ducato  suo;  *  ma  i  Fioren- 
tini, quantunque  sotto  coperta,  avevano  già  spalleggiato  l'in- 
gresso degli  Ordelaffi  in  Forlì,  mettendo  loro  "più  spavento  il 
principato  forte  del  Borgia,  che  si  era  annidiate  alle  loro 
spalle,  che  non  l'occupazione  precaria  di  quelle-  terre,  le  quali, 
quando  non  andassero  in  mano  di  piccoli  potentati,  avrebbero 
potuto  pur  sempre  con  buon  successo  esser  ritolte  a  chi  che  sia, 
parteggiando  per  la  signoria  della  Chiesa.  Pertanto  Niccolò 
sopraggiunge  a  raffreddare  il  calore  de'  due  porporati,  nel  loro 
accostarsi  col  Borgia.  Cauto,  il  Sederini,  si  arresta  subite;  e  te- 
nendosi a  fianco  del  cardinale  di  Rouen,  con  artificio  sottile 
e  inavvertito  riesce  a  dominarne  le  determinazioni.  Il  Sederini 
aveva  obbligo  co' Borgia;  alla  dignità  cardinalizia  era  stato 
innalzato  da  loro;  con  essi  aveva  avuto  spessi  negozi;  de' fatti 
del  duca  aveva  sentito  talvolta  ammirazione;  ma  l'utilità  della 
patria  sovrastava  a  tutte  le  idee  e  i  sentimenti  suoi  e  li  fa- 
ceva tacere.  L'Amboise  poi  nelle  faccende  del  conclave  si  tra- 
vagliava forte;  ^  né  ad  altro  voleva  attendere.  Niccolò  Machia- 
velli, che  aveva  avuto  in  commissione  1*  incarico  e  la  procura 
di  far  ratificazione  condizionata  della  condotta  di  Gian  Paolo 
Baglioni,  soldato  dal  cardinale  di  Rouen  in  comune  pel  re  di 
Francia  e  pe' Fiorentini,  si  attenta  invano   di   richiamarle  a 

^  GiusTiNiAN,  Dispacci^  voi.  II,  pag.  238. 

•  OiusTiNiAN,  Dispacci,  t.  II,  pag.  608. 

»  Machiavelli,  loc.  cit.,  lett.  10.  Nel  Po'étM  fail  a  la  louange  de  la  Dams  de  Beatijeu 
soeur  de  Charles  VIII^  pubblicato  dal  Lancelot  nelle  Màmoires  de  Ut  levature  tirez  desregi- 
slres  de  l'Ac.  dea  Inscript,  et  belles  leltres,  t.  xii,  Giorgio  d'Amboise  è  posto  fra  quelli  che 

« laissent  le  apirituel 

Pour  gouvemer  le  temporel  ».' 


Digitized  by 


Google 


MCONDo]  SIMONIE  DEL  CONCLAVE.  »sr» 

quest'argomento.  ^  Ei  non  vuole  aver  gli  occhi  che  nel  con- 
clave; il  Valentino  lo  solletica,  lo  sostiene,  gli  promette;  ma 
ne  vuole  in  contraccambio  promesse  esplicite,  grandi  e  certe;  e 
gli  ostenta  per  ogni  verso,  e  senza  né  veli  né  compostezza  di  forme, 
quel  che  il  papato  s'era  ridotto  ad  essere:  un  mercimonio. 
4c  Oramai  non  è  differenzia  dal  pontificato  al  soldanato,  scrivo 
l'oratore  veneto,  perché  plus  offerenti  daiur  ».  *  Se  il  cardi- 
nale di  Rouen  vuol  esser  papa  per  via  dello  spirito  santo, 
non  lo  sarà  mai,  diceva  il  Borgia  ;3  e  diceva  il  vero.  Ma  le  ra- 
gioni e  le  mene  della  politica  internazionale  la  vincevano  anche 
sopra  gl'interessi  e  le  mene  personali  di  lui. 

Spagna  non  poteva  sopportare  che  chi  aveva  in  una  mano 
il  regno  di  Francia,  pigliasse  nell'altra  la  chiesa;  e  mettere  la 
chiesa  dalla  parte  di  Francia,  nel  momento  che  i  Francesi  toc- 
cavano tante  sconfitte,  che  si  potevano  dir  quasi  scacciati  dal 
reame  di  Napoli,  sarebbe  sembrata  estrema  follia.  Ne  sarebbe 
nato  scisma;  s'andava  anzi  già  sobillando  che  quando  il  cardinale 
di  Rouen  riuscisse  eletto,  avrebbe  ricondotto  la  sede  pontificia 
ad  Avignone.  Dopo  di  che,  era  naturale  che  l'Amboise  smettesse 
per  allora  ogni  gara,  ogni  pensiero  del  pontificato  ;  e  che,  smet- 
tendolo lui,  al  Valentino  mancasse  il  candidato  più  opportuno  al 
proposito  suo.  In  questa  desistenza  del  cardinale  e  del  Borgia 
non  c'era  nulla  di  volontario  ;  giacché  ambedue  cedevano  alla 
necessità,  che  gli  avrebbe  sopraffatti,  se  non  si  fossero  piegati 
spontanei;  ma  né  l'uno  né  l'altro  erano  uomini  da  rinunciare 

^  Gli  Appunti  storici  antograii  del  Machiavelli  (Bibl.  Nac.,  doc.  M  ,  busta  vi,  e.  85 
e  26)  inseriti  nell* Apografo  Oiulian  de' Ricci  e  pubblicati  neiredixione  ultima  (voi.  ii, 
pag.  213  e  seg.)  fra  gli  Estratti  di  lettere  ai  Dieci  di  BaJ^^  riassumono  la  cosa  in  questo 
modo:  «  Niccolò  Machiavelli  giunse  ad  Roma;  non  volse  ratificare  la  condotta.  Tornò  poi 
che  fu  uscito  di' Conclave  e  di  prima  non  posse  ». 

*  GiusTiNUN,  Dispacci,  t.  ii,  pag.  855.  Ibid.,  pag.  262:  «  Certo,  principe  serenissimo, 
tanta  è  l'ambizione  de*cadaun  de'cardinali  a  questo  pontificato,  che  non  è  omo  che  si  spa- 
ragni di  prometterli,  domandi  pur  s*el  sa  domandar;  né  vedo  che  si  possi  far  papa  el  qual 
non  li  prometta  e  si  obblighi  a  lui  a  tutte  quelle  cose  che  papa  Pio  li  aveva  promesso  ». 

"  Fleurangb,  Mémoires:  «  Le  due  de  Valentinois  lui  demanda  s'il  vouloit  étre  pape 

et  que  sMl  vouloit  par  election  et  par  voye  du  saint  esprit,  il  ne  le  seroit  jamais;  à  quoi 
mon  dit  sieur  légat  fit  réponse  qu'il  aimeroit  mieux  ne  le  point  estro,  que  l'estro  par 
force  »  ecc.  —  Cf.  Brosce,  op.  cit.,  pag.  95  e  323.  È  ad  osservare  che  se  il  Fleubangb, 
rispetto  a  questi  fatti  del  conclave  non  può  aversi  in  conto  di  testimonio  di  veduta;  se  re- 
lativamente al  duca  di  Valentinoys  riferisce  aneddoti  poco  credibili  e  talora  ridicoli,  come 
quello  «  des  pillules  laxatives  que  l'apoticaire  lui  donna»  in  cambio  d'altre  da  lui  deside- 
rate «  pour  festoyer  sa  dame  »,  la  dama  d'Albret,  nella  prima  notte  del  maritaggio  (J/f- 
moires,  eh.  iv);  tuttavia  l'aver  il  Fleurange  de  la  Marche  avuto  a  moglie  una  nipote  del 
cardinal  d'Amboise,  l'esser  rimase  nella  famiglia  di  questo,  e  l'aver  attinto  molte  notizie 
«  par  les  records  de  plusieurs  gens  de  bien  »  lo  rende,  anche  per  questa  parte,  do*  fatti 
esposti  nelle  sue  Memorie  testimonio  non  immeritevole  di  fede.  —  Quhitk,  Annales,  lib.  v. 
pag.  299,  osserva  del  Valentino  :  «  comò  indifierentemente  trattaua  de  las  cosas  sagrada» 
7  ecclesiasticas  ». 


Digitized  by 


Google 


2-«  CAPO  TERZO.  [libbo 

nella  disperazione  al  coraggio  e  al  merito  di  atti  spontanei.  Si 
guardarono  attorno;  c'era  chi  aveva  promesso  «  Roma  e  toma  »;  ^ 
i  cardinali  spagnuoli  dipendenti  dal  Valentino  avevano  bisogno 
<c  d'essere  arricchiti  »  ed  egli  stesso  «  d'essere  risuscitato  ».*  — 
Con  queste  parole  acutissime,  Niccolò  Machiavelli  dipinge  la 
condizione  vera  delle  cose,  quando  il  Borgia  si  rassegna  a  non 
caldeggiare  più  l'elezione  del  Rouen:  quegli  cioè  è  il  morto, 
e  i  cardinali  suoi  coloro  che  lo  seppelliranno. 

Ma  anche  in  questa  occasione  ci  accade  rilevare  una  qua- 
lità costante  nelle  osservazioni  del  Segretario  fiorentino.  Egli 
vede  da  presbite,  discerne  egregiamente  il  fondo  estremo  delle 
cose,  ma  o  non  vede,  o  non  vuol  vedere  quello  che  gliene  sta 
proprio  so tt'occhio.  Forse,  come  già  accennammo,  è  disdegno  delle 
circostanze,  o  fiducia  di  poterle  signoreggiare;  ma  il  merito  e 
la  sventura  del  Machiavelli  sta  appunto  nel  disdegnar  lui  quasi 
sempre  l'ambiente  suo. 

Quando  a  Roma,  con  chiunque  parla,  sente  dire  delle  grandi 
probabilità  ad  esser  eletto  che  à  il  cardinale  di  san  Pietro  in 
Vincoli,  quasi  gli  ripugna  crederlo.  A'  di  28  d'ottobre  stima 
quelle  probabilità  «  trentadue  per  cento  »;  ^  due  giorni  dopo 
è  costretto  scrivere  «  si  trova  chi  dà  sessanta  per  cento  sopra 
di  'lui  ».  ^  —  «  Se  si  avessi  ad  credere  alla  opinione  univer- 
sale, e'  si  crederebbe  che  dovessi  essere  al  tutto  papa.  Ma 
perchè  el  più  delle  volte  e'  cardinali,  quando  sono  fuora,  sono 
di  altra  opinione  che  quando  sono  rinchiusi,  dice  chi  ha  intel- 
ligenzia  delle  cose  di  qua,  che  non  si  può  far  indizio  nessuno 
di  questa  cosa;  e  però  ne  aspetteremo  el  fine».^  Che  Cesare 
Borgia  si  rassegni  ad  andare  «  alla  volta  del  Vincula  »  gli 
sembra  inconcepibile:  «  quando  e'  fussi  così,  al  caso  suo  non 
are'  disputa  ».^  E  l'argomentazione  colla  quale  Niccolò  deter- 
minava il  giudizio  proprio,  molto  logica  per  quanto  concenie 
il  fine,  era  sempre  questa  :  se  anche  il  duca  non  può  ottenere 
che  sia  fatto  un  papa  a  suo  modo,  può  volere  ch3  non  sia  fatto 
uno  che  non  gli  piaccia;'''  non  dee  volere  che  ascenda  al  pa- 
pato alcuno  dei  cardinali  ch'egli  à  offesi,  o  che,  diventati  pon- 

»  Machiavelli,  Appunti  storici,  loc.  cit.,  pag.  814. 

-  MACHiAVfiLLi,  Commisi,  prima  alla  Corte  di  Roma,  leu.  12. 

'  Macmiaviìlli,  Commissione  pr.  a  Roma,  leu.  8. 

•  Machiavelli,  ìbid.,  leu.  10. 

•''  Machiavelli,  loc.  cit.,  lett.  9. 

•  Maciiiavcllt,  loc.  cit.,  lett.  10. 

•  Machiavelli,  Principe,  cap.  vii. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  elezione  DI  PAPA  GIULIO  SECONDO.  287 

tefici,  dovessero  aver  paura  di  lui;  se  dunque  non  gli  riesce 
di  fare  papa  uno  spagnuolo,  che  sarebbe  il  meglio,  ottenga  il 
bene,  imponendo  il  Rouen;  scampi  dal  male,  opponendosi  al 
Della  Rovere;  Tà  offeso  troppo,  Tà  nimicato  troppo,  gli  à  fatto 
durare  dieci  anni  d'esilio;   tutto  questo  a  una  tempra  ligure. 

Queste  ragioni  verissime  si  spuntavano  innanzi  all'  indole 
dell'Amboise,  che  non  si  prestava  a  secondare  i  partiti  vio- 
lenti dai  quali  il  Valentino  non  avrebbe  rifuggito  per  certo 
quando  fosse  stato  sicuro  d'aver  l'uomo  che  gli  si  voleva; 
si  spuntavano  innanzi  all'avarizia  dei  cardinali  valentineschi, 
che  il  Dalla  Rovere  sapeva  guadagnarsi  «  con  quei  mezzi  che 
si  usano»:  all'uno  la  penitenzieria;  all'altro  la  segnatura  di 
giustizia;  a  ognuno  secondo  le  brame  sue.  ^  Già  prima  che  si 
chiuda  il  conclave,  i  valentineschi  e  il  Rouen  son  placati  e  di- 
sposti a  dargli  il  voto.  Il  duca  si  lascia  prendere  alle  promesse 
egli  pure:  lo  reintegrerà  degli  stati  di  Romagna;  gli  darà  Ostia 
per  sicurtà,  la  conferma  del  gonfalonierato  di  santa  chiesa,  la 
quitanza  dei  debiti  che  à  vèrso  la  Camera;  casa  Borgia  e  i 
Della  Rovere  faranno  una  famiglia  sola.  I  benefici  nuovi,  pen- 
sava il  duca  Cesare,  faranno  dimenticare  al  cardinale  le  in- 
giurie vecchie,  2  e  chiuse  gli  occhi  cosi.  — ,«  Avanti  si  serrassi 
el  conclave  si  dava  sopra  di  lui  novanta  per  cento.  »  ^  _  jj 
conclave  si  serrò  a  mezza  notte:  vi  fu  poco  screzio  momen- 
taneo; sette  cardinali,  a  capo  de'  quali  Ascanio  Sforza,  pareva 
si  risentissero  in  favore  del  Pallavicino  ;  ^  ma  fu  poca  cosa. 
Dopo  sei  ore  il  papa  era  bello  e  fatto;  una  voce  «  uscita  del 
conclavi  »  ^  ne  sparse  la  nuova,  prima  che  si  pubblicasse. 

Il  dì  primo  di  novembre,  assunto  il  nome  di  Giulio  secondo, 
il  cardinale  di  san  Pietro  in  Vincoli  viene  proclamato  e  adorato 
pontefice.  —  Diviniius!  esclamano  gli  accademici;  ®  e  lanello 

^  Machiavelli,  Appunli  storici,  fra  gli  Estratti  di  lettere ,  loc.  cit.,  pag.  214. 

*  Machiavelli,  Commiss.  pr.  a  Roma,  lett.  18. 

*  Machiavelli,  loc.  cit.  —  Idem,  Appunti  stork^t,  pag.  214:  «e  qui  discorri  come  quel 
fatto  andò  et  come  in  Conclavi  Ascanio  volse  risuscitare  morti  ». 

*  Arch.  fior.,  Lettere  de' Dieci.  n..l06a  e  IWt.  Frammento  d'una  lettera  non  conser- 
vataci dì  N.  Machiavelli,  trascritto  da'Dieci  ai  Alessandro  Nasi,  oratore  in  Francia,  pub- 
blicato nell'ediz.  Passerini-Milanesi. 

*  M.,  Opp.,  t.  II,  pag.  314,  in  nota.  —  Ibid.,  pag.  318-79,  lett.  14,  il  Machiavelli  poi 
scrive:  «  riconvenuti  insieme  che  era  circa  mezzanotte,  lo  mandorno  fuora  ad  pubblicare, 
e  in  su  tali  pubblicazioni  si  scrisse,  perchè  siamo  ad  15  ore,  e  non  si  è  ancora  fatte  le 
cerimonie  ordinarie  del  pubblicarlo  ». 

*  V.  Parmeni  (Lorenzo  Parmieri  da  San  Ginesìo),  Opera  a  Julio  II  p.  m.  inchoata, 
parsque  Ulorum  perfecta  et  res  gestae  ab  initio  pontifìcatus  usque  in  praesentem  ^iem, 
negli  Anecdoti  letteraria  deirAMADUZZi,  t.  iii,  pag.  ^97:  «  te  enim  in  pontificiam  hanc 
m.i.jestatem  sumino  cardinaliura  consensu  (saepe  enim  in  p3ntificum  creatione  discordiae 


Digitized  by 


Google 


888  CAPO  TERZO.  [libbo 

piscatorio  inciso  col  novello  nome  del  papa  si  trova  pronto 
subito.  ^  Gli  astrologi  a'  dì  26  consigliano  l'incoronazione,  per- 
chè in  quel  giorno  sua  Beatitudine  incontrerà  miglior  disposi- 
zione di  stelle  ;  ^  chiunque  •  gli  à  cavato  promesse  prima,  gli  si 
mostra  avanti;  cardinali  e  oratori  lo  attorniano,  e  Giulio  fa  ca- 
rezze a  tutti. 

Ma  assai  e  «  vere  »^ne  faceva  solo  all'Amboise  :  —  Se  lui 
avesse  voluto,  questa  notte  passata  poteva  rompere  le  cose  soe  ».^ 
—  Giulio  gli  confermò  la  legazia  per  la  Francia,  lo  fece  vescovo 
e  legato  d'Avignone;  gli  creò  cardinale  il  nipote,  già  arcivescovo 
di  Narbona.  E,  a^ voler  essere  schietti,  in  questa  larghezza  di 
grazie  accordate  al  Rouen,  più  che  l'attendimento  di  promesse 
corrompitrici,  può  aversi  in  riguardo  la  ricompensa  concessa 
dal  capo  della  cristianità  a  colui  che,  potendo  esser  cagione  di 
divisione  e  di  scandalo  infinito  nella  chiesa,  quando  non  avesse 
avuto  in  mira  che  la  privata  ambizione  e  la  personale  cupi- 
digia sua,  aveva  sacrificato  la  prima  e  limitata  la  seconda,  a  ciò 
quel  male  non  accadesse.  Fra  tutti  coloro  che'  avevano  con- 
corso all'elezione  di  lui,  Giulio  in  lui  solo  riconosceva  merito. 
Degli  altri,  è  vero  che  i  baroni  s'erano  trovati  per  la  prima  volta 
concordi  in  un  medesimo  pontefice;  ma  la  concordia  fra  le 
fazioni  contrarie  avevala  determinata  l'odio  e  il  pericolo  co- 
mune del  Borgia,  lo  stremo  delle  forze  in  cui  eran  venuti, 
la  scaltrezza  della  politica  spagnuola.  Il  Valentino  «  lo  aveva 
favorito,  tanto  che  gli  poteva  tirare  quella  posta  »;  ^  ma  l'ab- 
bandono delle  altre  migliori  probabilità,  la  fiducia  che  anche 
in  un  della  Rovere  avrebbe  avuto  lo  strumento  acconcio  a' suoi 
fini,  erano  state  le  cause  che  l'avevano  piegato,  suo  mal- 
grado, a  non  opporgli  resistenza.  Francia  e  Spagna  in  favor 
di  lui  avevano  accettata  la  transazione,  l'una  a  dispetto  del- 
l'altra; i  Veneziani,  colto  il  destro  della  sede  vacante  per  en- 
trar dentro  le  città  di  Romagna,  accarezzando  il  nuovo  pon- 
tefice, s'eran  proposti  di  riuscire  ad  uccellare  la  chiesa;   ai 

oriri  solent)  dwiniius  fuisse  evectum  »  ecc.  —  A  parte  il  divinitu*,  anche  il  Machiavelli 
afferma  «  chi  considera  bene  questi  favori  che  ha  avuti  costui,  gli  giudicherà  maravigliosi, 
perchÀ  tante  parti  quante  sono  nel  collegio,  tutte  anno  confidato  in  lui  *  (lett.  14). 

*  Conctoi'tf  di  Giulio  II,  ms.  Casanat.:  «  E  fu  incontanente  portato  un  altro  anello 
con  il  nome  di  Giulio  Secondo,  chiamato  annulus  piicatorius,  però  che  due  o  tre  giorni 
innanzi  si  sapeva  per  tutta  Roma  che  Sua  S.  111. ma  sarebbe  stato  papa  ». 

•  OiusTiKiAN,  Dispacci,  t,  II,  pag.  295,  ediz.  Villari. 

•  GiusTiNiAM,  Dispacci,  t.  II,  pag.  276. 

*  Machiavelli,  Commistione  cit.,  lett.  14.  È  chiaro  da  queste  parole  che  il  Borgia  non 
si  voltò  all'elezione  del  Vincola  se  non  quando  vide  ritrarglisi  il  Rouen,  ed  ebbe  piena 
consapevolezza  della  ventura  che  avrebbe  potuto  correre. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  GIULIO  SECONDO  E  IL  BORGIA.  2S& 

Fiorentini  poi  era  sembrato  bastare  che  il  nuovo  papa  non  so- 
stenesse il  Borgia;  ma  ebber  presto  ad  accorgersi  che,  se  non 
riuscivano  a  corrucciarlo  tosto  colla  repubblica  di  san  Marco, 
avrebbero  a  navigar  per  perduti. 

Quanto  al  pontefice,  egli  aveva,  col  pronto  e  sicuro  favore 
usato  al  legato  francese,  abbonacciato  la  Francia;  presentiva, 
all'incontro,  che  il  re  di  Spagna  non  si  terrebbe  interamente 
soddisfatto  dell'elezione  sua.  ^  Al  Valentino  dava  a  intendere 
che  presto  avrebbe  proposto  in  concistoro  la  questione  del  ca- 
pitaniato  di  lui:  «  ma  non  con  animo  che  Tabi  luogo  »,  scrive 
l'oratore  veneto.  ^  Frattanto  l'avea  messo  in  palazzo,  nelle 
Stanz3  Nuove,  ^  e  gli  laeciava  intravedere  architetture  di  ma- 
trimoni e  di  parentadi.  Porzia,  sua  nipote,  figliuola  a  Maria 
di  Giovanni  della  Rovere  e  a  Venanzio  da  Camerino,  po- 
trebbe andare  a  donna  di  quel  Giovanni,  quel  duchino  legitti- 
mato in  un  giorno  istesso,  come  vedemmo,  da  Alessandro  sesto 
e  da  Cesare;^  oppure  Fabio  Orsino  esser  marito  a  una  sorella 

>  QuKiTA.  Annales,  loc.  cit.,  pag.  310:  «  Recibio  el  rey  d'ista  elecion  macho  descon- 
tentamiento  ;  cusi  por  suceder  lulio  a  un  pontlflce  de  quien  se  tuvo  esperan^a  que  seria 
causa  de  la  reformacion  en  la  Iglesia  y  que  procurarla  la  paz  universa],  comò  por  que 
del  que  sucedia  en  su  lugar,  no  se  osaua  sperar  si  no  lodo  lo  contrario  *. 

*  GiusTiKiAN,  Dispaccif  II,  pag.  236. 

'  Machiavelli,  Appunti  storici^  loc.  cit.,  pag.  214.  —  Iilem,  Commissione  alla  Corte 
di  Roma,  lett.  18. 

*  V.  più  sopra,  a  pag.  111.  —  Giustinian,  Dispacci^  t.  ii.  pag.  2S3-4:  «  Pur  per  via 
del  cardinal  di  Cosenza  intendo,  et  anche  per  altra  via  sento  rasonar,  ch'el  pontefice  è  in 
pratica  di  far  certo  parentado  con  lui,  e  dar  per  mogier  ad  uno  di  questi  soi  Duchetti,  che 
fo  investito  del  ducato  de  Cainerin  cum  titulo  di  Duca  da  papa  Alessandro,  una  nezza  del 
Pontefice,  che  fu  fiola  del  signor  Venanzio  da  Qamerin  ».  —  Il  Machiavelli  poi  {Com' 
missione  cit.,  lett.  18),  afferma:  «  dicono  essere  confermato  el  parentado  tra  Fabio  Orsino 
e  la  sirocchia  di  Borgia,  e  cosi  la  figliuola  del  Duca  essersi  maritata  al  prefettino  ».  £  la 
stessa  notizia  insinua  negli  Appunti  storici,  loc.  cit.,  pag.  214.  ~-  Il  Ouicciardini  (Storia 
d'Italia,  Hb.  vi)  racconta  che  il  cardinale  di  San  Pietro  in  Vincoli  promise  fra  le  altre 
cose  al  duca  di  collocarne  la  figliuola  in  matrimonio  con  Francesco  Maria  della  Rovere, 
prefetto  di  Roma.  Ora,  che  nella  famiglia  de'  Borgia,  illegittima  o  legittimata,  occorran  con- 
fusioni, non  fa  maraviglia.  Il  Oiustinian  parla  di  duchetti,  il  Machiavelli  di  sirocchia  e  di 
figliuola,  il  Guicciardini  di  figliuola  soltanto.  Se  non  che  il  dato  dell'oratore  veneto  è  più 
preciso  e  può  conciliarsi  colle  altre  notizie  storiche  che  ci  rimangono  attorno  a  quel  Gio- 
vanni Borgia  che,  in  forza  di  documenti  autentici,  poteva  il  duca  Cesare  far  passare  per 
suo  figliuolo  0  per  fratello,  a  suo  grado.  Non  è  così  quanto  alla  «  sirocchia  »,  che  ei  non 
n'aveva  altra  che  la  Lucrezia,  la  quale  a  quest'ora  era  già  da -buona  pezza  alla  Corte 
degli  Este.  Se  nofr  che  ei  v'ebbe  un'altra  Lucrezia,  figliuola  di  lui,  natagli  d'adulterio  in 
Ferrara,  la  quale  nell'anno  1509,  in  cui  fa.  legittimata,  era  appena  maggiore  de'sette  anni 
(V.  Cittadella,  Saggio  di  albero  genealogico  e  di  memorie  su  la  famiglia  Borgia,  pag.  5d->l). 
Pertanto,  nel  novembre  del  1503  aveva  appena  pochi  mesi,  e  se  già  era  promessa  a  nozze, 
la  cosa  poteva  sapere  abbastanza  ridicola.  La  somiglianza  del  nome  con  quello  della  so- 
rella di  Cesare  diede  occasione  alla  confusione  nella  quale  forse  il  Machiavelli  cadde; 
mentre  di  lei  e  di  Giovanni  poteva  intendere  il  Giustinian  quando  accennava  ai  «  duchetti  ». 
E  se  si  ponga  mente  che  il  Bandini  {Collectio  vet.  aliqnol.  monum.)  afferma  del  Machia- 
velli: «  inter  schedas  nostras  ejusdem  adservatur  epistola  dataRomae  die  viij  sopt.  Biasio 
cancellarlo  Florentiae,  qua  Lucreliae  Alexandri  VI  pont.  filiae  sponsalia  graphice  ac  pxm- 
genti  stylo  depingit  »,  dovremo  ritenere  che  in  quulla  lettera,  che  fra  le  schede  del  Ban- 

To>iM ASINI  -  JIj chiavelli.  20 


Digitized  by 


Google 


290  CAPO  TERZO.  [libbo 

naturale,  infante  ancora  e  nelle  fasce,  di  questo  pìccolo  Borgia. 
E  il  duca  «  crede  che  le  parole  d'altri  sieno  per  essere  più 
ferme  che  non  sono  sute  le  sue  e  che  la  fede  data  dei  paren- 
tadi debba  tenere  ».  Cosi  il  Machiavelli,  che  con  nuovo  man- 
dato, in  nome  della  repubblica  fiorentina,  a' dì  cinque  di  no- 
vembre, si  era  presentato  al  pontefice,  congratulandosi  e  facen- 
dogli le  profierte  oflSciali  di  consuetudine  in  simili  circostanze; 
e  nel  bruno  volto  del  papa  ligure  aveva  letto  il  dispetto  per  la 
calma  necessitata  di  que' primi  giorni,  la  certezza  che  il  palu- 
damento sacerdotale  non  gli  avrebbe  impacciato  i  passi  poi.  ^ 

—  «  Solo  ch'ei  si  fosse  rassettato  a  sedere,  e  aderirebbe  se- 
condo l'animo  suo  e  farebbe  imprese  »  >  —  questo  avevagli  detto 
Giulio.  E  in  determinare  le  prime  inclinazioni  del  pontefice  nuovo 
era  lo  studio  principalissimo  di  tutti  gli  oratori  convenutigli  in- 
torno. I  Veneziani,  sopra  tutti,  facevano  per  verità  sforzi  incredi- 
bili d'accaparrarselo,  ma  questa  volta  si  proponevano  difficoltà 
insormontabili;  perchè  coll'azione  diplomatica,  cogli  offici  perso- 
nali, avevano  in  animo  ricoprire  le  usurpazioni  romagnuole  e 
appianare  le  scabrosità  della  loro  politica  verso  la  chiesa,  che 
andavano  invece  naturalmente  facendosi  ogni  giorno  più  aspre. 
Essi  non  conoscevano  l'uomo  particolare  con  cui  attaccavano 
briga;  non  sospettavano  che  in  quel  petto  potesse  capire  una 
idea  che  fosse  al  disopra  dell'interesse  suo  proprio  o  fami- 
gliare; sarebbe  stata  cosa  troppo  straordinaria;  ne  sospettavano 
che  quella  idea  potesse  mai  essere  la  grandezza  della  chiesa, 
grandezza  malintesa  forse,  ma  non  postergata  mai  ad  utilità  pri- 
vata, né  sua,  né  dei  dlla  Rovere,  né  d'altri.  E  quando  il  pon- 
tefice mal  giudicato  lo  diceva  loro,  e  in  termini  forse  non 
troppo  riguardosi  pei  predecessori  suoi,  quelli  non  glielo  cre- 
devano, *  e  s'ostinavano  a  tener  forte  Rimini  e  Faenza,  e  piut- 

dini  nella  Marucelliana  ricorcammo  lungamente  e  invano,  il  Machiavelli  si  sbizzarrisse  in 
descrivere  al  suo  coadiutore  queste  fantasticate  nozze  infantili  ;  e  non  altre  della  Lucrezia, 
sorella  di  Cesare,  alle  quali  non  potè  egli  assistere,  né  di  cui  ve  ne  furono  mai  che  fossero 
celebrate  in  settembre.  Del  resto,  farebbe*  mestieri  anche  per  queste,  cui  noi  accenniamo, 
che  la  data  del  mese  avesse  ad  essere  trasportata  al  novembre;  e  iPpoco  rigore  di  pre- 
cisione in  quella  pubblicazione  dell'illustre  Bandini,  scema  forse  l'arditezza  di  questa  con- 
gettura nostra. 

1  Macuiavrlli,  Commiss,  cit.,  lett.  30.  Ibid.,  lett.  46:  «  m'impose  che  io  confortassi 
V.  S.  che  per  Sua  Santità  non  si  resterebbe  ad  fare  alcuna  cosa  per  la  libertà  della  Chiesa.... 
e  che  e'  se  gli  avesse  compassione  se  in  su  questi  principi  lui  non  si  mostrava  altrimenti 
vivo,  perchè  gli  era  contro  ad  sua  natura  forzato  dalla  necessità,  non  avendo  né  gente 
né  danari. 

«  OiusTisiAN,  Dispacci,  voi.  II,  pag.  239:  «  li  stati  volemo  che  tornino  alla  Chiesa,  e 
;volemo  noi  quest'onor,  di  ricuperar  quello  che  i  nostri  precessori  hanno   malamente  alie- 
nato alla  Chiesa  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCO*ND0]  [L  MACHIAVELLI  E  LA  REPUBBLICA  DI  VENEZIA.  291 

tosto  s'adattavano  a  riceverne  investitura  come  feudo  della 
chiesa,  che  non  volessero  sgombrarle  e  farne  restituzione;  quasi 
quelle  due  città  avessero  ad  esser  prezzo  del  favore  immenso 
che  essi  avevano  dato  all'elezione  di  lui.  ^ 

Naturalmente,  T  industria  personale  dell'oratore  Giustinian, 
per  quanto  finissima,  non  poteva  bastare  allo  strano  compito  che 
gli  affidava  la  repubblica;  mentre  all'incontro  il  Machiavelli, 
mandatario  fiorentino,  aveva  giuoco  opportuno  e  fortunato, 
perchè  importando  al  governo  di  Firenze  che  il  Valentino  af- 
fogasse e  che  il  pontefice  s'indispettisse  contro  Venezia,  gli 
offici  dell'oratore  venivano  confortati  e  aiutati  per  fatto  dei 
nemici  stessi  della  città  sua. 

Se  non  che,  quanto  i  preconcetti  del  machiavellismo  e  l' im- 
perfezione del  metodo  nelle  ricerche  storiche*  abbiano  cospirato 
a  travisare  l'opera  del  segretario  fiorentino  non  apparisce  meno 
palpabile  in  questa  occasione,  che  nelle  altre  da  noi  già  no- 
tate. Niccolò  per  certo  non  aveva  ragione  di  vincoli  colla  for- 
tuna de'  Borgia;  non  aveva  ragion  di  riguardi  per  la  repub- 
blica di  Venezia,  che  ricusando  ogni  riguardo  alle  altre  Pro- 
vincie d'Italia,  vagheggiava  esercitare  sola  su  queste  una 
egemonia  superba  e  insufiìciente.  Pertanto  a  lui  non  doveva 
neppure  riuscir  duro  adoperarsi  secondo  il  mandato  e  l'utilità 
del  proprio  governo,  tendere  all'annientamento  del  Borgia, 
metter  freno  a  Venezia.  Ma  coloro  che  vollero  figurarselo 
complice  de' tradimenti  di  Sinigaglia;  coloro  che  reputarono 
ch'egli  avesse  non  notomizzato,  ma  adorato  il  Valentino  e  le 
gesta  sue,  gli  fecero  colpa  di  questa  legazione,  come  se  in 
questa  avesse  per  colmo  di  viltà  abbattuto  e  spezzato  l'idolo 
del  suo  pensiero.  ^  Altri  poi,  con  apparenza  anche  minore  di  lo- 
gica, lo  accusarono  d'aver  gittato  in  questa  le  fondamenta  alla 
lega  di  Cambrai.  ^  Or  ecco  in  che  consistè  l'opera  sua. 

Papa  Giulio  non  voleva,  a  petto  a  Cesare  Borgia,  aver 
sembiante  di  mancatore  alle  promesse,  ma  non  voleva  neppure 
mantenergli  tutto;  e,  per  quel  che  gli  mancasse,  voleva  trovare 

»  Cf-  il  Breve  di  papa  Giulio  «  dileclo  ftlio  nobili  viro  L.  Loderano  duci  Venetiae,  dio  vi* 
nov.  1503»  Dei  Diari  di  Marin  Sani'TO,  voi.  v,  fol.  135,  pubblicato  dal  Brosch,  op.  cit.,  p.  2S7. 

'  NouRRissoN,  Machiavel,  pag.  93  e  seg. 

»  E.  Gkbhart,  UhonnélBti  diplomatique  de  Machiavel,  loc.  cit.,  pag.  297:  «  Il  con- 
vient  d^abord  de  rappeler  l'uno  des  plus  funestes  négociations  de  Machiavel,  la  plus  grande 
et  la  pire  action  de  toute  sa  vie,  la  part  qu'il  prit  aux  origines  lointaines  de  la  ligue  de 
Cambrai  ».  A  questo  proposito  ci  piace  rammentar  il  motteggio  del  Michelet,  Histoire  de  ^ 
France,  t.  vii,  pag-  210;  «  Rapportons-nous  en  ...  à  quelqu'un  qui  fut  bien  plus  machia- 
véliste  que  Machiavel,  à  la  republique  de  Venise  ».  — 


Digitized  by 


Google 


292  CAPO  TERZO.  [libeo 

scusa  nella  necessità  delle  cose,  nell*  intromissione  altrui,  nel 
sopraggiungere  di  nuove  contingenze. 

Di  lui  aveva  detto  al  Giustinian:  ^  non  vogliamo  che  la 
Serenissima  pensi  che  noi  vogliamo  dargli  favore,  e  che  gli 
resti  pure  un  merlo  di  fortezza  in  Romagna,  e  sebbene  gli 
abbiamo  promesso  qualche  cosa,  vogliamo  che  la  promessa 
nostra  s'estenda  alla  conservazion  de  la  vita  sua,  dei  danari 
e  della  roba  che  à  rubato  » .  ^  Scriveva  poi  un  breve  ai  Fio- 
rentini che  se  lasciassero  passare  il  duca  in  Romagna  colle 
armi  che  andava  accozzando,  gli  farebbero  cosa  gratissima,  e 
raccomandavalo  con  paterno  affetto  «  propter  ejus  insignes  vir- 
tutes  et  praeclara  merita  ».  ^  Ma  aveva  già  fatto  intendere,  cosi 
replicava  all'ambasciatore  veneto,  il  peso  che  a  quel  breve  aves- 
sero a  dare.  ^  Né  si  restava  Niccolò  dall' insistere  presso  di  loro, 
rappresentando  «  la  natura  pericolosa  »  del  Valentino,  perchè 
non  s'illudessero  in  giudicare  utile  reintegrarlo  negli  stati  suoi, 
per  averlo  di  mezzo  fra  loro  e  i  Veneziani.  Troppo  difBcile 
sarebbe  stato  poi  mantenerlo;  il  tentativo  solo  poteva  dar  oc- 
casione ai  Veneziani  d'avanzare  più  oltre.  D'altronde  il  duca 
s'accorgeva  come  tutti  quei  brevi  tornassero  a  nulla,  come 
tutti  lo  giocolassero;  e  questa  durissima  irrisione  della  sorte 
sembrava  avergli  mutato  tempra.  Egli  appariva  «  vario,  irreso- 
luto, sospettoso,  non  stava  fermo  in  alcuna  conclusione;  o  che 
sia  cosi  per  sua  natura,  o  che  questi  colpi  di  fortuna  lo  ab- 
biano stupefatto,  e  lui  insolito  ad  assaggiarli,  vi  si  aggiri 
dentro  » .  ^  Niccolò  era  destinato  a  vederlo  dibattere  fra  quelle 
strette,  a  dargli  anzi  la  spinta  nel  precipizio,  ad  attizzargli 
contro  l'Amboise  ed  il  papa,  e  mettere  Firenze  nel  consorzio 
dei  danneggiati  da  lui,  e  dargli  querela  pe*  danni  ricevuti  al 
primo  irrompere  suo  in  Toscana,  nel  1501.,  e  nella  ribellione 
d'Arezzo.  Niccolò  era  destinato  ad  assistere  agli  scrosci  dispe- 
rati d'ira,  in  cui  prorompeva  quel  tristo,  man  mano  che  sen- 
tivasi  mancare  il  terreno  sotto.  Co'  Fiorentini  l'aveva  a  morte: 
«  essi,  diceva,  gli  erano  stati  sempre  nemici  ;  di  loro  s' à  a  do- 
lere, e  non  de' Veneziani;  essi  con  cent' uomini  potevano  assi- 

»  Giustinian,  Dispacci^  t.  ii,  pag.  289. 

*  n  Breve  è  de' di  10  novembre.  Arch.  fior..  Atti  pubblici,  ccLxii.  Lo  cita  il  Gbbgo- 
Bovius,  Qeschichte  der  Stadi  Ronij  viii,  pag.  20-21,  in  nota.  —  Cf.  M.vchiavelli,  loc.  cit., 
lett.  35:  «  Il  papa  lo  serve  di  brevi  e  patenti  quante  ne  vuole,  senza  mettervi  altro  di  suo  ». 

»  Giustinian,  loc.  cit.,  pag.  279.  —  Brosch,  op.  cit.,  pag.  100.  —  Maciiiavklli,  Co^a- 
missione  cit.,  lett.  26,  28,  30,  33,  35. 

*  Machiavelli,  ibid.,  lett.  35,  36.  83. 


Digitized  by 


Google 


8BCO?iDo]  DISPERAZIONE  DI  CESARE  BORGIA.  293 

curargli  lo  stato  e  non  anno  voluto  farlo;  ma  ei  s'ingegnerà 
che  siano  i  primi  a  pentirsene;  e  poi  che  Imola  è  persa,  non 
vuol  più  metter  genti  insieme,  né  perdere  il  resto,  per  riavere 
quello  che  à  perso;  e' non  vuol  più  essere  uccellato  da' Fio- 
rentini, ma  vuol  mettere  di  sua  mano  quel  tanto  resta  loro 
in  mano  de' Veneziani,  e  crede  che  presto  vedrà  lo  stato  loro 
rovinato,  e  lui  è  per  ridersene;  e  i  Francesi  riperderanno 
nel  reame  di  Napoli,  o  avranno  in  modo  da  fare  che  non  po- 
tranno aiutare  Firenze  *.  —  «  E  qui,  aggiunge  il  Machiavelli, 
si  distese  con  parole  piene  di  veleno  e  di  passione.  A  me  non 
Mancava  maniera  di  rispondergli  ;  né  anche  mi  sarebbe  man- 
cato parole;  pure  presi  partito  d'andarlo  addolcendo,  e,  più  de- 
stramente ch'io  posse',  mi  spiccai  da  lui,  che  mi  parve  mille 
anni,  e  ritrovai  monsignor  di  Volterra  e  Roano,  che  erano  a 
tavola,  1  e  perchè  e'  mi  aspettavano  con  la  risposta,  riferii  loro 
appunto  ogni  cosa.  Alte  rossi  Roano  delle  parole  usate  da  lui, 
e  disse:  Iddio  non  à  infino  ad  qui  lasciato  alcuno  peccato  im- 
punito e  non  vuole  lasciare  anche  questi  di  costui  ».  ^ 

Cosi  quella  miseria  estrema  veniva  raggravata  dall'indif- 
ferenza di  chi  lo  aveva  già  tanto  temuto,  ed  ora  vedeva  ch'ei 
non  poteva  esser  più  amico  o  nemico  efficace.  Nessuno  gli  ten- 
deva la  mano,  ma  egli  afifogava  tra'  buoni  consigli.  Il  cardinale 
di  Volterra  gli  mostrava  che  «  el  disperarsi  era  inutile,  e  che 
la  disperazione  torna,  ut  plurimum,  sopra  al  capo  di  chi  di- 
spera >.3 

Cosj,  a  piccoli  gradi,  va  «  sdrucciolando  ogni  di  dentro 
l'avello.  »  Il  poco  di  respiro  che  sembrano  fargli  trarre  i  ca- 
stellani delle  fortezze  di  Romagna,  i  quali  ricusano  rimetter 
queste  a  chicchessia  senza  ordine  suo,  vien  tosto  soflFocato  dal 
papa,  il  quale  à  il  pretesto  d' imporgli  che  ne  faccia  consegna 
alla  chiesa,  quando  si  corre  rischio  di  vederle  occupate  dai 
Veneziani.  Tuttavia  se  il  pretesto  c'era,  le  forze  mancavano; 
il  papa  avrebbe  ben  voluto  sbrigarsi  del  duca  :  —  «  mandarlo 
con  dio  >  — ,  come  dicevasi;  ma  sbrigarsene  e  restar  sicuro  era 

>  L'abitazione  del  cardinale  d'Amboìse  doveva  essere  presso  la  chiesa  di  Sant'Ago- 
stino, nel  palazzo  edificato  da  Guglielmo  Estouteville  (1433),  ch*er&  stato  suo  predeces- 
sore nella  sede  archiepiscopale  di  Rouen.  l\  palazzo  era  turrito,  secondo  che  apparisce 
dalla  Pianta  prospettica  mantovana,  edita  dal  Db  Rossi  {Piante  icnografiche  e  prospet- 
tiche di  Roma  anteriori  al  sec.  XVI,  pag.  107).  nella  quale  trovasi  precisamente  notato 
sniralto  della  torre  «  P  (alazzo)  de  Roano  ». 

«  Machiavelli,  loc.  cit.,  lett.  22.  E  nella  lett.  W;  «  vedesi  che  e'  peccati  sua  lo  hanno 
A  poco  a  poco  condotto  alla  penitenza;  che  Iddio  lasci  seguire  il  meglio  ». 

»  Id.  ibjd.,  lett.  23. 


Digitized  by 


Google 


tM  CAPO  TERZO. 

un  grave  problema-  Vada  per  acqua  a  Porto  Venere  o  alla 
Spezia,  e  di  quivi  per  la  Garfagnana  a  Ferrara.  Si  combina 
così  co' cardinali  spagnuoli,  con  quelli  di  Rouen,  di  Volterra 
da  Este.  '  E  nella  natte  de'  10  novembre  «  con  satisfazione 
di  tutto  il  paese  »  il  duca  va  ad  Ostia  *  per  imbarcarsi  come 
il  tempo  lo  servirà  ».  *  Messer  Agapito  e  il  cardinal  Romolino, 
già  uomini  suoi,  «  per  non  partecipare  della  sua  cattiva  for- 
tuna >  non  ranno  seguitato.  Ma  Giulio,  il  dì  appresso,  manda 
un  uomo  a  vedere  se  è  partito:  —  «  se  non  è  partito  lo 
facci  fermare  »  '  —  e  poi  prega  il  cardinal  di  Volterra,  invi- 
tatolo a  desinare,  che  all'indomani  di  buon'ora  vada  anche 
lui  a  trovare  il  Valentino,  e  gli  proponga  nuovo  accordo: 
rimettere  in  mano  di  Sua  Santità  la  ;^ rocca  di  Forlì,  di  Ce- 
sena, di  Hertinoro  e  averne  promessa  di  restituzione  appena 
siasi  scongiurato  il  pericolo  de' Veneziani;  però  che  questi,  su- 
bito dopo  il  primo  allontanamento  del  Duca,  gli  erano  com- 
parsi più  terribili,  e  non  ne  aveva  potuto  dormire  la  notte.  Se 
non  che,  tale  proposta  che,  pochi  giorni  prima,  trovava  arren- 
devole il  duca,  allora  non  fu  accettata  dal  pontefice,  il  quale 
disse  <  non  era  per  rompere  fede  a  persona  »,  ^  poiché  inten- 
deva che  non  avrebbe  mantenuto  di  certo  quel  che  promet- 
teva; ma  ora  che  il  papa  costretto  dalla  necessità  la  ripigliava, 
veniva  respinta  a  dirittura  dal  Borgia,  che  si  trovava  avanti 
il  mare  e  si  credeva  libero.  11  papa  invece,  crucciato  pel  ri- 
fiuto, sopra  una  galea  lo  imprigiona  a  sua  posta.  —  <  lì  duca  à 
fatto  oggiraai  tutti  li  atti  suoi  »,  —  scrive  allora  il  Machiavelli,  ^ 
e  poiché  gli  é  preso,  o  vivo  o  morto  che  sia,  si  può  fare  senza 
pensare  più  al  caso  suo  »...  — ...«  questo  papa  comincia  a  pagare 
e' debiti  suoi  assai  onorevolmente,  e  li  cancella  con  la  bambagia 
del  calamaio  ».  — 

Infatti  del  Borgia  non  rimane  che  a  vegliare  il  modo  e 
lo  stento  dell'agonia.  Fra  il  popolo  trapela  già  il  rumore  che 
il  papa  l'abbia  fatto  gettare  in  Tevere.  Invece,  a' ventinove  di 
gennaio  in  Concistoro  segreto,  lui  non  presente,  il  papa  e  i  cardi- 
nali, che  lo  voglion  far  morire  da  diplomatiòi,  piombano  un'altra 
bolla  d'accordo,  per  cui  é  stabilito  :  sotto  la  custodia  del  Carvajal. 
vada  sicuro  e  scortato  a  Civitavecchia,  e  quivi   abbia  dimora 

>  Macbiayelli,  loc.  cit.,  leu.  35. 

•  Id.  ibid.,  leu.  44. 

*  Id.  ibid.,  leu.  46. 

*  M.  ibid.,  leu.  49. 

•  Id.  ibid.,  leu.  61. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  CESARE  BORGIA  TRADITO  VA  COXSALVO.  205 

nel  castello;  entro  quaranta  giorni  riconsegni  al  papa  le  for- 
tezze romagnuole,  e  in  tal  caso  sia  libero  d'andare  ove  voglia; 
se  scorso  quel  termine  la  condizione  non  sia  adempiuta,  ricon- 
dotto a  Roma,  vi  stia  prigione  in  perpetuo.  ^  Ma  il  Valentino, 
anche  sotto  a  quest'oppressione,  cerca  tirare  fiato:  a' di  4  di 
marzo  propone  ancora  a  papa  Giulio  dargli  quelle  rócche  di 
cui  può  disporre,  Bertinoro  e  Cesena;  se  n'accontenti;  per 
quella  di  Forlì,  promette  sicurtà  di  quindicimila  ducati  ;  è  certo 
che  il  castellano  la  restituirà,  quando  ei  gli  possa  parlare. 

Riaver  la  libertà  per  quindicimila  ducati  era  ancora  so- 
gno del  Borgia;  e  il  papa  non  gli  ricusa  aperto,  ma  gli  fa 
rispondere  che  non  vuole  altra  sicurtà  che  di  banco.  E  il  Va- 
lentino riesce  a  trovare  anche  questa;  ma  non  basta.  Gli  si 
attizzano  le  cupidigie  degli  altri  castellani  addosso;  deve  dar 
cauziona  d'altri  diecimila  ducati  per  le  galee  che  vuole  armare: 
si  mette  in  diffidenza  il  Mottino,  governatore  di  quelle  galee, 
che  il  condurlo  non  abbia  ad  essere  contro  alle  intenzioni  del 
papa.  Pur  finalmente  con  tre  navi  e  una  fusta  del  gran  Capi- 
tano, mercè  la  fede  del  cardinale  Carvajal,  che  mai  non  gli  venne 
meno,  e  a  dispetto  del  papa  stesso,  scampa  di  notte,  e  veleggia 
alla  volta  di  Napoli.  *  Da  quivi  riesce  a  mettere  ancora  un 
briciolo  di  paura:  la  fortezza  di  Forlì  inalbera  la  bandiera  di 
lui  e  bombarda  la  città;  e  nella  curia  di  Roma  se  ne  sgomen- 
tano. Si  teme  non  entri  Pisa  o  Piombino,  non  soldi  alemanni, 
non  sollevi  spagnuoli;  e  Firenze  non  à  pace.  Ma  il  tradi- 
mento che  gli  fa  Consalvo  rassicura  tutti.  Questi,  che,  chiesto 
istruzioni  in  Spagna,  avevalo  nel  frattempo  tenuto  in  sull'ali, 
non  appena  le  istruzioni  gli  giungono,  simulando  dargli  licenza, 
ordina  sia  fatto  passare  in  una  camera  nella  torre  dell'Oro  in 
Castel  Nuovo.  Quella  camera  aveva  finestre  'ferrate  di  dentro 
e  di  fuori;  si  chiamava  il  forno;  aveva  servito  di  prigione  in 
altri  tempi  ad  illustri  signori  :  servì  ora  pel  Borgia,  finché  non 
venne  tradotto  in  Ispagna,  a  Medina  del  Campo.  ^  —  Così  lungo 
e  pauroso  andò  il  tramonto  di  chi  ^veva  offeso  e  irritato  contro 

*  BuBCABDo,  Diario. 

*  GiusTiNiAN,  Dispacci^  voi.  in  passim. 

»  Archivio  fior.,  Lèttere  ai  Dieci,  ci.  x,  dist.  4,  n.  81  a  e.  207  t.  Lettera  Hi  Fr.  Pan- 
dolfini  da  Napoli.  Ulteriori  notizie  del  Valentino  recano  :  il  ^urita,  Annales,  lib.  vn, 
cap  LI,  col.  131.  n  Saitoto,  Diario,  voi.  iv,  fol.  2*4.  voi.  vii,  fol.  20.  Cf.  Bkosch,  loc. 
cit.,  e.  IV,  e  note,  pag.  324.  —  Grboorovius,  Qeschichte  d.  St.  Rom.^  t.  viii,  pag.  25-27. 
Il  Óksjabdikb,  Négociations  diplomatiques^  voi.  ii,  pag.  103.  —  lì  Flburangb,  loc.  cit.  così 
coDclnde  di  lai:  «  De  ses  vertns  et  vicesje  n'en  dirai  autre  chose,  car  on  en  a  assez  parie, 
trop  bien  veux-je  dire  qa*à  la  gnerre  il  estoit  gentil  compagnon  et  bardi  homme  ». 


Digitized  by 


Google 


296  CAPO  TERZO.  [libro 

a  se  i  potenti  contemporanei,  freddi  per  la  virtù,  fiacchi  per 
l'odio,  speculatori  d'utilità  sordide  e  vili.  Quando  si  considera 
che  de'  nemici  di  Cesare  non  fu  alcuno  che,  morto  papa  Ales- 
sandro, non  trattasse  con  lui,  e  di  lui  non  cercasse  cavar 
qualcosa;  s'intende  quanta  bassezza  d'intenti  moveva  quell'alta 
società  vile  ;  quando  si  considera  che  senza  la  «  laudabilis  pe?^- 
fdia  »  del  gran  Capitano,  come  la  chiama  il  de  Thou  calvinista,  * 
forse  per  qualche  tempo  ancora  Cesare  Borgia  avrebbe  agitato 
e  fatto  suo  il  mondo,  si  giunge  a  intendere  come  l'ammirazione 
per  l'ardire  e  l'oculatezza  del  Valentino  potè  sovrastare  alla 
prezza  di  qualità  morali  infinitamente  più  degne  ed  eflScaci, 
sempre  che  l'imprudenza  eia  desidia  non  le  spossi  ed  isteri- 
lisca. 

Pel  Machiavelli  del  resto,  come  vedemmo.  Cesare  Borgia 
era  già  da  un  pezzo  finito;  ma  sulle  rovine  di  lui  s'alzavano 
i  Veneziani  a  giganteggiare.  La  Signoria  della  Romagna  li 
avrebbe  condotti  alla  monarchia  d'Italia;  *  e  i  Fiorentini  in- 
tendendo questo,  anche  prima  che  quelli  non  tentassero  Faenza, 
erano  disposti  a  impedirlo  per  ogni  verso.  Caduta  poi  la  rocca 
di  quella  città  in  mano  a  coloro,  il  dado  parve  tratto:  questa 
impresa  «  o  la  sarà  una  porta,  che  aprirà  loro  tutta  Italia. 
0  la  fla  la  ruina  loro  ».  ^  Cosi  il  cardinal  di  Volterra  e  il 
Machiavelli  eransi  espressi  al  cardinal  legato  di  Francia;  e 
il  dilemma  era  giusto. 

Ora,  il  pericolo  dell'egemonia  veneta  pareva  sommo  e  su- 
premo; che  se  la  servitù  recata  da  una  repubblica,  è  duris- 
sima a'  paesi  che  soggetta;  se  sempre  vuol  dire  snervamento  e 
sppgniniento  di  questi  a  utile  suo;  ^  nella  minaccia  di  Venezia 

1  Thouani's,  Hi8tor.y\  i,  vi. 

*  V.  Lettera  dei  Dieci  al  M.  «  die  xv  novenibris  1503  ».  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  in, 
n.  118,  pubblicata  fra  le  Opp.  del  M.,  Commisi,  cit.j  pag.  366. 

■  Machiavelli,  Commiss,  cit.,  Lett.  57. 

*  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  ii,  cap.  ii.  Il  Burckhardt  (Die  Cultur  der  Renaissance 
in  Ilalien,  pag;.  58)  ben  determina  le  relazioni  di  Venezia  cogli  altri  stati  italiani  :  «  Der 
Grundton  des  venezianischen  OeniOthes  war  daher  der  einer  ztolzen,  ja  verachtungsvollen 
IsoliruDg  und  folgerichtig  einer  st&rkern  Solidaritàt  im  Innern,  woza  der  Hass  des  ganzeu 
ilbrigen  Italiens  noch  das  Seine  that  ».  —  E  il  Machiavelli,  Commias.  cit.,  Lett.  57:  «  B  ve- 
ramente e*  si  vede  qua  un  odio  universale  centra  di  loro,  in  modo  che  si  può  sperare,  se 
l'occasione  venissi,  che  sarebbe  loro  fatto  dispiacere,  perchè  ogni  uomo  grida  loro  addossa, 
e  non  solamente  quelli  che  tengono  stato  per  loro,  ma  tutti  questi  gentiluomini  e  signori 
di  Lombardia  sudditi  del  re,  che  ce  n'è  assai,  gridano  nelli  orecchi  ad  Roano  ».  —  A  Mi- 
lano era  proverbio  :  «  quando  nasce  un  milanese,  nasce  un  nimigo  de*  venetiani  »  V.  Marin 
Sanuto,  Diariit  t.  i,  e.  1032.  ~  Cf.  ibidem,  col.  1021  i  sonetti  fatti  a  Firenze,  Bologna  e 
Venezia,  l'una  città  contro  Taltra: 

«  Venetia  ha  stato  più  che  animo,  et  è 
Fredda  assai  più  che  l'acqua  ov'ella  sta    . 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  TIMORI  DELL' EG EMO SIX  VEGETA.  297 

parevano  accumularsi  con  danni  irreparabili  una  insopportabile 
vergogna;  perchè  la  superbia  de' modi  veneti  avrebbe  inasprito 
ancor  più  la  crudezza  de' fatti;  perchè  Venezia  sarebbe  dive- 
nuta il  solo  emporio  della  terra  ferma  italiana,  e  a  Firenze  sa- 
rebbe toccata  quella  miseria  estrema  ch'essa  preparava  a  Pisa, 
accompagnata  da  infiniti  spregi  per  l' impotente  e  ciarliera  sua 
democratia. 

A  scongiurar  pertanto  il  grave  pericolo  fu  rivolta  tutta 
l'industria  fiorentina;  forze  e  scaltrezza  volevansi,  ma  non 
avevano  forze.  Antonio  Giacomini,  il  miglior  braccio  della  re- 
pubblica, era  stato  mandato  commissario  a  Modigliana,  per  ov- 
viare ai  progressi  veneti;  Pierfrancesco  Tosìnghi,  già  commis- 
sario a  Castrocaro,  pareva  non  fosse  bastato  a  questo.  Egli 
aveva  creduto  di  valersi  dell'espediente  suggerito  altra  volta 
dal  Valentino,  comandando  un  uomo  per  casa;  ma  quei  co- 
mandati avevano  fatto  pessima  prova.  Non  istrutti,  non  ag- 
guerriti, non  incoraggiati  da  buon  successo,  non  rassicurati 
dalla  valida  azione  di  Firenze,  cedevano  presto  avanti  le  sol- 
datesche di  mestiere  e  la  gagliardia  dell'aggressione  veneta. 
«  Conviene  o  levarsi  interamente  dall'impresa  o  fare  altra  prov- 
visione che  di  comandati!  »  cosi  scriveva  a' Dieci  il  Giacomini, 
poiché  i  Veneziani  «  acquistando  ogni  di  terre,  si  vagliono  di 
qaelli  uomini;  i  quali  per  non  perdere  le  robe,  s'accomodano 
col  più  possente,  e  le  parole  non  vagliono  contro  la  spada  ». 
Del  resto  i  comandati  «  mostrano  poco  valore  nelle  imprese, 
e  sono  i  primi  arrivati  in  sul  fatto  che  tomansene  a  casa  ».  ^ 
Queste  lettere  del  Giacomini,  che  valsero  come  esperienza  a 
modificar  le  idee  del  Machiavelli  circa  la  possibilità  di  rista- 
bilire per  allora  nella  milizia  statuale  l'obbligo,  svegliarono  i 
Dieci  a  far  provvedimenti  più  forti;  ma  tardi. 

La  città  di  Faenza  era  venuta  in  potere  de'  Veneziani,  e 
Firenze,  disperando  di  contrastar  loro  con  efficacia  per  via 
della  forza,  dovette  voltarsi  tutta  a  cercare  salvezza  negli  in- 
trichi della  politica. 

Per  buona  sorte,  in  questi  essi  avevano  miglior  giuoco;  co- 
spirando a  favorirli  la  mala  disposizione  che  anche  oltre  ai  monti 
erasi  generata  contro  dei  Veneziani.  Il  re  di  Francia,  secondo 
che  ebbe  a  esprimersi  coll'oratore  fiorentino,  «  aveva  l'animo 
doloroso  contro  di  loro  »  ;  Massimiliano  gli  aveva  già  accusati 

*  Pitti,  Vita  d'Antonio  Giacomini,  pag.  179.  1 


Digitized  by 


Google 


298  CAPO  TERZO.  [libro 

ch'essi  pretendessero  chiamarsi  imperatori  della  quarta  parte 
d'Europa;  ^  Spagna  avversavali;  il  papa  a  questa  sovrappo- 
sizione di  odi  poteva  mettere  cemento,  e  non  mancava  chi  a 
questo  sapesse  stimolarlo.  Ben  si  conosceva  ch'egli  era  veneziano 
di  inclinazioni;  2  ma  era  pur  di  natura  «  onorevole  e  collerica;  — 
e  l'uno  lo  accenderà,  l'altro  lo  spingerà  ad  operare  contro  a  chi 
volessi  disonorare  la  Chiesa  in  suo  pontificatu,  »  ^  —  pensava  il 
Machiavelli,  il  quale  sin  dal  primo  giorno  che  andò  a  ren- 
dergli omaggio,  studiossi  rinfocolar  lui  e  i  cardinali  contro  la 
repubblica  serenissima. 

—  «  Partimi  da  sua  Santità,  scrive,  e  parlai  a  monsignor 
Ascanio,  ad  san  Giorgio  e  ad  san  Severino,  ricordando  loro 
che  qui  non  si  trattava  della  libertà  di  Toscana,  ma  della  li- 
bertà della  chiesa,  e  che  il  papa  diventerebbe  cappellano  dei 
Veneziani  ogni  volta  che  diventassino  maggiori  di  quello  che 
sono;  e  che  a  loro  toccava  il  provvedervi;  che  ne  avevano  ad 
essere  eredi;  che  noi  per  la  parte  nostra  lo  ricordavamo  a 
tempo,  e  ofiferevamci  di  quel  poco  che  si  può.  Mostrarono  questi 
cardinali  risentirsi  e  promisono  fare  ogni  cosa  ».  '^  E  il  cardi- 
nale di  Volterra  non  cessava  d'insistere  pur  egli  presso  il 
pontefice  e  di  ricordargli  che  papa  Clemente  quinto  aveva  sa- 
puto trarre  di  mano  ai  Veneziani  Ferrara,  quando  questi  l'eb- 
bero occupata;  che  papa  Sisto  quarto  aveva  saputo  provocar 
contro  a  loro  tutta  Italia;  ^  ora  toccava  a  lui  raccogliere  gli  am- 
basciatori di  tutte  le  nazioni,  e  alla  presenza  di  tutti  querelarsi 
delle  ingiurie  venete  fatte  alla  Chiesa,  cercar  consiglio  ed  aiuto. 

Tuttavia  papa  Giulio  non  voleva  ancora  sfrenare  il  gran 
cruccio;  preferiva  mandare  a  Venezia  i  vescovi  di  Tivoli  e  di 
Ragusa,  per  tentare  se  fosse  possibile  ancora  una  soluzione 
d'accordo,  senza  appigliarsi  a  una  mostruosa  e  nefaria  guerra. 
«  Ne  monsignore  di  Volterra  posse  persuaderlo  ad  altro  >.  * 


*  RoMANiN.  Storia  documentata  di  Venezia,  v,  12.".  «  Immo  vocant  se  imperatore? 
quartae  parti s  Europae  ». 

«  Idem,  ib-,  pag.  131. 

»  Machiavelli,  Commiss.  cìt..  Lett   46. 

*  Machiavelli,  ibid.,  Lett.  S2.  —  Più  tardi  in  un  dispaccio  d'Antonio  Oiustinian,  in 
data  del  17  luglio  1504,  si  legge:  «  e  questo  volse  sua  Beatitudine  innuir  uno  de  questi 
zorni,  parlando  con  un.  che  poi  me  lo  riferisse;  el  qual  disse:  -  Veneziani  ne  voriano  te^ 
gnir  per  suo  èapellano.  Non  lo  faranno  mai!  -  subiungendo,  che  l'aveva  de  buono en mar 
nega  ».  —  L'ironia  vivace  del  Segretario  fiorentino  aveva  flunque  ferito  al  vivo  il  ponte- 
fice irritabile,  se  questi  all'oratore  veneto  la  ripeteva  testualmente. 

*  Machiavelli,  Comm.  cit.,  Lett.  49. 

^  Machiavelli,  Ioc.  cit.  —  li  vescovo  di  Tivoli  era  Angelo  Leonini;  quel  di  Ragusa. 
Giovanni  Sacchi.  i 


Digitized  by 


Google 


secondo]  N.  machiavelli  E  IL  CARDISAL  SODERIM.  299 

Ciò  spiaceva  a  Firenze,  che  faceva  tutti  i  conti  suoi  sul- 
l'ira del   papa;  e  non  vedendolo  tosto  prorompere  stava  per 
attribuirlo  a  colpa  degli  agenti  suoi,  quasi  non  fossero  operosi  e 
sagaci  abbastanza.  Cosi  accadeva  che  il  Machiavelli  e  il  cardinal 
Soderini  si  giustificassero  a  vicenda.  —  «  E'  mi  pare,  scrive  Nic- 
colò, che  monsignore  reverendissimo  di  Volterra  non  lasci  ad  ri- 
cordare né  ad  osservare  cosa  veruna  che  si  convenga  ad  chi  ama 
la  sua  patria  e  il  bene  universale;  e  se  e'  provvedimenti  e  li  ri- 
medii  non  sono  conformi  alli  ricordi  suoi,  ne  tali  quali  él  bisogno 
ricerca,  e  vostre  Signorie  desidererebbono,  se  ne  à  ad  incolpare 
la  malignità  de' tempi  e  la  cattiva  sorte  degl'impotenti  >.  ^  — 
E  il  Volterra,  di  ricambio,  quando  i  Dieci  gli  richiamano  Nic- 
colò, affettuosamente  scrive:  «  lo  tenghino  caro  Vostre  Signorie, 
perchè  di  fede  e  diligenzia  e  prudenzia  non  se  ne  a  ad  desi- 
derante molto  in  lui  ».*  —  Questa  mutua  raccomandazione  suonò 
male;  né  si  vedeva  volentieri  da  molti  la  devozione  di  Niccolò 
pel  cardinale  di  Volterra  ;  ^  dappoiché,  in  corte  di  Roma,  dopo 
l'assunzione  del  pontefice  nuovo,  erasi  incominciato  un  batta- 
gliare cardinalesco  che  aveva  sue  mire  e  suoi  alleati  fuori  di 
Roma.  Ascanio  Sforza,  che  già  una  volta  in  conclave  aveva  de- 
luso l'ambizione  del  Rouen,  gli  rompeva  per  la  seconda  volta 
la  fede,  negandosi  a  ritornar  con  lui  prigione  in  Francia.  Su- 
bito collo  Sforza  univasi  il  cardinale  de' Medici,  il  cui  ascen- 
dente ne' pochi  giorni  del  pontificato  di  Pio  terzo  erasi  di  non 
poco  accresciuto.  —  «  Molti  Fiorentini  lo  corteggiavano  in  Roma^ 
scrive  il  Pitti,  e  li  nimici  del  Gonfaloniere  lo  celebravano  in  Fi- 
renze j*.'*  —  E  il  Medici  e  lo  Sforza  insieme  attizzavano  papa 
Giulio,  nemico  degli  oltramontani,  acciò  per  salute  di  Italia  ren- 
des.se  Milano  agli  Sforzeschi,  cacciandone  i  Francesi,  che  già  dal 
reame  di  Napoli  erano  stati  presso  che  espulsi  per  gli  Spagnuoli. 
Naturalmente,  il  solo  tentativo  di  rimettere  gli  Sforza  in  Milano 
avrebbe  cagionato  mutamento  di  politica   anche  in  Firenze; 
avrebbe  fatto  sentire  l'opportunità  di  rimetter  dentro  questa 
città  il  partito  ostile  a  Francia.  De' Medici,  morto  affogato  nella 
guerra  del  reame  Piero,  «  odioso  a  ciascuno»,  ^  il  cardinale  Gio- 

>  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  56,  57. 

*  Archivio  fiorentino,  Dieci  di  Balìa.  Carteggio  resp.,  Alza  75.  e.  158,  lettera  edita  dal 
Patserini  fra  le  Opp.  del  M.,  voi.  ii,  pag.  404,  in  nota. 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  in,  n  86.  Lettera  di  Biagio  Bonaecorti  a  N.  M..  die  4  de- 
cembris  moiij  :  «  Bastivi  che  ci  è  di  maligni  cervelli  e  a  chi  dispiace  scriviate  bene  deT 
Volterra  ». 

*  Pitti,  Storia  di  Firenze,  libro  i,  pag.  87.  —  Cf.  rAT.cYONio,  Medicei  legatuh  passim. 
»  Pitti,  loc.  cit. 


Digitized  by 


Google 


300  CAPO  TERZO.  [libro 

vanni  e  Giuliano  vivevano  desiderati  da  molti.  I  Salviati,  i 
Pazzi,  Bernardo  Rucellai,  i  palleschi  tutti  si  risentivano  per  loro. 
Pertanto  contro  al  cardinal  di  Volterra  e  al  Machiavelli,  due 
sorta  di  mali  umori  si  scatenavano:  l'uno  di  coloro  che  nimi- 
cavano lo  stato  dei  Soderini  e  l'alleanza  francese;  l'altro  di 
quelli  che  sospettavano  con  dolore  e  .con  inquietezza  che  i  Me- 
dicei potessero  pigliare  il  sopravvento,  e  temevano  che  la  ca- 
pacità e  la  solerzia  di  chi  doveva  contrabbilanciare  .nell'animo 
del  papa  lo  mene  e  la  possa  degli  sleali  insidiatori  della  li- 
bertà, non  fosse  abbastanza.  ^  Preoccupati  da  questo  stato  di  cose 
i  Dieci,  non  appena  intendono  che,  fatta  la  coronazione  del  papa 
e  preso  il  possesso  solenne  in  Laterano,  il  cardinale  di  Rouen 
erasi  per  tornare,  ordinano  a  Niccolò  ch'ei  venga  a  Firenze 
colla  maggior  celerità  possibile,  volendo  che  quivi  sia  presente 
al  passaggio  del  ministro  francese.  *  Ma  non  era  questa  la  ca- 
gione vera  per  cui  lo  sollecitavano:  il  gonfaloniere  aveva  in  animo 
di  mandarlo  col  cardinal  di  Rouen  in  Germania;  dappoiché,  ap- 
parecchiata la  conclusione  d'una  lunga  tregua  con  Spagna  dopo 
tanti  disastri  dell'armi  francesi,  l'Amboise  intendeva  a  rap- 
piccar  trattati  con  Massimiliano  imperatore  per  venire  a  capo 
dell'accordo  preparato  fin  dall'ottobre  1501  tra  lui  e  re  Luigi, 
e  procurare  a  questo  la  investitura  imperiale  del  ducato  di 
Milano.  Il  Machiavelli  era  stato  messo  in  sull'avviso  di  questa 
intenzione  del  gonfaloniere  per  una  lettera  del  Bonaccorsi: 
«  Se  fa  per  voi,  bene  quidem;  se  no,  ordinate  li  difensivi  >.^ 
E  Niccolò  si  difese  :  —  «  La  lettera  giunse  ieri,  e  Roano  partì, 
tale  che  conveniva  venisse  per  staflFetta,  e  questo  mi  era  molto 
difficile  ad  fare,  sondo  infetto  d'una  malattia  comune  che  è  in 
questa  città,  e  queste  sono  tosse  e  catarri,  che  intruonano  ad 
altri  el  capo  e  il  petto  in  modo,  che  una  agitazione  violenta, 
come  la  posta,  mi  arebbe  fatto  danno.  Arèi  nondimeno,  desi- 
derando d'ubbidire,  tentato  la  fortuna,  ma  monsignore  reve- 
rendissimo di  Volterra  non  mi  à  concesso  el  partire,  paren- 
dogli, avendo  ad  differire  gì'  imbasciadori  ancora  un  venti  dì, 

1  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  ni,  n.  26.  Lettera  di  Biagio  Bonaccorsi  a  N.  M.,  «  die 
4  decembris  mdii(j  ».  Tra  coloro  che  erano  in  gran  collera  col  Machiavelli,  in  questa  lettera 
è  menzionato  un  ser  Agnolo  Tucci  «  per  non  li  hauere  mai  risposto  che  dice  haueruene 
fatto  scriuere  dal  gonfaloniere  et  da  quanti  cancellieri  è  in  questo  palazo  ».  —  l\  rumore 
ebbe  ad  esser  grande  ;  ebbe  forse  ad  esserci  chi  consigliò  il  Machiavelli  a  lasciar  la  Can- 
celleria, ma  il  Bonaccorsi  aggiunge:  «  Chi  ui  scriue  che  troviate  altro  exercitio  non  ui 
vuol  bene,  perchè  io  non  ueggo  altro  pericolo  ne' casi  uostri  che  il  consueto  ». 

*  Machiavelli,  Ioc.  cit.,  Lett.  83. 

»  Bonaccorsi,  Lett.  cit. 


Digitized  by 


Google 


secondo]     nuova  commissione  DEL  MACHIAVELLI  IN  FRANCIA.  301 

come  voi  accennate,  che  el  rimanere  qua  senza  uno  istrumento, 
del  quale  lui  si  potesse  valere  per  le  cose  pubbliche,  fussi  ad 
lui  carico,  e  dannoso  alla  città;  né  si  è  risoluto  altrimenti;  e 
io  facilmente,  e  credo  che  sarà  con  buona  grazia  delle  Signorie 
vostre,  ò  ceduto  all'autorità  di  sua  Signoria,  costretto  dall'af- 
fezione, ch'io  veggo  che  porta  alla  città,  e  dalla  fede  che  me- 
ritamente da  ciascuno  costi  gli  debbo  esser  prestata  ».  ^  — 

Questui  lettera  non  trovò  grazia  ;  e  i  nuovi  Dieci,  entrati  in 
oflBcio,  vedendo  il  Machiavelli  già  revocato  dagli  antecessori,  in- 
sistettero nel  richiamo.  Egli  tornò  dopo  un  mesa  di  soggiorno 
ingiocondo  ^  e  grave  a'. suoi  privati  interessi;  ^  ma  non  si  ri- 
mase a  lungo;  dappoiché  non  per  altro  aveva  stornato  l'andata 
sua  in  Germania,  se  non  perchè  TAmboise  aveva  ricevuto  let- 
tere di  re  Luigi  che  lo  sollecitavano  a  recarsi  a  Lione  quanto 
più  presto  potesse.  Ora,  la  furia  del  re  indicava  che  questi  si 
trovava  male  ad  agio  coi  casi  suoi,  e  la  repubblica,  ch'era  tutta 
appoggiata  su  lui,  tremò.  Sollecitamente  mandò  oratore  in 
Francia  Niccolò  Valori,  che  trovavasi  a  Firenzuola,  il  quale, 
prima  della  partenza  sua  ebbe  ad  intendere  dal  Machiavelli, 
spacciatogli  espressamente  a  quel  luogo,  l'intenzione  dei  Dieci. 

S?  non  che  del  Valori  non  venivano  lettere,  e  l'impa- 
zienza s'aggravava  del  sospetto  che  ci  fosse  chi  proibiva  che 
quelle  lettere  giungessero,  chi  intercettava  le  lettore  stesse 
mandate  all'oratore.  Pertanto  fu  preso  il  partito  di  spedire  il 
Machiavelli  a  dirittura,  il  quale  fece  promessa  di  recarsi  di 
Firenze  a  Lione  «  in  sei  dì  o  prima  »,  e  l'attenne.  ^ 

Egli  e  il  Valori  avevano  commissione  di  presentarsi  al  re; 
scuoterlo,  se  era  possibile;  «  vedere  in  viso  »  le  provvisioni 
che  da  lui  si  fanno,  congetturarne  la  portata,  giudicarne  la 

>  Machiavelli,  Ice.  cit..  Leti.  85. 

*  Machiavelli,  ibid.,  Lett.  35  :  «  E  nondimanco  la  peste  ci  rinforza  e  ci  diventa  una 
stanza  troppo  trista,  perchè  i  tempi  e  la  straccuràtaggine  e  ogni  cosa  la  angamenta  ». 

*  Nella  Lett.  53  di  questa  Commissione  Niccolò  parla  delle  sue  condizioni  economiche  : 
«  Io  ebbi  al  partire  mio  trentatre  ducati;  spesine  circa  tredici  per  le  poste....;  ho  speso 
in  nna  mula  IS  ducati,  in  una  veste  di  velluto  18  ducati,  in  uno  catelano  undici,  in  uno 
gabbano  dieci,  che  fanno  settanta  ducati;  sono  in  sull'osteria  con  due  garzoni  e  la  mula; 
ho  speso  ciascun  di  dieci  carlini  e  spendo.  Io  ebbi  dalle  Signorie  vostre  di  salario  quello 
che  io  chiesi,  e  chiesi  quello  eh* io  credetti  stessi  bene,  non  sappiendo  la  carestia  è  qui. 
Debbo  pertanto  ringraziare  le  Signorie  vostre  e  dolermi  di  me;  tamerif  conosciuto  meglio 
questa  spesa  se  ci  fussi  rimedio,  io  ne  prego  le  Signorie  vostre  ».  Cf.  lo  stanziamento  re- 
lativo a  questa  missione  di  Niccolò^  pubblicato  dal  Passerini,  loc.  cit.,  pag.  lxii. 

^  La  patente  per  l'andata  a  Firenzuola  è  addi  12  gennaio  (Archivio  di  stato  fior., 
Deliberaxioni  de  X,  classe  ii,  dest.  6',  n.  105,  e.  124.  Lo  stanziamento  per  essere  andato 
in  Corte  del  re  cristianissima  è  a*  di  19  del  gennaio  in  fiorini  80  larghi  in  oro.  —  Il  Bo- 
:«ACcoB8i  {Diario,  pag.  36;  dice  :  «  Si  mandò  un  huomo  in  poste  al  rè  por  mostrare  a  Sua 
Maestà  il  pericolo  ». 


Digitized  by 


Google 


302  CAPO  TERZO,  [libro 

qualità;  fargli  sentire  i  pericoli  certi  e  prossimi  in  cui  sono  le 
cose  francesi  in  Italia;  intender  l'animo  suo  e  i  disegni  che  à 
per  mantenere  quel  che  gli  resta  di  stato  e  d'amici.  Gli  Spa- 
gnuoli  trionfano  nel  reame,  i  Veneziani  imbaldanziscono  in  Ro- 
magna ;  tutti  e  due  anno  intelligenze  comuni  :  Lombardia  e  To- 
scana stan  sotto  la  loro  minaccia;  Pisa  spera  della  loro  fortuna; 
i  ribelli  di  Firenze  si  risentono  anch'essi,  e  il  papa  ondeggia. 
In  questo  frangente,  i  Francesi  avevan  fatto  sole  due  cose: 
rotto  la  condotta  del  Baglioni,  comune  co'  Fiorentini  ;  e  ordi- 
nato a  questi  di  pagare  ducati  diecimila  ogni  fiera.  Di  queste 
due  cose,  l'una  era  sembrata  indizio  che  ei  si  spiccassero  del 
tutto  dalle  cose  d'Italia;  l'altra  che  non  pensassero  se  non  a' casi 
propri,  abbandonando  gli  amici  che  tanto  avevano  patito  per 
loro.  Né  Firenze  poteva  credere  che,  quando  si  rimediasse  a 
quei  due  fatti  solamente,  le  due  gravi  supposizioni,  che  da 
quelli  erano  germogliate,  s'avessero  a  sbarbicare.  Bensì  af- 
facciava occorrere  che  il  re  passasse  i  monti  e  venisse  a 
Milano;  mandasse  nuove  armi  e  ordinasse  meglio  quelle  che 
c'erano;  coU'autorità  sua  riunisse  in  un  corpo  le  divise  membra 
di  Toscana;  soldasse  Svizzeri;  conducesse  Orsini  o  Colonnesi; 
satollasse  le  brame  loro;  non  trascurasse  i  Baglioni  coi  quali  si 
terrebbe  ferma  Siena;  determinasse  in  suo  favore  il  pontefice; 
empiesse  delle  navi  sue  i  mari  italici.  Domandava  insomma 
colla  forza  della  disperazione,  d'essere  aiutata  davvero,  a  chi 
sapeva  che  portava  pericolo  insieme  con  lei;  o  faceva  sentir 
quell'unica  minaccia  che  poteva:  muterebbe  amicizie  per  trovar 
salute.  Il  segretario  fiorentino,  ponderati  gli  apparecchi  francesi, 
quando  non  li  avesse  trovati  «  grandi,  presti  e  in  essere  >  aveva 
commissione  di  lasciar  trapelar  questo  partito  indispensabile. 
Egli  fa  sosta  a  Milano,  secondo  che  gli  è  commesso,  per 
abboccarsi  col  luogotenente  del  re,  nipote  del  cardinale  di 
Rouen,  dimostrandogli  tutti  i  pericoli  che  Firenze  è  per  cor- 
rere, se  Consalvo  viene  innanzi.  E  lo  Chaumont  risponde  non 
credere  che  verrà.  Il  Machiavelli  insiste  nel  rappresentargli  le 
probabilità  sfavorevoli,  nel  colorire  le  male  intenzioni  dei  Ve- 
neziani; e  quegli  replica  che,  quanto  ai  Veneziani,  i  Francesi 
«  li  farebbero  attendere  a  pescare  > .  —  «  Non  de  rien  doltè  »  — 
aggiunge  forte  nell'accompagnarlo,  «  in  modo  che  chi  è  dat- 
torno possa  udire  ».  ^  —  E  in  queste  afiermazioni  era  tutto. 

»  Machiavrlli,  CommU$,  alla  Corte  di  Francia  per  la  seconda  volta,  Lett.  6. 


Digitized  by 


Google 


SKCONDO]  SECONDA  COMMISSIÓNE  IN  FRANCIA.  303 

Ma  Niccolò  ricorre  al  consueto  espediente:  «  Parlai  con 
un  amico  di  cotesta  città,  il  quale  mi  riconobbe,  perch'era 
in  corte  in  quello  tempo  mi  trovavo  , anch' io;  e  tiratomi  da 
parte,  mi  disse,  mostrando  dolersene,  che  faceva  cattivo  giu- 
dizio delle  cose  di  questo  re,  perchè  sapeva  che  non  poteva 
mettere  piano  ad  più  danari;  aveva  qui  poche  gente  d'armi, 
e  quelle  sparte  in  più  luoghi;  non  ci  aveva  fanterie;  vedeva 
che  bisognava  lunghezza  di  tempo  ad  condurci  l'una  cosa 
e  l'altra;  non  sentiva  ne  vedeva  farne  ordine  alcuno;  e  dal 
l'altra  parte  e'  nimici  erano  in  sulla  sella,  freschi,  in  su  la 
fortuna  e  in  su  la  vittoria;  tale  che  non  conosceva  che  ri- 
medio avessero  non  solum  gli  amici  del  rè,  ma  questo  stato  ». — 
A'  dì  28  di  gennaio,  circa  ore  22,  giunto  in  Lione,  trova  il  Va- 
lori ;  e  dà  opera  insieme  con  lui  a  gittar  lo  scandaglio  in  quella 
corte,  che  si  faceva  torbida  e  incerta  per  sottrarsi  agli  inda- 
gatori sagaci,  e  coprire  con  bell'aspetto  la  mala  fortuna. 

Al  re,  indisposto  di  salute,  non  possono  essere  ammessi.  — 
«  E  indisposizione  d'anima  e  di  corpo  »,  —  ^  concludono  essi  e 
vanno  al  cardinale  di  Rouen.  Di  tutte  le  pratiche  di  questa  com- 
missione il  Valori,  cui  Niccolò  riman  sempre  subordinato,  è  quello 
che  ragguaglia  la  Signoria  senza  mancar  d'accennare  la  parte 
oculata  e  sottile  che  à  in  esse  il  segretario  inviatogli.  —  «  Nic- 
colò Machiavelli  con  quella  destrezza  che  fu  possibile  per  fer- 
mare Sua  Signoria  reverendissima,  e  per  venire  a  qualche 
particolare,  e  anche  per  aver  occasione  di  ragionare  di  Giovan 
Paolo  (della  condotta  cioè  del  Baglioni)  soggiunse  che  pensas- 
sero, volendo  salvare  la  Toscana,  a  salvare  le  mura,  e  che  le 
mura  sue  dalla  parte  di  verso  Consalvo  sono:  papa,  Siena  è 
Perugia  >.  —  Che  fossero  a  guardare  le  mura  dall'altra  parte, 
cioè  la  Romagna  e  la  Lombardia,  da' Veneziani  intenti  a  bat- 
terle, s'intendeva  da  sé.  E  contro  a  costoro  non  si  trattava 
che  di  restringere  e  portare  a  un  capo  le  inimicizie  prorom- 
penti da  ogni  lato;  ma  i  Fiorentini  trovano  sua  maestà,  il  car- 
dinale, i  gentiluomini  e  signori  della  Corte,  per  le  cose  allora 
successe,  più  vòlti  alla  pace  che  alla  guerra.^  «  Questa  pace, 
scrivono,  la  trattan  con  Spagna  e  coli' Imperatore.  Colla  Spagna 
è  già  stabilita  la  tregua;  di  cui  si  aspetta  in  settimana  la  ra- 
tificazione. Tutti  la  tengon  sicura,  incominciando  dagli  oratori 
spagnuoli;  e  tuttavia  «  sull'esempio  delle  cose  passate  »,  (e  i 

*  Machiavelli,  Opp.,  Comm.  cit.,  I.ett.  8. 

*  Machiavelli,  Commiss,  cit.,  Lett.  8. 


Digitized  by 


Google 


304  CAPO  TERZO.  [libeo 

(lue  fiorentini  facevano  allusione  non  dubbia  alla  brutta  fac- 
cenda del  trattato  di  Blois)  «  la  potrebbe  essere  o  non  essere, 
e  quegli  ambasciatori  affermarla  più  vivamente  per  addormen- 
tare più  il  Rè  alle  provvisioni  debite  >. 

Coir  Imperatore  poi  le  cose  erano  tanto  poco  avviate,  che 
il  far  congetture  riusciva  impossibile.  D'altrond?,  tanto  Niccolò 
che  il  Valori  cercavano  indurre  i  Francesi  a  torre  esempio, 
nel  pigliare  i  partiti,  «  dal  modo  che  avevano  tenuto  gli  avver- 
sari, ^  a  seguitare  i  proverbi  savi  di  re  Luigi  XI  «  il  quale 
soleva  dire  che  sempre  negli  accordi  faceva  maggiori  e  mi- 
gliori provvedimenti,  che  nella  pace  ».  ^  Ma  i  tempi  di  re  Luigi 
undecimo  erano  ben  morti,  ed  ora  il  reverendissimo  legato  agli 
oratori  fiorentini  che  si  profondevano  in  far  rimostranze  e  solle- 
citazioni, rispondeva:  «  questa  vostra  è  una  canzone  ».  —  Ed 
essi:  «la  lascerebbimo  dire  ad  altri,  se  noi  non  avessimo  ad 
essere  i  primi  a  patire;  ma  se  la  maestà  del  re  si  vorrà  mante- 
nere in  Italia  gli  stati  suoi  e  gli  amici,  bisognerà  ne  presti  fede 
agl'Italiani  ».  ^  Se  non  che  gl'Italiani,  deboli,  spicciolati,  come 
ben  li  chiamavano  in  Francia,  e  nemici  tra  loro,  non  potevano 
avere  autorità  di  consiglio,  come  non  avevano  partiti  onesti  e 
salubri  a  sceglÌ3re  per  sé.  «  Ci  converrà,  scrivevano  i  Dieci,  i 
.quali  vedevano  che  il  re  non  faceva  nulla  per  frenare  gli 
acquisti  di  Venezia,  «  o  stare  in  amicizia  con  Francia  e  i  Ve- 
neziani COSI,  e  aiutare  anche  noi  la  ruina  d'Italia  e  nostra,  o 
lasciata  quest'amicizia  cercarne  un'altra  forse  con  maggiore 
spesa,  0  forse  con  più  securtà  >A  Del  resto,  a  tentar  di  racco- 
gliere gli  spicciolati  in  una  unione  utile  a  Francia  e  a  Firenz3 
il  re  mandava  in  Italia  Francesco  da  Narni;  circa  ai  Vene- 
ziani era  d'accordo  che  conveniva  disfarli  ad  ogni  modo,  ma 
aspettava  tempo.  E  qui,  i  due  fiorentini  si  stringevano  col  Vil- 
leneuve,  signore  di  Trans,  ch'era  stato  ambasciatore  a  Roma, 
ove  papa  Alessandro  l'aveva  già  per  celia,  e  non  senza  con- 
venienza, chiamato  monsignor  delle  traine;^  acciocché  egli  il 
quale  delle  cose  d'Italia  sapeva  far  buon  giudizio,  e  capiva 
che  il  momento  d'imbavagliar  Venezia  era  venuto,  determi- 
nasse il  re  ad  un'azione  energica.  Quegli  consigliavali  a  im- 
pedire che,  nel  trattato  di  tregua  tra  Francia  e  Spagna,  la  cui 

*  Machiavelli,  Opp.,  Commiss,  cil  ,  Lctt.  11. 

*  Machiavelli  ibid  ,  Leti.  16. 
'  Machiavklli  ibid  ,  Lclt.  16. 

*  Machiavelli,  ibid.,  Lett.  18. 

*  GiusTiNiAN,  Dispacci,  t.  II,  pag.  ^2. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  seconda  COMMISSIONE  IN  FRANCIA.  305 

ratificazione  era  finalmente  giunta,  quando  fossero  a  nominare 
gli  amici  e  aderenti  d*una  parte  e  dell'altra  (e  a  far  questo 
le  due  potenze  avevano  tempo  tre  mesi)  nessuna  delle  due 
parti  nominasse  i  Veneziani.  Francia  non  li  nominerebbe  per 
certo  ;  bisognava  far  opera  che  non  li  nominasse  neppure  Spa- 
gna: a  questo  efietto  niun  migliore  intermediario  che  il  pontefice. 
Se  non  che  Spagna  li  nominò  invece,  ma  non  con  sincerità, 
bensì  in  modo  che  potessero  essere  un'arma,  e  non  mai  un  osta- 
colo, secondo  che  meglio  giovasse;  e  infatti,  con  un  po' d'inter- 
pretazione, vennero  come  ostacolo  ben  presto  rimossi,  ricu- 
sando Francia  accettarli  in  pregiudizio  del  papa,  Spagna  am- 
mettendo facilmenle  sifiatta  clausola.  Cosi  gl'inclusi  per  co- 
modo restarono  anche  a  comodo  esclusi. 

Il  nembo  era  per  tal  guisa  addensato  contro  la  regina  del- 
l'Adriatico, che  poco  mancava  a  prorompere,  e  i  Fiorentini 
funestamente,  ma  naturalmente  gioivano.  —  «  Si  sono  trattate  le 
cose  vostre,  come  le  nostre  proprie  »,  diceva  loro  l'Amboise,  ^ 
e  il  Machiavelli,  che  dopo  pochi  giorni  ripigliava  la  via  di 
Firenze,  da  questa  aff'ermazione,  quand'anche  gli  sapesse  vera, 
non  tornava  confortato  gran  fatto.  ^ 

Il  Valori,  che  restò  circa  un  anno  a  quella  corte,  solle- 
citando poi  d'esserne  richiamato,  scriveva  al  gonfaloniere  e  al 
Giacomini  quanto  fosse  opportuno  che  a  quella  tenessero  per 
qualche  mese,  piuttosto  che  un  oratore  di  reputazione,  «  un 
homo  di  cervello  et  di  non  molte  dimostrationi  »;  e  a  Niccolò: 
«  io  desidererei  che,  come  voi  ci  venisti  alla  venuta  mia,  cosi  ci 
tornassi  alla  tornata  ».^  Se  non  che  il  Machiavelli  aveva 
ben  gittato  gli  occhi  in  seno  alla  Francia.  Sperare  di  riuscire 
a  trarre  da  lei  tanta  forza  quanta  occorreva  per  assodare  in 
Italia  le  cose  francesi,  gli  pareva  ormai  vano;  né  era  ad  attender 
da  essa  che  facesse  per  Firenze  quel  che  per  sé  non  faceva. 
Quell'alleanza  era  pertanto  uno  strascico,  che  si  sarebbe  rotto 
quando  l'una  delle  parti  fosse  sprofondata  nel  precipizio;  e  però 
conveniva  che  la  repubblica,  a  voler  allungare  la  vita  della 
libertà  sua,  ad  ottener  rispetto  all'ombra  di  quella  sua  ami- 
cizia francese,  cercasse  in  sé  stessa  miglior  modo  di  rifar  san- 
gue e  forza.  Però,  confermava  nella  fede  i  pochi  amici  suoi, 

1  Machiavelli,  Opp.,  loc.  cit.,  Leit.  33. 

•  Machiavelli,  Opp.,  Commiss,  cit.,  Leu.  33,  35.  V.  lo  stanziamento  per  questa  se- 
conda gita  alla  Corte  di  Francia  nelVArch.  fior.,  ul.  xiii,  iliat.  2,  n.  60  a  e.  115  t.,  pubbli- 
cato dal  Passerini,  loc.  cit.,  pag.  lxiii. 

•  Machiavelli,  Opp.,  Commiss,  cit.,  Lett.  8. 

ToMMASiM  -  Machijxelli.  81 


Digitized  by 


Google 


30»  CAPO  TERZO.  [l 

mandando  prima  il  Segretario,  poi  DoflFo  Spini  in  Piombino  al- 
l'Appiano; ^  si  provvedeva  di  nuove  condotte  col  Baglioni,  con 
Marcantonio  Colonna,  Iacopo  e  Luca  Savelli,  Ludovico  della 
Mirandola,  Bandino  dalla  Pieve,  Malatesta  Malatesti,  Paolo  da 
Parrano,  Bandino  Stefani,  Ercole  Bentivoglio.  Tutto  «  per  non 
istare  a  discrezione  »  come  diceva  il  Bonaccorsi.  * 

Se  non  che  queste  armi  mercenarie  costavano  immensamente; 
e  il  popolo,  che  non  poteva  disconoscere  l'urgenza  dei  prov- 
vedimenti militari,  ne  lamentava  il  peso,  disfogavasi  a  specu- 
lare il  modo  che  fosse  alleviato,  e  ventilava  e  commentava  ogni 
idea  che  paresse  avere  probabilità  di  raggiungere  un  tal  fine. 

A  tutti  sembrava  inevitabile  recar  presto  a  termine  il 
racquisto  della  città  di  Pisa,  la  quale  era  «  per  trarre  gli  umori 
d'inferno  per  offenderci  »^  come  aveva  detto  il  Machiavelli  al 
cardinale  d'Amboise.  Asciugar  quegli  umori  era  studio  continuo: 
guastarle  i  grani,  impedir  le  nuove  seminagioni,  occuparle  il 
mare  che  la  tenea  viva,  affondar  le  barche  che  le  portavano 
vettovaglie,  assaltare  i  Lucchesi  che  le  porgevano  soccorsi, 
asciugare  il  fiume  che  correva  dentro  la  città.  Quest'  ultimo 
partito  che  era  strano,  pareva  grande;  aveva  l'aspetto  di  ri- 
solvere il  male  dalle  radici  e  tanto  più  sembrava  desiderabile, 
in  quanto  pareva  riuscire  a  questo,  senza  l' intervento  di  que'  ladri 
di  condottieri  e  de'  loro  fanti,  senza  tanto  accapigliarsi  dei 
Dieci  per  le  cose  della  guerra,  solo  con  un  po'  di  maestri  d'ascia 
e  di  marraiuoli.  Per  in  sino  allora  avevan*  fatto  mala  prova 
i  comandati;  i  conestabili  avevan  rubato  le  paghe  a' fanti:  — 
«  E  questo  co' soldati,  pensino  ora  quanto  rubano  a  loro  Si- 
gnorie! ».  —  Cosi  n'aveva  scritto  il  Giacomini,  l'eroico  e  ge- 
neroso commissario,  che  campeggiando  ne'  paduli  di  Pisa  v'an- 
dava perdendo  la  luce  degli  occhi,  e  s'arrabattava  or  co'  Dieci, 
or  col  gonfaloniere,  che  di  lontano,  dal  loro  palazzo  volevan 
sentenziare  de'  partiti  guerreschi,  del  modo  d'alloggiare  il  campo, 
e  affettavano  consigliare  o  determinare  le  commissioni.  Il  Gia- 
comini aveva  finito  per  perdere  la  pazienza  a  quelle  presun- 
zioni degli  autorevoli,  e  per  rispondere  loro:  —  «  molto 
meglio  si  giudica  e  vede  qui  che  per  le  camere  da  lon- 
tano ».  —  * 

>  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  u.  100. 

*  BoNACcoBSi,  Diario,  pag.  88. 

*  Machiavblli,  Opp.,  Seconda  commi*sion«  in  Francia^  Lett.  8. 

*  Pitti,  Vita  d'Antonio  Oiacomini,  loc.  cit.,  pag.  196-7.  Probabilmente  queste  circo- 
^t-inse  e  quella  lettera  del  Giacomini  detenninarono  la  regola  dal  MachiaTelli  esposta  poi 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDoJ  PROGETTO  DI  SVOLTARE  L'ARNO  DA  PISA.  307 

Ora  agli  autorevoli  pareva  che  il  progetto  di  voltare  Arno 
alla  torre  del  Fagiano  per  impedire  ch'entrasse  in  Pisa,  e 
condurlo  in  Stagno,  fosse  per  recare  un  cumulo  di  buoni  ef- 
fetti. Gl'ingegneri  avrebbero  vinto  i  soldati;  l'arte  e  la  natura 
avrebber  dato  il  trionfo  sulla  città  nemica:  il  gonfaloniere, 
che  aveva  messo  tutto  V  animo  a  sostenere  questo  partito,  dai 
suoi  nemici  chiamato  un  ghiribizzo,  ^  si  confidava  venirne  in 
maggior  grazia  col  popolo,  e  riuscire  a  confermare  più  salda- 
mente l'autorità  sua. 

Ma  non  riusci:  in  Amo  si  misero  più  che  settemila  du- 
cati; e  quando  erasi  creduto  con  maestri  d'ascia  e  marraiuoli 
far  tutto,  ci  vollero  anche  i  fanti,  e  con  doppia  paga,  a  guar- 
dare che  i  Pisani  non  impedissero  i  lavori;  si  sciupò  tempo, 
opera,  riputazione;  riuscite  male  le  cose,  se  ne  dette  carico  a 
chi  aveva  avuto  fede  in  quel  progetto. 

Non  ve  l'aveva  avuta  il  Machiavelli,  il  quale,  quantunque 
come  segretario  de' Dieci  avesse  scritto  lettere  piene  d'ardore 
per  rinfocolare  l'impresa  e  condurla  a  miglior  termine,  sen- 
tiva intimamente  che  non  era  per  quella  via  che  si  sarebbero 
«  asciugati  gli  umori  »  che  nudrivano  Pisa.  Egli  invece  dalle 
lettere  del  Giacomini,  attissime  a  far  isboUire  le  speranze 
troppo  fervide  e  a  far  balenare  nuovi  pensieri,  aveva  tratto 
argomento  ad  escogitare  miglior  espediente;  e  quando  il  Gia- 
comini, ottenuto  lo  scambio  nel  commissariato,  tornò  in  Firenze 
e  fu  eletto  de' Dieci,  con  lui,  che  della  sua  perizia  guerresca 
aveva  dato  sì  splendide  prove,  che  '  sentiva  profondamente  a 
quanta  miseria  fosse  venuta  la  città  per  le  soldataglie  cor- 
rotte, apri  la  mente  sua,  e  col  suo  consiglio  cercò  preparar 
miglior  disegno  per  riuscire  a  stringere  Pisa  e  provvedere 
alla  difesa  della  repubblica,  restaurando  l'antica  milizia  co- 
munale. 

Ma  un'idea  di  questa  qualità  doveva  incontrar  maggiore 
contradizione,  ed  abbisognare  di  più  grande  preparazione  che  non 
quell'altra  di  voltare  il  letto  all'Arno  e  lasciar  Pisa  in  secco; 
perchè  agli  uomini  le  cose  ragionevoli  quando  offendono  la  con- 

nel  cap.  xxxiii,  lib.  ii,  dei  Discorsi:  «  Come  i  Romani  davano  agli  loro  capitani  degli 
eserciti  le  commissioni  libere  »  ove  conclude  ;  «  Questa  parte  si  è  più  volentieri  notata  da 
me,  perchè  io  veggo  che  le  repubbliche  de*  presenti  tempi,  come  è  la  Veneziana  e  Fioren- 
tina, la  intendoqo  altrimenti;  e  se  gli  loro  capitani,  provveditori  o  commissari  hanno  a 
piantare  una  artiglieria,  lo  vogliono  intendere  e  consigliare.  l\  quale  modo  merita  quella 
laude  che  meritano  gli  altri,  i  quali  tutti  insieme  l'hanno  condotte  ne' termini  che  al  pre- 
dente si  trovano  ». 

*  GuiociABDi>'i,  Storia  fiorentina^  cap,  xxviii. 


Digitized  by 


Google 


30S  CAPO  TERZO.  [libro 

suetudine  e  gì*  interessi,  sanno  più  ardue  di  quelle  che  anno  forse 
minor  fondamento  in  natura,  ma  non  intralciano  le  utilità  già 
cognite.  Ora,  quantunque  una  parte  di  popolo,  quella  che  va- 
gheggiava la  <  riforma  sancta  et  pretiosa  »  di  ser  Domenico 
Cecchi,  1  fosse  già  non  solo  capace  ma  desiderosa  d'una  simile 
restaurazione,  l'universale  non  poteva  dirsi  che  la  consentisse; 
soprattutto  poi  v'eran  poco  disposti  i  politici  delle  pratiche,  i 
consuetudinari. 

Or  ecco  che,  in  sullo  scorcio  dell'anno  1504,  Niccolò  com- 
parisce fuor  della  cancelleria,  come  uom  di  lettere  a  tentar 
questa  preparazione;  armato  della  terzina  dantesca,  in  Firenze 
fatta  sacra  e  devota  alla  poesia  civile;  colla  quale  cantando 
«  le  italiche  fatiche  di  dieci  anni  »  in  un  poemetto  messo  in 
penna  «  in  quindici  d\  »,  pieno  del  dolore,  dell'ironia,  del  cor- 
ruccio che  que'  travagli,  gli  avevano  rinnovato  nell'animo,  si  ri- 
volge a' suoi  concittadini,  e  come  conclusione  del  triste  spetta- 
colo che  loro  riconduce  sott'occhi,  gli  sprona  co'  due  versi  ul- 
timi del  suo  primo  Decennale  sulla  via  che  a  lui  pare  l'unica 
salutifera. 

Questo  Decennale  egli  l'offre  in  dono  all'uomo  che,  se- 
condo lui,  era  il  più  benemerito  della  repubblica,  all'  uomo  che 
delle  quattro  mortali  ferite,  ond'era  travagliata  la  città,  aveva 
saputo  sanarne  tre  ;  e  avrebbe  sanato  anche  la  quarta  se  «  il 
cielo  »  non  vi  si  fosse  opposto.  *  E  qui  il  «  cielo  »  è  'chia- 
mato in  causa,  per  non  dire  «  il  popolo  »  il  quale,  malaccorto 

1  V.  più  sopra,  a  pag.  144. 

*  «  Costui  la  scala  alla  suprema  insegna 

Pose,  su  per  la  qnal  condotta  fnsse 
S'anima  c'era  di  salirvi  degna. 
Costui  Pistoia  in  gran  pace  ridusse; 
Costui  Arezzo  e  tutta  Valdicbiana 
Sotto  l'antico  giogo  ricondusse. 
La  quarta  piaga  non  potè  far  sana 
T)i  questo  corpo;  perchè  nel  guarillo 
S'oppose  il  cielo  a  si  felice  mana  ». 
La  forma  «  mana  »  per  mano,  propria,  al  dir  del  Fanfani  (Vocabolario  d^lVuio  lotcano) 
delle  Provincie  di  Pistoia  e  di  Siena,  ove  tuttora  vive  fra  la  gente  di  bassa  estrazione,  era 
al  tempo  del  Machiavelli  vivissima  in  Firenze,  e  occorre  nella  Storia  fiorentina  del  Pitti, 
lib.  I,  pag.  78:  «  furono  allora  creati  per  li  sei  soliti  mesi  li  Dieci,  e  seguitaronsi  ancora 
un'altra  mana  ».  —  È  osservabile  come  il  Guicciasdiki  {Storia  di  Firenze,  cap.  xxvi)  con- 
cordi mirabilmente  coi  versi  sopra  recati  di  Niccolò  :  «  Vinta  questa  provvisione,  e  dato 
principio  alla  riordinazione  della  città,  usci  la  Signoria,  la  quale  avendo  trovata  la  città 
in  somma  confusione,  smembrato  Arezzo  con  tutta  quella  provincia,  Pistoia  quasi  perduta 
e  ribellata,  aveva  rassicurata  la  città  di  Pistoia,  ricuperato  Arezzo  e  ciò  che  si  era  perso 
in  quella  rivoluzione  ;  e  in  ultimo  vinta  la  provvisione  di  riformare  lo  Stato,  lasciato  ognuno 
in  ^omma  allegrezza  e  speranza;  e  però  usci  meritamente  con  somma  commendazione,  sendo 
per<j  ogni  buona  opera  attribuita  a  Alamanno  Salviati,  Alessandro  Acciajuoli  e  Niccolò  Mo- 
relli, H  sopratutto  a  Alamanno,  in  modo  che  i  tre  quarti  di  quella  gloria  furono  sua  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCOJfDoJ  ARTIFICIOSA  IRONIA  DEL  MACHIAVELLI.  309 

e  irritabile,  aveva  tenuto  più   ragione  di  chi  lo   blandiva  che 
di  chi  gli  giovava,  preponendo  la  cortesia  sottile  di  Pier  So- 
derini  alla  magnanimità  irrequieta  d*Alamanno  Salviati.  Questi 
del  resto,  questi  era  V  uomo  che  il  Machiavelli  aveva  vagheggiato 
al  timone  della  repubblica;  e  questi  forse  fu  anche  V  uomo  «  di 
buona  vita   e   discretione  »  che,  secondo  il  Parenti  ^  visitò  e 
ammoni  Pier  Sederini,  quando  parve  che  già  cominciasse  a  de- 
ludere le  speranze  di  chi  l'aveva  alzato  al  supremo  seggio  dello 
stato.   Ora   chi  considera  non  solo  l'importanza   di  fatto   che 
a  la  dedica  al  Salviati  del  primo  lavoro  letterario  pubblicato 
da  Niccolò;  ma   anche  il  modo  ambiguo  e  poco  men  che  epi- 
grammatico con  cui  questi  fa  allusione  alla  persona  del  Gonfa- 
loniere perpetuo,  porterà  più  adequato  giudizio  del  modo  di  rela- 
zione che  già  a  questo  tempo  s'era  determinato  fra  il   Segre- 
tario e  il  Sederini.  Poi  che  Niccolò,  ogni  volta  che  gli  occorre 
parlare  di  chi  non  merita  l'ammirazione  universale,  di  chi  non 
vince  con  grandezza  certa  l'adulazione  e  l' invidia  partigianesca; 
in  una  parola,  degl'idoli  di  una  fazione;  ricorre  a  certe  scappa- 
toie rettoriche,  a  certi  equivoci  artificiosi  dietro  a  cui  a  un  tempo 
stesso  rifugia  il  vero  e  mette  sé  al  coperto,  non  irritando  pas- 
sioni, illudendo  gl'illusi  oprovocando  e  soddisfacendo  l'acume 
del  giudizio  ne' men  confidenti  e  negli  scettici.  Ei  si  comporta 
in  questa  guisa  col  Savonarola;  in  questa  guisa  con  Pier  Capponi 
«  più  animoso  ed  eloquente  che  savio,  assai  più  stimato  per  le 
virtù  dell'avolo  e  del  bisavolo,  che  per  quelle  del  padre  o  per  le 
sue  »,  per  cui  nel  consiglio  innanzi  re  Carlo  ottavo  non  era  stato 
che  «  un  cappon  fra  cento  galli  ».^  E  in  questa  guisa  stessa  adopera 
anche  con  Pier  Sederini,  architettando  giochi  d'immagini  e  di 
parole  sulle  corna  dello  stemma  di  lui,  sul  suo  nome  e  cognome; 
sanando  e  velando  poi  la  mordacità  della  intenzione  con  un 
altro  giuoco  di  parole,  fortunatissimo  già  da  gran  tempo  e  san- 
tificato. La  pace  di  Firenze,  scrive,  erasi  edificata  sopra  messer 
Pietro,  super  Peiram,  come  la  chiesa  sul  primo  apostolo.  Que- 
st'allusione gradevole  bastava  a  togliere  ogni  sospetto  che  Nic- 
colò non  credesse  alla  stabilità  di  quell'edifizio,  all'acconcezza 
di  quella  pietra;  e  così  lasciava  correre  il  resto.  Ora,  chi  fu 
capace  allora  di  questo  epigramma  sottilissimo  a  carico  del  Gon- 


»  Park5<ti,  storia  fiorentina,  loc.  cit.  V.  più  sopra,  a  pag.  274. 

•  Machiavelli,  Frammenti  storici.  —  Id.  Decennale  I,  v.  36.  —  B  Vincbmzio  Accia- 
juoLi,  Bilia  Vi'.a  di  Piero  Capponi  (Arch.  stor.,  !■  serie,  t.  iv,  parte  ii,  pag.  38),  encomia 
il  «  b«irequivoco  »  contenuto  nel  verso  citato. 


Digitized  by 


Google 


310  CAPO  TERZO.  [ubro 

faloniere  potente,  non  è  a  maravigliare  che  ne  scrivesse  poi 
un  altro  men  sottile  e  più  pungente,  lui  morto;  e  se  prima  di 
noi  questo  fatto  non  fu  messo  in  rilievo,  si  deve  forse  attri- 
buire solo  alle  gravi  inesattezze  nell'edizioni  dei  Decennali^  ^ 
che  l'impedirono. 

Inoltre  è  ad  osservare  un  altro  segreto  movente,  che  forse 
determinò  il  Machiavelli  a  dedicare  il  suo  libro  ad  Alamanno, 
e  a  studiare  di  propiziarselo.  Recentemente  i  Salviati  e  i  Soderini 
s'eran  presi  di  cozzo  in  più  maniere;  quelli,  guastando  il  paren- 
tado e  stracciando  la  scritta  di  matrimonio  d'una  figliuola  di 
Tommaso  Soderini,  nipote  del  Gonfaloniere,  con  Pierfrancesco 
Medici;  questi,  cassando  dall' uflScio  di  cancelliere  della  merca- 
tanzia  ser  Iacopo  di  Martino,  intrinseco  de'  Salviati  ;  a  ciò  che 
i  Salviati,  per  via  del  cancelliere,  non  avessero  in  mano  la 
moltitudine  interessata  a' commerci.  Or  poi  che  s'era  inco- 
minciato a  impegnar  lotta,  gli  uni  gettando  all'aria  quel  che 
pareva  strumento  degli  altri  (e  i  Soderini  avean  dato  lo  scan- 
dalo), Niccolò  desiderava  per  qualche  modo  ovviare  al  peri- 
colo che  a  lui,  come  a  fidato  del  Gonfaloniere,  non  si  prepa- 

>  Tutte  le  modorne  edizioni,  e  ci  maraviglia  che  fra  queste  anche  quella  del  Polidorì 
diligentissimo,  danno  una  lezione  tale  delle  seguenti  terzine,  che  se  per  ragione  di  sintassi 
ò  erronea,  per  rispetto  alla  storia  sarebbe  a  dirittura  inspiegabile.  Eccola: 
«  Venuto,  adunque,  il  giorno  si  tranquillo 
Nel  qual  il  popol  vostro,  fatto  audace 
n  portator  creò  del  suo  vessillo: 
Né  fur  d*an  cerchio  due  coma  capace 
Acciocché  sopra  la  lor  soda  pietra 
Potesse  edificar  la  vostra  pace  ». 

Noi,  seguendo  i  manoscritti  (magliabecchiano  ci.  xxv,  n.  604  e  laurensiano  plut.  xliv,  cod.  41) 
potemmo  raccapezzare  il  bandolo  in  mezzo  a  tanto  arrufTamento. 
Ms.  L.  : 

«  Venuto  dunque  ^  el  giorno  si  tranquillo  ■ 
Nel  qual  el  popol  vostro  facto  *  audace  ^ 
El  portator  creò  dèi  suo  vexillo  * 
Ne  fur  *  d'un  cerbio  duo  coma  capace 
Acciò  che  sopra  la  lor  Soda  Petra 
Potessi  edificar  ^  la  vostra  pace  •  ». 
Ms.  M.  :  *  Adunque  —  *  tranquilo  —  »  tanto  —  *  aldace  —  *  vesilo  —  •  fuor  —  "*  edifi- 
char  —  •  nostra. 

La  lezione  cerbio  é  la  vera  e  s*  incontra  in  alcune  antiche  edizioni  ;  e  con  questa  s*  in- 
tende Tallusione  del  Machiavelli  all'arme  de' Soderini,  che  recava  tre  teste  di  cervo  eoa 
le  coma  e  l'impresa  della  chiesa  in  campo  rosso.  Dal  Priorista  di  Giovanni  dkl  Nebo 
(Bibl.  Vat.,  Cod.  ottob.  3005,  pag.  535)  togliamo  una  notizia  che  giova  a  spiegarci  come 
V  ironia  del  Machiavelli  potesse  esercitarsi  sullo  stemma  dei  Soderini  senza  parer  di  man- 
care di  riverenza  a  questi  :  «  Furono  in  sulla  sala  grande  cittadini  2000  del  Consiglio  ge- 
nerale a  fare  questo  primo  gonfaloniere  di  giustizia  a  vita,  e  per  ordinario  toccaua  questo 
anno  e  mese  al  quartiere  di  S.  Maria  Novella  e  fu  fatto  gonfaloniere  nel  quartiere  di  S.  Spi- 
rito Pietro  Soderini,  e  dove  l'arme  loro  erano  tre  corna  di  cervio  bianche  nel  campo  rosso, 
si  feciono  poi  d'oro  ».  Sull'arme  loro  era  quindi  naturalissimo  che  si  fermasse  l'attenzione 
del  popolo. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  motivi  della  DEDICA  AD  ALAMANNO  SALVIATL  311 

rasse  sorte  eguale  a  quella  di  ser  Iacopo,  e  non  lo  si  sbalzasse 
dal  posto.  ^ 

Ma  un  motivo  ben  più  alto  e  più  importante  di  tutti  in- 
duce Niccolò  a  voltarsi  a*  cittadini,  per  esortarli  non  tanto  a 
riguardar  lo  spazio  percorso,  i  mali  durati  in  dieci  anni,  gli 
avvilimenti  sopportati,  le  vergogne  piovute  addosso  come  falde 
di  fiamme;  quanto  per  spingerli  a  gittar  gli  occhi  innanzi,  a 
far  ripari  pronti,  rimedi  forti,  provvisioni  efficaci  e  nuove 
contro  l'oppressione  e  gli  obbrobri  che  stanno  per  venire.  «  Il 
sole,  dic'egli,  sopra  questi  accidenti  crudi  e  feri  à  volto  già 
due  lustri,  ed  ora  accavalli  suoi  raddoppia  l'orzo,  a  ciò  che 
presto  si  risenta  cosa,  che  queste  vi  paian  leggiere;  non  è  an- 
cor contenta  la  fortuna,  non  ha  posto  fine  alla  lite  italica, 
non  è  spenta  la  cagione  di  tanti  mali;  non  c'è  unione  de' 
potenti,  né  ci  può  essiiro,  però  che  il  papa,  che  vuol 'guarir 
la  chiesa   delle   sue  infermità,   non    può  starsi;   l'imperatore 

>  Una  lettera  di  Biagio  Bonaccorsi  ^Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  84,  pubblicata 
dal  ViLLABi,  op.  cit.,  pag.  631  e  seg.),  in  data  dei  di  6  d'ottobre  1506,  ci  mostra  come  Ala- 
manno Salviati  non  fosse  a  Niccolò  Machiavelli  punto  favorevole:  «  Io  non  voglio  man- 
care di  dirvi,  benché  lo  potessi  differire  alla  tornata,  che,  per  chi  vi  fu  presente  et  più  d'uno, 
che:  (in  cifra)  Alafnanno  tendo  a  Bibona  ad  tavola  con  Ridolfo,  dove  erano  anchora 
moUi  giovani  parlando  di  voi,  dixe:  io  non  commissi  mai  nulla  a  cotesto  ribaldo  poi  io 
sono  de  Dieci,  seguitando  el  parlare  in  quesu  sententia  o  meglio.  Notate  bene  questo  se 
voi  non  fussi  bene  chiaro  de  lo  animo  sìm  ad  facto  et  ingegnatevi  esserci  avanti  le  ra- 
ferme.  Potrévi  scrivere  molte  altre  cose,  sed  coram  copiosius  ».  In  fine  alla  lettera  è  un 
poscritto,  omesso  nell'edizione:  «  Non  rispondete  dello  adviso  di  quello  ragionamento  ». 
Ora,  la  prima  stampa  del  Decennale  sotto  titolo  latino  è  a  credere  non  fosse  fatta  prima 
del  febbraio  1506  (Cf.  Lettera  d'Agostino  Vespucci  a  N.  M.,  nella  Bibl.  Nas.,  doc.  M., 
busta  IV,  n.  119,  pubblicata  dal  Passerini,  op.  cit.,  pag.  lxiii  e  seg.)  Dappoiché  addi  «  xiii 
martii  1505-6  »  il  Vespucci  scrìveva  d'aver  tratto  innanzi  agli  Otto  un  Andrea  da  Pistoia 
facendo  «  querela  grande  et  meo  et  tuo  nomine  (del  Machiavelli)  diversis  de  causis;  di 
me,  del  danno  a  ristamparmeli  addosso  dentro  venti  giorni,  ma  questo  non  stimavo  molto 
per  non  essere  suto  el  primo  mio  obietto  di  guadagnare  ».  —  In  essa  lettera  il  Vespucci 
chiama  il  decennale:  «  el  vostro  compendio  »,  poiché  il  titolo  latino  nella  prima  edizione 
era  :  Nicolai  Malclavelli  fiorentini  compendium  rerum  decennU  in  ItaUam  gestarumy  ad 
viros  florentinos,  incipit  feliciter  (Cf.  Nitti,  op.  cit.,  pag.  297  e  seg.,  in  nota,  circa  le  prime 
edizioni  dei  Decennali).  Del  resto,  quantunque  il  Grabsisb  ed  il  Brunbt  diano  a  questo  modo 
il  titolo  e  la  dedica  dell'edizione  del  Decennale ^  il  manoscritto  autografo  d' Agostino  Vb- 
8P0CCI  (Bibl.  Naz.  ci.  xzv,  n.  60i,  ms.  strozziano  1322-1-0)  reca  innanzi  una  dedicatoria 
del  medesimo  non  vìris  florentinis,  ma  V  viris  fiorentinis,  cioè  ai  cinque  conservatori  del 
Contado  e  dominio  fiorentino,  magistrato  dei  più  autorevoli  della  repubblica.  Questi  con- 
servatori furono  eletti  primieramente  nel  141S,  ed  era  loro  ufficio  ricercare  ed  esaminare  tutte 
le  spese  ordinarie  e  straordinarie,  e  tanto  le  utili  quanto  le  inutili  o  superflue  che  si  face> 
vano  e  sopportavano  dai  comuni,  popoli,  ville  del  contado  e  distretto  ;  e  le  inutili  e  super- 
flue resecare,  ecc.  Nel  1420  riunirono  anche  per  un  certo  tempo  le  attribuzioni  e  l'autorità 
degli  Ui&ziali  della  diminuzione  dei  crediti  de'  monti.  Dovevano  essere  quattro  per  le  mag- 
giori arti  o  scioperati,  uno  per  ciascun  quartiere;  ed  uno  per  l'arti  minori,  e  mutavano  di 
sei  in  sei  mesi.  Era  naturale,  per  l'importanza  loro,  che  gli  officiali  della  seconda  cancel- 
leria cercassero  propiziarseli;  però  il  Vespucci  indirizzò  loro  la  stampa  del  poemetto  del 
Machiavelli,  che,  a  quanto  apparisce  dalla  lettera  dedicatoria,  ser  Agostino  fece  imprimere 
a  sue  spese,  per  fare  il  dono  di  Niccolò  «  più  liberale  »  —  V.  Appendice,  n.  5.  Mi  è  cara 
render  grazie  alla  cortese  dottrina  dell'amico  sig.  A.  Ohbbardi,  da  cui  riconosco  le  notizie 
sovrindicate  circa  al  magistrato  dei  Cinque  Conservatori  del  contado  e  dominio. 


Digitized  by 


Google 


3IS  CAPO  TERZO.  [lxbbo 

vuol  fare  il  passaggio  e  incoronarsi  a  Roma;  Francia  è  mal- 
contenta delle  busse  che  à  toccate  da  Spagna;  questa  tende 
reti  e  lacciuoli  a'vicini  suoi,  p?r  non  tornare  addietro  delle  sue 
conquiste;  Venezia  è 'piena  di  cupidigie  e  di  paure;... 

Fra  la  pace  e  la  guerra  tutto  pende 

E  voi  di  Pisa  giusta  voglia  avete. 
Pertanto  facilmente  si  comprende 

Che  fino  al  cielo  aggiungerà  la  fiamma. 

Se  nuovo  foco  fra  costor  s'accende 
Onde  Tanimo  mio  tutto  s'intiamma, 

Or  di  speranza  or  di  timor  si  carca 

Tanto,  che  si  consuma  a  dramma  a  dramma. 
Perchè  saper  vorrebbe  dove  carca 

Di  tanti  incarchi  debba,  od  in  qual  porto 

Con  questi  venti  andar  la  vostra  barca. 
Pur  si  confida  nel  nocchiero  accorto 

Ne*  remi,  nelle  véltt  e  nelle  tarie 

Ma  sarebbe  il  cammin  facile  e  corto 
Se  voi  il  tempio  riapriste  a  Marte  ». 

Riaprire  il  tempio  a  Marte,  riordinare  civilmente  la  guerra 
còlle  patrie  milizie,  sottrarre  le  sorti  di  Firenze  airarbitrio 
vile  de' mercenari,  de* condottieri  cospiratori,  pieni  l'animo  di 
duplicità  e  d'avarizia,  ecco  la  mira  che  il  segretario  della  re- 
pubblica insegna  al  popolo;  ecco  l'idea  che  semina  in  mezz> 
alla  moltitudine,  sperando  che  maturi  e  fruttifichi. 

Non  è  a  questo  luogo  che  ci  proponiamo  riguardare  sotto 
l'aspetto  letterario  questa  piccola  produzione  dell'ingegno  del 
Machiavelli;  bensì  vogliamo  rilevarne  ora  l'importanza  sto- 
rica, sia  rispetto  alla  vita  del  segretario,  che  alle  condizioni 
di  Firenze  in  particolare.  Il  popolo  fece  festa  ai  motti,  alle 
ironie,  alle  intenzioni  di  queste  rime,  nelle  quali  si  mantenne 
viva  la  ricordanza,  unanime  il  sentimento  de' patri  dolori; 
tanto  che  il  Nerli,  ne'  Commentari  suoi  le  citò  poi  a  più  ri- 
prese come  fonte  popolarissimo  di  storia  certa,  la  cui  popola- 
rità era  tanta  che  nel  citarle  non  era  neppur  necessario  ag- 
giungere il  nome  del  Machiavelli:  bastava  dire  il  Decennale, 
e  tutti  ne  sapevano  l'autore.  ^  La  prima  edizione  di  questo  li- 
bretto ebbe  ad  esser  presto  esaurita,  si  che  tentossene,  complice 
la  giunteria  di  tal  prete,  una  contraffazione.  * 

^  Cf.  Pitti,  Vita  d'Antonio  Giacomini,  pag.  222,  e  il  Monzani  neiravvertenxa  della 
nota,  citando  il  Decennale  del  M.,  aggiunge:  «  il  che  il  Pitti  o  dimenticò  d'indicare,  o  noi 
credè  necessario,  forse  perchè  quel  poema  isterico  era  in  quei  giorni,  o  tra  gli  studiosi  di 
<iuel  tempo,  più  famoso  di  quello  chb  oggi  non  sia  ». 

*  Bibl.  Nas.,  Doc.  M,  bnsU  iv,  n.  110.  Lettera  d' Agostino  Vespucci  al  M.  In  quesu 
lettera,  pubblicata  dal  Passbbiki  (1.  e,  pag.  lxiii  e  seg.),  è  detto  della  contraffaiione  : 
«  non  ui  starò  a  dire  la  ribalda  cosa  che  le  sono,  al  tutto  alla  gxuntesca^  sanxa  spatio  : 
/•'quintt'int  piccini  piccini,  sansa  bianco  dinanzi  o  drieto,  lettera  caduca,  scorrecta  ».  Il  Pas- 


Digitized  by 


Google 


secondo]  importanza  POLITICA  DEL  «  DECENNALE  ».  313 

A  questo  suo  scritterello  Niccolò  non  dava  peso  :  lo  chia- 
mava una  cantafavola;  ma  in  quella  cantafavola  avea  riposto 
i  semi'  della  sua  idea  prediletta;  il  ripristinamento  dell'antico 
esercito  comunale.  Se  questa  idea  si  fosse  stesa  fra  la  mol- 
titudine del  popolo,  nel  Consiglio  grande  difficilmente  avrebbe 
incontrato  tale  opposizione  da  non  portarne  vittoria.  Co'  Signori 
poi  il  Machiavelli  credeva  aver  migliori  argomenti  che  di  can- 
tafavole poiché  i  fatti  lo  servivano  opportunatamente,  cospi- 
i^ando  le  giornaliere  occorrenze  a  dimostrare  quanto  gran 
danno  e  pericolo  sovrastasse  allo  stato,  tanto  a  cagion  dei 
capi  che  dei  gregari  di  quelle  soldataglie.  Da  poi  che,  neces- 
sitando soldar  buone  condotte,  per  provar  di  stringere  sempre 
più  l'assedio  di  Pisa,  e  ricercando  essi' da' loro  condottieri  la 
riconferma  e  l'anno  del  beneplacito,  questi  si  traevano  ad- 
dietro e  con  artifici  e  con  indugi  tentavano  lasciare  la  città 
scoperta  d'armi. 

Cosi  faceva  Giampaolo  Baglioni,  la  cui  condotta,  insieme 
a  quella  del  flgliuol  di  lui,  ^  costituiva  la  maggior  forza  delle 
genti  d'arme  de' Fiorentini.  Ora  essendo  egli  legato  per  segreti 
accordi  colla  casa  Orsini,  con  Pandolfo  Petrucci,  con 'Barto- 
lomeo de'  Liviani,  detto  l'Alviano,  ^  che,  reputatissimo  condot- 
tiero de' Veneziani,  si  trovava  in  quel  di  Roma  disposto  a  mi- 
litar per  Consalvo  e  pe' Medici;  si  dubitava  che  non  intendesse 
destreggiarsi  in  maniera,  da  tener  Firenze  addormentata  e 
sprovvista  nell'ora  d'un   subito  assalto.  Poi   che,  domandato 

SBRnci  opinò  che  alla  giuntssèa  volesse  dire  con  perfetta  imitaxione  deiredizione  fatta  dal 
Oiunti.  Ma  le  parole  che  seguitano  sembrerebbero  escludere  cosiffatta  interpretazione  o 
lasciare  ad  arte  possibilità  d'equivoco.  —  Un'altra  lettera  relativa  al  Decennale  trovasi 
neUa  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  99.  È  di  messer  Ercole  Bentivoglio,  a  cui  il  M.  avea 
mandato  il  suo  libro  chiedendogliene  il  giudizro.  «  Cascinae  die  xxv  februarìi  1506.  Hercules 
Benlivoglio  reipubblicae  flùrent.  florenlinomm  armorum  generalis.  a  tergo:  spectabili 
viro  amicho  et  tanquam  fralri  carissimo  Nicholò  de  Machiavellis  reip.  Florent.  secretorio  ». 
Fu  pubblicata  dal  Nitti,  pag.  301,  op.  cit. 

>  Malatesta,  condotto  per  compiacenza  con  quindici  uomini  d'arme.  Giampaolo  propo- 
neva ai  Fiorentini  di  riceverlo  a  ostaggio  della  propria  fede;  e  della  condotta  di  lui  i  Fio- 
rentini aveano  già  trattato  altra  volta,  quand'era  in  età  di  circa  nove  anni,  «  gintile  mam- 
moletto  »,  siccome  scrive  il  Materazzo  nella  sua  Cronaca  di  Perugia  (Arch.  stor.,  1^  serie, 
voi.  XVI,  parte  ii,  pag.  151).  Il  medesimo  cronista  reca  (pag.  139)  :  «  Vera  cosa  è  commo 
io  ve  disse  de  sopra,  che  benché  la  città  sentisse  per  questi  gintilomine  grandissimo  pene, 
e  affanno  inusitate  e  nove,  pure  per  la  roagni/ìca  casa  Bagliona  era  onorata  per  tutta  Italia, 
attenta  loro  grande  degnitade  e  magniflcenzia  della  detta  casa,  e  loro  gran  pompa  e  nome  ; 
onde  per  la  decta  casa  più  volte  fu  existimata  la  nostra  città  da  quelli  maggiore  de  sé,  e 
maxime  da  la  comunità  de  Fiorenza  e  de  Siena  ».  —  E  più  oltre  ne  dà  contezza  come 
l'arme  de*  Perugini  fossero  a  buon  diritto  riguardate  formidabile  e  desiderata  difesa,  per 
essere  la  loro  artiglierìa  «  tutta  de  uno  pezzo  e  fatta  alla  foggia  franciosa  »  (ibid.  pag.  147). 

*  I  Liviani  erano  signori  di  Casigliano,  de' più  potenti  che  fossero  in  Todi.  Bartolomeo 
era  nato  nel  14i5  di  Francesco  d'Ugolino  Liviani  e  d'Isabella  degli  Atti.  —  V.  Lorenzo 
Lroxj,  Vita  di  Bartolomeo  d'Alviano,  Todi,  1853. 


Digitized  by 


Google 


314  CAPO  TERZO.  [libro 

della  conferma  del  beneplacito,  mentre  pareva  di  leggieri  ac- 
cordarlo, mandategli  le  anticipazioni,  o,  come  allora  dicevasi, 
le  prestanze,  che  eran  segno  del  vincolo  contratto,  si  schermiva 
dal  venire  a  conclusione.  E  ciò  recava  grave  imbarazzo  a*  Fio- 
rentini; da  poi  che,  sottraendosi  loro  il  Baglioni,  non  restava 
altri  da  poter  snidare,  se  non  o  il  marchese  di  Mantova,  e 
sarebbe  stata  troppa  grave  spesa;  o  Fabbrizio  Colonna,  e  i  Co- 
lonna non  eran  troppo  bene  accetti  alla  città;  primieramente, 
perchè  la  parte  guelfa,  che  ancora  conservava  il  nome  e  la 
voce,  *  aveva  avvezzato  i  cittadini  a  riguardare  come  ghibel- 
lina, e  però  come  nemica,  la  casata  de'Colonnesi;  in  secondo 
luogo,, perchè  pareva  che  questa  condotta  fosse  tutto  artificio 
del  cardinal  di  Volterra,  il  quale  si  voleva  in  Roma  puntellar 
de'  Colonna,  per  tener  fronte  ai  Medici,  spalleggiati  dagli  Orsini. 

In  questo  frangente  si  giudicò  che  costringere  il  Baglione 
a  dichiarar  nettamente  l'intenzione  sua  fosse  il  miglior  con- 
siglio ;  e  gli  si  mandò  il  Machiavelli  *  con  questo  preciso  in- 
carico. 

Niccolò  lo  trova  a  Castiglion  del  Lago  ove  era  solito  di- 
morare; 3  e  quando  questi  si  prova  a  sgattaiolare,  accampando, 
come  è  costume  di  chi  tratta  in  mala  fede,  che  ei  ci  aveva 
interpellato  avvocati,  che  aveva  mostrato  i  capitoli  a  molti 
dottori  perugini,  che  questi  gli  avevan  detto  non  esser  tenuto 
a  fermar  la  condotta;  Niccolò  gli  sbatte  sul  viso  che  «  queste 
cose  non  anno  ad  essere  giudicate  da'  dottori,  ma  da'  Signori  ; 
e  che  chi  fa  conto  della  corazza,  e  vuolvisi  onorare  dentro, 
non  fa  perdita  veruna  che  gli  stimi  tanto,  quanto  quella  della 
fede;  e  che  gli  pareva  che  a  questa  volta  e' se  la  giucassi  ».^ 
—  Niccolò,  dal  conversare  con  Giampaolo  e  dalle  informazioni 
altrui,  s'accorge  che  il  gingillare  che  quegli  fa,  è  frutto  d'ac- 

1  Cf.  Machiavelli,  C7ommtuton«  a  Oioia.  Paolo  Baglioni,  lettera  addi  11  aprile  1505: 
«  e  qui  si  distese  assai,  detestando  queste  vostre  condotte  savelle  e  colonnesi,  e  biasiman- 
dovi che  voi  lasciavi  i  QuelA,  e  che  quando  voi  vi  fussi  attenuto  a  loro  e  fatto  un  corpo 
di  lui,  Bartolomeo  e  Vitelli,  ci  andava  la  cosa  bene  per  loro  e  per  voi,  ecc.  » 

>  Arch.  Aor.  (classe  xiii,  dest.  fP,  n.  67  a  e.  29):  «  1505,  16  maggio.  A  Niccolò  di  M. 
Bernardo  Machiavelli,  cancelliere  della  1^  Cancelleria,  fiorini  trenta  larghi  in  oro,  cioè  x 
per  essere  andato  a  Castiglion  del  Lago  a  Gio.  Paolo  Baglioni  et  xx  per  essere  andato  in 
poste  a  Mantova  a  quello  Sre  et  questo  in  ogni  miglior  modo,  etc.  »  —  E  più  oltre  (a 
e.  120):  «  A  dì  17  di  giugno.  Item  a  conto  di  spie  et  per  loro  allo  egregio  Niccolò  di  M. 
Bernardo  Machiavelli  fiorini  quaranta  larghi  in  oro  per  darli  et  pagarli  ad  amici  che  hanno 
servito  ad  comodo  della  loro  repubblica,  secondo  dal  magnifico  officio  de'Xci  passato  li 
fu  imposto  ». 

»  Cf.  Taddeo  Alpani,  Memorie  perugine j  pag.  271,  néìVArch.  stor.,  serie  !•,  t.  xvi, 
parte  ii. 

*  Machiavklli.  loc.  cit. 


Digitized  by 


Google 


BECOKDo]  COMMISSIONE  AL  MARCHESE  DI  MANTOVA.  315 

cordo  col  Petrucci,  cogli  Orsini;  co' Lucchesi;  s'accorge  che 
della  mala  fede  sua  gli  escono  più  accenni  che  non  vorrebbe, 
e  conclude  con  dirgli:  <  pensasse  bene  al  partito  che  pigliava, 
che  pesava  più  che  non  pesava  Perugia  ».  E  quell'ipocrita: 
«  credimi,  rispondeva,  che  io  ci  ò  pensato,  e  che  io  mi  sono 
segnato  più  di  sei  volte,  e  pregato  Iddio  che  me  la  mandi 
buona  ».  ^  Dall'Orsaia,  nel  contado  di  Cortona,  il  Machiavelli 
ne  informa  i  Dieci  e  torna  sollecitamente  a  Firenze.  Conve- 
niva che  la  città  pensasse  a  provvedere  alla  propria  difesa: 
affidarla  all'Alviano  stesso,  di  cui  vivevasi  in  sospetto  e  timore, 
parve  per  un  istante  furberia,  e  si  pensò  condurlo  ;  ma  mutati 
i  Dieci,  ben  si  riconobbe  in  ciò  pretensiosa  vanità  di  consiglio 
e  pericolo,  e  si  determinò  invece  stringere  la  condotta  del  mar- 
chese di  Mantova,,  che  lo  stesso  re  di  Francia  aveva  imparata 
a  pregiare,  e  a  consigliare  come  egregio  soldato  ai  Fiorentini.  * 
Ben  è  vero  che  altra  volta  i  Veneziani  avevano  sospettato  della 
fede  di  lui  e  che  a  lui  non  era  riuscito  d'indurii  a  chiarire 
il  sospetto;  ma  tale  era  la  condizione  della  milizia  d'allora, 
che  gli  stati  dovevano  considerar  come  cautela  indispensabile 
il  diffidare  dell'armi  di  cui  si  vestivano  e  che  avevano  a  pa- 
rere la  forza  loro. 

Il  Machiavelli,  a' di  quattro  di  maggio,  à  commissione  di 
recarsi  presso  di  lui  e  concluder  la  condotta,  se  quegli  vuol 
subito;  altrimenti  à  ordine  immediato  di  ritornare.  La  cosa  si 
era  già  strascinata  con  troppi  indugi;  né  riuscì  a  Niccolò  to- 
glierli di  mezzo,  o  intendere  la  cagione  segreta  che  sempre  ne 
determinava  di  nuovi.  Prima  si  faceva  questione  del  numero 
de' fanti  o  di  quello  degli  uomini  d'arme;  poi  circa  la  clausola  di 
non  aver  mai  a  servire  contro  il  re  di  Francia;  quindi  si  vo- 
leva l'espressa  ratificazione  di  qu?sto,  che  non  veniva  mai.  ^ 
Pareva  un'intesa  comune  de* condottieri,  accordati  col  gran 
Capitano,  contro  Firenze,  per  riuscire  a  tre  cose:  tener  la  città 
sprovvista  d'armi;  legarle  le  mani  a  ciò  non  toccasse  Pisa; 
sguinzagliarle  sopra  l'Alviano,  che  avendo  seco  trecento  uo- 
mini d'arme  nella  campagna  di  Roma,  minacciava  piombarle 
addosso  con  quelli  e  co' fuorusciti.  Genova,  Lucca  e  Siena  pre- 
stavano  intanto   a' Pisani  quanto  più  potevano  soccorso;  nel 

1  Machiavelli,  loc.  cit. 

*  Desjardims,  1.  e,  t.  II,  pag.  SI. 

*  Machia  VELLI.  CommiasUme  a  Mantowi,  —  V.  oltre  la  Commi»ione  a  stampa  Arch. 
fior,  classe  x,  dist.  3",  n.  115  a  car.  61  e  la  Lellera  a  Niccolò  Valori  in  Francia.  V.  anche 
BoNACCORsi,  Diario,  pag.  103. 


Digitized  by 


Google 


310  CAPO  TERZO.  L^ibbo 

tempo  che  questi  si  glttavano  in  seno  a  Consalvo  e  alla  Spagna, 
con  quella  disperazione  stessa  e,  a  un  di  presso,  a  quelli  stessi 
patti,  p^r  cui  s'erano  già  oflFerti  a  Cesare  Borgia  ;  ^  e  Consalvo 
frattanto  imbarcava  centocinquanta  fanti  spagnuoli  per  man- 
darli in  Pisa  e  mille  ne  mandava  contemporaneamente  a  Piom- 
bino coirarmata. 

Di  che  i  Fiorentini  si  spaventarono  oltre  ogni  dire  e  man- 
darono Donato  Acciainoli  ambasciatore  al  gran  Capitano,  a  di- 
spetto del  Gonfaloniere,  che  avrebbe  voluto  per  tutti  i  versi  spac- 
ciare il  Machiavelli;  tanto  che  se  non  gli  riuscì,  fu  per  Top- 
posizione  che  ne'  Dieci  gli  fecero  specialmente  Alamanno  Sal- 
viati  e  il  Lanfredini.  ^  Cominciava  cosi  il  segretario  ad  apparire 
in  men  buona  vista,  come  l'uomo  che  il  Sederini  metteva 
troppo  innanzi,  quasi  pretendesse  colla  capacità  di  lui  far  con- 
trappeso alla  reputazione  degli  altri,  o  intendesse  col  mandare 
in  volta  un  officiale  fidato  dilla  cancelleria  far  in  modo  di 
tórre  i  cittadini  ai  più  fiduciosi  e  gelosi  maneggi. 

Niccolò  inveca  ebbe  ad  essere  inviato  a  Siena  al  Petrucci, 
il  quale,  dopo  aver  aggrovigliato  con  perfidia  più  che  sforzesca 
tante  difficoltà  contro  ai  Fiorentini,  determinatosi  a  coglier  van- 
taggio dill'ora  angustiosa  che  per  questi  correva,  offri  di  far 
lega  con  essi,  a  patto  di  mandar  loro  per  quell'anno  cento  uomini 
d'arme  per  l'impresa  di  Pisa,  e  cinquanta  per  l'anno  appresso 
e  par  cinque  anni  consecutivi;  purché,  avuta  Pisa  entro  questo 
periodo  di  tempo,  i  Fiorentini  cedessero  senza  più  contestazioni 
le  ragioni  loro  su  Montepulciano;  la  qual  terra .i  senesi  ave- 
vano carissima,  perchè  era  stata  sempre  per  loro  la  pietra 
dello  scandalo  nel  passato,  ed  ogni  volta  che  era  venuta   in 

^  Dksjardins.  loc.  cit.,  pag.  8. 

*  Così  il  GuicciABOiM,  Storia  fiorentina,  cap.  38,  pag.  31S:  «  il  Gonfaloniere...  per  aaerci 
uno  uomo  suo  intrinseco,  vi  voleva  mandare  Niccolò  Machiavelli,  cancelliere  de* Dieci,  in 
chi  si  confidava  assai  ».  —  NelPArch.  fior,  fra  le  Consulte  e  prcUiche  (505-1512)^  pag.  176 
«  die  xxiij  roaij  »  la  proposta  di  spacciare  a  Conaalvo  il  Machiavelli  si  legge  quanto  segue: 

•  Antonio  de  Saxo,  proposto  de' S.ri  Dieci^  parlò  a' nuovi  Dieci  et  a  più  citudini 
raunati  in  la  loro  audientia  et  fece  loro  intendere  che  uoleuano  essere  consigliati,  prima 
quale  huomo  fusai  da  mandare  ad  Consalvo,  come  fu  ultimamente  consigliato,  dipoi  che 
commissione  fussi  da  darli,  et  di  più  lette  le  Ire  di  Francia  de*  14  per  le  quali  il  marchese 
<di  Mantova)  haueua  fatto  intendere  restare  da  noi  il  fare  la  condotta  per  conto  de*  dua 
capitoli  ecc.  che  fussi  da  fare  in  questo  caso. 


«  Piero  del  Nero,  circa  lo  horatore  ecc.  :  che  credeua  fussi  bene  mandarlo  presto,  et 
circa  lo  huomo  che  Nicolò  Machiavellj  sarebbe  ad  proposito.  Circa  al  Marchese,  che  quando 
li  pericoli  cessassino,  che  credeua  fussino  fondati  in  sul  presupposto  della  morte  del  re  da 
questi  vicini  et  altri,  che  la  differirebbe. 

«  Francesco  d'Anton  di  Taddeo:  che  manderebbe  Niccolò  Machiavelli  ad  Napoli;  dal 
resto  come  mess.  Frane."  ».  — 


Digitized  by 


Google 


secondo]  NICCOLO'  MACHIAVELLI  E  PANDOLFO  PETRUCCI.  317 

mano  d'altri,  n'avevano  sentito  lo  stato  loro  ferito  nel  cuore. 
A  mettere  innanzi  queste  proposte,  egli  spacciò  un  uomo 
alla  Signoria,  cercando  in  pari  tempo  di  gratificarsela  coll'av- 
viso  che  TAlviano  era  per  recarsi  a  Piombino,  dove  trove- 
rebbe galee,  brigantini,  fuste  di  Consalvo;  dove,  accozzandosi 
coi  fanti  spagnuoli,  chi  sa  che  non  avrebbe  fatto  di  male  ai 
Fiorentini.  I  Dieci  pertanto  risolsero  mandare  a  Pandolfo  il 
segretario  Machiavelli,  confidandosi  che  in  tanto  rimescolamento, 
vero  o  decantato  che  fosse,  egli  avrebbe  saputo  ben  discernere 
la  qualità  della  faccenda  e  orientarsi  per  sé  medesimo  secondo 
il  fatto.  Cosi,  gì 'ingiungevano:  «  la  governerai  prudentemente, 
come  sei  sempre  consueto  fare  >.  ^ 

E  questa  volta  infatti  gli  toccava  trovarsi  a  fronte  non 
pur  del  più  furbo  tra'  piccoli  signori  d' Italia,  ma  d'Anton  da 
Venafro,  degno  segretario  di  lui,  «  e  il  cuore  suo,  e  il  caflfo 
degli  uomini  ».  *  Ora,  chi  figurasse  questi  tre  principi  della  de- 
bole astuzia  umana,  stretti  a  colloquio  fra  le  gotiche  navate 
della  cattedrale  di  Siena,  ^  intesi  ad  uccellare  l' un  l'altro,  più 
sibillini  delle  sibille  che,  spianate  in  marmo  sul  pavimento, 
davan  loro  negli  occhi  e  nelle  calcagna,  rappresenterebbe  una 
scena  fra  le  più  bizzarre  e  caratteristiche  di  questi  jniseri  tempi. 
Niccolò  s'avvede  presto  che  venire  a  trovare  Pandolfo  non 
faceva  gran  prò;  che  la  fantasia  di  lui  o  la  si  rileva  dalle 
lettere,  o  a  vederlo  in  viso  ci  si  guadagna  o  nulla  o  poco, 
«  sendo  uomo  che  à  i  fini  suoi  ordinati  e  ben  risoluto  di  quello 
che  desidera  condurre  ».  Tuttavia  dovunque  ei  si  caccia,  il 
segretario  l'arriva;  e  acciocché  veda  come  altri  conosce  gli  ag- 
giramenti, «0  naturali  o  accidentali  che  fussino  »,  in  cui  si 
vuole  ravvoltolarlo,  gli  dice  chiaro  che  quelle  maniere  di  pra- 
tiche lo  fanno  confuso,  ch'ei  dubita  di  dar  volta  al  cervello 
prima  che  non  si  torni;  perchè  negli  avvisi  che  il  Petrucci 
dava,  raccomandavasi  sempre  non  parere,  <  non  essere  alle- 
gato »,  ^  e  gli  avvisi  mutavan  colore  ogni  di:  «  e  ora  s'in- 
tende l'Alviano  viene  innanzi  con  fanti  e  danari  di  Spagna; 

ora,  ei  manca  dell'uno  e  dell'altro,  anzi  Consalvo  è  per  ordi- 

• 

1  Nell'Archivio  fiorentino,  fra  le  Comulté  i505-i5iS,  pag.  203  «  die  xvi  Julii  1505, 
a  proposito  delle  mene  e  dei  trattati  del  Petrucci  si  dice  da  PhiUppo  dalV Antella :  che 
Pandolfo  è  uno  baro,  et  che  non  li  credè  mai  et  manco  li  crede  hora;  et  poi  che  non  8*ha 
da  prestarli  fede  tenervi  Niccolò  (Machiavelli).  Crede  non  sia  per  nuocere  teneruelo  et 
conforta  che  ni  stia  qualche  di  ».  — 

•  Machiavelli,  Opp„  Commissione  terza  a  Siena. 
'  M ACHIA VKLLi,  ibid.,  Lett.  5. 

*  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  10. 


Digitized  by 


Google 


31S  CAPO  TERZO.  [librq 

nar  che  si  ferrai;  ora,  quegli  fra  due  o  tre  giorni  vuol  passare 
ed  è  fornito  di  tutto;  ora,  limosina  fanti  dal  Baglioni,  o  il 
papa  fa  fondamento  su  lui  ». 

,  A  queste  osservazioni,  Pandoifo  non  si  turbava:  «  ioHi  dirò 
come  disse  el  re  Federigo  ad  uno  mio  mandato  in  uno  simil 
quesito;  e  questo  fu  che  io  mi  governassi  dì  per  di,  e  giudi- 
cassi le  coso  ora  per  ora,  volendo  meno  errare;  perchè  questi 
tempi  sono  superiori  ad  e'  cervelli  nostri  ».  ^ 

Ed  era  vero.  L'accordo  non  fu  fermato  perchè  Pandoifo, 
che  d*un  lato  voleva  concluderlo  in  fretta  per  istrappar  Mon- 
tepulciano ai  Fiorentini,  dall'altro  non  faceva  nulla  che  stor- 
nasse da  loro  eflfettivamente  le  minacce  dell' Alvìano;  né  riu- 
sciva a  smembrare  l'esercito  di  costui  dell'armi  de'  Vitelli  e 
del  Baglioni  che  l'afforzavano;  e  d'altro  canto  i  Fiorentini  pen- 
savano: «  se  questo  disordine  travaglia  noi,  non  terrà  in  riposo 
altri  ».  ^ 

Cosi  i  tre  furbi  non  riuscirono  ad  altro  che  a  ben  com- 
prendere le  intenzioni  reciproche.  Pandoifo  esagerava  la  pros- 
simità, la  gravezza  del  pericolo  dell' Alviano,  «  fiero  per  na- 
tura, coir  armi  in  mano,  senza  stato,  in  terra  di  ladri  usi  a 
vivere  di  quel  d'altri  ».  E  Niccolò  gli  faceva  capire  che  in 
questi  maneggi  era  proprio  il  Petrucci  che  teneva  «  la  briglia 
e  gli  sproni  »,  3  che  dava  gli  avvisi  del  male,  ma  non  i  rimedi  ; 
e  la  pigliava  per  un  verso  come  si  piglierebbe  quando  dì  gen- 
naio si  ragionasse  d'una  condotta  per  maggio  ».^  E  dopo  questo 
aggiungeva  parole  che  solo  a'  principi  di  quel  secolo  avventu- 
roso e  credulo  della  fatalità  potevan  parer  naturali  e  sopportabili: 
«  io  ò  veduti  molti,  da  poco  tempo  in  qua,  ridere  l'estate  e  pian- 
gere il  verno  ».  —  E  Anton  da  Venafro,  disperando  di  poter  ri- 
durre in  quell'incastro,  ch'esso  chiamava  l'accordo,  il  segretario 
fiorentino:  «  Niccolò,  gli  disse,  credimi  che  chi  lo  biasima,  dice 
molte  cagioni,  ma  non  dice  tutte  quelle  ch'egli  ha  in  seno  ».^ 
I  tre  astuti  si  sspararono  noù  sopraffatti  e  non  soddisfatti;  ma 
a  Niccolò  fremeva  sempre  più  quel  pensiero  dentro  dell'animo 
che,  recato  ad  atto,  avrebbe  sollevato  Firenze  dalla  vile  ne- 
cessità di  dar  corpo  alle  paure,  di  soggiacere  alle  mene  d'una* 
milizia  da  ruba  e  da  fazioni.   Niccolò  nel  contatto  con  quei 

1  Machiavèlli,  Ioc.  cit.,  Lett.  6. 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  1(>3. 

*  Machiavelli,  Ioc.  cit.,  Lett.  8. 

*  Machia vsLLi,  Ioc.  cit.,  Lett.  2. 

*  Machiavelli,  Ioc.  cit.,  Lett.  L\ 


Digitized  by 


Google 


«ECONDo]  L'ALVI  ANO  CONTRO  FIRENZE.  316 

furbi  aveva  sentito  più  che  mai  disdegno  de'  scaltrimenii  mi- 
serabilissimi, cui  faceva  aver  ricorso  la  perversità  e  la  de- 
bolezza insieme,  e  vagheggiando  una  via  d'uscita  dignitosa  e 
nobile  per  la  sua  città  da  quel  turpe  labirinto,  sentiva  con 
gioia  ripetere  dal  popolo  l'ultima  aspirazione  del  Decennale  suo: 

Ma  sarebbe  il   cammin   facile  e   corto 
Se  voi   il  tempio   riapriste  a  Marte. 

E  già  un  fatto  piccolo,  che  non  era  senza  precedenti,  che 
non  era  vistoso,  e  nasceva  lontano  dalla  città,  nsl  contado,  e 
pareva  frutto  della  necessità  solamente,  destinato  a  vivere 
quanto  l'occasione,  s'andava  chetamente  determinando.  Si  leva- 
vano fanti,  si  cappavano,  cioè  si  dava  loro  certa  foggia  di  ve- 
stiario, s'ordinavano  all'armi.  Tutto  questo  era  un  ben  modesto 
principio,  ma  avrebbe  potuto  crescere  grandemente  se  gli  fosse 
lasciato  agio  di  metter  radice,  lungi  dall'  invidia  e  dal  pette- 
golezzo cittadinesco. 

Frattanto  gli  altri  due  furbi  non  avevano  intermesso  l'o- 
pera loro.  Il  Baglioni,  il  Petrucci,  i  Vitelli,  l'Appiano  s'eran 
tutti  accozzati  cogli  Orsini;  e  l'Alviano,  facendo  testa  a  tutti 
costoro,  compariva  presso  Campiglia.  Per  buona  sorte,  gli 
offici  dell'Acciainoli  avevano  conseguito  che  Consalvo  non 
solo  non  partecipasse  alle  mene  degli  spicciolati,  ma  frenasse 
le  mani  loro,  facendo  intendere  e  all'Appiano  e  al  Petrucci  e 
a  Pisa  stessa,  che  contro  a'  Fiorentini  non  si  potevano  ripro- 
mettere gli  aiuti  di  Spagna;  sperando  forse  cosi  indurre  Firenze 
a  non  sentirsi  più  indispensabilmente  congiunta  alla  causa 
francese,  tentandola  anzi  a  disertarla.  A  questo  fine  pareva 
cospirasse  ancora  il  modo  altero  e  inconsiderato  con  cui  lo 
Chaumont,  luogotenente  del  re  a  Milano,  rispondeva  alla  Signoria. 
che  in  tanto  frangente  lo  aveva  richiesto  di  duecento  lance,  di 
far  almeno  le  viste  di  concedergliele,  per  mantenerla  col  credito 
e  sbigottire  con  questo  gli  assalitori,  contentandosi  che  quelle  lance 
non  venisser  neppure  al  di  qua  di  Parma.  Nulla;  lo  Chaumont 
chiedeva  danari  alla  città  che  moriva  di  fame  ;  e  questa  allora, 
facendo  piuttosto  un  ultimo  sforzo,  solda  i  Colonna  e  i  Savelli 
per  contrapporli  agli  Orsini;  ed  Ercole  Bentivoglio,  governa- 
tore, ed  Antonio  Giacomini,  commissario,  manda  contro  alFAl- 
viano,  *  con  una  grande  incertezza  d' istruzioni  e  d'ordini,  e 
un  bisogno  e  un  timoro  indicibile  della  battaglia. 

>  Cf.  Canbstbini,  Scruti  inèditi  d^l  M.,  da  pag.  179  a  201.  Arch.  fior.,  Deliberaaioni 
de*  Dieci,  registri  114,  it.  n.  136. 


Digitized  by 


Google 


320  CAPO  TERZO.  [uumo 

Or  poiché  pareva  che  Bartolomeo  d'Alviano,  per  la  ma- 
remma di  Siena  é  per  la  via  di  Volterra,  volesse  prender  la 
volta  di  Pisa,  il  Giacomini  e  il  governatore  si  determinarono 
a  movergli  contro  e  stringerlo  in  guisa  che  non  potesse  uscire 
dalla  loro  costretta;  e,  urtatolo  presso  la  torre  a  san  Vincenzo, 
lui  e  tutta  la  sua  gente  ruppero  per  modo  ch'ei  fu  costretto 
a  fuggirsene,  abbandonar  carriaggi  e  bandiere  in  mano  dei 
Fiorentini,  venendo  meno  a  ogni  baldanza  e  ogni  riputa- 
zione sua. 

Questa  vittoria,  non  osata  sperare,  mise  la  festa  nel  cuor 
di  Firenze.  Fu  a'  dì  diciassette  d'agosto,  '  ed  è  naturale  che 
giungendo  insperata,  e  però  simile  ad  una  fortuna,  se  ne  me- 
nasse vampo  come  d'un  merito.  Certo  che  se  di  questo  ve  ne 
ebbe,  tutto  è  a  riconoscere  nel  Giacomini;  ma  il  Bentivoglio, 
governatore,  lasciava  volentieri  appiccare  il  proprio  nome  a 
quel  fatto;  e  la  pretendeva,  come  per  causa  di  sua  direzione, 
di  sue  previsioni,  di  suoi  presentimenti  ad  un  po'  di  gloria 
anche  il  Soderini;  o  almeno  i  nemici  di  lui  credevano  intra- 
vederlo. Quello  che  è  certo,  si  è  che,  dopo  quel  fatto  pro- 
spero, chi  prima  non  aveva  osato  neppure  dar  comando  espresso 
al  Giacomini  che  s'azzuffasse,  ora  s'era  messo  in  tanta  confi- 
denza che  desiderava  battaglie,  .  e  voleva,  col  caldo  di  quella 
vittoria,  proceder  rapido  al  racquisto  di  Pisa.  Cosi  la  inten- 
devano i  popolani;  cosi  il  Gonfaloniere.  Inutile  che  si  alle- 
gasse da'  pratici  che  piantare  il  campo  attorno  a  quella  città 
con  qualche  efficacia,  si  poteva  solo  da  chi  avesse  esercito 
grosso,  buon  capitano,  stagione  seconda;  che  con  far  impeti  spro- 
porzionati si  sarebbe  forse  pòrta  occasione  a  Consalvo  d'aiutar 
Pisa,  correndo  rischio  d'inimicarsi  Spagna;  che  sarebbe  stata 
impresa  assai  più  leggiera  pigliar  qualche  terra  grossa  in  ma- 
remma di  Siena,  a  pegno  di  Montepulciano,  mutar  forsanco  la 
stato  di  Siena  e  farne  uscir  il  Petrucci  spaurito,  e  dipoi  rin- 
tuzzare anche  la  malignità  dei  Lucchesi. 

E  al  Giacomini  fu  scritto,  come  per  dare  uno  sfogo  agli 
umori  bellicosi,  che  assaltasse  il  territorio  di  Lucca,  prima 
di  affacciarsi  a  Pisa.  *  In  quel  territorio  ei  doveva  «  predare, 

^  n  Bentivoglio  a  il  Giacomini  nello  stesso  giorno  scrissero  ai  Dieci  sopra  a  questo 
fatto  d^arino  «  dovo  fu  guasti  a««sai  cavalli  et  huomini.  Ex  felicibus  castri»  iuxla  Bib- 
bonam  »  (doc.  M.,  busta  iv.  n.  10,  11).  —  La  lettera  del  Giacomini  fu  pubblicata  dal  Vil- 
LARi,  op,  cit.,  appendice,  pag.  625.  Cf.  Pitti,  Vita  d'Anton  Giacomini,  loc.  cit.,  pap.  *19 
e  seguenti. 

'^  Arch.  fior.,  Carteggio   de' Dieci,   registro   n.  117.  —  Cf.  Scrini  inedili  del  Machia- 


Digitized  by 


Google 


i^KcoNDoJ  ASSALTO  DI  PISA.  381 

guastare,  ruinare,  ardere  ostilmente,  e  soprattutto  spianar  Via- 
reggio ».  Il  Giacomini  richiese  gli  mandassero  Niccolò  Machia- 
velli, 1  per  esser  con  lui  e  col  governatore,  e  poter  parlare  delle 
cose  appartenenti  all'impresa.  E  il  segretario  un  giorno  con 
lui  e  col  Bentivoglio  va  al  campo  alla  Gasaccia,  tra  Santa 
Lucia  e  Rasignano;  torna  a' Dieci  colla  nota  delle  cose  neces- 
sarie, e  i  Dieci  si  risolvono  allora  di  non  attendere. a  ninna 
altra  impresa  che  alla  pisana.  Molto  ardore  s'andava  calmando 
innanzi  la  ponderazione  fredda  de'  fatti.  Si  compion  le  prov- 
viste subito,  si  mandano  artiglierie,  salnitri,  marraiuoli:  pro- 
pongonsi  grandi  premi  a'  coraggiosi  ;  si  fa  capitan  generale 
il  Bentivoglio,  per  compiacergli;  il  Giacomini  tratta  accordo 
segreto  per  far  cadere  la  città.  Passavolanti  e  falconetti  sfer- 
rano colpi  fitti  addosso  alle  mura;  le  colonne  dei  fanti  stanno 
disposte  co'  lor  condottieri  ad  avventarsi  nel  rotto  della  mu- 
raglia: il  conte  Ludovico  da  Pitigliano  e  Piero  dal  Monte 
nella  prima  schiera,  nella  seconda  Iacopo  Savelli  e  Niccolò 
da  Bazzano,  nella  terza  Marcantonio  Colonna  e  Ciriaco  dal 
Borgo,  latice  spezzate  e  cavalli  leggeri  ove  fosse  il  bisogno,  il 
Zitolo  da  Perugia  e  Ceccotto  Tosinghi  doveano  nel  tempo  della 
battaglia  gittarsi  per  Arno  in  Pisa.  Già  cade  il  muro  battuto 
e  la  prima  schiera  muove  all'assalto:  il  Pitigliano  e  Piero  del 
Monte  si  slanciano  giù  nel  fossato,  eccitando  il  seguito;  ma 
li  seguono  pochi:  un  colpo  di  scoppietto  ferisce  il  conte  Lu- 
dovico nel  piede;  questi,  come  nulla  fosse,  continua  a  chia- 
mare, ad  animare  i  soldati  ;  se  non  che  le  voci  e  la  furia  dei 
condottieri  tornano  vane;  le  provocazioni  inutili,  quelli  si  ricu- 
sano scendere. 

La  seconda  schiera  avanza  anch'essa,  ma  cogli  stessi  esempi 
di  disperazione  ne'  duci  e  di  viltà  invincibile  per  gli  altri  : 
«  piuttosto  si  lasciavano  ammazzare,  scrive  il  Bonaccorsi,  ^  che 
volersi  appresentare  alle  mura  »;  e  Anton  Giacomini,  pieno  di 
generosa  ferocia,  ammazza  que' fanti  codardissimi,  che  non  sen- 
tivan  più  né  onore,  ne  deprecazioni,  né  ingiurie;  e  morti  e 
semianimi  gli  fa  sotterrar  dalle  artiglierie.  Né  quei  del  Zitolo 
e  del  Tosinghi  faceano  miglior  prova,  aizzati,  feriti  vanamente 

velli.  Questa  lettera,  che  à  la  prima  della  Spedizione  al  campo  contro  Pisa,  nelle  edizioni 
delle  opere  del  M.  venne  pubblicata  per  seconda  dal  Canbstbini,  Spedizione  dopo  la  rotta 
dslVAlviano  (op.  cit.,  pag.  206)  ed  assai  più  correttamente. 

*  V.  Spedizione  dopo  la  rotta  delVAlviano,  1.  e,  Lett.  2«  e  3».  —  Cf.  Iacopo  Pitti. 
Vita  di  Anton  Giacomini,  pag.  825,  neWArch.  storico,  tomo  iv^  parte  ii,  serie  1^. 

'  Bonaccorsi,  Diario. 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  22 


Digitized  by 


Google 


388  CAPO  TERZO.  li^mfit* 

dai  capitani;  tutto  andò  a  vuoto.  Coloro  che,  dentro  Pisa,  s'eran 
preparati  a  tradir  la  città,  all'aspetto  di  quella  miseria  non 
fecero  nulla.  Gli  Spagnuoli  di  Consalvo  v'erano  già  entrati  a 
presidio:  una  infamia  irredimibile  avea  coperto  le  fiorentine 
milizie,  e  il  vitupero  nuovo  bruttava  a  Firenze  tutta  la  ripu- 
tazione della  prima  vittoria  suU'Alviano;  e,  quel  ch'era  peggio, 
involgeva  fatalmente  in  una  stessa  caxiuta  il  Bentivoglio,  il 
Giacomini  e  il  Gonfaloniere  perpetuo. 

Quando  un  popolo  à  voluto  il  suo  danno,  ne  fa  cader  la 
colpa  sopra  coloro  che  l'anno  aiutato  a  volerlo;  e  Niccolò  Ma- 
chiavelli, che  in  questi  miserandi  avvenimenti  non  fu  se  non 
l'esecutore  sincero  degli  ordini  del  governo,  non  lascia  in  altra 
stagione  di  manifestare  la  sua  poca  confidenza  in  quegli  or- 
dini, e  l'infermità  di  quella  politica.  ^  Fi^attanto  toglieva  ar- 
gomento di  quelle  vituperose  contingenze  per  persuadere  ai 
Signori  l'idea  sua  ferma:  che  mettere  la  salute  della  patria  in 
mano  di  gentaglia  vendereccia  e  infedele  era  barbarie  e  rovina; 
e  coglieva  la  palla  al  balzo  per  oflFrir  modo  al  Giacomini  e 
al  Gonfaloniere  di  racquistare  la  diminuita  popolarità  loro,  di 
riguadagnare  un  onore  certo  e  incancellabile  presso  i  posteri, 
restituendo  in  vita,  a  tenore  degli  statuti,  la  milizia  comunale, 
quella  di  cui  solo  la  libertà  poteva  con  fiducia  avvalersi.  La 
cura,  r  industria,  l'accorgimento,  la  pertinacia  di  iNiccolò  nel 
ravvivare  questa  istituzione,  basterebbero,  quando  egli  non 
avesse  operato  altro,  a  farlo  meritevole  di  grande  considera- 
zione agli  occhi  di  chi  ama  riconoscere  gl'inizi  dei  progredi- 
menti 0  dei  ravviamenti  umani  dopo  la  trasandatezza  o  lo  smar- 
rimento di  miglior  sentiero. 

Ma  per  ben  valutare  l'importanza  di  questo  fatto,  e  per 
ravvisare  tutti  i  gradi  per  cui  passò  il  pensiero  del  Machia- 
velli prima  di  giungere  alla  ricostituzione  dell'esercito  statuale, 
ci  pare  sia  mestieri  di  tanto  minuta  analisi,  che  trattarne  in  ap- 
posita parte  non  reputiamo  opera  superflua.  Però,  rimettendo 
lo  svolgimento  di  questa  materia  al  prossimo  capitolo,  seguite- 
remo  in  questo  a  risguardare  il  Machiavelli  e  il  pensiero  di 

*  Machiavelli,  Decennale  IT,  v.  65  e  seg.  : 

«  Ma  perchè  Pisa  poco  o  nulla  teme 

Non  molto  tempo  il  campo  vi  teneste 

Che  fu  principio  d'assai  tristo  seme. 
E  se  danari  et  onor  vi  perdeste 

Seguitando  il  parere  universale 

Al  voler  popular  satisfaceste  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  indole  di  GIULIO  SECONDO.  323 

lui  in  relazione  colla  curia  di  Roma  e  col  pontificato,  destinato 
a  sfiorire  splendidamente  in  questi  tempi  fatali. 

Giulio  secondo  ereditava  la  chiesa  tale,  quale  la  lascia- 
?ano  i  Borgia,  sovraccarica  sulla  via  delle  mondane  grandigie  ; 
perseguitata  da  odi,  che  si  disfogavano  contro  la  reputazione 
dei  pontefici  e  della  loro  famiglia.  E  quanto  agli  odi  non 
era  il  della  Rovere  tale  cui  facesser  paura;  convien  anzi 
credere  che,  a  somiglianza  d'altri  politici,  nel!' immaginarsi 
odiato  provasse  compiacimento;  forse  per  quella  maniera  d'e- 
sagerazione ideale  che  nasce  nell'animo  degli  uomini,  i  quali 
antepongono  il  fine  cui  mirano  ad  ogni  altro  riguardo  umano. 
Ma.  quel  ch'ei  non  voleva  era  l'infamia  de' Borgia,  che  gli 
stava  dinnanzi  ritta  come  una  minaccia  inevitabile.  Egli  aveva 
sentimento  certo  e  profondo  della  condizione  propria,  e  sapeva 
che,  come  sovrano,  non  avrebbe  avuto  potestà  senza  forze,  in 
tempi  usi  a  computi  sottili,  a  non  dar  peso  a  quel  che  allora  non 
avesse  fondamento  che  nell'opinione;  come  pontefice  poi,  vedeva 
che  acquistar  forza  e  stato  senza  violenza  e  dissimulazione  non 
era  forse  possibile;  ma  a  chi  veniva  dopo  i  Borgia  si  conveniva 
andar  ben  respettivo  nel  maneggio  di  tali  mezzi,  che  lo  met- 
tevano a  rischio  di  sciupar  l'ultimo  briciolo  di  fede  per  cui 
alle  plebi  ei  restava  ancor  venerabile.  Ora,  seguitar  la  via  di 
Sisto  quarto  o  d'Alessandro  sesto  non  voleva  papa  Giulio,  ma 
non  voleva  neppure  abbandonarne  la  meta.  E  se  c'è  cosa  che 
sollevi  la  fama  del  della  Rovere  dall'abisso  in  cui  giace  quella 
de' predecessori  suoi,  è  precisamente  la  schietta  e  forte  pas- 
sione di  quel  malinteso  aggrandimento  ecclesiastico,  ch'egli 
caldeggiò  non  per  cura  di  grandigie  domestiche,  ma  per  ri- 
guardo all'  istituzione  grande  di  cui  stava  a  capo  ;  ^  e  alla 
quale  giunse  a  sagrificare  la  stessa  natura  sua,  sincera,  rotta, 
marinaresca;  torcendola  talvolta  a  sotterfugi,  a  dissimula- 
zioni, ad  inganni.  Del  resto  chi  lo  vantò  propugnatore  della 
nazionalità  italica  e  discacciatore  di  barbari,  scordò  che  egli 
fu  iniziatore  della  lega  di  Cambrai;  chi  lo  giudicò  accorto  e 

^  Macuiavulli,  Il  Principe^  e.  xi:  «fece  ogni  cosa  per  accrescere  la  chiesa,  e  non 
alcun  privato  ».  11  Broscii,  Papsl  Jules  II  und  die  Orxindung  det  Kirchemtaqles,  pag.  113,^ 
aeiraffermare  :  «  er  gieng  massvoUer,  als  es  damals  pùpstlicher  Brauch  var,  an  die  Be- 
glinstigung  seines  Nepoten  ;  er  bat,  geradc  durch  solche  Miissigung,  das  QlUck  des  Hauses 
della  Rovere  auf  die  Dauer  begrUndet  »  interpretando  le  intenzioni  altrui  con  eccesso 
di  scaltrezza,  riesce,  come  sovente  avviene  neiruso  della  vita,  a  disconoscerle.  I  Veneziani 
contemporanei  non  fecero  altrettanto  ;  e  il  Pisani,  in  un  suo  dispaccio  da  Roma,  a'  di  10 
gennaio  1505  (st.  v.),  scrive  :  «  el  papa  so  artrova  assai  denari....  et  in  dies  va  accumulando  : 
debitamente  però  non  cum  extorsion  et  non  per  darli  a  nepoti  ». 


Digitized  by 


Google 


324  CAPO  TERZO.  [limo 

buon  pontefice  della  Chiesa  universale,  non  osservò  che  per 
l'arti  sue  politiche  e  per  le  guerre  di  cui  fu  irrequieto  ecci- 
tatore contribuì  a  diffondere  in  Germania  ed  in  Francia  il  di- 
sgusto della  Chiesa  di  Roma;  e  le  declamazioni  dell'Hutten 
e  del  Monstrelet  ne  fanno  aperta  testimonianza.  Egli  invero 
soggiacque  al  soffio  del  rinascimento,  lo  secondò  coli* animo  e 
ci  si  trovò  rapito  quando  tentò  acconciare  a' nuovi  tempi  la 
pretensione  medievale  di  Gregorio  settimo,  tentando  che  il  papa 
avesse  ad  essere  il  signore  e  maestro  del  giuoco  del  mondo.  ^ 

Disgraziatamente  quel  giuoco  e  quel  magistero,  cui  ago- 
gnava, non  era  se  non  quello  delle  opportunità,  delle  quali  fu 
per  fermo  conoscitore  accortissimo.  Se  non  che,  per  una  qua- 
lità particolare  dell'indole  e  dell'intelletto  suo,  papa  Giulio 
non  discerneva  egregiamente  che  il  fine  prossimo,  quel  che  gli 
stava  sotf  occhio;  ma  lontano,  ma  in  fondo  o  non  guardava 
0  non  vedeva;  ed  essendo  uomo  di  tutta  azione,  non  faceva 
calcolo  delle  reazioni.  Quel  che  gli  stava  a  cuore  era  il  mo- 
mento, per  trovarvi  dentro  l'occasione  sua  e  sventar  quella 
degli  altri.  E,  sotto  questo  rispetto,  papa  Giulio  aveva  proprio 
una  dirittura  di  mente  opposta  affatto  a  quella  del  Machia- 
velli; laonde  ci  si  spiega  come  questi,  sottilissimo,  tornando 
presso  al  papa  e  congetturandone  le  voglie,  le  mosse,  i  suc- 
cessi, non  ne  indovinò  mai  nulla,  e  nelle  supposizioni  sue  riusci 
più  simile  a  chi  abbia  le  traveggole,  che  a  chi  vegga. 

Agli  occhi  del  Machiavelli  il  pontefice,  per  quanto  ei  si 
agitasse,  non  avendo  forze  proprie,  rimaneva  sempre  coll'a- 
spetto  d'un  gran  debole;  invece  papa  Giulio,  tenendo  ragione 
dell'importanza  o  degl'impedimenti  della  potenza  altrui,  di 
questo  faceva  la  momentanea  forza  sua.  Egli  vedeva  che  l'Italia, 
divisa  e  travagliatissima,  non  avrebbe  potuto  opporre  mai  osta- 
colo sufficiente  all'aggrandimento  della  signoria  ecclesiastica, 
che  metteva  radice  ;  ma  se  l' Italia  fosse  divenuta  cosa  vene- 
ziana, se  la  repubblica  si  fosse  stesa  poco  più  dentro  terra, 
egli  sarebbe  diventato  davvero,  secondo  l'ironico  motto  ma- 
chiavellesco, il  cappellano  de' mercatanti  di  Rialto.  Ora,  in  forza 
della  giacitura  geografica,  per  cui  Venezia  rimaneva  intermedia 
fra  Francia  e  Impero,  seguiva  che,  quando  tutti  e  due  questi 
stati  non  cospirassero  a  nimicarla  e  stringerla  in  mezzo,  e  un 
solo  de'  due  l'osteggiasse;  dopo-  che  i  Francesi  s'erano  gittati  in 

^  V.  Domenico  Trevisan,  Sommario  della  Relazione  di  Roma^  nelle  Relazioni  veneti 
pubblicate  dall'ALBéBi,  serie  2",  voi.  in. 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDoJ  MENE  DI  GIULIO  SECONDO.  325 

Italia,  Taltro  necessariamente  fosse  tratto,  per  interesse  e  per 
gelosia,  a  sostenerla  e  venirle  in  difesa.  Ora,  se  non  era  gran 
che  difficile  trovar  la  via  d'indurre  Francia  e  Impero  ad  una 
cospirazione  intenzionale  d'inimicizie,  da  poi  che,  come  ve- 
demmo, i  Veneziani  eran  già  gravi  a  tutti  e  per  la  potenza 
loro  e  per  la  superbia  con  cui  l'affettavano  ;  quel  che  per  fermo 
tornava  assai  scabro  era  il  condurre  ciascuno  dei  due  nemici 
ad  entrare  in  un  primo  fatto  contro  alla  repubblica;  però  che 
quel  primo  fatto  spalancava  un  abisso,  apriva  cioè  *su'  campi 
d' Italia  una  lotta  di  preponderanza  fra  le  genti  francesi  e  le 
tedesche,  della  quale  non  si  prevedevano  senza  sgomento  i  re- 
sultati. Tuttavia  chi  se  ne  sgomentava  non  era  già  il  pontefice, 
sul  quale  anzi  le  parti  da  lui  aizzate  ed  accozzate  nel  trattato 
di  Blois  gittarono  intiera  la  responsabilità  di  quell'accordo, 
senza  che  egli  ne  sentisse  repugnanza  veruna;  ^  ma  la  furia 
sua  aveva  dato  ombra  ai  contraenti  stessi;  tanto  che  se  i  Ve- 
neziani ricevettero  replicati  e  certi  avvisi  di  questa  cospirazione 
a'  danni  loro,  probabilmente  è  a  rintracciarne  la  causa  nel  ma- 
lumore delle  parti  che  v'erano  impegnate,  e  che  non  fecero 
nulla  per  tenerla  segreta,  *  e  poco  per  recarla  ad  effetto. 

I  Veneziani  invece,  stimolati  ad  abbonacciare  il  papa,  cre- 
dettero aver  ottenuto  particolarmente  coli'  intermedio  del  duca 
d' Urbino  qualcosa,  che  sembrava  una  specie  d'accomodamento 
con  la  chiesa.  Essi  renderebbero  a  questa,  quelle  terre  che  le 
erano  immediatamente  suddite  in  Romagna:  Sant'Angelo,  Mon- 
tefiore,  la  Verrucola,  Gattaia,  Savignano,  Porto  Cesenatico, 
Fusignano,  Scorticara,  Oriolo  e  Monte  Battaglia;  ^  riterreb- 
bero all'  incontro  per  investitura  Rimini  e  Faenza  coi  loro  con- 
tadi ;  né  il  papa  per  queste  due  terre  cagionerebbe  al  loro  stato 
molestia  o  perturbazione    alcuna,    «  anzi   sua   Beatitudine  se 

1  V.  in  DuMOKT,  Corpt  éUplomatique  du  droit  des  gens,  t.  iv,  parta  i,  pag.  53,  il  testo 
del  trattato  di  Blois  de*  22  settembre  15(X1:  «  Quod  cum  sanctissimus  DomÌDus  noster  Julius 
papa  secundns  per  nos  ante  dictos  Marchionem  (del  Finale)  et  Sistaricensem  et  alios  ac 
etiam  Brevibus  apostolicis,  serenissimos  atqua  excelsos  principes  Maximilianum  Romanorum 
et  Ludovicnin  Francorunx  Reges,  repetitis  vicibus  instantissime  admonuerit  ut  tanquam 
reti  et  devoti  filii  Ecclesiae  vellent  Sanctitati  Suae  totis  viribus  assistere  ad  recupera- 
tionem  eorum  quae,  postposita  fide,  spreto  Numine  ac  Religione  omni  neglecta,  Veneti  plu- 
ribus  jam  lapsis  annonim  curriculis  de  beati  Petri  ac  R.  Ecclesiae  patrimonio  invaserunt, 
ac  in  praesenti  occupant  et  detinent  indebite,  praefati  etc.  » 

*  RoHANiM,  Storia  documentata  di  Venezia,  t.  v,  pag.  174  e  seg.  —  Db  Lbya,  Storia 
documentata  di  Carlo  V  in  correlazione  all'Italia,  voi.  i,  pag,  82.  —  Bbosoh,  Papst  Ju- 
Uui  Ilf  pag.  114  e  seg.,  dimostrarono  con  fatti  quanto  fosse  mal  fondata  Topinione  che  i 
Veneziani  non  avessero  mai  nulla  Subodorate  della  lega  di  Cambrai  e  che  questa  li  co- 
gliesse air  improvviso. 

*  Marii«  Sakcto,  Diarii,  vi,  60..  citato  dal  Brosce,  op.  cit.,  328. 


Digitized  by 


Google 


386  CAPO  TERZO.  [ijb«9 

exhibirà  amorevole  et  de  paterno  animo  verso  quella,  come 
se  conviene  essere  verso  boni  figlioli  ».  Di  questo  lasciava  dar 
fede  a  Francesco  Maria  della  Rovere,  suo  nipote  e  a  Guidu- 
baldo  d'Urbino,  che  avevalo  tolto  in  adozione  per  farselo 
successore  nel  ducato;  ambedue  i  quali  aggiungevano  «  esser 
certissimi  che  la  prefata  Beatitudine  per  ninno  caso  sarà  per 
mutarsi  della  promissione  ut  supra  per  lei  fatta  ore  lenus  al 
magnifico  oratore  della  Signoria  » .  ^ 

Una  promessa  fatta  ore  temis  da  papa  della  Rovere,  che 
quando  si  trattava  di  capitoli  diceva  apertamente  non  curare 
«  né  quello  avevan  fatto  li  altri  papi,  ne  quello  aveva  fatto  lui; 
perchè  li  altri  papi  e  lui  non  avevon  possuto  fare  altro,  e  la 
necessità  e  non  la  volontà  li  aveva  fatti  confermare  »  ;  una 
promessa  d' un  papa  che  quando  gli  capitava  occasione  di  mutar 
partito,  calpestando  tutti  i  patti,  a  non  coglierla  gli  sembrava 
«  non  ne  potrebbe  fare  alcuna  scusa  appresso  Dio  »,  *  era  molto 
meno  che  una  lusinga,  e  i  Veneziani  non  avevan  cagione  di 
racquetarcisi.  Tanto  più  che  l'investitura  che  il  pontefice  pa- 
reva accordar  loro  di  quelle  due  terre,  non  voleva  darla  in 
concistorio  e  co' modi  ordinari,  ma  straordinariamente  e  «per 
viam  brevis  ». 

Tutto  questo  lasciava  intravedere  ai  Veneziani  che  il  papa 
non  trattava  sinceramente;  ma  forse,  e  con  meno  errore,  e'si  con- 
fidarono nella  ripugnanza  degli  alleati  a  dar  principio  al  grande 
incendio;  forse  meglio  sperarono  di  riuscire  ad  accattivarsi  il 
pontefice,  appoggiandolo  in  qualcuna  delle  particolari  imprese 
che  ventilava.  E  invece  il  pontefice  metteva  ogni  industria  a 
muovere  per  forza  la  renitenza  degli  alleati,  a  cacciare  nella 
loro  cospirazione  anche  Spagna;  e  ci  sarebbe  riuscito,  se  già 
la  morte  d'Isabella  di  Castiglia  non  avesse  gittate  la  questione 
del  retaggio  di  lei  come  un  pomo  di  discordia  fra  gli  Absburgo 
e  l'Aragonese. 

Ora,  se  c'è  cosa  che  persuade  quanto  improvvidamente  gli 
uomini  aprono  da  sé  stessi  la  porta  alla  morte  loro,  se  c'è 
argomento  che  prova  come  papa  Giulio  non  vedesse  più  lungi 
dell'opportunità  momentanea,  questo  si  ravvisa  per  fermo  nella 
condotta  de' pontefici  verso  i  re  di  Spagna  insignoriti  di  Napoli: 

»  V.  in  RoMANiN,  op.  cit.,  voi.  V,  pag.  4SI,  lU.  D.  Dux  Urbini  ad  Ill.mum  Dominium 
in  materia  compositionit  rfrum  Romandiolae  inter  Beat.  D.  JuUi  secundi  pont.  max. 
ex  una  et  ipsum  eximium  Dominium  venetum  ex  altera  (Lett.  Romae,  die  xiq  Febrni- 
rii  Mcccccv). 

*  Machiavelli,  Commistione  seconda  alla  Corte  di  Roma,  Lett.  4*1. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  MKyE  DI  GIULIO  SECONDO.  3W 

nel  procedere  di  papa  Giulio  verso  l'amicizia  spagnuola.  Che 
tentasse  lusingarla  con  iscaltrezza  papa  Alessandro  sesto,  spa- 
gnolo, fino  a  un  certo  punto,  s'intende;  e  s'intende  pure  la 
sagace  opposizione  del  sacro  collegio  a  far  cattolico  lo  spa- 
gnolismo; 1  per  la  stessa  cagione  si  spiega  pure  come  quel 
papa  medesimo  rompesse  la  tradizione  della  politica  ecclesia- 
stica che  aveva  sempre  annesso  tanta  importanza  e  posto  tante 
condizioni  al  vassallaggio  de' reali  di  Napoli;  ^  ma  i  re  di 
Spagna  oramai  avevano  già  dato  prove  d'essere  un  vicinato 
non  punto  riguardoso  verso  la  chiesa,  e  mostraron  bentosto  tal 
gelosia  per  le  prerogative  del  regno  che  appena  trova  riscontro 
in  alcuno  fra  i  più  ghibellini  principati  d' Italia.  ^  Ora,  perchè 
Giulio  II  non  si  gìttàsse  all'opposto  del  suo  predecessore,  per- 
dio non  avvertisse  il  pericolo  che  minacciava  prossimamente 
la  dominazione  ecclesiastica  conveniva  o  ch'egli  si  rifiutasse 
di  tórre  gli  occhi  dal  settentrione  d'Italia  e  da  Francia, 
ove  aveva  agitato  tanta  parte  della  sua  vita;  o  che  pel  non 
risiedere  de' re  di  Spagna  in  Napoli,  e  per  aversi  diviso  il 
reame  co' Francesi,  giudicasse  la  loro  signoria  men  che  salda; 
o  che  troppo  si  promettesse  dalle  qualità  etnografiche  degli 
Ispani,  ben  cognite  agli  umanisti  e  confermate  da  quotidiana 
esperienza,  per  cui  si  riteneva  quelli  non  fossero  per  osare  se 
non  cose  piccole,  essendo  ritrosissimi  a  imprenderne  grandi  e 
a  far  imprese   in   comune.-*  Non   possiam   giudicare  quale  di 

*  Marin  Sanuto,  Diarii,  voi.  i,  pag  424  :  (dicembre  1496)  «  Item  come  in  concistorio 
era  aia.  deliberato  dar  titolo  honoriflco  al  re  hvspano  in  nominarlo  de  costerò  catholicn. 
quemadmodum  Franza  si  dice  cristianissimo.  Et  questo  fece  repugnantibns  cardinalibns, 
quia  nomen  illud  poUua  conventi  pontifici  et  gpiritualibus  quam  s«cularibu8.  Tamen,  il 
ponteflce  sic  voluil  ». 

*  V.  nel  LUnio,  Codex  Italiae  diplomaticus^  t.  ii,  133>6,  il  breve  d'Alessandro  VI,  in 
coi  dispensa  Ferdinando  e  Isabella,  re  delle  Spagne  e  di  Sicilia,  e  i  loro  legittimi  succes- 
sori dal  prestare  personalmente  il  giuramento  di  fedeltà  e  vassallaggio  al  pontefice. 

'  Il  Dk  Leva,  Storia  documentata  di  Carlo  V,  pag.  83,  dal  Registrum  Fr.  Capello 
oratori»  apud  Romanorum  regem,  descrive  l'alterco  in  Venesia  fra  Tambasciadore  spa- 
gnuolo  e  il  nunzio  pontificio.  —  V.  nel  LUmo,  Codex  Italiae  diplomaticut,  t.  ii,  1337,  la 
lotterà  di  re  Ferdinando  il  Cattolico  al  viceré  «  die  22  martii  1508  »  rimproverandolo  poi 
ch*et80  ebbe  ricevuto  un  breve  apostolico  lesivo  dei  diritti  regi  «  porque  vos  no  lizistes 
tambien  de  hecho  mandando  ahorchar  el  Cursor  que  vos  la  presento,  que  darò  està  quc 
no  solamente  en  esso  Reyno,  si  el  Papa  sabe  que  en  Espanna.  Francia  le  han  de  con- 
sentir fazer  semeiante  auto,  que  esse,  que  lo  fera  por  acrecentar  su  jurisdiction  ». 

*  Stiiabo2«e,  rioYp«9'x«,  *'*>•  "»»  cap.  iv:  «  tCuto  Si  tò  a0^a^««  tv  toì«  "IpTip?; 
l».aXirr«  èwsTcìve,  Trpoor^.otpoOo-i  xaì  tò  TrotvoOpYOv  oO^ci  xotì  tò  pur,  AtcXoOv.  éiri^cTix&l 
fàp  x«i  iYiorpixoi  Toì«  pìoi5  «yivovro  tà  |jLixpà  TO?.|iò)VTf«  [icyàXois  ^'oóx  k'!ti^akXò\uyt,r 
9ià  TÒ  \uyàXatq  ji-fj  xaracTxcud^ecT^at  ^uvàfui^  xaì  xctvtovia^  ».  —  Cf.  Machiavelli.  Ri" 
iraUi  delle  cote  di  Francia,  ed.  Le  Monniér,  pag.  194.  ^  Cf.  F.  Guicciardini,  Relazione 
di  Spagna^  Opp.  inedile,  voi.  vi,  pag.  280:  «nazione  di  ingegni  inquieti,  poveri  e  volti  ai 
latrocinii.  e  per  li  antichi  tempi  senza  civilità  alcuna  di  vivefe....  —  chi  l'ha  assaltata  nnn 
avere  avuto  a  combattere  con  Spagna  tutta  insieme,  ma  quando  con  una  parte,  quandi v 
con  un  altra». 


Digitized  by 


Google 


388  CAPO  TERZO.  [libro 

queste  ragioni  nella  mente  di  lui  prevalesse;  certo  è  che  le 
personali  inclinazioni  poteron  sempre  gran  fatto  nella  politica 
di  questo  pontefice,  il  quale  non  amò  nessuno  di  coloro  che  lo 
avvicinarono  e  non  ne  fu  amato;  né  andò  molto,  che  re  Fer- 
dinando ebbe  a  mostrare  come  era  lieve  escludere  i  Francesi 
dalla  compartecipazione  della  conquista;  quanto  gli  era  breve 
tragitto  quello  d'Italia,  quando  venne  a  liberarsi  dal  sospetto 
del  gran  Capitano;  né  i  dati  etnografici  bastarono  ad  assicurare 
papa  Giulio  e  Roma  da  ingiurie  e  da  ruberie  famose. 

Senonchè  era  il  cardinal  de' Medici,  era  la  parte  Orsina 
che  stimolavano  il  papa  airamicizia  di  Spagna,  perchè  ormai 
i  Medici  non  avevan  più  che  sperare  dalla  parte  francese.  Il 
cardinal  Sederini  allUncontro,  che  ben  sapeva  quel  che  le  spe- 
ranze francesi  valessero,  faceva  le  prove  estreme  per  indurre 
Venezia  a  non  sguinzagliare  il  furibondo  pontefice;  e  all'oratore 
della  repubblica  si  voltava  <  non  come  cardinale,  ne  come  cit- 
tadino fiorentino,  ma  come  bone  amico  et  italiano  »  ;  scongiu- 
randolo a  benefizio  d' Italia  a  ciò  che  la  Serenissima  si  volesse 
tener  ne' suoi  termini  e  lasciar  gli  altri  ne' propri.  Quando 
questa  sicurezza  potesse  ottenersi  <  gl'Italiani  vorriano  piut- 
tosto l'amicizia  sua  che  quella  d'altri,  e  sariano  contenti  d'o- 
norarla e  averla  per  capo  e  superior  membro  d'Italia  ».  A 
queste  profierte  l'oratore  rispose  colla  consueta  arroganza  pro- 
vinciale: non  intendere  il  gteor^um  di  questi  discorsi;  la  Sere- 
nissima non  aver  <  cupidità  di  tuor  quel  d'altri  senza  gran- 
dissima rasone  et  juste  cause  ».  ^ 

Cosi  il  vecchio  egoismo  repubblicano  precipitava  la  patria  in 
mano  al  papa  e  agli  stranieri;  e  Firenze,  per  salvarsi  l'oppression 
di  Pisa,  dovette  cospirare  ad  annientare  Venezia  soverchiante. 
E  poiché  il  papa  erasi  accorto  che  malgrado  Io  stagnare  di 
tutti,  un  qualunque  moto  primo,  per  piccolo  eh' e' si  fosse,  avrebbe 
determinato  subito  un  movimento  irrefrenabile,  venne  nel  di- 
segno di  muoversi  primo  lui;  né  l'occasione  gli  faceva  difetto. 

A  chi  voleva  più  profondamente  radicare  la  signoria  pon- 
tificia coU'abbattimento  de' vicari,  stavano  innanzi  due  opere 
a  compiere,  cui  non  eran  bastati  i  Borgia:  restavano  cioè 
a  domare   i   Baglioni  in  Perugia,  i  Bentivoglio  in  Bologna.^ 

^  OiusTiNiAN,  Diapacciy  a'  dì  S4  ottobre  1504,  voi.  m,  pag.  273. 
*  Si  avverta  al  singolar  modo  d'esprimersi  del  Machiavblli  nel  Dee^nnaU  2^,  v.  9i. 
Ave  dice  che  papa  Giulio  : 

«  Abbandonando  la  sua  santa  soglia 
*  A  Bologna  e  Perugia  mostrò  guerra  ». 


Digitized  by 


Google 


sscoMDo]  GIULIO  SECONDO  CONTRO  I BENTIVOGLIO.  8S» 

Questi  sopratutto,  come  i  più  potenti,  come  coloro  che  dalle 
insidie  valentinesche  erano  usciti  sempre  con  promesse  e  con 
trattati;  come  quelli  che  parevano  avere  scritto  sulle  loro 
torri  il  fondamento  della  loro  alleanza  milanese,  ed  erano  in 
protezione  di  Francia,  e  sulle  monete  e  sullo  scudo  incide- 
vano per  concessione  di  Massimiliano  Taquila  imperiale,  ^  da- 
vano maggior  appiglio  e  maggior  bramosia  air  ira  del  papa,  e 
promettevano  essere  la  più  acconcia  occasione  per  determi- 
nare gli  eflfetti  a  cui  esso  intendeva.  Di  soprappiù,  contro  Gio- 
vanni Bentivoglio  il  della  Rovere  aveva  rancore,  dicono,  o  per 
antica  amicizia  colla  famiglia  Malvezzi,  avversa  a*  Bentivoglio 
nella  città;*  o  perchè  messer  Giovanni,  che  della  città  s'inti- 
tolava principe,  per  commissione  di  Alessandrp  sesto  aveva  ten- 
tato già  ritenerlo  prigione,  siccome  accenna  Q  Guicciardini. 
Comunque  sia,  Toccasione  poteva  benissimo  bastar  per  causa; 
quantunque  papa  Giulio,  sin  dai  primi  giorni  del  suo  pontifi- 
cato, avesse  dato  segno  di  pensare  a  Bologna  provocando  forse 
intenzionalmente,  colla  conferma  degli  statuti  e  dei  privilegi 
municipali,  qualche  scintilla  di  avversione  alla  fazione  tirannesca.^ 
Fisso  pertanto  nell'animo  che  scatenare  la  guerra  toccava 
proprio  a  lui;  che  ninno  l'avrebbe  potuto  trattenere  quando 
dicesse  di  voler  mettere  il  Baglioni  fuori  di  Perugia  e  ridurre 
il  Bentivoglio  o  a  condizione  privata  entro  Bologna  o  cac- 
ciamelo, cominciò  a  raggranellar  forze.  Ottenne  promesse  di 
aiuti  dal  re  di  Francia;  cento  uomini  darebbe  il  duca  di  Man- 
tova; cento  Ferrara,  duecento  ei  n'aveva  soldati  col  nipote  e 
duecento  col  duca  di  Urbino;  aveva  mandato  a' fiorentini  il 
protonotario  Gabriele  Merino,  a  domandare  gli  concedessero 
per  questa  impresa  Marco  Antonio  Colonna,  lor  condottiero; 
diceva  loro  di  non  volere  accettar  favori  da' Veneziani,  a' quali 
non  parrebbe  vero  esser  capi  in  favorirli;  ma  e' non  li  vuole 
«  per  non  conceder  loro  quello  che  tengono  della  Chiesa  con 
tanto  suo  carico  e  pregiudizio  vostro;  e  quando  e' non  facessi 
mai  altro  che  tenere  forte  questa  cessione  di  non  la  fare,  do- 

^.  Cf.  in  Muratosi,  R«r.  xtal.^  script,  xxin.  Hibrontmi  i>ìt  Bubsbllis,  A^naU»  hono- 
ni9n9«s,  909-916  passim. 

•  Bboscb,  op,  cit.,  pag.  IJfó.  —  GoicciAKDiNi,  storia  d' Italia.  —  Nel  Deeretum  Exco- 
munieationi»  del  Bbntivoolio,  vi.  id.  oct.  an.  1506  (LQNia,  CoAbìc  It.  dipl.j  t.  ly,  pag.  193 
e  seg.)  papa  Oiulio  Taccusa:  «  ad  se  imperii  sammam  traxit  adeo,  ut  solum  dominii  nomea 
nobis  et  apostolicae  Sedi  relictum  fuerit,  et  Bentivolonim  nomen,  qtuyd  eoram  agnovimus, 
in  ore  illius  populi  magis  quam  nostram  et  romanae  Ecclesiae  personet  venerabiliusque 
habeatur  ». 

s  Cf.  Tbeikbb,  Codex  diptomatieut  Ap.  Sédii,  t.  ni,  pag.  513. 


Digitized  by 


Google 


330  CAPO  TERZO.  [libbw 

vrebb?  far  correre  i  fiorentini  senza  rispetto  a  convenir  seco; 
e  tanto  più  non  si  avendo  a  presumere  che  si  abbi  a  fermar 
quivi,  succedendogli  bene  i  principi  >.  ^ 

Ora  i  Fiorentini  non  poteano  veder  volentieri  in  Italia 
né  Taggrandimento  de'Vf^neziani  ne  quel  del  pontefice;  tut- 
tavia giudicando  che  naturalmente  anche  al  re  di  Francia  do- 
vesse stare  a  cuore  lo  stesso  interesse,  e  non  reputando  op- 
portuno contrastare  subito  all'  irritabile  papa,  ne  credendo  che 
questi  sarebbe  per  riuscire  a  grandi  effetti,  sulle  prime  tem- 
poreggiarono; poi,  quando  lo  videro  mosso,  mandarono  in  fretta 
Niccolò  Machiavelli  a  incontrarlo,  dove  ei  si  fosse;  a  scusar 
r indugio;  a  promettere  aiuti  non  appena  l'impresa  di  Sua  San- 
tità fosse  in  essere;  a  chieder  che  per  sino  a  quel  tempo  la- 
sciasso  a' Fiorentini  il  Colonna,  togliere  il  quale  dalle  fron- 
tiere di  Pisa  avrebbe  cagionato  loro  danno  non  lieve.  ^  E  Nic- 
colò, fornito  di  lettere  pel  cardinal  di  Volterra  e  pel  papa, 
movendo  alla  volta  di  Roma;  arriva  a  Nepi  e  trova  quivi 
Giulio  che  già  il  di  innanzi  s'era  messo  in  via.  Circa  venti- 
quattro cardinali  3  lo  avean  seguitato,  e  non  di  buona  voglia, 
in  quella  sua  escursione  belligera,  dissimulando  il  cruccio  degli 
agi  inaspettatamente  lasciati,  brigandosi  di  schivare  più  che  si 
potesse  i  disagi. 

Il  cardinale  Adriano  da  Castello  tramandò  in  esametri  la 
memoria  di  questo  curiale  itinerario,  in  cui  ai  porporati  epi- 
curei, seguitando  il  ligure  pontefice,  pareva  andare  alla  guerra; 
e  il  verso  eroico,  come  cosa  fuor  di  tempo,  di  luogo  e  di 
ragione  in  questo  poemetto,  rende  immagine  delle  bizzarrie 
^rottesclie  seminate  dalla  fantasia  del  Sanzio  su  pe'  pilastri 
«lolle  logge  vaticane.  CoìV Ttinerarno  citato  e  col  DiaìHo  del 
(irassi  raffrontando  le  lettere  del  Machiavelli,  se  ne  affer- 
rano le  riposte  ironie:  «  Con  questo  pontefice,  scriv'egli  da 
Civitacastellana,  vanno  continuamente  sei  o  sette  cardinali, 
di  quelli  che  o  per  consiglio,  o  per  altro,  gli  sono  più  grati: 


>  Machiavelli,  Commi$ùone  seconda  a  Roma,  Leu.  5. 

*  Per  questa  commissione  trovansi  neirArchivio  di  stato  non  pochi  stanziamenti  a  fa- 
vore del  Machiavelli  e  sotto  diverse  date.  —  V.  classe  xiii,  dist.  2,  n.  69,  carte  19,  131  ^ 
134  t.  —  Ibid.  classe  ii,  dist.  6.  n.  206,  a  e.  199 1.  —  V.  anche  lettera  credenziale  de*priori 
di  libertà  e  gonfaloniere  di  giustizia  al  cardinale  di  Pavia  pel  Machiavelli  (Bibl.  Nas  . 
Doc.  M.  busta  iv,  n.  70). 

>  Cf.  Paris  db  Orassir,  Diario:  «  Et  jussi  fuenint  ad  veniendum  infìrascrìpti  videlicet 
sacnim  romanorum  dominorum  cardinalium  collegium  qui  fuerunt  viginti  octo....  —  Sanctae 
Crucis,  quipostea  in  via  inflrmus  remansit  et  non  venit.  Agennensis  postea  remansit  Vi* 
terbii  legatus  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  il  machia  VELLI  E  GIULIO  SECONDO.  331 

gli  altri  si  distendono  al  largo  per  queste  terre  circostanti  »: 

«  olwiferiA  tumulii  laetissima  rura  » 

scrive  il  cardinale  Adriano. 

«  Vicina  pUicuit  pairibtts  recubare  sub  ulmo  ». 

La  fiducia  di  tutti,  al  primo  muover  da  Roma  stava  nel 
duca  d' Urbino,  ch'era  il  solo  punto  d'appoggio  certo  che  aves- 
sero; questi  il  loro  pio  Enea,  questi  era  quegli  di  cui  niun  altro 
migliore  : 

«  Nec  pietate  prior  sed  nec  praestantior  armia,  » 

se  non  che  la  podagra  gì'  infermava  il  valore.  ^  Il  papa  all'  in- 
contro, uora  duro,  tollerante  di  tutte  le  asprezze  del  vivere, 
natura  marinaresca  e  soldatesca  forse,  ma  ignaro  affatto  delle 
pratiche  della  milizia,  era  tratto,  per  aver  pretesto  di  riposo, 
ad  ammirar  cose  per  lui  non  bene  apprezzabili.  A  Civitacastel- 
lana  andava  guardando  la  fortezza  «  come  cosa  rara  ».^ 

Niccolò,  che  al  mattino  era  stato  ammesso  all'udienza  di 
lui,  con  due  insinuazioni  finamente  sarcastiche,  che  sapeva 
come  con  papa  Giulio  avessero  più  peso  che  non  le  ragioni,  gli 
aveva  messo  nell'animo  due  stimoli. 

Dappoiché  due  mire  aveva  il  segretario  fiorentino:  inasprire 
sempre  più  il  pontefice  contro  Venezia;  e  tanto  istigarlo  al  fatto 
cui  s'era  accinto,  ch'egli  non  se  ne  ristesse  dopo  aver  comin- 
ciato. —  «  I  Viniziani  sono  male  contenti  di  questa  impresa, 
e  l'oratore  loro  a  Roma  ne  aveva  fatto  fede  ».  —  E,  così  di- 
cendo, Niccolò  dimostra  al  pontefice  com'ei  discerne  ove  il  colpo 
diretto  a'  vicari,  tende  a  ferir  profondo.  —  «  Le  cose  della 
Chiesa  non  pare  si  maneggino  in  conformità  di  quelle  de'prin- 
cipi,  perchè  si  vede  uno  uscire  delle  terre  della  Chiesa  per 
uno  uscio  ed  entrare  per  l'altro  ».  —  Ed  in  queste  altre  parole 
era  il  seme  dell'  idea  che  Niccolò  gittò  poi  nel  libro  de  prin- 
cipatibus,^  quando  accennò  al  principato  ecclesiastico.  Le 
due  frasi  sottili  del  segretario  colsero  allora  diritto  nel  segno. 

>  «  Tot  dotes  juveni  invidit  lapidosa  podagra  ».  Cf  Itinerarium,  loc.  cit.  —  Paris  db 
Grassis  {Diarium)  «  Dux  Urbini,  qui  erat  capitaneus  Ecclesiae,  sed  ob  podagras  inermis 
fuit  ». 

•  N.  Machiavelli,  Commissione  seconda  alla  Corte  di  Roma,  Lett.  1.  —  Paris  de 
Grassis,  ibid.  :  «  Itam  est  deinde  ad  palcherrimam  arcem,  cuius  pulchritudine  allectus  papa, 
ac  etiam,  pront  dìxit,  ut  abstineret  ab  equitatione.  —  E  nello  stesso  capo  in  civUate  Ca' 
stellana,  poco  più  oltre  :  «  Hic  papa  ex  Florentinorum  nuntio  aodivit  quatenus  ipst  domini 
Fiorentini  dispositi  erant  ad  volnntati  papae  obsequendura,  jovandumque  ad  expeditionem 
Bononiae  ». 

»  V.  Machiavelli,  Il  Principe,  e.  xi  :  «  Costoro  soli  hanno  stato  e  non  lo  difendono, 
hanno  sudditi  e  non  gli  governano  ». 


Digitized  by 


Google 


im  CAPO  TERZO, 

11  papa  si  voltò  al  cardinale  di  Volterra  e  parlogli  ali*  orec- 
chio ;  promise  a  Firenze  fare  un  gran  beneficio  ;  non  parlò  del 
Baglioni,  ma  quanto  al  Bentivoglio,  che  per  le  mire  del  papa 
aveva  ben  altra  importanza,  <  quando  e'  se  ne  vadia,  disse, 
assetterà  le  cose  in  modo,  che  a  suo  tempo  e*  non  vi  ritor- 
nerà ».  1 

Tanto  per  arguzia  di  motti  si  moveva  forte  quel  papa,  che 
pure  a  sua  volta  senz'altro  spendio  che  di  parole,  senz'altro  che 
un  intuito  e  un  uso  prontissimo  dell'occasione  imminente,  s'an- 
dava rivestendo  di  forze  ausiliarie,  e  ne  strappava  a  coloro 
che  meno  avean  cagione  di  favorirlo.  A'  Fiorentini  dava  a  in- 
tendere, come  vedemmo,  che  non  accettando  lui  favori  vene- 
ziani, Firenze  dovea  correre  e  dargli  man  vigorosa.  I  Veneziani 
dall'altro  canto,  per  tenerlo  in  briglia  spargon  fuori  novelle 
che  l'imperatore  è  venuto  a'  confini  del  Friuli.  Né  però  Giulio 
s'arresta,  uso  già  chiamare  l'imperatore  di  Germania  un  «  m- 
fantem  nudum  »,^  e  spaccia  il  vescovo  d'Aix  a  Melun  per  sol- 
lecitare i  soccorsi  del  re  di  Francia,  il  quale,  promettendo,  avea 
creduto  piuttosto  temporeggiare  che  vincolarsi;  non  immaginando 
mai  che  il  papa  dicesse  così  sul  serio;  e  che,  in  un  viaggio» 
ch'era  un  trionfo  e  un  assalto  insieme,  mettesse  ad  usura  la 
maestà  della  persona  pontificale. 

Vero  è  che  quella  maestà  Giulio  non  si  curava  molto  di  cu- 
stodirla. Entrato  a  Viterbo,  si  spinge  oltre  a  Montefiascone,  ove 
gli  oppidani  fanno  che  le  fonti  innanzi  al  palazzo  episcopale, 
ov'egli  alberga,  gittino  moscato,  delizia  de' fanti  svizzeri.  TI 
cardinale  Adriano  celebra  i  dulcia  vina  Falisci;  e  Paride  dei 
Grassi  non  tace  le  burlette  del  papa  a  tavola.  Ma  Niccolò  in- 
sieme colla  corte  venuto  innanzi  ad  Orvieto,  si  fa  a  raggua- 
gliare i  signori  come  Giampaolo  Baglioni  à  fra  i  prelati  buon 
numero  di  fautori:  come  il  duca  d'Urbino  e  il  legato  di  Pe- 
rugia s'adopran  pure  essi  a  riconciliarlo  col  papa;  e  che  il 
papa,  il  quale  sino  allora  era  stato  di  volontà  che  Giampaolo  se 
ne  andasse  o  che  stesse  in  quella  città  privato  e  senza  gente 
d'arme,  poteva,  parte  per  necessità,  parte  per  persuasione  di 
cortigiani,  mutar  d'opinione.  La  necessità  era,  secondo  il  Ma- 

^  Macbiavblli,  Commisi,  asconda  a  Roma,  Lett.  5. 

*  V.  Sommario  della  Relaxione  del  Trbtxsan,  loc.  cit.  —  Pabis  db  Obassis,  Ioc.  cit.  : 
«  Inter  edendum  nunciatum  fuit  pontifici  imperatorem  in  terras  Venetorum  ingreasum  esse, 
videlicet  foram  Julìi:  et  Venetos  ex  eo  non  bene  contentos  esse;  attamen  obviam  misisse 
qui  illum  exciperent  ac  victualia  et  transitus  expeditos  pararent,  quod  fait  mendacium 
Venetorum,  nec  creditum  est  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  GIULIO  SECONDO  B  IL  BAGLIONL  833 

chiavelli,  nella  forza  de'  cavalli  e  de'  fanti  di  cui  disponeva  il 
Baglioni;  sì  che  il  cacciarlo  non  pareva  facile;  le  persuasioni 
tendevano  a  ciò  ch'ei  si  valesse  di  Giampaolo  contro  al  Ben- 
tivoglio;  che  domata  Bologna  si  sarebbe  poi  racconcia  Perugia, 
ed  «  era  bene  fare  una  impresa  et  non  dua,  perchè  Tuna  potria 
guastare  l'altra  ».  ^ 

Ma  la  ragion  principale  stavain  ciò,  che  non  era  col  ferire 
il  Baglioni  che  il  papa  sperava  raggiungere  l'intento  suo;  poiché 
per  certo  non  si  sarebbe  mosso  per  Giampaolo  né  il  re  di  Francia, 
né  Venezia,  né  Massimiliano;  però  nel  perdonarlo  e  trarselo 
agli  stipendi  era  tutto  guadagno;  e  questo  partito,  considerata 
la  propensione  già  manifesta  della  curia,  doveva  parere  il  più 
natursJe. 

Infatti  Giampaolo  va  ad  Orvieto,  accolto,  perdonato,  rac- 
cetto,  a  patto  di  rimettere  in  man  del  pontefice  tutte  le  fortezze 
del  territorio  perugino  con  le  porte  della  città  e  d'aiutarlo  alla 
spedizione  di  Bologna.  Poscia,  secondo  che  scrive  il  maestro  delle 
ceremonie,  venia  de  praeterito  et  fide  de  futuris  habitis,  Giam- 
paolo colla  sua  comitiva  e  col  duca  d'Urbino  s'avvia  a  Perugia 
per  la  via  diritta,  e  il  papa  a  Castel  della  Pieve  e  poscia  a 
Gastiglion  del  Lago;  ove  per  alquanti  dì  fa  sosta  sul  lago  a 
trastullo,  barcheggiando  e  pescando  da  Passignano  all'isola, 
per  dar  tempo  agli  apprestamenti  del  Baglioni. 

Agli  apprestamenti  del  Baglioni!  Chi  volea  congetturare 
dall'esperienza,  e  il  Machiavelli  era  tra  questi,  non  poteva  non 
star  molto  in  pensiero  sulla  natura  di  questi  apprestamenti. 
Dappoiché  era  ben  noto  che  qualità  d'uomo  si  fosse  quel  signor 
di  Perugia;  cp' falliti  della  Magione  quivi  presso,  egli  aveva  avuto 
comuni  le  congiure  e  non  la  catastrofe;  il  Valentino  gli  aveva 
dato  esempio  delle  cautele,  delle  violenze  opportune,  inopi- 
nate. Il  temerario  pontefice  che,  s'era  recato  ad  offenderlo  più 
col  proposito  che  colle  forze,  aveva  prestato  fede  leggermente 
alla  sommessione  subitanea  di  lui,  e  s'aspettava  esser  ricevuto 
col  baldacchino  in  quella  città,  donde  tanti  legati  pontifici  erano 
stati  cacciati  con  pericolo  della  vita,  colla  minaccia  d'esser 
capovolti  giù  dalle  finestre  del  palazzo;  in  quella  città  che  si 
reggeva  a  voglia  di  Giampaolo,  il  quale  aveva  «  centocinquanta 
cavalli  leggieri  e  cento  uomini  d'arme  e  sì  bene  a  ordine».^ 

^  Machiavelli,  1.  e,  Lett.  12. 

*  Machiavelli,  Comìn.  cit.,  Lett.  14.  —  Delle  condizioni  della  città  di  Perugia  cosi  ci 
ragguaglia  la  Cronaca  del  Malaraxzo,  1.  e.  pag.  101  :  «  tutti  li  giovane  facevano  arte  de 


Digitized  by 


Google 


:;:u  CAPO  TERZO.  [libro 

Questa  consapevolezza  del  soggetto,  delle  circostanze  dei 
precedenti  inclinavano  l'animo  del  Machiavelli  ad  aspettare 
troppo  dalla  malizia  del  Baglioni,  a  dubitar  ti*oppo  per  l'in- 
columità di  papa  Giulio  e  della  molle  e  improvvida  compagnia 
chiercuta  che  gli  andava  dietro,  confidente  nell'ossequio  gra- 
tuito, invanita  di  quel  che  riscoteva.  ^  Il  Machiavelli  sapeva 
che  Giampaolo  aveva  detto  conoscer  due  vie  di  salvar  lo  stato 
suo;  l'una  colla  forza,  l'altra  coli' umiltà  e  col  fidarsi  degli 
amici  che  lo  consigliavano:  *  ora  la  forza  e' l'aveva  in  mano; 
l'umiltà,  come  ogni  virtù  di  buona  natura  gli  mancava;  s'a- 
spettava pertanto  Niccolò,  in  occasione  dell'ingresso  del  papa, 
qualche  fatto  inaudito. 

Quando  fra  i  curiali  trattavasi  d'ordinare  la  pompa  del  so- 
lenne ingresso  nella  bellissima  città  umbra,  il  maestro  delle 
cerimonie  andava  richiedendo  gli  esperti  di  cose  militari,  come 
egli  annota,  del  modo  più  bello  d'ordinare  a  quella  pompa  le 
genti  d'arme.  ^  Gli  fu  indicato  si  stendessero  fuori  della  città, 
presso  alla  porta,  in  maniera  che  il  pontefice,  passando  le  po- 
tesse veder  tutte,  come  a  rassegna;  che  a  tempo  d'Alessandro 
sesto  il  duca  Valentino  avevale  ordinate  così.  E  il  nome  di 
quel  terribile  duca,  il  cui  ricordo  traeva  naturalmente  con  se 
memoria  e  meditazione  di  delitti,  sorgeva  quasi  ad  accrescere 
la  prevenzione  del  Machiavelli;  il  quale,  entrato  il  pontefice, 
scriveva  ancora  a' suoi  Dieci:  «  trovasi  il  papa  qui  con  questi 
reverendissimi,  benché  le  genti  della  chiesa  sieno  alloggiate 
intorno  a  queste  porte,  e  quelle  di  Giampaolo  un  poco  più  di- 
scosto, nondimeno  il  papa  e  il  collegio  sta  a  discrezione  di  Giam- 
paolo e  non  di  loro;  e  se  non  farà  male  a  chi  è  venuto  a 
torgli  lo  stato,  sarà  per  sua  buona  natura  e  umanità.  Che  ter- 

itoldo,  e  tale  senza  exercizio.  e  hoinìne  de  mala  vita;  e  ognie  giorno  se  vedevano  varie 
scesse,  e  era  redutta  la  città  senza  alcana  ragione  o  iustizia,  e  ognie  homo  se  admini- 
strava  ragione  propria  autoritale  e  HAanu  regia.  Et  fumo  mandate  dal  papa  molte  Le- 
gate, si  se  potesse  la  città  reintegrare  a  l'ordine  suo  :  e  tante  quante  mai  ne  vinnero,  tante 
se  partivano  cum  paura  de  non  essere  tagliate  a  pezze,  perchè  a  molte  minacciomo  do 
volere  gettarli  per  le  tenestre  de  lo  palazzo  ;  in  modo  che  ciascuno  cardinale  o  altro  pre- 
lato temevano  de  venire  se  non  erano  amici  de  casa  Baglione  ». 

>  n  card.  Adri.\no  da  Castello  né\V Itinerarium^  1.  e.  : 
«  Appenninicolae  accurnint,  visnque  senatu 
Reptantes  genibus  per  humura  nova  numina  adorant  ». 

*  Machiavelli,  ibid..  Lett.  S2. 

^  Paris  de  Grassis,  1.  c.  :  «  Gentes  armorum  hoc  modo  iverunt,  quia  consului  perìtos 
in  arte  militari  qui  dixerunt,  «ic  sub  Alexandre  factum  fuisse  a  tunc  Duce  Valentino,  vi- 
ilMicet  ut  omnes  essent  per  v<am  ad  longum  dispositi,  ut  eos  papa  videro  posset,  videlicet 
(*\tra  et  prope  portam  urbis  ».  Circa  1*  ingresso  di  papa  Giulio  in  Perugia,  e  l'aflermazione 
del  Machiavelli  veggasi  quel  che  scrive  Ariodante  Fabretti.  Biografìa  de'  capitani  r«n- 
turieri  dell'Umbria,  voi.  Ili,  png.  \94  in  nota. 


Digitized  by 


Google 


sKCONDoJ  GIULIO  SECONDO  E  IL  BAGLIOyi.  335 

mine  si  abbia  ad  avere  questa  cosa,  io  non  lo  so  ;  si  dovrà  ve- 
dere fino  a  sei  o  otto  dì  che  il  papa  starà  qui  ».  ^ 

Ma,  d'attentati  non  vi  fu  neppur  Torabra,  e  i  presenti- 
menti e  le  congetture  del  segretario  cadder  tutti  nel  vuoto.  Ed 
era  naturale,  dapoichè,  quand'anche  il  Baglioni  fosse  stato 
così  arditamente  perverso  da  tentare  il  colpo  che  Niccolò  im- 
maginava, quando  anche  nella  natura  di  lui  non  fosse  stata 
maggiore  T  ipocrisia  della  baldanza,  egli  non  poteva  aver  cer- 
tezza nessuna  che  con  ciò  avrebbe  sottratto  Perugia  per  sempre 
alla  signoria  della  Chiesa,  la  quale  era  nel  momento  più  favo- 
revole del  suo  dilatarsi.  Invece  egli  vedeva  aperto  quel  che  i 
suoi  consigliatori  curiali  gli  mettevan  sott'occhio;  che  cioè,  nei 
disegni  del  pontefice,  il  Baglioni  era  l'occasione  più  piccola, 
la  men  sufficiente,  il  pretesto;  da  poi  che  non  per  soccorrer 
lui  si  sarebbe  mosso  il  re  di  Francia;  né  a  Venezia  importava 
nulla  che  Giampaolo  ruinasse.  Però  quando  la  dignità  del 
pontefice  coU'umiliazione  del  Baglioni  potesse  uscir  soddisfatta, 
quando  nell'accogliere  la  sottomissione  del  vicario  quegli  tro- 
vasse r  utilità  sua,  la  causa  di  Giampaolo  poteva  dirsi  assicu- 
rata; ma  del  Bentivoglio  non  era  in  alcun  modo  a  credere 
altrettanto.  Da  poi  che  per  papa  Giulio  questo  valeva  come 
egregio  richiamo;  né  in  altra   maniera  avrebbe   potuto   con- 

*  Machiavelli,  Comm.  cit.,  Lett.  22.  —  Cf.  questo  passo  col  capo*xxvii,lib.  i  dei  Di- 
icorti:  «  Fu  notata  dagli  uomini  prudenti,  che  col  papa  erano,  la  temerità  del  papa  e  la 
viltà  di  Oiovampagolo  ;  né  potevano  stimare  donde  si  venisse  che  quello  non  avesse,  con 
«uà  perpetua  fama,  oppresso  ad  un  tratto  il  nemico  suo,  e  so  arricchito  di  preda,  sendo 
col  papa  tutti  li  cardinali,  con  tutte  le  lor  delixie.  Nò  si  poteva  credere  si  fusse  astenuto 
per  bontà  o  per  conscienza  che  lo  ritenesse:  perchè  in  un  petto  d*un  uomo  facinoroso,  che 
<i  teneva  la  sorella,  che  aveva  morti  i  cugini  ed  i  nepoti  per  regnare,  non  poteva  scen- 
<lere  alcuno  pietoso  rispetto;  ma  si  conchiuse,  che  gli  uomini  non  sanno  essere  onorevol- 
mente tristi  0  perfettamente  buoni  ».  —  E  quanto  airaccusa  che  Giampaolo  Baglioni  si 
tenesse  la  sorella,  se  ne  à  proposito  anche  nella  CronicheUa  sopra  le  ultimr  azioni  di 
Lorenzo  de' Medici  duca  d'Urbino,  scritta  da  Gherardo  Bartolini  Salimreni  (Vedi  De- 
lizie degli  eruditi  toscani^  tom,  xxin,  app.,  pag.  48):  «  rimase  prigione  el  signor  Oostan- 
tino  figliuolo  del  signor  Gian  Paulo  con  molti  de'sua.  Era  el  signor  Gostantino  molto  amato 
tlal  padre,  dicevano,  più  che  tutti  li  altri,  perchè  era  nato  di  una  sua  sorella,  et  aveva 
tutta  la  efSgie  paterna  ».  Di  lei  non  ci  dà  il  nome  neppure  Pietro  Barbati  fulignate  nella 
Selva  in  morte  di  Gio.  Paolo  Baglioni  cf.  Fabretti,  op.  cit.  Documenti  pag.  4T.Ì  sgg.  — 
Nel  racconto  della  Guerra  del  sale  tratto  dalle  Memorie  inedite  di  Girola&io  del  Frollierh 
(Archivio  storico,  t.  xvi,  parte  ii,  pag.  437)  si  dice  di  Giampaolo  ch'ei  fu  «molto  inclinati! 
ad  amar  donne,  da  le  quale  fu  sommamente  amato  per  il  delicato  e  signorile  aspetto  cho 
in  Ini  si  mostrava  ».  —  Nella  Cronica  del  Matarazzo  (ibid.,  pag.  20)  è  detto  che  di  Gio- 
vampaolo  «  aveva  una  sorella  per  donna  messer  Jeanne  da  Tode  ».  —  Questa  era  la  Ca- 
milla. Ma  a  pag.  I5S,  tenendo  proposito  di  quella  che  fu  vedova  di  Giovanni  Gatto,  signore 
di  Viterbo,  aggiunge  :  «  Et  el  magnifico  Giovan  Paolo  era  aleggiato  in  casa  de  madonna 
Ipolita,  sua  carnale  sorella,  quale  era  vedua,  e  così  vedua  reggeva  lo  stato  di  Viterbo,  man- 
tenendo parte  colondese  e  ghibelìna  commo  faceva  suo  marito  ;  e  suo  fratello  le  tolse  In 
stato,  commo  inimico  de  parte  ghibelina,  e  rimise  li  fuoruscite,  inimice  de  sua  propria  sorella. 
Vero  è  che  sua  sorella  non  aveva  figlioli  maschi  ;  ma  nondimeno  era  questa  madonna  Ipolita 
tanto  amata  in  Viterbo, che  non  lo  porria dire, perch'era  donna  de  somma  prudenziae  ingegno». 


Digitized  by 


Google 


336  CAPO  TERZO.  [libro 

durre  nelle  sue  reti  coloro  che  divisava,  se  non  spingendo  le 
cose  sino  airestremo,  stornando  ogni  tentativo  d'accordo  e  di 
sottomissione,  oflFrendo  cioè  condizioni  inaccettàbili.  Però  chi 
giudicò  cagione  del  non  essersi  lui  acconciato  col  pontefice 
l'orgoglio  di  Ginevra  Sforza,  cui  messer  Giovanni  gloriava  come 
<  maironarum  decus  »,^  non  vide  l'intimo  del  vero,  non  vide 
quel  che  i  mandatari  del  Bentivoglio  vedevano,  che  il  papa, 
cioè,  toccava  Bologna  per  ferire  Venezia;  che  però  voleva  toc- 
carla ad  ogni  modo;  che  voleva  disfare  il  principato  bentivo- 
gliesco,  fondato  sopra  al  privilegio  d'un  papa  veneto,  *  per  far 
prova  certa  se  l'armi,  collegate  da  lui  nel  trattato  di  Blois,  eran 
capaci  di  moto.  E  qui  consisteva  tutto  il  giuoco;  che  papa 
Giulio  aveva  fatto  tutto  il  suo  fondamento  sul  re  di  Francia,  ^ 
come  sul  più  facile  ad  essere  strascinato;  giudicando  così,  e 
fa  orrore  a  ripensarlo,  «  assicurare  Italia  da  chi  disegnava 
mangiarsela  ».  ^  E  i  Fiorentini  e  il  Machiavelli  eran  costretti 
a  pensarla  in  eguale  maniera:  tanto  l'esiziale  supremazia  di 
una  repubblica  sulle  minori  repubbliche  metteva  spavento;  tanto 
era  naturalmente  inconcepibile  la  coesione  dei  diversi  popoli 
della  penisola  se  non  per  via  d'oppressione  sotto  al  men  de- 
bole! Ma  i  Veneziani,  di  rimando,  eran  tenuti  in  iscacco  dal 
re  di  Francia  collo  spauracchio  imperiale;  tanto  che  quegli 
piuttosto  che  scendere  in  campo,  confortava  il  pontefice  «  a 
satisfare  in  qualche  parte  a'Viniziani  »,  '^  e  il  papa  ne  aveva 
dispetto,  e  Firenze  paura. 

Se  non  che  Giulio  aveva  fatto  bene  i  suoi  computi;  e 
quando  pure  fosse  rimase  solo  ad  aflfrontare  il  Bentivoglio,  le 
armi  che  aveva  accozzate  a' soldi  della  Chiesa  bastavano  ad 
assicurargli  la  buona  riuscita  dell'impresa.  Egli  anzi,  andava 
vantando  che  «  quando  li  altri  modi  non  bastassino  si  era  pre- 
parate forze  di  qualità  da  far  tremare  Italia  non  che  Bologna  ».  ^ 


1  Giorgio  Quapnbr,  DeseHptio  cvoU.  Bononiae,  pag.  16.  —  Dulcini,  De  vario  Bononiaé 
statu,  lib.  VI,  pag.  77.  —  Db  Bursbllis,  loc.  cit.  —  Ranrb,  Qetchichte  der  romanitchen 
und  germanitchen  Vóllterf  pag.  216. 

*  DuLciMi,  De  vario  Bononias  stolu,  lib.  ti,  pag.  70. 

*  Machia VRLLi,  Commiss,  cit.,  LeU.  84:  «  Parlando  questa  mattina  con  Tuomo  di  messer 
Giovanni,  mi  disse  come  el  papa  cominciava  a  prestare  orecchi  a*Vi|iiziani,  e  come  saria 
facii  cosa  che  si  appuntassi  con  loro  per  fare  questa  sua  impresa.  Mostrò  lui  averla  per 
buona  nuova,  perchè  non  poteva  credere  che  *1  re  di  Francia  non  aiuti  messer  Giovanni, 
quando  e'Vinesiani  se  li  scuoprino  contro  el  papa,  e  che  permetta  che  altri  faccia  quello 
che  non  ha  voluto  far  lui  ». 

*  Machiavblli,  Commiss,  cit.,  Lett.  50. 

»  Bibl.  Nas.,  doc.  M.,  busU  iv,  n.  176,  Lettera  de'Dieci  al  M.  *  die  24  septembris  1506  ». 

*  Machiavelli,  Commiss,  cit..  Lett.  44. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDoJ  MORTE  DI  FILIPPO  DI  BORGOGNA.  3»7 

Ciò  malgrado,  nel  caso  che  il  papa  avesse  voluto  far  da  sé, 
il  modo  più  certo  di  distruggere  il  Bentivoglio  era  «  te- 
nerlo in  sulla  spesa  »,  contornarlo  d'armi,  minacciarlo  del 
guasto  de' campi  alla  nuova  stagione,  obbligarlo  a  consu- 
mare tutto  il  \nobile  della  sua  privata  ricchezza,  ridurlo  alla 
paura  di  trovarsi  poi  fuori  di  casa  e  povero  ;  vincerlo  cioè  colla 
pazienza.  ^  Ma  questa  vitlfcria  da  indugiatore  non  era  da  at- 
tendere dal  della  Rovere  subitaneo  e  furioso;  tanto  che,  s'egli 
fosse  stato  ridotto  a  strappar  la  vittoria  solo  colla  cautela 
del  suo  procedere,  forse  non  avrebbe  mai  vinto.  Invece  i 
fatti  sopraggiunsero  a  favorir  la  temerità  sua,  e  a  dargli  tanto 
ragione  che  la  fortuna  di  lui  si  foggiò  come  una  regola:  —  «  E' 
si  ottiene  con  l'impeto  e  con  l'audacia  molte  volte  quello  che  con 
modi  ordinari  non  si  otterrebbe  mai  » .  ^  —  Se  non  che  l' impeto 
e  l'audacia  di  papa  Giulio  non  avrebber  dato  cagione  al  Ma- 
chiavelli di  registrare  anche  questo  esempio  fra  i  ben  avventu- 
rati, quando  le  condizioni  esterne  della  politica  non  si  fossero, 
indipendentemente  dalla  umana  iniziativa,  modificate  in  maniera 
da  render  quell'impeto  secondabile  senza  soverchia  apparenza 
d'errore. 

Ma  a' di  26  di  settembre  del  1506  sul  flore  degli  anni, 
rapito  dal  mazucco,  cessava  di  vivere  in  Burgos  Filippo  di 
Borgogna;  il  quale,  morta  Isabella  di  Castiglia,  che  aveva  la- 
sciato per  testamento  la  successione  del  suo  regno  a  Carlo  fi- 
gliuol  di  lui,  appoggiato  e  uccellato  da  Francia  e  da  Inghil- 
terra insieme,  aveva  assunto  il  titolo  di  re  di  Castiglia  contro 
re  Ferdinando,  cui  era  deputata  la  reggenza  sino  alla  mag- 
giore età  del  nipote.  Egli  moriva  senza  aver  mostrato  alcuna  di 
quelle  qualità  grandi  che  rifulsero  poi  in  Carlo  quinto;  ^  mo- 
riva, dopo. aver  cercato  indamo  nella  sua  vita,  sfruttando  le 
opportunità  colle  tergiversazioni,  altro  guadagno  che  la  dif- 
fidenza altrui. 

Se  non  che  la  morte  sua  cadeva  acconcia:  «  potria  causare 
0  la  ritornata  del  re  Ferrando  in  Spagna,  o  altri  moti  »  ■*  — 
«  il  re  di  Francia  sarà  più  libero  a  potere  favorire  la  Chiesa  ».  ^ 

Cosi  congetturava  il  Machiavelli  e  con  avvedutezza  ;  dap- 
poiché Giulio,  sciolto  dalle   paure  che  gli  cagionavan  gli  ao- 

^  Machiavelli,  ibid.,  Lett.  24. 

*  Machiavelli,  Discorsi,  1.  in,  e.  xliv. 

*  De  Leva,  Storia  documentata  di  Carlo  V,  t.  i,  pag.  93. 

*  Machiavelli,  Commiss.  cit.,  Leu.  4S. 
»  Id.  ibid.,  Leu.  50. 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  23 


Digitized  by 


Google 


I 


338  CAPO  TERZO.  [l 

cordi  di  Filippo  col  padre  suo  Massimiliano  e  col  cardinale 
d'Amboise,  il  quale  ripensava  bramosamente  al  papato  e  ten- 
tava sfruttare  il  malcontento  de' cardinali  colla  riunione  d'un 
concilio,  fulmina  nuove  bolle  contro  il  Bentivoglio  e  i  suoi 
seguaci;  per  cui  le  proprietà  loro,  come  di  ribelli  della  Chiesa, 
vengono  abbandonate  in  preda  a  chi  le  toglie;  le  loro  persone 
concesse  a  chi  le  piglia  prigioni;  a  chi  le  ammazza,  indulgenza 
plenaria.  E  se  non  era  per  «  non  mutare  natura  »  —  cosi  di- 
ceva papa  Giulio,  —  avrebbe  fatto  appiccare  il  cancelliere  del 
Bentivoglio,  che  sempre  era  stato  alla  sua  corte.  ^ 

Due  giorni  dopo,  fatto  chiamare  il  Machiavelli  a  sé:  —  «  i 
Francesi  vengono,  gli  dice,  e  in  quel  numero  che  io  gli  ò  richiesti, 
0  più;  e  io  li  ò  satisfatti  di  danari  e  d'ogni  altra  cosa  anno 
domandata;  e  oltre  a'  mia  quattrocento  uomini  d'arme,  io  ó  le 
genti  di  Gian  Paolo,  che  sono  centocinquanta  uomini  d'arme;  ò 
I  cento  stradiotti,  che  io  dissi  di  aspettare  del  reame,  e  tu  li  devi 

^  aver  visti.  È  venuto  a  trovarmi  il  marchese  di  Mantova  con 

'  cento  cavalli  leggieri,  e  di  nuovo  à  mandati  per  altrettanti;  verrà 

a  trovarmi  ad  Imola  il  duca  di  Ferrara  con  più  di  cento  uomini 
d'arme,  e  tutti  gli  altri  che  lui  à,  staranno  a  mia  posta;  ó  sborsati 
I  e'  danari  per  le  fanterie  che  vengono  coi  Francesi,  e  per  quelle 

che  io  voglio  di  qua  meco;  e  in  ultimo,  perchè  ognuno  intenda 
ch'io  non  voglio  patti  con  messer  Giovanni,  ò  pubblicategli 
come  una  crociata  addosso.  Ora  se  quelli  tuoi  signori  non  vo- 
gliono essere  gli  ultimi...  bisogna...  che  tu  spacci  loro  subito  uno 
a  posta,  e  per  mia  parte  significhi  loro 'il  desiderio  mio,  che 
sieno  contenti  inviare  alla  volta  d'Imola  il  signor  Marcantonio 
Colonna  con  li  cento  uomini  d'arme  della  sua  condotta;  e  dirai 
loro  che,  come  e'  veggono,  io  potrei  fare  senza  queste  genti, 
ma  che  io  le  desidero,  non  per  l'utile  che  io  sia. per  trarne, 
ma  per-  avere  giusta  cagione  di  beneficarli  e  favorirli  ne'  mag- 
giori desideri  loro,  quando  l'occasione  venissi;  la  quale  sarà 
sempre,  quando  la  chiesa  sia  in  quella  riputazione  ch'io  spero 
condurla  ».* 

E  i  Fiorentini  accontentarono  il  papa  violento,  che  aveva 
saputo  imporre  la  neutralità  a'  Veneziani;  rivoltare  a  favor 
suo  il  cardinale  d'Amboise  con  promesse  di  cardinalato  per  tre 
suoi  nipoti;  tanto  che  l'armi  dello  Chaumont,  uscite  di  Milano 

1  Machiavelli,  ìbid..  Lott.  52.  Questo  cancelliere,  che  il  M.  chiama  messer  Jacopo,  è 
detto  da  Paride  de*  Grassi  Jacopo  Gambari. 
*  Machiavelli,  ibid.,  Lett.  54. 


Digitized  by 


Google 


SBCOifDo]  GIULIO  SECONDO  ENTRA  IN  BOLOGNA.  839 

a  protezione  del  Bentivoglio,  ricevettero  a  mezza  strada  co- 
mando d'unirsi  invece  all'esercito  pontificio.  Questo  partito  mal- 
cauto era  un  tradimento  ^  pel  Bentivoglio,  in  un  subito  aperta- 
mente diffidato  della  protezione  di  Francia  se  non  ottemperava 
fra  due  giorni  al  pontefice;  di  modo  che  egli  perdette  cosi  tutte 
le  speranze  di  più  resistere;  e,  raccolto  quanto  potè  della 
sua  privata  ricchezza,  riparò  colla  sua  famiglia  esule  a  Milano, 
cedendo  la  città  felsinea,  seggio  di  libertà  e  di  sapienza,  al 
pontefice  ligure  che  v'entrava  superbamente,  con  oltraggio  del- 
l'umanità,  portato  su  spalle  d'uomini;^  serbando  allo  Chau- 
mont,  giocolato  in  un  col  suo  Cristianissimo  re,  l'onore  di  sor- 
reggere nella  processione  i  lembi  aurei  del  pluviale  pontificio.  ^ 
E  come  sovrano  riformò  lo  stato  della  città,  vezzeggiando,  se- 
condo consuetudini  d'ecclesiastica  scaltrezza,  la  plebe  cieca;  e 
come  sacerdote  segnò  di  cenere  le  fronti  agli  oppressi  e  ri- 
cordò loro  ch'erano  polvere.  Ma  la  popolaglia  non  tardò  alla 
ribellione;  e  due  portenti  d'arte,  due  statue  di  papa  Giulio, 
che  dovevano  esser  trofeo  di  quella  vittoria  pontificale,  mandò 
alla  sua  volta  furiosamente  in  frantumi^  ed  in  polvere. 

Se  non  che  i  Fiorentini  dal  lieto  successo  del  pontefice 
s'erano  grandemente  inanimiti  a  sperare.  Il  Machiavelli  aveva 
scritto  loro:  <  se  Bologna  gli  riesce,  non  perderà  punto  di 
tempo  in  tentare  maggior  cosa,  e  giudicasi  che,  o  questa  volta 
Italia  si  as?5icurerà  da  chi  à  disegnato  inghiottirsela,  o  non 
mai  più  >.  5  II  papa  inoltre,  procedendo  innanzi  nel  suo  viag- 
gio, aveva  studiosamente  evitato  di  lambir  le  terre  de'  Vene- 
ziani, preferendo  andare  ad  Imola  per  la  via  de'  monti  e  a 
gran  fatica;  passando  piuttosto  pel  dominio  di  Firenze,  che  non 
sentirsi  gli  orecchi  offesi  da  grida  a  favor  della  repubblica  di 
San  Marco.  Niccolò  l'aveva  preceduto  con  sollecitudine  per  la 
montagna,  segnando  il  cammino,  facendo  preparativi  d'ogni  ma- 
niera perchè  non  mancassero  né  provvigioni  né  alloggi.  A 
Marradi  aveva  ofierto  al  papa  il  presente  della  Signoria  floren- 


»  DuMBSXiL,  Histoire  de  Jules  IT,  sa  vie  et  son  pontificai,  Paris,  1873,  pag.  75:  «  Co 
manque  eie  foi  anéantit  Tespoir  de  Bentivoglio  ». 

'  ADRIANO  DA  Castello,  ItÌTierarium:  «  Gestatusque  hominum  scapulis,  longo  agmine 
prodit  ».  _ 

•  Paris  dk  Grassis,  Diario.  —  Gborgii  Ti.omi,  Mediolanenais  leti  de  expeditione  Uof- 
Uca,  lib.  i,  nella  Raccolta  del  Grevio,  ^v,  parte  i. 

*  B.  Podestà,  Di  due  statue  di  papa  Giulio  II  negli  Aiti  e  Memorie  della  Deputa- 
zione di  storia  patria  dell'Emilia. 

»  Machiavelli,  Commiss,  cit.,  lett.  63. 


Digitized  by 


Google 


340  CAPO  TERZO.  [libro 

tina:  sei  barili  di  vino,  due  fiaschi,  una-soma  di  pere.  ^  Quando 
Francesco  Pepi  nominato  oratore  presso  al  pontefice,  fra  tante 
sue  pompe  e  venture  desideroso  d'aver  vicino  una  persona  di 
autorità,  andò  a  surrogare  il  Machiavelli;  questi  poteva  tor- 
narsene colla  ferma  opinione  che  la  tempesta  contro  a  Venezia 
era  già  raccolta  e  vicina  a  prorompere. 

Aveva  in  questo  mezzo  fatta  esperienza  della  natura  del 
governo  ecclesiastico  e  di  quella  di  papa  Giulio.  Da  questa 
aspettava  più  che  non  da  quella,  organicamente  viziosa  e  de- 
stinata a  vivere  e  morire  da  fiacca  e  dell'occasione.  Ma  papa 
Giulio  che,  come  ebbe  a  scrivere  il  Brosch,  aveva  tolta  l'ere- 
dità dei  Borgia  col  beneficio  dell'  inventario,  ^  seguitando  l'ab- 
bassamento dei  vicari,  con  una  furia  oculata  e  fortunatissima, 
con  uno  scaltro  armeggìo  di  soldati  e  d'interdetti,  d'armi  tem- 
porali e  spirituali  accozzate  insieme,  riesce  a  cementare  al- 
leanze contratte  a  malincuore,  a  muover  forze  ritrose,  a  destar 
guerre  paurose  e  indispensabili;  a  mutare  alla  chiesa  modo  e 
proporzione  di  forze  in  Italia;  a  procacciarle  tanta  ricchezza 
e  signoria,  da  bilanciare  il  morale  discreditg  in  cui  era  scaduta 
fra  noi  e  oltre  a'  monti. 

Non  era  opera  grande,  maf  difficile  e  avventurosa;  e,  se- 
condata dalla  fortuna,  circondò  di  splendore  il  nome  del  della 
Rovere,  il  quale  si  contentò  di  provocare  la  sorte  e  lasciarla 
qual  era,  senza  pretendere,  siccome  i  Borgia,  d'indurla  colla 
cautela  a  mutar  natura  e  diventare  prudenza;  voltandola  tutta, 
<  e  con  tanta  più  sua  laude  >  ad  accrescere  la  chiesa  e  «  non 
alcun  privato  ».  ^  Se  non  che  la  chiesa  in  questi  suoi  accre- 
scimenti affrontava  i  principi  coll'occasione,  barattava  l'auto- 
rità col  potere,  s'avvinceva  per  via  d'interessamenti  le  genti 
che  non  teneva  più  coll'ossequio.  Tale  era  papa  Giulio,  tale  la 
corte  di  Roma  agli  occhi  del  Machiavelli. 


^  Era  antica  consuetudine  offrir  dono  a* pontefici  di  naturali  prodotti.  A  Gregorio  XI 
che  riportava  la  sede  papale  a  Roma,  il  comune  di  Pisa,  al  passaggio  di  lui,  preparava: 
«  vegetes  quatuor  vini,  videlicet,  die  vini  Corsi  et  due  vini  vermilii,  si  bonum  poterit  re- 
periri,  alias  alterius  vini  albi.  Vitule  quatuor,  castrati  octo,  pullastrorum  et  puUastramm 
paria  quimquaginta  simul,  otc.  »  —  Cf.  Archivio  della  Società  romana  éU  storia  patria, 
fase,  xn,  pag.  493. 

*  Bbosch.  PapMt  JuUut  und  die  Qrxindung  dei  Kirchenstaates,  pag.  122. 

*  Machiavelli,  Principe,  cap.  xi. 


Digitized  by 


Google 


Capo  Quarto 


IL  MACHIAVELLI   E   LA   MILIZIA    FIORENTINA. 


Chi  dice  imperio,  regno,  principato,  repu- 
bllca....  dice:  iustltia  et  armi. 

(Macruvklli.  Relazione  $ull'ordi' 
nansa  della  milizia). 

....perchè  In  quelli  eserciti  che  non  è  una  af- 
fezione verso  di  quello  per  chi  e 'combattono, 
che  gli  facci  diventare  suoi  partigiani,  non 
mal  vi  potrà  esjtere  tanta  virtù  che  basti  a 
resistere  ad  uno  nimico  un  poco  virtuoso.  B 
perchè  questo  amore  non  può  nascere,  nè7|iiesta 
gara  da  altro  che  da*  sudditi  tuoi  ;  è  neces- 
sario a  volere  tenere  uno  stato,  a  volere  man* 
tenere  una  repubblica  o  uno  regno,  armarsi 
de' sudditi  suol. 

(Macdiavslli,  Discorsi,  i,  43). 


Talvolta  Q  biografo,  per  collocare  nella  sua  vera  luce  la 
storia  di  alcuni  singoli  pensieri,  di  alcune  singole  opere  ap- 
partenenti al  personaggio  di  cui  illustra  la  vita,  è  costretto  iì 
eccedere  precariamente  lo  stretto  limite  cronologico,  e  a  cor- 
rere dietro  a  un  fatto  che,  com'è  naturale,  nella  vita  di  quel- 
l'uomo procedette  in  compagnia  d'altri  fatti  simultanei;  ma  che 
non  gli  è  possibile  abbracciare  nel  complesso  e  giudicare  ade- 
guatamente, se  ei  non  lo  libera  dall'  impaccio  delle  interruzioni 
fortuite  e  non  logiche,  e  non  lo  prende  a  considerare  di  per  sé. 
Ciò  non  vuol  dire  che  il  biografo  possa  isolar  quel  tal  fatto, 
o  trasportarlo  fuori  dell'ambiente,  o  sottrarlo  alle  condizioni  che 
determina  l'attrito  degli  altri  fatti  concorrenti  ;  ma  sibbene  che, 
presolo  una  volta  di  mira,  gli  giova  seguitare  ad  osservarlo 
sino  al  momento  in  cui  raggiunge  uno  sviluppo  completo,  sic- 
come il  punto  principale  in  cui  si  fa  temporaneamente  conver- 
gere l'attenzione  e  di  chi  scrive  e  di  chi  legge.  E  l'intendi- 
mento che  ci  siamo  proposti  nel  condurre  il  presente  capitolo 
è  stato  precisamente  di  tal  natura. 

Avvertimmo  già  come  ci  pareva  eh' e' convenisse  di  trat- 
iare in  apposito  luogo  dell'opera  che  il  Machiavelli  spese  per 
ripristinare  le  statuali  milizie,  dei  gradi  per  cui  la  sua  mente 


Digitized  by 


Google 


3tt  CAPO  QUARTO.  [libbo 

ebbe  a  trapassare,  delle  fasi  cui  andò  sottoposto  il  suo  disegno 
prima  d'essere  condotto  a  termine  e  colorito.  ' 

Questo  periodo  operoso  e  pratico  della  vita  di  Niccolò  can- 
celliere, tutto  occupato  negli  ordinamenti  militari  dello  stato, 
risponde,  a  nostro  credere,  all'altro  forzatamente  speculativo 
e  teorico  della  vita  sua,  in  cui  compose  il  libro  delV Arte  della 
guerra,  con  intenzione  conseguente  ma  diversa  e  per  impulso 
differentissimo.  Dappoiché  non  è  ora  all'antico  mondo,  al  mondo 
classico  ch'ei  ridomanda  l'ordine  e  il  prodigio  della  legione 
0  della  falange;  ma  il  suo  proposito  si  rallaccia  a  tempi  assai 
più  recenti;  muove  tutto  dalle  tradizioni  comunali  di  Firenze; 
per  le  quali  egli  riesce  ora  quasi  a  richiamare  a  vita  un  eser- 
cito, ma  non  gli  vien  fatto  di  trovar  capitano  che  lo  comandi  ; 
mentre  a  ricostruire  poi  l' ideale  d' un  generale  supremo  ebbe 
a  consacrare  in  quel  suo  libro  tutta  la  meditazione,  l'esperienza 
propria,  la  tradizione  antica. 

Come  cancelliere,  una  certa  cagione  per  occuparsi  del- 
l'anni e  della  difesa  dello  stato  ei  l'aveva  naturalmente;  però 
che  ne'cancellieri  d'allora  doveva  supporsi  per  lo  meno  tanta 
pratica  conoscenza  delle  consuetudini  militari,  che  loro  ren- 
desse possibile  la  trattazione  degli  affari  amministrativi  colla 
soldatesca,  in  un  tempo  in  cui  non  essendo  distinte  le  attribuzioni 
del  potere  esecutivo,  il  disbrigo  di  ogni  faccenda  si  apparte- 
neva alla  cancelleria.  In  forza  degli  statuti  stessi  della  città, 
toccava  ai  notari  ed  ai  coadiutori  loro  assistere  i  «  consegna- 
tori »  dei  rettori  per  le  mostre  e  le  rassegne  degli  assoldati  del 
comune,  presiedere  a  quelle,  aver  contatto  coi  «  facitori  di  fatti 
di  soldati  »,^  trattare  i  capitoli  delle  condotte,  disbrigare  insomma 
quanto  all'amministrazione  di  quella  maniera  d'eserciti  si  rife- 
riva. Così  accade  che  non  solo  il  nome  di  Niccolò,  ma  quello 
ancora  di  messer  Marcello  Virgilio  s'incontrano  insieme  nelle 
conclusioni  e  ratificazioni  delle  condotte  de'capitani.  ^  Se  non 
che  quest'ultimo,   erede  di  quella  rettorica  che  aveva  fatto 


1  Vedi  più  sopra  a  pag.  322. 

*  V.  Statuta  populi  et  Communi»  Fiorentine,  t.  ii,  pag.  584  «  Ibid.,  pag.  783:  «  ii  de 
qaibus  communiter  dicitur  i  facitori  di  fatti  di  aoldaU  ». 

*  Nel  DuMONT,  Corps  diplomatique  du  Droit  des  geni,  X.  iv,  pag.  63-66,  si  anno  i: 
«  Capitula  Reip.  Florentinas  eum  Francisco  Gonzaga  March.  Mantuae  super  eius  tn««- 
tutione  et  conducta  »  fatti  «  die  25  cura  ratilicatione  diei  26  Junii  anno  1505  »  pubblicati 
dal  docum.  esistente  neirarchivio  di  Mantova.  In  questo  occorrono  per  testimoni  :  Tolomeo 
Pieri  spagnuolo,  di  Mantova,  e  Francesco  d'Eusebio  Malatesta,  di  Mantova,  cancelliere 
del  marchese  «  et  domino  Marcello  Virgilio  de  Florentia  et  domi$io  Nicolao  MalchivoeUo 
de  Florentia  ambobus  tecretarii»  et  cancellariis  dominationit  Fìorentinae  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCONSO]  LA  RIFORMA  DEL  CECCHL  343 

scrivere  il  libretto  «  de  militia  »  a  Leonardo  Bruni,  non  si 
diede  altro  pensiero  dell'armi  in  vita  sua,  che  allorquando  ebbe 
a  recitar  le  lodi  della  milizia,  come  orazione  funebre  alla  libertà 
morta  ;i  al  secondo  cancelliere  invece  va  reso  il  merito,  rico- 
nosciutogli novamente  solo  a' nostri  tempi  ne' quali  gli  archivi 
aperti  lasciarono  uscire  alla  luce  tanta  parte  di  verità,  il  me- 
rito che  più  gli  valse  presso  a' contemporanei,  d'aver  richia- 
mato a  vita  l'esercito  statuale,  ad  esclusione  delle  soldataglie 
prezzolate  e  di  mestiere. 

Se  non  che,  chi  volesse  attribuire  a  Niccolò  oltre  l' inizia- 
tiva del  fatto,  quella  dell'  intenzione  preconcepita,  non  si  appor- 
rebbe al  vero.  Vedemmo  già  come  questa  trapelasse  fra  i  molti 
vagheggiamenti  di  quella  tal  «  Riforma  santa  et  pretiosa  > 
di  ser  Domenico  Cocchi,  indicata  più  sopra  ;  ^  e  come  in  quella 
riforma,  fosse  per  dir  cosi,  riassunto  l'ardito  e  sincero  pro- 
gramma amministrativo  della  democratia  fiorentina.  Ma  l'ardire 
del  proporre  è  virtù  tanto  più  facile,  quanto  men  probabile  è 
a  chi  propone  trovarsi  mai  negl'impacci  dell'eseguire. 

Ser  Domenico  Cocchi  era  stato  esplicito:  dalla  considera- 
zione delle  gloriose  gesta  del  comune,  quando  esso  usava  chia- 
mare a  campeggiare  i  propri  cittadini  sotto  alle  bandiere,  gli 
era  sorto  il  pensiero  che  anche  allora  si  potesse  riuscire  simil- 
mente a  ordinare  le  bande  e  le  cavallate  come  in  antico.  Ma 
quanta  ruggine  d'obblivione,  di  corruzione  lenta  e  d'abusi 
lunghi  non  aveva  corroso  quella  lontana  istituzione!  Si  può 
anzi  dire  di  lei,  che  il  germe  del  proprio  disfacimento  l'avesse 
fin  dal  sua  nascere  ostentato  sopra  i  vessilli,  quando  il  comune 
era  nel  suo  più  bel  fiore.  Poiché  oltre  le  compagnie  del  mercato, 
de' balestrieri,  de'pavesari,  degli  arcadori,  delle  salmerie,  ei 
n'aveva  una  detta  dei  ribaldi,  che,  secondo  il  Villani,  ^  recava 

10  stendale  bianco  «  co'ribaldi  dipinti  in  gualdana  e  giucando  ». 
Ora  che  cosa  erano  questi  ribaldi?  che  quella  gualdana  che  gio- 
cavano? Sulla  etimologia  non  sembrano  consentire  gli  storici, 
ma  pare  bensì  che  s'accordino  quanto  al  significato. 

Il  Muratori  vuol  che  la  gualdana  tragga  origine  dalle 
gualde  0  gilde,  e  che  abbia  a  intendersi  per  mala  compagnia. 

11  Ducange  la  deriva  da  wald  (foresta)  e  opina  che  debba  per 


1  Mabcblli  Viroilii,  I  De  MUUiae  lau  |  dibus  oralio  |  FlorenUae  \  dieta.   Basilea» 
apud  Joannem  Frobeniam  mense  decembri  an.  m  .  D  .  xviu. 

*  V.  Introduzione  al  Ubro  aecondo,  pag.  145. 

*  Villani,  Croniche  di  Firenze,  lib.  vi,  cap.  xzxix. 


Digitized  by 


Google 


344  CAPO  QUARTO.  lUBEO 

questo  giuoco  intendersi  il  dar  la  caccia  agli  uomini  come  alle 
fiere  per  entro  le  selve.  Il  Ricotti,  senza  curarsi  della  deri- 
vazione del  vocabolo  la  definisce  :  un*  improvvisa  scorreria  a 
preda  e  guasto  sulle  terre  nemiche  «  e  tal  nome  aveva  l'ope- 
razione, tale  eziandio- la  ribaldaglia  che  l'eseguiva  >.i  E  pa- 
rimente è  dubbio  se  dal  tedesco  bcUd,  donde  si  originarono 
baldo  e  baldanza,  e  dal  raitb,  dà  cui  roba  e  rubare,  sia  da 
ripetere  la  voce  rubaldo,  ribaldo  e  ribaldaglia.  Fatto  sta  che 
se  mai  la  parola  ebbe  significato  non  vile,  nondimeno  pare  che* 
anche  in  principio  indicasse  venturieri,  e  quelli  in  particolare 
che  tanto  in  Francia,  quanto  in  Germania  unicamente  eserci- 
tavano la  milizia  a  piedi,  sdegnata  dai  vassalli.  E  quando  la 
sorte  del  vocabolo  peggiorò,  e  questo  fu  volto  a  significare 
uomo  di  perduto  costume,  addetto  a  bassi  ed  ignobili  ofiici,  A 
che  fu  appiccato  poi  anche  a  donne  di  malo  affare,  in  fondo  vi 
rimase  sempre  l'idea  di  volgo,  di  prezzo  e  di  ventura.^ 

Ora  essendo  frammista  alle  milizie  comunali  di  Firenze 
questa  bordaglia  di  mestieranti,  di  raccogliticci,  come  pare  dal 
Villani,  era  naturale  che  l'umor  di  costoro  dovesse  essere  il 
mal  seme  del  buon  campo;  che  per  esser  questi  più  vogliosi  al- 
l'offesa, e  i  cittadini  meglio  animati  alla  difesa,  dovesse  ingros- 
sarsene la  schiera  nelle  guerre  d'acquisto,  negli  assalti  delle 
castella,  nei  combattimenti  contro  gli  assoldati  dalle  piccole 
tirannidi.  Era  naturale  che  i  cittadini  preferissero  mandare 
prezzolati  contro  a  prezzolati,  quando  correndo  il  rischio  di 
esser  presi  prigioni  da  costoro,  o  venivano  maltrattati  o  a  troppo 
grave  riscatto  ricompravano  la  libertà.  Inoltre  la  etessa  vita 
comunale,  irta  di  fazioni,  di  gelosie,  di  gare,  sminuiva  co' so- 
spetti e  cogli  esili  l'amore  della  città.  E  praticandosi  dalla  parte 
vincente  d'escludere  l'avversa,  di  radere  le  case  agli  esclusi,  e 
toccando  lo  scambio  ora  a  guelfi  ora  a  ghibellini;  interveniva 
<ìhe  gli  usciti,  per  campar  la  vita,  si  mettessero  a'  soldi  di  qual 
fosse  comune  o  signore  presso  a  cui  la  parte  loro  sovrastasse, 
intenti  a  portar  l'arme  contro  la  terra  natale,  ogni  volta  che 
l'occasione  arridesse,  per  fare  in  quella  ritorno  e  vendette. 

Per  queste  cagioni  l'esercito  civile  in  Firenze  venne  a 
dechino,  e  quando  essa  ebbe  a  guerreggiare  contro  «  a'  vertu- 

1  Ricotti,  Storia  d^lls  Compagnie  di  Ventura,  t.  i,  pag.  130.  -  Muratosi,  Antiq. 
Italiae  dissert.  xxvi.  -  Docanob  :  Glotsarium. 

'  DucANGB,  1.  e.  —  DiBz,  EtyfnoiogiBché8  W9rterhuch  der  romaniaehen  Spraehen, 
pag.  348. 


Digitized  by 


Google 


BBCOKDO]  LA  MILIZIA  A'  TEMPI  DSL  MACHIAVELLI.  345 

diosi  masnadieri  »  del  Visconti,  come  narr^  Matteo  Villani,  ^ 
elesse  venti  buoni  uomini,  i  quali  «  commutarono  il  disutile 
e  dannoso  servigio  de*  contadini  personale  in  danari,  compen- 
sandoli che  pagassero  per  servizio  di  cinque  pedoni  per  centi- 
naio del  loro  estimo  per  rinnovata  dell'anno,  a  soldi  dieci  il  di 
per  fante  >.  Cosi  sdrucciolò  a  imporre,  in  luogo  del  servizio 
militare,  una  tassa  che  fruttò  cinquantaduemila  fiorini  all'anno, 
e  soppresse  le  cavallate,  colle  quali  avea  forniti  i  tempi  eroici 
della  storia  sua.  D'allora  in  poi  i  mercenari,  stranieri  prima, 
nostrani  poi,  presero  il  soperchio  nelle  vicende  della  nostra 
penisola  e  la  guerra  si  ridusse  tutta  a  maneggi  e  paure. 

Un  codice  membranaceo  dell'Archivio  delle  riformagioni  * 
ci  ragguaglia  ampiamente  della  condizione  della  milizia  stipenr 
diaria  nella  repubblica  di  Firenze  dall'anno  1368  per  insino  al 
1496,  del  modo  con  cui  doveano  essere  armati  i  connestabili  e 
cavalieri,  dell'arme  che  doveano  usare,  delle  multe  che  veni- 
vano imposte  ai  manchevoli,  delle  piccole  difese  che  aveva  la 
Signoria  contro  l'arbitrio  e  la  mala  disciplina  de' venturieri. 
Angli  ed  Ungari  eran  trattati  come  corpi  distinti;  Teutonici, 
Borgognoni  e  Italiani  si  consideravano   insieme,  muniti  delle 
stesse   armi,  sottoposti  ad  eguali  capitoli.   Tali  erano,  da  un 
lato,  le  condizioni  di  fatto  in  cui  Niccolò  trovava  le  cose  mili- 
tari; dall'altro,  stavano,  come  abbiam  detto  dianzi,  i  vagheggia- 
menti della  riforma  del  Cecchi,  per  cui  si  domandava  che  in 
ogni  capitanatico,  vicariato  e  podesteria  si  facesse  scelta  degli 
uomini  atti  alle  armi  e  a  tollerar  disagi;  e  che  questi  doves- 
sero continuamente  esercitarsi  coU'armi  indosso,  <  chi  colla 
balestra,  chi  cogli  scoppietti  o  con  le  roncole  o  con  le  lancio 
lunghe,  e  chi  a  cavallo,  a  uso  d' uomo  d'arme  o  a  uso  di  stra- 
diotto  col  cavalleggiere  ».  Probabilmente  si  sottintendeva  che 
il  limite  di  tempo  avesse  ad  essere  quello  fissato  già  nell'an- 
tica istituzione  delle  compagnie,  dai  quindici  ai  settant'anni, 
poiché  ser  Domenico  Cacchi  non  ne  dice  nulla;  bensi  accenna 
al  modo  dell'armatura,  ai  salari,  alle  rassegne,  agli  esercizi, 
lasciando  libero,  a  chi  farà  cosi  buona  provvisione,  l'ordine  da 
tenere  nel  chiamare  all'armi  la  città,  sia  gonfalone  per  gon- 
falone, o  popolo  per  popolo,  o  quartiere  per  quartiere;  accen*- 
nando  solo  che  le  fanterie  abbiano  ad  essere  il  nervo  del  nuovo 

>  storia  di  Firenze^  lib.  ii,  cap.  xlvi. 

*  Classa  XIII,  dist.  2",  n.  42.  -  Lo  pubblicò  il  Ricotti  in  appendice  al  secondo  volarne 
della  sua  Storia  delle  Compagnie  di  ventura,  pag.  315. 


Digitized  by 


Google 


346  CAPO  QUARTO.  [libbo 

esercito,  indicando- anzi  certo  congegno  di  «  mantelline  a  uso 
di  cartoccio  »,  da  sovrapporre  alle  carrette  delle  spingarde  e 
dei  passavolanti  per  proteggere  i  fanti  quanto  è  possibile  dalle 
ingiurie  delle  artiglierie.  ^ 

In  tutte  queste  proposte  c'era  un  grande  amore  per  l'an- 
tica istituzione  della  milizia  comunale,  un  gran  dispetto  del  pre- 
sente, e  una  grande  lusinga,  che  seguitando  la  via  accennata 
dall'autore  si  sarebbe  rimediato  a  tutto.  —  «  E'  non  s'ara  a  ire 
più  col  cembalo  in  colombaja,  scriveva  ser  Domenico,  che  quando 
noi  abbiamo  bisogno  di  far  mille  fanti,  si  pena  tanto,  che  e'ni- 
mici  nostri  si  sono  molto  bene  provveduti  !  >  —  Ma  insieme  al 
dispetto  del  presente  c'era  il  disprezzo  di  tutte  quelle  condi- 
zioni di  fatto  che  naturalmente  s'erano  determinate  col  lungo 
volgere  del  tempo;  c'era  una  chiusa  d'occhi  inconsiderata  su  tutto 
quel  che  era  intercesso  fra  quel  punto  di  partenza  e  lo  stato 
a  cui  s'era  alla  fine  pervenuto;  e  come  se  la  milizia  in  quel 
frammezzo  non  fosse  diventata  un  mestiere  e  la  guerra  un  con- 
gegno, come  se  non  ci  fossero  state  le  scuole  dalle  quali  i  co- 
nestabili  uscivano  formati  e  reputati,  il  Cecchi  proponeva  che 
a  capo  delle  bandiere  si  ponesse  uno,  il  più  atto,  il  più  suffi- 
ciente a  tale  mestiere  «  e  costui  sia  sopra  tutti  gli  altri  uo- 
mini del  suo  popolo  >.  A  questa  specie  di  capi  sarebbe  poi 
toccato  trovarsi  a  fronte  di  soldati  e  di  conestabili  del  mestiere, 
scaltriti  agli  schermi,  alle  malizie  dell'artiflcio  loro;  e  questo 
avrebbe  cagionato  per  cei*to  lo  scoramento  di  quelle  milizie 
schiette  e  volenterose  che  la  città  voleva  riuscire  a  mettere  a 
petto  delle  masnade. 

Siffatte  considerazioni  e'  inducono  anche  in  questa  occasione 
a  non  lodare  della  riforma  del  Cecchi  altro  che  l' intenzione  ot- 
tima e  l'idea  prima,  della  quale  fu  senza  dubbio  imbevuto 
anche  il  segretario  della  seconda  cancelleria.  Dappoiché  in 
quell'idea  c'era  qualcosa  che  consonava  coli' indole  di  lui; 
c'era  quel  disdegno  dell'ambiente  che  già  accennammo  essere 
una  delle  caratteristiche  del  Machiavelli;  c'era  desiderio  d'un 
di  quei  ritomi  alle  origini  in  cui  la  mente  di  lui  riponeva 
il  fondamento  de' progressi  civili.  Questo  bastava  perch'ei  si 
desse  ad  accarezzar  quell'idea,  a  correggerla  de' difetti  suoi, 
ad  infonderle  quella  virtù  che  l'avrebbe  fatta  capace  d'esser 


^  informa  utneta  et  pretiosa  ha  fatta  Domenico  di  Ruberto  di  ter  Mainardo  Cbc- 
CHI,  «te,  loc.  cit. 


Digitized  by 


Google 


8BC0ND0]  MkLA,  AMMINISTRAZIONE  DELL'ESERCITO.  347 

tradotta  in  pratica,  escogitando  fra  l' ideale  e  lo  stato  presente 
delle  cose,  che  per  quanto  gli  sapesse  tristo,  pure  apparitagli 
come  un  punto  certo  e  fisso  dal  quale  conveniva  spiccarsi,  una 
serie  continua  di  termini  e  un  termine  medio,  in  cui  Q  passato 
e  il  presente  si  riconciliassero. 

Certo  è  che  fin  dai  primi  anni  della  sua  vita  cancelleresca 
Niccolò  ebbe  stimolo  a  mettere  tutta  l'attenzione  sua  nello  spe- 
culare questo  compenso,  questa  tramutazione;  parendogli  che, 
non  foss'altro,  si  sarebbe  dovuto  far  qualcosa  che  scemasse  la 
confusione  con  cui  fino  allora  venivano  amministrate  le  cose  della 
guerra.  Il  modo  imj^rovvido  col  quale  si  facevano  le  condotte  dei 
conestabili,  quello  anche  più  balordo  con  cui  si  notavano  a 
registro,  distinguendo  soltanto  per  peli  e  segni  i  provvisionati, 
senza  guarentigia  alcuna  contro  gì'  inganni  e  le  frodi  de'cone- 
stabili  stessi  (e  nella  maggior  parte  de' casi  i  cancellieri  loro 
e  i  tamburini  eran  quelli  che  contrafiacevano  segni  e  peli,  e 
facevano  parlare  morti,  e  comparirli  per  vivi),  le  giunterie  che 
ayevan  luogo  alle  rassegne,  quando  a  mezzo  di  semplice  atte- 
stazione di  frate,  di  prete  o.  d'altro  privato  si  facevano  passar 
per  feriti,  per  malati,  per  morti  que' provvisionati  che  alla 
mostra  mancavano,  eran  cose  da  rivoltare  una  mente  non  dis- 
posta a  scusare  il  male  colla  consuetudine. 

.  E  v'era  di  peggio;  che  se  il  dare  i  danari  de' poveri  prov- 
visionati ai  conestabili  pareva  «  uno  scorticare  asini  per  pascere 
avvoltoi  >,  coi  cancellieri  stessi  che  il  governo  spacciava  a  so- 
pravvegliare  le  mostre,  sembrava  si  foggiassero  e  destinassero 
lupi  a  rassegnar  pecore;  che  lupi  diventavano  i  cancellieri 
messi  a  contatto  con  la  soldataglia.  Da  poi  che  questi,  poco  pra- 
tici delle  furberie  del  mestiere  che  andavano  a  invigilare  e 
poco  convenientemente  retribuiti  dallo  stato,  per  abuso  non 
mai  corretto,  anzi  avuto  quasi  in  ragione  di  costume,  venivano 
poi  ad  essere  adescati  a  mantenere  il  male  che  trovavano  colla 
riscossione  di  certe  propine,  di  certa  maniera  di  lucri,  donde 
il  loro  guadagno  giornaliero  risultava  effettivamente  anche 
maggiore  dello  stipendio  d'un  commissario  generale.  Cosi,  per 
esempio,  quando  scrivevasi  un  nuovo  conestabile,  andavan  loro 
tre  soldi  per  ogni  provvisionato;  e  se  questo  era  cassato  e  poi 
rimesso,  un  grossone;  a  ogni  rassegna  avevano  certe  paghe  se- 
condo certe  norme;  e  quando  riuscissero  poi  colla  loro  prontezza 
a  sottrarsi  a' garbugli  de'cancellieri  di  soldati,  se  non  bastavano 
all'avarizia  loro  i  proventi  consueti,  qualche  birba  di  conestabile, 


Digitized  by 


Google 


348  CAPO  QUARTO.  [libbo 

cacciando  loro  nelle  mani  destramente  qualche  ducato,  se  li 
faceva  conniventi  agi'  inganni  suoi.  Insomma  lo  stato,  non  ignaro 
che  gli  oflSciali  propri  si  trovavano  a  frequenti  occasioni  d'es- 
sere uccellati  0  corrotti  e  di  recargli  incalcolabile  danno,  pa- 
reva non  pensasse  o  non  sapesse  modo  di  porre  un  termine  a 
questa  condizione  di  cose. 

Ora,  alcune  Avvertenze  ai  Dieci  di  Balìa  per  la  condotta 
dei  conestaìnli  al  tempo  della  guerra  di  Pisa,  che  si  trovano 
nell'Archivio  delle  riformagioni,  ^  dando  chiaro  indizio  di  tutti 
gì'  inconvenienti  sopraccennati,  si  levarono  a  proporre  qualche 
espediente,  come  principio  di  rimedio.  Lo  scritto  è  senza  nome 
d'autore,  ma  chi  lo  pubblicò  fra  i  Documenti  per  servire  alla 
storia  della  milizia  italiana,  ^  suppose  (ed  era  persona  da  sup- 
porre autorevolmente)  che  fosse  opera  del  Machiavelli.  Infatti, 
la  qualità  delle  idee,  il  nerbo  e  la  spigliatezza  della  dizione 
sembra  che  giovino  a  cosiffatto  supposto.  S'incomincia  col  de- 
scrivere le  qualità  da  ricercare  in  un  conestabile,  e  il  modo 
d'esaminare  se  le  possiede,  prima  di  condurlo  a' soldi  del  co- 
mune; poi  si  passa  a  provare  la  poca  utilità  che  danno  le  pio- 
cole  condotte,  quelle  cioè  di  pochi  provvisionati;  e  si  vorrebbe 
che  ogni  conestabile  fosse  obbligato  per  contratto  a  fare  in 
modo  che  la  metà  de' suoi  provvisionati  fossero  balestrieri  <  per- 
chè non  si  può  condurre  per  il  comune  cosa  più  hutQe  che  i 
balestrieri;  et  de  l'altra  metà  si  dividessi  in  due  parti,  cioè  una 
parte  lance  lunghe,  et  l'altra  rotelle  o  scopiecti;  et  che  quelle 
arme  coniche  si  servono  e' provigionati  sieno  loro  proprie  et 
non  acchattate  ».  —  Quindi  l'autore  ragiona  del  modo  di  scri- 


^  Arch.  fior.,  ci.  viij,  n.  34  a  e.  9.  Il  carattere  del  .documento  è  degli  ultimi  anni  del 
secolo  decimoquinto  o  de*  primi  del  decimosesto.  Evidentemente  l'esemplare  di  cui  si  tratta 
è  una  di  quelle  copie  che  noi  chiameremmo  a  buono,  forse  quella  stessa  che  dovè  essere 
presentata  alla  S.Ha  o  ai  Dieci  ;  però  la  mano  dello  scrittore  è  ignota,  e  V  unica  conclusione 
che  è  possibile  cavarne,  è  che  probabilmente  chi  scrisse  non  fu  chi  compose  le  predotte 
Avvertenze. 

*  V.  Archivio  Storico  italiano,  serie  i,  t.  xv.  Documenti  per  servire  alla  Storia  deUa 
milizia  italiana  dal  xiii  iecolo  al  xvi,  per  Oiusbppb  Canksthini,  pag.  838  e  segg.  —  Il 
signor  Banchi  pubblicò  in  occasione  di  nozxe  un* altra  scrittura  intitolata  :  Modo  di  fare  e 
mantenere  un  esercito^  tratta  da  un  codice  miscellaneo  di  Pietro  Fanfani;  circa  l'autore 
della  quale  l'editore  non  volle  proferire  gindisio,  ma  tuttavia  accennò  Topinione  che,  quando 
la  non  sia  del  Machiavelli,  debba  essere  di  tale  che  ritraesse  della  forsa  del  pensiero  e 
dell'efficace  espressione  machiavellesca.  Probabilmente  il  signor  Banchi  ebbe  ad  essere 
indotto  in  questa  senteosa  dalle  connessioni  d' idee  che  suscitano  i  primi  incisi  con  cui  la 
scrittura  incominciasi  :  «  Non  per  prosunsione,  ma  si  desideroso  di  satisfarti  di  quanto  mi 
ricerchi,  ti  dirò  quel  tanto  ritrassi  nel  praticare  col  Giacomino,  e  massime  nella  passata 
guerra  per  la  ricuperazione  di  Pisa,  la  quale  Dio  per  sua  grazia  concesse  »  ecc.  Ciò  mal- 
grado, noi  non  sapemmo  ravvisare  alcuna  somiglianza  fra  l'indole  di  questo  scritto  e  quella 
delle  altre  opere  relative  ad  argomento  militare  che  sono  certamente  lavoro  del  Machiavelli. 


Digitized  by 


Google 


SKCO.XDol  A  VVBRTENZB  AI  DIECI  DI  BALIA.  349 

vere  un  conestabile  colla  sua  compagnia,  suggerendo  parecchie 
norme,  buone  a  scemare,  se  non  a  causare  del  tutto  le  ruberie 
loro;  indica  le  condizioni  con  cui  sarebbero  a  cassare  e  rimet- 
tere i  provvisionati,  guardando  bene  che  i  conestabili  non  fac- 
ciano passare  per  caporali  i-  loro  cancellieri,  né  scrivano  dolo- 
samente capronali  per  caporali;  e  similmente  enumera  altre  ma- 
riuolerie  delle  rassegne  e,  per  levare  di  mezzo  tutto  il  sudicio  delle 
scroccherie,  consiglia  ài  Signori  Dieci  di  Balia  che  «  mandin  f uora 
sopra  tale  opere  un  huomo  di  riputazione  et  di  somma  bontà, 
al  quale  si  dessi  un  cancelliere  pratiche,  acto  et  exercitato  in 
tal  cosa,  et  che  fussi  buono  et  dessiglisi  un  salario  conveniente; 
et  per  expresso  comandamento  et  sotto  pena  delle  forche  se  li 
facessi  intendere,  eh' e' non  potessi  pigljare  danari  di  scriptura 
ninna  facessi  per  conto  del  comune,  et  cosi  de  le  rassegne  ». 
Finalmente,  perchè  la  sorte  de*  provvisionati  e  le  sostanze  del 
comune  non  vengano  malamente  gittate  in  mano  a  cancel- 
lieri di  conestabili,  propone  che  T  ufficio  di  questi  venga  disim- 
pegnato da  un  giovane  fiorentino  messo  accanto  a  ogni  conesta- 
bile, 4c  et  sopra  tucto  buono  »  il  quale  tenga  conto  de'  morti, 
de' feriti,  dei  malati,  nell'interesse  del  comune  e  secondo  la 
verità  ed  abbia  patente  di  poter  ripigliare  per  tutto  il  dominio 
fiorentino  quei  provvisionati  che  si  partissero  senza  licenza,  e 
■  di  farli  impiccare  all'occorrenza,  come  fuggitivi  e  truffatori.  «  E 
dell'adottare  cosiffatti  espedienti  promette  al  comune  non  minor 
utile  che  onore;  si  farebbe  cosi  economia  di  danaro,  s'avreb- 
bero più  uomini  da  fatti  che  non  se  n'abbia;  e  i  commissari  che 
si  mandassero  in  campo,  verrebbero  trattati  con  maggior  rispetto, 
perchè  i  provvisionati  saprebbero  di  stare  col  comune,  dì  di- 
pendere da  lui  più  che  non  da' conestabili  propri,  come  sino 
allora  non  pareva  che  credessero;  e  «  la  signoria  di  Firenze, 
sarebbe  servita  meglio  che  potentia  d' Italia  »,  cosi  conchiude 
la  relazione. 

Se  questa  sia  o  no  opera  di  Niccolò  Machiavelli  non  è 
questione  che  possa  agitarsi  con  probabilità  di  giungere  alla 
certezza.  Certo  si  è  che  chi  scrisse  era  uomo  che  aveva  pra- 
tica della  cancelleria  e  delle  perfidie  de' segretari  di  soldati; 
era  uomo  affezionato  alla  libertà  popolare  e  alla  città  di  Fi- 
renze; era  stato  in  campo  a  lato  di  commissari  mal  rispettati; 
sapeva  ben  discernere  l'importanza  che  avevano  nella  batta- 
glia i  balestrieri;  e  vagheggiava  come  primo  fatto  possibile 
questo:  che  l'armi  mercenarie  si  potessero  correggere  tanto 


Digitized  by 


Google 


300  CAPO  QUARTO. 

da  parere  almeno  proprie  di  chi  le  pagava.  Ad  ogni  maniera, 
innanzi  ai  Signori  e  nella  cancelleria  andò  questa  memoria 
come  un  incitamento  per  cangiar  qualche  cosa  del  barbaro  co- 
stume con  cui  Tarmi  e  la  guerra  venivano  rette  insino  allora. 
Forse  gli  espedienti  che  si  proponevano  non  erano  tutti  accet- 
tabili ;  forse  erano  più  indizio  del  malcontento  del  presente  che 
della  ponderazione  delle  vie  acconce  a  mutarlo;  ma  per  fermo 
davano  un  segno  esteriore  del  proposito  e  come  una  leva  al- 
l'opera. Naturalmente  il  primo  impulso  era  leggero  e  modesto 
come  i  cominciamenti  di  quelle  cose,  a  toccar  le  quali  gl'inte- 
ressi e  i  pregiudizi  de'  molti  che  si  feriscono,  stanno  a  petto  delle 
morali  compiacenze  che  si  producono  nell'universale.  Non  vi  si 
trattava  di  mutazione  sostanziale,  non  si  dava  addirittura  il  bando 
alle  milizie  prezzolate;  ma  se  ne  diceva  male  e  si  voleva  che 
apparisse  come  il  prezzo  loro  era  sangue  del  comune.  Del  resto 
la  timidità  della  proposta  ci  è  argomento  a  supporre  che  chi  la 
metteva  innanzi  non  doveva  sentirsi  autorità  sufficiente  per  con- 
sigliare cose  più  fondamentali,  quantunque  le  misure  straordi- 
narie di  correzione  e  di  repressione  che  raccomanda,  lascino  in- 
traveder chiaramente  che  l'animo  dello  scrittore  era  capace  al- 
l'occasione di  consigli  anche  più  forti  e  d' una  esecuzione  piena 
di  fede  e  d'oculatezza.  Quello  che  importava  era  non  abbando- 
nare il  chiodo,  ma  ribadirlo;  tener  desta  e  costante  l'idea  che 
alla  riforma  dell'amministrazione  della  guerra  dovevasi  oppor- 
tunamente e  prossimamente  venire;  cogliendo  ogni  occasione 
per  far  rilevare  gli  sconti,  le  perdite,  i  danni  cui  esponeva  quel 
modo  indegno  di  governarla.  Né  il  Machiavelli,  come  avemmo 
agio  di  osservare,  iasciò  sfuggire  pur  una  di  quelle  occasioni. 
Anzi,  come  gli  si  offeriva  il  destro,  studiavasi  in  certo  modo 
compromettere  gonfalonieri  e  signori,  imbarcarli  addirittura  a 
toccare  delTesercito,  quando  anche  non  n'avessero  diretta  in- 
tenzione. Cosi  nel  marzo  1503,  allorché  stende  un  abbozzo  di 
conciono  da  pronunciarsi  in  (Jonsiglio  dal  Sederini  circa  la  prov- 
visione del  danaro,  «  tutte  le  città,  gli  fa  dire,  le  quali  mai 
per  alcun  tempo  si  son  governate  per  principe  soluto,  per  opti- 
mati  o  per  populo,  come  si  governa  questa,  anno  auto  per  de- 
fensione  loro  le  forze  mescolate  con  la  prudentia,  perchè  questa 
non  basta  sola,  e  quelle  o  non  conducono  le  cose  o  conducte 
non  le  mantengono.  Sono  dunque  queste  due  cose  el  nervo  de 
tucte  le  signorie  che  furono  o  che  saranno  mai  al  mondo;  e  chi 
à  observato  le  mutazioni  de' regni,  le  mine  delle  provincie  e 


Digitized  by 


Google 


«BOONDo]  ITALIA  E  GRECIA,  851 

delle  città,  non  le  à  vedute  causate  d^  altro  che  dal  manca- 
mento delle  armi  e  del  senno  >.  —  Poi,  raffrontando  le  condi- 
zioni di  Costantinopoli  minacciata  dal  Turco  e  quella  di  Firenze, 
attorniata  da  due  o  tre  città  «  che  desiderano  più  la  sua  morte 
che  la  loro  vita>,  e  disoprappiù  esposta  alla  balia  del  re  di  Francia, 
all'odio  de'  veneziani,  del  papa  e  del  Valentino  :  «  fra  gli  uo- 
mini le  leggi,  le  scripte,  e' patti  fanno  observare  la  privata  fede, 
esclama,  e  fra  e' signori  le  fanno  solo  observare  l'armi  >.  E 
conclude  incitando  i  fiorentini  a  difendere  quella  libertà  rimessa 
nelle  loro  mani,  che  era  nuda  e  sprovvista. 

A' Dieci  e  alla  Signoria  inculca  poi  di  sovente  com'egli  è 
indispensabile  il  fondare  la  difesa  della  repubblica  su  migliori 
elementi  che  non  fossero  gli  assoldati.  L'esempio  del  Valentino 
che  comandava  un  uomo  per  casa  in  Romagna  e  sotto  la  ferrea 
disciplina  di  don  Michele  gli  educava  poi  alla  milizia,  lo  per- 
suade che  si  può  forse  trovare  il  bandolo  per  venire  a  capo 
del  gran  problema  che  aveva  dinnanzi,  cercando  una  forma 
intermedia  fra  la  costituzione  dell'antico  esercito  comunale  e 
quella  in  cui  gli  eserciti  s'erano  ridotti,  dopo  il  prevalere  delle 
scuole.  De'  condottieri,  de'capitani,  dei  conestabili,  fatta  la  cerna 
dei  migliori,  bisognava  far  capitale  per  trarre  gli  istruttori  e  i 
comandanti  delle  novelle  schiere  paesane;  bisognava  pertanto 
tenerli  in  piedi  e  mutar  loro  il  terreno  sotto,  surrogare  il  milite 
al  ribaldo  e  al  masnadiere,  toglier  di  mezzo  i  provvisionati  e 
ordinare  i  fanti.  Ma  un'altra  necessità  dura  occorreva  ricono- 
scere; una  persuasione  trista,  ma  purtroppo  ragionevolmente 
invalsa,  che  buona  disciplina  militare  non  potesse  allora  aspet- 
tarsi più  da  capi  e  fanti  italiani.  £  questa  opinione  radicata 
che,  quand'anche  la  guerra  fosse  ridotta  a  mestiere,  questo  me- 
stiere peggio  che  ovunque  si  esercitava  in  Italia,  ^  opponeva  alla 
possibilità  d'una  riforma  un  ostacolo  di  più.  Da  pòi  che  il  por- 
tato naturale  di  questa  persuasione  era  che,  dovendosi  por  mano 
a  ordinare  un  esercito,  gl'istruttori,  i  capitani  di  disciplina  si 
avessero  di  preferenza  a  cercare  fra  gli  oltramontani.  Quindi 
più  ampia  via  alle  scontentezze,  alla  facilità  de' sospetti. 

Il  Machiavelli  di  questa  condizione  di  cose  aveva  piena  co- 

1  Cf.  VEttralto  pubblicato  dal  Brosch,  op.  cit.  della  lettera  de' 2  maggio  1495  nei  Dis- 
pacci Badoer  e  Trevisana  ms.  della  Marciana,  ci.  va,  it.  cod.  547;  «  Necessario  parerli 
hauer  qualche  bon  capo  Alemanno,  et  similiter  fanterie  Alemanne,  che  per  la  viltà  de  le 
Italiane  multo  plus  valleno  contra  Francesi  ».  -  Cf.  Dbs.  Brasmi  Rotrrodami,  Colloquia  ove 
nella  AfiUtia  confessio  si  dipinge  con  ironia  arguta  e  con  efficacia  tutta  comica  T  indole 
d'un  soldato  di  mestiere  e  le  consuetudini  militaresche  de'.tempi. 


Digitized  by 


Google 


333  CAPO  QUARTO.  [libbo 

scienza;  ed  egli  medesimo  che,  come  cancelliere,  era  tanto  cauto 
a  non  mostrare  opinione  diversa  dalla  pubblica,  giudicò  che  quando 
trattavasi  di  ristorar  l'armi  patrie,  se  pure,  fossero  da  incontrare 
pericoli,  da  sfidare  animosità,  conveniva  farsi  capro  emissario 
e  portare  i  peccati  del  popolo.  Quindi  s'armò  di  coraggio  a  tutta 
prova,  deliberato  di  stare  a  ogni  conseguenza  dell'operato  suo. 
Dopo  lo  scacco  toccato  al  Sederini  in  quel  suo  ghiribizzo  di 
voltare  Arno;  dopo  i  rovesci  della  guerra  di  Pisa  ch'eran  piom- 
bati sull'animo  del  Giacomini,  il  Machiavelli  intese  che  aveva 
bel  giuoco  per  stimolare  entrambi  a  racquistare  la  popolarità 
scematasi  loro  per  i  mali  successi,  confortandoli  a  l'arsi  soste- 
nitori de'  vagheggiamenti  democratici  circa  la  restaurazione  del- 
l'esercito. A  questo  partito  l'eroico  Giacomini,  che  aveva  tanto 
lamentato  la  ribalderia  delle  soldatesche,  si  volse  subito  e  di 
gran  core,  non  appena,  come  il  Pitti  scrive,  migliorò  della  vita.  ^ 
Egli  sali  al.  gonfaloniere,  egli  sostenne  che  se  Pisa  non  s'era 
racquistata  si  doveva  al  non  aver  avuto  in  tempo  buona  fanteria; 
che  altrimenti  né  gli  spagnuoli  da  Piombino  avrebbero  avuto 
maniera  di  saltare  a  difesa  di  quella  città,  né  i  soldati  felloni, 
che  avevano  avuto  metà  della  paga  a  buon  conto,  sarebbero  pas- 
sati a'nimici.  «  Testificava  quanto  era  il  meglio  valersi  delle 
armi  proprie,  ancora  che  di  prodezza  inferiori,  affermando  che 
li  fanti  toscani,  ridotti  sotto  a  buona  disciplina,  avrebbono  pa- 
reggiato di  valore  qualunque  altra  nazione,  e  sopravanzato  cia- 
scuna di  fedeltà  ».2  E  il  Sederini  arrendevasi  a  queste  solle- 
citazioni, tra  perché  non  vedeva  che  ci  fosse  altro  tentativo  a 
fare  pel  racquisto  di  Pisa,  tra  perchè  suo  fratello,  il  cardinale 
di  Volterra,  lo  riscaldava  anche  lui  a  quest'opera,  e  il  Ma- 
chiavelli «  gliene  distingueva  particolarmente  i  modi  »,  secondo 
che  ne  scrive  il  Guicciardini  ;  ^  ossia  gli  veniva  mostrando  la 
cosa  fattibile  a  quella  maniera  che  la  descrisse  poi  quando  fu 
fatta;  indicando  dond'era  a  principiare,  appianando  tutte  le  dif- 
ficoltà che  gli  si  opponessero. 

E  non  s'immagina  quanto  ei  dicesse  e  scrivesse  per  di- 
chiarare i  suoi  intendimenti,  per  trovar  proseliti,  per  vincere 
repugnanze.  Ma  ben  ebbe  ad  avvedersi  presto  com'era  inutile 
sperar  d'ottenere  per  allora  qualcosa  da' Consigli  e  per  via  di 
legge.  I  nobili  avrebbero  contrastato  per  sospetto  o  per  dispetto: 

1  Pitti,  Vita  d'Ani.  Oiaeomini,  loc.  cit.,  pag.  210. 

•  Id.  ibid. 

»  Gdicciabdzni,  Storia  Fiorentinaj  cap.  xxix. 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDO]  C0I9D0TTA  DI  DON  MICHELE.  355 

Francesco  Gualterolti,  Giovanbattista  Ridolfi,  Piero  Guicciar- 
dini, tentati  appena,  s'erano  opposti  ricisamente  alla  condotta 
di  don  Michele,  che  il  Machiavelli,  il  quale  lo  aveva  già  veduto 
all'opera  nel  disciplinare  l'esercito  del  Valentino,  ^  considerava 
come  il  miglior  ausiliario  a'  suoi  disegni  e  lo  voleva  condotto 
come  capitano  di  guardia  o  bargello  del  contado,  *  per  comin- 
ciar bene  e  assodare  sin  dal  principio  la  buona  disciplina.  Ma 
per  ottenerlo,  si  dovè  ricorrere  a  scappatoie  e  proporre  la  cosa 
addirittura  in  consiglio  degli  Ottanta,  senza  prima  assoggettarla 
alla  discussione  fra  i  Dieci.  Questi  pertanto  ebbero  ad  irritar- 

1  Lo  SpBBULO  nel  poema  «  de  lattdibus  Caesaris  Borgiae  »  (cod.  vat.,  5203,  pag.  27> 
esalta  a  questo  modo  le  qualità  militari  e  la  ferocia  di  don  Michele  (Mychellettus): 

«  Exutasque  tibi  curas,  metuende  Mychael 
Induit.... 

Vir  gravis  hic  animo,  quaecumque  ad  fortia  promptas 
Belligeri  cupidus  Martis  pacisque  quietis 
Nescias,  at  multo  dextram  maculare  cruore 
Àssuetus,  primis  bello  nutritus  ab  annis  ».  ^ 

»  Il  Guicciardini,  Storia  fiorentina,  cap.  xxix,  scrive  :  «  In  questo  tempo  il  Gonfa- 
loniere disegnando,  come  di  sotto  si  dirà,  di  fare  una  ordinanza  di  fanterie  in  sul  nostro, 
e  volendo  farne  capo  Don  Micheletto  Spagnuolo  ch*era  stato  a'  servigi  del  Valentino, 
uomo  crudelissimo,  terribile  e  molto  temuto,  deliberò  per  facilitarsi  la  via  condurlo  per 
Bargello  del  Contado;  e  perchè  dubitava  che  se  si  metteva  in  pratica  de*  Dieci,  i  cittadini 
non  la  acconsentissino,  fece  prima  destramente  tentare  dal  Machiavello,  cancelliere,  lo 
animo  di  messer  Francesco  Gualterotti,  Giovan  Battista  Ridolfi,  Piero  Guicciardini  e  di 
alcuno  dei  primi,  e  veduto  la  contradicevano,  non  ne  fece  consulta  alcuna:  messe  la  con- 
dotta  a  partito  negli  Ottanta,  e  trovatigli  sori,  la  vinse  al  secondo  e  terzo  partito  ».  — 
È  chiaro  che  quando  il  Guicciardini  scrive  «  in  questo  tempo  »  si  deve  intendere  per  certo 
in  tempo  anteriore  &\\a  provvisione  per  l'istituzione  dell'ordinanza  (6  die.  1506).  Quindi 
la  condotta  a  cui  s'allude  non  può  essere  quella  citata  dal  Canestrini  {Arch.  star.,  voi.  xv, 
pag.  410)  in  nota  &\V  Istruzione  a  Don  Michele  Coriglia  Spagnuolo ^  3  marzo  1506/ 7,  la 
quale  fu  fatta  per  deliberazione  del  Consiglio  degli  Ottanta  a*  dì  S7  febbraio  1506/7.  Questa 
è  bensì  una  delle  condotte  di  don  Michele  a  capitano  di  guardia  del  contado  e  distretto  di 
Firenze,  ma  non  ò  la  prima,  la  quale  realmente  fu  proposta  «  a*  di  1^  d'aprile  1506  »  in 
questi  termini,  che  paiono  o  contradire  alPasserzioue  dei  Guicciardini  o  ben  nascondere  la 
gherminella  del  Gonfaloniere: 

«  E*  prefati  magnifici  signori  Dieci,  servatis,  etc,  deliberorno  che  lo  egregio  ser  Antonio  eli 
ser  Nàstagio  Vespucci  proponessi  al  Consiglio  delli  Ottanta  la  condotta  del  magnifico  et  strenuo 

«  Don  Michele  di  don  Giovanni  da  Coriglia  da  Valenza  con  balestrieri  cinquanta  a 
cavallo,  oltre  alla  persona  sua  di  buona  gente  etc,  et  provigionati  cento  vivi,  pur  capi- 
tano della  guardia  del  contado  et  distretto  della  loro  repubblica  per  uno  anno  da  incomin- 
ciare il  giorno  sarà  scripto  per  peli  e  segni  etc.  decta  compagnia;  con  soldo  per  paga, 
durante  decto  anno,  alla  persona  sua  di  fiorini  quaranta  larghi  di  grossi,  a  ciascuno  de'  ba- 
lestrieri cinquanta  di  fiorini  iiij  e  soldi  iiij  a  oro  larghi  in  oro,  et  a  ciascuno  de' provigio- 
nati cento  di  lire  venti  e  soldi  v,  in  tucto  per  paga  fiorini  40  larghi  di  grossi,  fiorini  210 
larghi  di  oro  in  oro,  e  lire  2025  piccioli,  netti.  In  caeteris  colle  condictioni,  pacti  e  capitoli 
è  consueta  la  loro  repubblica  condurre  conductieri  simili,  e  con  condictìone  debbi  hauure 
ratificato  fra  dieci  giorni,  altrimenti  etc.  (Archivio  fior.  Delib.  e  stanz.  dei  Dieci,  ci.  xiii,. 
dist.  2,  n.  69.  a  e.  9  t.).  E  nel  margine  di  questa  deliberazione  è  scritto:  «  A* dì  primo 
decto  fu  facta  la  condocta  di  contro  nel  Consiglio  delli  LXXX  ».  Ma  fra  gli  atti  de' Con- 
sigli quello  di  questa  condotta  non  ci  fu  reperibile;  bensì  una  lettera  di  Roberto  Acciaiuoli 
a  Niccolò  (Bibl.  Naz.  Doc.  M.  busta  iv,  n.  59)  ci  pone  in  grado  di  correggere  la  sopral- 
legata afiermazione  del  Guicciardini.  Non  era  la  persona  di  don  Michele  che  tanto  repugnava 
ai  Dieci,  quanto  il  titolo  di  Balzello  che  voleva  attribuirglisi  forse,  dopo  che  già  era  stato 
condotto  a  capitano  della  guardia  del  contado.  Non  ci  par  superfluo  riprodurre  il  documento 

ToMMASWi  -  Machiavelli.  23 


Digitized  by 


Google 


354  CAPO  QUARTO,  [libbo 

sene,  molto  più  che  il  partito  fu  vinto;  e  si  mormorò  subito:  il 
Machiavelli  chiama  qui  i  borgiani,  gli  arnesi  della  tirannide. 
Per  trargli  addosso  la  pubblica  antipatia  non  occorreva  altro. 
D*altra  parte  il  segretario  non  era  sicuro  che  il  popolo  avrebbe 
fatto  buon  viso  ad  una  provvisione  per  cui  si  sarebbe  introdotta 
una  novità  (che  tanto  valeva  il  tornare  all'antico),  se  prima  non 
fosse  stato  assicurato  che  quella  novità  poteva  bensì  venir  ca- 
lunniata, ma  non  era  efifettivamente  né  lesiva,  né  pericolosa. 
Però  fu  stabilito  d'evitar  le  Pratiche  e  di  cominciare  addirittura 
con  un  fatto;  e  questo  fatto  si  iniziò  d'accordo  col  gonfaloniere 
e  coU'autorità  della  Signoria. 

A' dì  30  dicembre  del  1505  si  dettero  le  prime  patenti  a  Nic- 
colò con  commissione  ch'ei  si  recasse  nel  vicariato  di  Mugello  a 
scrivere  e  rassegnare  quegli  uomini  atti  alle  armi  «  che  a  lui 
paresse  e  piacesse  ».  Questa  era  la  prima  pietra  dell'edifizio  che 
il  Machiavelli  mirava  a  compiere  con  una  alacrità  e  un  amore 
che  supera  ogni  potenza  di  descrizione. 

Egli  sente  che  a  voler  condurre  l'ordinanza  a  buon  termine, 
occorre  «  quella  diligenzia  che  vuole  una  impresa  di  riformare 
una  provincia  ».i  Pertanto  si  reca  subito  nella  terra  del  Borgo, 
ne  visita  ogni  popolo,  ogni  piviere.  Era  nel  cuore  della  vernata 
e  «  le  tramontane,  gli  insegnavano  andare  appiè  ».  Comincia 
a  «  cappare  uomini  »,  ad  arruolare  cioè  e  vestire  que' fanti  che 
gli  sembrano  adatti. 

Naturalmente,  i  contadini  in  sul  principio  ombrarono  a  quelle 
intimazioni  e  si  tennero  all'erta,  sospettando  che  sotto  quella 
visita  fatta  degli  uomini  d'ogni  casa,  sotto  a  quei  registri  in 
cui  si  scrivevano,  non  covasse  un'  imposizione  nuova,  o  Tèstimo 
o  qualche  altra  furberìa  del  governo  di  città. 

accennato  :  «  Honorande  Secretane.  Per  la  vostra  ho  inteso  parte  di  vostro  desiderio,  ma 
acciò  io  possan  ex  plorare  cosa,  et  che  regga  al  martello,  et  sia  perpetua,  bisogna  che  io 
habbi  più  partictilar  notitia,  di  vostra  intentione,  et  disegno  del  magistrato,  perchè  voi 
sapete  che  hoc  nomen  Bargelli  apud  strtnuosviros  odio  est,  et  omne*  ttomachantur:  perchè 
mi  pare  sia  da  far  diferentia  «la  un  Bargello,  a  uno  disciplinatore  per  cotesto  exercitio  :  et 
perciò  mi  darete  nota  che  grado  ha  a  tenere,  che  auctorità,  che  exercitio,  che  prò  visione 
et  che  condocta.  Et  isto  interim  andrò  indagando  di  homo  a  proposito  vostro,  et  di  tutto 
vi  darò  aviso.  Io  fo  an  poco  di  favore  al  Sophi  perchè  io  comincio  a  rintenerir  di  lui  qualche 
poco  perchè  questi  preti  ribaldi  mi  hanno  condocto  a  quello  che  io  mi  aconcerei  per  le 
spese  con  lui  volentieri:  sicché  venga  a  sua  posta,  che  io  non  ricuserò  di  andarli  oratore; 
et  so  che  voi  non  men  volentieri  ne  verrete  con  meco,  iuxta  illud  disse  Rinaldo,  «tu  credi 
eh* io  andassi,  ch'el  mio  Dudone  con  meco  io  non  menassi  ».  Vale,  et  cum  datur  ocium  quan- 
doque  scribas  :  Zefiumque  nostrum  tibi  commendo  cum  sibi  benefltlo  esse  potes  :  Blasiumqae 
saluta,  et  Marcello  me  commenda. 

«Rome  Die  iiij  Dicembris  Movq. 

«  RoBBRTUS  AcciAtOLUS,  OratoT  ». 

1  Arch.  fior.,  ci.  x,  dist.  4,  n.  84  a  e.  8.  -  Dieci  di  Balla,  carteggio  responsive. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  fanterie  IN  MUGELLO.  855 

Ma  ben  presto  ebbero  a  certificarsi  del  vero,  e  i  giovani 
volentieri  concorsero  a  scriversi  ne'  ruoli.  -  Venti  lire  di  multa 
e  quattro  tratti  di  fune  -  era  la  pena  comminata  ai  restii,  a 
chi  non  si  presentasse  a  pigliar  l'armi  o  alle  rassegne,  a  chi 
comperasse  da'  fanti  iscritti  ed  armati  le  armi  consegnate  loro.  ^ 
L'opera  procedeva  con  vigore  e  con  favore;  «  piace  questa  cosa 
a  tutti  questi  cittadini  che  io  ci  ò  trovati  e  tutti  la  favoriscono 
per  riuscire  »  .*  Cosi  scrive  Niccolò  nella  sua  prima  lettera  dal 
Borgo,  sollecito  nel  magnificare  il  primo  segno  di  suffragio  cit- 
tadinesco accordato  a  questa  iniziativa  campagnuola.  Ebbe  poi 
a  tornare  per  qualche  giorno  a  Firenze,  per  mandare  le  armi 
e  ordinare  le  cose  in  modo  che  presto  si  potessero  far  le  prime 
mostre;  ma  a' dì  trenta  di  gennaio  era  già  tornato  a  Pontassieve 
a  «  scriver  huomini  ».  Se  non  che  quella  potesteria  «  grande,  scom- 
pigliata, mal  fornita  di  messi  »  l'obbliga  a  indugi  e  a  grandis- 
sima fatica.^  Da  Pontassieve  va  a  Dicomano,  quindi  a  san  Gau- 
denzio. La  poca  disciplina  e  le  fazioni  in  cui  è  divisa  la  montagna 
gli  cagionano  più  grave  imbarazzo,  tanto  ch'egli  si  determina  a 
descrivere  sotto  quella  bandiera  solo  un  piccolo  numero  di 
fanti  purché  sia  di  tutta  gente  d'un  medesimo  animo,  «  purché 
la  bandiera  sia  tutta  d'un  colore  ».  A  quel  che  apparisce,  egli 
ebbe  probabilmente  ad  essere  rimproverato  di  troppo  lunga  sosta 
in  questa  commesseria,  perch'ei  si  scusa:  «  né  ò  possuto  fare 
queste  cose  con  più  brevità;  e  chi  crede  altrimenti,  lo  pruovi 
e  vedrà  che  cosa  é  avere  ad  raccozzare  insieme  uomini  con- 
tadini e  di  questa  sorte  !  »  ^ 

I  Dieci  gli  credettero  subito  e  gli  risposero  col  proverbio 
catoniano  «assai  fa  presto  chi  fa  bene  ».s  II  gonfaloniere  gli 
fé'  scrivere  da  Marcello  Virgilio,  assicurandolo  che  la  nuova 
istituzione  s'andava  accreditando  a  Firenze  ogni  dì,®  che  nel 
prossimo  carnevale  in  città  se  ne  farebbe  una  mostra.  E  in- 
fetti immezzo  a'  «  sospiri  di  gravezze  »  ^  per  cui  quel  came- 

1  Bibl.  Nas.  Dog.  M.  busta  i,  n.  70.  «  Bando  ordinato  dal  Vicario  e  Commissario  di 
MuggUo  questo  dì  ».  Autografo  del  M. 

*  Arch.  fior.,  loc.  cit. 

*  Arch.  flor.,  Lettere  ai  Dieci,  da  gennaio  a  febbraio  1505,  ci.  x,  dist.  4,  n.  S4  a  241.  - 
Carteggio  responsive,  80. 

*  Arch.  fior.,  loc  cit. 

&  V.  Commissione  nel  Mugello  e  nel  Casentino,  lett.  6,  ediz.  ult.   voi.  v,  pag.  146. 
Bibl.  Naz.,  Doc.  M.,  busta  iv,  166. 

>  Bibl.  Na2.,  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  155.  V.  anche  l'Apografo  di  Giulian  de*  lUcci,  S  iz 

'  V.  Marcello  Virgilio.— Lett.  cit.— Luca  Landucci  nel  suo  Diario  (ms.  Maracelliano, 

e.  236)  dice  che  quella  mostra  si  fece  in  Piazza  a'  di  15  febbraio  1505.  -  Descrive  i  fanti  a 

questo  modo  :  «  a  ognuno  uno  farsetto  bianco,  un  paio  di  calze  alla  divisa  bianche  e  rosse. 


Digitized  by 


Google 


356  CAPO  QUARTO,  [libbo 

vale  andò  mogio,  quattrocento  fanti,  il  primo  embrione  de' bat- 
taglioni, sulla  piazza  de'  Signori  comparvero  innanzi  al  popolo, 
e  fecero  bella  impressione  nell'universale.  Poi,  sulla  fine  del  mese, 
Niccolò  ebbe  nuove  patenti  per  continuare  l'opera  sua  nella  valle 
di  Casentino,  ove  accozzando  le  potesterie  a  tre  a  tre  sotto  un 
conestabile  medesimo,  come  San  Niccolò  con  Gastelfocognano 
e  Poppi,  Bibbiena  con  Lubbiano  e  Pratovecchio  procedeva  in- 
nanzi. ^  Chiusi  era  troppo  grossa  potesterìa,  e  bisognava  «  la- 
sciare passar  le  nevi  a  maneggiarla  ».  —  Frattanto  ei  passava 
la  giornata  immezzo  a  fanti  e  conestabili  ;  e  Giovanni  Folchi, 
quegli  a  cui  dedicò  poi  il  capitolo  delVIngì^atitudine,  spacciato 
allora  a  portargli  armi  e  bandiere;  e  Filippo  da  Casavecchia, 
commissario  a  Firenzuola,  cattivo  soldato,  meschino  poeta  e  suo 
camerata  costante,^  lo  aiutavano  all'opera  e  mantenevano,  in 
mezzo  alle  brighe  degli  armamenti,  volto  alla  terzina  poetica 
l'ingegno  dell'autore  del  Decennale. 

Intanto  da  Roma  il  cardinal  Sederini  incorava  il  fratello 
a  seguitare  l'opera  maravigliosamente  incominciata:  —  «  Né 
sarà  poca  laude  di  V.^*  111."^  S.  che  a' suoi  tempi  la  Toscana 

e  una  berretta  bianca,  e  le  scarpette,  e  un  petto  di  ferro  e  le  lance,  e  a  chi  scoppietti  ». 
Cf.  Pitti,  Vita  d'Ani.  Giacomini.  loc.  cit.,  pag.  841.  -  Guicciaroini,  Storia  Fiorentina, 
cap.  XXIX  :  «  cominciorono  a  farne  mostra  In  piazza  de*  Signori  di  seicento  e  ottocento  per 
volta,  e  esercitarli  alla  svizzera,  in  modo  che  colla  moltitudine  entrorono  in  riputazione  ». 

>  Bibl.  Naz.  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  96,  154,  155,  156. 

*  Di  Filippo  Casavecchia,  come  uomo  d'armi,  Niccolò  Machiavelli  non  aveva  troppo 
alta  idea.  Ben  è  vero  che  nelle  lettere  confidenziali  degli  ultimi  anni  di  sua  vita  scherza  e 
novella  assai  piaceyolmente  sai  conto  di  lui  ;  ma  forse  ei  gli  voleva  più  bene  che  non  lo  sti- 
masse. Ad  ogni  modo,  in  quegli  Estratti  di  lettere  ai  Dieci  di  Batta^  che  furon  pubblicati 
neiredizione  fiorentina  del  1762  si  legge,  a  proposito  delle  dissensioni  fra  il  Duca  d'  Urbino 
e  i  Baglioni,  per  cui  quegli  e  questi  radunavano  armati:  «  Mandovvisi  di  qui  Piero  Mar- 
telli, poi  Filippo  da  Casavecchia,  che  Tassunse.  Pensa  che  guerra  questa  era  quando  si 
riposò  sopra  costui  ».  Certo  che  Tepifonema  di  Nicolò  non  fa  grande  onore  a  messer  Filippo 
il  quale,  invece  aveva  grandissimo  concetto  del  Machiavelli,  come  ce  lo  dimostra  la  se- 
guente lettera  che  pubblichiamo  insieme  colle  terzine  che  le  servono  di  coda,  non  tanto 
perchè  faccia  onore  al  segretario,  il  quale  dagli  encomi  del  Casavecchia  non  guadagna 
nulla,  quanto  per  accennarvisi  alla  «  iscellerata  fortuna  »  in  modo  che  forse  arieggia  e  ri- 
chiama il  concettino  espresso  poi  intorno  ad  essa  dal  Machiavelli  nel  Principe  (cap.  xxvj; 
e  per  trovarvisi  menzione  di  quell'umore  malinconioso  di  Niccolò  in  cui  fu  la  naturale  co- 
stituzione, il  fondamento  delle  tendenze  intellettuali  e  morali,  la  causa  latente  della  morte 
di  lui. 

Bibl.  Naz.,  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  114: 

«  Spli  dnó  Nicholao  Macravello  dingnissimo  Secretarlo  Novem  militie  Reip.  fior.— Caris- 
simo Nicolò  io  ve  ho  fatto  resposta  a  una  nostra  pistoletta  la  quale  in  uerità  m*è  parsa  più 
admirabile  che  consolatoria  perchè  per  quella  resto  più  confuso  che  mai  e  massime 
intendo  non  eser  1*  omo  contento  in  grado  nessuno  cosi  temporale  come  spirituale  :  però  non 
ui  doueui  né  douete  marauilgliare  se  qualche  uolta  le  mia  quenilante  bocie  alli  horechi 
nostri  trapassano  non  trouando  requie  ne  tranquilità  in  questo  hocieno  et  pestifero  baratro 
doue  se  bene  particularmente  ho  notato  e*  rimedi  che  in  quello  si  porgono,  mi  pare  che 
unico  sia  lasciarsi  portare  ad  la  isciellerata  fortuna,  la  quale  interamente  non  apruouo, 
perche  diletandosi  questa  di  cose  nuoue,  non  uorrei  un  tratto  per  mia  mala  sorta  mi  con- 
duciessi  in  nel  postribulante  et  publico  loco  di  cotesta  città.  Ma  se  io  sapessi  doue  uolgormi 


Digitized  by 


Google 


SBOOZVDo]  IL  CARDINAL  SODERINI  E  LE  MILIZIE.  357 

habia  ripigliato  l'arme  et  la  nation  nostra  demostri  essere  apta 
ad  altro  che  alle  mercantie  secundum  anticam  gloriam  »;  e 
preparandosi  a  combattere  in  corte  di  Roma  battaglie  cardi- 

coUe  mia  precie  io  suplicherei  che  tutti  li  mali  di  questo  mondo  me  tienissino  prima,  in 
fnora  che  il  pestiferissimo  et  dispiatatissìroo  et  putrefate  morbo  dello  homore  maninconico 
el  quale  intendo  perturbare  qualche  dilettissimo  nostro  amico,  el  quale  la  natura  liberi.  Nec 
alia  etc.  Fiuisano  die  xxij  settembris  mdvij: 

Macliiauel  mio.  le  tuo  buone  uluande. 

Benché  sien  tarde  et  sanza  uolglia  Ria, 

pur  mi  son  grate  pò*  olia  tu  le  mando. 
Et  90  nuoua  Inuentlone  (h)o  fantasia 

ho  conosciuto,  o  'I  tuo  dlulno  Ingengnlo 

ribadito  per  sempre  homal  mi  fla. 
V  priego  Apollo  che  mi  faccia  dengnfo, 

con  quelle  sette  suore  unite  insieme, 

eh*  r  gusti  el  buon  llcor  del  dolcle  lengnio. 
Et  sia  capacie  el  naso  del  tuo  seme. 

adcciò  fellcib  ancor  mieta  quel  fructto 

di  che  Talma  è  ulnuta  in  tanta  speme. 
Ma  se  nascoso  el  uer  m*  è  pure  In  tutto, 

conosco  che  sanar  mi  uuoi  la  piaga 

col  male  uhluersale  et  col  suo  luctto. 
Ma  la  moneta  tua  non  ben  mi  paga, 

pò*  che  non  ual  girare  in  questa  Rota 

né  Tesser  monstro  (h)o  quella  che  par  uaga 
Et  slo  ho  ben  la  tua  parola  nota 

mi  par  che  nulla  gloul  in  questo  mondo 

né  eser  Mida  ho  neramente  Gota. 
Dunche  la  mente  mia  giù  nel  profondo 

di  questo  batol  più  che  mai  si  truoiia, 

et  non  son  per  trouar  ma*  guado  al  fondo. 
Perché  s'  el  male  (h)o  bene  altrui  non  gloua, 

seguitar  uo*  e' lamenti  in  ongni  loco 

(h)o  sie  sereno  (h)o  turbido  (h)o  se  ploua. 
Ma  forse  s*  tu  uolessi  ancora  un  poco 

studiare  il  testo  di  consolatlone, 

sarebbe  el  mio  dolore  un  pò  men  roco. 
Perchè  si  uede  con  chiara  ragione 

che  quando  el  malomor  del  pectto  sgonbra 

1*  alma  più  netta  uien  d'  oblluione 
Kt  se  ti  par  oh*  I*  non  meriti  1'  onbra 

del  consai^rato  lengnlo  de  poeti 

dou*  ongni  alma  gentil  quiui  s*lnonbra. 
Et  eh'  r  non  mostri  chiari  e'  mia  decreti. 

cagion  è  el  t'ima  tuo  che  più  confuso 

mi  fa  restare  e  becharmi  que  getl. 
Et  già  non  penso  più,  ma  forte  muxo 

al  cardinale,  et  quel  che  In  lonbardla 

di  groppa  ad  Perltoo  rouinò  gluxo 
Et  fra  mme  stesso  non  so  qual  si  sia 

el  me'  di  questo  mondo:  (h)o  lo  star  lieto, 

(h)o  e  l&mento  far  di  Geremia. 
Io  non  so  s*  1'  mi  parlo  ho  s'  1*  sto  cheto 

per  non  legarmi  ad  chieder  forse  cosa 

che  ad  mme  stesso  darebbe  dluieto. 
DjDche  la  fantaxia  ma'  non  si  posa 

(h)o  *n  su  giochi  de  monti  (h)o  uuoi  ne*  plani, 

che  "ÌAi^il  uento  e  1'  altra  é  poluerosa. 
Natura  ci  fé'  pur  a  tutto  insani 

facclendoci  infelici  e  grande  Ingiuria 

ad  non  ci  fare  (h)o  ghatte,  (h)o  topi  (h)o  cani. 
Forse  la  penna  qui  troppo  s'  infuria. 

ma  uacllando  seguita  la  mente, 

che  spennacchiata  é'n  sul  confln  d'  Etmrla. 
Et  d'  ongni  cosa  si  pente  et  non  pente, 

el  mar  tranquillo  In  un  punto  si  turba, 

et  uanne  al  cielo  e  po'  toma  ntente. 


Digitized  by 


Google 


338  CAPO  QUARTO.  [libbo 

nalesche,  si  prometteva  forse  in  cor  suo  contrapporre  quelle 
fanterie  fiorentine  alle  masnade  di  casa  Orsina.  ^  In  breve  le 
bandiere  crebbero  al  numero  di  cinquantacinque.  Il  fatto  co- 
minciava cosi  ad  acquistar  proporzioni  considerevoli,  tanto  che 
al  Machiavelli  sembrava  che  la  fiducia  pubblica  avesse  per 
fermo  a  reputarglisi  acquisita.  Bensì  egli  aveva  protetto  gelo- 
samente il  primo  crescere  della  nuova  pianta;  e  perchè  non 
avesse  ad  intristire  subito  sotto  all'uggia  del  ridicolo,  che  è 
morte  velenosa  e  del  bene  e  del  male,  provvide  che  non  ap- 
pena le  cicale  avevano  cominciato  a  uccellare  e  sbeffare  l'or- 
dine novello,  un  bando  dei  Dieci  uscisse  a  minacciare  qualunque 
«  0  cittadino  o  contadino  o  altro  di  qualunque  stato  o  qualità 
sia  che  ardisca  o  presuma  dire  alcuna  cosa  o  parola  ingiuriosa, 
0  in  qualunque  modo  e  atto  sbeffare  alcuno  uomo  scritto  nelle 
ordinanze  delle  loro  bandiere  ».*  Ma  soprattutto  parve  a  Nic- 
colò che,  al  punto  in  cui  l'ordinanza  era  venuta,  non  potesse 
più  senza  nocumento  riposare  sopra  un   fondamento  che  non 
fosse  legittimo.  Ci  voleva  una  legge  ed  era  necessario  avere 
il  coraggio  di  proporla;  e  per  quella  legge  conveniva  che  l'isti- 
tuzione fosse  consolidata  e  fatta  stabile;  che  l'amministrazione 
della  guerra  venisse  demandata  ad  un  magistrato  apposito,  affi- 
data ad  una  separata  cancelleria;  conveniva  che  a  quella  mi- 
lizia, che  ormai  era  un  gran  corpo,  si  desse  un  capo  supremo, 
che  fosse  autorevole  e  in  cui  la  repubblica  potesse  aver  fede. 
Queste  necessità  di  progresso  parevano  quasi  creare  ostacolo 
alla  conservazione  di  quel  che  s'era  appena  cominciato  a  in- 
trodurre. Si  trovava  che  di  fanti  già  se  n'erano  levati  troppi; 
che  chiamandone  un  minor  numero  sotto  le  armi,  si  potevano 
tórre  i  più  volenterosi  e  migliori;  così  si  sarebbero  aggravati 
meno  i  paesi  e  con  minore  dispendio  si  sarebbe  fatto  più  bene. 


Et  quando  senator,  quando  di  turba, 
quando  lonblico  et  quando  leofante, 
et  quando  In  chiesa  et  talor  Ire  in  fUrba. 
Non  truouo  cosa  che  mi  sia  costante 
ad  farmi  stare  in  questa  gelatina, 
(h)o  vuoi  uom  danne  (h)o  pur  sempricle  tante 
(H)o  inperadore  (h)o  quel  del  chauallina  •. 
^  Bibl.  Nas.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  13,  Francitcus  Sodsrinus  ear.Us   VuUerr.  nìmo  dno 
Pétro  de* SoderinU,  eac.  reip.  Fior.  Veocilliféro  perpetuo.  «Romae,  4  martii  1505  »...  cam 
videam  non  solnm  Patriae  Sed  Ro  :  Ecc  :   quoque  praecipunm  praesidium  esse  posse  in 
florentino  milite,  cum  et  praesentia  tempora  arma  requirant  eaque  sua  et  fida  ne  perìclitemor 
ob  ignaviam  et  perfidiam  mercenarìorum  ». 

*  Arch.  fior.,  Carteggio  de*Dieci.  Registro  117,  Bando  de' 27  aprile  a  Giovambattista 
de*BartoU,  xncario  di  Scarperia.  Fu  pubblicato  dal  Can-bstrini,  Scritti  inediti  di  N.  ^-t 
pag.  285  in  nota. 


Digitized  by 


Google 


BBCOKIK)]  GHIRIBIZZI  D'ORDINANZA,  859 

Il  Machiavelli  subito  si  faceva  a  combattere  a  voce  e  per  iscritto 
quella  fatta  d'opinioni,-e  con  argomentazioni  che,  forse  per  essere 
il  solo  a  metterle  innanzi,  si  limitava  a  chiamare  ghiribizzi.  - 
«  Chi  dice  che  se  ne  tolga  pochi,  non  se  ne  intende  -  bisogna 
pigliarne  molti  per  averne  pochi  -  quelli  che  di  loro  spontanea 
volontà  non  verrebbero,  richiesti,  vengono  volentieri  -  tutta  la 
spesa  si  riduce  a  un  poco  d'armi  e  qualche  conestabile  di  più  »* 
Ma  il  colpo  che  si  voleva  dare  al  novello  esercito  col  pre- 
testo dell'economie  era  crudele,  e  Niccolò  contro  tante  insidie 
non  à  altre  difese  che  nella  sua  parola,  la  quale  gli  sgorga 
calda  dall'animo  e  s'assottiglia  per  mille  guise  pur  di  penetrare 
dentro  le  menti  altrui,  e  vincere  l'opposizione  ora  sconsiderata, 
ora  subdola  che  veniva  mossa  a  quell'opera,  condotta  da  lui 
con  amore  paterno.  Voler  ridurre  a  seimila  que'  fanti,  che  erano 
già  ascesi  al  numero  di  venti  migliaia,  valeva  come  scompagi- 
nargli del  tutto  quel  corpo,  la  cui  composizione  armonica  ed 
omogenea  gli  aveva  costato  tanta  fatica.  Per  arrivare  a  quel- 
l'effetto c'eran  due  vie:  o  scemare  il  numero  delle  bandiere, 
e  questo  avrebbe  offeso  i  popoli  cui  le  si  ritoglievano;  o  ridurre 
il  numero  degli  uomini  iscritti  sotto  ogni  bandiera,  e  questo 
avrebbeli  fatti  tornar  sì  radi  che  il  raccoglierli  insieme  sarebbe 
stato  poi  «  come  cercare  pe' funghi  >} 

Tuttavia  il  vento  de' risparmi  soffiava  gagliardo  e  Niccolò 
sentiva  che  non  avrebbe  avuto  forze  da  resistergli;  sentiva  (e 
probabilmente  il  gonfaloniere  Sederini  glielo  lasciava  intendere) 
che  forse  non  si  sarebbe  venuti  mai  nella  possibilità  di  proporre 
ai  Consigli  una  provvisione  che  assicurasse  la  vita  legittima 
delle  fanterie  statuali,  se  la  proposta  avesse  recato  con  sé  la 
necessità  d'una  grave  spesa,  se  la  paura  dello  stanziamento 
avesse  soffocato  la  bontà  dell'  intime  ragioni  della  cosa.  —  Sce- 
mino almeno  le  bandiere  che  sono  più  discoste,  quelle  di  Sam- 
miniato  e  Poscia,  quelle  di  verso  Romagna  e  Lunigiana!  —  Di 
questo  si  raccomanda  Niccolò  nel  peggior  de' casi,  inchinando 
un  momento  le  convinzioni  sue  per  omaggio  alla  speranza. 

Ma  per  buona  sorte  le  politiche  vicende,  obbligando  Firenze 
a  non  sguernirsi  di  difese,  furono  le  migliori  ausiliatrici  della 
causa  che  Niccolò  propugnava;  *  con  tutto  ciò  la  riduzione  delle 

»  Macbiatklli,  Qiribixi  d^Orèinansa.  V.  in  Appendice. 

*  Bibl.  Nas.,  Doc.  M.,  Basta  i,  n.  103  (87).  Lettera  di  B.  Bonaecorti,  a  N.  M.  *  di» 
prima  Angusti.  1506  ».  -  «  State  di  questo  con  lo^  animo  posato,  perchè  sendo  rinfrescati 
qui  quelli  medesimi  adnisi  della  passata  dello  impa.r«  che  scrìvete  Voi,  tra  li  primi  ragio- 


Digitized  by 


Google 


360  CAPO  QUARTO.  [libbo 

bandiere  ebbe  luogo.  Ma  appunto  le  politiche  vicende,  e  i  moti 
di  papa  Giulio  di  cui  abbiam  già  discorso,  cagionarono  anche 
Tallontanamento  temporaneo  del  Machiavelli  dalle  cose  del 
nuovo  esercito.  Egli  ebbe  ad  andare  in  corte  del  papa,  e  la 
lunga  assenza  di  più  che  due  mesi  dallo  stato,  che  gli  cagionò 
questa  commissione,  lo  tenne  nel  più  grande  pensiero  circa 
l'andamento  dell'ordinanza.  Per  quanto  ei  si  fosse  studiato  di 
sistemare  le  cose  in  modo  che,  lui  assente,  seguitassero  il  loro 
corso  quasi  sopra  una  traccia  ferma  e  certa,  sapeva  troppo  come 
non  mancavano  a' mal  veglienti  maniere  da  generare  incaglio, 
quando  volessero.  Chi  lo  rassicurava  e  con  frequenti  lettere 
lo  teneva  al  giorno  d'ogni  particolarità  che  concernesse  le  mi- 
lizie, era  il  Bonaccorsi,  ^  il  quale  ben  conosceva  l'ansia  del- 
l'amico, e  non  appena  ebbe  una  buona  notizia  a  dargli,  gliela 
trasmise  con  giubilo:  «  Havete  da  intendere  che  non  fu  stato 
Bernardo  in  oflScio  sei  di  che  si  fece  una  deliberazione  in  fa- 
vore dell'ordinanza  ».  Cosi  a'di  tredici  dell'ottobre,  spacciando 
la  lettera  a  Niccolò  «  apud  summum  pontificem  ad  Furli  o 
dove  diavolo  elli  è  ».- 

L'uomo  di  cui  parlava  il  Bonaccorsi  era  Bernardo  Nasi, 
che,  stato  recentemente  dei  Dieci  in  cambio  di  Pier  Guicciar- 
dini, ^  quando  esercitò  l'ufficio  di  proposto,  era  riuscito  ad  ot- 
tenere dai  Dieci  una  deliberazione  per  cui  ai  fanti  sin  allora 
descritti  e  da  descrivere  venivan  concessi  tutti  i  privilegi  che 
era  uso  i  soldati  godessero;  principalissimo,  il  privilegio  del 
foro,  eccetto  che  per  delitti  di  furto  o  d'omicidio;  coll'esen- 
zione  da  ogni  altra  giurisdizione  che  non  fosse  quella  imme- 
diata dei  Dieci  o  degli  eccelsi  signori.  Questo  fatto  non  era  di 
mediocre  importanza,  poiché  per  questo  le  nuove  fanterie  co- 
minciavano a  entrare  in  una  condizione  di  vita  giuridica;  co- 
minciavano a  sentirsi  pareggiate  alle  soldatesche  di  mestiere. 


namenti  in*  su  tale  accidente  fu  che  le  ordinante  si  tenessino  di  presso  come  cosa  più  sa- 
lutifera et  più  importante  per  ogni  respecto  ».  -  Questa  lettera  fu  pubblicata  dal  Villabi» 
op.cit.  colla  data  che  reca  veramente  nel  ms.  Ma  se  pongasi  mente  che  l'istrusione  e  le 
lettere  credenziali  pel  Machiavelli  «  apud  summum  Pontiflcenk  »  anno  la  data  del  25  d'agosto, 
convien  concludere  che  il  Bonaccorsi  prese  abbaglio  e  che  alla  lettera  deve  realmente 
l'estituirsi  la  data  esatta:  «  die  prima  septembris  ». 

1  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  81,  83,  84,  103, 105.  Queste  furono  pubblicate  recen- 
temente dal  Villari.  -  V.  ibid.,  lett.  82,  in  cui  il  Bonaccorsi  gli  parla  anche  de'  Decennali: 
«  Et  a  Ser  Agostino  feci  l'ambasciata  :  se  non  vi  manda  quelli  decennali  ve  li  manderò  io  ». 

*  Bibl.  Nai.,  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  86.  Nella  medesima  lettera  gli  aggiunge  :  «  Questa 
mattina  in  santo  Oiovanni  stetti  dua  bore  con  Antonio  Giacomini;  parlammo  d'infinite 
Cose  ». 

s  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  zv,  n.  81,  «  Lettera  di  B.  Bonaccorsi  al  M.,  post  scripu  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]        relazione  DELL'ORDINARE  LO  STATO  ALLE  ARMI,  361 

E  questa  affermazione  solenne  delle  autorità  apriva  l'adito  e 
appianava  la  via  a  provvedimenti  legislativi  più  rilevanti.  In- 
fatti non  andò  un  mese  che,  tornato  il  Machiavelli,  gli  fu  dato 
incarico  di  distendere  una  relazione  del  modo  con  cui  si  era 
proceduto  in  principio  circa  la  leva  dei  militi,  del  punto  a  cui 
s'era  pervenuti  a  quell'ora,  dell'opportunità  d'ordinarsi  all'armi 
per  deliberazione  pubblica.  Questa  relazione,  parecchie  volte 
ristampata  a'  nostri  giorni  i  è  come  il  preambolo  della  provvi- 
sione per  la  istituzione  delle  milizie  fiorentine,  ch'egli  ebbe 
poco  dopo  l'incarico  di  preparare,  perchè  fosse  posta  a  partito 
negli  Ottanta  e  nel  Consiglio  maggiore. 

Sino  a  quest'ora  le  fanterìe  fiorentine  erano  ricomparse 
come  un  fatto  di  cui  appena  pochissimi  conoscevano  i  criteri 
direttivi,  l'intensità,  l'estensione.  Eran  piaciute  come  uno  spet- 
tacolo, come  una  speranza,  come  una  soddisfazione  data  alla 
fazione  democratica.  Ora  nella  sua  relazione  il  Machiavelli  non 
solo  rende  conto  del  risultato,  ma  enuclea  con  chiarezza  ma- 
ravigliosa  tutte  le  considerazioni  che  anno  preceduto  ed  accom- 
pagnato l'opera.  Egli  aveva  trovato  lo  stato  distinto  in  città, 
contado  e  distretto.  Il  contado,  quel  territorio  più  prossimo, 
abitato  da  popolazione  amica,  in  cui  la  città  naturalmente  sten- 
devasi,  come  allungando  oltre  le  porte  giù  per  la  campagna 
le  braccia  de' suoi  quartieri,  era  sembrato  il  terreno  più  pro- 
pizio, per  gettarvi  il  seme  della  istituzione  novella.  Quei  ter- 
ritori più  discosti,  sottomessi  colla  forza,  aggregati  per  conquista, 
su  quali  la  giurisdizione  della  città  s'aggravava  come  un  peso 
e   che  formavano  il  distretto,  *  parola  di  cui  può  rintracciarsi 

1  Fa  data  in  luce  la  prima  volta  in  Faenza  da  Gio.  Ohimassx  in  occasione  di  none, 
intitolandola:  «  Dello  ordinare  lo  Stato  di  Firenze  alle  armi  p.  Neirarvertensa  a  pag.  11, 
l'editore  con  poca  crìtica,  miUgrado  i  dubbi  prudentemente  messi  in  campo  dal  Molini,  lo 
crede  scrìtto  post  re»  perdita*,  cioè  dopo  la  cacciata  del  Sederini,  quando  «  richiesto  ri- 
sponde per  avventura  alla  Signoria  o  meglio  al  magistrato  dei  Dieci  di  cui  allora  e  per 
l'ultimo  annOj  era  segretario  ».  -  La  seconda  volta  la  pubblicò  Albss.  D'Ancona,  «xvi  ot- 
tobre 1S72  »,  il  quale  tenne  che  l'anno  di  questa  scrittura  sia  il  1506  e  non  giudicò  auto- 
grafe le  parole  che  si  ledono  nel  foglio  che  le  serve  di  coperta  :  «  1512.  La  cagione  del- 
l'ordinanza, dove  la  si  trovi,  e  quel  che  bisogna  fare  post  ret  perdita»  ».  La  ristampò  il 
ViLLABi,  op.  cit.  voi.  I,  doc.  XXXVII,  giudicando  che  queste  parole  allegate  siano  bensì 
di  mano  del  Machiavelli,  ma  scritte  più  tardi,  quando  cioè  la  Repubblica  era  caduta.  B 
quest'ultima  è  anche  la  nostra  opinione.  Finalmente  comparve  la  prima  volta  fra  le  opere 
riunite  di  N.  M.  nell'  ultima  edizione  fiorentina,  voi.  vi,  pag.  330. 

*  Cf.  Ricotti,  Storia  delle  Compagnie  di  ventura^  cap.  tv.  -  Da  Cangb,  Qlot».^  v. 
Ditirietum:  via  strìcta.  claustra,  montium  fauces.  -  Districtut:  «  Territorium  feudi  seu 
tractus  in  quo  dominus  vassallis  et  tenentes  suos  distringere  potest;  justitiae  exercendae 
in  eo  tractu  facnltas  ».  Noi  cercammo  nella  definizione  nostra  comprendere  le  due  signifi- 
cazioni di  diitrictum  e  d^trietut,  raccogliendp  in  essa  il  concetto  fisico  dell'angustia  del 
luogo  per  esser  presso  a'conflni,  e  quello  giurìdico,  per  avervi  potestà  di  esercitar  le  giu- 
stizie. Cosi  Arezzo  col  suo  contado,  le  terre  di  Val  di  Nievole,  quelle  di  Volterrai  gran 


Digitized  by 


Google 


3dS  CAPO  QUARTO.  [libbo 

rorigine  nelle  antiche  giurisdizioni  franco-feudali,  furon  tenuti 
in  seconda  linea. 

Del  resto  poi,  sino  a'  tempi  del  Varchi,  lo  stato  di  Firenze 
comprendeva  dodicimila  popoli,  cioè  pivieri  o  parrocchie;  sei 
città:  Pisa,  Volterra,  Pistoia,  Arezzo,  Cortona,  il  Borgo  a  San 
Sepolcro;  circa  quattrocento  terre  murate,  le  quali  si  serravano 
ogni  sera,  e  ogni  mattina  s'aprivano;  e  cento  terre  soggette 
immediatamente  alla  dizione  e  signoria  di  Firenze,  cioè  cento 
terre  distrettuali;  le  quali  in  segno  di  tributo  offrivano  alla 
città  ciascuna  un  palio  nel  giorno  di  San  Giovanni,  i 

Ora,  dovendosi  riordinar  lo  stato  alla  milizia  secondo  l'an- 
tica istituzione  comunale,  Niccolò  era  dovuto  venire  a  capo 
di  quella  questione  che  la  Riforma  di  ser  Domenico  Cecchi 
aveva  lasciata  intatta:  donde  cioè  l'armamento  fosse  a  inco- 
minciare, se  dalla  città,  dal  contado  o  dal  distretto.  «  E  per- 
chè le  cose  grandi  anno  bisogno  .di  esser  menate  adagio,  si 
risolse  che  non  era  possibile  senza  confusione  e  senza  pericolo 
introdurre  la  nuova  ordinanza  contemporaneamente  in  tutti  e 
tre  i  luoghi,  e  nemmanco  in  due  di  essi.  Perchè  a  voler  ri- 
condurre la  milizia  in  una  provincia  che  n'è  disavvezzata, 
bisogna  cominciar  dalla  via  più  facile».  E  principio  più  facile 
di  un  esercito  sono  i  fanti  che  i  cavalli,  e  i  migliori  fanti  quelli 
che  più  facilmente  obbediscono;  pertanto  dal  contado,  aveva 
impreso  Niccolò  a  fare  la  sua  descrizione,  reputando  diflScile 
la  città,  non  reputando  sicuro  il  distretto,  specialmente  in  quei 
luoghi  dove  sono  «  nidi  grossi  »,  dove  è  una  provincia  che  può 
far  testa. 

Date  l'armi  e  le  divise  agli  uomini  scelti  ed  esercitati, 
distinti  per  potesterie,  sotto  le  bandiere  che  recavano  tutte 
r  insegna  di  '  marzocco,  «  acciò  che  tutti  gli  uomini  fossero  af- 
fezionati ad  una  medesima  cosa  e  non  avessero  altro  segno  che 
il  segno  pubblico  »,  ^  tre  colpi  d'artiglieria  alla  sera  avevano  in- 
dicato che  v'era  rassegna  pel  dì  appresso,  giorno  di  festa.  Le 
bandiere  frattanto,  e  noi  vedemmo  con  quanto  dolore  di  Niccolò, 
eransi  ridotte  a  trenta  sotto  undici  conestabili.  Erano  armati  più 
che  cinquemila  uomini;  cinquecento  n'erano  stati  già  mandati 
in  campo;  mille  e  duecento  avevano  fatto  mostra  in  Firenze. 

parte  di  Casentino  e  della  Romagna  di  verso  Toscana  facevano  parta  del  éUttretto  fio- 
rentino. 

»  Varchi,  Storia  di  Firense,  lib.  ix. 

•  Cf.  Machiavelli,  Dell'ordinare  lo  Stato  di  Firenze  alle  armi,  loc.  cit.,  pag.  332. 


Digitized  by 


Google 


tócoxDo]         RELAZIONE  DELL'ORDINARE  LO  STATO  ALLE  ARML  90» 

Ora  Niccolò  non  lasciò  oltrepassare  Toccasione,  quasi  ap- 
pellando al  popolo,  di  ripetere  pubblicamente  quel  che  aveva 
accennato  vanamente  ne'Giribizi  ai  suoi  contràdittori;  aflFor- 
zavasi  anzi  dell'autorità  d'uno  scritto  d'  Ercole  Bentivoglio, 
per  ottenere  accrescimento  nel  numero  degli  uomini  da  rac- 
cogliere sotto  le  armi.  Messer  Ercole  aveva  detto:  «  questo 
ordine  vi  à  a  servire  sempre  in  reputatione,  et  qualche 
volta  in  facto  »  e  Niccolò  aggiungeva:  «  non  può  servirvi  in 
reputatione  poco  numero  di  huomini,  né  etiam  in  facto  del 
poco  numero  di  huomini,,  quando  pure  bisognassi,  si  può  trarre 

10  assai,  ma  si  bene  dello  assai  el  poco  ».  Del  resto  le  cose 
erano  procedute  «  assai  ordinatamente  »  essendo  nuove:  «  ma 
le  non  possono  stare  più  cosi,  perch'e' bisogna  o  che  la  impresa 
ruini  0  che  la  facci  disordine,  perchè  sanza  dare  loro  capo  et 
guida,  non  si  può  reggiere  contro  alli  inimici  che  laà  ».i  — 

11  capo  aveva  ad  essere  la  legge  che  ne  disponesse  e  un  ap- 
posito magistrato  che  dovesse  attendere  alla  disciplina,  e  alla 
rimunerazione  de' fanti,  a  ordinare  che  non  potesser  mai  nuocere. 
E  qui,  con  quella  gelosia  e  quel  sospetto  che  è  natura  e  infer- 
mità delle  democratie,  Niccolò  si  stende  a  dimostrare  come 
sarebbe  pericoloso  che  l'esercito  riconoscesse  tutte  queste  au- 
torità in  un  solo  superiore;  com'è' sarebbe  bene  «  che  questo 
magistrato  nuovo  li  tenessi  ordinati  a  casa;  e' Dieci  di  poi  li 
comandassino  nella  guerra;  et  e' Signori,  Collegi,  Dieci  e  nuovo 
Magistrato  li  premiassi  et  remunerassi  ;  et  cosi  verrebbono  sem- 
pre ad  bavere  in  confuso  el  loro  superiore,  et  riconoscere  un 
pubblico  et  non  un  privato.  Et  perchè  una  moltitudine  sanza 
capo  non  fecie  mai  male,^  o  se  pure  lo  fa,  è  facile  ad  repri- 
merla, bisogna  hauere  advertenza  alli  capi  ad  chi  si  danno  le 
bandiere  in  governo  continuamente,  che  non  piglino  più  auto- 
rità con  loro  si  conviene;  la  quale  possono  pigliare  in  più  modi; 
0  per  stare  continuamente  al  governo  di  quelle,  o  per  hauere 
con  loro  interesse;  et  però  bisogna  provvedere  che  nessuno 
natio  delli  luoghi  dove  è  una  bandiera,  o  che  vi  habbi  casa  o 

^  Machiavelli,  loc.  cit.  Nella  Bibl.  Naz.  fior.  poc.  M.,  busta  iv,  n.  02)  è  ana  lettera 
d!  Dom.  Gariberto  conestabile  in  Peseta  a  N.  M.  «  Pisciae  xxvixi  decembris  1506  »  in  cui 
si  dice:  «  el  battaglione  bollo  facto  et  trovoct  una  pocha  nbedientia.  Et  parmi  mille  anni 
sia  facto  cotesto  magistrato  acciò  le  cose  vadino  meglio  ne  vanno  ».  ~  È  evidente  per 
questa  lettera  che  la  necessità  dell*  istituzione  legittima  che  il  Machiavelli  proponeva  si 
sentiva  da  chiunque  s'occupasse  delle  fanterie;  ed  è  pur  chiaro  che  o  la  data  della  lettera 
è  erronea,  o  che  a  Poscia  non  era  giunta  aMt  ventotto  la  notizia  d*un  fatto  che  s*era 
compiuto  a'  di  dieci  del  mese  ». 

*  Cf.  Machiavelli,  Ditcorti,  lib.  i,  cap.  44.  «  Una  moltitudine  sensa  capo  è  inutile>. 


Digitized  by 


Google 


364  CAPO  QUARTO.  [libro 

possessione,  la  possa  governare,  ma  si  tolga  gente  di  Casentino 
per  il  Mugiello  et  per  Casentino  gente  del  Mugiello.  Et  perchè 
l'autorità  con  ellempo  si  piglia,  è  bene  fare  ogni  anno  le  permute 
dei  conestabili,  et  dare  loro  nuovi  governi  et  dare  loro  divieto 
qualche  anno  da  quelli  governi  primi;  et  quando  tutte  queste  cose 
sieno  bene  ordinate  et  meglio  observate,  non  è  da  dubitare... — 
Quest'ordine  bene  ordinato  nel  contado,  de  necessità  conviene 
ch'entri  ad  poco  ad  poco  nella  città,  et  sarà  facilissima  cosa  ad 
introdurlo;  et  vi  advedrete  anchora  a' vostri  dì  che  differentia  è 
hauere  de'  vostri  cittadini  soldati  per  electione  et  non  per  cor- 
ruptione,  come  hauete  al  presente;  perchè  se  alcuno  non  ha 
voluto  ubbidire  il  padre,  allevatosi  su  per  li  bordelli,  diverrà 
soldato;  ma  uscendo  dalle  squole  honeste  et  dalle  buone  educa- 
tieni  potrà  honorare  sé  et  la  patria  loro...  »  — 

E  evidente  che  Niccolò  in  tutta  questa  perorazione  si  pro- 
pone due  fini;  dei  quali  l'uno  è  in  certa  guisa  congiunto  con 
l'opportunità,  l'altro  è  accenno  a  un  ordine  più  alto  d' idee,  del 
quale  troviamo,  in  diversa  età  della  vita  di  lui,  pieno  e  intero 
sviluppo.  Che  per  una  parte  egli  attende  in  un  medesimo  tempo 
a  rassicurare  democratici  e  nobili  a  ciò  non  temano  che  il  nuovo 
esercito  possa  voltarsi  ad  oppressione  della  libertà  e  a  stro- 
mento  di  tirannide  soderinesca;  per  altra  parte  mostra  la  spe- 
ranza natagli  in  fondo  all'animo,  che  l'inizio  d' un  migliora- 
mento morale  e  civile  alla  fradicia  Italia  sia  per  derivare  dalla 
disciplina  ferrea  della  milizia,  dalle  «  scuole  oneste  »;  pigliando 
il  vocabolo  di  scuola  nel  significato  medievale,  vivo  ancora  in 
grazia  della  soldataglia  ancor  venturiera;  confidandosi  in  quella 
esperienza  delle  morali  necessità  della  vita  salubre,  che  meglio 
comprende  chi  è  menato  sovente  ad  affrontare  la  morte.  Niccolò 
spera  dalla  guerra  ^  quel  che  il  Savonarola  aveva  chiesto  va- 

^  Di  questa  idea  è  a  credere  fosse  partecipe  anche  il  cardinid  Soderìni,  scrivendo  egli 
al  fratello  gonfaloniere,  a* di  4  di  mano  1506:  «  E  sa  V.  S.  per  dottrina  ed  esperìensia 
elle  nissuna  cosa  ha  fatto  illustre  l'arte  militare  se  non  la  disciplina  qua0  plurimum 
contistit  in  obedientia  m<urìmeque  fundatur  in  iusiitia,  la  quale  naturalmente  ò  amata 
da  vostra  illustrissima  Signoria.  —  ...  —  E  son  certo  che  volendo  V.  S.  rinnovare  nella  na- 
sione  fiorentina  l'arte  militare,  cosa  hodie  tumme  necessaria,  avanti  ogni  cosa  rinnoverà 
la  obedienxa  per  la  giustizia,  si  nella  città  come  nel  contado  ».  -  E  il  Machiavelli,  nella 
Relazione:  «  Chi  dice  imperio,  regno,  principato,  repubblica,  chi  dice  huomini  che  coman- 
dono,  cominciando  dal  primo  grado  et  discendendo  infino  al  padrone  d'uno  brigantino,  dice 
jastitia  et  armi.  Voi  della  justitia  ne  hauete  non  molta,  et  dell'armi  non  punto  ;  et  el  modo 
ad  rìhavere  l'uno  e  l'altro  è  solo  ordinarsi  all'armi  per  deliberatione  publica,  et  con  buono 
ordine  et  mantenerlo  ».  -  E  nel  preambolo  della  provvisione,  togliendo  la  poco  opportuna 
ironia:  «  Considerato  che  la  repubblica  vostra  è  di  buone  e  sante  leggi  bene  istituita  et 
ordinata  circa  l'amministrasione  della  giustizia,  o  che  gli  manca  solo  di  provvedersi  bene 
dell'arme,  ecc.  » 


Digitized  by 


Google 


secondo]  DVE  testi  DELLA  PROVVISIONE  PER  LE  MILIZIE,  365 

namente  alla  fede;  vuol  ne'coscrìtti  suoi  ordine,  virtù  e  regola; 
ma  la  regola  non  deve  saper  del  fratesco,  la  virtù  deve  lasciar 
il  posto  alla  fierezza  e  l'ordine  all'ardimento  tanto  che,  solo 
in  questo  senso  inculca  a*commissari  che  i  nuovi  fanti  abbiano 
a  parer  «  soldati  e  non  religiosi  ».i 

Del  resto,  quando  gli  vien  commesso  di  stendere  addirittura 
la  proposta  d'una  provvisione  per  la  restituzione  delle  milizie 
statuali,  egli  si  accinge  a  gettare  tali  fondamenta  dell'edificio 
che  non  lascino  dubbio  sulla  solidità  e  costanza  di  esso,  ben 
determinando  al  nuovo  corpo  il  principio,  la  proporzione,  la 
funzione  organica,  predisponendo  le  vie  di  sfogo  ad  ogni  malo 
umore.  Del  testo  di  questa  famosa  provvisione  abbiamo  due 
recensioni;  l'una  delle  quali  è  quella  a  stampa,  che  pubblicata 
prima  nell'edizione  fiorentina  del  1782,  e  da  questa  passata 
nelle  edizioni  successive,  fu  poi  dal  Canestrini  collazionata  sul 
registro  autentico  dell'archìvio  delle  riformazioni;  ^  l'altra  ci 
deriva  dall'apografo  di  Giuliano  de'  Ricci,  ^  ed  è  come  la  pre- 
parazione e  l'abbozzo  del  testo  ufficiale.  Fra  questa  e  quella 
scrittura  corrono  frequenti  diversità  nella  forma,  più  relative 
all'ordine  che  alla  qualità  delle  idee.  Né  senza  frutto  sarebbe 
a  farne  ragguaglio  da  chi  volesse  aver  saggio  della  cura  che 
il  Machiavelli  pose  a  conseguire  la  severità  nell'ordine  logico, 
la  chiara  ed  efficace  brevità  nell'espressione;  tuttavia  il  nu- 
cleo del  pensiero  in  fondo  a  questi  due  scritti  resta  sempre  il 
medesimo.  Niccolò  raggiunge  per  questa  provvisione  la  meta 
desideratissima  e  vuol  guadagnarla  interamente  ed  assicurare  il 
difficile  guadagno.  Determina  il  modo  di  essere  del  nuovo  magi- 
strato, i  procedimenti  da  seguire  nell'eleggerlo,  la  durata  del- 
l'officio suo,  l'opportunità  delle  parziali  surrogazioni,  perchè  la 
tradizione  degli  affari  né  s'interrompa  né  ristagni  mai.  Il  nuovo 
magistrato  à  un  apposito  cancelliere  con  uno  o  più  coadiutori 
che  gli  servono:  i  fanti,  che  debbono  tener  sempre  scritti, 
armati  e  ordinati  sotto  le  bandiere,  debbono  essere  «  almeno 
diecimila  »  o  «  quel  più  che  crederanno  ».  E  per  esser  già 
usa  la  città  al  numero  de' Dieci  e  degli  Otto,  propone  che  i 
soprintendenti  alle  cose  della  guerra  siano  un  numero  insueto, 


*  V.  Lettera  a  Lorenzo  Neroni  vicario  di  Pescia,  «  addi  6  giugno  1506  »  in  Canbstbini 
Scritti  inediti  di  N.  M.  risguardanti  la  storia  e  la  milizia,  Firenze,  1S57,  pag.  890-300. 

*  Arch.  fior.,  delle  riformagioni.   ci.  ii,  dist.  ii,  n.  199.  -  V.  Archivio  Storico  it-,  se- 
rie 1",  voi.  15,  pag.  379  e  s'eg. 

*  V.  Apografo  di  Giuliano  de*Ricciy  8  xl,  in  appendice. 


Digitized  by 


Google 


866  CAPO  QUARTO.  [l 

e  insieme  agli  eccelsi  Signori,  a,'venerabilt  Collegi,  ai  magnifici 
Dieci,  si  abbiano  gli  Spettabili  Nove  u£Sciali  deirordinanza  e 
milizia  fiorentina,  i  quali  siano  sette  per  le  maggiori  arti  e  due 
per  le  minori,  evengano  nell'ordine  gerarchico  dopo  i  Dieci  im- 
mediatamente. L'elezione  loro  è  fatta  per  modo  indiretto:  nove 
cittadini  deputati  dal  maggior  Consiglio  nominano  dieci  per 
ciascuno;  questi  novanta  prescelti  procedono  poi  alla  nomina 
degli  ufficiali.  Chiunque  propone  persona  che  poi  rimane  effet^ 
tivamente  eletta,  quando  questa  abbia  preso  l'ufficio,  riceve  un 
fiorino  d'oro  in  oro  dal  camerlingo  del  monte.  Cosi  le  lungag- 
gini del  reggimento  popolare  si  accorciano  e  l'elezione  va  ra- 
pida, evitando  ciascuno  di  proporre  nomi  oscuri,  anzi  avendo 
interesse  a  metter  innanzi  uomini  in  cui  i  suffragi  de' più  facil- 
mente concorrano.  Dopo  i  primi  quattro  mesi,  quattro  dei  Nove 
eletti,  tratti  per  sorteggio   anno  lo  scambio;   dopo  otto   mesi 
scadono  i  cinque  superstiti  ;  i  Signori,  i  Collegi,  i  Dieci,  gli  Otto 
anno  divieto  d'elezione.  Gli  altri  divieti  e  proibizioni  che  erano 
in  vigore  pel  magistrato  dei  Dieci  valgono  anche  per  questo. 
Tutte  le  gelosie,  i  sospetti,  le  invidie  di  cui  un  governo  de- 
mocratico è  capace,  e  che  riescono  a  scansare  e  combattere 
tanto  la  straordinaria  potenza  quanto  la  straordinaria  virtù,  tutte 
il  Machiavelli  le  osserva  ed  acqueta  in  questa  provvisione,  da  lui 
così  acconciamente  formulata,  che  a  grandissima  maggioranza 
di  voti  riuscì  vinta  in  tutti  i  Consigli.  Il  primo  di  dicembre,  se- 
condo gli  statuti,  ebbero  i  Signori  e  Collegi  a  deliberare  che 
fosse  messa  a  partito,  e  per  tre  giorni  stette  esposta  nell'aula 
grande,  come  le  costituzioni  esigevano.  Fu  poi  approvata  il  dì 
appresso  nel  Consiglio  degli  Ottanta  con  sessantadue  voti  fa- 
vorevoli e  ventotto  contrari.  Finalmente  il  dì  sette  adunatosi 
il  Consiglio  del  popolo  a  suon  di  campana,  ottocentoquarantun 
consiglieri  concorsero  ad  approvarla,   mentre   solo  trecento- 
diciassette davano  contro  di  essa  le  fave  bianche. 

Fu  un  giubilo  de' popolari  indescrivibile;  al  Machiavelli 
si  mandavano  congratulazioni  d'ogni  parte:  «  l'abate  Basylio,  ^ 
facto  noviter  maestro  di  casa  del  nostro  rev.™®  Vulterrano,  si 
raccomanda  a  voi  et  congratulatur  Ubi  de  nova  7nilitia  >.* 

^  Questi  era  in  grande  amicisia  col  Machiavelli.  In  una  Lettera  di  Bonaecorto  de  Pepi 
a  N.  M.  seer.  fior.  «  ex  Bononia  die  xiij  novembris  1506  »  (Bibl.  Naz.,  Doc.  M.,  busta  vr, 
n.  90)  quegli,  dandogli  una  commissione  da  parte  di  lui,  lo  chiama  «  el  compagno  vostro 
dilecto  »  e  vedemmo  già  come  Tabate  Basilio  sapesse  essere  buon  soldato  a  difesa  della 
patria.  V.  pag.  148  in  nota. 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  93.  «  Augustinut  CancellariìM  N.  JU.  ucr.  fior.  » 


Digitized  by 


Google 


8BCOMD0]  N.  MàCHIAVELLI  SEGRETARIO  DEI  NOVE.  897 

Ck)si  il  Yespucci,  cancelliere  delle  tratte,  che  desiderava  esser 
coadiutore  a  Niccolò,  quando  questi  fosse  scelto  cancelliere 
de'  Nove,  come  pareva  naturalissimo,  poiché  il  nuovo  magistrato 
e  r  istituzione  si  riconosceva  da  tutti  per  opera  sua.  E  il  car- 
dinale di  Volterra:  «  parci  veramente  che  cotesta  ordinanza 
sit  a  deOy  perchè  ogni  di  cresce  non  ostante  la  malignità.  Ab- 
biamo avuto  singulare  piacere  del  nuovo  magistrato  e  preghiamo 
Dio  che  la  elezione  sia  tale  che  ne  seguiti  un  solido  fonda- 
mento, perchè  noi  non  vediamo  che  codesta  città  da  un  tempo 
in  qua  abbi  fatto  cosa  tanto  onorevole  e  sicura  quanto  questa, 
essendo  bene  usata  ».^  —  All'elezione  si  procedette  a' di  dieci; 
a' dodici  i  nuovi  eletti  prestarono  giuramento  secondo  la  legge;  ^ 
e  nel  giorno  medesimo  il  Machiavelli  venne  deputato  dalla  Si- 
gnoria per  servir  loro  da  segretario.  ^ 

Fu  prima  cura  del  nuovo  magistrato  pubblicare  bandi  che 
raflForzassero  la  disciplina;  confermare  le  condotte  di  Giovanni 
Tedesco,  di  Giliberto  Spagnuolo,  degli  altri  conestabili;  ordi- 
nare le  mostre,  regolare  V  iscrizione  di  nuovi  fanti,  sorvegliar 
che  fossero  istruiti  «  secondo  la  milizia  e  ordine  de*  tedeschi  ». 


«  in  Bologna  a  di  xxviq  decembre  1506  ».  In  questa  lettera  il  Vespncci  prega  Niccolò  che 
dovendo  i  Nove  avara  an  coadiutore  oltre  il  cancelliere,  lo  tenga  per  raccomandato  «  cum 
prò  certo  habeam  ut  Tu  aia  cancellarius  illorum  Novem  ni  locum  tuearia  quo  nunc  fruerìa, 
quod  Deus  avertat  ». 

1  V.  nel  Perioàico  di  NumismcUica  «  Sfiragittica,  (anno  vi,  faac.  vi)  questa  e  altre 
lettere  di  Fr.  Soderini  e  al  Machiavelli  e  al  Gonfaloniere  di  gius^ia,  pubblicate  dal  Pab- 
BBRiNi,  illustrando  un  sigillo  del  cardinale  di  Volterra. 

*  Àrch.  fior.,  Nove  d'Ordinanza  e  mUizia  dal  i506  al  Ì5i3,  Notificaaioni   e  querele, 
874  ci.  xni,  dis.  2»,  n.  73,  pag.  I,  Di  mano  del  Machiavelli: 
«  In  Dei  nomine  Amen 

«  In  questo  libro  si  scriveranno  tucte  le  notiflcaxioni  et  querele  che  per  li  tempi  sa- 
ranno date  0  notificate  alli  Spectabili  Nove  d'Ordinanza  et  militia  Fiorentina,  e  nomi  de 
quali  sono  questi  : 

«  Antonio  di  Simone  Canigiani 
«  Francesco  d'Antonio  di  Taddeo 
«  Giovanni  di  Currado  Berardi 
«  Chimenti  di  Cipriano  Sernigi 
«  Antonio  di  Jacopo  Qiacomini  Tebalducci 
«  Giovanni  di  Tommaso  Ridolfi 
«  Alamanno  d'Averardo  Salviati 
«  Per  la  minore 

«  Chimenti  di  Francesco  Sciarpelloni 
«  Gulielmo  d'Angiolino  Angiolini 
«  E*  quali  furono  e'  primi  deputati  in  questo  Magistrato,  et  fumo  electi  nel  Conaiglio 
maggiore  aecondo  li  ordini   addì  10  di  gennaio  1506,  et  addi  12  di  decto  mese  giuromo 
Tofitio  loro  secondo  che  nella  leggio  si  dispone  ». 

>  I  Priori  e  il  Gonfalouiere  di  giustizia  a*  di  12  gennaio  1506/7  deliberarono  :  «  quod 
precipiatur  Nicolao  d.  Bernardi  de  Machiavellis  eorum  cancellarlo  quatenus  de  cetero  in- 
serviat  etiam  prò  cancellario  Oiiicio  magnillcorum  Novem  virorum  Militie  fiorentine,  donec 
aliter  provideatur,  ecc.  (Arch.  fior..  Registro  de  deliberazioni  de'  signori  e  Collegi  ad. 
annum.,  e.  3  t.) 


Digitized  by 


Google 


358  CAPO  QUARTO,  '  [libbo 

Fu  resa  santità  alla  bandiera,  facendo  sentire  come  non  si 
poteva  né  abbandonare  né  trarla  fuori  per  causa  privata,  senza 
espiarla  colla  vita.  Dovunque  è  un  disordine,  del  quale  importa 
venire  a  capo,  ivi  si  fa  cavalcare  don  Michele,  il  terribile  ca- 
pitano di  guardia,  cui  per  nuova  deliberazione  si  danno  trenta 
balestrieri  a  cavallo  e  cinquanta  fanti,  coU'espresso  incarico 
di  reprimere  tutti  gli  scandali.^  Chi  vende  o  gioca  Tarmi,  chi 
usa  bestemmiare,  chi  si  fa  abito  del  gioco  o  pratica  maliziosa- 
mente 0  é  baro,  tocca  certamente  la  pena  sua.  Le  pene  son 
più  di  carcere  che  di  multa,  perchè  le  multe,  secondo  che  av- 
visa il  Segretario,  fanno  gli  uomini  poveri  e  V  istigano  al  ricatto 
contro  al  privato  e  al  pubblico.  A  maggior  tutela  della  disci- 
plina, accanto  alla  porta  della  chiesa  principale  in  ogni  pote- 
steria  è  posta  una  cassetta  a  modo  di  tamburo,  dipintovi  sopra 
un  San  Giovanni,  colla  scritta:  tamburo  delV ordinanza,  nella 
quale  ognuno  può  gittare  accuse  contro  qual  sia  de' fanti,  che 
si  valga  delle  armi  per  recar  violenza,  o  raduni  i  compagni  a 
combriccole,  o  comperi  o  venda  Tarmi  del  comune,  o  contrav- 
venga in  qualunque  maniera  alla  legge.  L'accusatore  é  tenuto 
segreto,  e  di  soprappiù  gli  va  devoluta  la  quarta  parte  della 
multa  inflitta  all'inquisito  colpevole. 

Né  il  Machiavelli  che  a  saputo  dar  corpo  e  moto  al  novello 
esercito,  riposa  già  sulla  nomea  di  buon  ordinatore  che  gliene 
è  derivata.  Dalla  sua  nuova  cancelleria  prosegue  l'opera  as- 
siduamente e  non  se  ne  leva  che  per  trascorrere  da  una  lega 
all'altra,  dall'uno  all'altro  vicariato,  vivificando  colla  presenza 
sua  lo  zelo  de' subordinati,  facendo  sempre  nuova  esperienza, 
frequentando  connestabili  per  imparar  da  loro  quella  parte 
pratica  di  mestiere  che  non  s'apprende  se  non  in  campo,  teso- 
reggiando ogni  nozione  che  si  riferisca  a  fortificazione  di  terre 
e  di  luoghi,  cercando  della  guerra  di  rifare  una  scienza,  d'ov- 
viare a  ogni  pericolo  che  le  armi  patrie  non  siano  sviate  o 
sedotte  dal  soldo.  ^ 


1  Arch.  fior.,  classe  xiii.  dist.  ii,  cod,  lxx,  a  c.  0  e  11,  t.  Cf.  Archivio  Storico  it.,  t.  xv, 
Documenti  per  servire  alla  Storia  della  milizia  italiana,  editi  dal  Canestrini,  pag.  410. 

*  Fra  i  documenti  relativi  a  N.  M.  nella  Biblioteca  Nazionale  fiorentina,  concernono 
più  particolarmente  le  cose  della  milizia  i  seguenti:  (Busta  iv)  13,  59,  86,  91,  93,  91,  50, 
123,  142,  143,  MI,  160,  167,  178  —  (Busta  v)  n.  73-79,  81-90,  99.  lOO-lOi.  163.  Si  trovano 
lettere  a  lui  de*  seguenti  capitani  e  conestabili:  Iacopo  Savelli  (B ibi.  Naz.,  busta  iv,  49), 
Ercole  Benti voglio  (iv,  90),  Johanni  Oottefrid  «  tudescho  connestabulo  »  (iv,  61,  65,  66), 
Pietro  Tiberio  Corolla  (iv,  4^),  Sarra  da  Citerna  (tv,  60),  Daniello  da  Castiglione  (iv,  62,  63), 
Arcangelo  da  Castiglione  (iv,  47,  72),  Antonio  da  Castiglione  (v,  lOi),  Janesino  da  Sarzana 
(iv,  73,   110),  Bernardino  Serbinelli  (tv,  77),  Dom.  Gariberto  (iv,  98),  Giovanni   Berardi 


Digitized  by 


Google 


f 
secondo]  cancelleria  DE* NOVE  DELLA  MILIZIA.  399 

Le  leve  di  Toscana,  circa  il  luglio  del  1507,  sono  venute 
già  in  tanta  fama,   che  qualche  conestabile  de' veneziani,  per 
cercare  soldati  che  servissero  la  repubblica  veneta,  si  spinge 
presso  a' confini  del  dominio  fiorentino;   e  Ramazzotto  stesso 
adesca  con  danari  i  nuovi  militi  a  seguitare  le  sue  insegne. 
Ed  ecco  un  bando  de'  Dieci  al  vicario  di  Firenzuola,  minacciando 
«  a  ciascuno  che  si  partirà  per  ire  al  soldo  d'altri  senza  licenza 
nostra,  che  ne  sarà  punito  o  a  l'andata  o  a  la  tornata  e  sarà 
trattato  come  nostro  ribelle;  e  sia  gastigato  il  padre   per  il 
figliuolo  e  l'uno  fratello  per  l'altro  ».^  Dire  dell'efficacia,  della 
passione  che  improntano  tutta  la  corrispondenza  militare  te- 
nuta da  Niccolò  per  circa  sei  anni  in  questo  uflScio  sarebbe  cosa 
superflua  e  insufiìciente  insieme.  Bisogna  leggere  quelle  sue  let- 
tere circolari  e  quei  bandi  innumerevoli  per  intendervi  tutta  la 
natura  di  lui,  per  vedervi  trasparire  quasi  un  pensiero  e  un  sen- 
timento antico.  La  piccola  parte  che  ne  fu  data  in  luce  dal  Ca- 
nestrini, quantunque  senza  intrinseca  ragione  di  scelta,   è  ba- 
stevole a  nostro  credere,  per  darne  idea  adequata;  né  tolto  il 
caso  della  pubblicazione  intiera  di  tutta  quella  corrispondenza, 
sarebbe  possibile  ottenere  in  altra  guisa  miglior  cognizione  o 
dell'operosità  feconda  del  Machiavelli  in  quell'officio  o  dell'or- 
dinamento e  dei  progressi  di  quella  milizia.  Per  essa  le  condi- 
zioni del  nuovo  esercito  e  quelle  dell'animo  del  Machiavelli 
che  se  ne  sente  padre,  ci  vengono  ben  poste  in  rilievo.   Nic- 
colò è  contento  dell'opera  sua;  eppure  non  cosi  contento  ch'ei 
n'abbia  quiete.  Quella  milizia  manca  d'  un  capo  supremo  che 
l'animi,  d'un  braccio  forte  che  la  maneggi;   non   è  dissimile 
da  una  spada  senza  elsa,  da  una  nave  senza  pilota.  Il  Ma- 
chiavelli vede  tutto  questo  e  prevede  ancora  che  a  nominarle 
un  comandante  non  si  verrà  forse  mai,  perchè  in  quella  sua 
arrabbiata  repubblica  la  questione  politica  soprafià  ed  uccide 
la  questione  militare  ;  perchè  la  democrazia  sospettosa,  condan- 
nata a  tenersi  da  per  sé  stessa  inferme  le  forze,  non  può  e 
non  vuol  mettere  in  una  mano  l'arbitrio  delle  armi  proprie,  e 
preferisce  il  danno  al  pericolo.  Se  fosse  riuscito  mai  a  Gonfa- 
loniere perpetuo  altr'uomo  dal  Sederini,  altr'uomo,  capace  a 

(iv.  108),  Dietajuti  da  Prato  (iv,  109),  Bastiano  di  Piero  (v,  71),  Francesco  de'  Marchesi 
del  Monte  a  S.  Maria  (v,  75),  Carlo  da  Offlda  (v,  76,  77,  78).  —  In  una  lettera  in  data 
dei  13  agosto  1512,  Pietro  Paolo  Boscoli,  il  generoso  e  infelice  giovane  la  cui  relazione  fu 
alla  fortuna  del  Machiavelli  fatale,  gli  raccomanda  Giovannino  della  Bella  «  per  uno  de'ca- 
valli  »  (v,  101). 

*  Caxestbini,  Scritli  inediti  di  N.  M.,  pag.  353,  359. 

ToBAMASiNi  -  Machiavelli.  21 


Digitized  by 


Google 


370  CAPO  QUARTO.  [libro 

sorgere  nel  momento  della  necessità  capo  delle  armi,  guerriero 
della  libertà;  se  a  quel  supremo  onore  della  repubblica  fosse 
stato  assunto  non  un  uom  di  legge,  ma  uno  della  tempra  del 
Giacoraini  i  o  d'Alamanno  Salviati,  buoni  a  condurre  una  guerra, 
ei  sarebbesi  confidato  che  nell'ora  del  pericolo  il  Gonfaloniere 
perpetuo  avrebbe  potuto  legittimamente  sorgere  dittatore  con 
romano  uflScio,  a  provvedere  che  la  repubblica  non  patisse  de- 
trimento in  nulla.  Ma  dovendo  fatalmente  riporsi  il  comando 
dell'esercito  in  altre  mani  che  in  quelle  del  capo  dello  stato, 
Niccolò  si  trovava  costretto  a  lasciarsi  prendere  inevitabilmente 
dal  più  ovvio  calappio  della  spossante  necessità  democratica: 
la  diffidenza  nei  propri  concittadini.  —  «  Subito  ci  sarebbe  chi 
vorrebbe  che  Ceccottp  *  o  il  Guicciardino  o  simili,  menassero 
questa  danza,  o  alcun  altro  che  voi  non  conosceste,  che  sarebbe 
peggio  di  costoro,  e  voi  credereste  che  fusse  meglio  ».^  Così 
s'esprime  egli  nel  Consulto  per  l'elezione  del  capitano  delle 
fanterie.  Non  c'era  dunque  che  ricorrere  a' forestieri;  ma  anche 
qui  si  levava  contro  un  altro  intoppo  grave;  dappoiché  se  vo- 
lendo scegliere  un  capitano  tra  i  paesani,  c'era  da  «  dare  in 
uno  poco  fedele  o  poco  sufficiente  »,  a  volerlo  scegliere  fra  i 
condottieri,  c'era  da  offendere  le  convenienze  e  le  pretensioni 
di  questi  «  gran  principi  »  e  da  suscitare  nuovo  pericolo.  In 
Francia  stessa  la  notizia  di  quel  principio  di  costituzione  del- 
l'esercito statuale  aveva  fatta  impressione;  come  se  per  quelle 
sue  armi  Firenze  mirasse  a  farsi  meno  dipendente  dalla  pro- 
tezione di  Francia.  Non  s'aveva  il  coraggio  di  dir  troppo,  anche 
per  non  parere  che  si  volesse  dare  troppa  importanza  a  quel 
fatto;  ma  il  Rubertet,  parlando  con  Francesco  Pandolfini: 
«  Ambasciatore  »,  dicevagli,  «  voi  avete,  secondo  intendo,  buone 
genti  d'arme,'*  ma  avete  bisogno  d'un  buon  capo;  pensatevi  ». 

1  Cf.  Machiavelli,  Diicorsi,  lib.  iii,  e.  16.  «  Essendo  nella  nostra  città  di  Firense,  dopo 
Tanno  1491,  seguite  molte  guerre,  et  avendo  fatto  i  cittadini  tutti  una  cattiva  prova,  si 
riscontrò  la  città  a  sorte  in  uno  che  mostrò  in  che  maniera  s'aveva  a  comandare  agli  eser- 
citi, il  quale  fu  Antonio  Giacomini.  E  mentre  che  si  ebbe  a  fare  guerra  pericolosa,  tutta 
l'ambizione  delli  altri  cittadini  cessò,  e  nella  elezione  del  commissario  e  capo  deiresercito 
non  aveva  competitore  alcuno  ;  ma,  come  e*  si  ebbe  a  fare  una  guerra  dove  non  èra  dubbio 
alcuno  et  assai  onore  e  grado,  ei  si  trovò  tanti  competitori  che  avendosi  a  eleggere  tre 
commessarii  per  campeggiare  Pisa,  ei  fu  lasciato  indietro  ».  Il  Prrri,  che  nella  VUa  di 
Ant.  Giacomini,  loc.  cit.  pag.  249,  riporta  queste  parole  del  Machiavelli,  lo  chiama  :  «  un 
nostro  Fiorentino,  per  altezza  d'ingegno  e  per  prudenza  civile  non  inferiore  ad  alcuno  dei 
suoi  tempi  ». 

«  Ceccotto  Tosinghi,  Pier  Guicciardini. 

*  Machiavelli,  Consulto  per  l'elezione  del  Capitano  delle  fanterie  ed  ordinania 
fiorentina. 

*  Dbsjardins,  ygoniations  diplomatiquea,  t.  ii,  pag.  156. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  il  re  di  FRANCIA  E  LE  MILIZIE  FIORENTINE.  371 

E  nel  primo  proposito  che  gliene  tenne,  non  accennò  a  nessuno, 
né  italiano,  né  francese  in  particolare;  solo  insistè  sulla  que- 
stione di  massima,  che  a  quelle  armi  si  conveniva  dare  un 
capo,  perchè  quel  capo  avrebbe  dovuto  essere  una  malleveria 
per  gì'  interessi  francesi,  E  non  molto  dopo  tornò  ancora  sul- 
l'argomento «  senza  mostrare  alcuna  particolare  afiFezione  », 
secondo  che  l'ambasciatore  si  esprime,  ma  bilanciandogli  le 
qualità  del  marchese  di  Mantova,  di  Louis  d'Ars,  di  Giambat- 
tista Caracciolo  principe  di  Melfi,  e  concludendo  :  «  risolvetevi 
se  lo  volete  italiano  o  francese,  e  ne  pigliate  poi  uno  con 
partecipazione  di  questa  maestà,  a  satisfazione  vostra  >.i  Non 
andò  molto  tempo,  che  il  re  stesso  ebbe  a  domandare  all'ora- 
tore: «  che  gente  avete?  »  e  il  Pandolflni;  «  e' miei  signori 
anno  circa  settecento  uomini  d'arme  b^ne  a  ordine;  e  perchè 
e' pensano  che  in  Italia,  venendo  vostra  maestà,  non  si  abbia 
a  stare  oziosi,  e' sono  più  mesi  che  e'cominciarono  a  fare  un 
ordinanza  di  dodicimila  pedoni  nel  dominio  loro,  e' quali  sono 
già  tutti  armati  e  al  continuo  bene  disciplinati  per  poter 
difendere  e  guardare  lo  stato  loro  »....  —  E  il  re:  <  vera- 
mente è  una  bella  cosa,  né  è  piccolo  numero  ».  E,  domandato 
poi  se  fossero  tutti  del  paese,  e  uditosi  rispondere  di  si,  con 
quella  caparbia  sufficienza  con  cui  i  potenti  sanno  di  poter 
mettere  la  loro  autorità  al  posto  delle  ragioni,  con  cui  la 
burbanza  dell'uso  si  suol  contrapporre  alla  timidezza  delle 
innovazioni,  soggiunse:  «In  tutti  e' mia  affari  io  non  voglio  mai 
adoperare  che  forestieri,  cioè  svizzeri  e  francesi,  e  qualche 
lombardo  solamente,  perchè  io  non  li  fo  differenti  da'  fran- 
cesi ».*  S'immagini  con  che  sentimento  di  compassione  il  Ma- 
chiavelli non  ebbe  a  lèggere  nel  dispaccio  dell'oratore  quelle 
cieche  parole  del  re!  Ma  frattanto  l'insistenza  francese  nel 
consiglio  che  alle  milizie  fiorentine  fosse  proposto  un  capo 
ligio  all'interesse  di  quella  nazione,  s'aggiungeva  come  una 
causa  di  più  per  distornare  l'animo  de'  cittadini  dal  farne  ele- 
zione. D'altronde  non  restavano  i  conestabili  dal  raccomandare 
a  Niccolò  e  fargli  parere  ogni  giorno  più  vivo  e  reclamante 
il  bisogno  di  procedere  a  quella  scelta  che  confermerebbe  la 
milizia  nella  reputazione  acquisita. 

E  ancora  nel  1510  gli  arrivano  sollecitazioni  per  ch'ei  sug- 
gerisca la  persona;  e  gli  mettono  innanzi  Ciriaco  dal  Borgo, 

*  Desjabdiks,  N'gociationi  diplomatiques,  t.  ii,  pag.  157. 
»  Id.  ibid.,  pag.  200. 


Digitized  by 


Google 


378  CAPO  QUARTO,  [libeo 

come  quello  che  non  darebbe  cagione  né  a  sospetti  né  a  ge- 
losie; ^  pur  tuttavia  si  giunge  al  1511,  e  Niccolò  non  sa  in- 
dursi a  far  proposta  veruna  al  magistrato  dei  Nove,  perchè 


*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  70.  «  Cerchio  chonestabile  in  Anghiari  egregio  viro 
N.  M.  Secretarlo  in  Firenze.  La  lettera  è  in  data  del  «  di  primo  di  febbraio  1509  »  (1510, 
8t.  com.)  :  «  Avisovi  chome  per  me  andando  al  borgo  mi  messi  a  ragionar  con  messer  Chiriaco 
di  qneste  fanterie  che  avete  descritti  («te)  per  uedere  quello  che  ne  diceua.  Le  commendò 
fortemente  et  dice  essere  una  gran  reputatione,  come  ui  sapete,  auere  un  chapo  chome  uno 
pari  di  messer  Chiriaco  sopra  a  tale  militia  et  masime  io  uedendo  messer  Chiriacho  fame  un 
gran  conto,  et  anche  non  ciene  pari  a  messer  Chiriaco.  Sarebbe  bene  che  la  Magnifici entia  V. 
ne  facessi  ogni  opera  che  auessimo  un  tale  chapo  sopra  di  tutti  noi  et  ciaschuno  deMis^ 
critti  {starebbe  assaissimo  più  contento  sentendo  essere  richondotto  tal  chapo  sopra  a  tale 
fanterìe  et  sarebbe  fermo  tale  militia  con  tutte  le  reputationi  sua  »  —  Ora.  per  quel  cha 
risguarda  il  tempo  in  cui  fu  scritto  il  Consullo  per  reiezione  del  capitano  delle  fanterie 
ed  ordinanza  fiorentina,  di  cui  le  edizioni  non  dicon  nulla;  cominceremo  dal  considerarne 
i  dati  intrinseci.  In  esso  si  accenna  a  due  termini:  quello  in  cui  i  Veneziani  «  avevano 
per  capitano  dei  loro  fanti  Giovambattista  Homagio  (le  stampe, compresa!* ultima  edizione 
florentina  danno  Nomagio,  ma  i  dianoscritti  recano  indubbiamente  a  qnel  modo)  ed  ave- 
vano per  condottiero  TAlviano»;  e  quest'altro:  «  vedete  ora  che  il  Papa  à  fatto  capitano 
delle  fanterie  Marcantonio  Colonna,  e  gli  altri  stridono  ».  lì  papa  ebbe  Marcantonio  Co- 
lonna solo  quando  questi  si  parti  dagli  stipendi  dei  Fiorentini,  nel  1510  (Cf.  Ouicciardxki, 
Storia  d'Italia,  lib.  ix,  Bonaccorsi,  Diario,  pag.  14S).  Quanto  allo  starsi  delFAlviano 
co*  Veneziani,  è  chiaro  che  si  allude  a  un  tempo  anteriore  alla  giornata  di  Vaila  (17  mag^ 
gio  1509).  Di  Giambattista  Omaggio  non  ci  riusci  avere  notizia  dagli  Archivi  di  Venezia. 
Nelle  lettere  di  Luigi  da  Porto  (pag.  54)  si  menziona  un  Giovambattista  da  Fano  che 
guidava  la  metà  d'una  banda  di  fanti  a  Vaila,  «  uomo  molto  amato  dalPAlviano,  la  libe- 
ralità del  quale  e  la  vivacità  insieme,  pare  che  inviti  ogni  gentiluomo  alle  sue  bandiere, 
piuttosto  che  a  quelle  di  alcun  altro  di  questi  capi  di  Venezia  ».  Si  nasconde  forse 
rOmaggio  sotto  questa  designazione  del  Da  Porto  ?  non  oseremmo  affermarlo  di  positivo  ; 
ma  il  certo  si  è  che  questo  Consulto  del  Machiavelli  è  giunto  sino  a  noi  solo  per  via  del- 
l'Apografo di  Giulian  de' Ricci  (V.  App.,  loc.  cit.,  S  xliii),  ove  s'intitola:  •Ragioni 
perchè  sarà  bene  fare  capitano  delle  fanterie  il  signor  Jacopo  Savello,  add\  6  di  mag' 
gio  iSii  ».  Ora,  il  Ricci  sapeva  troppo  poco  i  particolari  minuti  della  Storia  fiorentina  per 
aggiungere  a  questo  scritto  in  seguito  di  sue  investigazioni  la  data  certa  ;  ed  era  troppo 
onesto  per  apporvene  una  cervellotica.  Convien  dunque  supporre  che  e  il  titolo  e  la  dat& 
e'  la  indicazione  della  persona  l'abbia  trovata  nell'autografo  del  Machiavelli  ;  e  però  cade 
la  congettura  accennata  in  nota  dall'editore  ultimo  (M.,  Opp.,  voi.  vi.  pag.  358)  che  il 
messer  Jacopo  di  cui  qui  si  tratta,  sia  piuttosto  Jacopo  Corso  che  Jacopo  Savelli.  Questi, 
che  dal  20  gennaio  1505/6  sino  al  1513  si  trova  sempre  a'  soldi  della  repubblica  fiorentina, 
per  condotta  rinnovata  di  due  in  due  anni  (V.  Arch.  fior,.  Stanziamenti  e  condotte  dal  x  di 
Xhre  i505  al  xxviij  di  Xbre  1506  a  e.  83 1.  e  altri  registri  consimili  sino  al  1513  passiin)  doveva 
tanto  meglio  rispondere  alle  intenzioni  del  Machiavelli,  in  quanto  aggiungeva  alla  pratica 
delle  cose  guerresche;  lo  studio  degli  antichi  che  s'occuparono  delle  militari  discipline. 
Della  qual  cosa  ci  fa  testimonianza  la  seguente  lettera  a  lui  diretta  da  Alessandro  Paxsi, 
che  trovasi  fra  le  miscellanee  del  Bandini  nella  Bibl.  Mamcelliana  :  —  «  IH.  D.no  Jac. 
Savello  relp.  Fior  armorum  capii.  Dno.  meo  Colen.^  etc.  Ex  Florentìa  Calendis  sextilis » 
Salvus  sis:  Heliani  libros  quos  de  instruendis  aciebus  inscripsit,  a  Theodoro  Gaza  in 
latium  adscitos  ad  te  mitto:  Idque  feci  libenter  quod  ij  quidem  digni  mihi  visi  sunt  ut  in 
cospectum  tuum  veniant.  Invenies  in  eis  exactam  antiquae  illius  rei  militarìs  doctrinam  : 
mirabilem  preterea  tradendi  modum  :  quicpe  qui  mathematicas  rationes  singulis  probatio- 
nibus,  theorematibus  fere  dixerim,  adnectat:  ipsisque  tamquam  mediis  semper  utaturi 
nihil  denique  concludat  quin  geometricis  figuris  aut  numeris  commodissime  aptet.  De  cuius 
doctrina  ac  gravitate  pluribus  agerem  tecum  :  nisi  testimonium  haberes  ipsius  Theodor! 
Tiri  eruditissimi  qui  maxima  diligentia  ac  studio  curavit,  ne  auctor  is  amplius  a  latinia 
hominibus  desideraretur  simnlque  ut  eo  nitore  quo  proprio  idiomate  elegantissimus  viderì 
potest,  cum  nobis  cultum  omatumque  traderet,  quod  sane  Gazae  proprium  est.  Adeo  ut 
ipsos  tibi  peculiariter  deberi  mihi  visum  est,  quod  non  solum  militarem  rem  (cuins  tu 
peritissimus  es)  a  teneris  unguiculis  perpetuo  exercuisti,  in  qua  etiam  versarìs  assidue  r 
verum  quod  bonis  litteris  studioque  philosophiae  gaudes  amoreque  mathematicae  disciplina» 


Digitized  by 


Google 


secondo]  consulto  per  V elezione  del  capitano.  373 

l' impaccio  politico  che  lo  strascina  a  ricorrere  a  mezzi  termini 
per  risolvere  questioni  nelle  quali  bisogna  procedere  diritti 
senz'altro  riguardo  che  della  meta,  gli  cagiona  quella  specie 
di  cruccio  che  getta  nell'indugio  anche  colui,  il  quale  non 
sarebbe  per  natura  indugiatore.  Cosi,  dibattutosi  vanamente  fra 
due  diversi  ordini  d'idee  inconciliabili,  alla  fine  persuade  come 
il  miglior  espediente  per  Firenze  «  cominciare  a  dar  reputazione 
ad  un  suo  creato  per  tirarlo  con  il  tempo  a  quel  grado  ».  Questi 
sarebbe  stato  cosi  più  docile  a'commissari  mandatigli  accanto 
dal  governo;  non  avrebbe  acquistato  mai  troppa  autorità;  non 
avrebbe  irritato  mai  né  il  sospetto  de'cittadini  o  di  Francia, 
né  la  gelosia  degli  altri  condottieri;  sarebbe  riuscito  quel- 
l'utile mediocrità  che  è  il  flaccido  ideale  delle  democratie.  Cosi 
l'invidiosa  vita  comunale  e  popolaresca  legava  le  mani  al  ri- 
formatore dell'esercito  statuale;  cosi  per  bizzarra  crudeltà  di 
fortuna,  quand'egli  con  enormi  fatiche  e  con  industria  infinita 
riesce  a  trarre  dal  contado  e  dal  distretto  la  difesa  della  re- 
pubblica, è  costretto  a  cedere  alla  città  reluttante,  a  legarsi 
le  mani  da  sé  stesso,  a  lasciare  il  nuovo  esercito  suo  infer- 
miccio del,  capo,  senza  unità  di  direzione,  senza  quella  forza 
di  coesione  che  lo  avrebbe  fatto  potente  a  resistere  agli  urti 
dell'oppressione  forestiera.  Ed  era  ben  questo  il  naturale  effetto 
di  quella  grettezza  democratica  che  non  sapeva  levare  gli  occhi 
di  sopra  sé  medesima  che  non  attendeva  ad  altro  che  a' casi  suoi 
della  giornata,  che  non  lottava  se  non  per  domestici  dissidi  e 
senza  pensare  che  poteva  sopraggiungerle  addosso  una  forza 
esterna  a  soffocarla  in  un  subito.  Ma  voltandoci  ad  esaminare 
l'opera  da  Niccolò  condotta  circa  le  milizie  per  quel  che  vale 
in  sé  stessa,  non  tanto  preoccupandoci  del  punto  da  cui  il  se- 
gretario le  aveva  trovate,  quanto  considerando  quello  a  cui 
conveniva  che  giungessero  per  poter  credere  che  lo  stato  avesse 
effettivamente  ricostituito  coll'esercito  paesano  l'elemento  della 
propria  difesa,  é  forza  confessare  che  il  Machiavelli  a' suoi 
tempi,  potè  comprendere  piuttosto  i  bisogni  che  non  i  diritti  dello 
stato;  di  guisa  che  questo,  peritoso  e  titubante  nello  spiegar 


teneris:  atque  ad  eas  speculationes  quibus  HeliaDus  utitur  factus  videris,  atque  adeo  ut 
jnre  quidem  palladis  ipsina  alumnus  dici  possis.  Ceteruxn  de  Heliano  quid  sentias,  quam 
graUssimum  mihi  foerit  ut  ad  me  Bcribas:  tanti  enim  facio  iudicium  tuum  ut  maxime 
ipsum  scriptorem  probavero,  si  abs  te  probatum  fuisse  intellexero:  vale  ac  me  ama  ut 
facis:  valetudinique  tuae  curam  exibeas  hoc  pnesertìm  tempore  quo  Pisaeinfames  propter 
palnstrera  aerem  apud  omnes  babentur. 

«  S.ior  Alexandeb  Paccius.  » 


Digitized  by 


Google 


374  CAPO  QUARTO.  [tiBW) 

l'azione  sua  verso  de' sudditi,  troppo  abbandona  airarbitrio  in- 
dividuale di  quelle  forze  ch'esso  dovrebbe  disciplinare  e  costrin- 
gere; e  siffatto  abbandono  ridonda  tutto  a  scapito  di  propor- 
zione e  di  robustezza  nella  compagine  dell'esser  suo.  Questo 
difetto  anche  più  chiaro  ^'avvisa  quando  il  Machiavelli  pro- 
cede in  seguito,  per  mezzo  della  provvisione  per  istituire  l'ordi- 
nanza de' cavalli,  a  rendere  statuale  anche  la  cavalleria,  più 
stretto  attenendosi  alle  disposizioni  degli  statuti  fiorentini,^  e 
tuttavia  meno  allontanandosi  dalle  pratiche  "della  milizia  mer- 
cenaria; che  l'esercito  statuale  è  tutto  contadinesco,  e  non  à 
coraggio,  0  forse  non  à  speranza,  di  ridiventare  istituzione 
della  -  città. 

In  quella  provvisione  del  resto  si  richiamano  generalmente 
le  deliberazioni  fondamentali  per  l'ordinanza  militare  de'  fanti; 
si  vuole  che  per  quanto  è  possibile  questa  seconda  istituzione 
sia  in  congrua  relazione  con  quella  prima,  derogando  solo  a 
quelle  parti  nelle  quali  l'esperienza  indicò  già  l'opportunità  di 
modificazioni.  Cosi,  per  esempio,  il  censimento  degli  uomini  atti 
all'armi,  che  per  la  prima  provvisione  doveva  farsi  ogni  anno, 
per  la  seconda  diventa  triennale;  si  à  più  severo  riguardo 
che  l'armamento  delle  singole  bandiere  sia  limitato  a' termini 
delle  circoscrizioni  territoriali.  I  cavalli  leggieri  in  numero  non 
inferiore  a' cinquecento  vengono  armati  di  balestra  e  di  scop- 
pietto, e  a  dieci  appena  su  cento  si  dà  la  lancia.  Dodici  ducati 
d'oro  all'anno  è  l'indennità  che  gl'inscritti  ricevono  per  la 
spesa  del  cavallo  in  tempo  di  pace;  la  paga  è  d'un  fiorino; 
i  capitani  e  i  capisquadra  anno  paghe  doppie;  ogni  bandiera 
comprende  almeno  cinquanta  cavalli;  un  marescalco  è  or- 
dinato per  ogni  bandiera.  Questo,  insieme  con  un  mandato 
de' Nove,  deve  alle  prime  mostre  notare  uomini  e  cavalli  per 
peli  e  segni,*  compilarne  le  liste  che  il  Cancelliere  de' Nove 
trascrive  ne' registri,  far  la  stima  de'cavalli. 


1  V.  Machiavelli,  Provvisione  seconda  per  le  milizie  a  cavallo,  approvata  nel  Con- 
siglio degli  Ottanta  a*  dì  S3  di  marzo;  a* di  30  nel  Consiglio  maggiore.  Cf.  Statuta  popuU 
et  Communis  Florenliae,  pag.  1S8-130.  De  juramento  praestando  a  stipendiarìis  et  ejas 
forma  —  pag.  190,  qaod  teneantur  equitare  in  qualibet  parte  —  pag.  132,  quod  equi  scrìpti 
ad  conductum  intelligantur  obligati  comuni  Florentiao  —  Quod  stipendiarii  non  potsiat 
vendere  vel  subpignorare  eqnum  vel  equos  et  de  certis  poenis  —  pag.  IXi.  Notarìi  con- 
ductae  scribant  conductam  ipsorum  stipendiariorum  —  pag.  135.  Quod  notarius  condoctae 
teneatur  consignari  acta  infra  quindecim  dies  —  de  monstris  stipendiariorum  equestrion  et 
de  notario  conductae  —  pag.  137.  Nullus  stipendiarius  ferat  insigaia  alterìas.  — 

>  Di  queste  note  e  descrizioni  di  cavalli  «  per  peli  e  segni  »  diamo  saggio,  pubblicando 
in  Appendice  la  «  Mostra  et  resegna  armata  del  Ill.mo  S.or  Duca  de  Urbino  Capitanio 


Digitized  by 


Google 


SKCONDo]  ORDINANZA  PEI  CAVALLI.  373 

Chi  non  compariva  alle  mostre  senza  scusa  legittima,  per 
la  prima  volta  perdeva  solo  il  ducato  della  sua  paga,  in  seguito, 
oltre  la  perdita,  era  colpito  con  tre  lire  di  multa.  Scusa  legittima 
era  la  malattia  o  il  permessso  d'assenza  riportato  dai  Nove.  Della 
malattia  testificava  il  parroco  per  iscritto;  ma  tuttavia  il  ma- 
lato doveva  mandare  alla  mostra  il  cavallo;  e  ciò  facendo  gli 
si  pagava  il  ducato,  come  se  fosse  personalmente  intervenuto 
alla  rassegna;  ma  chi  vi  si  presentasse  con  cavallo  diverso  da 
quel  ch'era  descritto  nelle  liste,  era  di  fatto  condannato  in 
due  ducati  d'oro.  Il  cavallo  descritto  nell'ordinanza,  era  sempre 
del  proprietario;  ma  tuttavia  lo  stato  ci  aveva  sopra  qualche 
diritto  pel  ducato  d'indennità  che  pagava.  Il  cavallo  proprio 
potevasi  bensì  barattare  o  vendere,  purché  dentro  i  dieci  giorni 
dalla  permuta  o  dalla  vendita  si  presentasse  al  rettore,  al  ma- 
rescalco, al  deputato  dei  Nove  l'altro  cavallo,  e  si  facesse  de- 
scrivere e  registrare  in  luogo  dell'antico;  ma  il  proprietario 
che  poteva  permutarlo  o  venderlo,  non  aveva  facoltà  di  darlo 
a  prestito  per  più  che  due  giorni;  altrimenti  e  chi  l'aveva 
concesso  e  chi  lo  sopratteneva  ne  rispondevano  con  grave 
multa.  Nel  caso  che  morisse  in  guerra,  il  magistrato  ne  pagava 
due  terzi  del  valore  al  proprietario;  se  non  moriva  in  seguito  a 
una  fazione  guerresca  o  fosse  reso  inservibile,  per  qualsiasi 
altro  modo,  dovevano  i  commilitoni  per  rata  porzione  mettere 
insieme  la  somma  di  dieci  fiorini  d'oro  in  oro  larghi  ;  disposizioni 
tutte  in  cui  era  più  industria  che  utilità  vera.  Ma  tuttavia  è 
ynpossibile  non  riconoscervi  una  qualità  indiscutibilmente  nuova 
e  buona,  la  quale  consisteva  in  questo  che  tanti  erano  in 
quell'ordinanza  gli  uomini  armati  e  tanti  i  cavalli  a  differenza 
delle  altre  milizie  a  cavallo  italiane  e  francesi,  le  quali  per 
ogni  uomo  d'arme  avevano  almeno  due  cavalli  inutili. ^  Per- 
tanto anche  nell'ordinamento  della  cavalleria  il  Machiavelli 
ebbe  ad  attingere  ispirazione,  per  quanto  potè,  dalle  pratiche 
di  Germania,  tenendo  tuttavolta  ragione  dell'elemento  feudale 
che,   pure  assoggettato   a  migliori   norme    di  disciplina,  ^  in 


generale  de  la  Sancta  Eccia,  faeta  socio  la  Torre  de  Quinto,  die  XXVIIJjulii  i505» 
tratta  dai  Diversa  gentium  artnorum  neirArch.  di  Stato  in  Roma.  In  quel  di  Firenze  non 
ci  venne  fatto  di  vederne  consimile. 

*  Cf.  Vincenzo  Quiami,  Relazione  di  Oermaniaf  fra  le  Relazioni  venete  dell'ALBéBi, 
serie  1*  t.  vi,  pag.  15. 

•  Cf.  Chubl,  Alttenstilclte  und  Briefe  sur  Geschichte  Maximilians  /,  fra  le  pubbli- 
caxioni  della  I.  R.  Acc,  di  Vienna,  voi.  I,  pag.  62-82  «  Herzog  KarU  von  Burgund 
militar  Réglement  ». 


Digitized  by 


Google 


376  CAPO  QUARTO.  [libro 

que' paesi  costituiva  la  parte  essenziale  delle  genti  a  cavallo. 
Del  resto  se  si  considera  che  il  Machiavelli  andava  continua- 
mente in  volta  più  vivificando  come  ordinatore,  che  registrando 
come  cancelliere  le  sue  nuove  milizie,  non  vorrà  darglisi  bia- 
simo della  poca  regolarità  che  talvolta  incontra  nelle  scrit- 
ture di  cancelleria;  ^  se  si  riflette  a'pochi  mezzi  che  il  Machiavelli 
aveva  a  sua  disposizione,  alle  strettezze  finanziarie  in  cui  versava 
la  Repubblica  di  Firenze,  alla  paura  che  aveva  il  Segretario  che 
queste  non  avessero,  quando  che  fosse,  a  soffocare  V  incipiente 
milizia  sua,^  non  potrà  farglisi  carico  se  in  questa  giovane 
istituzione  la  libertà  privata  apparisce  talvolta  in  vana  e  ti- 
mida collisione  colla  necessità  pubblica;  se  l'uniformità  così 
valida  a  saldare  l'unione,  non  viene  esatta  con  quel  rigore 
che  è  indispensabile  a  conseguirla;  se  i  cittadini  e  gl'inscritti 
nell'ordinanza  son  messi  troppo  spesso  in  relazione  di  diffidenza 
e  di  sospetto  reciproco,  perchè  l' idea  della  difesa  della  patria 
comune,  simboleggiata  appena  nell'  insegna  delle  bandiere,  sia 
da  ciascuna  delle  due  parti  generalmente  sentita.  Era  fatto 
troppo  funestamente  naturale  a  quei  tempi,  in  cui  non  s'in- 
tendeva città  senza  fazione,  né  accozzaglia  di  soldati  senza  ra- 
pine e  ruba,  che  da  una  parte  stesse  tutta  paura  e  dall'altra 
tutto  disprezzo.  A  sbarbicar  questa  mala  condizione  di  cose  in- 
sieme colla  solerzia  di  Niccolò  cooperò  energicamente  la  santa 
severità  del  Giacomini,  resosi  tremendo  all'esercito  per  l' ineso- 
rabilità sua  nel  punire  ogni  sentore  d'eccessi.  Niccolò  potè 
per  certo  tempo  sperare  che  la  gioventù  toscana,  in  virtù  d^i 
quell'uomo  magnanimo  che  riconduceva  sotto  all'armi  il  ri- 
spetto della  giustizia,  la  sacra  vendetta  della  legge,  la  maestà 
del  diritto,  uscisse  rigenerata;  ma  non  ebbe  a  nutrire  per  lunga 
pezza  cosi  bella  speranza.  Roso  negli  occhi  dalla  sifilide,  af- 
franto da' mali,  trasandato  dalla  moltitudine  popolaresca,  usa 
a  detestar  presto  chi  per  culto  del  bene  di  tutti  non  piega  a 


1  Ne  lo  rampogna  Ludovico  Acciajoli  nella  sua  lettera  da  Castel  San  Giovanni  :  «  die  x, 
maij  1512  »  —  «  parendoci  inconveniente  tenore  le  cose  di  cotesto  magistrato  in  suiti 
istracciafogli,  habiarao  ordinato  un  libro  di  mezsani  bolognesi.  Desidereremmo,  occorrendovi 
altro  titolo  che  lo  scrìpto,  ne  advisassi  et  mandassi  copia  della  legge  et  cum  proemio  per 
farla  scrivere  in  principio.  Nec  alia,  salvo  ricordarvi  che  quanto  più  stanno  sensa  eser- 
citarsi, tanto  peggio  ».  »  Blbl.  Nas.,  doc.  M.,  busta  v,  SI.  «  Descriptione  de  cavalli  leg- 
gieri deirordinanza  nel  Vieto  di  Valdarno  di  sopra  della  Ex.m  R.  p.  fior.»*  ». 

>  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  163.  I  Dieci  gli  scrivono:  «  N.  M.  secr.car.mo  die 
xxxj  julii  MD.  XII,  et  perchè  Tu  sai  quanto  lo  apendere  sanza  necessità  è  grane,  ti  ricor- 
diamo che  ogni  spesa,  sanza  la  quale  si  potessi  fare,  Tu  la  riseghi  et  spenda  in  cotesti  fanti 
meno  che  si  può  ». 


Digitized  by 


Google 


aKCOKDo]  INGRATITUDINE  POPOLARE.  377 

vezzeggiare  i  singoli,  Teroico  Giacomini,  ebbe  a  giacersi  negletto 
e  vilipeso 

Nelle  sue  case,  povAr,  vecchio  e  cieco: 
Tanto  a  fortuna  chi  ben  fa  dispiace!  ^ 

Cosi,  con  questi  versi  appassionati  il  Machiavelli  rendeva 
unico  omaggio  al  virtuoso  guerriero  che  voltosi  già  dalla  mer- 
catura al  maneggio  delle  armi  adoperate  a  salvezza  della  patria, 
aveva  saputo  fortemente  dar  corpo  all'idea  prediletta  dì  Nic- 
colò, traducendo  in  atto  la  formola  sacra  :  giustizia  ed  armi.^ 

Così,  bersagliando  il  popolo  sconoscente  che,  passati  i  tempi 
diflBcili,  aveva  gittato  in  dimenticanza  il  proprio  eroe  e  credeva 
ricattarsi  con  quell'oblio  della  severità  mal  sopportata  con  cui  il 
Giacomini  erasi  provato  di  rieducarlo  a  virtù,  Niccolò  insegna 
il  merito  di  lui  alla  riconoscenza  de'  posteri,  e  attesta  la  perso- 
nale ammirazione  sua  a  chi  aveya  dato  si  grande  impulso  al 
princìpio  di  ricostituzione  della  più  naturale  difesa  per  lo  stato. 
Ma  non  andò  gran  tempo  che  anche  Niccolò,  per  rispetto  de' suoi 
propri  casi,  ebbe  a  comporre  il  capitolo  AqW Ingratitudine,  quando 
l'armeggio  de'  malevoli  ebbelo  fatto  segno  d'atroci  ingiurie  or- 
dinate a  colpirlo  nella  famiglia  e  nella  memoria  del  padre. 

Poco  oltre  a' tre  mesi  dopo  il  voto  della  provvisione  che 
istituiva  il  magistrato  dei  Nove  della  milizia,  al  Machiavelli 
furono  concesse  dalla  Signoria  patenti  solennissime  di  citta- 
dinanza e  di  nobiltà,^  nel  cui  contesto  non  sappiamo  se  debba 
leggersi  o  un   principio   di  protezione  o  il  primo   accenno  di 


'  Machiavelli,  Decennale^  ii.  -  Cf.  Pitti  e  Nabdi,  Vita  à*Ant.   Gvicomini,  ove  en- 
trambi gli  autori  riportano  i  versi  scritti  in  onore  del  Oiacomini  dal  M. 
*  Machiavelli,  Decennale j  ii: 

Questi  per  la  sua  patria  assai  solenne 

E  di  vostra  milizia  il  suo  decoro 

Con  gran  giustizia  gran  tempo  mantenne.  ^ 

■  Arch.  fior.,  Registro  di  lettere  esterne  e  agli  Ambasciatori   dal  1504  al  1507,  ci.  x, 
dist.  1*,  n.  119,  a  e.  186,  Signori^  Carteggio  missive,  registri  i*  Cancelleria: 
«  Patentes  Civilitatis  et  Nobilitatis 
«  Die  XV  Maij  1507. 

«  Priores,  etc.  Universis,  etc.  Machiavellorum  familia  nobilis  in  civitate  hac  nostra  omnes 
Reipublicae  nostrae  honores  et  Magistratus  gessit  iampridem,  et  adhuc  gerit,  multosque 
hactenus  Cives  Reipublicae  nostrae  produxit  de  nobis  civitateque  hac  nostra  benemeritos. 
Quapropter  eametsingulos  gentiles  eius  amaraus  mirifico,  et  commoda  omnia  omnesque  honores 
illis  optamus;  libenterque,  sicubi  valeamus,  auctores  etiam  omnium  honorum  eis  erimus. 
Significamus  oh  id  omni1)us  Nicolaum  Bernardi  Jacobi,  qui  in  fidem  suae  originis  has 
licteras  a  nobis  accepit,  ex  ea  familia  genitum  ingenuis  parentibus  et  honestis  maioribus, 
carissimum  nobis  esse  ;  testimonioque  nostrarum  huiuscemodi  llcterarum  nobilitatis  suae 
fldem  omnibus  facimus,  commendamusque  illum  omnibus  oh  merita  familiae  suae,  pre- 
camurque  ut  in  gratiam  nostram  quodcumque  illi  opus  sit  honoris  et  commodi  conferatur. 
Quod  erit  nobis  gratissimum,  et  maioris  obsequii  loco.» 


Digitized  by 


Google 


378  CAPO  QUARTO.  [libeo 

guerricciattole  turpi  e  suddole  di  chi  lambiccava  un  pretesto 
legale  per  escluderlo  da' pubblici  uffizi.  Non  andrà  molto  che 
queste  guerricciattole  le  vedremo  prorompere  furiose  alla  luce 
del  giorno:  probabilmente  il  Machiavelli  se  le  aspettava,  ben 
conoscendo  che  le  città  faziose  non  ne  risparmiano  a  chi  fa 
prova  di  volerle  unite  e  migliori. 

E  nondimeno  dall'opera  spesa  intomo  alla  costituzione 
dell'ordinanza  della  milizia,  dal  suo  sagace  volteggiar  per  gli 
eserciti  gli  venne  tanta  riputazione  fra  i  'contemporanei  che 
r  invidia  o  non  valse  a  sminuirgliela  o  appena  se  ne  curò.  E 
se  negli  ultimi  tempi  della  vita  potè  ottenere  d'essere  adope- 
rato ancora  in  uffici  pubblici,  non  fu  già  per  l'esperienza  che 
aveva  acquistato  di  popoli  e  di  principi,  non  per  la  sagacia 
mostrata  ne'  politici  negozi,  ma  per  essere  stato  il  riordinatore 
delle  bandiere  fiorentine  che  un  pontefice,  ponendo  da  parte  la 
diffidenza,  e  Firenze,  dimenticando  gli  odi  per  la  necessità  della 
propria  difesa,  sperarono  in  lui  e  lo  richiamarono  di  nuovo 
fra  le  armi. 


Digitized  by 


Google 


Capo  Quinto 


IL     MACHIAVELLI     E     L*IMPBRO. 


Lo  imperlo  intanto,  volendo  pasftare. 
Secondo  eli*  è  la  lor  antica  usanza 
A  Roma  per  volerei  coronare; 
Una  dieta  avea  fatta  in  Gostanza 
Di  tutti  i  suoi  baron,  dove  del  Gallo 
Mostrò  l'ingiurie  e  de'  baron  di  Franxa. 
Ed  ordinò  clie  opmun  fusse  a  cavallo 
Con  la  sua  gente  d'arme  e  fanteria 
Per  ogni  modo  11  giorno  di  «an  Gallo. 

(MACiirAVBLLi,  Decennale  secondo). 
Darnaoh  nam  der  >velss  Kunig  fOr  Hicli  oin 
Raiss,  Nemlichen  ain  weite  Icirchfart  zuthun, 
das  wolt  der  kunig  vom  visch  nit  zugeben, 
dardurch  wuechsen  Sy  gegen  ain  ander  in 
Krieg.  also  ward  zwischen  Inen  bayden  ain 
aufruer.  (Trbitzsaqrwbin,  VVeiss  Kunig, 

parte  1.*  pag.  289). 

quel  segno  dell'imperadore. 

(Macuiavklli,  Discorsi,  llb.  2,  cap.  xix). 


La  morte  deirarciduca  Filippo  di  Borgogna  cadeva  acconcia, 
dicemmo;  tanto  acconcia  che,  e  per  l'utilità  che  recava,  e  per 
giungere  inaspettata,^  non  passò  per  lo  meno  senza  dissimula- 
zione di  sospetti.*  S'era  alla  vicenda  solita:  nulla  pareva  che 

>  Cbmkl,  Urkundeny  Briefe  und  Actenstuclu  zur  Geschichte  MaaimiUans  T  und  seiner 
Zeit,  nella  Bihliothek  dee  Uterarischen  Vereins^  voi.  x,  Stuttgart,  1845,  doc.  ceni,  pag.  253. 
Lettera  del  Consiglio  reale  né' Paesi  Bassi  a  Massimiliano.  «  Malines  le  vii«  jour  d*octobre 
anno  xvc  et  six  »:  «  ....  le  roy  notre  tres-redoubte  seigneur  et  prince  a  este  le  xix»  du 
moia  de  septembre  demler  passe  attaint  d'one  fiévre  continue,  de  laquelle  le  xxvje  du  dit 
mois  ensayvant  il  est  alle  de  vie  a  trespas  apres  avoir  receu  tous  les  sacremens  et  fait 
sy  belle  fin,  que  chrostien  pourroit  faire.  La  chose  a  este  sy  soudayne,  que  n'avons  este 
aduertis  de  sa  maladie,  et  sy  avons  lettres  signees  de  sa  main  du  xviije  du  dit  mois,  veille 
du  dit  XIX*  qu'il  print  la  maladie,  contenans  quMl  estoit  lors  en  tres  bonne  sainte  et  pro- 
sperite  ».  —  Il  QuBiTA,  loc.  cit.,  lib.  VI,  pag.  80,  pone  la  morte  deirarciduca  a'dl  25:  «y 
fallecio  un  Viemes,  à  veynte  y'cinco  de  setiembre  ». 

*  QuBiTA,  loc.  cit.  :  «  no  se  dexò  de  tener  alguna  sospecha  qae  Io  huviessen  dado 
pon^ona;  pero  desta  opinion  salieron  los  mismos  Flamencos  sus  sernidores,  en  cuyo  poder 
estana;  por  que  los  pfaysicos  que  el  traya,  de  quien  confiaua  su  salud,  que  curaron  de  su 
dolencia,  y  entre  ellos  Ludovico  Marliano  milanes,  que  era  un  muy  grane  y  doto  baron  ;  y 
tan  accepto  al  Key,  que  no  solamente  tenia  el  principal  lugar  en  la  cuenta  de  su  salud, 
pero  era  admitido  en  cosas  importantes  que  se  ofiVecian  del  estado^  corno  uno  de  su  con- 
sejo,  que  despues  fue  Opispo  de  Tuy,  descubrieron  la  causa  de  su  enfermedad;  y  se  en- 
tendio  auerle  sobreuenido  de  demasiado  exercicìo;  y  de  una  reuma  de  donde  se  encendlo 
la  flebre,  de  que  muchos  morian  en  el  mysmo  tiempo  en  aquella  ciudad  ».  V.  sul  Marliano 
e  suiramicisia  di  lui  con  Pietro  Martire  d*Anghiera,  il  dotto  lavoro  dell' Hbidbnheimbr, 
Petrus  Martyr  AngUrius  und  Min  Opus  epiitolarum,  pag.  61  e  segg. 


Digitized  by 


Google 


380  CAPO  QUINTO.  [libro 

potesse  avvenire,  che  non  s'avesse  ad  ascrivere  a  merito  o  a 
malizia  d' uomini.  Tuttavia  i  Fiamminghi  che  stavano  alla  corte 
di  Filippo  s'erano  potuti  persuadere  dell'opinione  dei  medici, 
soprattutto  del  milanese  Ludovico  Marliano,  uomo  di  grandis- 
sima autorità,  che  l'arciduca  aveva  soggiaciuto  veramente  a 
una  infermità  naturale.  E  una  malattia  d'otto  giorni  era,  per 
que' tempi,  di  troppo  breve  durata  perchè  la  notizia  di  essa 
e  della  morte  seguita  non  giungesse  quasi  contemporanea.  Mas- 
similiano ne  fu  afflittissimo,  e  il  dolore  e  la  necessità  gli  fe- 
cero per  allora  sospendere  il  disegno  del  passaggio  a  Roma. 
La  necessità  era  nelle  nuove  speranze  e  nelle  nuove  preten- 
sioni politiche,  cui  quella  morte  aveva  aperto  l'accesso.  Carlo 
d'Egmont,  intitolandosi  duca  di  Gheldria,  minacciava  l'eredità 
de' sei  figliuoli  dell'arciduca  in  quella  provincia;  il  re  d'Ara- 
gona sforzavasi  di  trarre  a  sé  •l'amministrazione  dei  regni  di 
Castiglia,  di  Leone  e  di  Granata  a  pregiudizio  di  Carlo,  il  se- 
condogenito di  Filippo,  che  la  regina  Isabella  aveva  lasciato 
erede;  e  Massimiliano  sentiva  che  gli  conveniva  prendere  in 
tutela  i  dritti  di  tutti  i  nepoti  generalmente  e  di  Carlo  in 
modo  singolare.  Per  guisa  che  al  proposito  di  frenare  in  Italia 
i  progressi  dell'aggrandimento  francese,  al  desiderio  di  scon- 
figgere la  potenza  de'  Veneziani  gli  s'aggiungeva  ora  la  prospet- 
tiva d'una  lotta  con  Ferdinando  d'Aragona  e  colla  Spagna, 
la  necessità  di  vincere  la  ribellione  nelle  Fiandre;  e  tutto  que- 
sto coU'esìgue  forze  dì  cui  egli  poteva  disporre. 

Com'era  naturale,  i  nemici  suoi  tendevano  a  concordarsi  in 
un'azione  comune  contro  di  lui;  e  re  Ferdinando  e  re  Luigi 
i  quali  avevano  tutti  e  due  il  piede  in  Italia,  accennavano  a 
darsi  mano  l' un  l'altro,  mentre  Papa  Giulio  si  teneva  all'erta 
spiando  il  vantaggio  e  il  momento  suo  e  della  chiesa.  Massi- 
miliano pertanto  non  poteva  voltarsi  che  oltre  mare  a  cercare 
chi  s'alleasse  con  lui  ;  e  poiché,  un  giorno  innanzi  a  quello  in 
cui  Filippo  cadde  malato,  re  Enrico  ottavo  d'Inghilterra  gli 
aveva  scritto  eccitandolo  a  far  pronta  e  attiva  discesa  <  aìix 
pais  d'embas  >,^  e  Massimiliano  aveva  tenuto  invece  su'confini 
d'Italia  gran  numero  d'armati  e  incontrato  grossa  spesa  pel 
passaggio  a  koma,  si  determinò  nel  dicembre  a  mandargli  un 
ambasceria,  la  quale  saldasse  i  vincoli  d'amicizia  con  lui,  pre- 
parati già  dall'arciduca  defunto,  e  procurasse  sigillarli  con  quella 

>  Chmbl,  loc.  cit.  Doc.  ccvii.  Henry  rex  a  tret-sacre  tres^lluttre  trei  hauU  treacellent 
et  Irespuissant  prince  AfaximiUan  «  Oking  le  xviij*  jour  d'octobre  Tao  xv«  et  eix  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  maritaggi  PER  CONGEGNO  DI  STATO  381 

malleveria  che  a' politici  d'allora  pareva  la  più  rassicurante  e 
stabile:  un  maritaggio. 

Cosa  singolarissima:  da  un  lato  i  popoli  europei,  aggrup- 
pati già  come  un  protoplasma  unico  attorno  al  centro  del  ro- 
mano impero,  sbandavano  a  quei  tempi,  come  per  moltiplicazione 
di  cellule,  enucleando  nelle  diverse  nazionalità;  e  dall'altro  lato 
l'impero,  intravedendo  tante  lesioni  del  diritto  suo  proprio  in 
quei  fatti,  di  cui  non  conosceva  né  la  causa  né  la  portata,  s'affan- 
nava a  disturbar  quel  procedimento  comunque  gli  fosse  possibile; 
e  frattanto,  il  mezzo  più  ovvio  pel  quale  da  una  parte  si  tendeva 
all'unione,  dall'altra  si  tentava  la  disgregazione  o  il  recupero,  era 
quel  dei  maritaggi.  Cosi  che  i  santi  legami  domestici  ^  resi  stru- 
mento delle  transazioni  internazionali,  e  oltraggiati  poi  a  seconda 
delle  opportunità  contingenti,  valevano  coU'offesa  della  dignità 
personale  ad  inasprire  più  forte  il  risentimento  delle  delusioni 
politiche.  À  questo  fatale  sistema  di  cose  quel  che  forniva  lusinga 
di  fondamento  non  era  tanto  la  coscienza  de' popoli,  ottusa  per 
diuturnità  di  pregiudicate  condizioni  giuridiche,  quanto  più  pro- 
babilmente un  pregiudizio,  che  parendo  rappiccarsi  colle  tradi- 
zioni dell'antichità  classica,  aveva  in  quel  secolo  il  miglior  fon- 
damento della  propria  fortuna. 

Le  consuetudini  feudali  avevano  per  certo  contribuito  assai 
a  radicar  la  persuasione  che  i  popoli,  quasi  accessione  della 
terra,  quasi  addetti  al  suolo,  non  potevano  credere  in  alcuna 
maniera  di  appartenere  a  sé  medesimi  ;  che  però,  essendo  parte 
di  possesso,  potevano  venir  ceduti,  permutati,  dati  in  dote,  se- 
condo il  placito  del  loro  signore  e  padrone.  Ma  anche  le  tra- 
dizioni classiche  di  Roma  cesarea  ebbero  forza  a  far  con- 
siderare le  nozze  siccome  un  congegno  di  stato,  siccome  un 
modo  d'assetto  a  pretensioni  per  mal  talento  irreconciliabili,  sic- 
come un  mezzo  termine  di  transazione  soddisfacente  intorno  a 
questioni  di  trasmission  di  dominio.  Cesare  aveva  ripudiato  Cossu- 
tia  per  isposare  Cornelia,  a  dispetto  di  Siila;  Augusto  aveva  rotto 
le  nozze  colla  figliuola  di  Servilio  Isaurico  per  Claudia;  aveva 
rimandato  Claudia  per  Scribonia,  tolto  Livia  pregna  al  consen- 

1  Ne*  preamboli  ^e1  trattato  matrimoniale  «  Inter  Maximilianum  I  imperatorem  roma- 
nonim  et  Henrìcam  VII  regem  Angliae  prò  contrahendo  matrimonio  inter  Carolum  Archi- 
ducem  Austriae  nepotem  dicti  Imperatoria  et  Mariam  Aliam  Regis  Angliae  conclusus  in 
Monasterio  Novae  fundationis  (Neastifft.)  apud  Brixinam  die  22  febniarii  150S  »  si  legge  : 
«  Cam  coniugium  sen  matrimonium  ea  sit  utilitate,  oblectamento,  honore,  lande  et  gloria,  ac 
mortali  huic  hominnm  generi  inchohando  fragalius,  propagando  jucundius,  conservando 
decentins  ant  bonestias  primus  ipse  hominnm  optlmus  pater  Deus  inveniendum  aliud  duxerit 
nihil  ».  (DuMONT,  Corps  diplomaliquej  iv,  1^,  pag.  Q>1). 


Digitized  by 


Google 


382  CìlPO  quinto,  [libeo 

ziente  Tiberio,  barattato  i  generi  alle  figliuole  sue,  secondo  che  gli 
era  balenata  Futilità  delle  nuove  parentele  ;  aveva  insomma  ac- 
colto i  consigli  di  Mecenate,  il  quale  gì' indicava  le  grandezze  pe- 
ricolose che  bisognava  imparentarsi  o  spegnere.^  Questa  politica 
mecenatiana  e  cesarea  piacque  al  medio  evo;  fu  quella  di  Carloma- 
gno;  continuò  ad  esplicarsi  dopo  di  lui  non  meno  in  fatti  che  pei' 
via  di  leggende  ;  agitò  tutta  Tetà  del  rinascimento,  in  guisa  che 
per  questi  tempi  il  Michelet  credette  poter  elevare  il  volgare 
cherchez  la  femme  a  criterio  di  storico,  che  appena  presso 
a' nostri  giorni  venne  a  sbattere  nel  sarcastico:  «  felix  Austria, 
nube  ». 

Del  resto,  osservammo  Carlo  ottavo  togliersi  in  moglie 
Anna  di  Bretagna,  la  promessa  sposa  di  re  Massimiliano;  e 
Luigi  duodecimo  mercanteggiar  la  dispensa  ecclesiastica  e  far 
divorzio  dalla  consorte  Giovanna  per  unirsi  alla  vedova  di  Carlo 
ottavo.  Vedemmo  sorgere  l'unione  della  Spagna  dal  maritaggio 
di  Ferdinando  e  d'Isabella,  e  subito  poi  impacciarla  e  com- 
prometterla il  matrimonio  fra  l'arciduca  Filippo  colla  figliuola 
infelice  della  regina  di  Castiglia;  disegnarsi  quindi  fra  Carlo 
il  loro  primogenito,  in  età  di  un  anno,  e  Claudia  figliuola  del 
re  di  Francia,  bienne  appena,  nuove  prospettive  di  sponsalizie; 
tutto  per  acquetare  ora  Spagna,  ora  l' imperatore  e  far  parere 
a  quest'ultimo,  remoto  ma  certo  sdrucciolare  nelle  sue  mani 
a  titolo  di  dote  il  possesso  del  milanese  ch'egli,  marito  a  Bianca 
Visconti,  reclamava  e  come  retaggio  e  come  feudo  dell'impero;  * 
e  il  trattato  di  Lione  e  quel  di  Trento,  e  i  tre  trattati  di  Blois 
essere  la  tela  di  questa  bassa  commedia  a  soggetto,  che  andava 
costando  ai  principi  l'onore  e  il  senno,  ed  ai  popoli  non  poteva 
uè  stornare  né  alleviare  guerre  inevitabili. 

Se  .quei  trattati  non  fossero  stati  girandole  e  fandonie, 
l'Europa  alla  morte  del  re  di  Aragona  e  di  quel  di  Francia 
sarebbesi  tutta  riversata  a  brandelli  nelle  mani  del  nipote  di 

^  DioNB,  Liv,  pag.  5S5:  «  xsi  Ori  ò  MaiXYiva^  au(xpou?.suc|JÌV(p  ci  ffipl  oùtòv  tgOtuv 
iwtliv  JLéycTai  oti  tiì/IixCutov  «Otóv  Ttsiroitjxa^,  Wtti  tj  faixppóv  Y«vit7^«i,  tj  9<jv£u^v3ti.  » 
Mirabile  rappresentazione  di  questa  politica  cesariana,  reggasi  nella  bella  scena  2', 
atto  II,  deirAntAony  and  Cleopatra  dello  Shakbspbabb,  ove  Agrippa  è  mostrato  isti- 
gatore del  matrimonio  politico. 

*  Cf.  Chmbl,  Monumenta  Habsburgica,  voi.  ii.  pag.  117,  nel  trattato  fra  Mattia  d'Un- 
gheria e  Federico  IV  imperatore  «  actum  in  Cornewburg  ultima  die  mensis  novembris  1477  »: 
«  Imprimis  conventum  et  conclnsum  est,  quod  imperialis  majestas  Johannem  Galiax  nec 
non  dominam  Bonam  eius  genitrìcem  |  qui  se  gerunt  p^o  dncibus  et  dominis  mediolani  oc- 
casione violente  occupationi  et  injuste  detentionis  dicti  dominii  |  quod  immediate  spectat 
ad  cameram  sacri  Romani  Imperli  citabit  et  judicialiter  declarabit  violentos  occupatores  J 
et  aliene  rei  detentorea  etc.  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  cupidigie  IMPERIALI.  383 

Massimiliano  e  di  Ferdinando.  Germana  di  Fois,  nipote  di  re 
Luigi,  aveva  recato  in  dote  all'Aragonese  tutti  i  diritti  del 
Cristianissimo  sulla  Sicilia  «  citra  farum  >;  ^  e  Carlo,  il  figlio 
dell'arciduca  Filippo  e  di  Giovanna,  erede  già  di  Fiandra  e  di 
Castiglia,  di  Leon  e  di  Granata,  avrebbe  poi  ereditato  anche 
l'Aragona  e  Napoli.  Un  terzo  di  Francia  e  il  residuo  de' possessi 
francesi  in  Italia,  glieli  avrebbe  poscia  recati  in  dote  la  Claudia; 
e  di  soprappiù,  se,  come  Massimiliano  si  lusingava,  fosse  stata 
abrogata  in  Francia  la  legge  salica,  quel  suo  nipote  si  sarebbe 
cinto  a  dirittura  la  corona  di  questo  regno,  dominando  egual- 
mente sopra  genti  di  lingua  vallona  e  germanica.  *  Per  parte 
sua  l'avo  Massimiliano  vagheggiava  ingrossare  il  colossale  re- 
taggio. Egli  stesso,  per  le  ragioni  della  capota  Eleonora,  sua 
madre,  stendeva  qualche  pretensione  anche  sul  Portogallo  ;  ^  e 
rispetto  all'Inghilterra,  quando  gli  venisser  meno  altri  titoli,  non 
erano  per  mancargli  appiccagnoli  di  matrimoni  opportuni.'* 
Cosi  pareva  a  lui  d'andar  ricomponendo  l' unità  e  V  universa- 
lità dell'impero;  e  immaginando  siffatti  disegni  tutto  intento 
alla  politica  esterna,  si  trovava  poi  sempre  alle  prese  colla 
interna  divisione  dello  stato  germanico,  che  gli  fiaccava  ogni 
proposito  e  lo  condannava  a  desideri  incapaci  cosi  di  soddisfa- 
zione come  di  freno. 

Degli  armeggii  nuziali  toccò  a  lui  principalmente  sopportare 
la  delusione  e  il  dispetto;  ma  le  integrità  nazionali,  determinatesi 
per  fatto  spontaneo  e  quasi  inconsciente,  si  difesero  senza  con- 
sapevolezza de'propri  diritti  e  senza  rispetto  de' propri  fatti, 
come  suole  accadere  in  tutti  i  primordi  delle  umane  e  civili 
evoluzioni,  dai  pericoli  del  riassorbimento  imperiale.  I  trattati  fu- 
rono chiamati  parole  e  alle  parole  si  cercò  togliere  valore,  as- 

*  DuMONT,  Corpi  diplomatique,  t.  iv,  p.  1*,  pag.  72.  Machiavelli,  Decennale  29, 
V.  61  e  aeg. 

Onde  che  '1  gallo  per  partito  piglia 

Far  pace  con  Fernando  e  gli  concesse 

Per  sua  consorte  di  Fois  la  figlia; 
E  la  sua  parte  di  Napoli  cesse 

Per  dote  di  costei  e  '1  re  di  Spagna 

Li  fece  molte  larghe  le  promesse. 

«  Chmel,  in  Bibl.  der  litler.  Vereint^  voi.  x,  doc.  clxxxvi. 

'  Rankis,  Oeschichten  der  romanischen  und  germanischen  Wdlherj  pag.  185. 

*  V.  Instruction  a  noz  amez  et  feavtloc^  messire  Sigismond  de  Frawernherg,  etc.  de  ce 
qu'ilz  auront  affaire  de  notre  part,  entemble  ou  uparement  a  notre  treS'Chier  et  tres- 
ame  frere  le  roy  Henry  d'Angleterre;  in  Ciìmbl,  Urhunden,  etc.  nella  Bibl.  d.  Citt.  Ver.  x, 
pag.  279:  «  ce  quo  notre  dit  feu  filz  luy  a  fait  declairer  par  le  dit  seigneur  de  Chaulx, 
touchant  Talliance  de  mariage  d'entre  lui  et  notre  fille  Marguerite  d'Àustriche  et  de  Bour- 
goingne,  etc.  » 


Digitized  by 


Google 


354  CAPO  QUINTO.  [libro 

sottigliandole;  ^  il  giuramento  solenne  de*  re  di  Francia  quando 
ascendono  al  trono  -  «  quant  ils  siegent  a  la  couronne  »  -  fu 
allegato  a  discolpa  degli  spergiuri,  circa  ogni  altra  cosa  «  qu*Us 
accordent  ou  promettent  après  ».^  Ma  ride  Giove  agli  sper- 
giuri degli  amanti,  3  cosi  spergiuravasi  lietamente  da  quei  gio- 
colatori  di  maritaggi,  i  quali  apparecchiando  le  nozze  di  Claudia 
col  figlio  di  Luisa  di  Savoia,  erede  presuntivo  del  trono  di 
Francia,  gittavano  i  semi  delle  rivalità  personali  tra  Francesco 
e  Carlo,  simbolo  delle  nazionali  avversioni,  fomite  delle  future 
lotte  tra  Francia  e  Germania. 

Immezzo  a'guasti  de' matrimoni  principeschi,  le  repubbliche 
use  a  chiamarsi  libere,  trescavano  intente  a  voltare  Tuna  a 
danno  dell'altra  i  malumori  delle  corti.  Vedemmo  già  che  rete 
d'odi  nostrani  e  forestieri  fosse  gittata  sopra  Venezia;  Firenze 
aveva  accomunato  la  fortuna  sua  con  quella  di  Francia;  Pisa 
non  aveva  speranza  che  nell*  Impero  ;  Siena,  Lucca,  Genova 
erano  interessate  a  sorreggere  Pisa;  e  Genova  soprattutto, 
per  cagione  dei  commerci  suoi,  facevasi  a  parteggiar  per 
la  Spagna."*  Ciascuna  pertanto  di  queste  città,  e  con  esse  Ve- 
nezia, sulla  quale  pendeva  già  il  colpo  combinato  e  certo,  era 
esposta  a  soggiacere  al  contracolpo  incerto  della  politica  in- 
ternazionale. L'oratore  dei  Fiorentini  alla  corte  di  Francia, 
Francesco  Pandolfini,  con  trista  e  sottile  accortezza  serviva 
all'egoistica  utilità  della  sua  repubblica.  Egli  ne' suoi  dispacci 
trasmetteva  notizie  che  oggi  ci  fanno  fremere  d'orrore  e  d' in- 
dignazione, quando  si  ripensa  ch'esso  scriveva  colla  sicurezza 
che  i  Dieci  e  la  Signoria  ne  avrebbero  per  fermo  goduto.  — 
Un  giorno  è  il  Rubertet  che  gli  dice:  «  e' sarebbe  a  proposito 
levare  questo  nidio  di  Siena  allo  Imperatore,  non  perchè  questo 
anno  sia  per  passare,  ma  acciocché  per  lo  avvenire  non  abbi 


1  V.  Lettre»  de  Louis  XII  et  du  card.  d'Am&oise,  Brasselles,  1712,  t«  i,  43,  «  car  it 
n'y  a  ea  que  parolles  ».  Ibid.  II  cardinale  d^Amboise  scrive  airarcidoca  Filippo,  a*  di  1^  di 
settembre  1504  :  «  combien  qu'il  me  eussent  tenu  parolles  de  bailler  et  restituer  le  royaame 
à  voas  moDsieur  au  protfit  de  monsieur  yotre  fila  et  madame  Glaude,  toutesfois  depuis  ils 
avoient  bien  pansé,  et  que  lenr  sembloit  que  leur  conscience  ne  seroit  jamais  bien  deschargée 
si  ne  se  rendoient  au  Roy  Federic  et  que  dei  le  commancement  c*&  toqjours  esté  leur  in- 
tentioq  et  que  sMls  ont  tenu  quelques  autres  languages,  c'a  esté  pour  avoir  paix  ». 

*  Le  Glat,  Négociatione  dipìomatiqueSj  t.  i,  pag.  138. 

*  Shakespeare,  Romeo  and  JuUet,  act.  ii,  so.  2^. 

*  Desjardins,  Négotiations  dipìomatìqi^etj  t.  ii,  Lettera  éU  Fr.  Pandolfini  da  BloU 
a*  dÀ  10  nov.  1505:  «  e  che  si  ricordino  che  gli  Spagnuoli  hanno  il  Regno  di  Napoli  libero, 
e  che  un  pontefice  bisogna  stia  con  loro,  per  la  sicurtà;  e  che  li  genovesi  dipendono  assai 
da  loro  per  hauere  sempre  gran  mobile  in  Ispagna,  e  che  senza  Genova  male  si  possono 
conservare  lo  stato  di  M  lano  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  cupidigie  REPUBBLICANE.  385 

causa  di  pensarci. ^  —  Un  altro  giorno  è  il  re  che,  alludendo  alle 
turbolenze  de*  Genovesi,  gli  confida  come  aveva  disegnato  pu- 
nire qualche  errore  commesso  da  loro,  e  che  questa  era  la  via 
a  castigarli,  e  che  ne  trarrebbe  ad  ogni  modo  qualche  danaio. 
«  E  commendando  io  (seguita  il  Pandolfini)  il  disegno  di  sua 
maestà,  quella  soggiunse:  —  Io  amo  più  presto  e' danari  che  il 
sangue,  l'opposto  di  quello  che  si  fa  in  Italia  ».2  —  E  circa  un 
mese  dopo:  «  Io  penso  presto  dare  loro  una  bastonata  che 
vi  maraviglerete.  E  aggiungendo  io,  (il  Pandolfini  sempre): 
poiché  mandano  danari  in  Pisa,  è  segno  ne  anno  assai,  sua 
maestà  rispose:  «  Lasciateli  fare,  state  a  vedere  che  io  li  con- 
cerò bene  >.3  E  come  ciò  non  bastasse,  il  fiorentino  ambascia- 
tore aggiunge:  «  io  qualunche  volta  ne  ò  avuto  occasione,  ò 
fatto  sempre  quello  che  richiede  il  debito  verso  e' Veneziani  >. 
E  dire  che  ancora  non  a  tutti  gì'  Italiani  questi  tempi  com- 
paiono vili! 

Del  resto,  Genova  era  anch'essa  un'opportunità,  come  Bo- 
logna. Forse  niun'altra  città  in  Italia  aveva  fazioni  così  molte- 
plici, così  rugginose,  così  accapigliate,  come  quella  repubblica 
mercantesca.  Adorni  e  Fregosi,  nobili  e  popolani,  mercatanti  e 
plebei  la  dilaceravano;  tanti  ceti  erano  e  tanti  odi,  pronti, 
purché  la  parte  contraria  non  istesse  sopra,  ad  accollarsi  anche 
il  giogo  degli  stranieri;  e  la  riviera  provenzale,  che,  s'acco- 
stava così  acconciamente  alla  ligure,  pareva  solleticare  la  cu- 
pidigia di  Francia  ad  incorporarsela.  Chi  è  signore  di  Genova, 
tiene  malgrado  chi  che  sia  la  chiave  d' Italia,'*  dicevasi  da' Fran- 
cesi, e  però  si  consigliava  tenerla  «  en  amour  et  crainte  ». 
Laonde  Genova,  come  a  scongiurare  il  pericolo  prossimo,  s'era 
per  tempo  afiermata  camera  dell'Impero  lontano;  aveva  tenuto 
lo  stemma  imperiale  dipinto  sulla  fronte  della  grande  aula  del 
Palazzo;  impresso  il  grifo  nella  propria  moneta;  ^  e  quando 
si  condusse  a  cedere  il  dominio  di  sé  stessa  a  re  Carlo  sesto, 
volentieri  erasi  sobbarcata  all'obbligo  di  portare  su'  propri  ves- 


*  Desjabdims,  op.  cit.,  t.  11.  pag.  161. 

«  Ibid.,  pag.  189,  «  die  25  ottobre  1506.  »  —  Però  a  ragione  scriveva  Mabin  Sanuoo, 
Chronicon  Venetum  in  Muratori,  Script,  t.  xxiv,  pag.  163:  «  non  v'è  cosa  al  mondo  che 
co*  francesi  non  s'acconci  per  danari  ». 

>  Ibid.  «  die  24-28  noverabris  »,  pag.  192. 

*  Jean  d*ActuN|  Chroniques,  ad  ann.  :  «  Car  quiconqae  est  seigneur  de  Gènes  maigré 
tout  le  monde  aura  son  entrée  dedans  le  pays  d'Italie  ». 

'  et.  Senarbga,  De  Rebus  Qen%^ensibtu  in  Muratori,  Scriptores,  t.  xxnr,  575.  GiaSTi- 
MiAKi,  Storia  di  Genova,  lib.  vi.  Foglietta,  Istorie  di  Genova,  lib.  xii.  Sbmkbnbbrq,  Im- 
pera germanici  jus  oc  possessio  in  Genua  ligustica  ejusque  ditionibìM,  pag.  250. 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  25 


Digitized  by 


Google 


386  CAPO  QUINTO.  [l 

siili  da  una  parte  l'arma  di  Francia,  e  dall'altra,  quasi  val- 
vola di  sicurezza  per  l'indipendenza  pericolante,  quella  del- 
l' Impero. 

Ma  nel  1502  il  Ravenstein  in  mezzo  agli  apprestamenti 
delle  feste  con  cui  Genova  s'apparecchiava  ad  accogliere  Luigi 
duodecimo,  aveva  fatto  sparire  dal  palazzo  comunale  l'aquila 
che  fin  allora  v'era  restata  sempre,  e  appostovi  in  sua  vece  i  gigli. 
Il  fatto  parve  brutto  e  indegno;  malgrado  ciò  tutti  stettero 
cheti.  Re  Luigi  ebbe  desto  solo  il  sospetto  del  popolo:  niuna 
simpatia,  niun  affetto;  e  Giovanni  d'Autun,  cronista  cortigiano, 
indarno  in  quella  occasione  provossi  rappiccare,  per  via  del 
romantico  amore  di  Tommasina  Spinola,  con  qualcosa  di  geno- 
vese la  memoria  del  re  di  Francia.  Cotal  leggenda  che  non 
à  elemento  in  sé  che  non  ripugni  alla  storia,  non  ebbe  eco 
nel  popolo,  il  quale  non  intese  mai  nulla  di  quella  tradizione 
e  di  quel  fantasticato  intendio.^  Bensì  quell'amoroso  re  par- 
lava di  Genova  al  Pandolfìni,  come  d'una  città  per  cui  non  si 
anno  certo  tenerezze  platoniche.  Le  frasi  consuete,  con  cui 
accennava  le  intenzioni  sue  verso  quella  erano:  ^  darle  una 
mazzata  »,  «  imbrigliarla  per  vari  versi,  in  modo  che  non  abbia 
più  in  futuro  a  dubitarne  ».  Gl'intendimenti  erano  belli  e  fer- 
mati :  «  levare  via  San  Giorgio,  pigliare  quell'entrate  lui,  fare 
un  buon  castello  dove  al  presente  è  il  fanale  ».^ 

E  a  recar  ad  effetto  questi  divisamenti  quando  le  occasioni 
mancassero,  era  facile  provocarne.  Le  divisioni  feroci  tra  plebe  e 
nobili  infuriavano:  quest'ultimi  avevano  trovato  facilmente  ap- 
poggio fra  i  gentiluomini  francesi:  un  po' più  di  spinta  che  si 
desse  alle  cose,  e  i  disordini  sarebbero  nati,  e  la  necessità  di 
rimetter  ordine  avrebbe  dato  agio  e  pretesto  al  re  per  condurre 
la  propria  bisogna.^  All'incontro  la  plebe  ligure,  cara  al  papa 
popolano,  ligure,  insoffrente  del  nome  francese,  irritato  contro 
il  cardinal  d'Amboise  che  pareva  disturbargli  ancora  il  papato^, 
sentiva  piuttosto  solletico  che  conforto  dall'autorità  del  pon- 

^  V.  A.  Nbri,  Osservazioni  criticfie  intorno  all'aneddoto  di  Tommasina  Spinola  e 
Luigi  XTIf  nel  Giornale  ligusticOy  anno  vi,  pag.  183-198. 

*  Desjardins,  op.  cit.,  t.  II,  pag.  197,  216,  2221. 

>  Jean  d'Autun,  Chroniques,  ad  ann.  :  Il  Ravenstein  prevede  «  ce  qne  poarroit  estre 
-cause  de  convertir  division  civile  en  ribellion  pnblicque  ».  V.  Molini,  Documenti  di  storia 
italiana,  voi.  i,  pag.  47-53,  il  «  Memoriale  de  le  cosse  accadute  in  la  subUvatione  de  iì 
popoli  de  Oenes  ».  —  «  Et  primo  che  li  mali  governi  e  cativi  comportamenti  usati  per  li 
oificiali  et  ministri  del  Cristianissimo  re  nostro  in  dieta  città  e  Riviera  e  Valle  hanno  cas- 
sato in  grandissima  parte  diete  sublevatione  ». 

«  QuRrTA,  lib.  vili,  pag.  152:  «  (El  cardinal  de  Roan)  era  el  absoluto  goviemo  del  Rey 
de  Francia;  y  pasclo  en  platica,  offreciendole  el  Reyde  Romanos  de  faaorecerle  para  qne 


Digitized  by 


Google 


BBCONDoJ  RIVOLTA  DI  GENOVA.  387 

teflce,  si  che  il  Fleurange  ebbe  a  scrivere  che  quella  di  Genova, 
in  fondo  fu  guerra  di  preti.^  E  non  pur  vi  mettevano  le  loro 
bizze  Giulio  secondo  e  il  cardinale  di  Rouen  ;  ma  il  Roquebertin, 
luogotenente,  vi  aguzzava  puntigli  fra  lo  Chaumont,  nipote 
del  cardinale,  e  Filippo  di  Cleves,  conte  di  Ravenstein,  regio 
governatore,  che  a  questo  era  nemico.  Tuttavia  malgrado  tanti 
incitamenti  sciagurati,  in  sul  principio  il  popolo  genovese  aveva 
senno:  opponeva  giustizie  alla  provocante  superbia  signorile, 
facendo  tutto  in  nome  di  Francia.  Mancavano  gli  autori,  scrive 
il  Senarega,*  più  che  le  opportunità  alle  sedizioni;  né  papa 
Giulio  poteva  disporre  di  forze  valide  a  sostentare  apertamente 
la  plebe  che  gli  era  a  cuore;  aveva  anzi  dovuto  sopportare 
mortificazioni  e  minacce  da  quel  re  che  tutti  sapevano  essere 
nelle  mani  delFAmboise.  ^ 

Ma  alla  francese  provocazione  fu  facile  mutare,  quando 
volle,  il  dissidio  interno  in  esterna  ingiuria.  I  Francesi  d'allora 
non  intendevano  che  fosse  democratia  :  il  nome  di  tribuni  della 
plebe  che  risonava  in  Genova,  offendeva  le  loro  orecchie  feu- 
dali ;  gli  assalti  che  la  popolaglia  faceva  alle  ville  e  ai  castelli 
de'  nobili  erano  giudicati  ribellione  aperta  alla  Francia.  Il  po- 
polo furiosamente  aveva  deliberato  ritogliere  Monaco  ai  Gri- 
maldi ;  assunto  capitani  da  Pisa  per  condurre  l'assedio  di  quel 
luogo  forte,  sul  quale  non  potevano  accampare  diritto  che  per 
privilegio  imperiale;  ^  dunque  Genova  implicitamente  si  affer- 
mava camera  deir Impero,  dunque  si  ribellava;  e  re  Luigi  le 
piombò  sopra  a  compiere  gli  avari  disegni,  manifestati  al  Pan- 
dolfini. 

fuesse  creti'lo  sumo  pontiiice,  lo  que  el  desseava,  no  solo  con  ambicion,  pero  con  odio  grande 
que  tenia  al  papa  Julio  ». 

1  FLEURANTfR,  MemotTes,  a  proposito  della  guerra  di  Genova»  cap.  vi  :  «  et  puis  donc 
qu'avons  entrepris  à  parler  dea  prestres  je  veux  bien  que  sachiez  qu'ils  feurent  cause  de 
Tentreprise  dudict  voyage,  dont  bien  en  print  au  Roy,  comme  vous  diray  cy-après  ». 

'  Senarega,  De  rebus  genuensibuSy  loc.  cit.,  pag.  583;  «  potius  auctor  seditionis  quani 
occasio  defuisse  videtur  »  —  ibid.,  pag.  585:  «  quotidie  literae  intercipiebantur  in  quibus 
spem  oinn«3in  eorum  (nobilium)  coUatam  fuisse  apparebat,  dicentes  impossibile  videri  tan- 
tam  in  vulgo  fere  diuturnam  constantiam  ». 

*  Desjardins,  op.  cit.,  t.  II,  pag.  2^:  «  (Il  Re)  aveva  fatto  intendere  al  papa  che,  so 
lui  si  travagliassi  delle  cose  di  Oenova,  che  subito  gli  rimetterebbe  messer  Giovanni  in 
Bologna,  soggiungendo  che  lo  potrà  fare  con  una  lettera  solo;  e  mi  donerà  anche  cento 
mila  ducati  ». 

*  «  Privilegium  Maanmiliani  I  dalum  Vìgevani  die  20  seplembris  1496  »  in  Domont 
Corps  diplom.f  t.  iv,  p.  1*,  pag.  172".  LUnio,  Codeco  it.  dipi,  t.  ii,  2119.  Sknkenbbbo,  Im- 
pera germ.  jus  ae  posseaaio  irt  Oenua  Ugtutiea,  pag.  118.  Di  Monaco  cosi  scrive  il  D*àu- 
TUN,  mettendo  il  discorso  in  bocca  ai  popolani  di  Genova:  «  c'est  la  place  de  Monigue, 
qui  est  assise  sur  la  mer  et  marchissant  à  not  terree,  «ntre  le  comté  de  Nisse  et  nos  fins  ». 
—  «  et  tellement,  que  si  une  fois  pouvoìt  estro  entro  nos  mains,  le  roy  de  Franco  par  sou 
"dict  pays  de  Prnvence  ne  pourroit  avoir  entn^  sur  nous  ». 


Digitized  by 


Google 


388  CAPO  QUINTO.  [libro 

Spense  con  forche  e  mannaie  i  capi  popolari,  impose  alla 
città  grave  taglia,  abolì  franchigie  e  privilegi;  <  fece  una 
fortezza,  fortissima  di  tutte  Taltre  delle  quali  al  presente  si 
avesse  notizia:  perchè  era  por  sito  e  per  ogni  altra  circostanza 
inespugnabile,  posta  in  su  una  punta  di  colle  che  si  distende 
nel  mare,  chiamato  dai  Genovesi  Codefa;  e  per  questo  batteva 
tutto  il  porto,  e  gran  parte  della  terra  di  Genova  colle  bom- 
barde »  ^  e  tuttavia  dopo  aver  percosso  e  stretta  colla  fame  la  città, 
—  senza  pungiglione  —  <  non  utitur  aculeo  rex  cuiparenius  >, 
con  questo  motto  sulla  divisa,  il  giorno  che  v'entrò  col  terrore 
si  lusingava  di  darle  a  bere  la  clemenza  sua.  Due  giorni  dopo 
il  Pandolfini  scriveva  a  Firenze:  «  questa  maestà  sarà  manco 
secura  di  Genova,  che  prima  ».^  Il  fatto  provò  vera  TafiFerma- 
zione  dell'ambasciatore,  e  il  Machiavelli  ebbe  poi  ad  annoverare 
anche  quella  del  Capo  di  Faro  tra  le  fortezze  inutili. 

Se  non  che  Giulio  secondo  di  questa  sottomissione  di  Ge- 
nova erasi  profondamente  indispettito.  Quando  il  cardinale  di 
Narbona,  Francesco  di  Clermont,  andò  a  dargliene  notizia  da 
parte  del  re,  lo  vide,  lette  le  lettere,  impallidire  nel  volto, 
avendone  per  tutta  risposta  un  :  non  ci  credo.^  S' immagini  poi 
l'Imperatore  che  scalpore  movesse  di  questa  ingiuria  novella, 
inflitta  alla  maestà  deir  Impero,  coiraccompagnamento  di  tutti 
quei  segni  offensivi,  che  certe  volte  ai  potenti  paiono  più  ol- 
traggiosi dell'oltraggio  sostanziale.  L'aquila  dell'impero  cac- 
ciata via  dal  fiordaliso,  il  grifo  imperiale  tolto  via  d' in  sulle 
monete  gli  parevano  affronti  da  dover  sollevare  in  un  momento 
tutta  Germania,  se  questa  avesse  avuto  il  sentimento  dell'im- 
pero, come  l'aveva  lui.  Che  se  la  non  si  scoteva  questa  volta, 
in  cui  l'offesa  era  prossima,  in  cui  Bertoldo  di  Magonza,  il  più 
infenso  oppositore  che  Massimiliano  avesse  mai  incontrato  fra 
i  principi  elettori,  era  morto;  se  non  faceva  ora  il  suo  sforzo 
supremo,  quando  erasi  mostrata  già  disposta  ad  assecondarlo  allor 
che  voleva  fare  il  passaggio  a  Roma,  non  c'era  a  sperare  che 
in  altro  momento  riuscisse  più  muoverla. 

Intima  pertanto  ai  principi  e  alle  comunità  germaniche 
una  dieta  pel  di  27  d'aprile,  il  martedì  dopo  la  festa  di  San 
Marco,  a  Costanza,  deciso  o  a  far  riconoscere  le  ragioni  del- 
l'Impero  in  Italia,  riconquistando  colla  forza  l'autorità  caduta 

^  Macbiavblu,  Discorsi^  ii,  24. 

'  Dbsjahdims,  loc.  cìt.,  Dispacci  del  28  aprile-i^  maggio  1507,  pag.  ^5. 

'  Jbam  d'AutuNi  loc.  cit.,  ad  annum. 


Digitized  by 


Google 


BBCOifDo]  CONVEGNO  DI  SAVONA.  389 

in  discredito,  impegnandosi  cioè  contro  la  Francia  in  una  guerra 
a  oltranza  e  fatale  ;  o  a  non  portare  la  vanità  d' un  titolo  che 
lo  rendeva  capo  illusorio  ed  illuso  della  cristianità-  —  4f  Piut- 
tosto duca  d'Austria,  ma  duca;  che  imperatore  e  vituperato  >, 
aveva  egli  già  detto  altra  volta  agli  elettori,^  e  ora  si  appa- 
recchiava a  ripeterlo  colla  stessa  solennità  e  colla  lusinga  di 
far  maggior  impressione  ne' suoi  tedeschi. 

Questi  apprestamenti,  com'era  naturale,  davano  a  pensare 
non  poco  e  a  Francia,  e  a  chi  teneva  per  la  parte  francese; 
e  soprattutto  a  chi  non  sapeva,  nel  gran  duello  ch'era  alle 
viste,  da  che  parte  gittarsi.  La  Francia  recentemente  aveva  co- 
minciato a  considerar  l'Impero  come  qualcosa  di  inen  fiacco 
che  non  avesse  creduto  prima;  sia  che  veramente  gli  sembrasser 
mutate  le  intrìnseche  condizioni  di  esso,  sia  che  guardasse  il 
nemico  coU'occhio  cauto  di  chi  già  sente  la  mischia  vicina.* 
Ora  il  re  di  Francia  e  quel  di  Spagna  s'erano  incontrati  in 
Savona  "a  convegno.  Ferdinando,  già  abboccatosi  col  pontefice 
ad  Ostia,  n'aveva  portato  l'animo  mal  soddisfatto;  che,  richiesta 
a  Giulio  secondo  l' investitura  del  reame  di  Napoli,  gli  era  stata 
rifiutata.  Era  dunque  naturale  che  l'avversione  di  lui  e  quella 
di  re  Luigi  pel  papa  ligure,  il  quale  si  era  immischiato  nelle  cose 
di  Genova,  si  concertassero  insieme,  e  che  TAmboise  se  ne 
giovasse  per  indurre  i  due  re  a  pensare,  come  dicevasì,  alla 
riformazione  della  chiesa;  alla  deposizione  cioè  di  quel  papa 
molesto,  al  quale  egli  aveva  dovuto  cedere  in  conclave  e  cui 
era  sempre  in  ismanie  per  surrogarsi.  Dappoiché  quel  pontefice 
non  era  amico  della  Francia  che  avevalo  beneficato;  non  inten- 
deva la  politica  necessità  che  doveva  gittar  sempre  il  pontifi- 
cato alla  parte  francese  ogni  volta  che  la  Francia  stava  contro 
all'Impero;  non  sentiva  più  che  cosa  per  la  santa  sede  signifi- 
casse il  re  cristianissimo.  ^  Così  pensava  l'Amboise,  inaugurando 

1  Nella  Relazione  di  Zaccaria  Contarini  (ann.  1502):  «  E  rimporador,  si  dice,  Mt  do- 
ni intcs  totiui  orbis,  tamen  di  lo  terre  franche  à  pocha  intrada  e  ne  son  di  quelle  non  pagano  0 
a  r imperio;  adéo  il  re  a  ditto  più  volte  vorria  esser  duca  d*At]8tria,  perchA  saria  stimato 
di:ca,  che  imperator  e  vituperato  ».  —  Cf.  Rankb,  DeutaeJis  Oasehiehte  im  Zeitalter  der 
ReformatUm,  voi,  i,  pag.  98. 

*  Dbsjabdins,  loc.  cit.,  pag.  155.  Dispaccio  de*  20  die.  1505.  «  Costoro  stimano  le  cose 
dello  Imperio  molto  più  che  forse  non  pensono  le  S.  V.,  per  essere  al  presente  li  elettori 
tutti  uniti  alla  volontà  della  Cesarea  maestà,  etc.  » 

>  MoNTAiGLON,  RécueU  de  poésiea  franooUet  du  XV  e  XVItUcle,  pag.  138. 

Mais  est  centra,  tousjours,  le  temps  passe 
Quant  on  a  veu  de  Romme  deschassé 
Quelque  pape,  pareillement  les  siens, 
Ainsi  qu'on  lit  és  livres  anciens, 


Digitized  by 


Google 


300  CAPO  QUINTO.  [LiBEa 

quella  politica  cardinalizia  che  bastò  a  non  far  pesare  sul  go- 
verno e  sul  popolo  francese  il  giogo  della  intromissione  ec- 
clesiastica. 

Ma  ben  diversamente  intendevala  Massimiliano;  il  quale 
vedeva  con  dispetto  l'adescamento  che  la  politica  di  Francia  fa- 
ceva alla  chiesa,  e  rammemorava  a  questa  che  tutto  quel  bene 
che  i  papi  riconoscevano  da  Carlo  Magno,  avevanlo  ricevuto 
dall'eroe  franco,  non  meno  imperatore  che  tedesco;  ^  e  trovava 
assai  logico  che  per  l'ideale  connubio  fra  il  pontificato  e 
l'impero,  il  pontefice  si  tenesse  sempre  saldo  alla  parte  im- 
periale e  germanica.  Anzi,  spingendo  la  logica  e  l'antiveggenza 
sino  alle  conseguenze  estreme,  gli  pareva  che  fosse  a  studiare 
il  modo  onde  quel  connubio  si  rendesse  possibilmente  indissolu- 
bile. La  tattica  del  re  di  Francia,  che  metteva  gì'  interessi  ec- 
clesiastici della  nazione  nelle  mani  d' un  cardinale  soggetto  e 
signor  suo  nel  tempo  medesimo,  gli  sapeva  mal  sicura.  D'altra 
parte  egli,  il  re  sapiente,  il  Weiss  kunig,  riscaldato  dagli  uma- 
nisti italiani  e  germanici  che  l'attorniavano,^  a  restituire  l' im- 
pero romano  nello  splendore  della  sua  antica  grandezza,  sapeva 
che  l'imperatore  romano  aveva  già  portato  il  titolo  di  pontifex 
maximus;  però  pensava  sarebbe  stata  utile  faccenda  per  lui, 
nell'andare  ora  a  Roma,  ripigliarsi  la  dignità  d'imperatore  e 
di  pontefice  insieme.^  A  questo  partito  un  qualche  cardinale, 

Les  roys  fran^is  en  son  aiége  papal 

L'ont  restably;  de  quoy  très  crestiens 

Sont  appelez;  c*est  le  point  principal. 
^  V.  il  Manifesto  pubblicato  da  Massimiliano  nella  Dieta  di  Costanza,  in  MUllbr, 
Rnehi-Theater-Staaly  560-575,  allegato  dallo  làoBR,  Ueber  Kaiser  Maximilian's  I  VerhaU^ 
niss  zum  PapsUhum^  nelle  Sitzungberichle  der  Wiener  A*.,  voi.  xii,  pag.  2i9,  «  Was 
Karl  der  Grosse  den  Pàpsten  gegeben,  das  gab  Er  aus  kaiserlicher  WUrde  und  Macht, 
ala  ein  gebomer  Deutscher  und  nicht  als  Franzose  ». 

*  Cf.  ZiNGERLB,  Beilrdge  zur  Geschichte  der  Philologie^  Innsbruck,  ISSO.  De  carmi- 
nibu9  latinis  saeculi  XV  et  XVI  ineditia^  passim.  Stba.uss,  Ulrich  won  Hutlen^  pag.  56 
e  seg.  —  E  Angelo  Cospo  bolognese,  nella  sua  dedica  a  Massimiliano  della  versione  della 
storia  di  Giovanni  monaco,  pubblicata  a  Venezia  nel  1517  insieme  alla  traduzione  di  Dio» 
doro  siculo  fatta  dal  Poggio  :  «  plurima  sunt  huius  animi  tui  exempla,  sed  memorandam 
atque  insigne  maxime,  quod  audito  Caesarum,  qui  Romae  aut  Byzantii  regnarunt,  historiam 
graece  scriptam  esse  a  Jeanne  Monache,  in  eam  venisti  sententiam,  uti  illam  latinitate  & 
quopiam  denari  studeres,  verbumque  illud  nobile  protuleris:  cupere  te  omnibus  viribua 
instaurando  romano  imperio  opitulari  ». 

*  V.  Estratto  àeìV  Istruzione  di  Massimiliano  imp.  a  Giorgio  di  Neideek^  vescovo  di 
TrentOj  d,  in  Costanza  a*  dH  iO  git*gno  iS07,  edito  sull'originale  della  bibl.  viennese  dallo 
JaGBB,  Silzungsberichte  d,  k.  Ah.  d,  W.  voi.  xn,  pag.  43S.  «  herauf  gewenndt  und  unnsem 
anslag  gemacht  liaben  gen  Rom  zu  ziehen,  und  Babst  und  Kaiser  zu  verden.  »  —  E  nella 
lettera  a  Paolo  di  Lichtenstein,  «Brixen  16  sept.  1511  »:  «  ac  constituerimus  pontiflcatom 
romanum,  si  quoque  modo  ad  illum  pervenire  possemus  ambire  ac  appetere;  in  id  omnes 
nottras  cogitationes  ab  eo  tempore  semper  conjecimus;  namque  domi  docti  sumus  et  ita 
sese  res  ipsa  habet,  nihil  nobis  honorabilius  nihil  gloriosius,  nihil  roelius  obtìngere  posse, 
quam  si  praefatum  pontificatum,  ad  nos  proprie  pertinentem,  imperio  nostro  recuperaremus  », 


Digitized  by 


Google 


secondo]  MASSIMILIANO  VAGHEGGIA  IL  PONTIFICATO.  891 

cui  poco  più  0  poco  meno  di  confusione  nella  chiesa  non  dava 
noia,  sembra  l'incoraggiasse;  e  a  chi  ben  pondera  la  diversa 
ragion  dei  tempi,  verrà  fatto  di  leggieri  di  ravvisare  in  quello 
men  forse  impossibilità  che  pericolo.  Poiché  in  fondo  a  questa 
idea,  che  a'  nostri  tempi  per  consuetudini  e  pensieri  mutati 
par  quasi  inconcepibile,  v'era  il  presagio  dei  tempi  che  s'av- 
vicinavano, in  cui  la  potestà  civile  e  religiosa  si  riunirono 
e  compenetrarono  novellamente;  v'era  la  base  accomodata  dal 
pregiudizio  classico,  su  cui  era  facile  a  Massimiliano  fondare 
la  pretensione  propria.  Né  la  sua  qualità  di  laico  per  rispetto 
alla  chiesa  poteva  parer  grave  ostacolo;  il  concilio  di  Basilea 
non  aveva  egli  eletto  a  papa  un  laico  nell'ottavo  Amedeo  di  Sa- 
voia? Pertanto,  papa  Giulio  aveva  cagioni  di  sospetto,  di  diffi- 
denza, d' irritazione  per  ogni  lato.  Che  se  nel  campo  ecclesiastico 
da  parte  dell'imperatore  poteva  temer  meno,  paventava  vederselo 
colle  sue  fantasticherie  cesaree  fra  le  mura  di  Roma.  D'al- 
tronde r  ira  sua  più  profonda  era  contro  Francia,  contro  l' Am- 
bo ise,  e  non  ammetteva  possibili  vie  a  placarla. ^  Di  soprappiù 
siccome  tanto  il  re  quanto  il  cardinale  s' industriavano  a  rabbo- 

Cf.  Letlres  du  roy  Louis  XII,  t.  in  pag.  324.  n  Voltaire,  il  quale  non  conosceva  il  primo  di 
questi  documenti,  giudica  di  questo  disegno  di  diventar  papa  solo  quando  Massimiliano  intese  a 
procurare  che  Qiulio  II  lo  nominasse  a  proprio  coadiutore  con  diritto  di  futura  successione  : 
«C*estcette  année(1512)  que  Maximilien  fait  proposer  à  Jnles  de  l'accepter  pour  son  coadjuteur 
'lana  le  pontificat.  Il  ne  voyait  plus  d*autre  manière  de  rétablir  Tautorit^^  imperiale  en  Italie. 
Cast  dans  cette  vue  qu'il  prenait  quelque  fois  le  titre  de  pontifex  maximua,  k  Texemple  dee 
empereurs  romains.  La  qualité  de  lai'que  n'était  point  une  esclusion  au  pontificat.  L'exemple 
récent  d'Ainédée  de  Savoie  le  justiflait.  Le  pape  s'étant  moqué  de  la  proposition  de  la 
coadintorerie,  Maximilien  songe  à  lui  succèder;  il  gagne  quelques  cardinaux:  il  veut 
emprunter  de  Targent  pour  acheter  le  rest  des  voix  &  la  mort  de  Jules,  qn'il  croit  pro- 
chaine.  Sa  fameuse  lettre  à  Tarchiduchesse  Marguerite  sa  Alle  en  est  un  témoignage  sub- 
«istant  encore  en  originai  ».  (Voltaire,  Annalea  de  l'Empire^  ad  ann.)  —  V*  è  più  intuito 
storico  in  queste  parole  del  filosofo  di  Ferney  che  nelle  numerose  scritture  cui  questa  pre- 
tesa imperiale  al  pontificato  diede  occasione.  V.  Taccurata  notixia  bibliografica  che  di  queste 
dà  lo  JiioBR,  loc.  cit.,  pag.  199  e  seg.  —  Del  resto  lo  J&gbr  medesimo  nella  sua  dotta  dis- 
sertazione non  riesce  a  provare  con  saldi  argomenti  che  Massimiliano  ponesse  mai  gli  occhi 
sul  cardinale  Adriano  da  Castello  come  sopra  un  proprio  candidato  alla  sedia  pontificia. 

1  Fra  le  Requestea  du  pape  nelV arresi  du  Roy  des  Rommait%s  in  Montaiqlon,  lòc. 
cit.,  pag.  140-141,  si  legge  : 

Premierement,  si  bien  je  rememore 

Il  requeroit  qu*on  Iny  rendisi  le  More 

Et  quMl  fust  mis  a'ran^on  sans  remise, 

Que  Génes  fust  en  liberté  remise 

Et  tiercement  que  messire  Mercure 

Luy  fust  livré  pour  mettre  en  chartre  obscure, 

Lny  mettant  bus.  pour  son  cas  ma^^onner 

QuMl  a  de  fait  (cuvdè)  Tempoisonner. 

Pour  la  quarte  prétend  que,  se  voyage 

On  ouvre  an  roy  des  Rommains  le  passage 

Quintement,  veult  par  vindication 

Les  registret  de  la  legation, 

Et  au  surplus,  sans  cause  iurisdicque 

Veult  en  ses  mains  ravoir  la  pragraatique,  etc. 

n  MoNTAiGLON  annota  che  il  Mercure  a  cui  accenna  la  canaone  possa  esser  forse  Carlo 


Digitized  by 


Google 


398  CAPO  QUINTO.  [libro 

nacciarlo,  lisciarlo,  scusarsi  ;  egli,  clericalmente  inorgogliendo. 
deduceva  ch'essi  sentivansi  ritrosi  all'azione,  perch'eran  deboli, 

E  veramente  il  fianco  infermo  lo  avevan  mostrato  all'as- 
sedio di  Genova,  quando  re  Luigi,  che  co'  Fiorentini  erasi  van- 
tato di  non  volersi  giovar  nelle  imprese  sue  se  non  di  soldati 
forestieri,  provò  in  quella  fazione  la  poca  fermezza  de'  Francesi 
a' petto  agli  Svizzeri  ed  eccitò  il  malumore  di  questi.  Cosi  che 
papa  Giulio  s'era  avveduto  che  chi  riuscisse  ad  alienarglieli, 
gli  porterebbe  via  a  dirittura  le  migliori  sue  armi. 

Ma  se  l'arrendevolezza  francese  giustificava  queste  sue  in- 
duzioni, l'altera  durezza  veneta  tradì  coU'ostentazione  i  computi 
ch'egli  faceva  sulle  forze  di  quella  repubblica.  Egli  le  mo- 
strava una  inimicizia  occasionale;  ma  non  voleva  infrangerne  la 
potenza,  che  pur  troppo  supponeva  maggiore  di  quel  che  in  vero 
non  fosse;  ben§ì  disegnava  piegarla  ad  aggiogarsi  alla  chiesa;  ne 
questo  gli  era  sperabile  se  prima  coll'autorità  pontificia  non 
l'avesse  ridotta  a  prostrarsi  a  Roma  per  un  momento,  per  ri- 
sollevarla poi  subito  come  potente  braccio  della  chiesa  e  d'Italia. 
La  punizione  de' torti  procedimenti  di  Giulio  fu  nello  sbaglio  del 
computo.  Egli  che  istigava  i  Francesi  contro  a  Venezia,  che 
incorava  i  Veneziani  a  negare  il  passaggio  all'imperatore  per 
venire  a  Roma,  mandava  presso  a  Massimiliano   Bernardino 

di  Borbone,  sire  di  Mercoear,  che  fu  airassedio  di  Genova  e  divenne  più  tardi  connestap 
bile;  similmente  avverte:  «  on  appelait  la  légation  les  pays  séparés  des  Etats  romains 
proprément  dita  et  placés  sons  le  gouvemment  temporel  du  pape  ».  Ma  forse  Mercure,  è 
pseudonimo  mitologico  che  s'accorda  con  altre  indicazioni  del  componimento.  A  pag.  190, 
per  esempio,  si  legge: 

«  Saturno  et  Mars  par  aspec  inhumain 

Ont  le  coeur  gres  gonfie  comme  une  yragne 

Et  aux  pays  quMlz  tiennent  soubz  leur  main 

L*eflfbsion  du  pauvre  sang  humain 

Vont  poursuyvant  par  champ  vai  et  montagne  » 

e  non  sarebbe  difficile  che  dopo  Saturno  e  Marte  quel  Mercurio  fosse  li  collocato  per  adom- 
brare il  cardinale  di  Rouen,  il  quale  a  cagione  della  qualità  sua  poteva  ben  rappresentarsi 
come  un  caduceator  fra  gli  dei  ;  ed  era  accusato  presso  a  papa  Giulio  d*  insidiargli  la  vita. 
Cf.  Bbosch,  op.  cit.,  cap.  v,  pag.  137  e  l'estratto  di  lettera  airoratore  veneziano  in  Francia, 
da  lui  citato.  (Arch.  ven.  Sen.  secr.  yl,  fol.  213)  :  «  In  questi  zomi  siamo  sta  fatti  certi 
che  la  St&  sua  fece  lezer  una  letera  al  orator  franzese  agente  appresso  ley,  la  qual  pareva 
fosse  scripta  da  Venetia,  et  significasse  che  la  Bm  sua  se  dovesse  guardar  la  vita  per  le 
insidie  li  faceva  el  Rmo  Rothomagense  legato  ».  La  lettera  è  in  data  de*  4  febbraio  1507. 
È  poi  evidente  che  pei  «  regislret  de  la  légation  »  sono  a  intendere  i  registri  della  lega- 
zione di  Francia,  già  concessa  al  card.  d'Amboise  da  Alessandro  VI  «  concessione,  dice 
il  Guicciardini,  che  per  esser  cosa  nuova,  e  perchè  divertiva  (ancora  che  non  vi  fosse 
compresa  la  Brettagna)  molte  faccende  e  molti  guadagni  dalla  Corte  di  Roma,  fa  riputata 
cosa  molto  grande  ».  {Storia  d'Italia,  lib.  v).  Potrebbe  anche  essere  che  il  «  m«ssirtf  Jf«r- 
curt  »  sopra  citato  fosse  quel  tal  Mercurio,  di  cui  è  proposito  ne*  Diarii  di  Mabik  Sanudo 
(t.  IV,  pag.  C2  per  una  Copia  di  letera  da  Lion  di  Piero  Aleandro  de*S6  gitano  Ì5(H.) 
il  quale  spacciavasi  pel  figliuolo  di  dio,  faceva  prodigi,  era  tenuto  da  re  Luigi  in  totto 
qnell*onore  che  può  aversi  ad  uomo  :  «  Beato  quello  che  qtkando  egredUur  lo  poi  veder  et 
faonorar  !  Raro  apparet,  et  uno  complectar  verbo  :  tenet  artem.  »  —  V.  più  oltre  Introd.,  1.  ▼ 


Digitized  by 


Google 


8BCOKD0]  N,  MACHIAVELLI  OSSERVA  IL  CARVAJAL  A  SIENA.  308 

Carvajal,  cardinale  di  Santa  Croce,  in  qualità  di  legato^  col- 
l'incarico  di  sorvegliare  l'andamento  delle  cose  in  Germania, 
d' insistere  con  stimoli,  più  che  non  gli  fosse  riuscito  con  brevi 
e  con  nunzi,  a'danni  di  coloro  che  il  re  de'  Romani  aveva  già 
chiamato  gl'infedeli  d'Italia;*  e  quand'altro  non  si  potesse, 
d'avvisare  del  pericolo  in  tempo. 

Il  cardinale  parti  da  Roma  a'  di  4  d'agosto  per  la  via  di 
Siena,  A' Fiorentini,  che  si  confortavano  della  passata  dell'  impe- 
ratore col  non  crederla,  e  volevan  trarre  argomento  d'ogni 
minima  apparenza  per  congetturare  gli  avvenimenti  spera- 
bili, parve  che  non  fosse  da  trasandare  d'osservar  bene  il 
traino  del  cardinale,  quanto  fosse  solenne,  come  ei  fosse  accolto, 
chi  gli  facesse  le  spese,  con  che  maniera  di  donativi  venisse 
onorato;  cose  tutte  assai  piccole  e  lievi;  ma  chi  non  sa  quali 
conclusioni  usan  trarre  i  politicanti  da  un  po'  più  o  un  po'  meno  di 
cerimonie?  e  quanti  darebber  segno  d'arguzia  se  la  non  avesse 
ad  esercitarsi  che  sopra  fatti  gravi  e  con  induzioni  propor- 
zionate? Si  spacciò  dunque  il  Machiavelli,  il  quale  per  tutte 
queste  cose  pareva  in  cancelleria  l'uomo  più  adatto. 

Egli  arrivò  a' di  dieci  a  Siena  che  il  cardinale  si  tro- 
vava ancora  ad  Acquapendente;  la  sera  appresso  Niccolò  al- 
berga a  San  Quirico,  luogo  pel  quale  le  genti  del  Carvajal 
dovevano  passare;  ma  questi  se  ne  va  invece  a  Pienza,  dove 
i  Piccolomini  lo  anno  invitato.  Cosi  il  corteggio  si  divide  in 
due:  Niccolò  dietro  al  cardinale  manda  un  cavallaro,  ed  egli 
invece  si  rimane  a  San  Quirico  a  numerare  i  cavalli,  e  gli 
accompagna  finché  sìa  bene  «  sgocciolato  ogni  cosa  ».  Som- 
mando le  due  compagnie  trova  che  l' insieme  «  non  aggiugne 
a  centodieci  cavalli  »;  tuttavia  il  maestro  di  casa  e  i  corti- 
giani, —  «  faccie  che  paiono  la  maggior  parte  di  loro  usciti  dalle 
stinche  »  —  dicono  che  ne  à  seco  centocinquanta:  «e  fanno  per 
far  numero  più  onorevole  >.*  Del  resto  i  signori  non  ospitano 
il  legato  a  pubbliche  spese  ;  questi  alloggia  nel  vescovato,  i  gen- 
tiluomini per  le  case  di  cittadini,  la  ciurma  per  le  osterie.  Bensi 
al  Carvajal  offrono  un  presente  di  cose  mangerecce,  di  cui  il 
Machiavelli  trasmette  la  nota;  come  cosa  che  allora  non  aveva 
meno  importanza  che  non  abbia  oggi  il  menu  d' un  banchetto  ofiì- 

^  QiTBiTA,  op.  cit.  lib.  vin,  pag.  152  «  Venecianos,  qne  el  R67  de  Romanos  Uamava 
lot  Infideles  de  Italia  ». 

*  Machiayblli,  Cammù^ons  terza  a  Siena,  lettera  2^.  ^  Tutta  la  commissione  ta.  spe- 
dita con  tre  lettere  «  die  x,  xii,  xiy  augusti  Senis  ». 


Digitized  by 


Google 


3W  CAPO  QUINTO.  [libbo 

cialci  Peraltro  il  popolo  di  Siena  aspetta  V  imperatore  a  gran 
festa:  4f  è  desiderato  da  tutti;  donne  notizia  alle  S.  V.  perchè 
in  simili  accidenti  le  voluntà  de'  populi  sogliono  essere  disforme 
a  e'capi  loro  ».^ 

Questo  inciso  non  era  gittate  là  senza  qualche  intenzione. 
Nella  terza  lettera  di  questa  commissione,  il  segretario  ag- 
giunge poche  parole  che  possono  parere  la  dichiarazione  di 
quell'affermazione  sua.  A  Pandolfo,  dice  lui,  questa  venuta  del- 
l'imperatore  dispiace  assai,  «  come  colui  che  sta  bene  e  non 
vede  più  guadagno  né  travagli  ».  Se  non  che  il  Petrucci,  circa 
un  mese  innanzi,  aveva  ricevuto  una  lettera  di  Massimiliano 
4c  con  molti  particulari  in  sua  esaltazione,  la  quale  lui  comunicò 
alla  Balìa  e  a  più  arroti,  e  se  ne  onorò  assai  ».  Il  Petrucci 
non  crede  alla  passata  dell'imperatore;  se  mai  passasse,  stima 
ch'ei  non  farebbe  bene  a  nessuno,  altro  che  a' Pisani;  pensa 
tuttavia  che  gli  Svizzeri  e  i  A^eneziani  non  tengano  fermo  e 
ch'ei  non  verrà.  «  Nondimeno  e'  si  va  preparando  prima  di  far 
credere  qui  che  lo  'mperadore  li  sia  amico,  per  tórre  favori 
a'malicontenti;  secondo,  di  fare  con  effetto  che  sia,  benché  infino 
ad  iermattina  ei  non  avessi  ancora  auto  lettere  dal  mandato 
suo  2  allo  'ny^eradore  >. 

Quest'  ultime  parole  di  Niccolò  sono  una  specie  di  spiega- 
zione e  di  commento  a  quelle  prime;  dappoiché  é  lecito  con- 
getturare che  in  Firenze  le  cose  andassero  assai  diverse  da 
Siena.  E  veramente,  più  che  congetture,  si  avrebbero  afferma- 
zioni esplicite  che  ce  ne  certificherebbero,  se  l'autorità  del  Guic- 
ciardini trovasse  certo  riscontro  nei  documenti  contemporanei. 
Egli  infatti  racconta  che  Massimiliano,  convocata  la  dieta  a  Co- 
stanza, mandò  un  uomo  a  sollecitare  il  Governo  e  la  città  di 
Firenze  <  a  volgersi  alla  via  sua  »,  ^  indirizzando  il  suo  messo 
con  una  lettera  di  credenza  non  già  al  Gonfaloniere  perpetuo, 
come  sarebbe  stato  naturale  e  conveniente;  ma  ad  Alamanno 
Salviati,  che  gli  era  nemico  ;  che  però  non  favoreggiava  l'al- 
leanza francese;  e  che  si  considerava  come  il  capo  autorevole 
e  potente  del  contrario  partito. 

Un  tal  procedere  indegno  e  strano  potrebbe  sembrare  del 
tutto  incredibile,  se  non  si  avesse  a  fare  con  quella  potestà 

<  Machiavelli,  loc.  cit.,  lett.  1". 

*  n  VbttohIj  Viaggio  in  Aìemagna,  pag.  121,  dice  che  grinTÌati  da'Sanesi  airimp^ 
ratore  erano  Domenico  Placidi  e  Anton  da  Venafro. 

*  GuicciABDim,  Storia  fiorentina,  cap.  30,  pag.  345. 


Digitized  by 


Google 


MCOKDo]  IL  SODBRINI  VUOLE  UN  SUO  FIDATO  IN  GERMANIA.  3» 

che,  sapendo  d'essere  riguardata  dall'universale  come  il  fonte 
d'ogni  civile  diritto,  poteva  accomodarsi  co'  fatti  a  tutto  suo 
piacimento  ;  potrebbe  sembrar  del  tutto  incredibile,  se  non  fosse 
appunto  il  genero  d'Alamanno  Salviati  che  lo  riferisce;  ma 
d'altra  parte  il  Guicciardini  medesimo  nella  sua  maggiore  storia 
tace  affatto  di  questo  particolare;  né  si  ritrova  negli  archivi 
fiorentini  o  in  quei  dell'impero  vestigio  alcuno  di  quella  lettera 
che  Massimiliano  avrebbe  scritta  al  Salviati.  Tuttavia,  se  del- 
l'esistenza di  quella  lettera  e  d'ufficiali  trattative  iniziate  dal- 
l'imperatore  con  altri  che  col  capo  dello  stato  ci  è  lecito  du- 
bitare, non  è  a  discredere  ch'ei  lasciasse  incitare  gli  oppositori 
del  Sederini,  «  perchè  sapeva  che  lui,  come  il  Guicciardini  asse- 
risce, non  si  discosterebbe  mai  da  Francia  >.^  Da' malevoli  anzi, 
si  notava  che  il  cardinale  Francesco  aveva  in  Francia  entrate 
e  benefici  per  più  migliaia  di  ducati:  Sederini  e  Francesi  erano 
pertanto  una  cosa  sola,  e  avrebbero  accomunate  le  sorti  loro; 
ma  avrebbero  saputo  strascinar  seco  anche  quelle  della  città? 
Eh,  le  città  non  si  lasciano  facilmente  pigliare  a'capelli  !  *  le 
voluntà  de'popoli  sogliono  esser  disforme  a'capi  loro  »,  scri- 
veva Niccolò.  —  A  Pandolfo  Petrucci  basta  godersi  l'appoggio 
dell'  imperatore  lontano  ;  non  lo  brama  prossimo,  anzi  lo 
teme;  ma  pur  egli  sa  preoccupare  la  via  a' malcoltenti  e  fin- 
gersi lietissimo  della  venuta  di  lui,  E  che  fa  invece  Pier  Se- 
derini? ricorda  egli  l'esempio  di  Pier  de' Medici  cacciato  dalla 
sua  città  faziosa,  quando  la  politica  esterna  gli  afforzò  contro 
la  fazione  nemica?  sa  egli  prendere  una  iniziativa  coraggiosa 
e  precludere  al  Salviati  la  strada  di  danneggiarlo?  sa  mostrare 
all'imperatore  che  il  capo  dello  stato  in  Firenze  è  egli  solo  e 
non  altri?  —  Disgraziatamente  il  Machiavelli  aveva  già  avuto 
saggio  del  contrario;  e  in  quel  tristo  saggio  c'era  andata  anche 
un  po' di  mezzo  la  persona  sua. 

Il  Sederini,  a' primi  rumori  della  dieta  di  Costanza,  per 
vedere  un  po' come  le  cose  procedessero,  erasi  proposto  di 
mandar  in  Germania  nient' altro  che  un  uomo;  uno  cioè,  se- 
condo il  solito,  che  vedesse,  che  osservasse,  che  riferisse,  e 
nulla  più.  A  questo  disegno  in  massima  non  trovò  opposizione; 
ma  non  appena  si  trattò  di  destinare  l'uomo  che  doveva  an- 
dare, allora  le  contradizioni  s'affacciarono  subito  ed  irritanti. 
Il  Sederini  «  vi  voleva  uno  di  chi  e' si  potesse  fidare  >;*  così 

.  1  OuicciABDiNi,  Storia  fiorentina,  capo  xxx,  pag.  347. 
*  OuicciASDiNi,  Storia  fiorentina,  cap.  xxx,  pag.  940. 


Digitized  by 


Google 


396  CAPO  QUINTO.  [libbo 

dissero  i  suoi  malevoli  e  aveva  scelto  a  questo  effetto  il  Machia- 
velli. Ne  nacque  un  gridio  senza  fine:  il  Gonfaloniere  non 
vuol  sapere  d'altri  che  degli  arnesi  suoi,  di  ferri  di  bottega, 
di  satelliti;  c'era  in  Firenze  flore  di  giovani  da  esercitare  con 
vantaggio  in  questa  maniera  di  commissioni;  le  leggi  avean 
provveduto  perchè  venissero  adoperati;  ma  lo  stato  diventava 
partigianeria  e  fazione  ogni  di  peggio. 

Si  mutò  la  scelta,  sperando  sedare  ì  rumori;  il  Machia- 
velli, eh' erasi  accinto  a  partire,  disfece  i  suoi  preparativi,  e 
andò  Francesco  Vettori, ^  con  mandato  generale  di  vedere  e  di 
riferire,  ma  senza  facoltà  né  di  concludere  né  di  trattare. 

Parti  il  Vettori  a' di  27  di  giugno.  Egli  era  giovane  di 
trentatrè  anni;  era  già  stato  de' Dodici  e  degli  Otto;  poi  po- 
destà di  Castiglione  aretino;  ma  l'officio  ora  affidatogli,  per 
fermo  se  non  il  più  alto,  era  il  più  arduo  che  potesse  toccargli. 
Ei  lo  aveva  ottenuto  a  malgrado  del  gonfaloniere  ;  andava  in 
un  paese  ove  le  comunicazioni  gli  sarebbero  state  difficili; 
sapeva  di  lasciare  i  suoi  cittadini  divisi  nelle  intenzioni, 
ne' fini,  ne' mezzi  della  loro  politica;  però,  incerti  rispetto  a  sé, 
sospettosi  degli  altri,  avrebbero  fatto  scarse  e  tarde  provvi- 
sioni all'occorrenza,  e  del  male  che  fosse  per  seguitarne  sareb- 
bero stati  prontissimi  a  gittar  la  colpa  sopra  l'uomo  mandato. 
Con  una  simile  prospettiva  c'era  di  che  sentirsi  sgomenti  ;  ma  il 
giovane  scettico  e  sottile  seppe  provvedere  a'  casi  suoi. 

Tenne  per  l'andata  la  via  di  Verona  e  del  Brenner, 
donde  avanzò  sino  a  Costanza,  ove  la  dieta  era  raccolta. 
Quivi  alloggiando  all'albergo  medesimo  con  un  ambasciatore 
del  conte  di  Traietto,  entra  a  conversare  con  lui  in  lingua  la- 
tina e  s'informa  di  quanti  prelati,  quanti  principi,  quanti  ora- 
tori di  comunità  siano  intervenuti  a  quella  riunione  :  il  vescovo 
di  Trento,  quel  di  Coirà,  il  coadiutore  del  vescovo  di  Brixen, 
il  vescovo  di  Costanza,  quel  di  Basilea,  di  Salisburgo,  di  Bam- 
berga,  d'Augusta,  di  Virzburgo,  di  Worms,  di  Spira;  gli  arci- 
vescovi di  Magonza  e  di  Treviri  anno  risposto  all'appello;  quel 

*  Francasco  di  Piero  di  Francesco  di  Pagolo  di  Orannosso  di  Neri  di  Boccaccio  Vet- 
tori era  nato  nel  1474.  —  V.  il  Ricordo  Ae'  Magistrati  che  io  Francesco^  etc.  Vettori  ho 
avuto,  nota  tratta  dal  Codice  autografo  del  Viaggio  in  Alemagna,  e  pubblicata  dal  Hsn- 
MONT  nell*A.rch.  stor.  app.  t.  yi  insieme  al  Raccolto  delle  cuùmi  di  Francesco  e  di  Pagolo 
Vettori.  —  Al  Machiavelli  in  questa  occasione  scrìveya  Alessandro  Nasi,  commissario,  da 
Cascina  «  die  xxx  julii  mdvìj  »:  Piacerai  cha  ti  cha....88i  la  Imperiai  commissione,  poiché 
Mi  sacriflchato  in  tutto,  et  credo  sia  molto  al  proposito,  masime  tuo,  troyarti  più  presto  a 
Firense  che  in  Thodescheria,  come  dischorreremo  una  yolta  quando  saremo  insieme  »  — 
(BibL  Nas.  doc.  M.,  busta  iv,  n.  57). 


Digitized  by 


Google 


8EC0KDO]  FRANCESCO  VETTORI  IN  GERMANIA.  897 

di  Colonia  si  era  scusato  «  perchè  sondo  molto  grasso  non 
si  poteva  quasi  muovere;  ma  vi  era  un  suo  procuratore  ».^ 
De'  principi  v'erano  due  figli  del  conte  Palatino,  il  duca  Fede- 
rico di  Sassonia,  il  marchese  Joachim  di  Brandeburgo,  il  duca 
di  Wurtemberg,  il  duca  di  Brunswich,  il  burgravio  d'Assia; 
poi  un  numero  infinito  di  conti,  i  quali  tuttavia  non  avevano 
che  un  solo  rappresentante  nell'adunanza,  che'  v'  interveniva 
in  nome  di  tutti;  e  finalmente  v'erano  le  comunità  e  le  leghe. 

Ben  presto  il  Vettori  ebbe  ad  accorgersi  che  le  difficoltà 
che  prevedeva,  gli  erano  a  dismisura  accresciute  pel  segreto 
impenetrabile  di  cui  alla  corte  imperiale  si  circondavano  tutte 
le  deliberazioni.  Gli  ambasciatori  eran  tenuti  lontano;  notizie 
non  se  ne  sapevano;  agl'italiani,  eh' eran  parecchi  e  con  op- 
poste mire,  non  restava  se  non  incontrarsi  la  mattina  nella 
chiesa  maggiore,  e  quivi  accattar  novelle  o  scambiarsi  conget- 
ture vicendevoli  circa  la  passata,  intorno  a  cui  premeva  egual- 
mente a  tutti  d'aver  certezza. 

Tra  Massimiliano  e  la  Dieta  passavano  intanto  grandi  pro- 
messe: egli  amministrerebbe  le  future  conquiste  col  consiglio 
degli  stati  dell'  Impero  ;  tutto  rimarrebbe  all'  Impero  quel  ch'ei 
conquisterebbe  di  terre  e  popoli,  di  città  e  castella;  sarebbe  rista- 
bilita, secondo  le  conclusionifermate  alla  dieta  di  Worms  nel  1495,* 
la  curia  camerale,  che  da  tre  anni  non  funzionava;  la  dieta 
dal  canto  suo  aiuterebbe  Massimiliano  a  conseguire  la  corona 
imperiale  e  contrasterebbe  a  quelle  imprese  del  re  di  Francia 
che  fossero  a  danno  dell'Impero  germanico.  Di  soprappiù  un'am- 
basciata degli  stati  imperiali  alle  leghe  degli  Svizzeri  mette- 
rebbe in  chiaro  le  cose  anche  con  quelle;  fossero  indipendenti, 
ma  tenessero  le  parti  dell'impero,  non  favorissero  Francia; 
altrimenti  la  Germania  reputerebbe  gli  Svizzeri  pe' Turchi 
suoi!  3 

*  Pr.  Vettori,  Viaggio  nella  'Magna,  descrizione  ch'egli  scrisse  al  ritorno,  nella  vil- 
letta sua  di  Ceppesello,  più  per  dar  luogo  a  racconti  sollazzevoli  e  poco  decenti,  che  per 
fornire  di  proposito  storiche  notizie.  Ciò  non  ostante  il  Rkumont,  (Arch.  stor.  app.  vi,  se- 
rie 1^,  pag.  S64),  la  giudica  «  non  già  priva  dMmportanza  per  i  ragguagli  intomo  alle  con- 
dizioni di  quei  paesi  e  dei  loro  abitanti  »  ;  e  il  Rankb,  Deutsche  Geschichie,  t.  i,  pag.  107, 
a  proposito  del  racconto  fatto  dairoreflce  di  Ueberlingen,  osserva  esser  questo  un  bel- 
l'esempio  del  come  la  storia  trapassi  in  mito  :  «  es  ist  das  v  leder  ein  fìeispiel,  wie  die 
Oeschichte  auf  der  Stelle  zur  Mythe  wird:  in  Einzelnen  ist  alles  unrichtig,  das  ganze  nicht 
vòllig  ohne  Wahrheit  ».  —  Questa  Deseriiione  del  viaggio  nella  Magna  fu  pubblicata  a 
Parigi  dal  Salvi  nel  1837.  È  divisa  in  cinque  libri  ;  rimane  interrotta  prima  dell'arrivo  del 
M.  in  Alemagna.  Nel  libro  quarto  è  compresa  una  commediuola  in  un  atto,  sconcia  e 
di  poco  pregio,  intitolata:  «  La  Costanza  da  Casale  di  Monferrato  ». 

*  Ranke,  Deutsche  Geschichte^  t.  i,  pag.  114. 

'  Rakkb,  loc.  cit.  pag.  116:  «i  Crott  verleihe  uns  den  heiligen  Geist,  ruft  ein  Mitglied 


Digitized  by 


Google 


398  CAPO  QUINTO.  [umo 

Tanto  accordo  manifestatosi  questa  volta  nella  dieta  te- 
desca dava  luogo  a  credere  che  Massimiliano  potesse  dire  sol 
serio,  che  questa  volta  ei  varrebbe  a  provare,  secondo  che 
delle  sue  pretensioni  motteggiavasi  in  Francia: 

....  que  da  tous  les  humains 
L'aigle  il  estòit  et  chef  de  tout  le  monde, 
À  qui  pape,  roys  et  ducs,  pour  le  moins,^ 
Doivent  honneur  de  la  bouche  et  des  mains. 

Il  Vettori  partecipava  al  governo  fiorentino  tutti  questi  mo- 
tivi d'apprensione  ed  insisteva  perchè  in  mezzo  a*  fervorosi  ap- 
prestamenti altrui,  la  patria  sua  non  si  rimanesse  a  considerare 
inoperosa.  Del  resto  sentiva  tutto  il  cruccio  della  propria  con- 
dizione: egli  era  stato  mandato  senza  commissione  speciale, 
senza  qualità  che  lo  facesse  spettabile,  senza  facoltà  di  trattare 
o  di  concludere,  senza  danari;  ed  aveva  che  far  con  persone 
le  quali  volevano  parlar  poco,  subito  stringere,  pigliar  danari 
a  ogni  modo,  e  accontentarsi  tanto  meno  diflacilmente,  quanto 
si  desse  loro  danari  più  pronti.  Invece  a  Firenze  pareva  che 
questo  fosse  un  di  que*  casi  in  cui  la  miglior  risoluzione  pos- 
sibile stesse  nel  fatale  <  godersi  il  beneficio  del  tempo  ». 
Infatti,  il  tempo  cui  nocerebbe?  pensavasi;  a  credere  che  l'im- 
peratore scendesse  davvero  in  Italia,  pareva  ci  fosse  sempre 
agio;  quando  anche  ei  vanisse,  sarebbe  sempre  a  vedere  fin  dove 
gli  sarebbe  dato  arrivare. 

«  L*aquila  vola  e  non  si  sa  ancor  dove  »  > 

cantavano  i  poeti  volgari;  e  poteva  pur  darsi  che  a  quell'aquila 
fosse  contesa  la  via  di  Roma  o  intercetta  a  mezzo.  Belereste, 
solo  quando  il  popolo  scorgesse  prossimo  il  pericolo,  sarebbe 
possibile  indurlo  a  votare  una  nuova  imposta;  cosa  che  senza 
una  necessità  imminente  era  risguardata  per  diflicilissima;  e 
di  questo  danaro  si  satollerebbe  allora  l'ingordigia  imperiale 
che  non  curava  altro.  Sotto  la  stretta  della  necessità  anche 
Francia  non  avrebbe  potuto  pigliare  in  mal  verso  la  conclusione 
d'un  trattato  coli' imperatore;  né  forse  dolersi  dell'abbandono 
della  alleanza  infruttuosa  seco,  quando  pur  importasse  mai 
giungere  insino  a  questo.  E  cosifiatte  argomentazioni  erano  poi 


aus,  wenn  wìr  nichts  ausrichten,  werden  wir  die  Schweizer  mit  Krieg  tlberaiehn,  sie  f&r 
unsero  TUrken  halten  mtissen  ». 

^  MoNTAioLON,  Récueil  de  poéties  fìrancoises  des  XV  et  XVI.iiéeles,  t,  vi,  pag.  ISO, 
V Arresi  du  Roy  des  Rommains, 

*  Valbntinblli,  Regeslen  znr  deutseher  Oesehichte  negli  Atti  della  r.  Accademia 
delle  Scienze  di  Monaco^  volume  ix,  pagina  589,  cita  «  epigratnmata  tria  eaudcUa  vX 
dicunt  ». 


Digitized  by 


Google 


«■CONDO]  LA  «  PRATICA  »  PROPONE  N.  MACHIAVELLI.  399 

Tiemaggiormente  afiForzate  dall'intenzione  recondita  ch'era  nei 
governo  di  fare  in  modo  che  non  si  movesse  nella  questione 
della  politica  esterna  un  passo  del  quale  la  parte  avversaria 
potesse  vantaggiare  nella  città.  Così  per  evitare  che  questo 
accadesse,  si  restava  nell'inazione,  non  amando  i  nemici  del 
Sederini  che  coli' Impero  si  venisse  ad  aggiustamenti  per  via 
di  danaro;  mentre  d'altro  lato  gli  amici  del  Gonfaloniere,  e  il 
Gonfaloniere  stesso,  non  intendevano  di  mandar  solennemente 
ambasciatori  a  Massimiliano,  come  avrebbero  preferito  coloro, 
mirando  in  questo  partito  un  appiccagnolo  per  cangiare  l'indi- 
rizzo della  politica  esterna. 

Veramente  le  persone  di  questi  ambasciatori,  già  da  pa- 
recchio elette,  ma  non  mandate  mai,  pareva  fossero  state  pro- 
prio scelte  di  proposito  a  dispetto  del  Soderini.  Di  soprappiù 
erasi  dato  a  questo  dispetto  l'aria  della  necessità.  Si  trattava 
di  propiziarsi  l'imperatore;  e  a  tal  eflFetto  come  non  mandargli 
ambasciatore  quell'Alamanno  Salviati  cui  egli  aveva  particolar- 
mente accarezzato,  quasi  indicando  l'uomo  con  cui  gli  sarebbe  pia- 
ciuto di  preferenza  trattare  ?  Con  Alamanno  erasi  dagli  Ottanta 
accoppiato  Pier  Guicciardini,  oculatissimo  e  non  per  certo  be- 
nevolo verso  il  Gonfaloniere  perpetuo;  tiepido  bensì  e  capace 
d'impacciare  i  fervidi  col  suo  tepore.  Infatti,  non  volendo  par- 
tire con  mandato  indeterminato  e  senza  facoltà  di  concludere, 
aveva  contribuito  a  far  accettare  il  mezzo  termine  dell'andata 
del  Vettori;  ed  ora  che  questi  tempestava  colle  sue  lettere, 
avvisando  che  gli  apprestamenti  concessi  dalla  Dieta  (dodici- 
mila uomini,  da  accrescersi  al  bisogno  sino  in  trentamila)  ^  do- 
vevano essere  su'campi  pel  san  Michele,  in  settembre,  ^  ecco 
le  fazioni  tornare  alle  prese  colle  mene  loro;  ma  questa  volta 
il  Soderini  co'  suoi  amici  seppe  strappar  la  vittoria. 

Egli  non  si  fidava  del  Vettori  e  non  intendeva  per  alcun 
modo  che  gli  ambasciatori  andassero.  Nella  discussione  ch'ebbe 
luogo  in  seno  alla  pratica,  furono  ventilate  proposte  o  di' man- 
dare al  Vettori  bozze  di  capitoli,  o  di  spedirgli  a  dirittura  la 
commissione,  o  di  mandargli  per  allora  una  lettera  semplice, 
attendendo  lo  svolgersi  dei  fatti  e  il  seguito  delle  trattative. 
Quest'ultimo  partito  raccolse  per  diversi  motivi  grandissima 
maggioranza.  Se  non  che,  quantunque  fra  gli  opinanti  non 
mancasse  chi  dichiarava  d'aver  piena  fiducia  nella  prudenza  di 

1  JaCBB,  loc.  cit.fpag.  227. 

•  Guicciardini.  Storia  fiorentina,  capo  xxx. 


Digitized  by 


Google 


400  CAPO  QUINTO.  [libbo 

Francesco  Vettori,  una  voce  si  levò  a  consigliare  gli  si  desse 
compagnia  «  che  hauessi  notitia  di  questa  cosa  )^Ml  consigliatore 
era  Piero  del  Nero,  devoto  al  gonfaloniere,  congiunto  di  paren- 
tela con  Niccolò  Machiavelli^.  Il  del  Nero  trovò  eco  in  Guglielmo 
de'  Pazzi  e  in  Piero  Lenzi,  e  sebbene  quei  che  vedevano  traspa- 
rire già  la  segreta  intenzione  del  Gonfaloniere  insistessero  nel- 
l'osservare  «  che  Francesco  era  uomo  prudente  e  da  maneggiare 
la  cosa  con  più  benefizio  potrà  »,3  ne  seguì  che  il  segretario 
Machiavelli  fu  spedito  quel  giorno  stesso  con  tutta  celerità  in 
Alemagna.  Cosi  la  tenacia  flemmatica  del  Gonfaloniere  venne 
a  capo  della  cosa;  ma  se  per  fortuna  non  si  fosse  abbattuto  in 
persone  assai  prudenti,  Tostinazìone  sua  non  sarebbe  certo  riu- 
scita proficua  né  allo  stato  ne  in  particolare  a  lui. 

Non  è  a  credere  che  il  Vettori  e  Niccolò  fossero  prece- 
dentemente legati  d'amicizia  reciproca.  Messer  Francesco,  nel 
principio  del  suo  Viaggio  sopra  citato,  narra  come,  facendo  la 
sua  prima  sosta  a  Barberino,  fu  colpito  al  suo  arrivo  in  quella 
villa  da  un  tamburare  e  tumultuare  di  gente.  Era  giorno  di 
festa  e  il  conestabile  faceva  mostra  della  nuova  milizia.  Per 
quell'occasione  entra  in  alcune  considerazioni  intorno  alla 
nuova  ordinanza,  e  v'aggiunge,  per  bocca  dell'oste,  ^  certo  bia- 
simo, che  per  fermo  avrebbe  risparmiato  se  all'  idea  e  all'af- 
fetto del  Machiavelli,  che  a  quest'ordinanza  portava  amore  di 
padre,  non  si  fosse  sentito  estraneo.  Malgrado  ciò,  da  questa 
legazione  d'Alemagna  il  giovane  patrizio  e  il  segretario  fioren- 
tino uscirono  cordialmente  e  per  la  vita  amicati. 

Niccolò  prese  al  suo  partirsi  la  via  di  Svizzera,  sia  che 
il  sentiero  pel  Brenner  gli  paresse  impacciato,  essendo  che 
novecento  tedeschi  si  sapevano  mossi  giù  con  un  cumulo  di 
intenzioni  :  «  mutare  lo  Stato  di  Genova,  rimettere  e'  fuorusciti 
in   Parma,  nella  Mirandola  e  in  molti  altri  luoghi....  »5  «« 


1  V  in  appendice  il  verbale  di  questa  Consultai  «  die  17  dicembre,  1507  ». 

>  La  parentela  affettuosa  con  Piero  del  Nero  è  affermata  dal  M.  nella  lettera  del 
29  novembre  1515  da  noi  sopra  citata  a  pag.  217.  In  casa  di  lui,  quando  Niccolò  ammo- 
gliatosi s'assentava  le  prime  volte  da  Firemse,  lasciava  la  Marietta,  sua  donna. 

*  V.  app.  citata. 

*  Vettori,  Viaggio  in  Alemagna,  lib.  i. 

6  Arch.  fior.  Dieci  di  Balia.  Legazioni  e  Commesserie.  Lett.  missive,  n.  31  a  e.  93.  ~ 
Questa  lettera,  pubblicata  primieramente  dagli  editori  ultimi  delle  Op.  del  M.,  (Legax.  al- 
l' Imp.  lett.  1')  reca  la  data  «  die  xxi  novembris  i507  »  —  vi  si  dice  :  «  avanti  che  Gianni 
Abate  arrivassi  qua  con  la  tua  de*  vi....  avàmo  espedito  di  qua  Nicolò  Machiavelli  in  poste 
e  per  la  via  di  Ginevra  ».  —  Il  Machiavelli  parti,  come  vedemmo  aU7  di  dicembre;  per- 
tanto nella  data  sopra  recata  è  erronea  la  menzione  del  mese  ;  eipiegabile  Terrore  perchè  chi 
dettava  aveva  innanzi  forse  l'avviso  del  Vettori  «  de' 30  del  passato  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  iV.  MACHIAVELLI  IN  SVIZZERA  E  NEL  TIROLO.  '  401 

troppo  pochi  e  per  troppe  cose!  —  sia  che  sembrasse  che  tutto 
il  nodo  della  questione  imperiale  stesse  in  Isvizzera,  e  che  un 
buono  sguardo  dato  addentro  nelle  condizioni  del  paese  dei 
confederati  dicesse  più  che  non  una  diuturna  permanenza  in 
Germania. 

Sulla  strada  di  Lombardia  Niccolò  capita  male;  lo  tolgono 
in  sospetto  ;  lo  esaminano  tritamente,  e  per  paura  che  non  gli 
cerchino  indosso  (egli  così  racconta)  si  vede  costretto  a  strap- 
pare la  lettera  di  commissione.  Questo  incidente  in  Firenze 
forse  non  dovette  spiacere  a  tutti;  può  essere  che  Niccolò  ne 
desse  contezza  da  Aiguebelle  in  una  prima  lettera  che  certo  non 
arrivò.  ^  Quivi  ei  lascia  le  poste:  scrive  novamente  da  Ginevra 
«  per  dar  notizia  del  suo  essere  »,  ^  accenna  a  queste  sue 
lettere  *  dubitando  lui  stesso  «  se  fiano  comparse  ».  Arrivato 
finalmente  a  Bolzano,  significa  ai  Signori  tutto  quello  che  nel 
cammino,  da  Ginevra  a  quivi,  à  udito  e  veduto  «  acciò  possiho 
meglio  conietturare  le  cose  di  qua  ».  ^  —  E  in  questo  scritto  è  una 
mirabile  descrizione  delle  condizioni  in  cui  vede  il  paese  de'  Sviz- 
zeri, secondo  i  particolari  di  fatto  e  di  diritto  che  attinge  ora 
da  un  «uomo  discreto»  di  Freiburg  «  uso  nelle  cose  d'Italia», 
e  stato  già  nel  dominio  fiorentino  capo  di  bandiera,'*  ora  da 
maestro  Arrigo  Isaac,  il  fiammingo  compositore  di  musica  di 
cui  già  parlammo^  il  quale  aveva  donna  in  Firenze*  ^  Con  costui 
che  talvolta  era  adoperato  da  Massimiliano  stesso  in  maneggi  di 
stato,  come  accennammo,  è  a  credere  che  allora  di  musica  non 
s'intrattenesse.  Ma  né  da  lui  né  dal  savoiardo  oratore  di  Carlo 


*  Machiavelli,  Commisaiùne  àW  Imperatore,  ed.  ult.  pag.  253,  I^ett.  2".  «  Scrìssi  da 
Gabella  a*  di  12  alle  S.  V.  » — Questa  lettera  de' 17  gennaio  mise  dieci  giorni  ad  arrivare 
a  Firense.  I  Dieci  nella  risposta  al  Vettori  scrivono  di  Niccolò  :  «  ci  dispiace  grandemente 
lo  essere  state  necessitato  stracciare  le  lettere  che  portava,  perchè,  avendole  condotte,  tn 
arestl  potuto  più  particularmente  intendere  lo  animo  nostro  e  pigliare  più  certa  regola 
circa  il  concladere  questa  pratica,  quando  la  si  abbi  a  fare,  etc  ».  —  V.  M.  Opp.  Comm. 
cit.  ed  ult.  Lett.,  9.  ^ 

«  Id.  ibid.  Lett.  3». 

'  Machiavelli,  ibid.,  Lett.  3''.—  Niccolò  partito  a'di  17  di  dicembre,  scrisse  da  Ai« 
guebelle  il  22;  da  Ginevra  il  25;  giunse  a  Bolzano  il  di  11  di  gennaio,  «  ritenuto  tanto 
tempo  dalla  lunghezza  del  viaggio,  dalla  malignità  delle  vie,  e  dalla  qualità  del  tempo  la 
cui  siamo,  e  di  più  per  avere  a  combattere  con  e'cavalli  stracchi  e  trovarmi  allo  stretto 
del  danaio  ». 

*  n  Daoubt,  Machiavel  et  lés  Suisses,  memoria  inserita  nel  Mus^e  Neufchalelois,  1877, 
pag.  183-192,  nota  a  proposito  di  questo  friburghese:  Ce  portraitdans  sa  vague  generalità, 
«st  tei  qnMl  peut  convenir  à  dix  ou  douze  des  magistrats  habiles  et  belliqueux  que  comptait 
alors  la  République  des  borda  de  la  Sarine  »,  e  cita  :  «  Peter  Falk,  Thierry  d'Englisberg, 
Pétermann  de  Faucigny,  Guillaume  et  Nicolas  RejfT,  Ulrich  Schenwly,  Hanz  Loupper, 
Hanz  Krummenstoll,  Hanz  Techtermann,  Nicolas  de  Praromann,  Pierre  Adam,  Pierre 
Tavernier  ».  * 

«  V.  sopra  a  pag.  101. 

Tommasini  -  Machiavelli.  23 


Digitized  by 


Google 


402  CAPO  QUINTO.  [Li^mo 

il  Buono,  Amedeo  de  Viry  ^  gli  vien  fatto  di  conoscer  la  piega 
che  prendono,  o  accennano  a  prendere,  gli  avvenimenti  poli- 
tici. Invece,  per  quel  che  risguarda  le  cose  de'  Svizzeri,  questa 
sua  lettera  si  può  avere  in  conto  d'uno  di  quegli  scritti  fon- 
damentali su  cui  si  appoggiarono  poi  quelle  relazioni  che 
più  tardi  vennero  inserte  nel  cosi  detto  Tesoro  politico.^ 
Niccolò  non  era  il  solo  oratore  che  a  que'  tempi,  gittando  lo 
scandaglio  per  misurare  le  forze  dell'  Impero,  credesse  che 
l'inclinazione  alla  bilancia  tra  Francia  e  Germania  fossero 
per  darla  gli  Svizzeri.  Del  medesimo  avviso  son  gli  ambascia- 
tori veneziani,  i  quali  acutamente  intendono  a  scrutare  le  ra- 
gioni di  sopravvento  che  l'una  o  l'altra  nazione  à  probabilità 
di  guadagnare  su'  popoli  delle  leghe.  Se  non  che  Venezia,  la 
quale  superbamente  chiamava  il  re  di  Francia  figliuolo  di 
San  Marco,  la  quale  si  dava  a  intendere  di  avere  a  figliare 
l'Italia  dentro  cui  non  capiva,*  poteva  anche  concorrere  cogli 
altri  seduttori  de'  Svizzeri  ^  a  suscitare  screzi  tra  costoro 
co' propri  tesori,  mentre  invece  Firenze  e  i  mandatari  di  lei 
erano  costretti  a  limitarsi  alla  parte  di  chi  osserva  e  fa  in- 
duzionì.5 

Le  osservazioni  del  Machiavefii  alla  corte  imperiale  sono 
così,  in  questa  occasione,  d'indole  politica  e  speculativa  a  un 
tempo.  Come  politico  ei  guarda  sottilmente  a'  fatti,  riconosce 
come  il  corpo  principale  de'  Svizzeri  «  sono  dodici  comunanze 
collegate  insieme  le  quali  chiamano  cantoni  »  strette  salda- 
mente da  vincoli  giuridici  in  un  attivo  consentimento,  per  modo 

>  OuicuBNON,  Hittoire  généalogique  de  la  RoydU  maiaon  de  Sawie,  pag.  104.  Di  questo 
medesimo  Amedeo  barone  de  Viry  è  parola  nella  lettera  con  cui  Carlo  il  Buono  accompagna 
i  suoi  ambasciatori  a  Massimiliano  e  al  re  Cristianissimo  quando  1*  invitano  ad  accedere 
alla  lega  di  Cambrai  contro  Venezia  «  prò  recuperatione  nostri  regni  Cypri  ».  V.  op.  cit. 
t.  lYf  pag.  431. 

•  V.  Tesoro  politico,  parte  i,  pag.  337,  parte  2*,  pag.  235  e  seg.— Cf.  Albew,  Rela- 
zione degli  ambasclatoH  Veneti  al  SenatOf  serie  i,  voi.  vi,  la  Reiasione  di  Qermania,  dì 
VntcENZo  QuiRiNi,  1507,  pag.  39-43. 

>  Macuiavblli,  Discorsi,  libro  in,  cap.  31.  —  Mabin  Sanudo,  Diarii,  t.  v,  coL  829 
(marzo  1508)  :  «  Ttem  è  da  saper,  in  questi  giorni  in  diversi  lochi  di  la  terra  Tonno  posti 
boletini  de  1*  infranscripto  tener,  quali  par  che  Italia  chiami  Venecia  l'aiuti  centra  Va- 
lentino : 

Madre  tu  dormi  et  la  tua  figlia  è  in  noglia 
Poropeio  fuze  et  Cesar  la  dispoglia. 
Svegliate,  Madre,  et  trarala  di  doglia  ». 

*  Cf.  Cbmbl,  UrXunden,  Briefe  und  Actenstiiche  zur  Geschichte  Max's  I  und  teiner 
Zeit  nella  Bibl.  dei  Utter.  Vereins  in  Stuttgart,  voi.  x,  pag.  317-320,  doc.  cczxxiv. 

'  Firenze  non  pretendeva  gareggiare  che  di   scaltrezza  colla  Repubblica  veneziana. 
V.  Mabin  Sanudo,  Diarii,  iom,  n,  663,  la  Canzone  fata  in  Fiorenza  contro  Vinitiani: 
Se  San  Marco  à  testa  e  borsa 
«    Altri  à  nari  e  cervello. 


Digitized  by 


Google 


secondo]         impressioni  CHE  IL  M.  RICEVE  DALLA  SVIZZERA.  403 

che  «quello  che  nelle  loro  diete  è  deliberato,  è  sempre  osser- 
vato da  tutti,  né  alcun  cantone  vi  si  opporrebbe.  E  per  questo 
si  abusano  coloro  che  dicono  che  quattro  cantoni  ne  sono  con 
Francia  e  otto  con  lo  Imperadore,  perchè  questo  non  può  es- 
sere, se  già  nella  loro  diete  e'  non  lo  deliberassino.  E  quando 
lo  deliberassino,  sarebbe  male  servito  l'uno  Re  e  peggio  l'altro  >.^ 
Di  fronte  alla  coesione  de' dodici  cantoni  stavano  la  lega 
Grigia  e  i  Vallesi;  «  dua  altre  qualità  di  Svizzeri  »,  le  chiama 
il  Machiavelli,  accennando  forse  a  cagioni  etnografiche  d'un 
fenomeno  che  lo  maraviglia,  perchè  non  sa  intendere  come  tra 
que'cantoni  oltre  al  numero  di  dodici  si  faccia  debole  il  vincolo 
dell'unità  e  della  concordia,  quasi  che  l'influsso  della  forza 
d'attrazione  nelle  consociazioni  civili  oltre  quel  numero  certo 
cessi  di  manifestarsi.  Verrà  la  volta  in  cui  di  questo  esempio 
vivo  giovandosi,  e  ragguagliandolo  a  consimili  esempi  traman- 
dati dalle  antiche  storie  (le  dodici  tribù  anfizioniche,  le  dodiqi 
città  della  lega  etrusca,  la  lega  achea,  gli  Etoli),  s'inge- 
gnerà sorprendere  filosofando,  o  meglio  sospettare,  fantasiando 
sulla  ripetizione  di  questo  fenomeno  storico,  l'accenno  ad  un 
limite  naturale,  ad  una  necessità,  ad  una  legge  organica 
della  società  umana.^  Ma  per  ora  ei  s'accontenta  dì  rile- 
^'arne  il  resultato  pratico  :  «  queste  due  parti,  dic'egli  de'  Sviz- 
^^J^i,  non  sono  collegate  in  modo  con  e'  dodici  cantoni,  che  non 
^^ssino  deliberarsi  contro  alla  deliberazione  di  quelli:  inten- 
^Ojlsi.  bene  insieme  tutti  per  la  difesa  della  libertà  loro  »,  ma 
^^  ^i  imperatore  o  il  re  di  Francia  possono  sperare  di  trarli 
^  ^k,      loro  e  «  chi  mancherà  dell'  una  sorte  potrà  avere  del- 

*-      -^i^ACHiAVBLLi,  lett.  cìt.  I  oomi  (Ielle  dodici  comananze  o  cantoni,  tali  quali  gli  dà  il 

^»c<2lxm avelli,  sono  i  seguenti:  «  Filiborg,  Berna,  Surich,  Lucerna,  Baia,  Solor  (Solothnrn), 

\3ri»     Xx%«5rìval  (Untervalden),  Tona,  Glaris,  Svizer,  Saphusa».  Ò  per  inesatta  informazione 

0  ^^"^     «t^er  male  ricordato   è  evidente  che  il  M.  sostituisce  Thun  (Tona)  in  luogo  di  Zug; 

cot»<»    ^^ettaroente  à  il  Quibini,  loc.  cit. 

*    C?f.  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  ii,  4. 

'    ^Bkf  ACHiAYELLi,  Commiss.  cit  Lett.  3^.  —  Nell'Apo^ra/b  Barberiniano  il  testo  di  questa 
\e\^«X'%.    derivò,  come  di  consueto,  dal  quademuccio  ove  Niccolò  gittava  la  prima  copia  delle 
sue   lettere.  Offre  infatti  parecchie  varianti  dal  testo  tratto  dall'originale  nell'archivio  fio- 
rentltìo.  Neir ultimo  inciso  da  noi  citato  si  legge,  per  esempio:  «  sicché  a  chi  manca  del- 
l'una  Berte,  potrà  avere  deiraltra  avendo  danari  ».  —  Similmente  ove  il  testo  a  stampa 
reca:  «  Venne  qui  sabato  nuove,  come  mille  cavalli  ecc.  »  Nell'apoyra/'o  succitato  si  trova: 
*  ^Qnxìe  jeri  qui  medesimamente  nuove,  etc.  »  La  lettera  del  M.  à  la  data  de*  17  gennaio 
^^^  che  cade  in  di  di  domenica,  ed  ò  certo  però  che  lo  jeri  era  precisamente  in  giorno  di 
«acuito.  Se  non  che,  la  correzione  fatta  nel  testo  della  lettera  spedita  ai  Dieci,  mostra,  a 
nostro  giudizio,  che  nella  copia  ritenuta  sul  quadernuccio  presso  di  sé,  il  Machiavelli  aveva 
prima  inserita  male  la  notizia,  che  dovò  trarre  da  precedenti  appunti  del  Vettori,  antici- 
pandola, per  errore,  di  una  settimana  ;  errore  che  sulla  copia  poi  corresse. 


Digitized  by 


Google 


404  CAPO  QUINTO.  [libro 

Certo  che  chi  paragona  i  dati  di  fatto  che  sulla  costituzione 
degli  svizzeri  oflFre  la  relazione  di  Vincenzo  Quirini  co'  cenni 
che  ne  tramanda  in  questa  lettera  il  Machiavelli,  trova  maggior 
pienezza  d' informazioni  nello  scritto  dell'oratore  veneto  ;  trova 
che  questi  è  più  esplicito  nel  divisare  gli  eflFetti  che  dalla 
politica  condizione  di  quei  popoli  è  per  esperimentare  chi  fa 
trattato  con  essi  o  si  giova  delle  loro  armi;  che  questi  assai 
meglio  dichiara  il  pericolo  nel  quale  incorre  chi  gli  assolda 
altrimenti  che  per  elezione  delle  Comunità;  che  può  restarsene 
all'occasione  burlato,  quando  i  frei  herren,  i  venturieri,  sian 
per  trovarsi  di  fronte  agli  stendardi  delle  leghe,  contro  a'  quali 
è  loro  in  ogni  caso  interdetto  combattere.  Naturalmente  il  Ma- 
chiavelli nel  suo  sollecito  viaggio  osserva  e  descrive  di  volo; 
è  istrutto  da  persone  meno  sagaci  o  meno  sincere  che  non  quelle 
da  cui  attinge  il  veneziano  ;  nel  suo  Rapporto  delle  cose  della 
Magna,  non  torna  a  discorrere  distesamente  de'  Svizzeri  ;  ma 
nel  confronto  che  altrove  fa  di  questi  cogli  Etoli,  commentando 
un  passo  di  Livio,  ^  mostra  piena  consapevolezza  di  quello  stato 
di  cose  che  il  Quirini  nella  sua  relazione  diffusamente  dichiara* 

E  tanto  l'oratore  veneto  quanto  il  segretario  fiorentino 
scorgono  fredde  verso  l'imperatore  le  popolazioni  elvetiche, 
subornate  dall'oro  di  Francia;  come  emissari  della  quale  il  Qui- 
rini cita  un  Piero  Mafrosini  e  un  Niccolò  secretarlo;  ^  il  Ma- 
chiavelli, «  due  oratori  che  anno  atteso  a  circuire  tutti  i  can- 
toni ed  anno  in  pubblico  e  in  privato  avvelenato  tutto  il  paese  ». 

Questi  erano  l'uno  il  vescovo  di  Rieux,  Pierre  Louis  de 
Voltan  e  l'altro  quel  luogotenente  Roquebertin  che  già  ve- 
demmo immischiarsi  ne'  garbugli  di  Genova.  Le  mene  di  costui 
e  più  forse  quelle  del  vescovo;  l'aspetto  del  duomo  di  Co- 
stanza, ove  il  Machiavelli  s' intrattenne  con  due  milanesi  e  col- 
r Isaac;  la  vista  probabilmente  dell'aula  dove  s'assembro  già 
il  famoso  concilio,  che  seco  aveva  poiiato  tanto  traino  di  lus- 
surie e  d'immondizie  tra  la  semplice  e  fiera  gente  di  quei  paesi,^ 
indussero  forse  il  Machiavelli   a  pensare  che  gran  disordine 

^  T.  Livio,  Hislor.,  xxxii,  34:  —  «  an  quod  a  sociis  eorum  non  abstinnerim,  justam 

querellam  habent,  cum  ipsi  prò  lege  hunc  antiquitus  morem  servent  ut  adversus  socios  ipsi 

V  8U0S,  publica  tantum  auctoritate  dempta,  juventutem  suam  militare  sinant  et  contrariae 

saepe  acies  in  utraque  parte  aetolica  auxilia  habeant  ».  —  Cf.  Machiavelli,  Discorti,  ii,  4. 

'  QuiBiMi,  Relaz,di  Germania,  loc.  cit.,  pag.  -12,  Machiavelli,  Comm.  all'Imp.,  loccit. 

*  Voltaire,  Annalea  de  l'Empire,  an.  1415:  «  On  j  disputaitde  luxe,  de  magoificence: 
qu*on  en  juge  par  le  nombre  de  cinquante  orfévres  qui  vinrent  s'établir  à  Constance.  On  y 
compta  cinq  cents  joueurs  d*  instruments  ;  et  ce  que  les  usages  de  ce  temps-la  rendent  très- 
croyable,  il  y  eut  sept  cents  dixhiùt  courtisanes  sous  la  protection  du  magistrat  de  la  ville  ». 


Digitized  by 


Google 


ascoNDo]  IL  MACHIAVELLI  E  IL  VETTORL  405 

non  avrebbero  potuto  fare  le  mali  arti  della  corruzione  eccle- 
siastica tra  que' buoni  Svizzeri,  i  quali  allora  agli  occhi  suoi 
parevano  «  i  soli  popoli  che  vivessero  e  quanto  alla  religione 
e  quanto  agli  ordini  militari  secondo  gli  antichi  ».  ^ 

Del  resto  con  queste  sue  considerazioni  pel  capo,  Niccolò 
ora  proceduto  innanzi,  notando  ogni  particolare  che  potesse 
dar  sentore  degli  apparecchi  di  Massimiliano.  A  cena  presso 
il  De  Viry,  egli  aveva  appreso  dal  cauto  orator  di  Savoia  che 
l'imperatore  attendeva  a  far  delle  sue  genti  tre  teste:  Tuna  a 
Trento  per  la  via  di  Verona,  l'altra  a  Besangon  per  la  via 
di  Borgogna,  la  terza  a  Carabassa  verso  il  Friuli.*  Ora,  se 
così  stavan  le  cose,  grandi  movimenti  d'arme  s'avevano  a  mo- 
strare per  il  paese.  A  Niccolò  invece  non  accade  se  non  vicino 
a  Costanza,  per  certe  ville  fuori  della  strada,  udire  qualche 
strepito  di  tamburacci,  primo  ed  unico  segno  di  soldatesche, 
che  gli  si  ofiFra  per  tanto  spazio  di  sentiero,  quant'è  da  Ginevra 
a  Memmingen.  Che  cosa  erano?  racimoli  di  fanterie,  gli  si  dice 
da  alcuni,  da  altri:  paesani  che  festeggiano.  A  Memmingen 
trova  l'avanguardia  delle  genti  del  duca  di  Wurtemberg  (Ber- 
tinberg),  un  quattrocento  cavalli  circa,  irresoluti  se  e  dove  si 
vada  o  si  stia.  Tutto  ciò  lo  conferma  nel  pensiero  che  la  dieta 
di  Costanza  ^  abbia  partorito  un  berlingozzo  come  le  altre ».^  — 
Giunto  ad  Innspruck,  colla  fiducia  di  incontrarvi  il  Vettori,  gli 
si  dice  che  questi  si  era  partito  da  due  giorni  andando  in  volta 
per  seguitare  quando  il  re  e  quando  il  cardinale  di  santa  Croce. 

Niccolò  prosegue  pertanto  per  Bolzano,  trovando  circa 
tra  questo  luogo  e  Innspruck  altri  cento  cavalli.  Presentatosi 
a  Francesco  Vettori,  gli  conta  della  necessità  in  cui  era  capi- 
tato di  stracciare  le  lettere  ed  espone  a  voce  la  commissione 

^  Machia YBLLi.  I>iscorai,  i,  18. 

'  «  A  Carabassa  per  la  via  del  Friuli  »  scrive  il  Machiavelli  (loc.  cit.  Lett.  3^).  Questo 
luogo  è  probabilmente  presso  il  «  Carvaneas  mons  »  delle  tavole  di  Mercatore,  i  monti  Kara- 
vanken  che  sovrastsuio  alla  valle  dell'Isonzo.  Of.  Jani  Ptbrhi  PI^'CII  de  vitis  Ponlif. 
Tridentf  lib.  vi,  pag.  37.  «  Ptolemaens. . . .  sub  occasjti  Venetiae  Bechunae  posuit  et  eorum 
civitates  Vannia  Carrabacam,  Brecinam  etc.  »  ed.  Mantuae  mdxxxxvi.  Forse  la  località  di 
Karabassa,  dove  Massimiliano  adunava  truppe  per  discendere  in  Italia,  doveva  essere  non 
lungi  da  Raìbl,  e  forse  vicino  a  Predil,  dove  già  ab  antico  esisteva  un  fortilizio  di  confine. 
A  poca  distanza  dal  villaggio  di  Ealtwasser,  e  proprio  dirimpetto  a  Predil,  v*  ò  la  «  Kaar 
Spitze  »  e  la  «  Kaltwasser  Spitze  ».  —  Iacopo  Valvasonb  da  Maomago  {Descrizione  dei 
paui  e  delle  fortezze  che  si  hanno  a  fare  nel  Friuli,  ed.  Venezia  1876,  pag.  6),  scrive  :  «  il 
qual  luogo  di  Plezo  (Predil)  chiamasi  la  porta,  dove  io  vidi  una  rocca  antica,  custodita  da 
un  capitano  tedesco  con  pochi  soldati.  Quivi  si  paga  a  sua  Maestà  la  gabella  ecc.»—  No- 
tiamo per  incidenza  che  nel  Dictionnaire  de  la  langue  d'Oc,  THomnorat  registra  «  troum- 
par  la  carabassa  »  spiegandolo  «  frauder  la  calebasse  ou  la  gabelle  ». 

■  Cf.AsN.  Stlvius  in  /pp.,  lib.i,  ep.  lxxii,  de  Diaetis  Germanicis:  «  Foecundae  sunt 
omne^diaetae,  quaelibet  in  ventre  alteram  habet».  (Ed.  Basii,  pag.  553). 


Digitized  by 


Google 


406  CAPO  QUINTO.  [libro 

sua;  i  Fiorentini  erano  disposti  dar  airimperatore  sino  alla  somma 
di  cinquantamila  ducati,  ma  bisognava  cominciare  dairoffrirne 
trenta  e  stiracchiare  per  far  tutto  il  risparmio  possibile.  La  somma 
sarebbesi  poi  pagata  in  tre  rate  :  la  prima  cioè,  quando  quegli  con 
l'esercito  fosse  in  una  città  situata  tutta  dentro  a' confini  d' Italia, 
la  seconda  in  Toscana,  la  terza  dopo  tre  mesi  a  Roma  o  dove  sì 
potesse  meglio.  In  correspettivo  i  Fiorentini  domandavano,  quanto 
al  tempo  presente  e  futuro,  che  sua  Maestà  confermasse  loro 
«  tutte  le  preeminenzie,  iurisdizioni,  onori  e  tituli,  promettendo 
in  questa  sua  venuta,  stanza  e  tornata  di  Italia  non  molestare 
né  alterare  in  modo  o  per  via  alcuna  né  il  presente  governo, 
né  le  terre,  luoghi,  castella  e  entrate  loro;  ma  mantenerli  in 
quello  essere  e  in  tutto  quello  stato  e  con  quelle  leggi  e  magi- 
strati che  usano,  posseggono  e  in  cui  sono  di  presente,  senza 
eccezione  alcuna,  e  in  modo  vi  venga  ancora  dentro  il  contado 
di  Pisa  ».  Queste  cose  sua  Maestà  doveva  prometterle  e  obbligarsi 
ad  osservarle  «  per  sé,  sue  genti  e  soldati,  si  Tedeschi  come 
Italiani,  e  che  ci  sia  il  consenso  dei  Principi  e  Baroni  suoi  e 
Elettori  dell'Imperio  »,  facendosi  precetto  a' mandatari  d'insi- 
stere, perché  anche  questa  volta  non  fosse  omessa  la  formola 
«  sane  prvcerum  et  baronum  suo?'um  accedente  consensu  >•  ^ 
usata  nei  privilegi  concessi  a  Firenzq  dagli  antecessori  di  lui. 
Questo  pel  presente  e  pel  futuro  :  quanto  al  passato  poi  i 
Fiorentini  sapevan  troppo  che  se  Massimiliano  avesse  voluto  rac- 
capezzare tutti  i  gravami  che,  in  via  di  giure  o  di  fatto,  poteva 
raccogliere  ed  opporre  contro  di  loro,  essi  non  ne  sarebbero 
usciti  salvi.  Che,  se  Genova,  per  ischermo  e  come  a  salva- 
guardia dell'indipendenza  sua  rispetto  a  Francia,  aveva  talvolta 
intrattenuto  suU'  orizzonte  il  .fantasima  dell'  imperatore,  Fi- 
renze per  contrario  erasi  fatta  a  dirittura  a  tentare  colla  corona 
imperiale  i  re  francesi,  per  indurli  a  gareggiare  di  pretensioni 
coi  Cesari,  per  chiamarli  a  contrastare  e  sopraffare  nella  pro- 
vincia di  Toscana  l'ascendente  germanico.  E  però  già  Enrico 
settimo,  accusatala  di  fellonia,  di  sopprimere  con  ingiuria  e  dispetto 
dell'  impero  finanche  il  titolo  suo  proprio  di  re  dei  Romani,  le 
aveva  gittate  sopra  il  bando  imperiale  con  violenza  vana.  *  Da 
quella  bandigione  in  poi  erano  trascorsi  due  secoli  circa;  c'eran 
corse  di  mezzo  altre  incoronazioni  ;  ultima  quella  di  Federigo  III, 

>  Archivio  fiorentino.  Dieci  di  Balia.  Legaxione  e  CommÌMione,  n.  31,  e.  131.  ~  Opp. 
ed.  ult.  legaxione  xkit,  Lett.  9.  • 

*  Cf.  Pbbtz,  Monum.  Germ.  hist.,  iv,  pag.  520. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  adescamenti  FIORENTINI  A*  RE  DI  FRANCIA.  407 

padre  di  Massimiliano,  nel  cui  passaggio  disarmato  a  Roma,  la 
città  d'Amo,  parata  nella  sua  pompa  più  magnifica,  erasi  umiliata 
fino  al  suolo  ;  ^  contuttociò  la  condanna  non  mai  eseguita  non  era 
stata  mai  neppur  revocata.  Né  Firenze  aveva  mutato  politica; 
ma  accortissima  e  debole,  compera,  sentiva  di  poter  capitare  a 
temerne  forse  ancora  qualcosa,  quando  Massimiliano  avesse  voluto 
armeggiare  col  diritto  storico,  arme  che  non  manca  mai  alla  pre- 
potenza, che  riesce  anzi  a  renderla  più  oppressiva  col  darle 
aspetto  di  legalità.  E  di  questo  diritto  storico  tanto  più  la 
città  aveva  paura,  in  quanto,  per  dir  vero,  era  stata  la  prima 
essa  a  dar  esempio  di  mettere  letà  remota  a  servigio  delle  utilità 
prossime,  solleticando  i  reali  di  Francia  colla  storica  illusione  che 
i  successori  di  Carlomagno,  almeno  rispetto  a  Firenze,  eran  dessi. 
Donato  Acciajuoli,  composta  quella  suaFito  di  Carlomagno 
che  ben  presto  andò  per  le  stampe  in  compagnia  delle  Vite  di 
Plutarco,  Tebbe  dedicata  a  Luigi  XI,  esaltando  la  Gallia,  che 
in  lui  aveva  sortito  un  monarca  le  cui  virtù  rendevano  imma- 
gine dell'eroico  re  de' Franchi  e  de' Romani,  che  aveva  restau- 
rato Firenze  distrutta  dai  Goti.  E  quel  Francorum  del  testo 
latino  godeva  certezza  d'esser  interpretato  in  volgare  per  ft^an- 
dosi  0  francesi  o  tutt'al  più  franceschi.  Nei  capitoli  del  1494 
fatti  dalla  città  con  Carlo  ottavo  si  torna  ad  alludere  espres- 
samente ai  meriti  di  Carlomagno  cui  Firenze  voleva  andar  debi- 
trice anche  della  sua  appellazione  odierna;  ^  e  Carlo  ottavo, 
che  aveva  l'identico  nome  di  quello,  finisce  appunto  per  mordere 

^  TRBiTZSAUBRWBm,  Dbt  Wffiss  Kunig,  pag.  22:  «  und  als  der  kanig  nahend  zu  der 
stadt  Florens  kam,  da  sein  Jme  entgegen  goritten,  die  mechtigsten  voa  der  Stat,  za  mal 
kostlichen,  in  vast  kostperlichen  klaidem  von  seyden  von  gold  samat  und  von  scharlach, 
wol  bey  tausend  pherdeiv,  und  haben  den  kunig  herrlich  emphangen,  und  sein  alle  far  den 
knnig  nider  geknyelt,  une  Jm  die  Schiusi  zu  den  Thoren  uberanntwurt,  und  sich  und  die 
Jhren  mit  leib  und  mit  guet,  dem  kunig  diemuetigelichen  empholen  ». 

*  Areh.  Storico  ital.  serie  i,  t.  i,  pag.  864:  «  advertens  sua  Christianissima  Maiestas, 
quod  Carolus  Magnus  huias  urbis  fuit  primus  restaurator  et  nominis  ]^luentiae  in  Floren- 
tiam  mutator  ».  Anche  l'atto  di  Donaziona  d'Andrea  Paleologo  a  Carlo  Vili  dell*  Impero 
di  Trebisonda  e  Costantinopoli  «  actum  Romae  in  Ecclesia  S.  Petri  in  Montorio,  anno  1494, 
pontif.  sanctiss.  D.  N.  Alexandre  d.  p.  pp.  vi,  Ind.  xi  mense  septembris,  die  sabati  sexto  » 
rogato  «  per  Franciscum  de  Schracten  de  Florentia  »  (cosi  stampò  il  Foncbmagnb  dalVori- 
ginale  mandato  in  Francia  per  mezzo  del  duca  di  Saint-Agnan;  cosi  legge  l'apografo  ri- 
posto in  luogo  di  quello  nel  protocollo  d'atti  rogati  dal  notaio  Camillo  Boneimbene  (Arch. 
de*  notai  capitolini,  n.  188,  ora  nell'Arch.  di  Stato  in  Roma.  Probabilmente  sarà  a  leggere 
Ser  Aeti,  o  qualcosa  di  simile)  civem  romanum  »  chiama  Carlo  ottavo  «  velut  alter  Carolna 
Magnus,  ex  caelo  missus,  divino  aspirante  numine».  L'originale  nella  Bibliothéque  iVa- 
tionale  non  fu  reperibile;  in  un  frammento  d'apografo  che  quivi  conservasi  (Collection 
Duputft  voi.  505,  fol.  32-86),  la  notizia  del  quale  dobbiamo  alia  cortesia  del  signor  Elib 
Bbrgbb,  non  si  trova  il  nome  del  notaio.  La  copia  h  fatta  circa  l'anno  1630.  Cf.  Fomcb* 
MAGNE,  Éelaircìssemens  hiatoriqueB  néì\e  Afemoiret  de  VAc.  d'Inaer.et  belU»  lettres.,  t.xvii, 
pag.  572-578.  E  il  Machiavelli  nella  lettera  «  ex  Bles,  die  13  augusti  »  della  sua  Com" 
missione  alla  Corte  di  Francia  del  1510,  (Arch.  fior.,  Lett.  ai  X,ci,  f.  100,  p.  326):  <  Questo 


Digitized  by 


Google 


408  CAPO  QUINTO.  [libro 

all'amo  fiorentino,  per  pretendere,  per  offendere  le  prerogative 
deir  imperatore,  e  non  solo  in  fatti,  ma  anche  col  cerimoniale.  E 
si  badi  che  questa  seconda  maniera  d'offesa  non  paia  men  sostan- 
ziale, quando  era  invece  più  acuta  ;  perchè  quand'anche  da  un 
potente  si  compia  un  fatto  brusco  ad  ingiuria  d'un  altro,  il  quale 
non  abbia  la  voglia  o  la  possa  di  muovere  guerra,  quel  fatto 
può  talvolta  essere  sopportato  colla  dissimulazione,  attenuato 
colle  parole,  scusato  colle  intenzioni,  compensato,  e  sino  a  un 
certo  punto  lasciato  cadere  senza  che  sembri  una  provocazione 
diretta  e  intollerabile.  Ma  quando  un  re  di  Francia  entra  a 
Napoli  con  pompa  imperatoria,  porta  una  corona  chiusa  in  capo, 
nella  destra  il  pomo  orbiculare,  e,  ottenuta  segreta  cessione  dal 
despota  dei  Romei  dei  diritti  suoi  sopra  Costantinopoli  e  Trebi- 
sonda,  si  fa  chiamare  augustissimo,^  e  intende  farsi  il  campione  o 
il  giocattolo  dell'ellenismo  e  atteggiarsi  ad  imperatore  d'Oriente 
in  Occidente,  allora  è  impossibile  non  avvisare  in  quelle 
forme,  in  quei  simboli  usurpati,  la  volontà  decisa  e  manifesta 

di  el  Re  è  tornato  qui  in  Bles,  ed  appresso  desinare  il  Cancelliere,  dopo  un  grande  esordio 
de'  meriti  di  Francia  verso  Firenze,  cominciando  infino  da  Carlomagno,  e  venendo  al  re 
Luigi  presente,  mi  disse  »,  ecc. 

^  V.  FoNCBMAGNE,  loc.  cìt.,  pag.  556  e  seg.  Il  trattato  summenzionato,  di  cui,  come  ben 
osserva  il  Foncemagne,  tacciono  tutti  i  cronografi  francesi  del  seguito  di  Carlo  ottavo,  e  gli 
storici  dei  tempi  a  noi  più  prossimi,  può  appena  considerarsi  per  un  fatto  vero  nella  vita  di 
esso  re.  Egli  infatti  non  v*assi8te,  non  vi  partecipa,  non  à  dato  mandato  ad  alcuno  nò  per 
combinare  raccordo,  uè  per  far  veruna  stipulazione.  Ali* atto  rogato  dal  Benimbene  inter- 
vengono il  despota  Andrea  Paleologo  da  una  parte,  e  dalPaltra  il  «  R.nu  D.  Cardinalis 
Gorcensis  vice  et  nomine  praefati  Cbristianissimi  Regis  Francorum  prò  quo  sciens  sa  adhuc 
non  teneri,  nec  obligari,  sed  teneri  et  obligari  volens  sponte  cum  infrascripta  conditione 
et  reservatione  de  ratho  et  rathihabitione  per  eumdem  Serenissimum  et  Cbristianissimum 
Regem....  usque  ad  festum  omnium  sanctorum  proxime  futurum  non  declaverit  donationem 
bujusmo^i  ratam  babere  nelle  ».  Anche  la  ratificazione  dunque  d*un  trattato,  fatto  ad  in- 
saputa del  re,  aveva  ad  esser  tacita;  lo  che  mostra  quanto  timore  si  nutriva  che  fosse 
cognito  questo  brutto  garbuglio,  e  che  Massimiliano  avesse  a  risentirsene.  Ciò  non  di  meno 
«  un  laborieux  et  savant  terivain  de  nos  jours  (aggiunge  il  Foncemagne,  alludendo  al  Le- 
gendre  de  St.-Aubin)  a  prouvé  che  depuis  Clo\is  jusqu'à  Louis  XV  le  titre  d'empereur  n'a 
pas  discontinue  d'dtre  joint  à  colui  de  roy  de  Franco  ».  lì  Séoub,  Vis  de  Charles  VITI, 
t.  I,  pag.  309,  accenda  appena  che  mentre  re  Carlo  soggiornava  ad  Asti  nel  fascino  amo- 
roso della  bella  Soleri,  «  on  vint  lui  annoncer  qu*Andvé  Paléologue,  cet  béritier  legitime 
de  Bysance  qui  l'attendait  à  Rome,  lui  offrait  ses  droits  à  l'empire  grec  pour  le  modiqua 
prix  de  neuf  à  dix  mille  ducats  de  pension  ou  de  revenus.  Le  Grec  se  reservait  seulement 
le  despotat  de  Morée,  erige  en  fief  qui  reléverait  de  l'empire  ».  Tutti  i  Greci  dovevano  in- 
sorgere a  favore  del  monarca  francese:  chi  aveva  ordito  la  cospirazione  era  stato  l'arci- 
vescovo di  Durazzo,  chiamato  dal  Cominbs,  Memoiret^  «  si  leger  en  paroles  »;  ma  la  con- 
giura fu  scoperta  per  fatto  della  repubblica  di  Venezia,  di  cui  il  Séona,  op.  cit.,  t.  ii, 
pag.  150,  buon  militare  e  cattivo  filosofo,  riprende  in  questo  fatto  il  machiavellismo  ante 
Machiavellum:  «  Le  malheur  voulut  quo  ce  fut  jnstement  pour  cotte  méme  nuitoù  Venlce, 
instrnite  de  la  mort  de  Gora,  avait  secrétement  fait  mettre  dans  son  port  un  embargo  ge- 
neral. Armes,  argent,  papiers,  pian  et  noms  des  conjurés,  tout  fut  saisi;  l'arcfaevéque  et 
sa  suite  furent  enfermés  dans  un  fori;  leur  secret  fut  odieusement  livré  au  làche  sultan, 
qui  le  pied  sur  les  vaisseaux,  tout  tremblant  encore,  était  prét  à  fuir.  U  ne  se  rassura 
qu'après  avoir  fait  égorger  quarante  mille  chrétiens,  sacrifiét  au  machiavéliqus  et  sordide 
inUrét  d'une  république  cependant  chrétienne  ». 


Digitized  by 


Google 


«CONDO]  ISTRUZIONI  DE' MANDATARI,      '  409 

d'usurpare  e  di  provocare;  è  impossibile  non  sentirsi  nel  duro 
procinto  0  di  raccorrò  la  sfida  o  di  mostrare  acquiescenza  al 
danno  proprio  e  all'onta  che  derivano  dal  non  far  le  vendette. 
E  Massimiliano  in  quel  procinto  aveva  fremuto  di  non  poter 
dare  e  a  Firenze  e  al  re  di  Francia,  nient' altro  che  una  le- 
zione di  storia,  e  di  dover  semplicemente  notare  Toffesa  a 
libro.  1  Ed  ora  che  v'era  probabilità  ch'egli  scendesse  ag- 
guerrito e  inasprito  pel  lungo  rovello,  i  Fiorentini  espres- 
samente chiedevano,  in  vista  di  tutti  que'  precedenti,  ch'egli 
abolisse  e  annullasse  «  ogni  trasgressione,  eccesso  o  delitto, 
de'  quali  potessero  essere  imputati  :  «  e  cosi  ogni  pena  e  con- 
dennagione  fatta  contro  a  di  noi,  se  veruno  ne  fussi  fatta  per 
lui  0  per  li  suoi  antecessori,  e  ci  finisca  di  ogni  debito  con- 
tratto per  alcun  tempo,  o  seco  o  con  la  Camera  imperiale,  o 
entrate  di  qualunque  sorte,  che  si  potessino  dire  essersi  appar- 
tenute o  appartenersi  loro,  ^  in  modo  che  lo  effetto  di  questa 
prima  parte  sia  che  la  maestà  sua  e  la  Camera  imperiale  fino 
ad  oggi,  non  ci  possa  addomandare  alcuna  cosa  per  veruno  conto  ; 
né  possa  muoversi  contro  veruna  azione  per  molestare  le  cose 
nostre,  o  aggravarci  di  altre  spese  ».^ 

Questa  lettera  de' Dieci,  irta  di  cautele,  riserve,  antiveg- 
genze, sospetti,  fu  destinata  a  surrogare  la  commissione  che  il 
Machiavelli  aveva  dovuto  strappare  in  viaggio;  a  questa  si  richia- 
mano in  seguito,  ^  siccome  a  documento  in  cui  il  Vettori  do- 
veva trovare  i  termini  e  l'estensione  del  mandato  proprio.  Ed 
ora  che  il  segretario  gli  è  giunto  dappresso,  le  dichiarazioni 
di  fiducia  da  Firenze  gli  piovono  più  che  amplissime  :  «  diciamoti 
liberamente  che  tu  faccia  e  non  faccia  con  buono  animo,  quello 
che  tu  intenderai  esser  meglio,  che  sarà  accettato  da  noi  con 


1  Mabin  Sanudo,  Diarii,  voi.  i,  pag  849-50.  «  InUrutiùne  Aata  Aalre  àe*  romani  a  li 
oratori  mandali  a  Firenze  »  : . . .  «  dicentque  ipsi  domini  oratores  Caesaream  majestateni 
reheroenter  admirari  qnod  florentini,  qui  ex  antiquo  imperìalis  jaris  sunt,  ita  assistant  his 
malignis  incoeptia  regia  Franciae  centra  salutem  totius  Italiae  imo  etiam  centra  suain  prò- 
priam  utilitatem  et  commoduip.  Non  enim  negant  ipsi  fiorentini  suam  civitatem  a  Carolo 
Magno  romanomm  imperatore  restauratam  et  privilegiis  ac  omni  ornamento  decoratam 
foiste;  qui  quidem  Carolus,  etsi  rex  Franciae  fuerit,  romanorum  tamen  imperator  fuit,  et 
ex  imperiali  patria,  idest  ex  Brabantia,  natus  quae  in  inferiori  Germania  sita  est  ;  ut  ea 
beneilcia  Caroli  Magni,  non  tantum  francorum  regi  quantum  romanorum  imperatori  tribuenda 
sint,  nam  etiam  pater  Caroli  Magni  in  Franconia.  Oermania  patria  natus  sit  ».  — 1\  Guic- 
ciABDiM,  Storia  d*ItaUa,  lib.  viii,  parla  d*«  un  libro,  che  si  conservava  a  Spira,  nel  quale 
erano  scritte  tutte  le  ingiurie  fatte  per  il  passato  dai  Re  di  Francia  ali*  Imperio  e  alla  na- 
sione  degli  Alemanni. 

*  V.  Macbiavblli,  Commin.  cit.,  lett.  15,  ove  spiegasi  di  che  debiti  si  tratti. 

*  Macbuvbllx,  Gommitene  cit.,  Lett.  9. 
«  Id.  ibid.,  Lett.  13. 


Digitized  by 


Google 


410  CAPO  QUINTO.  [libeo 

quella  fede  e  bontà  che  tu  Tarai  fatto  ».  —  Il  Machiavelli 
dal  canto  suo  non  risparmia  accorgimenti  perchè  al  Vettori 
la  sua  presenza  non  faccia  ombra,  né  sia  male  interpretata  a  Fi- 
renze come  cosa  voluta  a  forza  e  per  proteggere  interessi  per- 
sonali di  alcuno. 

Però  nel  poscritto  della  sua  prima  lettera  da  Bolzano,  à 
il  buon  tatto  d'aggiungere  :  «  quando  per  alcuna  ragione  vostre 
signorie  volessino  mi  fermassi  qui  qualche  dì,  il  che  io  non 
credo,  o  mi  mandino  danari,  o  scrivine  a  Francesco  me  ne  dia 
sopra  di  loro;  benché  Francesco  infino  a  qui  non  mi  abbi  mai 
negato  cosa  veruna,  ma  sopra  di  me  ».  — Per  parte  loro  i  Dieci 
si  rivolgono  destramente  al  Vettori  :  «  Niccolò  scrive  che  desi- 
derebbe  tornarsene,  avendo  satisfatto  alle  commissioni  sue;  e 
noi  non  sappiendo  se  ti  accade  servirtene  di  costà,  non  li  aviamo 
dato  licenzia  ;  però  scriverrai  quello  te  ne  occorre,  e  facendo 
conclusione  in  questo  mezzo,  se  ne  potrà  allora  tornare  con 
tale  conclusione  per  via  sicura  ».  Questo  era  un  dir  chiaro, 
che  Niccolò  doveva  restare  sino  alla  fine  de'  negoziati  ;  di  so- 
prappiù  al  Vettori  si  raccomandava  <  di  provvederlo  ancora  di 
qualche  somma  di  danari  »  e  s'aggiungeva  :  «  per  altra  nostra 
gli  scriverreno  quello  che  abbi  ad  fare  ».^  —  Francesco  non  in- 
tese a  sordo:  «al  Machiavello,  in  mentre  arò  danari  per  me, 
non  ne  mancherà  ancora  ad  lui  :  nègiudico,  per  cosa  del  mondo, 
fussi  bene  lo  richiamassi;  ma  prego  Vostre  Signorie  che  sieno 
contente  ci  stia  tanto  che  le  cose  sieno  composte;  lo  stare 
suo  è  necessario;  nondimeno  quando  accadessi  cosa  che  impor- 
tasse il  venir  suo  e  il  cammino  non  sia  molto  pericoloso,  son 
certo  che  lui  non  recuserà  ogni  fatica  e  pericolo  per  amore 
della  città  ».2  —  E  i  due  fiorentini  seppero  trattare  quella  specie 
di  vicinanza  coatta  con  tanto  rispetto  scambievole  che  ne 
nacque  un'amicizia  perenne. 

Il  Machiavelli  distendeva  le  lettere  che  il  Vettori  firmava, 
si  recava  dove  questi  gli  commetteva  ;  ma  era  il  consigliere  in- 
timo, fidato,  autorevole  in  cui  Francesco  godeva  rimettersi,  da 
cui  lasciava  volentieri  determinare  la  scettica  indecisione  sua 
propria.  Ben  è  vero  che  in  quest'occasione  l'incertezza  non  era 
tutta  conseguenza  della  tempra  di  Francesco,  che  l'ambiguità 
delle  circostanze,  la  difficoltà  di  conoscerle,  di  rischiar  con- 
getture lo  lasciavano  naturalmente  titubante  intorno  a  partiti 

1  Machiavklli,  Commi»»,  eit.f  Lett.  9. 
«  Ibid.  Leu.  12. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  segreto  DELLA  CORTE  IMPERIALE.  411 

che  si  volevano  far  dipendere  del  tutto  dairarbitrio  suo.^  De'  pre- 
paramenti che  i  Tedeschi  facevano,  delle  risoluzioni  che  piglia- 
vano le  diete,  dei  movimenti  dell'imperatore  non  si  poteva 
saper  nulla.  Massimiliano  era  misterioso;  Cipriano  di  Sarnthein, 
cancelliere  del  Tirolo  e  vicecancelliere  della  curia  del  re 
de'  Romani*  vantavasi  che  il  motto:  imposui  ori  meo  custodiamo 
avesse  ad  essere  suo  epitaffio;  la  nazione  era  segretissima^ 
mantenendo  col  segreto  il  credito  proprio;  però  naturalmente 
indispettivasi  contro  chi  non  dissimulasse  di  stare  a  scrutarla. 
—  «  Io  avrei  mandato  Niccolò  drieto  alla  Corte,  scrive  il  Vet- 
tori, come  l'altro  dì,  sendo  qui  lo  mandai  a  Trento;  ma  a 
costoro  dispiacerebbe  ;  né  si  possono  disubbidire;  e  forse  né  lui 
né  io  staremmo  poi  ne  la  Magna;  e  però  mi  bisogna  ubidire 
a' costumi  del  paese  >.5 

A  Trento  Niccolò  assistette  ad  una  cerimonia,  il  significato 
e  l'importanza  della  quale  o  non  gli  apparve  pienamente  al- 
lora, 0  acquistò  valore  quando  ebbe  a  considerarsi  per  un 
precedente,  cioè  in  seguito;  o,  come  cosa  tutta  formale,  non 
sembrò  al  segretario  degna  di  particolar  menzione.  ®  Ei  vide 
«una  processione  solenne  dove  andò  la  persona  dell'imperatore 
con  li  araldi  imperiali  innanzi,  e  con  la  spada  nuda  »  ;  grande 
accompagno  di  principi  e  di  signori  lo  seguitavano:  giunta  la 

^  Macbiatblli.  opp.  Commisa.  dt.,  Lett  9. 1  Dieci  al  Vettori  :  «  die  xxix  januarii  1507  »  : 
«  è  tutto  posto  in  arbitrio  tuo,  con  intencione  che  ta  abbi  in  ogni  accidente  e  prò  e  contro 
ad  fare  per  la  città  il  meglio  che  tn  potrai  ».  Il  Ouicciabdini  dalle  lettere  di  qnetta  Com- 
missione scritte  dal  M.  trasse,  come  avremo  agio  d^osservare,  molti  particolari  per  la  sua 
Storia  d'Italia,  (lib.  vii  passim.) 

*  Cipriano  Serentano,  o  da  Sarnthein,  si  trova-  ne*  documenti  della  cancelleria  impe- 
riale, sottoscriUo  Semthein,  Serteiner  e  Semtheiner  (Cf.  Cbmbl,  loc.  cit.  pag.  6, 116, 121,  etc.) 
con  varietà  non  insueta  e  non  dissimile  da  quella  che  occorre  nel  cognome  e  nella  firma 
del  nostro  Machiavelli.  V.  quel  che  dice  di  esso  Serentano  il  MallinciCrot  nella  Com- 
mentatio  de  Archi-cancellarii»  S.  R.  Imperii  oc  Cancellarti»  Imperiali»  Aulae^  pag.  428^ 
fra  i  Collécta  Arehivii  et  CaneeUariae  jura  del  Wbnckbb.  Il  Guicciardini  {Storia  d'Italia, 
lib.  vii)  cita  il  Serentano  a  dirittura  come  «  segretario  di  Massimiliano  ».  —  Nella  Reta- 
tione  del  Contabimi  {Diarii  del  Sanudo,  t.  iv,  094)  ò  notevole  il  seguente  passaggio  in- 
tomo ai  cancellieri  dell*  imperatore  :  «  à  cambiato  li  secretarii  hauia  prima  ;  bora  (1503) 
ne  ha  uno,  nominato  domino  Mattio  Lanch  dil  quale  fa  stima,  il  resto  pochi  da  conto  ». 

*  Iabobb,  Ueber  Xaiter  Maximilian*»  I  Verhaltni»»  sum  Papstthum,  loc.  cit.  pag.  235. 

*  Machiavblli,  Commi»»,  cit.,  Lett.  3*,  citando  le  parole  di  Amedeo  de  Viry  :  «  questa 
nasione  è  secretissima  ;  e  lo  *mperadore  esercita  questo  suo  secreto  in  ogni  qualità  di  cosa, 
perchè  se  e*  muta  alloggiamento,  e*  non  manda  innanzi  il  cuciniere  se  non  un*ora,  cammi- 
nato ha  un  pezzo,  perchè  e*  non  s*  intende  dove  e*  vadia  ». 

'  Ouicciabdini,  Storia  d'Italia,  lib.  vii  :  «  segretissimo  di  natura,  non  comunicava  ad 
altri  i  suoi  pensieri  ;  e  perchè  fossero  meno  noti  in  Italia,  aveva  ordinato  che  il  legato  del 
pontefice,  e  gli  altri  Italiani  non  seguitassero  la  persona  sua,  ma  stessero  appartati  in  luogo 
fermo  fuori  della  corte  ». 

*  Machiavelli,  ibid.  13«.—  Non  ebbe  allora  ad  avvertirne  l' importanza  neppure  il  Qubìta, 
il  quale  soltanto  annotò  (lib.  viii,  pag.  158).  «  De  Bolzano  se  fue  en  principio  del  mes  de 
hebrero  a  Trento;  j  hizose  alli  cierta  solenidad,  y  cerimonia,  que  acostumbran  hazer  los 
Rejes  de  Romanos  quando  se  van  a  coronar  ». 


Digitized  by 


Google 


412  CAPO  QUINTO.  [libro 

processione  nella  chiesa,  il  vescovo  Lang  significò,  al  popolo 
il  passaggio  a  Roma,  che  intendevasi,  a  somiglianza  di  un  giu- 
bileo, inaugurare  con  quel  preambolo  di  pompa.  In  questo,  Mas- 
similiano, quantunque  non  ancora  coronato,  non  ostante  la 
consuetudine,  dichiarava  d'assumere  il  titolo  d'imperatore  eletto. 
Non  c*era  plenipotenziario  papale  che  approvasse  o  contra- 
stasse rinnovazione,  la  quale  maravigliò  i  diplomatici  e  fu  poi 
riguardata  come  primo  esempio  imitabile.  *  Nessun  re  de'  Romani 
dopo  Massimiliano  aspettò  più  l' incoronazione  a  Roma  per  in- 
titolarsi imperatore  ;  né  la  cosa,  che  a'  Germani  piacque,  ebbe 
certo  a  dispiacere  a'  pontefici,  i  quali  di  Roma  avevano  comin- 
ciato a  tenere  la  signoria.  Ma  nessun  imperatore  udì  più  ne'  vol- 
gari italici  il  dantesco  invito  a  risollevare  la  città  latina,  ^  dopo 
che  Massimiliano  ebbelo  petrificato  ne'  distici  de'  suoi  umanisti. 
Quel  che  parve  emancipazione  era  in  fondo  abbandono  spon- 
taneo, restringimento    effettivo  ed  inconsapevole  dell'autorità 

^  OoicciABoiNi,  Storia  d'Italia,  lib.  vii  :  «  Massimiliano,  venuto  a  Trento  per  dare 
principio  alla  guerra,  fece  fare  il  terzo  di  di  febbraio  una  solenne  processione,  dove  andò 
In  persona,  avendo  innanzi  a  so  gli  araldi  imperiali,  e  la  spada  imperiale  nuda,  nel  pro- 
gresso della  quale  Matteo  Lango  suo  segretario,  che  fu  poi  vescovo  Qurgense,  salito  in 
su  uno  eminente  tribunale,  pubblicò  in  nome  di  Cesare  la  deliberazione  di  passare  ostil- 
mente in  Italia,  nominandolo  non  più  re  dei  Romani,  ma  eletto  imperatore,  secondo  hanno 
consuetudine  di  nominarsi  i  re  dei  Romani,  quando  vengono  per  la  corona».  L*  Hbidbn- 
HBiMER  nel  diligente  suo  libro  sopra  citato  «  Petrus  Martyr  AngUriut  und  Sfftn  Optu  9pìr 
itolarum  »  pag.  173-177  esamina  con  molta'  cura  le  fonti  storiche  che  ragguagliano  di 
questa  solennità  imperiale.  Mostra  anche  una  volta,  oltre  il  Rànkb  (in  App.  aì  voi.  i  della 
Déuttche  Oetchichte,  «  usber  einé  ungedruekte  Lehenabetchreibung  Max't  »  pag.  ^7  e 
segg.  quanto  siano  poco  attendibili  le  notizie  date  dal  Fuoobb,  Spisget  der  Shren  dea 
Erxhautet  Otitreich,  il  quale  pone  la  ceremonia  a*  di  10  del  febbraio  e  la  fa  compiere  dal 
legato  papale.  Riconosce  nella  lettera  di  questa  commessione  del  M.  l'autorità  deiraffer- 
mazione  di  sinceri  testimoni  di  veduta;  xiconosce  che  né  il  Vettori,  nò  forse  lo  Qurita  det- 
tero importanza  a  quella  specie  d*emancipazione  dalla  Chiesa  che  l'Impero  iniziò  in  questa 
occasione  ;  ma  dopo  il  passo  che  del  Ouicciardini  abbiamo  arrecato,  ci  pare  men  che 
esatto  ch'egli  conthiuda  :  «  Vettori  hat  aie  nicht  erkannt  und  ebensowenig  Ouicciardini, 
dem  dessen  Depeschen  vorgelegen  haben  mtlssen  *.  L'Hbobwiscb,  Gwehichte  der  Regie^ 
rung  Kaiser  Maanmilians  des  Ersten^  voi.  ii,  pag.  00,  dice  di  Massimiliano:  «mUndlich 
kSnnte  man  ihn  schlechtweg  Romicher  Kaiser  nennen;  dass  Er  aber  in  Schriften  das 
Beywort  eines  erwàhlten  Kaisers  zu  brauchen  gut  fdnde,  gesch&he  blos  aus  dem  Omnde, 
den  Pabst  nicht  auf  den  Gedanken  zu  bringen,  als  ob  man  die  Kronung  kttnftig  nicht 
mehr  wollte  durch  ihn  verrichten  lassen.  Pabst  Julius  war  mit  der  Nachricht  sehr  su- 
frìeden,  da  es  gerade  sein  Wunsch  war,  den  Kaiser  von  Italien  abzuhalten  und  er  in  der 
Ertheilung  des  blossen  Titels  nichts  bedenkliches  fand  ».  —  Rak^k.  Deutsche  Geachichte 
im  ZeitaUer  der  Reformation,  loc.  cit.  :  Denn  dass  der  titel  <  Kaiser  »  auch  ohne  die  Kro- 
nung in  Rom  gebraucht  werden  konnte,  var  eine  inhaltsschwere  Neuerung  ftir  die  WQrde 
eines  deutschen  Konigs.  Die  Nachfolger  Maximilians  haben  den  kaiserlichen  Titel  nromit- 
telbar  nach  ihrer  Kronung  in  Aachen  angenommen  ». 
•  Dantb,  Purg.f  vi,  118, 

<  Vieni  a  veder  la  tua  Roma  che  piagne  ». 

Cf.  in  Zikoeblb,  De  Carminibus  latinis  saeeuli  xv  et  xvi  ineditiSf  pag.  74,  la  Querela 
Urbis  Romae  ad  Divum  Maaimil.  Caesarem  : 

«  Advenias,  te  Roma  sibi  dominumque  patremque 
Postulati  hanc  capias   Maximiane  viam  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCONDoJ  LA  CERIMONIA  DI  TRENTO.  413 

imperiale  ;  ^  che  mentre  quegli  gittava  via  da  un  lato  le  forme 
e  i  segni  d'una  dominazione,  che  diramandosi  dal  centro  della 
cristianità  s'intitolava  però  romana  e  distendevasi  fin  dove  la 
cristianità  arrivava;  mentre  egli  trasentiva  quell'impulso  na- 
zionale che  rendeva  germanico  V  impero  e  che  aveva  per  opposta 
via  già  determinato  i  suoi  sudditi  e  l'impero  stesso  a  resistergli; 
egli  e  il  suo  popolo  sognavano  ancora  che  non  pur  da  Roma, 
ma,  discacciati  i  Turchi  di  Costantinopoli,  da  quella  Costan- 
tinopoli stessa  agognata  dai  re  francesi,  si  daterebbero  oramai 
diplomi  imperiali,  ricongiunti  sotto  un  capo  germanico  l'im- 
pero d'oriente  e  quel  d'occidente  indegnamente  divisi.^  Cosi 
sempre  nell'illusione,  nel  yagheggiamento,  nella  pretesa  del- 
l'antica dominazione  universale  le  novelle  monarchie  nazionali, 
cozzanti  fra  loro  s'andavano  riducendo  inconsciamente  dentro 
a' limiti  naturali.  Tanto  è  vero  che  cosi  gli  uomini,  come  le 
istituzioni  e  le  nazioni  accade  sempre  che  intendano  tardi  e 
per  accenno  estrinseco  la  pubertà  e  la  vecchiaia  loro. 

Il  Machiavelli  del  resto  non  era  uomo  da  guardare  a  simboli 
e  sapeva  bene  che  non  per  formolo  cancelleresche  si  stabilisce 
l'indipendenza  o  la  preponderanza  d'un  regno.  Bensi  aveva  pa- 
rato dinnanzi  un  grave  problema;  nella  soluzione  del  quale  dove- 
vano egli  e  il  Vettori  rintracciare  la  linea  di  condotta  che  in 
quel  frangente  per  la  Repubblica  fiorentina  conveniva  seguire. 
Il  problema  consisteva  nell'  indagare  le  cause  per  cui  un  paese 
naturalmente  forte,  industre,  ricco,  come  la  Germania,  si  di- 

1  Rankb,  Deuttch€  asichichte,  loc.  cit.  :  «  Oans  yerschiedene  Motiye  bevogen  ihn 
dazu  :  aof  der  einen  Seite  der  Anblick  der  m&chtigen  Opposition,  auf  die  er  stieas,  so  dass 
er  schon  fUrchtete,  es  werde  ihm  nicht  gelingen,  nach  Rom  za  kommen  ;  aaf  der  anderen 
das  Geftlhl  der  Macht  und  Unabh&ngigkeit  dea  Reiches,  dem  er  die  PrarogatÌTOi  der  Christen- 
heit  das  oberste  Hanpt  zu  geben,  auf  alle  F&Ue  retten  woUte  ». 

*  Ci.  SoLTAU,  Ein  hundéri  Deutscfie  hislorische  VolKsliedery  pag.  201  : 

«  Àch  got  frist  ym  lang  sein  leben 

Bisz  er  sich  auch  mag  geben 
Christlichen  glauben  sumeren 

und  das  erst  loch  serstoren 
Das  gschicht  trenn  er  wirt  wertreiben 

den  tflrcken,  und  sich  och  scbreiben 
Zu  Constantinopel  Kayseer 

O  herr  got  verleih  ym  die  eer  ». 

È  singolare  che  mentre  Massimiliano  per  gelosia  di  Francia  nudriva  cosi  fantastiche  pre- 
tensioni, poco  innanzi  mostrasse  al  re  di  Spagna  ben  diversa  e  assai  più  politica  disposi- 
zione. Cf.  QuBrrA,  loc.  cit.,  t.  yi,  lib.  vii,  pag.  115  (.  :  «  Despnes  en  la  segunda  habla  que 
tnvieron  con  al  Hey,  el  uno  de  los  embaxadores  dixo,  que  el  Rey  de  Romanos,  por  mo- 
strar el  amor  que  tenia  al  Rey  le  queria  dar  y  renunciar  el  Imperio  de  todo  lo  de  Italia, 
con  el  titulo:  y  retener  para  si  solamente  lo  de  Alemana,  de  suerte  que  quedasse  y  se  in- 
titulasse  Emperador  de  Alemana  y  el  Rey  Catholico  fuesse  Emperador  de  Italia;  y  que 
para  osto  le  darla  todo  su  derecho;  y  lo  ajudaria,  basta  adquirir  el  dominio  della  ». 


Digitized  by 


Google 


414  CAPO  QUINTO.  [lib«o 

mostrava  nella  vita  internazionale  fiacco,  quasiché  disinteres- 
sato, immobile  ;  nell'avvisare  se  quelle  condizioni  non  naturali 
erano  passeggiere  e  mutabili,  e,  in  quest'ultimo  caso,  se  la 
mutazione  era  per  riuscir  probabile,  vicina,  subita;  trattavasi, 
in  una  parola,  di  valutare  l'importanza  politica  e  la  costanza 
dell'Impero. 

Altra  opera  non  era  possibile  condurre  agli  oratori  delle  di- 
verse Provincie  d'Italia  per  trarsi  di  quel  labirinto  in  cui  erano 
tutti  egualmente  cacciati.  Niccolò  v'aveva  ritrovato  il  cardi- 
nale Carvajal,  che  v'era  pel  papa;   ma  in  ira  a  Massimiliano 
il  quale  gli  aveva  detto  :  «  mostrerebbe  a  tutto  il  mondo  che 
sapeva  far  la  guerra  senza  il  papa  e  senza  re  ».  ^  —  V'avea 
trovato  per  Siena  Domenico  Placidi  e  Anton  da  Venafro,  il  quale 
ultimo   anche   dal  Vettori  si  celebrava  siccome   «  nelle  cose 
degli  stati  molto  esperto  e  di  lingua  tanto  atto  a  persuadere, 
che  pochi  ne  avea  pari  ».  ^  Tuttavia  mentre  il  papa  non  aveva 
sino  allora  dato  altro  che  ^  buone  parole  all'imperatore»,  chi 
s'era  già  gittato  a  dirittura  a  dargli  danari  era  Siena.   Tanta 
decisione  pareva  effetto  della  fina  astuzia  di  Pandolfo  e  de' suoi 
consiglieri,  i   quali   vedevano  che,  a  fare  trattato   con  Mas- 
similiano che  desse  assicurazione  completa,  finch'egli  era  in 
Germania,  sarebbero  andati  di  gran  danari,  e  col  massimo  pe- 
ricolo di  averli  gittati  al  vento,  se  realmente  egli  poi  non  riu- 
scisse ad  effettuare  il  passaggio.   Dall'altro   lato   il  non  aver 
fatto  nulla,  nel  caso  che  Cesare  davvero  e  venisse  e  vincesse, 
sarebbe  tornato  totalmente  a  rovina.  Ci  aveva  ad  essere  tuttavia 
un'uscita,    e  questa  era   nell'accomodarlo  d'un  imprestito  di 
somma  non  grave,  ora  ch'egli  trovandosi  in  gran  bisogno  di 
danaro  non  avrebbe  ricusato  nulla;  ora  che  coU'imprestargh 
dimostravasi  aver  fiducia  nella  sua  venuta;  ora  che  gli  si  dava 
mezzo  di  ostentar  come  credito  questi  debiti  che  contraeva;  ri- 
servandosi  poi,  quando   la   fortuna  lo    favorisse  in  Italia,  di 
rimettersi  non   senza  speranze  a  discrezione   di  lui.  ^  Ma  per 
Firenze  questo  medesimo  mezzo  termine  non  approdava,  dap- 
poiché essa  come  città  guelfa,  come  città  francese,  come  città 
presa  di  mira  da  Massimiliano  e  tiranna  di  Pisa  aveva  a  temere 
troppo  maggiori  danni  che  non  Siena;  non  avrebbe  potuto  far 
imprestito  tenue  e  sapeva  troppo  <  come  si  prestano  e'  danari 

^  Machiavelli,  Commissione  cit.,  Lett.  14. 

*  Vbttori,  Viaggio  d'Alemagna,  pag.  121. 

*  Machiavelli,  Ioc.  cit.,  Lett.  43. 


Digitized  by 


Google 


•ECONDo]  MASSIMILIANO  ACCAREZZA  I  VENEZIANI.  415 

a'  re,  e  come  si  rendano  >.  ^  Il  duca  di  Ferrara  timoroso  del 
forcipe  di  Veneziani  e  Francesi,  entro  la  cui  stretta  trovavasi, 
faceva  mancar  le  lettere  all'oratore,  per  aver  modo  di  consi- 
gliarsi secondo  che  gli  avvenimenti  portassero.  E  cosi  si  rego- 
lava Mantova,  e  cosi  Lucca;  dappoiché  tutti  stavano  cogli  occhi 
intenti  a'  moti  di  due  popoli  liberi,  da  cui  le  due  più  poderose 
monarchie  d'Europa  parean  dipendere;  aspettando  vedere  come 
si  condurrebbero  gli  Svizzeri  col  re  di  Francia  «  in  cui  consi- 
steva, quanto  alla  guerra,  il  vincere  di  costui  »,  secondo  che 
il  Machiavelli  e  il  Vettori  rilevavano;  *  e  che  farebbero  i  Ve- 
neziani coli'  imperatore,  il  tesoro  de'  quali  da  taluni  si  reputava 
nervo  di  guerra.  ^ 

Massimiliano  per  verità,  ora  li  lisciava  eccitandoli  con  ogni 
maniera  di  carezze  e  d' inviti  a  convenir  seco,  mandando  loro 
quando  il  frate  da  Landriano,  generale  degli  Umiliati;  ^  quando 
Costantino  Areniti,  esule  Comneno,  zio  della  marchesana  di  Mon- 
ferrato; quando  prete  Luca  Rainaldi  suo  consigliere  e  segretario  ;  ^ 
ora  li  minacciava  per  mezzo  del  dottor  Rabler  commissario  suo 
che  avea  stanza  in  Bologna.^  Se  non  che  essi,  che  sentivano  di 
non  aver  riparo  quando  l'imperatore  vincesse,  si  mostravano 


^  Màchiayblli,  loc.  cit. 

*  Macbiavblli,  Comm.  cit.,  Lett.  17. 

*  Id.  ibid.,  Leu.  18.  £  in  un  dispaccio  del  Quirino  de*  27  di  maggio,  allegato  dal 
Brosch,  op.  cit.,  pag.  336  :  «  cossi  come  el  danaro  è  il  principal  fondamento  de  la  guera, 
credo  che  in  trovarlo  consista  etiara  la  maxor  dii&cultà  ». 

«  Id.  ibid.,  Lett.  14  e  10.  Nel  Rapporto  delle  cose  della  Magna,  ed.  Opp.,  voi.  vi, 
pag.  314  :  «  fece  ultimum  de  potentia  di  avere  i  Vinixiani,  ai  quali  mandò  il  fra  Bianco, 
mandò  Prè  Loca,  mandò  il  Dispoto  della  Morea  e  i  suoi  araldi  più  volte  ».  Cf.  Valenti- 
KKLLi.  Regesten  sur  deutacher  Oetehichte,  loc.  cit.,  pag.  589,  502,  597. 

&  Machiavelli,  Comm.  cit.y  Lett,  5  e  11.  'NeWExemplum  lUerarum  McucimiUani  regia 
Romanorum  ad  Uluslriat.  Dominium  venetunt  (Marin  Sanudo,  Diariif  t.  iv,  col.  641)  si 
legge  :  «  Rediens  ad  nos  ex  urbe  honorabilis  Lucas  de  Renaldis,  praepositus  in  Strasburg, 
secretarios  noster,  etc.  »  Prete  Luca  aveva  rassegnato  nel  1503  la  sede  vescovile  di 
Trieste.  Ne*  Diari  medesimi  (t.  iii,  837)  ò  chiamato  «  pre'  Lucha  di  Renaldi  da  Pordenon.  »  — 

*  Machiavelli,  (loc  cit.,  Lett.  v,  xi)  lo  chiama  «  Rabelar  »;  da  Marino  Sanudo  (Dia- 
rio ros.  vi)  è  detto  Rabeler.  V.  la  sua  diceria  al  Senato  veneto  riferita  dal  Romanin,  Storia 
documentata  di  Venezia,  voi.  v,  pag.  180.  Egli  fu  dottore  e  consigliere  accettissimo  di 
Massimiliano.  L'unico  documento  che  lo  riguarda,  nel  R.  ed  I.  Archivio  di  Vienna,  comu- 
nicatoci con  {squisita  cortesia  dal  signor  barone  Arnetb,  ci  dà  notizia  che  nella  prima 
metà  d'ottobre  1514  egli  era  morto  e  V  imperatore  pagavagli  un  debito  superstite  :  «  K. 
Maximilian  I  an  Wolfang  Haller,  Hauskammerer  su  Innsbruck,  —  «  Als  du  weilend  unsemi 
rate  doctor  Johannsen  Rablern  zu  seiner  auslosung  zu  Ynsprugg  88  gulden  rein.  Bar  ge- 
lìhen  und  gegeben  hast  inhalt  seiner  handschrift  dir  deshalben  zuegestelt,  und  dieweil  aber 
derselb  unser  rate  mitlerzeit  mit  tod  abgangen  und  dieselben  23  fl.  rein.  noch  nit  bezalt 
hat,  demnach  emphelhen  wir  dir  mit  ernst  und  wellen,  daz  du  dich  der  bemelten  28  fl.  rein. 
von  dem  einkomen  unsers  hauscamerambts  zu  Ynsprugk  deiner  verwesung  genzlich  beza- 
lest  und  alsdann  unserm  dlener  Albrechten  Verr  der  berurten  unsers  rats  obligacion  zue- 
stellest  und  das  nicht  lassest;  so  sol  dir  suih  gelt  in  deiner  kunftigen  raitung  fur  gut 
ausgab  gelegt  und  aufgehebt  werden  ». 

Actum  Ynsprugg  am  14  tag  Octobris  anno,  etc.  im  14  (1514). 


Digitized  by 


Google 


416  CAPO  QUINTO.  [libro 

meglio  inchinevoli  ad  incarnarsi  con  Francia,  la  quale  «  in  ogni 
luogo  difendeva  ed  esaltava  le  cose  loroj^.^  Tuttavia  questo  in- 
teressato corteggiamento  di  competitori  non  era  per  durare  a 
lungo  alla  repubblica  dell'Adriatico,  ricca  e  male  armata;*  che 
anzi  il  Machiavelli  prevedeva  come  essa  lo  avrebbe  pagato  caro 
il  di  che  i  suoi  corteggiatori  le  si  fossero  posti  contro  con  ini- 
micizie congiunte  ;  e  pur  troppo  doveva  computare  fra  i  van- 
taggi degli  oltramontani  due  infermità  in  cui  sapeva  consistere 
Tordinario  stato  d' Italia,  infermità  «  le  quali  anno  fatto  onore 
infino  a  qui  a  qualunque  Tà  assaltata,  che  sono:  essere  tutta 
esposta  alle  ribellioni  e  mutazioni  e  avere  triste  armi;  d'onde 
n'è  nato  e' miracolosi  acquisti  e  le  miracolose  perdite».  ^ 

Con  questa  dolorosa  certezza  delle  patrie  miserie,  nel- 
l'impossibilità di  ricevere  da' signori  lettere  per  mezzo  non  in- 
certo e  non  sospetto,  di  mandarne  altrimenti  che  per  man  di 
venturieri  e  mendicanti,  ^  nell'impossibilità  di  prestar  fede  agli 

1  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  18. 

«  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  18.  Ibid.,  Lett.  19:  «  Luca  da  Monte  Varchi,  stato  vo- 
stro conoestabile,  è  venuto  qui  dal  campo  de*  Viniziani,  e  riferisce  avere  tristissime  fan- 
terie, e  se  costoro  si  conducono  alla  campagna,  che  le  faranno  trista  prova  ». 

*  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  12. 

^  Machiavelli,  loc/  cit.,  Lett.  13:  «  Questa  Maestà  ha  messo  diligentissime  guardie 
che  nessuno  possa  passare  in  Italia  sanza  lettera  sua;  il  che  ha  ordinato  perchè  nessuno 
possa  riferire  di  bocca  de*8uoi  preparamenti  ».^  Id.  ibid.,  Lett  14:  «  Oltre  alli  altri  di- 
spiaceri questi  dna  mi  ammazzano  ;  lo  essere  discosto  dalla  corte  e  non  potere  né  mandare 
né  ricevere  lettere  da  vostre  signorie  ». —  Ibid.,  Lett.  20:  «  Vostre  signorie  quando  ci  man- 
dano, si  sforzino  trovare  uomini  tedeschi,  o  che  ci  sieno  pratichi  perchè  possino  condarre 
le  lettere  più  segrete  e  più  facili,  e  questi  sono  venuti,  dubito  non  sieno  lasciati  tornare  ». 
—  Talora  le  stesse  cautele  impediscono  di  trarre  utilità  da  alcuna  lettera  che  recapita 
bene  :  «  la  quale,  per  essere  in  cartapecora,  e  (dal  cavallaro)  messa  in  un  pane,  e  per 
questo  prima  inumidita,  e  poi  secca,  non  si  potette  spiccare  se  non  in  pezzi,  e  non  ho  po- 
tuto leggere  se  non  il  quarto,  e  quello  interrotto  »  (Lett.  21).  —  n  Vettori  che  prima  spac- 
ciava la  sua  corrispondenza  per  mano  di  Raffaello  Rucellai,  quando  questo  mezzo  gli 
venne  meno,  è  ridotto  a  mandarne  «  alla  ventura  per  le  mani  di  dutf  birboni  che  venivano 
in  Italia  ».  (Ibid.  Lett  13).  —  Che  il  vocabolo  «  birbone  »  abbia  comunemente  avuto  presso 
di  noi  significato  di  plebeo  camminatore  ed  erratico  non  è  dubbio  pe*  numerosi  esempi  che 
s*  incontrano,  in  cui  questa  parola  è  impiegata  ad  esprimere  una  idea  affine  a  quella  di 
mendicanti,  zingari,  ebrei,  vagabondi  ed  altre  simili  qualità  di  persone  o  di  condizioni.  Ma 
se  c'è  accordo  circa  questa  antica  significazione  del  vocabolo,  la  discordia,  forse  a  cagione 
del  significato  ora  in  voga,  è  intomo  alla  derivazione  etimologica.  Da  alcuni  infatti,  siccome 
accrescitivo  di  birba^  lo  si  deduce  dal  latino  v^rpiM  o  verpa;  uomo  libidinoso  e  tristo  [Vpe. 
della  Crusca  ed.  ult.)  ma  in  tal  caso  non  può  intendersi  per  qual  maniera  si  possa  giusti- 
ficare il  significato  antico,  che  pure  è  costante  e  certo  e  che  dà  l' idea  di  camminatore 
e  di  tapino  insieme;  altri  arrivano  a  trarlo  fuori  persino  dalla  voce  «  busbo  »,  ma 
sempre  nel  più  moderno  significato  d*uomo  tristo  e  da  rei  partiti.  Noi  ci  permettiamo 
affacciare  il  verbo  gotico  hvairban  che  esprime  T idea  d'andar  errabondo  (in  tedesco  ioan- 
deln,  mpiTtariiv.  Cf.  Dibffbnbach,  Vergleichendes  Wlirterbuch  der  gothischen  Spraehe, 
t.  II,  pag.  597)  siccome  lontano  progenitore  della  controversa  parola.  Osserviamo  inoltre, 
ciò  che  gli  etimologi  non  avranno  difiSeoltà  d'ammettere  per  lo  scambio  che  in  italiano 
accade  assai  frequente  tra  le  labiali,  (cf.  Dibz,  Oramm.  des  langues  romanes,  ediz.  fr. 
pag.  Z29)  :  che  tra  la  voce  italiana  birbone  e  la  francese  fìripon,  dedotta  naturalmente  da 
friper,  corre  grande  analogia.  Di  fHper  il  Brachet  {Dictionnaire  itymoìogique  de  la  Uingue 
fran^aise)  afferma  essergli  incognita  Porigine,  il  Littré,  (Dici,  de  la  langue  fìrancaìte)  nota 


Digitized  by 


Google 


RECONDo]  RAPPORTO  DELLE  COSE  DJ  LAMAQNA.  417 

occhi  e  airorecchie  proprie,  per  quel  che  concerneva  le  occor- 
renze della  giornata,  posto  che  Massimiliano  pareva  mettere 
il  segreto  ad  usura;  non  restava  a  Francesco  e  al  Machiavelli 
se  non  dal  computo  delle  forze  trarre  argomento  delle  pro- 
babilità, discorrere,  commessi  dicevano,  la  cosa  in  universali. 
Questo  lavorìo  industre  e  penoso  dei  due  mandatari  fiorentini, 
nelle  cui  lettere  s'intravede  la  fatica  che  loro  costa  e  i  gradi 
per  cui  procede,  apparisce  come  in  riassunto  nel  Rapporto  delle 
cose  di  Lamagna  che  il  Machiavelli  presentò  ai  signori,  secondo 
era  stile,  il  di  appresso  alla  tornata  sua. 

Questo  Rapporto,  di  cui  il  Machiavelli  forse  troppo  si 
compiacque,  fu  germe  d'altre  consimili  scritture  del  segretario 
fiorentino  intorno  alFargomento  medesimo,  ^  nelle  quali  ci  è 
dato  anche  una  volta,  insieme  all'osservazione  della  realtà  este- 
riore, che  Niccolò  con  Y  intuito  suo  potentemente  aff'erra,  avvi- 
sare il  conio  personale  e  subbiettivo  con  cui  egli  impronta  le 
cose  delle  quali  il  suo  pensiero  s'impadronisce;  eie  dato  sor- 
prendere la  formazione,  la  determinazione  occasionale  di  nuove 
massime  pratiche,  che  in  altra  stagione  poi  egli  o  dimostra 
come  teoremi,  o  enuncia  come  precetti,  o  anche  come  paradossi 
sostiene  contro  i  contemporanei  reluttanti. 

L' indole  romanzesca  di  Massimiliano,  il  comico  contrasto 
per  cui  questi  sempre  afiaccendato  nella  politica  esterna,  col 
desiderio  sempre  intraprenditore,  sempre  splendido  per  incli- 
nazione, è  astretto  a  vivere  continuamente  alle  prese  colla  po- 
litica interna  della  Germania,  ad  essere  in  ogni  sua  impresa 
trattenuto  per  mancanza  di  mezzi  e  insieme  a  profondere 
quel  po'  di  danaro  che  gli  sdrucciola  per  le  mani,  come  se  ne 
avesse  superfluo,  è  spettacolo  da  provocare  fortemente  la  fan- 
che  il  Diaz  lo  trae  dallo  scandinavo  hripa,  «  procéder  avec  grande  h&te  ».  Tuttavia  crede 
che  il  primitivo  significato  di  fripon  avesse  ad  essere  principalmente  quel  di  gourmand, 
ghiotto,  derivando  friper  da  berry  e  spiegandolo  «  lécher  la  sauce  d'un  plat  avec  la  lan- 
gne  ».  —  Ciò  non  ostante  il  «  procéder  avec  grande  bàte  »  dello  scandinavo  hripa  mostre- 
rebbe ancor  più  la  parentela  delle  preindicate  parole  nelle  due  diverse  lingue. 

>  Vi  anno  tre  scritti  di  Niccolò  Machiavelli  intorno  alle  cose  germaniche.  Il  primo  è 
il  «  Rapporto  fatto  que$to  di  i7  giugno  i508  »  Il  secondo,  nel  quale  richiama  quello  già 
composto  «  alla  giunta  mia  anno  qui  »  è  del  1509;  potè  forse  essere  un  accessorio  della 
commissione  data  a  Oiovan  Vittorio  Sederini  e  a  Piero  Ouicciardini,  quando  andarono  ora- 
tori a  Massimiliano,  e  s'intitola:  «  Discorso  sopra  le  cose  della  Magna  e  sopra  l'Impera- 
tore». —  «  Finalmente  i  «  Ritratti  delle  cose  della  Magna»  appaion  composti  sullo  scorcio 
dell'anno  1518  o  in  sul  principio  del  1513  facendosi  in  essi  menzione  e  della  giornata  di  Ra- 
venna (11  aprile  1512)  e  della  guerra  mossa  «  ultimamente  »  dal  re  di  Spagna  a  quel  di 
Francia  in  Quienna.  È  ad  annotare  che  del  Rapporto  e  del  Discorso  di  Niccolò  ebbe  a  far 
suo  prò  Francesco  Ouicciardini  nel  libro  xxx  della  sua  Isl.  fiorentina.  Cf.  pag.  348-340,  etc. 
ove  riproduce  persino  il  motto  latino  detto  dall'Imperatore  alla  dieta  di  Gostanza:  «  Ego- 
possum  ferre  Ic^reSj  volo  eliam  honores».  V.  pji  Machiavelli,  Discorsi  lib.  ii.  cap.  19. 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  27 


Digitized  by 


Google 


418  CAPO  QUINTO.  [lobo 

tasia  di  Niccolò,  facile  a  cogliere  il  lato  drammatico  d*ogni 
cosa.i  Nelle  lettere  scritte  a  nome  del  Vettori  ei  lascia  ben 
sfuggire  qualche  celia  prudentemente  dissimulata  circa  questa 
strana  condizione  di  cose  :  «  né  a  questo  Re,  per  quello  che 
appare,  manca  altro  che  danari  >  —  «  Che  V  Imperadore  abbi 
assai  soldati  e  buoni  nessuno  ne  dubita;  ma  come  li  possa  te- 
nere insieme,  qui  sta  il  dubbio:  perchè  non  li  tenendo  lui  se 
non  per  forza  di  danari,  e  avendone  da  un  canto  scarsità  per 
sé  stesso,  quando  non  ne  sia  provveduto  da  altri  (che  non  si 
può  sapere)  ;  dall'altro  sendone  troppo  liberale  si  aggiugne  dif- 
flcultà  a  diflBcultà;  e  benché  essere  liberale  sia  virtù  ne  prin- 
cipi, tamen  e'  non  basta  satisfare  a  mille  uomini,  quando  altri 
à  bisogno  di  ventimila  ;  e  la  liberalità  non  giova  dove  la  non 
aggiugne  ».^  Ed  ecco  un  altro  germe  occasionale  d'uno  di  quei 
molteplici  assunti  per  cui  più  tardi  il  Machiavelli  prese  a  coz- 
zare sul  campo  della  teoria  con  le  massime  avute  allora  per 
sicure  e  intangibili  da  quei  molti  che  ini  fatto  di  repubbliche  e 
principati  ne  immaginavano  di  quelli  «  che  non  si  [sono  mai 
visti  né  conosciute  essere  in  vero  ».  ^  In  questo  caso  pre- 
sente egli  s'abbatte  nella  massima  che  il  principe Jdeve  essere 
necessariamente  e  con  tutti  e  in  ogni  occasione  liberale  ;  che 
se  questo  é  a  ritenere  in  generale  d'ogni  principe,  a  più  forte 
ragione,  e  in  modo  più  particolare  sembra  debba  credersi  del- 
l' imperatore.  E  la  reazione  contro  cosiffatto  asserto  è  come  il 
portato  teorico  che  nel  massimario  politico  (del  jsegretario  fio- 
rentino si  aggiunge  per  questa  sua  commissione J  germanica. 
Probabilmente  fin  da  questi  tempi  traj[i  politicanti  italiani 
raccolti  a  fantasticare  in  Tirolo  dietro  la  corte  di  Massimi- 
liano, dall'una  all'altra  dieta,  senza  indirizzo  possibile  alle  loro 
trattative,  senza  conoscenza  di  quel  che  accadeva,  di  quel  che 
preparavasi,  ebbe  ad  agitarsi  accademicamente  la  questione 
circa  quella  maniera  di  prodigalità  del  re  dei  romani;  a  con- 
trapposto della  quale  mettevasi  la  parsimonia  di  papa  Giulio 

i  Machiavelli.  Commissione  cit.,  Lett.  13.  Qurita,  loc.  cit.,  lib.  viii,  pag.  152 1.:  «esU 
fae  sienipre  la  condicion  y  suerte  del  Rey  de  Romanos,  que  en  todas  sus  pretensiones,  y 
differencias  pidia  sempre  mucbo  mas  de  lo  justo,  y  ordinariamente  venia  a  contentarse  con 
harto  menos  de  lo  que  era  bonesto  ». 

*  Machiavelli,  Commissione  citata,  Lett.  12.  Cf.  Il  Principe^  capo  xvi  :  «  la  liberalità 
usata  in  modo  che  tu  non  sia  temuto  ti  ofTende  ».  Il  Quiriki,  Relazione  di  Germania,  loc. 
cit.,  pag.  27,  scrive  di  Massimiliano:  «  È  ancora  amato  perchè  dona  quello  che  ha  e  la- 
lora  quello  che  non  ha  ».  E  più  oltre,  calcolando  le  rendite  ordinarie  e  straordinarie  di  lai 
in  400,000  fiorini,  aggiunge:  «  Si  può  dire  che  il  Re  de*Romani,  per  il  mal  governo  che  ha 
avuto  ed  ha  dei  danari,  non  possa  aiutarsi  delle  sue  entrate  in  ninna  impresa  », 

>  Machiavklli,  Il  Principe,  cap.  xv. 


Digitized  by 


Google 


MCowDoJ     OPINIONE  DEL  M.  CIRCA  LA  LIBERALITÀ  DE'PRINCIPL  4W 

o  la  miseria  del  re  di  Spagna.  Dalla  contradizione  forse  il  pen- 
siero del  Machiavelli  a  questo  proposito  uscì  fin  d'allora  bello 
e  formato  ;  forse  a  chi  gli  obbiettava  che  quel  che  a  un  pon- 
tefice 0  a  un  re  di  Spagna  non  disconvenivasi,  mal  si  addiceva 
ad  un  Cesare,  fin  d'allora  il  Machiavelli  rispose  :  <  Cesare  (l'an- 
tico Cesare  che  talvolta  pareva  avesse  a  dar  norma  a  chi  re- 
putava aver  ereditato  diritti  dal  nome  di  lui)  era  un  di  quelli 
che  voleva  pervenire  al  principato  di  Roma;  ma  se  poiché  vi 
fa  venuto,  fusse  sopravvissuto  e  non  si  fusse  temperato  da 
quelle  spese,  avrebbe  distrutto  quell'imperio.  ^ 

Ma  quel  che  positivo  apparisce  in  questa  commissione  e 
relazione  del  Machiavelli  si  è  che  i  Fiorentini  ne  sanno  delle 
cose  della  nazione  tedesca  troppo  meno  dei  Veneziani.  *  Un  solo 
sguardo  che  si  getti  sulla  presso  che  contemporanea  relazione 
di  Vincenzo  Quirini  ^  basta  a  persuadere  dell'  immensa  difierenza 
che  intercede  fra  questo  scritto  cosi  logico,  cosi  completo,  cosi 
libero  da  pregiudizi  subbiettivi  dell'orator  veneto  e  il  Corre- 
lativo Eapporto  del  Machiavelli,  il  quale  invece  a  ogni  pie 
sospinto  lascia  trapelare  gl'influssi  che  cospirano  a  sviare 
l'autore  dal  vero,  a  renderlo  senza  dubbio  più  sottile  che  accorto. 
Il  Quirini  comincia  dal  fornire  ampia  e  particolare  notizia  geo- 
grafica del  paese,  distinguendo  confini  e  provincie,  comunità 
e  governi  signorili,  temporali  ed  ecclesiastici.  Indi  riassume  per 
sommi  capi  il  procedimento  storico  per  cui  l' istituzione  del- 
l' impero  ebbe  a  trapassare  nel  corso  della  sua  organica  evo- 
luzione. Misura  poscia  l'autorità  dell'  imperatore,  secondo  le 
fondamenta  giuridiche,  e  pone  a  rimpetto  di  essa  il  computo 
della  sua  potestà  effettiva,  soggiacente  agli  attriti  di  singoli 
interessi  contrastanti,  modificata  secondo  la  personale  virtù  e 
la  prudenza  dell*  Imperatore.  Esamina  in  seguito  la  qualità  dei 
soldati,  il  numero  che  può  trarsene  e  la  bontà  dell'artiglierie 

1  Machiavelli,  Il  Princip0,  capo  xvi.  Vedi  particolarmente  tatto  il  paesaggio  :  «  E  se 
alcuno  dicesse  Cesare  con  la  liberalità  pervenne  ali*  imperio,  ecc.,  ove  par  veramente  ri- 
prodotto l'andamento  e  il  contrasto  d*una  discussione.  Il  Wiskbmann,  Darstellung  derin 
DeuUchland  zur  Zeit  der  Reformation  herrtchend&n  NationaìdhonomiscJien  Ansichten, 
Leipzig,  1861,  pag.  36  a  proposito  di  questo  passo  del  Machiavelli  cita  parecchi  incisi  e  da 
Tacito  e  da  Plinio  che  paiono  confortare  Topinione  del  segretario  fiorentino.  Noi  vedremo 
a  suo  luogo  se  in  questo  caso  le  dottrine  classiche  soltanto,  o  Tautorìtà  in  genere  più  che 
i  fatti  valessero  a  determinare  la  sentenza  del  Machiavelli. 

s  Machiavelli,  nei  Ritralti  dalle  cose  della  Magna^  pag.  328,  lo  confessa  :  «  E  i  Vini> 
siani  per  il  commercio  ch'egli  hanno  con  i  mercanti  delle  comunità  della  Magna,  in  ogni 
cosa  ch'egli  hanno  avuto  a  fare  o  trattare  con  l'Imperatore,  l'hanno  intesa  meglio  che 
alcuno  altro,  ecc  ». 

*  V.  Alberi,  Relazioni  degli  ambasciatori  veneti,  serie  i,  voi.  vi,  pag.  1-58.  La  relaziona 
del  Quirini  fu  da  lui  letta  in  Pregadi  nel  dicembre  1507. 


Digitized  by 


Google 


ito  CAPO  QUINTO.  [hmm 

e  degli  ordinamenti  della  milizia  ;  valuta  i  redditi,  rassegna  i 
modi  di  spesa,  enumera  le  malleverie  di  credito,  gli  espedienti 
economici  che  sono  nelVarbitrio  di  Massimiliano  ;  espone  le  ra- 
gioni delle  relazioni  di  lui  coi  principi,  di  questi  colle  terre 
franche,  delle  terre  franche  coi  vescovi  ;  accenna  alle  lotte  da 
lui  durate  con  Bertoldo  di  Magonza,  il  quale  con  sé  «  tirava 
la  maggior  parte  delle  terre  franche  per  esser  savio  e  molto  sti- 
mato da  esse  »,  ^  accenna  alla  guerra  per  la  successione  feudale 
del  duca  Giorgio  di  Landshut,*  al  favore  che  dopo  la  morte  del- 
l'arciduca Filippo  il  Bello,  si  è  accresciuto  all'imperatore  fra  i 
principi  secolari  «  parendo  loro  che  la  corona  possa  cascare,  da 
poi  la  morte  sua,  in  ciascun  di  loro  ;  né  dubitano  dei  nepoti  di 
Sua  Maestà  per  esser  molto  piccoli  e  non  atti  da  qui  a  venf  anni 
ad  esser  eletti  a  tanta  dignità»;  ^  discorre  esattamente  della 
condizione  de'  Svizzeri  rispetto  alla  Germania;  delle  vie  che 
questa  avrebbe  a  piombare  in  Italia  a'  danni  della  repubblica 
di  Venezia,  quando  si  decidesse  a  nimicarla;  é  insomma  uno 
scritto  pensato,  e  condotto  con  ordine  eccellente  in  ogni  suo 
particolare,  con  riguardo  a  tutte  le  utilità  escogitabili  per  la 
repubblica  veneta. 

Il  Machiavelli  invece  troppo  dilata  l'angusto  ambiente  in 
cui  è  capitato,  pur  trascurando  di  darne  il  disegno;  e  troppo 
soggiace  alla  preoccupazione  della  tradizione  classica,  cui 
davasi  allora  valore  troppo  convenzionale  d'indubitabile  espe- 
rienza. Però  giudica  di  tutta  Germania  da  quel  po'  di  Sviz- 
zera e  di  Tirolo  che  vede;  di  quella  splendidezza  di  vita 
che  menavasi  nelle  corti  de'  nobili  e  per  le  città  ricchis- 
sime dell'Hansa,^  ei  non  sa  che  ben  poco  ;  non  sa  nulla  di  quel 
che  già  Agostino  Patrizio  aveva  verificato;  ^  di  guel  che  già 
Enea  Silvio  Piccolomini  aveva  veduto  a' suoi  tempi  ;^  al  quale 

i  QuiRim,  loc.  cit.,  pag.  31. 

*  Cf.  Ramkb,  Geschiehten  der  romanischen  und  germanischen  V'ólker,  pag.  ISO  e  seg. 

*  QuiBiMi,  loc.  cit.,  pag.  33. 

*  Cf.  Fbbttao,  Aus  dsm  Jahrhundert  der  Reformation  fra  i  Bilder  aui  der  dewttchen 
Vergangenheit,  yol.  ii,  parte  2",  pag.  220  :  «  In  den  patricierfamilien  der  grossem  Reichs- 
stfidte  .concentrirte  sich  weltroiUinische  Bilduog,  Wohistand  und  die  Freude  um  Genuss. 
welche  sich  oft  in  schlechtem  Ratlinement  aasserte,  aber  auch  Kunat  und  Handnwerk  su 
den  besten  Leistuogen  ermuthigte  ». 

<^  Auo.  Patbitii,  Epistola  ad  Jacobum  card,  Papiensem,  apud  Fbbhkr,  1.  ii,  pag.  143: 
«  Est  Germania  (ultra  quam  nostri  homines  credant)  magnifica  et  pulchra  et  illi  antiquae, 
quam  Caesar,  Strabo  et  Tacitus  aliique  describunt,  fortuna  et  morìbus  valde  dissimilis  ». 

*  Abnbas  Sylvius,  De  moribut  Oemtanorum  in  Opp.,  pag.  I(fi4:  «  Quod  suppellectilea 
vestrae  demonstrant  et  onustae  auro  argentoque  mensae.  Nam  quod  diversorium  apod  voa 
est,  in  quo  non  argento  bibatuf,  quae  mulier  non  dicimus  generosa,  sed  plebea  non  auro 
iiitet.  Quid  torques  equitum  et  eqnorum  frena  ex  auro  purissimo  referamns.  Et  tot  calcarìa 


Digitized  by 


Google 


tócowDo]  PRECONCETTI  CLASSICI  DEL  MACHIAVELLL  4SI 

magnificare  Teleganza  e  lo  splendore  della  vita  germanica  e 
ragguagliarne  la  venustà  colla  proverbiata  leggiadria  ond'erano 
superbe  le  città  d'Italia,  sembrava  ideale  non  altrimenti  lu- 
singhiero che  al  Machiavelli  quello  di  celebrarne  la  frugalità 
e  la  vita  sobria.  Tanto  difficile  era  allora  alle  genti  latine 
afferrare  pienamente  il  genio  della  vita  germanica,  quanto 
forse  è  ora  alle  tedesche  connaturarsi  Y  indole  della  civiltà 
latina.  Un  po' di  pregiudizio  dall' un  lato  o  dall'altro  c'era 
allora  e  c'è  sempre;  ma  allora  gli  encomi  d'Enea  Silvio  pare- 
vano in  Germania  più  accettabili  che  quelli  del  Machiavelli,  ^ 
i  quali  peraltro  furono  risguardati  piuttosto  con  compiaci- 
mento che  con  esame,  ^  e  sospettati  talvolta  non  già  per  non 
ischietti,  ma  forse  per  meno  che  veri. 

«  Della  potenza  della  Magna,  egli  scrive,  veruno  non  può 
dubitare;  ^  perchè  ella  abbonda  d'uomini,  di  ricchezze  e  d'armi. 

et  vaginas  gemmis  tectas  et  annulos  et  baltbea  et  tboraceii  et  galeas  auro  fulgentes. . .  — 
pauper  ipse  ingenio  fuerit  qui  Germaniam  pauperem  attinnaverK.  —  Vcdiasi  anche  la  de- 
Bcriaione  che  egli  fa  di  Vienna,  di  Francforte  e  di  Lubecca:  «  sed  omnibus  praestat  Lu- 
beciun  altissimis  aedibus  templisque  munitum  ornatissimis  »  etc. 

»  Ulrich  von  Hutten,  Heroicum  de  non  degeneri  Statu  Qermanorum: 

«  Quid  dìcam  ut  in  urbibus  ipsis 
Tot  veniant  cultus,  tot  opes.  tam  splendida  cuncta 
Ut  nulli  nobis  ausint  certare  nriores! 
No8  etiam  argentum  noe  nobile  niittimus  aunim, 
Nos  legiinus  geinmas  et  Buccina  prisca  recenti 
Sperninms  invento;  tanta  est  industria,  tantum 
Crevimus  ingeniis  ». 

*  Gbrvi^us,  Geschichte  der  florentinischen  historiographie,  Vienna,  1S71,  pag.  97:  «  S«ine 
Ritratti  von  Frankreich  und  Deutschland  beweisen,  wìe  scharf  er  in  die  EigenthUmlichkeiten 
der  Volker  einzugehen  verstand.  vie  eindtingend  er  die  politische  Lago,  den  innam  Zustand 
fremder  Lander,  die  Natur  der  Nationen  und  der  Regierung  beurtheilte  ».  —  Knibs,  N. 
Machiavelli  als  VoVuwirthschaflUcher  Schrifìsleller^  nella  Zeitschrift  fur  die  Qe$ammte 
Staatswitsenschaft.  Tubinga.  1S52.  pag.  250:  «  In  welchem  Oegensatx  (co*  Ritratti  di  Francia) 
zeìgt  sich  daneben  das  Bild,  welches  Machiavelli  von  den  Zust&nden  Deutschlands  entworfen 
hat!  Dem  «  nach  fremdem  Gute  lUsternen,  znr  Verschwendung  geneigten  Franzoses.  der 
ftusserst  geschickt  stiehit  und  durch  die  politische  Knechtung  niedertr&chtig  geworden  Ist  », 
Btellt  er  den  sparsamen,  in  freiwiliiger  Aermlichkeit  lebenden,  rechtschaffenen,  fromraen, 
auf  seine  Freiheit  eiferstichtigen  und  stolzen  deutschen  Stadtbtlt^er  gegenuber;  frellicb  aber 
auch  der  unbedingten  Gewalt  der  friinzosuchen  KÒnige,  die  auf  der  kemhaften  KraftfUlIe  des 
deutschen  Landes  sich  erhebende  schmale,  schwankende  Macht  eines  Maxirailians  ».  Mundt, 
Machiavelli  und  der  Oang  der  europdischen  Polilik,  Lipsia.  1S58,  pag.  20  :  «  die  (Gesandt- 
Bchaftberichten)  aus  Frankreich  und  Deutschland  sind  zu  voUst&ndigen  Gem&lden  dieser 
Lander  ausarbeiteten  »  —  È  facile  rilevare  da*sopra  citati  passaggi  come  la  costante  riva- 
lità politica  tra  Francia  e  Germania  abbia  potuto  per  lungo  tempo  far  velo  a  giudizi  equa- 
nimi intorno  a  questa  Relazione  del  segretario  fiorentino,  e  come  la  sollecita  dififbsione  che 
queste,  a  preferenza  d'altre  scritture  di  lui,  trovarono  per  le  stampe,  essendo  state  pubbli- 
cate la  prima  volta  nel  1532,  fece  andar  troppo  accarezzate  alcune  opinioni  delle  quali  nella 
stessa  Germania  il  medesimo  Kniess  e  il  Mundt  scossero  il  credito;  questi  riconoscendo 
come  il  Machiavelli  avea  visti  i  Tedeschi  de*  tempi  suoi  «  in  einem  fabelhaften,  der  Wirk- 
lichkeit  nirgend  entspreckenden  Lichte  »;  quegli  osservando  in  genere  che  vi  sono  alcune 
massime  d'economia  che  il  Machiavelli  formula  «  vo  sich  von  der  Gegenwart  ganz  abwendet 
und  rtickhaltloss  ftlr  das  alte  Rom  versenkt  ». 

*  Machiavelli,  Commit».  alVImp.^  Lett.  14:  «  La  potenza  della  Magna  ò  grande,  e  può, 
volendo  lei  in  uno  momento  risuscitare  una  impresa  morta,  non  che  fare  più  gagliarda 


Digitized  by 


Google 


4»  CAPO  QUINTO.  [ubbq 

E  quanto  alle  ricchezze,  e'  non  v'è  comunità  che  non  abbia 
avanzo  di  denari  in  pubblico  ;  ^  e  dice  ciascuno,  che  Argentina 
(Strassburg)  à  parecchi  milioni  di  fiorini;  e  questo  nasce,  perchè 
non  anno  spesa  che  tragga  loro  più  denari  di  mano,  che  quella 
fanno  in  tener  vive  le  munizioni  ;  nelle  quali  avendo  speso  un 
tratto,  nel  rinfrescarle  spendono  poco.  E  anno  in  questo  un  or- 
dine bellissimo,  perchè  anno  sempre  in  pubblico  da  mangiare, 
bere,  ardere,  per  un  anno  ;  e  così  per  un  anno  da  lavorare  le  in- 
dustrie loro,  per  potere  in  una  ossidione  pascere  la  plebe  e  quelli 
che  vivono  delle  braccia,  per  un  anno  intiero,  senza  perdita. 
In  soldati  non  ispendono,  perchè  tengono  gli  uomini  loro  ar- 
mati ed  esercitati.  In  salari  ed  in  altre  cose  spendono  poco, 
talmentechè  ogni  comunità  si  trova  in  pubblico  ricca».  — «E 
se  io  dico  che  i  popoli  della  Magna  sono  ricchi,  egli  è  così  la 
verità;  e  fagli  ricchi  in  gran  parte,  perchè  vivono  come  poveri; 
perchè  non  edificano,  non  vestono  e  non  anno  masserizie  in 
casa  ;  ^  e  basta  loro  abbondare  di  pane  e  di  carne,  e  avere 
una  stufa  (stuòe)  dove  rifuggire  il  freddo.  Chi  non  à  del- 
l'altre cose  fa  senz'esse  e  non  le  cerca.  Spendonsi  indosso  due 
fiorini  in  dieci  anni,  ed  ognuno  vive  secondo  il  grado  suo,  a 
questa  proporzione,  e  nessuno  fa  conto  di  quel  che  gli  manca, 
ma  di  quello  che  à  di  necessità  ;  e  le  loro  necessità  sono  assai 
minori  che  le  nostre;  e  per  questo  lor  costume  ne  risulta, 
che  non  esce  denaro  del  paese  loro,  sondo  contenti  a  quello 
che  il  lor  paese  produce  ;  e  godono  in  questa  lor  vita  rozza  e 
libera,  e  non  vogliono  ire  alla  guerra  se  tu  non  gli  soprappaghi 

questa  eh*  è  viva  ».  Id.  ibid.,  Lett.  19  :  «  in  fatto  la  Magna  pnò  assai  ;  e  non  ha  se  non  a  volere 
e  da  un*ora  all'altra  può  volere  e  fsre  ».  E  Lett.  20:  «  E  se  mi  fnssi  detto  la  Magna  h 
potente  e  da  un'ora  a  un'altra  può  far  gran  cose,  rispondo  che  questa  potenza  della  Ma- 
gna, Vostre  Signorie  la  sanno  come  me;  e  se  voi  avessi  voluto  starvene  a  questo,  voi  ne 
aresti  commesso  che  io  facessi  ;  ma  volendo  che  io  mi  rapporti  a  quello  che  3i  fa  e  noQ 
a  quello  che  si  potrebbe,  fare*  altra  risoluzione. 

1  Machiavblli,  Convmi».  aU*  Imp,,  Lett.  13:  «  perchè  nella  Magna  è  più  di  una  co- 
munità si  ricca,  che  potrebbe  provvedere  a  molti  più  danari  che  non  ha  bisogno  ».L'He- 
aBWiscH,  Ge8chicht0  der  Regierung  MaximiUans  /,  t.  i.  pag.  79  traduce  il  passo  da  noi 
citato  dei  RUratti  delle  cote  della  Magna  del  M.  e  in  tutto  il  capo  2P  della  sua  storia 
offre  una  bella  pittura  dello  stato  della  Germania  in  quei  tempi.  Tuttavia  nella  narra- 
zione non  cita  la  Commitsione  dei  Vettori  come  sua  fonte  storica,  ma  si  rifa  selo  al  Guic- 
ciardini, non  essendogli  quella  accessibile  a*  tempi  in  cui  scrisse. 

*  n  QoiRiNi,  loc.  cit.:  «  Vivono  tutti  i  principi  abbondantemente,  e  più  etmautnana 
nella  gola  che  in  altro.  Vestono  miseramente,  né  usano  troppa  pompa  nella  famiglia  ».  " 
*  I  Gentiluomini  hanno  tutti  per  costume  abitar  in  qualche  castello  fuori  delle  città,  ovvero 
in  corte  di  qualche  principe,  ovvero  tra  monti  in  lochi  solitari.  Vivono  e  vestono  misera'^ 
mente,  e  sono  poveri,  inimici  de'cittadini,  e  tanto  superbi  che  per  ninna  cosa  del  mondo  si 
apparentariano  con  chi  facesse  mercatanzia,  e  né  pur  si  degneriano  praticar  insieme  con 
loro  »....  «  I  cittadini  delle  terre  franche  sono  tutti  mercatanti,  vivono  abbondantementOi 
«  vestono  male,  ancora  che  tra  loro  vi  siano  de'ricchi  assai  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]    mire  pratiche  E  PRECONCETTI  CLASSICI  DI  NICCOLO'.  423 

e  questo  anco  non  gli  basterebbe  se  le  comunità  non  gli  coman- 
dassino>.  ^ 

Da  tutta  questa  maniera  di  descrizione  apparisce  come  gran 
parte  di  quel  magnificare  che  fa  il  Machiavelli,  la  vita  rozza 
e  libera,  le  necessità  del  popolo  tedesco  assai  minori  che  le 
nostre,  sia  da  attribuire  a  un'occasione  tolta  dall'irritato 
sentimento  di  lui  per  ferire  col  contrapposto  i  costumi  artificiosi, 
le  abitudini  spenderecce,  i  raffinamenti  d'un  lusso,  non  infre- 
nabile per  leggi  suntuarie,  di  Firenze  e  d'Italia;  opponendo  a 
tutto  ciò  la  sordida  grettezza  di  chi  si  spende  addosso  due  fio- 
rini in  dieci  anni,  e  nell'angustia  delle  cose  proprio  indispensa- 
bili alla  vita  riduce  fieramente  le  necessità  sue.  Ma  questa  è 
pretta  esagerazione,  simile  a  quella  di  quei  moralisti  i  quali 
non  avendo  molta  fiducia  né  alla  efficacia  della  propria  persua- 
•  siva,  né  alla  virtù  o  all'  intelletto  di  coloro  cui  predicano,  si 
affannano  a  mettere  scrupoli  al  posto  della  coscienza- 

Se  non  che  il  fatto  rilevante  è  questo,  che  il  primo  accenno 
del  Machiavelli  a  principi  e  teoriche  di  politica  economia  ap- 
parisce primieramente  all'occasione  di  questa  sua  commissione 
in  Germania  e  nei  Rapporti  e  Ritratti  che  ci  tramandò  di  essa. 
Naturalmente  quei  principi  e  quelle  teoriche  ei  non  l'enuncia, 
come  colui  che  conosce  abbastanza  gli  uomini  in  genere  e  la 
particolare  condizione  sua  in  ispecie,  per  intendere  che  a  lui 

^  Nei  Ritratti  delle  cose  della  Magna,  scritti,  come  già  dicemmo,  circa  il  1512,  il  Ma- 
chiavelli aggiunge  particolari  che  meglio  indicano  i  preconcetti  pratici  che  lo  scrittore  ebbe 
in  vista  neirordinare  questo  componimento  e  l'influsso  dell'antichità  classica  che  operava 
sn  Ini.  Cosi,  a  cagion  d'esempio,  nell* intensione  di  meglio  accreditare,  coll'esempio  tolto  di 
Grermania,  V  istituzione  delle  milizie  fiorentine  e  Tosservanza  dell'ordinanza  sua,  soggiunge  : 
«  Tengono  gli  uomini  loro  armati  ed  esercitati,  e  i  giorni  delle  feste  tali  uomini,  in  cambio 
di  giuochi,  chi  si  esercita  con  lo  scoppietto,  chi  con  la  picca,  e  chi  con  un  arma  e  chi  con 
un'altra,  giocando  tra  loro  onori  e  simili  cose.  I  quali  intra  loro  poi  godono  in  salari!,  et 
in  altre  cose  spendono  poco.  Talmente  che  ogni  comunità  si  trova  in  pubblico  ricca  ».  Chi 
non  intravvede  poi  in  quest'ultimo  inciso  un'allusione  chiarissima  alla  sentenza  (Sallust.. 
Bellum  Catilin.:  «  prò  his  nos  habemus  luxuriam  atque  avaritiam,  publico  egestatem, 
privatim  opulentiam  ».  Similmente,  ove  toma  sulla  cura  che  i  Tedeschi  mettono  a  esclu- 
dere il  più  che  possano  ogni  importazione  di  merci  per  non  far  uscire  danaro  dal  paese  ; 
anzi  a  fame  entrare  di  quel  di  coloro  che  cercano  «  delle  loro  robe  lavorate  manual- 
mente »,  è  evidente  accenno  al  passo  di  Cesare,  (De  bello  gallico,  lib.  iv,  cap.  2;:  «  Mer- 
catoribus  est  ad  eos  aditus,  magis  eo,  ut  quae  bello  caeperint,  quibus  vendant  babeant, 
quam  quo  ullam  rem  ad  se  importar!  desiderent.  Quin  etiam  jumentis,  quibus  maxima 
Gallia  delectatur,  quaeque  impenso  parant  pretio.  Germani  importatis  non  utuntur;  sed  quae 
tunt  apud  eos  nata,  prava  atque  deformia,  haec  quotidiana  exercitatione  summi  ut  sint 
laboris,  elflciunt  ».  In  genere  può  dirsi  che  né  nel  Rapporto^  né  nei  Ritratti  della  Magna 
si  trovi  veran  richiamo  della  Qermania  di  Tacito.  È  poi  notevole  il  seguente  passo  del 
PuFBNDORP,  De  Statu  Imp.  German.,  cap.  vii.  per  quel  che  potò  valere,  secondo  la  di- 
versa ragion  dei  tempi,  rafferroazione  di  Cesare  e  quella  del  Machiavelli  :  «  Et  quibus 
aliunde  importatis  utitur  (Germania)  vel  eorum  quae  exportantur  copiam  non  excedunt, 
vel  talia  sunt,  ut  facile  iis  carerò  possint  Germani,  si  luxuriam  compescere,  aut  socor- 
diam  ineptiamque  nossent  exuere  ». 


Digitized  by 


Google 


-484  CAPO  QUINTO.  [libbo 

non  conviensi  metter  fuori  dottrine  o  consigli  ;  ma  suole  questi 
e  quelle  adombrare  e,  per  cosi  dire,  incorporare  ne'  fatti  per 
modo  ch'egli  ottiene  facilmente  che  si  rilevino,  e  che  chi  inav- 
vertito ne  sugge,  volentieri  se  ne  imbeva,  e  li  caldeggi  poi  come 
indovinamenti  e  trovati  propri  e  li  ponga  in  opera,  o  raccolga 
in  essi  un'altra  conferma  dell'opinione  sua.  Che  anzi  Niccolò 
si  guarda  puranche  di  allegarli  come  indubitabili  o  di  tenersi 
responsabile  dell'osservazione  di  essi,  ma  di  soprappiù  dichiara 
che  le  cose  che  dice,  non  le  dà  «  come  ragionevoli  e  vere,  ma 
come  cose  udite  >.  '  Ora,  a  noi  non  è  dato  determinare  se  la  ca- 
gione di  questo  primo  accenno  sia  a  riconoscere  nel  termine 
di  ragguaglio  che  il  segretario  incontra  primieramente  fra  le 
condizioni  commerciali  ed  economiche  della  Germania  e  quelle  del 
suo  paese,  termine  di  ragguaglio  che  forse  eragli  precedentemente 
mancato  ;  o  se  siano  pregiudizi  paesani  o  preconcetti  suoi,  cui 
procaccia  a  questa  guisa  uno  sfogo  occasionale.  Egli  vede  il 
grande  risparmio  che  alle  finanze  delle  comunità  germaniche 
è  recato  dal  non  dover  queste  spendere  in  pagar  mercenari  od 
eserciti  stanziali  ;  e  il  restitutore  della  milizia  statuale  di  Firenze 
gode  che  questo  vantaggio  possa  collocar  la  rinnovellata  istitu- 
zione sempre  in  più  certa  luce.  Egli  osserva  la  grande  utilità 
che  deriva  all'industria  tedesca  dal  lieve  costo  dei  salari;  il 
guadagno  maggiore  che  in  Germania  traggono  gì'  industriali  da 
ciò  che  il  forte  che  proviene  loro  nelle  mani  è  delle  fatture  e 
opere  di  mano,  con  poco  capitale  loro  d'altre  robe  ;  vede  come 
di  questi  loro  manufatti  «quasi  condiscono  tutta  Italia»;*  e  vede 
Italia  e  la  sua  Firenze  soprattutto  intenta  già  da  parecchio  a 
guardarsi  dai  «  molti  forestieri  di  più  regioni  i  quali  si  chiamano 
Lombardi  »,  che  le  mettono  paura  di  staccare  tutto  il  danaro 
dalla  città  e  dal  paese  ;  ^  e  come  colui  che  riguarda  lo  stato  se- 
condo il  concetto  che  ne  rendeva  l'antica  civiltà  classica,  è 
naturalmente  tratto  a  farsi  eco  di  quelle  dottrine  economiche 
tutelanti  e  proibitive  che  già  circa  la  seconda  metà  del  secolo 
decimoquinto  avevano  preso  in  Firenze  gagliardamente  ad  agitarsi 
contro  chi  sosteneva  la  libertà  e  la  spontaneità  de' commerci.-* 

1  Machiavelli,  Rapporto  della  Magna,  ediz.  ult.  pag.  316. 
■  Machiavelli.  Ritraiti  delle  cose  della  Magna. 

*  PoBLMANN,  Dia  Wirlhtchaftspolitih  der  Florentiner  Renaissance  und  das  Princip 
der  Verkehrsfreiheit,  Lipsia,  1873,  App.  iv,  pag.  150. 

*  PoBLMANN,  op.  Cìt, Introdui.,  pag.  vii:  <  ....aobegegnen  wir  allerdingsindarswetten 
H&lfte  dea  15  Jahrhanderts  sehr  wìchtigen  Fortschritten  ira  Siane  moderner  Freiheit,  «a- 
dererseits  zeigt  sich  jodoch  anch  wieder  auf  verschiadenen  Oebieten  der  Wolkswirthachaft 
ein  Abfall  von  einar  frilheren  liberaleren  Praxis  oder  eine  Verach&rfung  der  bereita  vorhan* 


Digitized  by 


Google 


teKCONDo]         PRIMI  ACCENNI  A  POLITICA  COMMERCIALE  NEL  M.  425 

Forse  il  Machiavelli  per  pregiudizio  d'amor  patrio,  stimolato 
dal  contatto  collo  straniero,  ripensa  ed  applaude  a  quelle  mi- 
sure legislative  per  cui  i  consoli  di  mare  in  Firenze  vennero 
già  nel  1423  incaricati  di  studiar  le  fondamenta  del  fiorire  e 
del  languir  dell'  industrie  e  d' introdurre  nel  paese  i  mestieri 
che  non  vi  s'esercitavano,  col  fine  di  non  mandar  danaro  fuori 
di  quella  provincia;  né  la  cattiva  prova  fatta  dei  dazi  di  pro- 
tezione sull'introduzione  dell'armi  e  degli  allumi  era  bastata  a 
far  aprir  gli  occhi  agl'illusi;  anzi  pare  che  il  Machiavelli  colle 
opinioni  insinuate  in  questo  suo  Rapporto  della  Magna,  tenda 
quasi  ad  afibrzare  «  il  consiglio  di  quei  savi  »  -  così  almeno  si 
chiamavano  da  sé  stessi  -  i  quali  «  inducti  maxime  per  la  expe- 
r lentia  de'  perpignani  »  ^  credevano  provvedere  allo  sviluppo 
delle  belle  e  copiose  merci  indigene,  «  prohibendo  le  forestiere 
e  strignendo  l'arte  a  farne  a  sufficienza».*  Ma  d'altra  parte 
non  è  cosa  agevole  (ed  esempi  anche  posteriori  al  Machiavelli 
lo  anno  dimostrato)  che  un  grande  politico  senta  il  concetto 
dello  stato  in  tutta  l'intensità  s-ua,  cerchi  d'estrinsecarlo  nella 
forma  più  lata  secondo  l'impulso  nazionale,  e  non  dia  nello 
sdrucciolo  di  teorie  economiche  proteggitrici  e  proibitive. 

Se  non  che,  il  pregio  essenziale  del  Rapporto  della  Magna, 
il  pregio  che  malgrado  i  preconcetti  subbiettivì  e  personali  à 
procacciato  a  questa  scrittura  del  segretario  fiorentino  l'am- 
mirazione de' posteri  è  la  diagnosi  sicura  ch'ei  fa  di  quella 
condizione  politica  che  infirmava  la  vigoria  e  l'abbondevolezza 
della  Germania;  che  non  lasciava  risentire  nulla  di  quella  pro- 
sperità, di  quella  potenza  né  all'  imperatore  né  all'  impero  ;  che 
inchiodava  con  ordini  viziosi  la  virtù  natia  del  popolo  e  ad  ogni 
forza  opponeva  una  resistenza  che  elide  od  estenua.  —  «  Gli 
Svizzeri  sono  inimicati  da  tutta  la  Magna,  le  Communità  dai 
principi,  ed  i  principi  dall'Imperatore  ». —  I  principati  temporali 

danen,  aof  Beschrfinkoiig  nnd  Beformandung  gerichteten  Tendenzen.  ~  Ibid.,  pag.  103, 
ÌOi,  ~  Ibid.,  pag.  199,  dopo  aver  recato  in  meuo  la  sentenxa  del  B5ckh,  StcMUhaushaltung 
der  Athener,  i,  74,  in  cai  alferma  che  neirantichità  «  aller  Verkehr  und  Handel  aia  bedingt 
darch  den  Staatenvereine  betrachtet  wurde  »,  aggiunge  :  «  Es  ist  derselbe  Standpunkt,  der 
als  roaassgebend  fUr  die  Theorie  derZeit  in  Machiayelli's  yolkswirthschaftlichen  Anschau- 
ungen  tiervortritt  und  der  aneli  in  der  Praxis  den  sch&rfsten  Ausdruck  in  jener  ftlr  die 
>virth8chaftliche  Existenz  dee  Individuums  nnter  Umstiinden  geradesu  vemichtenden  Rflck- 
Bichtslosigkett  gefunden  hat,  mit  weìcher  Florena  und  der  Staat  der  Renaissance  Uberhaopt 
daa  òkonomische  Interesse  der  Einselnen  den  Gesichtspunkten  der  Staatsraison  untervarf  ». 

^  Perpignani  dicevansi,  dal  luogo  ove  si  fabbricavano,  certa  specie  di  pannilani  ordi- 
nari ma  sottili. 

■  Arch.  riform.,  Provvisioni  (1487  st.  fior.)  mn.  179,  fol.  164.  —  Cf.  Pohlmanm,  Die 
WbthschafUpoUtik  Aer  Plùrentiner  Renaissance  und  das  Prineip  der  Ver^hrsfireiheU, 
pag.  109  in  nota. 


Digitized  by 


Google 


426  CAPO  QUINTO.  [libko 

sono  assottigliati  dalla  successione  ereditaria  che  gli  scompar-* 
tisce;  e  questi  e  gli  ecclesiastici  vengono  poi  abbassati  dal* 
r  imperatore  che  contro  a  loro  favorisce  i  comuni  «  in  modo 
che  gli  arcivescovi  elettori,  e  altri  simili,  non  possono  nulla 
nelle  comunità  grosse  proprie  ».  Queste,  franche  o  imperiali  che 
siano,  delle  libertà  loro  gelose,  e  non  punto  sollecite  d'accre- 
scimento, «  quello  che  non  desiderano  per  loro,  non  si  curano 
che  altri  lo  abbia».  — Però  a  soccorrere  l'Imperatore  quando 
è  in  bisogno  e  ad  esse  fa  appello,  o  sono  lente  o  «  lo  pagano 
di  diete  ».  —  Di  soprappiù:  *  par  forse  cosa  strana  a  dire  che 
gli  Svizzeri  e  le  comunità  siano  inimiche,  tendendo  ciasche* 
dune  di  loro  ad  un  medesimo  segno  di  salvare  la  libertà  e 
guardarsi  dai  principi;  ma  questa  lor  disunione  nasce,  perchè 
gli  Svizzeri,  non  solamente  sono  inimici  ai  principi  come  le 
comunità,  ma  eziandio  sono  inimici  ai  gentiluomini;  perchè  nel 
paese  loro  non  è  dell'una,  né  dell'altra  spezie,  e  godonsi  senza 
distinzione  veruna  d'uomini,  fuor  di  quelli  che  seggono  nei 
magistrati,  una  libera  libertà». ^ 

Ecco  l'impero:  a  questa  guisa  Niccolò  coll'occhio  sagace 
d'esperto  meccanico  afferra  rapidamente  il  congegno  intricatis- 
simo, il  complicato  scattare  di  grappi  e  rattenute  che  infre- 
nano e  difficultano  il  moto  politico  della  grande  Germania* 
Niccolò  vede  lo  sperpero  delle  forze  onde  risulta  rumore  ed 
ineflScacia  d'opera  nell'  imperiale  compagine  ;  «  rumor  de  pigne 
vote  »  come  in  Italia  si  giudicava,  secondo  gli  effetti.  ^  Ma  argu- 
tamente risalendo  alle  cause  il  Machiavelli  scopre  come  ivi 
ogni  impulso  s'abbatte  a  una  reluttanza,  dimostrando  l'antitesi 
fatale  che  è  fra  la  tempra  del  popolo  tedesco,  e  l'istituzione 
che  esso  non  può  rigettare,  che  è  costretto  a  risguardare  come 
un  diritto,  come  un  privilegio,  come  una  gloria  per  cui  è  inchio- 
dato al  passato;  ma  che  per  nulla  non  si  riscontra  colla  qualità 
del  genio  suo  nazionale.  Pertanto  una  cosa  è  naturalmente  la 
forte  e  ricca  Germania;  un'altra  artifìziosa  e  fiacca  V  Impero, 
di  cui  la  nazione  ad  un  tempo  teme  e  disdegna  esser  vittima  e 
non  può  esser  arbitra.  A  questa  conclusione  i  Veneziani,  accorti 
ed  interessati  a  tener  gli  occhi  indagatori  sulla  potenza  che 
stava  loro  a'  confini,  erano  venuti  prima  del  Machiavelli,  o  per 
lo  meno  insieme  con  lui  ;  ma  il  Machiavelli  à  il  merito  d'aver 

i  Macbuvblli,  Rapp.  cit.,  Cf.  Discorsi^  \\h.  2,  e.  xix. 

•  et.  Archivio  storico  iul.,  ser.  i",  App.   11",  pag.  279,  Noliiia  d' iBabella   Estense» 
doc.  L,  Lettera  di  Oirolamo  eremita  al  marchete  di  Mantova,  Roma,  21  aprila  1506. 


Digitized  by 


Google 


BBCOKDO]  COMICO  RITRATTO  DI  MASSIMILIANO,  427 

preceduto  colla  sua  disamina  il  Pufendorf  ;  e  forse,  poiché  il 
Rapporto  della  Magna  comparve  alla  luce  quando  ancora  le 
«  Relazioni  venete  »  si  guardavano  gelosamente  negli  archivi 
della  repubblica,  forse  à  anche  quello  d'aver  ispirato  all'  illustre 
giurista  sassone  il  libretto  famoso  in  cui  questi,  simulando 
nome  e  indole  italiana,  discute  la  natura  del  cosidetto  romano 
impero,  vi  riconosce  tutti  i  danni  d'una  mal  ordinata  monar- 
chia e  d'un  confuso  sistema  federativo.  * 

Ma  passando  poi  dall'  indagine  delle  cose  allo  studio  delle 
qualità  personali  dell'Imperatore,  il  Machiav/elli  ci  porge  tal 
dipintura  della  persona  di  Massimiliano  da  far  contrapposto 
bizzarro  coli'  impressione  che  si  ritrae  da  quella  specie  d'auto- 
biografia leggendaria  del  giovane  e  saggio  re  (Weiss  Kunig)\ 
quasi  a  una  bisantina  immagine  di  santo,  goffa  e  maestosa 
insieme  nella  paurosa  immobilità  che  non  pare  umana,  si 
metta  a  fronte  un  ritratto  fiammingo,  condotto  con  quella  mi- 
nuta ironia  di  particolari  che  pur  nell'aspetto  d'un  grande, 
studia  s' intravegga  l'animalesco  della  vita  comune  degli  uomini. 
Ed  aggiungasi  inoltre  che  il  Machiavelli  non  risguarda  punto 
per  un  grand' uomo  Massimiliano  ;  anzi  poiché  questi  gli  offre, 
come  vedemmo,  un  addentellato  alla  formazione  e  alla  mani- 
festazione delle  sue  paradossali  idealità  politiche,  ne  lo  fa  vit- 
tima, come  è  naturale,  dando  rilievo  ed  efficacia  comica  a'  tratti 
che  disegna  di  lui,  non  già  falsamente,  ma  si  rischiarandoli 
di  luce  artificiale,  piuttosto  che  esagerandoli.  Cosi  che  se  nella 
romanzesca  narrazione  sopraccitata*  il  giovane  e  saggio  re  sa 

^  Lo  scritto  «  dtf  Stalu  Imperii  germanici  »  di  Samuele  Pufbndobf,  sotto  il  pseu- 
donimo di  «  Severinus  da  Monzambano  »  e  colla  falsa  data  «  Veronae  apad  Franciacum 
Oitilimn  1667  »  usci  a,  Ginevra  in  questo  anno  medesimo  ;  e  malgrado  le  proibizioni  delle  au- 
torità civili  ed  ecclesiastiche  ottenne  diffusione  immensa.  Secondo  il  Moskr  {Biblioth, 
jur.  pubb.  pag.  552)  se  ne  ristamparono  oltre  a  trecentomila  esemplari  in  Germania,  e 
Inattenzione  dell*  Europa  intera  ebbe  ad  esseme  attratta.  Cf.  Bluntschli,  0eschicht9  de$ 
àUgemeinen  Staatsrechta  und  der  Polililt,  Monaco,  18d7,  pag.  HO  e  seg.—  La  falsa  daU 
da  una  città  d*  Italia  ò  apposta  airopuscolo  del  Pufendorf  con  finissimo  sentimento  del- 
Topportunità,  e  lascia  sospettare,  per  questo  fatto  medesimo,  che  probabilmente  allo  scrit- 
tore stava  dinnanzi  la  memoria  dello  scritto  del  Machiavelli,  per  cui  in  Italia  erasi  reso 
agevole  anche  dopo  Carlo  V,  e  la  guerra  dei  trentanni,  far  buon  computo  delle  forze  e 
delle  infermità  dell'Impero. 

*  Marx,  TRxrrzsADBWBTN,  Der  Weiss  Kunig,  eine  Erxehlung  icon  den  Thaten  Kaiser 
McueimUian  des  Ersten^  pag.  59-9S,  passim.  «  Wie  der  Yung  Weiss  Kunig  aus  aigner  be- 
wegung  lemt  schreiben  — lemnt....die  sieben  freyen  Kunst....dieKunst  des  stemsehens.... 
die  Schwartzkunst....  in  der  Ertzeney  lemt,...  die  handlung  des  secretariambts,...  vindisch 
und  behamisch,...  malen.. ..  musica  und  Saytenspil,...  in  der  Muntz  lernt,...  wie  der  yung 
Weiss  Kunig  kUnstlich  was  mit  der  Artalerey  ».  —  E  conforme  al  giudizio  del  Machia- 
yelli,  nel  Sunto  della  Relazione  di  Vincenzo  Quirini  che  dà  il  Sanudo,  Diarii,  vn,  199,  più 
incisivo  che  non  Toriginale  deirambasciatore  :  «  Massimiliano  da  49  a  50  anni,  buono,  vir- 
tuoso, religioso,  forte,  liberale,  quasi  prodigo,  adeo  tutti  l'ama,  ma  manca  di  pradenzia, 
non  ha  buon  judicio,  va  continue  a  cazza,  à  gran  fantasia  con  Pranza  ».  E  il  CoNTARiNr, 


Digitized  by 


Google 


'  423  CAPO  QUINTO.  [libro 

tutto,  impara  tutto,  cominciando  dalle  sette  arti  liberali,  dal- 
Vastrologia,  dalla  medicina  e  terminando  all'arte  notaria,  al- 
l'artiglieria ed  a  quella  anche  più  nera  della  magia,  tanto 
ch'ei  sembra  che  né  cielo,  né  terra  possan  bastare  a  tendere  un 
calappio,  un  tranello  a  questo  mitico  tipo  d' imperatore  ;  Nic- 
colò lo  rappresenta  invece  come  uomo  «  la  cui  fàcile  e  buona 
natura  fa  che  ciascuno  ch'egli  à  d' intorno  lo  inganna.  Ed  àmmi 
detto  uno  de'  suoi,  che  ogni  uomo  ed  ogni  cosa  lo  può  ingan- 
nare una  volta  avveduto  che  se  n'è  ;  ma  son  tanti  gli  uomini 
e  tante  le  cose,  che  gli  può  toccare  d'essere  ingannato  ogni 
di,  quando  e'  se  ne  avvedesse  sempre  ». 

Queir  «  un  de'  suoi  »  che  il  Machiavelli  allega  in  questo 
caso,  è  probabilmente  il  medesimo  vescovo  Luca  Rainaldi,  che 
altra  volta  espressamente  cita,  chiamandolo  alla  maniera  ve- 
neziana «pre'Luca>,  come  uno  dei  primi  che  Massimiliano 
adopera  ;  sulla  bocca  del  quale  mette  quest'altra  specie  di  rag- 
guagli. —  «  L' Imperatore  non  chiede  consiglio  a  persona,  ed 
è  consigliato  da  ciascuno  ;  vuol  fare  ogni  cosa  da  sé,  e  nulla  fa 
a  suo  modo,^  perchè  non  ostante  che  non  iscuopra  mai  i  suoi 
segreti  ad  alcuno  sponte,  come  la  materia  gli  scuopre  lui  è 
svolto  da  quelli  ch'egli  à  intorno  e  ritirato  da  quel  suo  primo 
ordine  ;  e  queste  due  parti  la  liberalità  e  la  facilità  che  lo 
fanno  laudare  a  molti  sono  quelle  lo  minano  ». 

Ciò  posto,  agli  oratori  fiorentini  non  restava  che  fare  bilancio 
delle  contradizioni  che  un  tale  stato  di  cose  e  una  simil  natura 
di  uomo  metteva  loro  dinnanzi  :  Massimiliano  è  ricchissimo  del 
suo  particolare,  «  gli  stati  suoi  gli  danno  d'entrata  seicento 
mila  fiorini  senza  porre  dazio  alcuno;  cento  mila  fiorini  gli 
vale  l'uflSzio  imperiale.*  Questa  entrata  è  tutta  sua  e  non  Vk 
di  necessità  obbligata  ad  alcuna  spesa,  perch'  ei  non  tiene  gente 
d'arme,  non  paga  guardie  di  fortezze,  né  ufficiali  delle  terre, 
perché  i  gentiluomini  del  paese  stanno  armati  a  sua  posta,  le 

Relax,  ne*  Diarii  del  Sanudo  (t.  y,  col.  003)  :  «  E  in  li  Stadi  di  Germania  non  he  robellion 
come  in  Italia,  tuttavia  non  amano  esso  rè  de*  romani.  EI  qual  re  à  bone  parte,  è  reli- 
gioso, libéralissimo,  human,  gajardo,  sa  tutte  le  lengue,  ecc.,  ma  non  sta  fermo  in  una 
conclusione  ». 

>  Pertanto  con  accorta  e  bassissima  adulazione  Fr.  Medulla,  oratore  del  re  cristianis- 
simo gli  dà  la  soia  scrivendogli  a*  10  mano  1510:  «  Non  desunt,  Cassar,  tibi  qui  etsciant 
et  velint  amplitudinem  Caesareae  Majestatis  Vestrae  ;  sed  ego  rogo  te,  Caesar,  placeat  te 
ipsum  videro,  te  ipsum  comparare  et  tuae  Majestati  per  te  ipsum  consulere.  Aliom  qui  tibi 
melius,  quam  tu  ipso,  consulat,  habes,  Caesar,  profecto  nemmem  ».  Chmel,  Urkwndef  Briafe 
und  Aeténsiueké  sur  OBteMehte  Mase*»  I  und  ieiner  Zeit,  nella  Bibk  d0S  Uterar.  Ver^lm, 
Stuttgart.  X,  pag.469. 

*  Macuuvblu,  loc.  cit.,  pag.  316. 


Digitized  by 


Google 


SKCONDO]  COMICO  RITRATTO  DI  MASSIMILIANO,  4» 

fortezze  le  guarda  il  paese,  e  le  terre  anno  i  loro  borgomastri 
che  fanno  loro  ragione  ».  Ma  quelle  sue  ricchezze  gli  sfumano 
nelle  mani  ;  que'  gentiluomini  armati  a  sua  posta  non  lo  ser- 
vono, perchè  egli  à  il  principale  suo  odio  contro  a'  principi  ; 
e  questi,  quand'anche  non  gli  facciano  opposizione  nimicandolo, 
lo  ritengono  col  non  aiutarlo  :  «  quelli  che  non  ardiscono  fargli 
guerra,  ardiscono  negargli  gli  aiuti  ;  e  chi  non  ardisce  negar- 
gliene, à  ardire,  promesso  ch'egli  n'à,  di  non  gli  osservare; 
e  chi  non  ardisce  ancora  questo,  ardisce  ancora  di  differirli,  ' 
in  modo  che  non  siano  in  tempo  che  se  ne  vaglia».  Né  le  città 
sono  punto  invogliate  di  conquiste,  poiché  «  le  comunità  sanno 
che  l'acquisto  d' Italia  sarebbe  pe'  principi  e  non  per  loro,  po- 
tendo questi  venire  a  godere  personalmente  i  paesi  d'Italia, 
e  non  loro  ;  e  dove  il  premio  abbia  ad  essere  ineguale,  gli 
uomini  mal  volentieri  egualmente  spendono.  I  fanti  poi  ch'egli 
accozza  da  Austria  e  Cruatia,  per  non  aver  danari  stanno  due 
dì,  e  poi  se  ne  vanno  ».  ^  Però,  se  ogni  moto  dell'imperatore  ri- 
mane contrastato,  dubbio,  inceppato,  difficile;  sarà  forse  per  mo- 
strarsi smisurato  e  spaventevole  quand'ei  pur  riesca  una  volta 
a  determinarsi,  «perchè  i  bisogni  a  Massimiliano  sono  per  cre- 
scere colla  vittoria  »  e  non  mutando  lui  modi  «  se  le  f rondi 
degli  alberi  d'Italia  gli  diventassero  ducati,  non  gli  baste- 
rebbero ». 

Questa  previsione  terribile  mette  la.  febbre  addosso  ai  due 
mandatari  fiorentini  i  quali,  mentre  osservano  a  che  lievi  fila 
di  contingenze  è  appiccata  la  sorte  della  loro  città  e  della  loro 
patria,  mentre  sentono  che  la  pratica  loro  non  giova  e  non 
basta  governarla  colla  sola  prudenza,  veggon  d'altronde  che 
a  Firenze,  da  quei  che  son  discosti,  tutto  si  pretenderebbe  mi- 
surar colle  seste  e  a  braccia  piccole,  e  nelle  commissioni  che 
mandano,  «  filano  tele  si  sottili  che  è  impossibile  tesserle  ».2 
Frattanto  non  v'  è  risoluzione  accorta  che  dalle  probabilità  degli 
avvenimenti  non  venga  giustificata  e  schernita  a  breve  inter- 
vallo: tanto  in  politica  è  insufficiente  virtù  la  prudenza  sola. 
Anton  da  Venafro,  Pandolfo  Petrucci,  Siena  parvero  bene 
assicurati  con  quel  loro  primo  accomodamento  di  danaro  ;  ^  e 

*  Machiavelli,  Comm.  cit.,  lett.  20. 

*  Machiavelli,  Comtniss.  aU'Imp.,  Lett.  20.  —  Ibid.  Lett.  6:  «  II  Lango  oggi  mi  disse 
che  voi  eri  volati  essere  troppo  prudenti  e  mai  non  avevi  voluto  credere  la  passata  del- 
r  Imperatore  ».  —  Cf.  anche  Lett.  21. 

<  Machiavelli,  Rapporto  della  Magna,  ediz.  cit.,  pag.  317:  «  molti  giudicavano  savi 
coloro  che  penavano  più  a  dargli  danari  la  prima  volta,  perchò  eglino  non  avevano  a  pe- 


Digitized  by 


Google 


430  CAPO  QUINTO.  [libeo 

poco  tempo  dopo,  il  Machiavelli  dee  convincersi  che  e  quanto 
si  desse  e  quanto  si  fosse  già  dato  non  era  per  esimere  dalla 
necessità  di  arrendersi  a  nuove  e  più  gravose  requisizioni.  Che  se 
r  imperatore  prometteva,  obbligandosi,  «  quod  non  possit  petere 
aliam  summam  pecuniarum»,  voleva  che  innanzi  a  petere  si 
mettesse  jure,  per  aver  sempre  campo  di  chiedere  a  prestito, 
quando  gli  piacesse  o  n'avesse  d'uopo,  e  non  avesse  altra  azione.  ^ 
Pertanto  sempre  in  nome  del  Vettori,  Niccolò  Machiavelli- 
scriveva  ai  Dieci:  «  Vostre  Signorie  non  si  fidino  punto  di 
questa  commissione  datami,  ma  mi  dieno  nuova  commissione 
e  più  presta  possono,  e  certa,  sanza  mettervi  condizione  al- 
cuna >.  ^ 

Infatti  i  commissari  avevano  avuto  il  mandato  d'offrire  a 
Massimiliano  sino  a  fiorini  cinquantamila,  pel  pagamento  dei 
quali  avevan  facoltà  di  promettere  una  prima  rata  <  quando 
r  Imperatore  fosse  con  l'esercito  nella  prima  città  posta  tutta  in 
Italia».  —  Ma  questa  prima  città,  posta  tutta  in  Italia  poteva 
esser  Trento,  poi  che,  per  quel  che  dicevano  i  paesani  a  que'due 
fiorentini  :  «  Il  confino  intra  Italia  e  Alamagna  era  più  qua 
che  Trento  uno  miglio  >.  ^  Ora  la  condizione  di  pagare  a  Trento 

nare  anche  più  a  dargliene  la  seconda  ».  Cf.  Commiss.  all'Jmp.,  lett.  43.  È  nel  Cortigiano 
del  Castiglionb,  lib.  ii,  cap.  08,  il  seguente  motteggio  a  proposito  di  questo  pagamento 
fatto  da  Siena  all'  Imperatore  :  «  In  Ferrara  ad  un  convito  in  presenza  di  molte  gentildonne 
ritrovandosi  un  fiorentino  ed  un  sanese,  i  quali  per  Io  più,  come  sapete,  sono  nemici;  disse 
il  sanese  per  mordere  11  fiorentino:  noi  abbiam  maritato  Siena  allo  Imperatore,  ed  averoogli 
dato  Fiorenza  in  dota;  -  e  questo  disse,  perche  di  que'di  s*era  ragionato  che  Sanesi  ave- 
van dato  una  certa  quantità  di  danari  allo  Imperatore,  ed  esso  aveva  tolto  la  lor  prote- 
zione. Rispose  subito  il  fiorentino:  Siena  sarà  la  prima  cavalcata  (alla  franzese,  ma  disse 
il  vocabolo  italiano);  poi  la  dote  si  litigherà  a  bell'agio  ». 

>  Machia  VELLI,  loc.  cit.,  pag.  318.  «  Quando  messer  Pagolo  a' di  ventinove  di  mano 
fece  quella  domanda,  io,  spacciato  Francesco  da  lui,  andai  a  trovarlo  col  capitolo  fatto 
della  commissione  vostra  »  ecc.  —  Cf.  Commiss.  all'Imp.  Nella  Lett.,  20.  cita  una  lettera 
dei  Dieci  de'  dì  15  d'aprile  la  quale  «  conteneva  l'avviso  della  ricevuta  della  mia  de*  29  di 
marzo  ».  —  Questa  lettera  dei  29  marzo  1508,  in  cui  era  accennato  l'episodio  tra  Paolo  de 
Lichtenstein  e  il  Machiavelli,  che  questi  introduce  nel  Rapporto  della  Magna,  manca  a 
questa  Commissione  e  non  ritrovasi  nell'Archivio  di  stato  fior. 

>  Id.,  Commissione  dt.,  Lett.  13. 

•  Id.,  ibid.,  Lett.  4»,  Cf.  Vettori,  Viaggio  in^lAlemagna,  pag.  58  «  Trento....  piccola 
città  posta  sull'Adige  ma  molto  abbondante,  perchè  ancora  sia  tra'  monti,  ha  tra  essi  qual- 
che miglio  di  piano  che  produce  assai  grano  e  vino,  e  nei  monti  sta  il  bestiame.  Signore 
della  città  ed  in  temporale  e  spirituale  ò  il  vescovo,  ed  egli  piglia  l'entrata  delle  gabelle 
ed  ogni  altra  cosa.  L'Imperatore,  come  duca  d'Austria  e  conte  di  Tirolo,  vi  mette  un  ca- 
pitano, il  quale  tiene  le  chiavi  delle  porte  e  fa  eleggere  fra  i  canonici  il  vescovo  come 
pare  a  lui,  perchè  sempre  lo  vuole  confidente,  perchè  il  loco  è  di  grande  importanza  in  svi 
confine  d'Italia  e  della  Magna,  benché  sia  posto  in  Italia,  perchè  il  fiume  del  Lavis,  di  là 
da  Trento  cinquanta  miglia,  divide  l' Italia  dall'Alemagna,  secondo  dicono  quelli  del  paese  » 
—  Cf.  Jani  Pthrbi  Pinoii  Maktuami,  De  origine  urbis  Trid.^  Mantuae,  1546:  «  Volunt 
nonnulli  Bjlgianum,  quod  distat  Tridento  circiter  quinque  supra  trìginta  millia  passuum 
ad  Athesim  oppidum,  qua  in  diversas  Germaniae  partes  iter  est,  inter  utramque  nationem 
medium  esse,  ibique  terminari  Italiam,  moti  his  rationibus,  vel  potine  coniecturis,  quod 
ejus  loci  indigenae  Germano  atuntur  idiomate,  inde  vero  Tridentum  usque,  quae  habitant 


Digitized  by 


Google 


HBCONDo]      L'IMPERATORE  «  MAOIS  NOMEN  QUAM  PRAESIDIUM  ».  431 

poteva  essere  doppiamente  pericolosa:  prima  di  tutto  perchè 
l'andare  coU'esercito  sino  a  Trento  non  avrebbe  punto  dimo- 
strato che  Massimiliano  sarebbe  di  certo  passato  più  oltre  in 
Italia  ;  e  in  secondo  luogo  perchè  per  entrare  in  Italia,  quando 
gli  riuscisse,  aveva  tre  altre  strade,  <  o  per  il  Friuli,  o  per 
la  Valtellina,  o  per  via  di  Borgogna  >  in  modo  che  facendogli 
questa  offerta  di  Trento,  crederebbe  essere  dileggiato  ».  ^  E  i 
Dieci,  a  raccomandarsi  subito  specialmente  per  quella  prima 
ragione,  che  il  pagamento  «  non  si  abbi  a  fare  a  Trento,  ma  in 
una  città  d'Italia  che  non  sia  posseduta  dall'Imperatore»:^ 
tanto  fluttuavano  incerte  le  cagioni  di  decidere  e  cosi  spesso 
cangiava  la  marea. 

Similmente  quando  Massimiliano,  illuso  sino  al  punto  di 
credere  che  «  in  Italia  non  fiabebat  amicos  praeier  Venetos  »  ^ 
cerca  gratuirsi  costoro  coli'  invio  di  araldi  e  di  messaggi,*  senza 
staccar  mai  le  pratiche,  senza  smettere  uffici,  pare  prudenza 
de' Veneziani  che  questi  scoprendolo  «tanto  più  debole  quanto 
più  si  gitta  loro  dietro  »  sentano  sempre  più  scemarsi  la  voglia 
dell'  alleanza  sua  «  non  conoscendovi  dentro  alcuna  di  quelle 
cose  perchè  le  compagnie  di  stato  si  fanno,  che  sono  o  per 
esser  difeso,  o  per  paura  di  non  essere  ofieso,  o  per  guadagno  » 
e  vedendo  «  d'entrare  in  una  compagnia,  dove  la  spesa  e  il 
pericolo  era  loro  e  il  guadagno  d'altri  ».  ^ 

E  parve  altresì  prudenza  che  i  Veneziani  resistessero  quando 
l'Imperatore,  scarso  di  partiti,  non  appena  essi  gli  anno  dichia- 
rato di  non  accordargli  il  passaggio  se  non  disarmato,  com'era 


^entes  sermonem  imitentur,  utraque  lingua  immixtum  »;....  «Tridentum  autem  urbem  etsi 
nostra  tempestate  multas  ob  res  inter  Qermaniae  .confÌDia  adnumeretur,  et  Eps  tridenti- 
nus,  uti  ex  Imperli  principibus  unas  tractetur,  veterum  tamen  scriptorum  confessione  in 
Italia  esse,  ut  subsequens  sit,  qui  Tridenti  sunt,  eosdem  et  esse  Italiae  terminos,  sed  bis 
refragatur  multorum  sententia,  qui  disputant  Germanos  a  Latinis  montium  jugis  dividi, 
idque  ex  eo  quod  ipsimet  vidisse  aìBrmant  probatum  iri  volunt  ».  Il  Malfatti  nella  dotta 
Risposta  [Archivio  di  fiM.  romanza  1878,  p.  155),  alla  memoria  dello  Schkbllek  {Deutsche 
und  Romanen  in  Sxid-Tirol  und  Venetien)  cita  il  passo  della  lettera  del  Vettori  ^opra- 
indicato,  ed  osserva:  «sarebbe  stato  veramente  un  cavillo  di  Massimiliano  a  dire  Trento 
città  tutta  in  Italia,  dappoiché  faceva  parte  dell'Impero;  ma  che  cosa  avrebbe  potuto  dar 
colore  di  verità  al  cavillo  se  non  la  lingua,  i  costumi  e  le  tradizioni  degli  abitanti?  » 
»  Id.,  ibid.,  Lett.  13. 

•  Id.,  ibid.,  Lptt.  9. 

>  Machiavelli,  Rapporto  della  Magna^  loc.  cit.,  pag.  313. 

*  Id.,  Comm.  cit.,  Lett.  5  e  11. 

»  Machiavelli,  Rapporto  della  Magna,  Cf.  Diècorsi,  lib.  ii,  cap.  xi  «  si  debbe  notare 
che  le  leghe  si  fanno  co' principi  che  non  abbino  o  comodità  di  aiutarli  per  la  distanzia  del 
sito,  o  forze  di  farlo  per  suo  disordine  o  altra  sua  cagione,  arrecano  più  fama  che  aiuto 
A  coloro  che  se  ne  fidano  »....  «  come  interverrebbe  ancora  a  quel  principe,  che  confidatosi 
di  Maissimiliano  imperatore,  facesse  qualche  impresa,  perchè  questa  è  una  di  quelle  ami- 
cizie che  arrecherebbe  a  chi  la  facesse  magis  nomen,  quam  praesidium  ». 


Digitized  by 


Google 


432  CAPO  QUINTO,  [libbo 

passato  suo  padre,  ^  senza  mettere  tempo  in  mezzo,  gli  assalta. 
Questo  assalto  per  cui  Massimiliano  immaginava 'indurli  a  ricre- 
dersi *  vien  risguardato  come  un  partito  capriccioso  e  fantastico; 
e  già  sembra  che  i  Veneziani  s'oppongano  bene  e  gagliardi,  quasi 
abbiano  certezza  che  le  ferite  recate  all'Imperatore,  la  Ger- 
mania non  le  sente  per  sue  e  non  le  vendica.  Già,  destinato 
a  guardia  del  Friuli  Bartolomeo  d'Alviano,  il  conte  di  Piti- 
gliano  a  custodia  del  veronese,  per  rappresaglia  dell'occupazione 
del  monte  d'Asiago  e  de'  sette  Comuni  sopra  Vicenza  fatta  dai 
Tedeschi,  i  Veneziani  prendono  Pordenone  nel  Friuli,  rompono 
i  fanti  imperiali  a  Cadore,  acquistano  Codroipo,  San  Lorenzo, 
Gorizia,  Trieste;  e  nel  Tirolo,  al  Castel  della  Pietra,  macellano 
mille  e  trecento  fanti  tedeschi  in  modo,  che  appena  trecento 
ne  scampano  e  gli  altri  tutti  difendendosi  muoiono.  ^  Cosi  di  due 
eserciti  dell'Imperatore,  che  contavan  ciascuno  «  meglio  di 
sei  in  settemila  persone  »,  l'uno  è  battuto,  l'altro  è  tenuto  in- 
dietro.^ Massimiliano,  stizzito  di  non  aver  potuto  congiungere 
le  sue  schiere  con  quelle  dell'  elettore  di  Brandenburg,  spaurito 
da  lettere  in  cui  gli  si  ostentano  le  vittorie  di  Venezia,  solle- 
citando aiuti  che  non  poteva  fornire,  s'appiglia  al  solito  espe- 
diente delle  speranze  sue  e  convoca  ad  Ulma  un'altra  dieta, 
confidandosi  che  sia  per  riuscirgli  di  strascinare  almeno  la  lega 
sveva  in  suo  soccorso. 

Ad  Ulma  invita  gli  ambasciatori  delle  potenze  che,  veden- 
dolo più  asciutto,  più  necessitoso,  e  malconcio,  giudicavano  più 
sicuro  stargli  discosto,  senza  punto  credere  che  da  Ulma 
fosse  per  uscir  maggior  risaltato,  che  da  Costanza.  Il  Carvajal, 
col  quale  i  mandatari  fiorentini  eransi  più  confidentemente  ri- 
stretti, perchè,  strumento  di  papa  Giulio,  maneggiava  le  cose 
direttamente  a  danno  dei  Veneziani,  non  si  moveva.  Al  Vettori 
era  sopraggiunta  una  doglia  ad  un  braccio,  si  grande  chegl'im- 


^  Machiavelli,  Comm.  cit.,  Lett.  11,  «  e  facessi  intendere  ad  questa  Maestà,  che  sa 
voleva  passare  come  passò  il  padre,  sarebbe  ricevuto  e  onorato;  quando  altrimenti,  non 
erano  per  riceverlo  ».  —  Cf.  La  risposta  del  Doge  all'ambasciatore  cesareo  Leonardo  Ri- 
naldis  (cod.  mare,  mclxxx)  riportata  dal  Romanin,  op.  cit,  voi.  v,  pag.  181  e  seg.  «  con- 
fortiamo reverentemente  la  Cesarea  Maestà  si  degni,  come  si  conviene  alla  sua  bontà, 
imitando  il  suo  serenissimo  genitore,  andar  a  prender  la  sua  coronazione  pacificamente  e 
non  con  tumulti  bellici  e  strepiti  d'arme  perchè  questo  principaliter  incumbe  alla  sua  su- 
prema dignità,  ecc. 

*  Il  Machiavelli  scrive:  «  credendo  per  avventura  farli  ridire  ».  Le  edizioni  anteriori 
all'ultima  anno:  «  ridere»  (!). 

>  Machiavelli,  Comm.  cU.,  Lett.  16.  Cf.  Egobb,  Geschiehte  Tyrols,  voi.  ii,  pag.  33 
e  segg.  Hegewiscb,  loc.  cit.,  parte  ii,  pag.  89. 

*  Machiavelli,  Comm.  cU ,  Lett  10. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO  J  IL  MACHIA  VELLI  INFERMA.  433 

pediva  lo  stare  a  cavallo»;^  però  pregava  di  licenza  i  suoi 
signori  e  dichiarava  che  se  mai  il  cardinale  fosse  per  recarsi  in 
Svevia,  manderebbe  seco  il  Machiavelli.  Ma  questi  ancora,  o  per 
lo  stimolo  del  clima  montano  cui  era  insueto,  o  per  le  fatiche 
della  vita  randagia  e  cavalchereccia,  in  breve  ebbe  a  infermar 
di  cistite.^  Di  che  prese  sgomento,  e  sospirò  la  patria.  ^  In  tali 
frangenti  i  due  fiorentini  opinarono  che  fosse  meglio  non  se- 
pararsi Tuno  dall'altro,  poiché  oltre  all'essere  mal  andati  della 
salute,  per  trasmettere  o  ricevere  un  avviso  tra  loro  due,  alla 
distanza  di  circa  seicento  miglia,  ^  sarebbe  andato  un  mese;  né 
dappresso  e'  era  probabilità  di  veder  nulla  meglio  che  discosto. 
Intanto  per  intermedio  del  vescovo  di  Trento,  che  avea  vana- 
mente assediato  Riva,  andavasi  apparecchiando  una  tregua  fra 
r  Imperatore  e  i  Veneziani,  i  cui  progressi  spaventavano  anche 
la  fedele  contea  del  Tirolo.  ^ 

Questa  tregua  stava  per  essere  il  cardine  fatale  su  cui  sareb- 
besi  girata  la  fortuna  d' Italia.  Non  poteva  non  esser  accettata 
dall'Imperatore,  cui  necessitava  aver  agio  di  rimpennarsi;  non 
potevano  ricusarla  i  Veneziani,  che  a  lungo  non  avevano  forze 

*  Machiavelli,  Commi».  cU.,  Lett.  16. 

*  Machiavelli,  Ioc.  cit.,  Lett.  20  :  «  A  Niccolò  è  venuto  un  accidente,  che  potrebbe 
riuscire  importante,  e  questi  medici  non  sanno  se  tale  cosa  nasce  da  pietra  o  da  altri  umori 
grossi  che  lo  faccino  orinare  con  gran  difflcultà.  Sarebbesene  venuto  a  curare  di  costà,  se 
le  vie  fussino  aperte  ».  —  Questa  lettera  è  in  data  del  di  30  maggio.  Agli  8  di  giugno  il 
Vettori  aggiunge  :  «  Niccolò  fra  due  o  tre  di  ne  verrà  a  cotesta  volta  per  venire  a  curarsi, 
e  io  non  V  ho  potuto  tenere.  (Ibid.,  Lett.  21)  —  Finalmente  «  die  14  junii  in  Bologna  »  Nic- 
colò ragguaglia  i  Dieci  come  parti  da  Trento  «  Sabato  passato  a* di  10  ....  non  possendo 
venire  presto,  ritenuto  dalla  mala  disposizione  ». 

s  Anche  Giov.  Antonio  Campano  (cf.  Frbher,  Ioc.  cit.,  t.  ii,  pag.  153.  De  ComitiU 
RatisponenSj  anno  i472)  stanco  della  dimora  germanica  esclamava  :  «  O  soles,  o  coeli,  o 
Deorum  domìcilinm  Italia!  quando,  quando?  Paviensis  mi,  hoc  gravissimum  est  nobis, 
carere  Italia  ». 

^  L*edlz.  ultima  reca  con  manifesto  errore  di  stampa:  «per  essere  di  qui  (da  Trento) 
alla  corte  (a  Ulm)  6000  miglia  ».  Di  questa  lettera  de'di  8  di  giugno,  oltr'essere  due  copie 
in  cifra  nell'Arch.  fior.  (ci.  x,  dist.  4,  n.  93,  a  e.  316  e  318),  si  à  anche  (a  e.  324)  il  deci- 
frato di  mano  del  Bonaccobsi.  Quivi  a  pag.  325  si  legge:  «  et  quando  fusai  ito  là  et  Nicolò 
qua  per  esserci  di  qui  alla  corte  sexcentomiglia  harei  penato  un  mese  »,  ecc. 

»  Chmel,  Aìilenitiiclte  etc,  BiU.  der  litter  Ver.,  pag.  300  e  seg.  «  die  6  junii  1508.  Die 
Stathalter  und  Regennten  tu  Innsprugg  der  k.  Mt.  »:  «  Nun  haben  wir.  E.  Kays^  Mt. 
vormals  offt  geschriben,  daz  in  vermilgen  der  grafschafit  Tyrol  nit  ist,  den  zwayen  grossen 
machten,  als  Franckreich  und  Venedig,  sich  enndthalten  und  desshalben  aufs  hochst  er- 
mands  und  ersuecht  daz  sich  E.  Mt.  den  lannden  eylennds  naheru  soli,  und  unns  mit  volkh 
und  gelt  zu  hilff  komen,  haben  auch  E.  Kays  Mt.  daneben  antzaigt,  wie  Oortz,  Portnaw, 
Velgrat,  Wyppach.  Kramann.  Neuburg,  Tibeln,  dnrch  die  Veindt  eingenommen  und  zu  be- 
sorgen,  daz  Triesst  und  Sanndt  veyt  am  Phlaum  (Fiume)  sich  auch  nit  lanng  halten  wur- 
den  ».  —  Cf.  Machiavelli,  Comm.  cit.y  Lett.  28.  «  Né  mi  pare  che  il  contado  di  Tirolo, 
sopra  chi  si  posa  fino  a  questi  in  questa  guerra  sia  sufficiente  contro  alla  voglia  di  Fran- 
cia e  Viniziani,  condurre  costui  in  Italia»....  «Le  cose  della  guerra  di  qua  sono  procedute 
cosi,  ma  dalla  parte  del  Friuli  vostre  Signorie  avranno  inteso  a  quesVora,  come  i  Viniziani 
hanno  tolto  air  Imperatore  Gorizia,  Portonon,  Triesti,  e,  per  dire  in  una  parola,  ciocché 
gli  avea  nel  Friuli  »  —  Circa  l'assedio  di  Fiume,  v.  Lett.  10  e  213. 

Tommasini  -  Machiavelli.  28 


Digitized  by 


Google 


434  CAPO  QUINTO.  ["»«<> 

da  tenere  il  campo,  e  dopo  T  eccidio  alla  Pietra,  sentivan  già 
che  la  Germania  intera  romoreggiava  minacciosa  contro  di  loro 
e  contro  tutta  Italia;  ^  né  vedevano  via  o  verso  alla  loro 
sicurtà  quando  l'Imperatore  riuscisse  mai  a  vincere.^  D'altra 
parte  avevano  addosso  l'alleanza  francese,  grave  a  loro  e  a 
tutti  in  Italia.  Trecento  lance,  seicento  arcieri,  quattromila 
fanti  del  re  cristianissimo  sotto  il  comando  del  Trivulzio  erano 
stati  spediti  insino  ad  Ala  in  loro  aiuto;  ma  i  portamenti 
di  costoro  furono  tali  (giunsero  persino  ad  assaltare  il  prov- 
veditore Emo)  da  dare  a  credere  che  se  l'intendessero  piut- 
tosto col  nemico.  ^ 

Frattanto  il  papa  il  quale  «  avrebbe  voluto  che  i  Viniziani 
avessino  patito  fortemente  in  questo  primo  assalto  )>;  ^  il  papa 
«  che,  per  essere  papa,  pensava  che  ognuno  l'avesse  a  riguar- 
dare e  desiderare  di  averlo  seco»,  ^  mostrando  d'adoperarsi  per 
la  pace,  soffiava  forte  sul  fuoco,  intanto  che  trattavasi  quella 
tregua,  per  cavare  da  quell'intervallo  di  bonaccia  il  principio 
della  tempesta  di  cui  aveva  mestieri.  Il  Machiavelli  accenna 
appena  nella  sua  lettera  un  «  Niccolò  Frigio,  mandato  dal 
cardinale  per  ordine  dello  Imperatore  »;  ma  quale  si  fosse 
l'opera  di  questo  arnese  del  pontefice,  ci  venne  poi  bene  sve- 
lato nelle  lettere  di  Luigi  da  Porto. ^  Del  resto,  a  stornar  la 
tregua,  bisognava  ben  parlare  di  pace  ;  ma  per  riuscire  a  pa- 
cificare la  Francia  e  l'Imperatore  insieme,  per  riuscire  a  farli 
andar  di  conserva  anche  in  via  transitoria,  pareva  che  troppi 
ostacoli  si  dovessero  superare.  Massimiliano  era  per  inclinar 
mille  volte  piuttosto  ai  Veneziani  che  l'avevatio  provocato,  che 

^  Machiavelli.  Comm.  cil.,  Lett.  16,  «  la  qual  cosa  ha  irritata  tutta  la  Magna  contro 
ad  Italia,  e  massime  contro  a'Viniziani  ». 
«  Id.  ibid.,  Lett.  18. 

*  Cf.  RoMANiN,  op.  cit.,  voi.  V,  pag.  186. 

*  Machiavelli,  loc.  cit. 
»  Id.  ibid.,  Lett.  18. 

*  Machia VKLLi,  loc.  cit.,  Lett.  17:  «  Quanto  alla  paco  ella  è  favorita,  massime  con  il 
Cristianissimo,  dal  re  di  Spagna  e  Inghilterra  e  fone  dal  papa  f  e  il  legato  ha  detto  averne 
di  già  scritto  al  re  di  Francia;  ed  è  vennto  di  Lombardia,  e  forse  di  Francia  pochi  di  sono 
un  Niccolò  Frisio  >  ecc.  —  Luigi  da  Porto,  Lettere  storiche  dalVanno  i509  al  iSSS,  ed. 
Lemonnier,  pag.  23  :  «  la  quale  (lega  contro  i  Veneziani)  a'  di  passati  fu  trattata  per  conto 
del  papa  da  messer  Niccolò  Frisio,  uomo  italiano,  il  quale  è  stato  gran  tempo  in  queste 
corti  d'Italia,  ed  al  presente  soggiorna  in  Roma  con  Bernardino  Carvajal.  cardinale  di 
Santa  Croce,  da'  servizi  del  quale  V  ha  tolto  papa  Oiulio  per  adoperarlo  nel  già  sigillato 
trattato,  essendo  uomo  gentilissimo  e  ingegnosissimo,  e  ciò  che  più  vale,  puro  di  mente  e 
vero  stimatore  de' beni  del  mondo;  come  quegli  che,  espertissimo  del  vivere,  li  conosce 
a  fine  essere  fumi  ed  ombre».  Questo  messer  Niccolò  Frisio  viene  rappresentato  anche  dal 
Castiglione  {Cortigiano,  lib.  i,  5,  ii,  99,  ni,  3,  28)  come  uno  dei  frequentatori  della  corto 
d'Urbino.  Il  Bembo  lo  chiama  «nomo  germano  ma  avvezzo  ai  costumi  della  Italia  ».  Fini 
per  rendersi  monaco  nella  Certosa  di  Napoli  l'anno  1510. 


Digitized  by 


Google 


BBCONDo]  TREGUA  FRA  MASSIMILIANO  E  I  VENEZIANI.  435 

non  ai  Francesi  che  l'avevano  ingannato.  E  una  delle  grandi  dif- 
ficoltà che  la  Francia  accampava  per  unirsi  all'Imperatore  era 
il  non  sapere  «  con  che  coscienza  si  potesse  lasciare  e'  Vini- 
ziani>.i  Ma  non  tornava  arduo  persuadere  all'Imperatore  esser 
più  facile  «  trarsi  la  voglia  di  venire  a  Roma  con  lo  accordo 
di  Francia  che  con  la  guerra»;  ne  alla  Francia  poi  sarebbero 
venuti  meno  gli  artifici  per  mostrare  «  d'essere  in  certo  modo 
forzata  lasciare  i  Viniziani  al  grido  ».  ^ 

Questi  intanto  giudicavano  poter  condurre  l'accordo  con 
Massimiliano  quando  volessero  ;  credevano  che  l'accordarsi 
con  lui  fosse  un  indebolirlo  più,  perchè  la  Germania  sarebbe 
stata  raddormentata  con  quell'accordo  ;  che  l' indeboliniejato 
sarebbe  riuscito  di  tanto  maggiore,  quanto  più  nel  trattato  pro- 
cacciassero per  sé  condizioni  favorevoli.  Pertanto  parve  loro  la 
migliore  delle  cautele  che  si  concludesse  la  tregua  lunga;  i  te- 
deschi la  domandavano  per  quattro  mesi  ;  essi  la  volevano  per 
cinque  anni  ;  fu  stabilita  per  tre.  Vollero  inoltre  a  fondamento 
delle  trattative  Vuti  possidetis,  patto  a  cui  i  mandatari  cesarei 
si  adattavano  malvolentieri;  ma  i  Veneziani  tennero  duro;  e  colla 
tenacia  e  colla  superbia  del  trattato,  invece  di  quotare  il  sen- 
timento nazionale  germanico,  lo  provocarono  a  maggiore  irri- 
tamento. Gli  stessi  agenti  imperiali  noi  dissimulavano,  dichia- 
rando nella  conclusione  ch'erano  per  accettare  quel  che  piaceva 
a  dio,  agli  uomini,  al  diavolo.  ^  Poco  andò  che  la  minaccia 
francese  contro  i  Veneziani  espressa  dallo  Chaumont  al  Ma- 
chiavelli di  «  farli  attendere  a  pescare  »4  fu  ripetuta  in  distici 
alla  corte  di  Massimiliano,  ^  e  che  la  canzone  volgare  del  po- 
polo tedesco  imprecò  contro  a  Venezia  l'ira  di  cristiani  e  di 
Turchi,  s  —  «  Quasi  tutti  gì'  Italiani  ch'erano  nella  corte  del- 

^  Machiavelli,  loc.  cit.,  Lett.  16.  —  Il  re  di  Francia  aveva  sovente  ripetuto  all'ora- 
tore  veneto:  «  Non  voglio  né  accordo  né  pace  senza  voj  signori  venetiani  et....  contra 
quelli  offenderanno  el  stado  vro  farò  come  farìa  de  mi  medesmo  ».  Dispaccio  Condulmbr 
da  Bourges  tra  i  Disp.  Francia  Con».  X,  nell'Arch.  Venet.,  estratto  citato  dal  Brosch. 
op.  cit.,  pag.  337. 

>  Id.  ibid.,  V.  anche  Lett.  10. 

»  Cf.  De  Leva,  op.  cit.,  pag.  104. 

*  V.  sopra  a  pag.  302. 

*  Cf.  ZiNGERLB,  op.  cit.,  pag.  85: 

«  Piscatum  redeant  Veneti;  piget  ista  dedisse 
Ingratis  saperos  regna  tenenda  viris  ». 
«  SoLTAU,  op.  cit.,  Ain  O^dicht  von  Ungehorsame  der  Venediger,  pag.  204  : 
«  Das  Tilrcken  hayden  unnd  die  Cristen 
Sich  umb  dein  misstat  zamen  rusten 
Die  dn  am  romischn  kaiser  hat  bgange  ». 
L'autore  della  canzone  si  appalesa  negli  ultimi  due  versi  : 
«  So  dicht  ich  nach  der  waisen  rat 
als  hanns  Schneyder  gesprochen  hat  ». 


Digitized  by 


Google 


496  CAPO  QUINTO.  [libbo 

l'Imperatore  »  credettero  specialmente  che  dopo  tal  tregua  «la 
Germania  si  avesse  a  riunire  e  l'Imperatore  a  gettarsele  in 
grembo  »  ;  *  credettero  che  questi  per  necessita  si  sarebbe  pie- 
gato anche  ad  accettare  capitani  in  nome  dell'impero;  come, 
per  accordarglisi  un  esercito  poderoso,  s'intendeva  già  d' im- 
porgli alla  dieta  di  Costanza;  credettero  che  i  principi  elettori, 
a  riavere  l'onore  dell'impero  medesimo  precipitato  sì  basso, 
volentieri  avrebbero  fornito  potente  appoggio  :  —  «  E  la  tregua, 
dicevano,  non  darà  loro  noia,  come  fatt^  dall'  Imperatore  e  non 
da  loro».  2  Ma  il  Machiavelli,  paradossale  anche  in  questa 
occasione,  con  quelli  altri  Italiani  non  consentiva.  Egli  era  ben 
riuscito  insieme  col  Vettori  nel  pratico  scopo  di  preservare  la 
repubblica  fiorentina  da  una  contribuzione  gravissima,  quando, 
malgrado  i  rovesci  delle  armi  imperiali,  Paolo  di  Lichtenstein 
voleva  a  questa  far  pagare  anche  più  cara  l'assicuraìsione  e 
«  la  conservazione  »  propria  ;  ^  egli  aveva  saputo  tenersi  in 
bilico  col  Sarnthein,  dando  parole  a  chi  stava  coU'acqua  alla 
gola,  senza  che  quelle  parole  portassero  con  sé  compromessa; 
ma  quando  trkttavasi  di  congetturare  le  generali  probabilità 
delle  condizioni  politiche,  o  sia  per  ispirito  di  contradizione  o  sia 
per  forza  di  quella  logica  a  tutta  oltranza,  che  certe  volte  diventa 
in  pratica  un  pregiudizio;  per  forza  cioè  di  quella  persuasione  ac- 
quistata nella  disamina  della  costituzione  imperiale,  per  cui  gli 
pareva  impossibile  che  un  moto  grande,  un  segno  di  compattezza 
potesse  uscire  per  allora  dalla  Germania;  Niccolò  non  poteva 
credere  che  alla  repubblica  di  Venezia  sovrastasse  in  conse- 
guenza di  quella  tregua,  un'ora  terribile;  non  sapeva  partecipare 
a  questa  che  gli  altri  Italiani  chiamavano  speranza  ^  e  cui  ama 
vano  «  rimanersi  appiccati  »,  come  pur  troppo  si  verificò.  Non 
già  che  gli  facesse  ribrezzo  la  sorte  apparecchiata  a  Venezia; 
tutt'altro.  I  Fiorentini  ben  avevano  cospirato  insieme  cogli  altri 
stati  a  dipingerla  per  la  città  «  che  voleva  occupare  la  libertà 
d'Italia  »;  ^  e  Niccolò  avrebbe  goduto  di  vederne  preparata  la 
ruina  certa.  La  questione  è  in  ciò  solo  :  che  alla  speranza  che 
gli  altri  ne  nutrivano,  ei  non  sapeva  affidarsi  allora. 

Ma  molto  non  andò  che  a  Cambray  ^  si  trovarono  insieme 

1  Machiavelli,  Rapporto  della  Magna. 
«  Id.,  ibid. 

*  Machiavelli,  Comm.  c»(.,  Lett.  17. 

*  Machiavelli,  Rapporto  della  Magna,  in  Ane. 
5  Machiavelli,  Comm,  cit.,  Lett.  14. 

*  V.  in  MoNTAiGLON,  Recueil  etc.,  t.  v,  pag.  120,  la  Complainie  de  Venise.  Ivi,  a  pag.  122 

«  Cambray,  cité  scituée  dans  TEmpìre 


Digitized  by 


Google 


SECONDO J  LEGA  DI  CAMBRA  Y.  437 

il  cardinale  d'Amboise,  sempre  col  logoro  del  suo  papato  in 
su  gli  occhi,  e  Margherita  d'Austria,  animo  acerbo  e  gelido, 
figliuola  di  Massimiliano,  sposa  rifiutata  di  Carlo  ottavo,  vedova 
di  Giovanni  di  Castiglia  e  di  Filiberto  di  Savoja,  proposta  re- 
centemente a  moglie  d'Enrico  settimo  d'Inghilterra;  preparati  en- 
trambi dalle  mene  astute  di  papa  Giulio  a  stringer  trattati  per 
conciliare  le  difierenze  del  duca  di  Gheldria  coU'arciduca  Carlo, 
nipote  dell'Imperatore;  peristabilire  le  relazioni  de' feudi  dei 
Paesi  Bassi  eolla  Corona  di  Spagna;  per  concedere  l'investi- 
tura del  ducato  milanese  aire  di  Francia;  ma  soprattutto  per 
istringere  in  congiura  tutte  le  potenze  d'Europa  ad  oppression 
di  Venezia.  1  L'ipocrisia  consueta  metteva  in  campo  la  crociata 
contro  il  Turco  a  pretesto  dell'unione,  a  motivo  del  patto  cru- 
dele, con  cui  i  potenti  dividevansi  le  vestimenta  dell'altera  re- 
pubblica, che  non  aveva  saputo  far  sentire  alle  italiche  provincie 
nel  nome  d' Italia  ninna  fraternità  d'amore  per  la  comune  madre; 
che  non  aveva  saputo  ispirar  loro  niuna  fiducia  in  sé  come  in 
maggior  sorella;  ma  coU'egoismo  mercantesco,  più  che  colla 
minaccia  d'un'egemonia  politica,  aveva  spaurito  e  irritato  si- 
gnorie e  repubblichette,  le  aveva  avvilite  davanti  agli  stra- 
nieri, *  non  aveva  steso  loro  la  mano,  quando  questi  le  con- 
culcavano; ^  erasi  ridotta  a  comperare  e  mendicare  fuori  d'I- 
talia un  po' di  favore  dalle  città  elvetiche,^  lusinghiere  a  chi 

Pour  toy  j 'empire  et  suis  en  doleance, 
On  y  forgea  la  paix  quo  prince  inspire  ; 
Tout  d*ane  tire  me  donner  grief  martyre 
Et  desconfire  mon  trésor  et  chevaoce  »  etc. 

1  DuMONT,  Corp»  dipi.,  t.  iv,  p.  1^,  pag.  114  e  sgg. 

*  n  Condnlmero,  diceva  in  questi  stessi  tempi  al  re  di  Francia:  «  Sire  io  stupisco  che 
questo  Re  de* Romani,  quando  ben  fnssemo  soli,  se  persuadi  absorbime  intro  un  colpo 
come  se  fusseroo  Luchesi  o  Pisani  ».  —  V.  V Estratto  in  Bbosch,  op.  cit.,  pag.  337-338. 

*  Nella  Complainta  de  Venite  sopracciUU,  pag.  124,  s'introduce  questa  città  ad 
eirclamare  : 

«  Aux  genevoys  je  devoye  prendre  exemple  »  etc. 

*  Chmbl^  Urltunden,  Briefe  und  Aktenstuclie  ecc.,  loc.  cit.,  pag.  317-320,  doc.  ccxxxi. 
—  Ulrich,  fryher  der  hohensax,  e  Hanns  di  Kungsegg,  cavalieri  scrivono  a  Massimiliano 
in  data  de' SS  aprile  1509:  «  ....  och  mit  unns  geredet,  unnd  si  befrembde,  das  die  Vanedyer 
durch  das  Etschlannd  in  die  Pundt  komen  sind,  och  das  die  Vanedyer  fttrgeben,  wie  si  by 
Ewr.  Mt.  bericht  finden  ;  och  die  Schwyxser  sagen,  wie  das  nnser  gnedige  frow  Margreth 
unnd  der  cardenal  von  Ruan  ansleg  gemacht,  ob  besser  zum  ersten  an  die  Schwytzer  odor 
Vanedyer,  und  wan  die  Vanedyer  herunder  syen,  sy  es  daun  an  jnen....  —  ....  also  habe  er 
jenen  geantwurt,  es  sy  nit,  dann  der  kinìg  von  Franckreich  hab  si  vorbehalten  und  ussgeno- 
men  in  disem  vertrag.  —  ....  Der  kung  hat  dem  von  Tschamon  (Chaumont)  geschriben  stili  xu 
stend  mit  dem  krieg  bis  er  kume.  Item  die  Vanedyer  ;  unsser  Goldj  ist  ein  Vanedier  unnd 
der  ander  brUder  ain  Franczoss;  und  Sagt  man,  si  habind  die  verrathery  zugericht,  das 
er  sich  hab  lassen  fahen,  das  jnnen  das  gelt  von  Franckreich  blibe  unnd  den  Vanedyer 
nemen  si  flux  gelt  ab....  —  ....  och  so  thOrren  si  nit  zu  den  Vanediger,  wam  Ewr  beder 
Mt.  ayns  syen,  das  er  lug,  dann  die  Vanediger  tribind  seltzam  brathick  mit  jm  :  si  wellend 
och  Italia  haben  und  in  vii  land    in   Franckrich  und  tutsche  land  zustellen  und  die  hern 


Digitized  by 


Google 


438  CAPO  QUI  STO.  [libro 

le  allettava  coiroro,  facili  a  dar  orecchio  a  chi  le  metteva  in 
sospetto  per  la  loro  libertà. 

Del  resto,  al  papa  le  città  di  Romagna;  all'  Impero,  Verona, 
Padova,  Vicenza,  Rovereto,  Treviso;  a  Massimiliano  come  arci- 
duca d'Austria  il  Friuli  e  l'Istria;  la  Lombardia  al  re  di 
Francia  ;  i  porti  del  napolitano,  Trani,  Brindisi,  Otranto,  Gal- 
lipoli al  re  di  Spagna;  a  quel  d'Ungheria  la  Dalmazia,  al  duca 
di  Savoia  Cipro,  ecco  lo  spartimento  che  il  nefando  trattato 
disponeva.  Toccava  così  al  re  di  Francia  allora  muovere  primo 
le  armi  contro  la  repubblica  serenissima,  accusata  a  quei 
tempi  di  non  aver  gentiluomini  e  d'astiare  però  la  dardanide 
nobiltà  francese,  a  quella  guisa  che  poi  dal  Bonaparte,  quand'ei 
la  distrusse,  fu  incolpata  di  nimicare  quella  francese  democratia 
di  cui  non  era  capace.^  Per  Massimiliano  la  tregua  conclusa 
non  doveva  impacciare  il  ritorno  alle  ostilità  oltre  il  termine 
in  cui,  minacciate  contro  Venezia  le  censure  ecclesiastiche 
con  una  bolla  di  papa,  la  repubblica  vi  fosse  incorsa,  get- 
tandosi da  sé  stessa  in  bando  dalla  cristianità.  Cosi  l'armi 
spirituali  e  le  temporali  insieme  dolosamente  s'adoperavano  a 
fiaccarla;  cosi,  dopo  oppressa  Genova  nel  Mediterraneo,  col- 
l'oppressione  di  Venezia  sull'Adriatico  tendevasi  a  compiere 
il  fatale  annientamento  d' Italia.  Restava  Firenze  in  piedi,  Fi- 
renze che  tanta  parte  aveva  avuta  e  tanta  gioia  nella  caduta 
delle  repubbliche  rivali,  e  a  cui  le  male  arti  non  dovevano  frut- 
tare né  libertà,  né  potenza.  Ma  la  lotta  che  s' iniziava  in  questa 

vertriben,  danim  not  sy  das  man  ainandorn  halt  odor  es  wurd  jnen  baiden  nit  wol  en- 
chiessen  ».  Già  precedentemente  gli  Svizzeri,  nelle  loro  lotta  contro  a  Massimiliano,  eransi 
voltati  verso  la  repubblica  di  Venezia.  V.  Marik  Sanudo,  Diarii,  t.  ii,  col.  746-48.  Copta 
ài  alcune  lettere  de'aguizarij  dimandano  aiuto  a  la  Signoria  contro  il  re  di  romani. 

'  MoNTAioLON,   loc.   cit.,   Le  cry  de  joye  dei  Francois  pour  la  delivrance  du  pape 
Clement  septieame  de  ce  nom,  pag.  2SÒ: 

«  Gentilz  Francois  de  la  grant  Troye  antique 
Du  preux  llector  jadis  fajctz  e  tissus 
Qui  descendit  de  celle  antique  souche 
De  Dardanie  »,  etc. 

Su  questo  classico  arzigogolo  che  faceva  discendere  i  Francesi  da  Franco,  figliuolo  dì 
Ettore,  appoggiandosi  sopra  un  passo  di  Ammiako  Mabcbllino  {Hist.j  lib.  xii),  scherza  il 
Voltaire,  Diclionn.philos.:  «passe  encore  pour  Enee;  il  pouvait  aisément  chercher  un 
asile  au  bout  de  la  Méditerannée  ;  mais  Francus,  Als  d'Hector,  avaìt  trop  de  chemin  à 
faire  pour  aller  vers  Dusseldorf,  Vorms,  Ditz,  Àldred,  Solms,  Ehrenbreitstein  ».  Cf.  Mauh 
Sanudo,  Diarii,  voi.  i,  pag.  286,  neW  Exemplum  literarum  regia  Franciae  ad  archit' 
piscopum  magunlinum  et  reliquos  eleetoret  imperii:  «  Nostis  illos  (venetos)  nostis  quam 
sint  alienorum  dominationum  usurpatores  famosissimi,  ut  potè  qui  plurimas  Eccleaiae  ac 
imperii  terras  nullo  jure  occuparunt,  et  centra  jus  fasque  retinent,  ipsi  qui  nobilitatis 
expertes,  solos  nobiles  oderunt  atque  insectantur  ».  E  Napolbone,  Correspondancef 
19  maggio  1797:  «  Venise  va  en  décadence  depuis  la  découverte  du  Cap  de  fìonne  Bspe- 
rance  et  la  naissance  de  Trieste  et  d'Ancóne;  elle  peut  difficilement  survivre  aux  coups 
que  nous  venons  de  lui  porter;  population  inepte,  luche  et  nuUement  faite  pour  la  liberté  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  giudizio  CHE  IL  MACHIAVELLI  FA  DELL'IMPERO.  439 

nostra  penisola  non  era  tale  da  lasciare  fidanza  di  salvezza  ad 
alcun  membro  della  nazione.  Questa  non  sentiva  sé  stessa  ed 
era  suo  destino  che  la  civiltà  del  rinascimento  in  lei  iniziatasi, 
in  lei  prima  morisse  ;  che  la  sua  morte  fosse  primo  principio 
di  rigenerazione  ai  popoli  scesi  a  combattere  sopra  i  campi 
d'Italia  la  lotta  della  loro  novella  vita. 

Frattanto,  come  già  vedemmo,  per  T  Italia  il  periodo  me- 
dievale erasi  chiuso.  Niccolò  Machiavelli  che  a  Roma  aveva 
avuto  acutezza  da  scernere  la  diversa  condizione  di  vita  che 
s'era  già  foggiata  il  papato,  osserva  in  Germania  come  ancora  il 
medio  evo  perduri;  come,  malgrado  i  mutamenti  incoscienti,  quivi 
la  società  s'aggrappi  ancora  alle  vecchie  forme  che  l'impa- 
stoiano; come  per  questa  tenacia  di  pregiudizio  v'intristisca  il 
germoglio  spontaneo  della  vita  nazionale;  come  questa  me- 
desima vita  nazionale  trapelante  da  ogni  fatto,  sia  travisata 
sempre,  agli  occhi  di  chi  que' fatti  determina,  dalla  illusione 
di  un  passato  vivo  nelle  fantasie  soltanto  ed  inefficace. 

Cosi  Massimiliano  vuole  che  all'  impresa  del  suo  passaggio 
a  Roma  sia  annesso  il  nome  comune  della  Germania;  e  contro 
al  re  di  Francia  tien  ritte  le  pretensioni  dell'antico  impero  uni- 
versale. Ne  già  vien  riconosciuta  l'antipatia  di  razza  che  spinge 
a  contesa  i  due  popoli  vicini  ;  ma  bensì  pare  che  sia  la  corona 
di  Carlomagno  e  il  retaggio  di  lui,  par  che  sia  la  successione  al- 
l'lìnpero  d'Oriente  che  minacci  1' imperatx)ria  maestà  dell'Occi- 
dente; pare  che  siano  la  vecchia  e  la  nuova  Roma,  che  spin- 
gono ad  accapigliarsi  due  principi  i  quali  della  Roma  nuova  e 
della  vecchia  possono  appena  armeggiare  col  nome.  Quindi 
un  seguito  di  gelosie,  di  disegni  presuntuosi,  di  diffidenze  pro- 
vocatrici, di  vagheggiate  usurpazioni;  un  seguito  che  poteva 
parere  infinito,  per  ciò  solo  che  cosi  non  se  ne  aspettava  mai  il 
termine,  come  non  se  ne  giustificava  la  causa.  Massimiliano 
che  per  via  della  vantata  successione  di  Carlomagno  dete- 
stava e  combatteva  l'ambizione  di  Carlo  ottavo  e  di  Luigi  duode- 
cimo, s'adombrava  ancora  per  via  di  Giulio  Cesare,  se  mai  papa 
Giulio  del  cui  ponteficato  era  cupido,  s'affibbiasse  per  pura 
rettorica  il  cognome  di  questo.  E  ciò  malgrado  contrastando 
sempre  coll'arme  spuntata  dell'allegoria,  ch'era  stata  il  miglior 
argomento  del  più  fitto  medio  evo,  e  disdegnando  come  impe- 
ratore di  Germania  stare  a  fronte  del  pontefice  sovranuccio 
nell'antica  proporzione  planetaria  della  luna  col  sole,  secondo 
la  vecchia  immagine  guelfa;  sull'alto  del  carro  trionfale  che 


Digitized  by 


Google 


440  CAPO  QUINTO.  [libeo 

Vilibaldo  Pirkeimer  ideava  e  Alberto  Dùrer  disegnava  per  Mas- 
similiano era  scritta  l'arrogante  epigrafe,  forse  già  più  pro- 
testante che  ghibellina: 

QUOD  IN  CELIS   SOL   HOC  IN  TERRA  CeSAR  EST.* 

Ma  fuori  di  tanta  nebbia  d'allegorie  e  di  fantasmi  spun- 
tano fatti  certi  che  il  Machiavelli  avvisa  ed  interpreta,  come 
presagi  dell'età  nuova.  Egli  compisce  in  corte  dell'imperatore 
l'osservazione  incominciata  a  Roma  e  alla  corte  del  papa;  e 
rileva  come  non  siano  più  questi  due  elementi,  imperatore  e 
papa,  i  termini  della  grande  antitesi,,  i  poli,  per  cosi  dire,  della 
vita  politica  in  Europa.  Dappoiché  il  pontefice  rattratto  entro 
l'angustie  della  civil  signoria  s'arretra  in  seconda  linea,  scade 
ad  essere  uno  sfruttatore  di  forti,  un  rivenditore  d'Italia;  ma 
la  Germania  grande,  poderosa  e  disgregata,  quella  che  delude 
r  Imperatore  suo  e  tuttavia  non  sa  sottrarsi  a  lui  per  t^ma  di 
non  spogliarsi  una  gloria,  è  presso  a  uscir  fuori  del  medievale 
-  viluppo  tra  durezze  e  fatiche  secolari,  inaugurando  la  fatale 
tenzone  col  regno  più  compatto,  colla  unità  nazionale  meglio 
composta,  meglio  saldata  in  Europa  nel  secolo  decimosesto.* 
E  noi  vedremo  tra  breve  il  Segretario  fiorentino,  non  appena 
l'occasione  gli  si  off're  di  tornare  in  Francia,  con  istudio  grande 
e  quasi  con  presentimento,  far  computo  della  natura  e  delle 
forze  di  quel  regno  ch'era  chiamato  ad  essere  nuovo  termine 
d'antagonismo  all'impero. 


^  PiBCREiMER,  Opera  politica  et  hi$torica,  V.  Tediz.  di  Francoforte,  mdcx,  in  cui  è  ri* 
portato  r  intaglio  bellissimo  del  carro  trionfale. 

*  Machiavelli,  Ritratti  delle  cose  della  Magna.  Precisamente  in  questo  componimento 
che,  per  ordine  cronologico,  è  V  ultimo  ch'egli  condusse  intomo  alla  Germania,  c*è  11 
raffronto  fra  l'Imperatore  che  non  può  valersi  dei  principi  a  sua  posta,  ma  solo  qusndo 
pare  a  loro,  e  il  re  di  Francia  presente  e  quel  «  che  fece  già  il  re  Luigi  (undecime)  il  quale 
con  le  armi  ed  ammazzarne  qualcuno,  li  ridusse  a  quella  ubbidienza  che  ancora  oggi  >> 
vede  ».  Questi  Ritratti  delle  cose  della  Magna  ebbero  pertanto  ad  essere  composti  dopo 
Ritratti  delle  cose  della  Francia. 


Digitized  by 


Google 


Capo  Sesto 


CADUTA  DI  VENEZIA  E  DI  PISA.  —  IL  MACHIAVELLI  E  LA  FRANCIA. 


....la  gonte  di  Francia  malaccorta 
Tratta  con  arte  ove  la  rete  è  tesa. 

(AaioBTo,  Orlando  JUriOBO,  e.  xxziii,  22). 

....1  Francesi  non  s'intendevano  dello  Stato. 

(Machiatklli,  Il  Principe,  cap.  iii). , 

Le  slngulter  e 'est  que  Tagent  employé  par 
les  Flofentins  pour  négocler  contre  Pise  et  Se^ 
amles,  Venise  et  Génes,  c'est-à-dire  pouf 
obtenir  la  rulne  de  l'Italie,  était  Machlavel 
pauvre  homme  de  genie,  asservì  à  transmettrc 
et  traduire  les  pensées  des  sots,  intermédialr<' 
obligé  entre  l'ineptie  du  gonfalonier  Soderini 
et  celle  du  cardinal  d'Amboise.  On  le  volt 
dans  ses  lettreR,  falsant  le  pied  de  grue  à  la 
porte  du  cardinal,  traité  négligemment  par 
lui,  menacé  des  valets  de  nos  gents  d'armes. 
qui  serrent  de  prés  sa  bourse.  Bourse  vide 
s'il  en  ftit! 

(Michelet,  lìiatoire  de  Frante, 
t.  VII,  pag.  223). 

Nella  tempesta  di  tante  nimistà  irrompenti  sopra  a  Ve- 
nezia parve  balenare  a  Firenze  il  buon  momento  di  riaver 
Pisa.  Quando  il  Machiavelli  fu  di  ritomo,  trovò  che  duemila 
fanti  della  sua  prediletta  ordinanza  sei-vivano  insieme  colle  genti 
d'arme  a  dare  il  guasto  fin  sotto  alle  mura  di  quella  povera 
città;  ^  modo  di  guerra  barbaro  e  corrompitore  della  buona 
milizia.  ^  Non  aveva  egli  atteso  per  questo  con  tanta  cura, 
con  tanta  sollecitudine  a  ristorare  le  fanterie  dello  stato; 
bensì  per  addestrarle  «  a  domare  il  nemico  colle  scorrerie  e 
colle  giornate»;  ed  ora  ch'ei  tornavasene  a  Firenze,  pieno 
l'animo  delle  cose  osservate  nell'andata  all'imperatore,  delle 

*  BoNACcoBSi,  Diario^  pag.  134. 

*  Machiavelli,  Diicorsi,  lib.  ii,  cap.  xix  :  «  E  come  e*  si  vede  per  quello  esser  vero, 
quanto  alla  fanteria,  quello  che  nelle  istorie  si  narra;  cosi  dovrebbero  credere  essere  veri 
ed  utili  tutti  gli  altri  ordini  antichi.  E  quando  questo  fosse  creduto,  le  repubbliche  ed  i 
principi  errerebbero  meno;  sariano  più  forti  ad  opporsi  ad  uno  impeto  che  venisse  loro 
addosso;  non  spererebbero  nella  fuga;  e  quelli  che  avessino  nelle  mani  un  vivere  civile, 
Io  saperebbero  meglio  indirizzare,  o  per  la  via  dello  ampliare,  o  per  la  via  del  mantenere; 
6  crederebbero  che  lo  accréscere  la  città  sua  d'abitatori,  farsi  compagni  e  non  sudditi, 
mandare  colonie  a  guardare  i  paesi  acquistati,  far  capitale  nelle  prede,  domare  il  nemico 
con  le  scorrerie  e  con  le  giornate  e  non  con  le  ossidioni,  tenere  ricco  il  pub- 
blico, povero  il  privato,  mantenere  con  sommo  studio  li  esercizi  militari,  sono  le  vie  a 
fare  grande  una  repubblica,  ed  acquistare  imperio  ».  —  V.  in  Guicciabdiki,  Storia  fioren^ 
Una,  cap.  xxx,  pag.  351,  come  il  Soderini  pigliasse  a  furore  la  proposta  del  guasto  nel 
contado  pisano. 


Digitized  by 


Google 


442  CAPO  SESTO.  [libro 

repubbliche  di  Lamagna,  «  ben  regolate  colle  leggi  e  co'  co- 
stumi, proibite  d'acquistare,  solo  ordinate  a  difendersi,  collegate 
unicamente  fra  loro,  compagne  e  non  suddite  Tuna  dell'altra  »,* 
vedeva  invece  le  repubbliche  italiane,  avversatesi  con  furia 
esiziale,  insidiatesi  scambievolmente  la  vita,  correre  o  isolate 
od  accapigliate  alla  loro  estrema  rovina. 

Dicemmo  già  come  la  sorte  di  Pisa  poteva  far  compas- 
sione ai  fiorentini  medesimi,  senza  che  loro  fosse  lecito  darne 
sentore.  ^  Tanto  meno  poteva  riuscire  al  segretario  della  seconda 
cancelleria  di  sottrarsi  all'esecuzione  delle  risoluzioni  crudeli, 
che  dai  magistrati  prendevansi  per  giungere  al  ricupero  di  quel 
possesso  fatale,  per  cui  eransi  alienate  da  Firenze  tutte  le 
altre  provincie  d'Italia,  rimanendo  tutta  Toscana  in  arbitrio 
della  prepotenza  straniera,  amica  o  nemica  che  la  si  dimostrasse. 
Toccò  pertanto  al  Machiavelli  d'esser  preposto  al  guasto,  sotto 
il  commissario  di  Cascina,  Niccolò  Capponi.  ^  Cosi  quegli  torna 
subito  a' suoi  battaglioni,  fa  nuovi  arrolamenti  ne' vicariati  della 
Val  di  Nievole,  di  San  Miniato  e  in  altre  parti  del  territorio  in- 
tendendo a  condurre  la  commissione  con  ogni  prestezza.  I  Dieci 
gli  aveano  dichiarato  non  volere  che  «  cento  fanti  più  o  meno 
avessero  ad  essere  causa  non  solo  di  differire  o  impedire  il 
disegno,  ma  di  disturbarlo  al  tutto  con  danno  e  vergogna  della 
città  »  ;  ^  gli  avevano  dato  danari  in  mano  per  provvedere  alle 
spese  inevitabili;  tuttavia  al  commissario  scrivevano  pochi  giorni 
dopo:  4f  que' danari  è  necessario  bastino  a  ogni  modo,  perchè 
di  qua  non  bisogna  aspettarne  più ;»  ^  e  altrettanto  ripetono 
al  Machiavelli.  Si  fanno  tutti  gli  sforzi  possibili;  Niccolò  non 
lascia  luogo  intatto;  e  malgrado  ciò  l'impazienza  della  città  è 
tanta  che  il  Goufaloniere  medesimo  quasi  rimprovera  Niccolò 
«  che  il  guasto  proceda  freddamente.  »  ^ 

Al  re  di  Francia  intanto  non  garbava  che  Firenze,  l'unica 
alleata  sua  di  qua  da'  monti,  racquistando  Pisa  e  però  disinteres- 
sandoglisi,  sfuggisse  di  mano  a  lui;  pertanto,  prima  le  consigliò 
di  ristare  dalle  offese,  affacciando  che  la  questione  di  Pisa  non 
era  cosa  di  sua  sola  spettanza,  ma  che  importava  al  papa,  al  re 


^  Cf.  Tacito,  Histor.,  lib.  f,  cap.  51  :  «  nec  aoeios  ut  olim,  sed  hostes,  et  fHctùs  vo- 
cabant  ». 

•  V.  più  sopra  a  pag.  147,  in  nota. 

3  Pitti,   Vita  d'Ant,  Giacomini,  loc.  cit.,  pag.  !^  e  segg. 

*  Bibl.  Naz.,  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  143. 

^  Macuiavblli,  Leg.  XXV,  edìz.  ult.,  pag.  341. 
«  Bibl.  Naz.,  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  178. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  corruttela  DE' ministri  e  della  corte.  443 

cattolico  e  anche  alla  signoria  di  Venezia;  ^  poi  le  mandò  am- 
basciatore un  ciarliero  napoletano,  Michele  Ricci,  che  nell'en- 
trata di  re  Luigi  a  Genova  aveva  avvilito  questa  città  italiana 
avanti  al  re  francese.  Lo  mandò  per  far  rimostranze  e  delle 
trattative  intercedute  coir  Imperatore,  e  degli  apparecchi  che  si 
sollecitavano  per  stringer  Pisa,  e  per  intendere  chiaro  se  Fi- 
renze fosse  per  desistere  quand'egli  le  ordinasse  a  dirittura  di 
non  molestare  i  Pisani.  Ai  Fiorentini  per  le  due  prime  lamentanze 
non  mancavano  giustificazioni  da  allegare;  all'ultima  questione 
rispondevano  francamente,  opponendo  i  capitoli  fatti  col  re  nel 
1502,  a  tener  de' quali  sarebbe  loro  stato  sempre  libero  ricu- 
perare coU'arme  il  dominio  proprio  ;  aflFacciando,  oltre  a'  capitoli, 
le  ragioni  di  naturale  giustizia,  secondo  le  quali  pareva  non 
fosse  lecito  proibir  loro  ij  conseguimento  di  quel  fine  per  cui 
avevano  speso  il  sangue  e  pagato  a  caro  prezzo  la  protezione 
reale. 

Pochi  mesi  prima  il  re  medesimo,  quasi  vantando  il  gran 
beneficio  conferito,  diceva  loro  :  «  Sapete  voi  che  io  ò  sfidato  i 
Pisani?...  —  sapete  voi  quello  che  voglia  dire  sfidarli?...  —  io 
ò  mandato  un  araldo  in  Pisa,  per  notificar  loro  che  si  guar- 
dino da  me,  e  che  io  gli  pubblico  inimici  miei,  per  essersi  loro 
travagliati  contro  me  per  i  genovesi  ».^  —  Ed  ora  invece  si 
presentava  con  nuovi  amminicoli  per  succiare  ancora  una  volta 
la  città  protetta,  o  minacciava  far  entrare  il  Trivulzio  in  quella 
assediata.  E  ci  vollero  centomila  scudi  tutti  per  lui;  e  altri 
cinquantamila  al  re  di  Spagna,  per  guadagnarne  l'acquiescenza; 
i  ministri  dovettero  tutti   esser  satolli  ;  ^  dopo   la  qual   cosa 

1  T)e8j\rdins,  NégociationSf  etc,  t.  ii,  pag.258:  «  19  mai  1508.  Lyon  ».  -  {Rif.  Atti 
pubblicL  Cartapecore^  f.  vii.  Francia  300.  Arch.  fior.)  :  «  Le  Roy  enjoint  aux  Florentins  de 
suspendre,  qnant  i.  présent,  tonte  attaque  contro  Pise  et  le  tefritoìre  de  son  conte...  pour 
ce  qne  ceste  matiére  touche  non  seulement  à  nous,  mais  à  notre  Sainct  Pére  le  pape,  au 
Roy  Cathotique,  notre  bon  frère,  et  à  la  Seigneurie  de  Venìse;  et  que  nous  tons  avons 
interest  qu'il  y  ait  aucnn  potentat  en  Ytalye  pour  faire  offense,  attendi!  Teffort  que  le  Roy 
dea  Rommains  a  fait  et  voulu  faire  au  grant  dommage  et  préjudice  de  tonte  l'Ytalye  ». 

'  Desjardiks,  loc.  cit.,  t.   II,  pag.  2S7. 

»  Scrive  il  Guicciardini,  St.  d'Italia,  lib.  viii:  «Oltre  che  fu  bisogno  promettessero 
di  donare  a'  ministri  dei  due  re  venticinquemila  ducati,  de*  quali  la  maggior  parte  si  aveva 
a  distribuire  secondo  la  volontà  del  cardinale  di  Roano  ».  —  E  Alessandro  Nasi  e  Gio- 
vanni Ridolfi,  avvisano  a'  Dieci  aver  dato  al  Rubertet  «  la  consueta  mancia  »  per  cui 
ei  si  offre  «  in  omnibus  ad  posse  suum  ».  Cf.  Desjardins,  Négociationa  dipl.y  t.  ii,  pag.  258. 
Ibid.,  pag.  272:  «Di  nuovo  (Rubertet)  ci  affermò  il  legato  non  saria  per  pigliare  niente, 
ma  che  sa  aria  bene  caro  fussi  fatto  onore  ed  utile  a  Chaumont  come  a  se  medesimo  ». 
Questi  fatti  non  s'ignorarono  in  Francia.  V.  La  triomphante  mort  de  monsieur  le  legata 
in  cui  TAmboise  confessa  al  re:  «et  m'ont  fait  les  dicts  Florentins  plusieurs  presens 
et  dons  ».  —  Così  il  Michelet,  tra  i  moderni  (Histoire  de  France,  t.  vii,  pag.  U)8)  di 
lui  ebbe  a  scrìvere  :  «  Toute  sa  vie  il  eut  secrétement  une  grosse  pension  de  Florence. 
de  quoi  il  fit  l'aveu  au  roi  à  son  Ut  de  mort  «.  —  Questo  spiega  alcune   affermazioni  del 


Digitized  by 


Google 


U4  CAPO  SESTO.  [lasao 

a'  Fiorentini  venne  abbandonata  la  loro  vittima  ignuda.  Trat- 
tato vile,  se  mai  ne  fu  ;  ^  ma  bisognò  piegare  il  collo  : 

Bisognò  a  ciascuno  empier  la  gnla 
E  quella  bocca  che  teneva  aperta,  * 

scrisse  il  Machiavelli,  e  sarebbe  stato  anche  peggio  se  quei 
potenti  non  avessero  già  «  messo  la  sorte  »  ^  sulle  ricche  vesti- 
menta  di  Venezia. 

Né  Firenze  pertanto  si  die  più  riposo:  tolto  a' soldi  il 
Bardellotto,  un  corsale  da  Portovenere,  e  suo  padre,  il  Bar- 
della, per  impedir  le  vettovaglie  a  Pisa  e  sottrarle  ogni  spe- 
ranza di  soccorsi  genovesi,  bruciò  Viareggio  a' Lucchesi;  poi 
strinse  lega  triennale  con  essi  domandando  gabella  del  solo 
venti  per  cento,  e  del  resto  accordando  loro  libertà  di  commerci, 
purché  alla  città  assediata  venissero  meno  anche  i  soccorsi 
di  Lucca.  ^  Galeoni  e  brigantini  guardavano  il  mare,  fanti  e  ca- 
valli la  campagna  ;  le  foci  di  Fiume  morto  e  di  Serchio,  pre- 
cluse; un  ponte  di  legname  sulFArno,  fortificato  con  bastioni 
dall'una  e  dall'altra  ripa  doveva  impedire  ogni  approccio;  pa- 
reva che  la  Capraia  e  la  Gorgona  s'avessero  a  muovere  an- 
ch'esse per  compiere  la  biblica  imprecazione  di  Dante  sulla 
città  moritura.  5 

In  breve  non  si  credè  che  il  Machiavelli  solo  in  campo 


M.  circa  la  Natura  de' Francesi  (v.  ed.  ult.,  voi.  yi,  pag.  312):  «Chi  vuol  condurre  una 
cosa  in  corte  gli  bisognano  assai  danari,  gran  diligenza  e  buona  fortuna  ».  •—  «  Quando 
non  ti  possono  far  del  bene  tei  promettono;  quando  te  lo  possono  fare,  lo  fanno  con  dif- 
ficoltà o  non  mai  ».  —  E  nei  Ritraiti  delle  cose  di  Francia  (ibid.,  pag.  308):  «  La  natura 
de*  Francesi  è  appetitosa  di  quello  d*altri,  di  che  insieme  col  suo  e  dell*  altrui  è  poi 
prodiga  ». 

>  QuRiTA,  loc.  cit.,  t.  vili,  pag.  178.  «  Fue  està  platica  muy  deshonesta  y  de  gran  in- 
famia à  estos  principes  ;  por  que  por  este  camino  tan  vergongoso,  e  indigno,  de  quien  ellos 
eran,  y  de  su  magestad,  y  grandeza,  vendieron  la  libertad  de  a  quella  Senoria  en  tan  vii 
precio:  bauieudo  hecho  confian^a  dellos;  y  se  determinaron  de  ayudar  à  la  Seiioria  de 
Florencia;  y  los  florentines  se  obligaron  de  valer  à  los  Reyes,  para  la  defensa  de  sos 
estados.  De  manera  que  hauìendo  comprometido  los  pisanos  sus  diflerencias  in  poder  de 
ambos  Reyes,  ellos  se  concertaron  con  color  de  convenir  à  la  paz  universal  de  pronunciar 
de  manera,  que  Pisa  fusse  reduzida  al  poder,  y  dominio  de  Florentines  ». 

«  Machiavelli,  Decennale  II,  v.  155-156, 

*  Dbsjabdins,  loc.  cit.,  pag.  256. 

*  Coro*  era  naturale,  Lucca  non  vedeva  salute  per  sé,  a  petto  alPegoistica  democratia 
fiorentina,  se  non  nella  resistenza  di  Pisa.  Nei  Sonetti  politici  e  burleschi  inediti  dì  An- 
tonio Cammelli,  detto  il  Pistoia,  Livorno,  Vigo,  1809,  pag.  6,  leggesi: 

«  Senza  sonar  lento 
Canti  pur  Lucca  questo  motto  verde: 
Trista  la  barba  mia  se  Pisa  perde  ». 

<  Nei  Capitoli  delV acquisto  di  Pisa  fatto  dai  Fiorentini  Vanno  i40€^  di  Giovanni  di 
Ser  Piero,  {Arch.  Stor.  it.,  serie  i,  t.vi,  p.  2>,  pag.  266)  già  leggevasi: 

«  Lor  contro  essendo  fortuna  e  destino 
Per  far  delTaspra  crudeltà  vendetta 
Di  roesser  Piero  e  del  conte  Ugolino  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  y.  machiavelli  solo  in  campo.  415 

potesse  bastare;  ^  egli  col  Giacoraini  aveva  ricreato,  vivifi- 
cato, educato  le  ordinanze  de'  militi;  altri  doveva  condur- 
gliele  in  Pisa.  Non  si  credè  che  un  commissario  solo,  quello 

*  Il  Guicciardini  {Storia  fiorenUna^  cap.  xxxii)  ci  porge  a  questo  proposito  argomento 
a  distender  probabilmente  una  piega  recondita  dell'animo  di  Niccolò  Machiavelli.  Quegli 
scrìve  al  luogo  indicato  (pag.SSl):  «  Le  quali  cose  perchè  si  facessino  con  più  ordine  e  più 
riputazione,  non  si  trovando  in  campo  pel  pubblico  altri  che  Niccolò  Machia- 
velli cancelliere  dei  Dieci,  vi  furono  eletti  dagli  Ottanta commissarii  generali  Jacopo 
e  Alamanno  Salviati,  con  grandissima  reputazione  di  quella  casa;  ma  trovato  poi  che  tutti 
a  dua  insieme  avevano  divieto,  sondo  Alamanno  di  meno  fave,  rimasono  Jacopo  e  Antonio 
da  Filicaia.  E  perchè  Jacopo  essendo  di  collegio  rifiutò,  fu  in  suo  luogo  Alamanno  ;  e  cosi 
Antonio  da  Filicaia  e  Alamanno  Salviati  andarono  commessarii  in  quello  di  Pisa;  e  lasciato 
Niccolò  Capponi  in  Cascina  per  le  provvisioni  necessarie.  Alamanno  andò  a  stare  a  San 
Piero  in  Grado,  e  Antonio  a  Librafatta  al  governo  del  campo  che  era  dall'altra  parte 
d*Amo  ».  —  È  chiaro  pertanto,  e  per  confessione  d*un  interessato,  come  potè  esserlo  un 
genero  della  fatta  del  Guicciardini  alla  grandigia  del  suocero,  che  questi  commissari  furono 
creati  non  tanto  per  necessità  se  ne  sentisse,  quanto  per  più  riputazione  della  cosa;  e  che  la 
grandissima  riputazione,  in  seguito  della  scelta  ridondò  poi  alla  famiglia  Salviati.  È  chiaro 
parimente  che  i  commissari  si  crearono  per  non  lasciar  solo  in  campo  il  cancelliere  de*  Dieci, 
qnel  cancelliere  che  era  stato  il  riordinatore  delle  fanterie  statuali  e  che  le  aveva  me- 
nate'a  stringere  Pisa;  quel  cancelliere  il  quale,  spedito  al  campo  con  piena  balia,  dopo 
essersi  già  tanto  affaticato  per  raggiungere  il  Une  voluto,  ora  co' nuovi  commissari  usciva 
di  scena.  Egli  non  lasciò  segno  manifesto  del  suo  rincrescimento;  che  non  mai  parlò 
all'universale  della  sua  persona  Anche  fu  cancelliere;  ma  veggasi  quel  che  scrisse  poi 
ne*Di8cor8i,  lib.  ni,  cap.  xvi,  nel  brano  già  da  noi  recato  in  nota  a  pag.  370,  dopo  cui  se- 
guita :  «  E  benché  e'  non  si  vedesse  evidentemente  che  male  ne  seguisse  al  pubblico  per 
non  v'avere  mandato  Antonio,  nondimeno  se  ne  potette  fare  facilissima  coniettura;  perchè 
non  avendo  più  i  Pisani  da  difendersi  né  da  vivere,  se  vi  fusse  stato  Antonio,  sarebbero 
stati  tanto  innanzi  stretti  che  si  sarebbero  dati  a  discrezione  de*  Fio  routini.  Ma  Mndo  loro 
astediati  da  capi  che  non  sapevano  né  stringerli  né  sforzarli,  furono  tanto  intrattenuti 
che  la  città  di  Firenze  gli  comperò,  dove  la  gli  poteva  avere  a  forza.  Convenne  che  tale 
sdegno  potesse  assai  in  Antonio:  e  bisognava  che  fusse  bene  paziente  e  buono  a  non  de- 
siderare di  vendicarsene  o  con  la  rovina  della  città,  potendo,  o  con  l'ingiuria  d'alcuno 
particolare  cittadino  ».  —  In  queste  parole  di  Niccolò  è  facile  scorgere  che  non  manca  né 
sdegno  né  esagerazione,  quando  le  si  mettano  a  riscontro  col  passo  sopra  recato  del  Guic- 
ciardini. Sull'autorità  di  lui  i  biografi  del  Giacoroini  citarono  il  fatto  con  le  medesime  pa- 
ToJe  sue,  senz'altra  riprova.  (Cf.  Nardi,  Vita  di  Antonio  Giaeomini,  pag.  197.  Prrri,  loc. 
cit,  pag.  249).  Gli  altri  storici  non  ne  parlano  e  solo  il  Nardi  {Storie  di  Firense,  lil).  iv) 
afferma:  «Abbiamo  ben  udito  dire,  quando  si  venne  all'impresa  dell'assedio  e  della  spe- 
dizione dei  commessari,  detto  Antonio  essere  stato  tentato  dal  gonfaloniere  di  giustizia,  e 
domandato  se,  essendo  fatto  uno  de'  commessari  per  quella  guerra  egli  accetterebbe,  e 
quello  aver  risposto  (ma  non  senza  sdegno)  che  essendo  diventato  inutile  per  la  sua  grave 
malattia,  era  oggimai  tempo  di  lasciarlo  riposare,  e  nonio  sottoporre  altrimenti  a* giuochi 
di  fortuna  ».  Quello  ohe  avrebbe  irritato  il  Giacomini  sarebbe  stata  dunque  la  proposta 
d'aver  compagni  in  quella  commesseria,  non  l'esclusione.  L'avrebbe  forse  il  Nardi  udito 
a  dire  dal  Machiavelli?  —  A  ogni  modo  è  chiaro  che  nel  segretario  fiorentino  a  questo  tempo 
circa,  venne  meno  quell'alta  fiducia,  quella  grande  simpatia  per  Alamanno  Salviati,  dimo- 
stratagli colla  dedica  del  primo  Decennale;  ed  è  pur  certo  del  pari  che  Ala^nanno  Salviati, 
non  vedeva  di  buon  occhio  il  Machiavelli,  come  quegli  che  si  protostava  fratesco  e  che, 
seppure  non  credeva  che  Niccolò  mancasse  di  fede  religiosa,  gli  scriveva  netto  :  «  son  certo 
non  te  n'avanza  molta  ».  (Bibl.  Naz.  fior.,  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  52.  Alamanno  Salviati 
cap  fi  N.M.  in  Firenze  -  Pisa,  a' dì  iiijo  d'ottobre*  1509).  J)e\  secondo  Decennale  ^oì  si  à 
solo  un  frammento  che  non  va  molto  oltre  a  questi  tempi,  e  l'eroe,  se  per  questo  secondo 
decennio  di  vita  fiorentina  ve  n'ebbe,  è  il  Giacomini,  che  tanto  virtuosamente  aveva 
operato  per  la  ricostituzione  della  milizia.  —  Circa  a'  malumori  interceduti  fra  il  Machia- 
velli e  Niccolò  Capponi,  commissario  di  Cascina,  veggasi  una  lettera  del  Bonaccorsi  (Bibl. 
Naz.,  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  80)  speditagli  «in  castris  die  prima  quaresimae  i50  */»  » 
nella  quale  si  esprime  cosi:  «  Io  ui  rispondo  poche  parole  alla  parte  toccante  el  '  caso 
del  Commissario  uerso  di  uoi  ;  il  che  non  è  punto  piaciuto  allo  ufìtio.  Pure  e'  più  potenti 
sempre  hanno  ad  hauer  ragione;  et  a  loro. si  ha  ad  hauere  respecto.  Uoi  solete  pure  es- 


Digitized  by 


Google 


446  CAPO  SESTO.  [libbo 

USO  a  campeggiare  con  que'  fanti,  potesse  essere  a  sufficienza; 
il  racquisto  della  città  non  era  più  una  fatica,  si  riguai  dava 
come  una  gloria  prossima  e  tanto  grande  da  potersene  co- 
prire in  parecchi.  Chi  l'aveva  preparata,  condotta,  meritata, 
potevasi  pure  lasciar  da  parte  senza  pericolo  :  Pisa  non  aveva 
più  né  difesa  ne  viveri.  Antonio  Giacomini,  il  commissario, 
il  capo  di  tutti  gli  eserciti,  l'ordinatore  di  tutti  gli  assedi  era 
allora  malaticcio,  aveva  diritto  al  riposo,  non  doveva  aversi 
a  male  di  trovare  compagni  al  trionfo.  Bensì  trattavasi  con 
uomo  che  dell'onore  era  tanto  avaro,  quanto  del  proprio  da- 
naro era  prodigo,  ^  due  virtù  che  una  repubblica  democratica 
sfrutta  e  mal  riconosce;  ma  quell'avarizia  non  metteva  paura 
a  chi  sapeva  com'egli  amasse  marzocco,  a  chi  sapeva  che 
non  era  uomo  capace,  per  suo  risentimento  personale,  di  in- 
giuriare la  patria.  Però  quando  si  vennero  a  scegliere  altri 
due  commissari,  oltre  al  Capponi,  per  quello  sgocciolo  d'im- 
presa; palleggiatosi  prima  tant'onore  Jacopo  e  Alamanno  Sal- 
viati,  finalmente  Alamanno  e  Antonio  da  Filicaia  se  lo  strappa- 
rono. —  «  Incapaci  a  stringere  e  sforzar  coll'assedio,  »  li  disse 
il  Machiavelli;  ma  questo  giudizio  non  è  scevro  d'asprezza  né 
forse  di  risentimento,*  e  le  relazioni  che  intercédettero  in  se- 
guito fra  il  segretario  e  i  commissari  probabilmente  non  val- 
sero a  scemare  il  malumore  che  la  nomina  loro  aveva  già  in 
lui  cagionato. 

Il  posto  del  Machiavelli  a  San  Piero  in  Grado  fu  occupato  dal 
Salviati;  Antonio  da  Filicaia  a  Ripaf ratta  guardava  i  monti;  il 
Capponi  era  rimase  a  Cascina  ;  il  segretario  passato  prima  alle 
mulina  di  Cuosa  in  Val  di  Serchio,  si  trasferì  quindi  a  Poscia 
per  ordinare  e  comandar  fanti,  stimolato  dal  Capponi  e  da'  Dieci 
ad  afi'rettar  le  leve  con  la  maggiore  celerità  possibile,  a  solle- 
citare per  tutti  i  versi  «  perchè,  come   scrivevano,    una  hora 

sere  patiente  et  saperui  gouernare  in  simili  frangenti,  benché  questo  fla  di  poche  mo- 
mento, hayendo  ad  stare  discosto;  et  se  una  o  dua  lettere  lo  hanno  ad  contentare,  sarà 
poca  fatica.  El  superius  con  chi  parlai  hiarsera  lungamente  di  questo  (si  capisce  che  il 
Bonaccorsi  accenna  al  Gonfaloniere)  mi  commise  uè  lo  scriuesse,  et  che  io  ui  confortasse 
per  suo  amore  ad  hauer  patientia,  con  altre  parole  da  hauerle  chare  et  stimarle  assai  ». 

*  Il  BusiNi,  Lettere  a  Benedetto  Varchi,  ed.  Lemonnier,  pag.  275  :  «  Quanto  al  Nardo, 
non  sapeva  che  egli  avesse  scritta  la  vita  di  quel  prode  uomo  Antonio  Giacomini  al  quale 
il  Machiavello  dava  tanta  lode  quanta  sapete,  e  lasciò  di  lui  quel  bel  verso: 

«Avaro  dell'onor,  largo  dell'oro»; 

e  il  Nardo  lo  conobbe  e  potette  sapere  assai  cose  di  lui,  ecc.  » 

*  Oltre  le  lodi  dal  Machiavelli  stesso  altrove  prodigate  al  Salviati,  sappiamo  del  Fi- 
licaia ch'egli  fu  «assai  valente» e  severo  ed  animoso,  ma  ostinatissimo  in  ogni  cosa». 
(Cf.  Susini,  loc.  cit.,  lett.  xi,  pag.  115). 


Digitized  by 


Google 


aacoNDo]  *     IL  MACHIAVELLI  E  I  COMMISSARI,  417 

portava  el  tutto.  »  ^  —  Ed  egli  da  Poscia  si  ritorna  alla  foce 
di  Fiume  morto,  ove  Antonio  da  San  Gallo  con  altri  maestri 
di  legname  attendono  a  fornir  Topera  del  ponte;  provvede 
inoltre  a  far  rizzare  gli  alloggiamenti  per  fermare  al  coperto 
le  soldatesche,  facendo  tagliar  alberi  d'in  sul  luogo  e  fog- 
giarne pali;  procacciando  da  Lucca  il  legname  che  occorreva 
per  gli  aguti;  ricevendo  assi  d'abeto  da  Pistoia;  curando  l'ar- 
rivo di  biada,  di  strame,  di  pane,  di  vettovaglie;  disponendo  i 
fanti  che  gli  piovono  addosso  da  Firenzuola,  dal  Mugello,  dalle 
Ripomarance;  distribuendoli  a  fare  spianate,  a  riempier  fossi;  ve- 
gliando il  compiersi  della  palafitta  in  Amo;  proponendo  egli 
medesimo  di  farne  un'altra  che  asserragli  l'Ozori.  «  Tanta 
operosità,  si  molteplice,  si  provvida  in  ogni  parte  cui  rivol- 
gevasi,  va  lietamente  soddisfatta  dell'approvazione  che  gli 
giunge  incessante  e  dalla  città  e  da' commissari.  I  Dieci  gli 
raccomandano  di  far  risparmio  delle  forze,  di  «  non  ten- 
tare la  fortuna  né  mettersi  a  pericolo  senza  bisogno,  perchè 
quando  in  Pisa  non  entri  cosa  alcuna,  si  sarà  fatta  un'ottima 
fazione,  »  ^  di  guardare  a  star  sicuro,  di  «  stimare  el  nimico,  ^"^ 
d' impedire  che  dalla  città  assediata  escan  bocche  disutili. 

E  Niccolò  lotta  colla  ritrosia  della  natura  e  colla  per- 
vicacia degli  uomini,  co'  temporali  che  sbattono  la  marina 
e  rendono  impossibile  l'accesso  dalle  foci  di  quanto  occorre 
per  lavorare  alla  palafitta,  colla  malizia  de'  capitani  di  bri- 
gantini, che  abbandonano  il  littorale ,  senza  che  la  tempesta 
gli  scacci,  e  lasciano  entrar  in  Pisa  le  biade  e  il  grano  di 
Tarlatine  da  Città  di  Castello.  Niccolò  non  sì  lamenta  già  di 
esser  mal  secondato,  non  scusa  il  male,  ma  lo  rimedia  con- 
ducendo egli  stesso  a  una  bella  e  presta  fazione  i  suoi  fanti 
di  Valdinievole,  i  prodi  scoppiettieri,  che  dan   bella  prova  di 

1  Bibl.  Naz.,  Doc.M.,  busta  ly,  e.  122.  DBcem^oiri  Ub,Bi  Baliae  rep.  fior.  Machiavello 
ucr, nostro  carmo.Cito  cito.  A  ».—  E  nel  medesimo  giorno  gli  ripetono  (Àrch.  fior.,  Lett. 
dei  Disci,  n.91  a  c.48t.  ,  ediz.ult..  t.  y,  pag.  347-4S):  «Confidiamo  assai  in  Te,  et  siamo 
certi  che  per  te  non  ha  ad  mancare  :  pare  la  cosa  è  ridotta  in  termine,  che  non  possiamo 
fare  altro  che  sollecitare  qualunque  si  troua  fuora  per  conto  di  questa  fazione.  Et  perchè 
noi  stimiamo  che  tu  arai  faccende  assai,  però  voliamo  ritenga  teco  tommaso  Baldovini  e 
te  ne  serva  ad  mandarlo  innanzi  e  indrieto  e  per  conto  di  vettovaglie  e  di  ciò  che  altro  ti 
accadessi  ». 

*  «  Lesole  o  TOsole»  scrivono  il  Machiavelli,  i  Dieci,  il  Capponi  per  quel  che  oggi  si 
dice  POseri  od  Ozori,  Tantico  Auser.  II  canale  dell' Ozori  recava  al  Sercbio  le  acque  del 
lago  di  Sesto  di  Bientina,  immettendo  in  esso  anche  il  canal  Rogìo,  TOzoretto,  la  Pescilla 
e  il  Onappano.  Nella  Cronica  Pisana  del  Mabanooni,  si  cita:  (anno  d.  MCLVI)  «  turrem 
quae  est  super  pontem  Ausaris  ». 

»  Macbia^'blli,  Covnmiss.  al  campo,  ediz.  ult.,  lett.ix. 

♦  Id.,  ibid.,  lett.  XV. 


Digitized  by 


Google 


44S  CAPO  SESTO.  *  [libbo 

saper  coraggiosamente  combattere  per  la  patria.  ^  Poi  va  a 
Lucca,  nella  prima  settimana  del  marzo,  a  far  rimostranze 
energiche,  però  che  si  continua,  nonostante  le  convenzioni  e  le 
leghe,  a  vettovagliar  Pisa,  a  gettar  bricciole  sul  capo  della  ve- 
stale moritura.  I  Lucchesi  gli  si  scusano,  promettono,  spediscono 
un  mandatario  a  dar  soddisfazione;  a  pregarlo  che  quando  egli 
abbia  sentore  di  nuovi  inconvenienti  ne  scriva  prima  a  Lucca 
che  a  Firenze;  perchè  possano  «  farvi  rimedio  più  presto  e 
senza  odio  »  ;  insomma,  di  passivi  che  erano  a  non  soccorrere, 
diventano  attivi  a  vegliare  che  niuno  soccorra  l'affamata.  * 
Niccolò  frattanto  spinge  innanzi  i  lavori  d'asserragliamento  e 
li  compie  :  «  Abbiamo  fatto  tre  ordini  di  pali,  scrive,  quindici 
per  ordine,  fasciati  di  listre  di  ferro,  perchè  i  pisani  non  li 
possine  sciorre  né  tagliare;  e  le  listre  vengono  tutte  sotto 
l'acqua,  in  modo  che  non  crediamo  che  a  guastarle  e'  si  met- 
tano, non  si  possendo  stare  con  un  grande  loro  agio;  potreb- 
bono  bene  tragettare  il  barchereccio  per  terra;  il  che  gli 
terrebbe  a  bada  in  modo  che  l'uomo  sapendolo,  potrà  più 
facilmente  prevenirli  »...  —  ...«  potranno  guastare  con  tagliare, 
ma  bisognerà  loro  tempo,  il  quale  non  possono  avere  molto 
sicuro  con  due  eserciti  addosso:  vedremo  ora  come  se  ne  go- 
verneranno ».^ 

Fatto  finalmente  un  altro  campo  a  Mezzana  per  cui  s'in- 
tercettava ogni  comunicazione  colla  Val  di  Calci,  Pisa  provava 
il  soffoco,  la  disperazione  della  stretta  estrema.  Come  già  l'an- 
tico conte  di  Donoratico  sentiva  chiavar  l'uscio  di  sotto  alla  torre 

^  Il  Machiavelli  stesso  ragguagliò  di  questa  fazione  e  i  Dieci  e  i  Nove  (V.  Bibl.  Nas., 
Doc,  M.f  busta  iv,  n.  123,  Novemriri  or^num  milititie  rep.  fior.  N.  M,  iscr.  nro.  Ex  pa- 
latio  fior,  die  28  febr.  lóO^-g  ».  —  La  lettera  del  M.  pur  troppo  andò  smarrita,  avendosi  a 
deplorare,  per  quanto  apparisce,  la  perdita  di  non  meno  di  81  lettere  di  questa  Commi»- 
sione  al  campo  sotto  Pisa.  Esse  recherebbero  le  date  seguenti:  1508,  85  agosto  N.  M.  in 
Ponte  ad  Era;  26  agosto  N.  M.  in  Cascina.  ISO»-» ,  13  februarii  N.  M  in  Pescia  ;  14  fé- 
bruarii  N.  M.  in  Pescia;  16  februarii  N.  M.  in  Foce  di  Fiume  Morto;  17  februarii  N.  M. 
in  Foce  di  Fiume  Morto;  10  februarii  N.  M.  in  Foce  di  Fiume  Morto;  20  februarii  N.  M. 
in  Foce  di  Fiume  Morto  ;  21  (?)  februarii  N.  M.  in  Foce  di  Fiume  Morto.  150*-»  febbr.  22 
(2  lett.),  25,  26,  28  marzo,  1,  3.  4,  S,  10  (due  lettere  a  Niccolò  Capponi;  aprile  13,  lettera 
ai  Dieci,  nella  quale  era  un  Discorso  delle  cose  del  Campo,  di  cui  i  Dieci  lo  lodano. 

•  Arch.  fior.,  Lett.  ai  Dieci,  n.  90,  e.  390.  (CI.  x,  dist.  4,  n.93).  In  questa  lettera  Nic- 
colò indirettamente,  ma  con  molta  astuzia,  dà  sentore  di  non  trovarsi  soddisfatto  della 
cooperazione  dei  commissari  :  «  È  stato  o^i  da  me  messer  Agostino  E(^emardi  cittadino 
lucchese,  mandato  a  me  da  quelli  signori  a  farmi  intendere  come  hauendo  Vostre  S.rìe 
scripto  loro  una  lettera  un  poco  soprammano,  fondatiui  in  su  gli  aduisi  mia,  voleano  farmi 
intendere  che  erano  per  fare  ogni  opportuna  prouui sione  per  Tad venire,  che  i  Pisani  non 
fussino  prouueduti;  e  se  e' non  V  haueuano  fatto  infino  ad  qui»  naseeua  perchè  si  fon- 
davano che  V.re  S.rie  ci  prowedessino  loro,  et  facessino  per  tutto  guardare  in  modo 
che  i  Pisani  non  potessino  andare  et  uenire  ».  Cf.  il  citAto  passo  de*  Discorsi^  lib.  ni, 
cap.  XVI. 

*  Machiavelli,  lett.  cit. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  il  machiavelli  A  PIOMBINO,  449 

della  fame,  così  essa  si  vedeva  la  morte  certa  e  prossima  d'ogni 
intorno,  senza  più  scampo;  e  allungare  almeno  quell'ora  d'agonia 
fu  l'ultimo  sforzo  della  sua  difesa.  Cercò  patti  da'  Fiorentini, 
patti  che  la  salvassero  dall'esser  vilipesa  e  calpesta  nell'op- 
pressione imminente;  nutrendo  lusinga  che  non  si  sarebbero 
rifiutati  i  suoi  nemici  di  calare  ad  accordi,  perchè  loro  non 
importava  altro  che  rimpossessarsi  Jpresto  di  lei  comunque  fosse, 
ed  essa  nell'accordo  poteva  nascondere  il  germe  di  più  pro- 
spere lotte.  Né  era  tutto  gioco  di  speranze  che  le  faceva 
credere  probabile  la  buona  riuscita.  Il  gonfaloniere  Sederini 
aveva  già  tentato  pratiche  di  trattato  per  via  d'un  sensaluzzo. 
Non  s'era  concluso  nulla,  ^  ma  i  Fiorentini,  sempre  più  mer- 
canti che  soldati,  più  proclivi  alla  compera  che  alla  conquista, 
avrebbero  abboccato  facilmente  l'amo  proteso  loro  dalla  dispe- 
razione. A'  di  10  di  marzo  infatti  Niccolò  Machiavelli  riceve  da 
Empoli  lettere  del  Filicaia  e  del  Salviati,  con  un  ordine  de'  Dieci 
incluso,  ch'ei  si  rechi  prontamente  a  Cascina  a  conferire  con 
essi.  Quivi  gli  partecipano  la  commissione,  ch'eragli  stata  decre- 
tata quel  dì  medesimo,  di  condursi  immediatamente  a  Piombino 
presso  a  Jacopo  d'Appiano,  il  quale,  informata  la  Repubblica 
che  i  Pisani  scorati  erano  sulla  via  di  cedere,  ma  che  quelli 
che  s'erano  a  bella  posta  recati  con  salvacondotto  presso  di  lui 
non  volevano  entrare  in  particolari  circa  le  condizioni  della 
resa,  se  non  veniva  spedito  da  Firenze  un  mandatario  a  discu- 
terle, sollecitava  perchè  qualcuno  vi  fosse  inviato  a  questo 
efifetto.  —  «  Farlo  per  uomo  prudente  e  con  manco  demonstra- 
zione  si  può  »  parve  alla  Signoria  il  miglior  consiglio,  e  diede 
tale  incarico  al  Machiavelli,  il  quale  per  avventura  era  l'unico 
che  in  quella  congiuntura  fosse  capace  di  praticare  saviamente 
la  politica  della  guerra. 

È  ben  vero  che  la  commissione  sua  recava  fra  le  prime 
istruzioni  quella  di  osservar  bene  che  coloro  che  trattavano 
n'avesser  mandato  espresso,  altrimenti  rimontasse  subito  a  ca- 
vallo; per  non  mostrare  che  i  Fiorentini  fossero  per  impaniare 
nelle  parole.  E  vero  che  il  governo  gli  dichiarava  la  propria 
intenzione,  ch'era  piuttosto  di  tastare  il  guado  che  d'altro, 
raccomandandogli  di  non  compromettere  l'onore  e  la  dignità, 
né  dare  animo  ai  Pisani  col  mostrar  voglia  dell'accordo:  ma 
è  pur  vero  che  in  tutti  gli  uomini  di  stato  quella  voglia  c'era, 

>  QuiccuRDiMi,  Storia  fiorentina,  cap.  xxx,  pag.  352. 

ToMMASiNi  -  MachiawUl.  29 


Digitized  by 


Google 


450  CAPO  SESTO.  [libbo 

e  che  niuno  di  essi  confidava  tanto  ne'  battaglioni  dell'ordi- 
nanza, quanto  il  Machiavelli  o  il  negletto  Giacomini,  i  quali 
naturalmente  li  riguardavano  come  il  miglior  argomento  della 
guerra  e  della  politica. 

Niccolò  parte  di  campo  a*d\  12;  giunge  a' dì  14  in  Piom- 
bino, sulle  20  ore;  ^  mezz'ora  dopo  comparisce  davanti  al  si- 
gnore di  quella  terra.  Costui,  progenie  degli  Appiano,  che  ave- 
vano già  signoreggiato  e  fatto  la  prima  vendita  di  Pisa  al 
Visconti,  riservandosi  la  signoria  di  Piombino,  dell'  Elba  e  di 
pochi  altri  paesi;  seguitava  la  politica  tradizionale  della  sua 
casa,  vogliosa  d'aver  pace  nel  gran  duello  che  si  combatteva 
fra  le  due  repubbliche  d'Arno.  *  Se  non  che,  in  tanto  trambusto 
poteva  a*  suoi  maggiori  ed  a  lui  toccar  bene  in  sorte  di  rimanere 
illesi,  quando  e'  si  conservassero  estranei  e  neutrali  alla  lotta;  ma 
che  avessero  potenza  od  affetto  per  comparir  mediatori  autorevoli 
ed  efficaci,  era  assai  dubbio.  Però  le  parole  del  Machiavelli  a 
Jacopo  paiono,  in  questa  occasione,  più  di  chi  mette  in  avviso  un 
debole  a  non  assumere  l'aspetto  di  complice  involontario,  che 
di  chi  gli  sa  grado  d'essersi  interposto  per  condurre  un  ravvi- 
cinamento. E  per  questa  parte  è  mirabile  la  lettera  con  cui 
Niccolò  ragguaglia  i  Dieci  del  procedere  di  tutto  il  suo  colloquio 
coU'Appiano  e  dell'abboccamento  cogl' inviati  di  Pisa;  singolare 
contesto  di  dignità  sdegnosa  e  di  fredda  impazienza,  che  non 
lascia  cader  nulla  alla  presenza  altrui,  ma  mostra,  come  stretto 
nel  pugno,  il  seme  di  speranze  e  di  timori  non  vani  e  immediati. 

Niccolò  sul  principio  non  vorrebbe  neppur  vedere  quei 
messi,  poiché  il  signor  Jacopo  non  sa  dir  certo  se  coloro  anno 
autorità  e  mandato  di  trattare;  vorrebbe  rimontar  subito  a 
cavallo,  secondo  l'istruzione,  e  partirsene;  ma  l'Appiano  lo 
prega  a  riflettere  che  l'udire  non  nuoce,  che  non  può  aggiun- 
gere né  tempo  né  coraggio  agli  assediati;  che  bensì  toglie  loro 
l'appicco  di  far  querele  per  tutto  il  mondo  che  una  loro  amba- 
sceria solenne  e  sincera  non  sia  stata  neppure  ascoltata.  'Tanto 
che  il  Machiavelli  si  piega  a  udirla;  e  i  Pisani  s'inoltrano  — 
erano  un  venti  circa  tra  della  città  e  del  contado  —  facendo 
maraviglie  e  lamenti  per  prima  cosa,  che  mentre  credevano 
trovare  due  o  tre  cittadini  e  de'  più  gravi  per  trattative  di  tanto 


»  Arch.  fior.,  L«g.  di  N.  M.,  ix,  lett.  1». 

*  Cf.  RoNcioNi,  Ittorie  pisane^  pag.  907.  -  Gio.   di   Sbb  Piero,  CapUoH,  loc.  cìt., 
ag.250. 


Digitized  by 


Google 


BBCONDo]  TRATTATIVE  DELLA  RESA  DI  PISA.  451 

rilievo,  fosse  siato  spedito  quivi  appena  un  segretario,  il  quale 
non  veniva  neppure  dalla  città  direttamente. 

Ma  questo  era  tasto  da  non  provare.  Niccolò  secco  dichiara 
ch'ei  non  à  a  dir  nulla  perchè  essi  dicon  nonnulla;  —  dicano 
qualche  cosa  se  vogliono  eh'  egli  dica  qualcosa.  —  Replicano  i 
Pisani  aver  detto  assai,  chiedendo  sicurtà  della  vita,  dell'onore 
e  della  roba  loro.  Il  Segretario  soggiunge  che  gli  anno  a  di- 
chiarare che  sicurtà  propongono,  se  vogliono  ch'ei  risponda;  «e 
se  la  sicurtà  fosse  ragionevole  e  onorevole,  non  se  ne  man- 
cherebbe, perchè  la  Signoria  di  Firenze  vuole  ubbidienza  da 
loro,  né  si  cura  di  loro  vite,  né  di  loro  robe,  né  di  loro 
onore  ».  —  Per  sicurtà  essi  offrivano  tutto  quanto  il  paese 
sino  alle  mura  di  Pisa,  restando  la  città  riasecrat^-sino  al- 
l'esito finale  delle  trattative. — 

—  Ma  questo  era  offrire  di  quel  che  già  Firenze  possedeva. 

—  E  coloro  :  sì,  ma  senza  alcun  titolo  legale. 

—  Allora  Niccolò,  volgendosi  all'Appiano  :  «  Ora  è  chiara, 
disse,  la  signoria  vostra,  che  costoro,  l'anno  dileggiata,  e  la 
dileggiano;  perchè  io  credo  che  se  vi  avessero  detto  questo 
prima,  o  se  voi  lo  avessi  creduto,  voi  non  avreste  voluto  pi- 
gliare tal  carico,  né  intromettervi  in  una  cosa  che  avesse  questa 
riuscita.  Pure,  poiché  la  cosa  è  qui,  acciocché  per  sempre  la 
signoria  vostra  e  quel  popolo  di  Pisa  intendine  lo  animo  nostro, 
e  che  voi  e  loro  sappiano  come  questa  pratica  si  abbia  a  maneg- 
giare, io  vi  dico  che  quando  voi  non  siete  d'animo  di  metterci 
Pisa  in  mano,  libera  con  tutto  il  dominio  e  iurisdizione,  come 
era  avanti  la  ribellione,  che  voi  non  pigliate  questo  affanno  di 
venire  qui,  né  altrove  per  trattare  accordo,  né  anche  diate  questa 
briga  a  questo  Signore,  né  ad  altri.  E  cosi,  quanto  alla  securtà 
della  vita,  roba  e  onore  vostro,  quando  voi  non  siate  d'animo 
di  volerne  stare  alla  fede  dei  nostri  Signori,  voi  medesimamente 
non  pigliate  briga  di  affaticare  persona  per  composizione  alcuna, 
perchè  la  fede  dei  miei  signori  non  à  fino  a  qui  avuto  mai  bisogno 
di  alcun  mallevadore;  e  pure  quando  la  ne  avesse  bisogno,  nes- 
suno mallevadore  ci  basta.  Ma  la  più  ferma  e  la  più  vera  se- 
curtà vostra  à  da  esser  fondata  in  sulla  liberalità  vostra,  che 
voi  liberamente  veniate  a  mettervi  in  grembo  dei  miei  signori  ». 

E  qui  il  Machiavelli  rivoltosi  a'  contadini,  appigliandosi  a 
trar  vantaggio  da  quella  discrepanza  di  sentimenti,  da  quel  diverso 
modo  d' intendere  l'utilità,  che  sempre  distinse  gli  abitanti  delle 
città  da  quelli  delle  campagne:  «  della  vostra  semplicità  m'in- 


Digitized  by 


Google 


458  CAPO  SESTO.  [l 

cresce,  prese  a  dire  accortamente,  perchè  giuocate  un  giuoco 
dove  non  potete  vincere  ;  perchè  se  i  Pisani  vincessero  la  gara 
loro,  e'  non  vi  vorrebbero  per  compagni,  ma  per  servi  e  tor- 
nereste ad  arare;  dall'altro  canto,  se  Pisa  sarà  sforzata,  di 
che  ad  ogni  ora  voi  potete  dubitare,  perderete  la  roba  e  la 
vita,  e  ogni  cosa  ».  ^  A  questo  punto  messer  Federigo  del  Vi- 
vaio, un  di  quei  della  città,  cominciò  a  gridare  che  Niccolò 
voleva  dividerli,  che  questi  non  erano  termini  convenienti.  —  I 
contadini  non  fecero  verbo,  ma,  il  Machiavelli  osserva:  «  mi 
\  parve  che  gustassino  quelle  parole  ».  —  E  le  erano  davvpro  an- 
date diritte  e  a  fondo  ;  poiché,  quando  egli  aggiunse  che,  non 
volendo  la  pace,  avrebbero  più  guerra  assai  che  non  vorrebbero; 
GiovanIau4i^VTCO,"  un  di  loro,  proruppe  con  parole  «  alte  ed 
efficaci  »:  <  noi  vogliamo  la  pace,  noi  vogliamo  la  pace,  imba- 
sciatore  !  >  * 

Ciò  non  di  meno  il  Machiavelli  partissi  senz'altro  frutto 
che  d'aver  aperto  una  grossa  fenditura  fra  cittadini  e  rurali, 
obbligandoli  a  scoprire  le  loro  intenzioni  opposte.  La  natura 
era  poi  per  maturare  quell'opera,  conducendo  i  borghesi  e  ì 
villani  a  sopraffare  la  fazione  militare,  che  sola  e  tiranna 
aveva  preso  a  spadroneggiare  in  Pisa.  ^  Un  frate  predicatore, 
che  non  aveva  mancato  di  predicar  quaresima  e  digiuno  alla 
città  affamata,  venuto  al  campo  nelle  mani  del  Filicaia,  non 
esita  di  raccontare,  a  tripudio  de'nemici,  i  dolori  che  quivi  à  ve- 
duto: «  li  Pisani  non  possono  più,  la  miseria  vi  è  maggiore  che 
la  non  si  dice...  i  tristi  governano,  una  parte  degli  uomini  che 
sono  di  miglior  qualità  desiderrebbono  lo  accordo  >;  vorrebbero 
che  il  frate  stesso  s' interponesse  a  trattarne,  impetrando  prin- 
cipalmente tre  domande:  «  prima  di  tutto,  il  perdono  di  qualunque 
cosa;  poi,  securtà  che  fussi  loro  osservato;  in  terzo  luogo,  che, 
dando  loro  la  città  e  contado  liberamente  con  giurare  fedeltà 
perpetua  (la  quale  cosa  dicevano  che  non  era  stata  data  da 
principio  dai  loro  padri),  vorrebbero  avere  preminenza,  come 
qualche  altra  città  del  dominio  della  signoria  di  Firenze  >.  ^  — 

^  Machiavelli,  lett.  cit. 

«  Id.,  ibid. 

3  GuicciABDTNi,  /Storta  fiorentina,  cap.  xxix,  pag.  382;  cap.  xxx,  pag.  389  e  segg.  ~ 
Machiavelli,  lett  cit. 

«  Lettera  d*Antonio  da  Filicaja  «  ex  castrìs  apud  sanctam  Jacobuni,  die  14  aprilis 
1500  ».  È  tutta  autografa  del  Machiavelli,  meno  un  poscritto  in  cui  il  commissario  dà  no- 
tizia che  quegli  è  partito  per  rassegnare  i  fanti  negli  altri  accampamenti,  e  aggiunge:  «  Oli 
ho  imposto  che  tomi  poi  qui,  come  ne  scriuono  le  S.ri«V.re,  che  non  potrei  aver  più  caro 
che  averlo  appresso  ».  La  citiamo  sulla  fede  dell'edix.  ultima  (voi.  v,  pag.  395-397),  non 
esibendoci  riuscito  conoscere  T  indicazione  dell'autografo. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  AGONIA  DI  PISA.  453 

Povera  Pisa,  come  già  sente  e  dice  la  morte  sua  !  Pisa,  che  già 
aveva  mostrato  sul  mare  galee  «  che  parevano  montagne,  irte 
non  di  cespugli,  ma  di  lance  e  di  spade  >;  ^  Pisa,  che  aveva  fatto 
tremar  di  spavento  le  più  grandi  isole  del  Mediterraneo,  preso 
Salerno  ai  Saracini,  conteso  ai  Genovesi  la  Corsica,  vendicato  la 
morte  di  Cristo  sugi'  infedeli  di  Sardegna,  *  conquistata  Maiorca  e 
Minorca,  sbattuto  il  littorale  di  Barberia,  bruciata  Mehdia,  steso 
il  proprio  dominio  sulle  coste  tirrene  sino  a  Civitavecchia,  gran- 
deggiato sotto  gì'  imperatori  svevi  come  principal  ghibellina,  e 
fatto  insieme  da  alfana  alla  chiesa;  ^  è  per  morire,  disseccata 
per  la  soverchia  ampiezza  della  sua  vita,  per  avere  spaziato  in 
troppo  largo  campo  d'azione  sul  mare  e  oltre  mare,  inavvertita 
del  brulicame  di  piccoli  nemici  prossimi  che,  ingagliardendo  del 
sangue  suo,  la  consumavano;  muore,  perchè  nessun  fiume  vivifica 
due  città,  ed  Arno  fu  meglio  allettato  da  Firenze,  che  seppe 
volgere  gli  umori  guelfi  di  Toscana  a  tutto  rigoglio  proprio, 
e  domò  per  tempo  quel  ghibellinismo  incivile  per  cui  Pisfi  ebbe 
a  piangere.  ^  Pisa  afibga  presso  alla  foce,  e  Firenze,  discosta 
dalla  marina,  si  crede  in  ordine  per  navigare  ;  ^  non  sa  se  il 
trionfo  che  le  spetta  sulla  città  rivale  sia  pe'  peccati  di  quella 
o  pe'  propri  meriti,  ®  ma  la  conquide  e  la  stermina  implaca- 
bilmente, come  spinta  da  un  impulso  naturale,  cui  segue  sotto 
la  lusinga  della  utilità  propria;  e  tuttavia  Pisa,  colla  veggenza 
d'una  moribonda,  sa  che  Firenze  non  godrà  dell'acquisto. 

Frattanto  Niccolò,  invitato  dapprima  con  gran  mistero  e 
in  tutta  fretta  a  recarsi  alla  città,  col  maggior  numero  di  fanti 


^  Amari,  Diplomi  arabi  deU'arch.  fior.,  xix. 

*  Cf.  Sardo,  Cronica  pisana  nelVArch.  storico  it.,  t.  vi,  p.  2*,  pag.  70. 

*  Cf.  Mansi,  Tetti  di  lingua  inediti,  Roma,  1816,.  a  Lamento  di  Pisa,  pag.  H9: 

«  E  te,  romana  chiesa 
PrincipalmeDte  capo  di  giustixia 
Aggi  compassione  alla  mia  gran  tristizia, 
Ingegnati  adoprar  per  la  tua  alfana  ». 

*  Cf.  Maranoonb,  Cronaca  pisana  nell'Archivio  storico  italiano,  t.  vi,  p.  8',  serie  1*'. 
pag.  55: 

«  Heu  doleo  Pisa;  de  me  stirps  una  recisa 

Me  saepe  dat  pessntati.  Caput  essem,  vix  ita  pes  sum. 

Hoc  genus  in  matrem  furit,  urit  viscera  ». 

<  Cf.  Amari,  Diplomi  arabi,  voi.  i,  pag.  232:  Nota  et  informatione  a  voi  measer  Carlo 
di  Francesco  Federighi  e  Filice  di  Michele  Brancacei,  cittadini  fiorentini,  ecc.;  *  et  che 
inaino  a  qui  non  s*è  nauicato  è  per  non  auere  auuto  marina;  ma  che  bora  Tabbiamo  per 
lo  acquisto  di  Pisa,  siamo  in  ordine  di  nauicare';...  et  perchè  a  noi  debba  esser  con- 
ceduto quello  si  domanda,  et  maximamente  tutto  quello  avevano  i  pisani,  che  ora  attiene 
a  noi  ». 

*  V.  ne'  Commentari  sull'acquisto  di  Pisa  di  Qimo  Capponi  la  diceria  di  lui  al  popolo 
Pisano  (ed.  Barbèra,  pag.  388):  «  Onorevoli  cittadini,  noi  non  sappiamo  se  pe*  vostri  pec- 
cati o  pe'  nostri  meriti  iddio  ui  abbia  condotti  sotto  la  signoria  del  nostro  comune,  ecc.  » 


Digitized  by 


Google 


•454  CAPO  SESTO.  [libw 

che  può,  ^  vien  di  nuovo  spedito  immediatamente  in  volta  ai 
tre  commissari;  tutta  a  lui  lasciandosi  la  briga  d'arrolare, 
rassegnare  e  tramutare  le  fanterie;  tanto  che,  se  già  Biagio 
Bonaccorsi  per  celia  l'aveva  chiamato  capitan  generale,  *  egli 
medesimo  va  man  mano  sentendo  che  quella  milizia  è  fatto 
suo  più  che  altri  non  reputi,  e  lo  afferma.  E  quando  i  Dieci 
gli  lasciarono  intravedere  l'intenzione  di  destinarlo  a  soffer- 
marsi a  Cascina  presso  Niccolò  Capponi,  col  qual  commis- 
sario non  gli  era  già  stato  tanto  facile  trovarsi  in  buoni 
termini,  com'uomo  che  poco  amava  la  libertà  e  meno  l'ordi- 
nanza, ^  scrive  che  cotesta  fermata  non  gli  pare  puntò  utile, 
«  perchè  quivi  può  stare  ogni  uomo  d'ogni  qualità;  e  se  io  vi 
stessi,  non  sarò  buono  né  per  le  fanterie  né  per  nulla.  So  che 
la  stanza  sarebbe  meno  pericolosa  e  meno  faticosa  —  (questa 
non  é  lieve  sferzata  pel  grande  affare  che  tenea  quivi  il  com- 
missario) ;  —  ma  se  io  non  volessi  né  pericolo  né  fatica,  io  non 
sarei  uscito  di  Firenze;  sicché  lascinmi  vostre  S."*  stare  infra 
questi  campi,  e  travagliare  fra  questi  commissarii  delle  cose 
che  occorrono,  dove  io  potrò  esser  buono  ad  qualche  cosa, 
perchè  io  non  sarei  quivi  buono  ad  nulla,  e  morrèvi  disperato  ». 
Presso  il  Capponi  sembra  non  volere  rimanere  neppure  il 
Serragli,  che  i  Dieci  vi  avevan  mandato  insieme  con  Niccolò. 
Né  al  Machiavelli  mancò  occasione  d'attriti  e  di  gelosie  anche 


^  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  rv,  n.  125.' «  Decemviri  liberi,  et  baliae  N.  M.  secr.  fior, 
ove  sia  per  via  /T^J?'  Ex  palatio  fior,  die  5  aprilis  1509  ».  —  Le  lettore  43,  44,  55  della 
Commissione  al  campo  contro  Pisa  Dell*  ultima  edizione  dell*  Opp.  del  M.  sono  dirette  dai 
Dieci  al  Segretario  e  notate,  due  con  le  sigle  «  N.  Jkf.»,  e  una  «  iV.  Malcla.  »  nel  margine 
estremo  inferiore.  (Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  iv,  n.  126,  127,  129).  —  La  seconda  è  man- 
data «  in  sua  absentia  a  Francesco  Serrali!  »,  e  Francesco  Serragli  infatti  Taperse  e  mandò 
poi  a  Niccolò.  (Cf.  Lett.  48,  ed.  ult.  della  Legaz.  al  campo  contro  Pisa,  pag.  400).  Ora, 
oltre  gli  originali  della  Biblioteca  Naz.  sopra  citati,  si  à  di  queste  lettere  anche  U 
copia  ne*  Registri  dei  Dieci.  Il  Villari  (op.  cit.,  voi.  ii,  pag.  103)  rimprovera  agli  editori 
che  le  abbiano  pubblicate  «  senza  punto  spiegare  come  mai  il  Machiavelli  potesse  da  Fi- 
renze scrivere  lettere  al  Machiavelli  nel  campo  di  Pisa  ».  E  a^iunge  :  «  Pare  che,  con- 
servando egli  sempre  l'ufficio  di  segretario  dei  Dieci,  la  cancelleria  continuasse  qualche 
volta  a  porre  in  fine  delle  lettere  d'ufficio,  secondo  l'uso,  il  nome  del  segretario,  sia  io 
esteso,  sia  con  le  sole  iniziali,  anche  se  il  titolare  era  assente.  Né  le  lettere,  né  la  firma 
sono,  com'è  ben  naturale,  di  mano  del  Machiavelli  ».  —  Per  parte  nostra  dobbiam  constar 
tare  che  questo  fatto  è  tutt'altro  che  singolare,  e  che  non  poche  lettere  d'altri  segretari  ì 
quali  erano,  per  cosi  dire,  i  titolari  nell*  ufficio  cancelleresco,  appariscono  notate  della 
loro  sigla,  quand'anche  non  sian  firmate  da  loro.  Cosi  occorre  la  nota  «  Bart.  Scala  »  o 
«  Marcellus  »  anche  in  documenti  non  firmati  effettivamente  né  dallo  Scala,  né  dall'Adriani. 

•  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busU  iv,  n.79.  «  Qi^m  nosli  (Blasius)  N.  M.  Plorentiae  die  car- 
nescialis  ISO»-»  ».  Comincia:  «  Magnificus  Generaìis  CapUanetts  (sic)...  Io  non  vi  scriverò 
più,  ecc.  » 

•  Il  Bosmi  {Lettere  al  Varchi,  pag.  24)  e'  informa  come  Niccolò  Capponi  anche  nel  1527 
ebbe  ad  essere  accusato  presso  il  popolo,  perché  «  non  voleva  ordinare  cosi  utile  milizia 
per  la  libertà  sua  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDO]  AGONIA  DI  PISA.  455 

col  Salviati,  a  cagion  de'  fanti;  ^  tanto  che  Tunico  commissario, 
col  quale  non  trapela  che  il  Segretario  avesse  a  dissimulare 
disaccordo  in  queste  congiunture,  è  il  Filicaia,  la  fanteria  del 
quale  loda,  con  paterno  orgoglio,  come  la  migliore  che  di  que' 
tempi  potesse  essere  in  Italia.  *  Il  Filicaia  medesimo  consente 
ad  esaltare  la  fede  e  la  virtù  de'  militi  del  Casentino,  quando, 
adunatili  per  dar  loro  le  paghe,  li  vede  ardenti  inginocchiar- 
glisi  ai  piedi  per  impetrare  che  mai  non  siano  lasciati  andare 
prigioni,  «  aggiugnendo  che  avendo  ad  morire  con  le  armi  in 
naano  per  cotesta  repubblica,  mai  lo  recuseranno;  e  se  si  fa- 
cessi mai  battuta  ad  le  mura,  e'  vogliono  essere  e'  primi  ad 
entrare  dentro,  ^  pregandomi  di  essere  adoperati  in  qualsiuo- 
glia  fazione  pericolosa». 

Ma  di  fazioni  pericolose  pur  troppo  a  cagione  di  Pisa  non 
c'era  più  ad  aspettarne.  L'opera  del  Machiavelli  si  ristringe 
oramai  a  portar  le  paghe  da  un  campo  all'atltro,  a  riunire  le 
compagnie  spezzate,  a  ridurle  sotto  a' loro  capi.  A  questo  ef- 
fetto, a'  18  d'aprile  lo  veggiamo  lasciare  il  campo  di  Mezzana, 
andarsene  in  quel  di  Valdiserchio,  procedere  a'dì  21  verso  San 
Piero  in  Grado;  indi  provvedere  all'approvigionamento  dei 
campi,  rimuovere  gì'  inconvenienti  che  lo  rendono  difficile,  la- 
mentarne da  Pistoia  il  disordine  che  rendeva  egualmente  pos- 
sibile e  dannosa  «  oggi  l'abbondanza,  domani  la  carestia  ».  ^ 

Ma  in  Pisa  il  digiuno  cominciava  a  poter  più  che  il  dolore,  più 
che  l'amore  della  libertà.  Il  guasto  era  compiuto  ;  la  desolazione 
stava  alle  porte,  per  le  vie  della  città  cadeva  la  gente  d'inedia. 
Documenti  che  ci  descrivano  particolarmente  le  scene  d'orrore 
di  quest'agonia  estrema  non  ne  restano:  nessuno  aveva  forze 
o  voglia  da  registrare  più  quei  patimenti  ineffabili;  nessuno 
scriveva  i  verbali  delle  angosciose  consulte,  ch'erano  le  ultime 
del  libero  comune;  non  ve  n' à  traccia  nell'archivio  pisano  e 
tutte  le  congetture  per  cui  ci  si  rappresentano  quelle  ore  ama- 
rissime,  si  fondano  sopra  notizie  d'origine  fiorentina.  La  natu- 
rale diversità  d'interessi  e  d'afifetti   che  il  Machiavelli  aveva 

>  Bibl.  Naz.y  doc.  M.,  busta  iv,  n.  39,  Lettera  d'Alamanno  Salviati  *  in  caatris  die 
xxvmj  aprilis  1509,  N.  M,  in  castris  apud  Mezsanam  »,  pubblicata  fra  le  Opp.  di  N.  M., 
edix.  ult.,  t.  ▼,  pag. 409-10.  —  Anche  nella  lettera  di  Niccolò  ai  Dieci  «ex  castris  Floren- 
tinoram  apud  sanctum  Petrum  in  Grado  die  xxi  aprilis  m.d.viiij  »  appariscono  gli  sforzi 
che  il  segretario  è  costretto  fare  per  poter  «  satisfare  a  questi  commissari  ».  (Arch.  fior.. 
Lettere  ai  X.ei,  f .  94  e  418,  ult.  ed.  Opp.  di  N.  M.,  pag.  404-409). 

*  Arch.  fior.,  Lett.  ai  X.ci,  ci.  x,  dist.  4,  n.  98,  f.  94,  a  e.  402.  La  lettera  scritta  a 
nome*  del  Filicaia  ò  autografa  del  Machiavelli. 

*  Machiavelli,  Opp.,  ed.  ult.,  t.  vi,  pag.  411-12,  Lettera  *  ex  Pistorio  die  xviij  maij  1509  » 


Digitized  by 


Google 


456  CAPO  SESTO.  [libbo 

stimolato  destramente  a  Piombino  fra  gli  uomini  della  città  e 
quei  della  campagna,  recava  le  sue  conseguenze  immancabili. 
Un'ambasceria,  composta  di  contadini  per  due  terzi  e  di  citta- 
dini pel  rimanente,  volevasi  mandare  ad  aprir  trattative  coi 
commissari.  L'esorbitanza  del  numero  che  il  contado  in  quella 
pretendeva  assicurarsi,  diceva  chiaro  l'intenzione  e  lo  scopo  che 
proponevasi.  Oramai  non  si  noveravano  più  d'un  venticinque 
persone  in  tutto  il  Consiglio  pisano  che  si  reputassero  ostili 
all'accordo  ;  *  e  se  questo  non  si  concludeva,  si  teneva  certo 
che  sarebber  morti  di  fame  la  metà  del  popolo;  le  derrate 
mancavano;  chi  aveva  ancora  un  po' di  vitto  per  qualche  dì 
lo  rinserrava,  lo  nascondeva;  gli  ospedali,  le  chiese,  l'opera 
della  fraternità  avevano  esausto  i  redditi  loro  a  sostegno  della 
città  moribonda.  Né  già  si  quistionava  più  circa  il  partito  da 
prendere;  ma  circa  la  caduta  più  decente  della  repubblica. 
Designare  su  quattro  abitanti  della  città  otto  del  contado  per 
un'  ambasceria  a'  commissari  fiorentini  sembrava  misura  inef- 
ficace e  sconveniente  insieme.  A  che  avrebbe  approdato  tanta 
disuguaglianza  di  numero?  a  mostrar  la  maggior  renitenza  d^i 
cittadini  ad  un  fato  inevitabile,  il  più  facile  accasciamento 
della  natura  villana  sotto  le  percosse  e  il  patimento;  nulla  più. 
Ora,  a'  contadini  essere  in  maggioranza  di  cinque  contro  a 
quattro,  più  per  loro  malleveria  che  per  bisogno,  poteva  bastare. 
Parve  che  tali  riflessioni  capacitassero  le  menti,  non  d'altro 
curanti  che  della  resa  ;  quantunque  poi  il  fatto  (o  fosse  in  seguito 
di  determinazione  o  d'artificio  o  di  caso  non  possiam  dirlo), 
portò  che  i  cittadini  che  andarono  fossero  cinque,  e  quattro  per 
converso  i  contadini. 

I  commissari  frattanto,  avvisati  della  cosa,  erano  conve- 
nuti tutti  e  tre  in  Val  di  Serchio,  per  procedere  di  comune 
intesa;  cercando  per  ogni  via  di  metter  fiducia  ne' Pisani,  che 
quando  volessero  arrendersi,  troverebbero  dalla  parte  di  Fi- 
renze «  più  clemenza,  più  securtà,  più  beni  che  non  saprieno 
domandare  >.^  A'  di  24  di  maggio  i  nove  ambasciatori,  prov- 
visti di  salvacondotto,  s'abboccarono  su' fossi  con  Alamanno 
Salviati;3  il  giorno  seguente  partirono  con  lui  per  Firenze, 
dove  furono  alloggiati  onorevolmente  in  san  Piero  Scheraggio. 
Cinque  di  vi  stettero  a  discutere  e  preparare  una  bozza  di  con- 

1  MAOHiAyELLi,  Commisaione  cìt.,  lett.  64,  ed.  olt.,  t.  v,  pag.  481. 
*  Machiavelli,  Commissione  al  campo  contro  Pisa,  ed.  ult.,  lett.  57,  pag.  414.  La  let- 
tera, quantunque  scritta  in  nome  dei  tre  commissari,  è  autografa  del  Machiavelli. 
»  Id.,  ibid.,  lett.  60. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  SUBMISSIO  CIVITATJS  PISARUM.  4Sa 

menzione,  per  l'accettazione  della  quale  sei  di  loro  a' di  trenta 
tornarono,  in  Pisa.  Quella  convenzione  s' intitolava  a  dirittura 
la  Submissio  civiiatis  Pisarum.  Per  essa  i  Pisani  «  con  umiltà 
e  riverenza  supplicando  d'essere,  essi  e  i  loro  posteri  in  perpetuo, 
accettati  per  sudditi  dall'eccelso  dominio  fiorentino  >,  venivan 
da  Firenze  ricevuti  a  maggior  gloria  di  Dio  e  di  san  Giovanni, 
rimettendosi  loro  ogni  ingiuria  pubblica  e  privata,  dal  tempo 
della  ribellione  in  poi  ;  cosi  ancora,  ogni  interesse,  ogni  spesa  so- 
stenuta per  la  guerra,  ricomperando  Firenze  a  proprio  vantaggio 
le  tasse  delle  misure  e  del  suggello  che  Pisa  aveva  ceduto  ai 
propri  creditori;  lasciando  a'  Pisani  certi  proventi  delle  gabelle 
a  favore  della  ricostituzione  del  monte  di  pietà,  concessione  che  i 
frateschi  volentieri  facevano;  restituendo  a  quelli  l'amministra- 
zione dell'Opera  della  Misericordia  alla  Carraia  di  sant'Egidio, 
in  quella  condizione  di  fatto  e  di  diritto  in  cui  era  dieci  anni 
prima  della  ribellione,  quando  la  partigianeria  politica  non  s'era 
ancor  tutta  sbramata  nel  patrimonio  de'  poveri;  *  obbligandosi 
a  non  imporre  nuovi  tributi,  a  esigere  solo  per  metà  durante 
i  dieci  anni  prossimi  la  solita  gabella  delle  grasce;  a  riscuo- 
tere soltanto,  decorsi  i  prossimi  vent'anni,  la  metà  del  tributo 
che  pagavano  innanzi  al  novantaquattro;  purché  fin  d'ora  la 
città  soggiacente  facesse  omaggio  del  palio  a  san  Giovanni,  al 
santo  patrono,  al  santo  potente  della  città  dominatrice.  I  con- 
tadini delle  potesterie  di  Cascina,  di  Vico,  di  Ripafratta,  dei 
borghi  e  sobborghi  di  Pisa  erano  favoriti  con  le  concessioni 
medesime.  Ma  quel  che  alla  città  veniva  tolto  per  sempre  era  la 
vita  autonoma,  l'impero,  la  giurisdizione,  il  governo;  eserci- 
tasse pure  le  industrie,  eccetto  quella  de'  drappi  di  seta  e  del 
battiloro;  conciasse  pur  cuoi,  tingesse  pure  berrette,  diventasse 
pure  una  succursale  di  Firenze;  Arno  non  avrebbe  mai  più 
incontrato  due  città  sulle  sue  ripe.  De'  Pisani  chi  voleva  re- 
stare a  godersi  tranquillamente  i  beni  mobili  e  immobili  nella 
patria  decapitata,  poteva;  ma  chi  preferisse  portare  sotto  altro 
cielo  il  dolore  della  libertà  perduta,  quand'ei  ne  facesse  di- 
chiarazione dentro  lo  spazio  di  due  mesi,  trovava  il  cortese 
comune  di  Firenze  che  s'obbligava  ad  acquistargli  i  beni  im- 
mobili per  giusto  prezzo,  sopra  perizia  che  due  cittadini  fioren- 
tini, a  sua  richiesta,  ne  avrebbero  fatto.  Queste  condizioni  che 
chiudevano  in  sé  tanta  durezza  quanta  era  necessaria  a  ster- 

>  V.  la  nota  airart.  5  della  Si*bmts8Ìo  civitalU  Pisarum,  in  appendice. 


Digitized  by 


Google 


458  CAPO  SESTO.  [libbo 

minare  e  spremere  una  città  rivale,  tanta  mansuetudine  quanta 
convenivasi  a  piegare  sotto  il  giogo  la  cervice  d'uomini  av- 
viliti dalla  necessità,  ma  generosi  e  capaci  ancora  di  violenza 
disperata,  furono  dagli  ambasciatori  pisani  presentate  al  Con- 
siglio del  popolo. 

I  Fiorentini  credevano  aver  fatto  miracoli  di  magnanimità 
scendendo  a  patti  così  vantaggiosi  coi  vinti,  risparmiando  il 
ferro,  il  fuoco,  il  saccheggio  a  una  terra  ribelle,  combattuta  per 
quindici  anni.  Ma  quelli  che  dovevano  pronunciare  la  sentenza 
di  morte  per  la  patria  loro,  quelli  che  avevano  dato  ogni  cosa 
per  essa,  e  speravano  almeno  colVaizzare  a  ferocia  i  vincitori 
farli  segno  all'odio  e  all'obbrobrio  del  mondo,  non  potendo  più 
ostare  all'approvazione  certa  dell'assemblea  fiaccata,  mettevano 
innanzi  indugi.  I  contadini  allora,  insofferenti  d'essere  menati 
più  per  le  lunghe,  serrano  il  palazzo;  intimando  a'  rinchiusi  che 
nessuno  più  n'esca,  se  non  dopo  risolto.  I  popolani  contempora- 
neamente adescati  dal  pane  proteso  loro  alle  tagliate,  accorrono 
a  centinaia,  s'avanzano  pel  campo  nemico,  danno  la  conclusione 
per  fatta,  mostrano  l'umiltà  e  l'abbandono  della  fame;  ma  i 
commissari  fiorentini  alternando  ora  un  po' di  larghezza,  ora 
alquanto  rigore,  riescono  in  parte  a  domesticare  le  turbe,  e  ad 
aggiungere  simultaneamente  sproni  più  forti  per  accelerare  la 
risoluzione  finale.  Se  alla  dimane  la  cosa  non  fosse  ferma,  mi- 
nacciano non  dar  loro  più  pane,  trattare  gli  usciti  come  nemici; 
ma  questi  assicurano  che  la  conclusione  non  può  mancare,  par- 
lano come  chi  getta  via  il  pensiero  per  seguitare  a  trarre  il 
fiato,  e  rientrati  in  città  si  stringono  attorno  al  Consiglio  del  po- 
polo, ove  ancora  rimane  «  qualche  legno  torto  ».  ^ 

Di  quella  estrema  consulta  nulla  ci  è  dato  conoscere  da 
fonte  pisana:  il  nome  glorioso  degli  ultimi  reluttanti,  il  gemito 
estremo  di  Pisa  è  involto  nell'eterno  silenzio.  Solo  i  Fiorentini 
ne  seppero  gli  efietti,  che  furono:  il  ritorno  degli  ambasciatori 
a  Firenze,  le  ratifiche  del  trattato.  Ma  «  e*  vi  fu  delle  fatiche  », 
scrive  il  Filicaia,  «  e  se  e'  non  fussino  stati  li  uomini  del  con- 
tado che  vi  si  trovorono,  egli  uscivano  a  rotta  di  palagio  > .  ^ 
Finalmente,  sottoscritta  e  ratificata  la  capitolazione,  trattavasi 
di  fare  l' ingresso  dentro  le  mura  della  città,  di  farlo  coU'ora 
felice,  3   di  godervi  il   trionfo,    d'eternare  colla  memoria  del 

^  Machiavelli,  Opp.»  ed.  uh.,  Commitsions  al  campo  contro  Pisa,  lett.  69,  d'Antonio 
di  Filicaia  ai  Dieci,  «  ex  castris  apad  sanctnm  Jacobnm,  die  4  junii  m.d.viuj  ». 
3  Ibidem. 
3  Bibl.  Nax.  fior.,  doc.  M.,  bnsu  tv,  n.  40.  Lettera  di  Lattanzio  Tedaldi  a  N.  M.  «die 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]       PRETENDENTI  ALLA  GLORIA  PEL  RACQUISTO  DI  PISA.  459 

fausto  successo  il  nome  di  chi  credeva  avervi  validamente  con- 
tribuito. 

E  chi  non  lo  credeva  in  quello  sparpagliamento  di  pic- 
cole forze  che  la  repubblica  democratica  aveva  messo  in 
gioco,  in  quella  fitta  di  pretensiose  vanità  che  aveva  fomen- 
tato ?  Il  Soderini  e  i  Dieci  prima,  ^  i  tre  commissari  poi,  pare- 
vano più  che  ogni  altro  aversi  con  buon  diritto  a  far  belli 
dell'  avvenimento.  Tra  i  commissari,  il  Salviati  pretendeva 
più  che  altri  la  palma  per  le  trattative  condotte;  *  e  dire  che 
Pisa  aveva  ad  essere  la  tomba  sua  !  ^  In  cancelleria,  e  fuori 

5  Janii  1509  »:  ~  «  Nicholo  fratello  charìssimo  salutam  etc.  Io  vorrei  che  tu  dicessi  a  chom- 
messarìi  che  havendo  a  pigliare  giovedi  la  possessione  di  Pisa  che  inessono  modo  essi 
entrino  avanti  le  12  ore  et  Wt*  ma  se  possibile  è,  onnino  a  ore  13  passate  di  poche  poche, 
che  sarà  hora  felicissima  per  noi.  Et  se  giovedi  non  8*avessi  a  pigliare,  ma  si  venerdì, 
medesimamente  a  hore  13  et  uno  poche  poche  poi;  et  non  havanti  le  12  !/«.  Simile  sa- 
bato mattina,  quando  non  s*avessi  el  venerdì.  Bt  quando  non  si  possa  osservare  né  tempo 
né  ore,  faccisi  et  piglisi  quando  si  può  in  nomine  domini.  Et  questo  dirai  per  mia  parte 
ad  Antonio  da  Filichaia.  Et  at  te  mi  rachomando  che  Xrispto  di  male  ti  guardi.  Vale. 

Lattaniio  Tedaldi  in  Firenze  ». 

»  n  Oats,  Carteggio  inedito  d'artisti  (t.  ii,  pag.  110-11),  pubblica  il  seguente  nota- 
raento  apposto  dal  Vespucci  nel  minutario  della  cancelleria,  Lettere  ai  X.ci,  f.  126,  infine: 
«  Bini  isti  libri  feliciter  finiunt,  recuperatis  videlicet  Pisia  longa  obsidione  et  fame.  Quod 
factum  est  cura,  labore  atque  soUertia  cum  magnificorum  Decem,  tum  vel  maxime  111. mi 
vexilliferi  justitie  perpetui  primi,  qui  quidem  ad  id  redactus  fuerat,  ut  prae  sollecitudine, 
prae  anxietate,  praeque  vigilantia  Pisas  ipsas  recuperandi,  neque  noctu  neque  interdiu 
nequiret  quiescere,  quique,  nisi  ad  votum  res  successisset,  excedere  e  vivis  viteque  recu- 
sare  (quod  atfirmare  ausim)  cogeretur.  Verum  concedente  Domino  ejus  intemeratae  Virginis 
precibus,  hac  die  viij  Junii  1509  in  uenerdi,  ingressi  civitatem  Pisarum  Fiorentini  Pisis 
quam  letissime  potiti  sunt.  Quod  felix  faustumque  sit  fiorentino  populo!  Neque  te,  Lector, 
id  fugiat  a  literis  D.  Decem  fuisse  hoc  temporis  Blasium  Bonaccursi,  ipsumque  dictasse 
quidquid  bisce  libris  continetur,  suaque  manu  quasi  per  totum  scripsis^e.  Ego  vero  Augu- 
stinns,  unus  ex  minimis  adiutoribus  in  cancelleria,  in  rei  memoriam  hoc  scriptum  mea 
raanu  reliqui  ». 

*  Questo  emerge  più  specialmente  dalla  Storia  fiorentina  del  Guicciardini,  «in  cui  il 
giovane  autore  non  seppe  guardarsi  dal  mostrarsi  soverchiamente  fautore  e  del  padre  e 
del  suocero.  In  questa  (cap.xxxni,  pag.  3S9  e  segg.)  è  detto  che  i  Pisani  «cominciando 
a  prestare  fede  a  Filippo  di  Puccierello,  e  avendo  qualche  confidenza  che  Alamanno 
(Salviati)  avessi  ad  essere  buono  mezzo  a  fare  osservare  le  cose  promesse,  si  voltorono 
alla  via  dello  accordo  »  (pag.  391).  E  più  sopra  ei  racconta  che  quel  Filippo  di  Puccierello, 
fuggitosi  a  Lerici  da  Piombino,  ove  intervenne  insieme  cogli  altri  Pisani  presso  l'Appiano 
alPabboccamento  col  Machiavelli;  domandò  poi  ad  Alamanno  un  salvacondotto,  per  venirgli 
a  parlare  a  san  Piero  in  Grado,  ove  con  lui  si  mise  d'accordo  per  tentare  una  composizione 
«  innanzi  che  la  ultima  necessità  gli  costrignessi  ».  —  Sarebbe  forse  per  alludere  a  queste 
trattative,  che  Niccolò  scrisse  già  che  i  Pisani  furono  avuti  da  Firenze  per  compera,  «  dove 
la  gli  poteva  avere  a  forza  »?.  (Discorsi,  lib.  in,  cap.  xvi).  Nella  Commissione  al  campo 
contro  Pisa^  cosi  com'è  alle  stampe,  lett.  44,  s'accenna  che  i  Pisani  volevano  che  due 
almeno  degl'inviati  di  Pisa  rimanessero  a  Piombino,  «  cioè  messer  Federigo  dal  Vivaio  e 
Filippo  di  Pucciarello  »  ;  poi,  nella  lett.  50  (ed.  ult.,  v,  402  e  segg.),  s'accenna  alla  partenza 
da  Pisa  del  commissario  genovese,  e  al  fatto  che  «ad  Lerici,  Serezana  e  la  Spezie  sono 
favoriti  in  modo  e  intrattenuti  e'  Pisani  »,  che  se  non  vi  si  rimedia  i  Fiorentini  sarebbero 
per  patirne  gran  danni.  Finalmente,  in  una  lettera  de*  commissari  Salviati  e  Capponi  ai 
Dieci  (ibid.jlett.  65,  pag.  422),  si  parla  della  partecipazione  dell'accordo  concluso,  mandata 
da  Filippo  di  Puccierello  per  mezzo  del  suo  fratello  Andrea. 

>  Cf.  Guicciardini,  Opp.  inedite,  voi.  x.  Ricordi  autobiografici  e  di  famiglia,  pag.  81: 
«  Ricordo  come  a'  di  24  marzo  1509  a  ore  dieci  piacque  a  Dio  chiamare  a  sé  la  benedetta 
anima  di  Alamanno  Salviati  mio  suocero,  il  quale  mori  in  Pisa  ;  dove  essendo  capitano 


Digitized  by 


Google 


460  CAPO  SESTO.  [libro 

di  questa,  tra  le  armi,  c'era  chi  riconosceva  il  valore  dell'opera 
e  degli  sforzi  che  il  Machiavelli  aveva  fatto,  chi  gli  attribuiva 
gran  parte  del  merito  di  quel  racquisto  ;  ^  chi  voleva  che  ai 
fanti  ordinati  da  lui  fosse  serbato  l'onore  dell'entrata  solenne 
nella  città  caduta.  Ma  il  Machiavelli  sdegnava  che  in  quel- 
l'ora si  fosse  in  tanti  a  menar  vampo  d'un  trionfo  che,  in  fondo, 
era  una  compera;  e  non  un  pensiero  corresse  a  chi  davvero 
aveva  caiupeggiato  efficacemente,  a  chi  era  riuscito  col  rinno- 
vamento delle  milizie  statuali  a  rende  possibili  due  fatti,  cui 
le  soldatesche  conduttizie  non  sarebbero  a  quei  tempi  mai 
bastate:  a  stringere  fedelmente  l'assedio,  a  occupare  la  città 
senza  saccheggio  e  senza  rapine.*  Il  Machiavelli  vedeva  eter- 
narsi in  marmo  la  memoria  della  vanità  altrui;  ^  e  gli  doleva 
il  cuore   e  gli  fremeva  il  pensiero  di  non  poter  incidere  su 

ammalò  pe*  disagi  sostenuti  nella  recuperazione  di  quella  città  in  campo  a  san  Piero  in 
Orado  e  altrove,  e  forse  ancora  da  poi  per  la  aria  di  Pisa;  e  dopo  una  lunga  malattia 
che  durò  centotrentatrè  di,  rimettendogli  ogni  di  la  febbre  e  non  restando  mai  netto,  morì 
detto  di  avendo  già  finito  lo  utficio  del  Capitano  ». 

1  Bibl.  Nas.,  doc.  M..  busta  iv,  n.  43,  Lettera  d'Agostino  {Vespttcci)  a  N.  M.,  sscr. 
fior,  in  Pisa.  Questa  lettera  importantissima,  come  testimonio  deiropinione  di  chi  sapeva 
bene  qual'era  stata  Topera  del  M.  e  neirordinare  le  fanterie  e  negli  ultimi  ottantanovc 
giorni  che  aveva  passato  scorrendo  da  un  campo  airaltro.  fu  parecchie  volte  pubblicata 
e  citata.  Primieramente  dall* Amico,  Vita  di  N.  M.^  pag.  321,  quindi  dagli  editori  ultimi 
delle  Opp.  di  N.  M.,  voi.  v,  pag.  431,  con  alcune  ìnesattezse.  La  citano  il  Mordenti,  Diario 
di  N.  Machiavelli,  pag.  281;  il  Villabi,  op.  cit.,  voi.  ii,  pa^.  107.  È  del  seguente  tenore: 
«  O  io  m*  inganno  o  la  lettera  venuta  per  il  Zerìno  fu  vra.  Qui  non  è  possibile  potere 
esprimere  quanta  letitia,  quanto  jubilo  et  gaudio  tutto  questo  populo  babbi  preso  della 
nuova  della  recuperatione  di  cotesta  città  di  Pisa.  Ogni  hnomo  quodammodo  impasa  di 
exultatione;  sono  fuochi  per  tutta  la  città,  ancorché  non  sieno  le  21  bore;  pensate  quello 
si  farà  stassera  di  nocte.  Io  tomo  a  dirvi  che  non  mancherebbe  se  non  che  il  cielo  ci  mon- 
strassi  qualche  letitia  lui,  non  sondo  possibile  li  huomini  e  grandi  e  piccoli  posser  mo- 
strarne più.  Prosit  V0&Ì8  lo  esservi  trovato  presente  ad  una  gloria  di  questa  natura  et  non 
minima  portio  rei.  Quando  ui  degniate  di  rispondermi  due  versi  di  vra  mano,  dati  in  Pisa, 
fttl  mihi  erit  jucundius  nilque  acceptius:  vale.  FlorentiaeSjunii  1509.  tuus  fllius  (ed.  ult. 
«  si  suus  »)  Augustinus.  »  —  «  Post."*  Nisi  crederem  te  nimis  superbire  oserei  dire  che  voi 
con  li  vri  battaglioni  tam  bonam  navastis  operam  ita  ut  non  eunctando  sed  accelerando 
reslitueritis  rem  florentinam.  Non  so  quello  mi  dica.  Oiuro  dio  tanta  è  la  exultatione 
hauiamo,  che  ui  farei  una  Tulliana,  hauendo  tempo.  Sed  deest  penitus.  »  —  E  il  Casa- 
vecchia  pur  esso  da  Barga,  «  die  xvij  junii  mdviiij  »:  «  Mille  buon  prò  vi  faccia  del  gran- 
dissimo adquisto  di  cotesta  nobile  ciptà,  che  neramente  si  può  dire  ne  sia  suto  cagione  la 
persona  vra  in  grandissima  parte:  non  però  per  questo  biasimando  nessuno  di  cotesti  no- 
bilissimi commissari,  né  di  prudentia  né  etiam  di  solecitudine  »  (Bibl.  Nas.,  doc.  M.,  bu- 
sU  IV,  n.  4^). 

*  In  Roma  la  fasione  colonnese,  che  favoriva  i  Sederini,  celebrò  il  racquisto  di  Pisa, 
glorificandone  Marcantonio  Colonna  «  et  fu  di  questa  il  degno  capitano  |  Marchantonio  Colonna 
alto  et  soprano  ».  V.  il  poemetto  intitolato:  La  resa  de  Fisa  et  le  guer  \  re  tra  pisani  el 
fiorenti  |  ni  facte  da  quindeci  an  \  ni  in  qua,  sine  loco  et  anno,  ma  pubblicato  certa- 
mente subito  dopo  la  resa,  com*è  chiaro  alla  penultima  ottava: 

«  T*arei  qui  scritto  e  patti  o  mio  lettore 
ma  anchor  di  lor  non  ho  intelligenza 
et  della  verità  tutto  il  tenore, 
ma  come  hauti  Iharò  da  Fiorensa 
contsrolli  che  a  tutti  è  gran  honore  ». 

*  La  scritta  si  legge  ancora  sulla  poru  maggiore  del  palazso  comunale  di  Pisa,  e  reca 


Digitized  by 


Google 


secondo]       il  GIACOMINI  NEL  IL  DECENNALE  DEL  MACHIAVELLL  461 

monumento  più  perenne  della  pietra,  più  osservabile  a'  posteri, 
il  nome  del  Giacomini  e  non  già  il  proprio.  Poi  si  racconsolò, 
forse  pensando  che  i  rimatori  possono  forse  al  mondo  sopraffare 
gli  epigrafai,  e  col  secondo  decennale  provvide  che  un'ora  di 
vanità  non  illudesse  i  posteri. 

Pisa  giacque:  le  famiglie  civili  esularono  dalla  città;  i 
Sismondi,  i  Torti,  gli  Alliati,  i  Buzzacarini  ebbero  sulla  terra 
la  sorte  medesima  degli  ebrei.  Tre  quartieri  della  città  verso 
tramontana  restarono  in  breve  disabitati;  ^  dopo  poc'oltre  a 
mezzo  secolo  i  rimasti  in  Pisa,  discendenti  di  famiglie  pisane,  di 
poco  eccedevano  in  numero  i  settecento:  e  il  bianco  campo 
santo,  sì  tristamente  bello,  ebbe  ad  essere  reliquia,  testimonio 
e  simbolo  della  repubblica  morta. 

In  Firenze  tripudi,  *  invidie.  —  Al  Nasi  e  al  Pandolfini, 
oratori  in  Francia,  re  Luigi,  udita  la  nuova  del  fausto  ricu- 
pero, con  allegria  non  scevra  di  boria  e  di  pretensione  a  ri- 
conoscenza, diceva:  «  Voi  siete  pure  venuti  il  primo  potentato 
d'Italia.  Come  vi  chiamerete  voi  ora?  serenissimi  o  illustris- 
simi?... egli  è  pur  così;  voi  siete  i  più  grandi  ».  —  Infatti, 
insieme  col  tramonto  di  Pisa,  era  accaduto  un  altro  grande 
rovescio;  tanto  rovinoso  e  inopinato,  quanto  potè  parere  quello 

la  data  fatale  dell'  ingresso  de*  Fiorentini  : 

RBCBPTiS'rDEDITIONEM  PISIS  QUADRIMESTRI  TRIV"  CASTROI^  OBSIDIONE 

ANTONIUS  FILICARIA  ALEMaIFJVS  SALVIATUS  ET  NICoLàUS  CAPoNIV 

CO^r.TRES  FLoR.  CvM  EXERiCTV 

VRBE  INGRESSI  POSUERE 

ANNO  M .  D  .  VIIIJ  .  DIB  .  Vili .  IVNIJ  . 

1  V.  Arch.  pisano,  Riforme  dall'anno  1504  al  1550,^ni8.^membranaceo  :  «  (1)1  nome  sia 
dello  omnijiot^te  et  imortale  iddio  padre  figliuolo  et  spo  sco  et  della  gloriosissima  madre 
sua  madona  sca  Maria  et  del  precursore  di  ylTu  Xpo  M  sco  Johannj  baptista  di  M  sco 
pietro  M  sco  paulo  et  di  tutta  la  celestiale  corte  del  Paradiso  et  ad  exaltatione  della  sca 
chiesa  catbolica  et  gloria  et  bonore  et  exaltatione  dello  imperio  fiorentino  et  della  catbolìca 

parte  guelfa  et  a  pace  quiete  et  consolatone  della  cipta  di  pisa  et  deglbuomini  di  quella 

(I)tem  attendendo  li  prefati  reforraatori  la  cipta  di  pisa  essere  in  modo  dishabitata 

dalla  parte  di  verso  tramontana  dove  antichamente  erono  tre  quartieri  di  decta  cipta  che 
con  dispari  et  poco  congrua  divisione  si  può  mantenere  a  quartieri  come  solea  già  essere, 
deliberorono  et  ordinorono  per  pit\  comodità  del  popolo  et  acciocbè  li  ofiicii  più  congrua- 
mente  si  distribuischino  che  dieta  cipta  sia  distinta  p.  tertiero  ». 

'  V.  il  poemetto  sopra  citato,  La  retta  de  Pisa,  etc. 

«  Se  festa  fatta  fu  per  auella  sera 
non  tei  so  dir  che.creao  in  mongibello 
tanto  foco  no  e  quanto  fui  n'era 
in  alto  più  che  la  tor  di  babello 
et  despaciato  nn  fante  a  tal  maniera 
verso  Roma  ne  venne  ardito  e  isnello, 
con  gran  prestesa  g^ìonse,  a  tutti  disse  : 
che  eran  nnite  di  Pisa  le  risse  ». 


Digitized  by 


Google 


462  CAPO  SESTO.  [] 

della  Francia  a  Sédan,  nei  nostri  tempi;  la  potenza  di  Venezia 
avanti  i  confederati  di  Cambrai  era  in  un  momento  venuta 
meno. 

Pure  di  tanti  nemici  suoi  due  soli  s'erano  per  insino  allora 
levati  in  armi:  fiaccamente  il  papa,  per  mezzo  del  crudele  nipote 
Francesco  Maria  della  Rovere,  successo  a  Guidubaldo  di  Mon- 
tefeltro  nel  ducato  d'Urbino;  invadendo  e  mettendo  a  sacco  e 
a  fuoco  il  territorio  di  Faenza  ;  impetuosamente  i  Francesi,  pas- 
sando l'Adda  con  re  Luigi,  lo  Chaumont  e  il  La  Palice.  Incontro 
all'impeto  loro  l'Alviano  e  il  Pitigliano,  eccellenti  generali 
de'  Veneziani,  ma  due,  e  in  disaccordo  tra  loro  e  alle  prese  coi 
commissari,  eransi  fatti  innanzi  con  forze  presso  che  eguali  alle 
nemiche;  ^  s'erano  lasciati  cacciare  nella  necessità  di  combat- 
tere; ed  avevano  ricevuto  a  Vaila,  come  scrisse  il  Machiavelli, 
«  una  mezza  rotta  >,  *  la  quale  bastò  a  metterli  tosto  in  com- 
pleto disordine.  E  si  badi  che  il  Machiavelli  scrisse  una  mezza 
rotta,  quando  lo  sgomento,  da  un  lato,  e  la  gioia  dall'altro,  ave- 
vano cospirato  -già  ad  esagerare  l'importanza  della  perdita,  sino 
a  farla  parere,  cosi  a  Venezia  come  a'  nemici,  una  rotta  com- 
pleta, una  disfatta  a  dirittura;  e  quando  la  soddisfazione  di 
esser  riusciti  i  Veneziani  a  scamparla  da  un  pericolo  mor- 
tale gli  ebbe  imbaldanziti  sino  a  nascondere,  difendere  e  cele- 
brare i  partiti  che  la  sola  fiacchezza  ebbe  consigliato  loro  in 
un  frangente,  dal  quale  sarebbe  stato  impossibile  risorgere,  se 
l'insipienza  degli  avversari  non  avesse  cospirato  a  loro  van- 
taggio. Del  resto,  stando  al  referto  del  Grumello,  ^  testimonio 
di  veduta,  rimase  sul  campo  una  montagna  di  morti,  che  fu 
da  lui  computata  di  circa  a  quattromila;  altri  gli  fé'  ascen- 
dere a  sei  e  ad  ottomila;  il  Muratori  ammise  che  potessero  es- 
sere un  diecimila  circa,  ma,  colla  sua  solita  prudenza  di  giu- 
dizio e  semplicità  di  espressione,  avvisò  che  Biagio  Bonaccorsi, 
il  quale  ne  registrò  quindicimila  e  più,  «slargò  bene  la  bocca >.'* 

>  V.  in  RoMANiN,  op.  cit.,  t.  ▼,  pag.  208,  la  relazione  dell'Alviano,  tratta  dai  IHarii  del 
Sanudo,  t.  XVI,  pag.  210. 

*  Machiavelli,  Ditcorti^  lib.  ni,  e.  31. 

*  Gbumbllo,  Cronaca,  pag.  112. 

*  Muratori,  Annali  d'It.,  ad  ann.~  La  fonte  cui  attinse  il  Bonaccorsi,  per  dare  questo 
eccessivo  numero  di  vittime  alla  parte  veneta  nella  rotta  d*Agnatello,  ebbe  ad  essere  pro- 
babilmente il  poemetto  popolare  contemporaneo  intitolato:  Spattento  de  Italia  -  Historia 
de  la  horrenda  guerra  de  Francesi:  e  del  glorioso  Evangelista  Marco;  con  U  lafnento 
suo  del  ano  M.  D.  IX.  Et  ogni  sua  successo  nouamile  còposta  per  U  eultissimo  giouene 
Francesco  Maria  Sachino  da  Mudiana.  La  stampa  è  in  caratteri  gotici  :  ne  trovammo  ud 
esemplare  nella  Bibl.  Angelica  in  Roma.  Miscellanea  7/c  22.  —  In  essa  si  legge: 

«  E  chi  desiderasse  pur  d*  intendere 
la  gente  che  mori  del  nostro  campo 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  LA  «3f£ZZA  ROTTA*  DEI  VENEZIANI  A   VAILA.  463 

Il  -Machiavelli  pertanto,  chiamando  quella  battaglia  una  mezza 
rotta,  mostra  non  aver  apposto  fede  all'esagerate  notizie  giunte 
in  sulle  prime  a  Firenze  e  raccolte  dal  coadiutore  della  se- 
conda canceUeVia;  con^e  non  gliene  appose  neppure  il  Guicciar- 
dini. ^ 

A  ogni  modo,  non  si  può  per  fermo  dare  a  quella  batta- 
glia l'importanza  della  rotta  dei  Romani  a  Canne;  ove  i  set- 
tantamila morti  non  erano  incerti,  ove  un  esercito  straordi- 
nario, un  settimo  degl'Italiani   atti  alle   armi,  ebbe  ad  esser 
distrutto;  ove  un  Annibale  co' suoi  alti  concetti  politici,  tendenti 
a  disciogliere   il   forte  aggregamento   di  Roma^  aveva   mano 
libera  e  fortuna  seconda.  Se  non  che  il  concorso  d'alcune  cir- 
costanze estrinseche,  e  l'esser  effettivamente  riuscita  tanto  fa- 
tale alla  repubblica  veneta  la  giornata  di  Vaila,  quanto  poteva 
riuscire  a  Roma  quella  di  Canne,  valse  a  solleticare  le  formali 
analogie  dei  retori.  L'audacia  dell'Alviano  s'appaiava  legger- 
mente alla  sconsigliatezza  di  Varrone;  la  cautela  del  Pitigliano 
alla  prudenza  d'Emilio  Paolo.  Re  Luigi   faceva  parallelo  ad 
Annibale,  il  Trivulzio  al  Maharbal  di  Livio,  l'Adda  all'Aufido. 
Quando  a  Venezia   la   notizia   della   disfatta  arrivò  «  era  la 
Sensa,  >  ^  la  consueta  festa  dell'Ascensione,  in  cui  il  doge  spo- 
sava il  mare;  e  per  quell'anno  le  nozze  sue  furono  un  lutto.  Così 
a  Roma,  mentre  s'aveva  a  festeggiare  il  sacro  anniversario  di 
Cerere,  giunse  la  novella  di  Canne,   e  s'intermise  la  pompa. 
Ma  in  pari  tempo  quivi  si  compressero  i  gemiti  e  si  provvide 
alla  patria  strenuamente   e   con   dignità;  e   i  legati  campani, 
mandati   a  esporre  che,   se  Roma  voleva  aiuto,   un  campano 
avesse  a  farsi  console,  furono  con  indignazione  espulsi  e  dal 
littore  messi  fuor  delle  mura;  ^  e  ai  Petelini,  fra  i  Bruzi  ri- 
masi nell'amicizia  romana  che  chiedevano  aiuto,  fu  risposto 

a  ciò  no  habia  più  parole  a  spendere  _ 
perche  a  pensarui  sol  mi  strugo  e  avapo 
tra  auei  fugirno  e  che  s'heben  a  rendere 
e  chi  di  morte  sentiron  T  inciampo 
fur  quatordeci  milìa  in  una  schiera 
se  di  quel  Ceretan  Thistoria  è  nera  ». 

^  Il  GuicciABDmi  nella  Storia  fiorentina  (pag.  396)  fa  ammontare  le  perdite  de*  Ve- 
nesiani  «  circa  a  mille  cavalli  e  undicimila  fanti  »  ;  nella  Storia  d'  Italia  (lib.  vin)  si 
esprime  poi  cosi:  «  alcuni  affermano  esseme  stati  ammazzati  ottomila,  altri  dicono  che  il 
numero  dei  morti  da  ogni  parte  non  passò  in  tutto  seimila  ». 

■  Marim  Sanudo,  DiarUf  t.  tiii,  f.  213  :  «  Erra  la  Sensa  ma  tutti  pianzeva,  quasi  fo- 
rastieri  niun  vi  viene,  niun  vedeva  in  piaza,  li  padri  di  Colegio  persi,  e  più  il  nostro  Boxe, 
che  non  parlava  et  stava  come  morto  e  tristo  ».  —  Livio,  Hist.,  lib.  xxii,  cap.  56;  tum 
privatae  quoque  per  domos  clades  vulgatae  sunt,  adeoque  totam  urbem  opplevit  luctus, 
ut  sacrum  anniversarium  Cereris  intermissum  sit,  etc.  » 

»  Livio,  Hist.,  xxm,  6. 


Digitized  by 


Google 


46A  CAPO  SESTO.  [li 

che  si  tenessero  in  fede  e  provvedessero  a  sé  stessi,  come  il 
tempo  portava;  ^  contrastando  l'equanimità  di  Roma  verso 
i  popoli  soci  e  la  sua  fede  nel  proprio  impero  colla  dispera- 
zione di  quelli  e  colla  imprudenza  di  Cartagine  vincitrice.  Ma 
i  Veneziani  invece  s'accasciarono,  e  disperando  subito  a  quel 
primo  colpo,  trapassarono  dall'insolenza  folle  del  giorno  in- 
nanzi, all'abbandono  *  e  all'umiliazione  bassa  del  dì  seguente; 
«  perderono  non  solamente  tutto  lo  stato  loro  per  ribellione,  ^ 
ma  buona  parte  ne  dettero  ed  al  papa  ed  al  re  di  Spagna  per 
viltà  ed  abiezione  d'animo,  e  in  tanto  invilirono,  che  manda- 
rono ambasciadori  allo  imperadore  a  farsi  tributari;  e  scrissono 
al  papa  lettere  piene  di  viltà  e  di  sommissione  per  muoverlo  a 
compassione.  Alla  quale  infelicità,  cosi  insiste  il  Machiavelli,^ 
pervennero  in  quattro  giorni,  e  dopo  una  mezza  rotta;  perchè, 
avendo  combattuto,  il  loro  esercito  nel, ritirarsi  venne  a  com- 
battere ^  ed  essere  oppresso  circa  la  metà;  in  modo  che  l'uno 
dei  provveditori  che  si  salvò,  ^  arrivò  a  Verona  con  più  di 

^  Litio,  Hist.,  xxiii,  20.  «  Patres  circumspectis  omnibus  imperii  viribns  faterì  coacti 
nihii  jam  longinquis  sociis  io  se  praesidii  esse,  redire  domum,  iideque  ad  ultimum  expleta, 
confiderò  sibimet  ipsis  in  reliqnum  prò  praesenti  fortuna  jusserunt  ». 

*  Mabim  S  anudo.  Diarii,  loc.  cit.  «  Et  fo  parlato  per  tutti  quest'  nltlma  volta  prò  vi- 
sione di  mandar  il  Doxe  in  persona  fino  a  Verona  per  dar  animo  ai  nostri  e  a  le  zente,  et 
forli  consieri  appresso,  il  qual  movendosi  andria  500  zentilhomeni  con  saa  serenità  a  sne 
spexe.  Tamen  si  parlava  e  in  piaza  e  in  pregadi  sule  banche  et  quali  di  Colegio  nonvo- 
leano  meter  la  parte,  né  il  Doxe  si  oferiva  andarvi.  Era  ditto  questo  a  soi  fioli  et  Ihoro 
dicevano  «  Il  D^xe  farà  quello  vorrà  questa  terra  »  Tamen  è  più  morto  che  uiuo....  — 
Concludo  zorni  catiui,  vederne  la  nostra  ruina  et  nium  non  provbdb:  Dio  volesse  faste 
sta  fato  Taricordo  io  dissi,  e  voleva  far  se  intraua  sauio  ai  Ordeni,  che  fui  diaconsigliato 
a  intrarvi,  et  me  ne  pento,  di  mandar  a  tuor  cinque  over  seimilia  Turchi,  e  mandar  secre- 
tarlo over  ambasciadore  al  Turco,  ma  bora  è  tardi  ». 

*  Nel  poemetto  sopra  citato  del  Sacchino  da  Modigliana,  si  legge  : 

«  non  ui  fu  terra  si  fiera  e  gaiarda 
che  volesse  patir  solo  un  oltragio 
0  aspettare  un  colpo  di  bombarda 
Bergamo,  bressa,  crema,  e  carravagio 
se  ressen  come  udirno  della  rotta 
senza  sentir  le  trombe  una  sol  botta  ». 

E  vi  si  racconta,  in  seguito,  come  Padova,  Verona,  Vicenza 

«  più  frodi  steton  che  i  cucumeri 
e  r  insegne  levor  per  vituperio 
senza  ueder  persona  de  T imperio  ». 

*  E  nel  Decennale  Secondo ^  v.  193: 

«  Io  non  potrei  si  tosto  raccontami 
Quanto  si  presto  poi  de  Viniziani 
Dopo  la  rotta  quello  stato  sparve  ». 

&  Qui  la  sintassi  è  alterata. 

*  De*  provveditori  non  era  in  campo  che  Andrea  Gritti;  Oiorgio  Corner,  ammalato,  era 
stato  confortato  dallWlviano  a  partirsi  «  perchè  non  era  bisogno  di  uomini  inutili  ».  Cosi 
nella  Relazione  di  lui.  Veggasi  Romanin  (loc.  cit.,  pag.  209).  Né  il  Gritti  riparò  a  Verona;  ma 
quella  parte  dell'esercito  che  scampò  prima  a  Peschiera,  a  Verona  «  non  fu  volata  ricevere  » 
scrive  il  Romanin  (pag.  218),  laonde  il  Senato  ebbe  a  ordinare  che  pel  buon  esempio  li  po- 
teva che  il  provveditore  v*entrasse  con  tutte  le  forze  :  ma  quell'ordine  non  fu  eseguito,  e 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  AVVILIMENTO  DI  VENEZIA.  465 

▼enticinquemila  soldati,  intra  pie  e  a  cavallo.  Talmentechè  se  a 
Vinegia  e  negli  ordini  loro  fusse  stata  alcuna  qualità  di  virtù, 
facilmente  si  potevano  rifare,  e  dimostrare  di  nuovo  il  viso  a 
la  fortuna,  ed  essere  a  tempo  o  a  vincere  o  a  perdere  più  glo- 
riosamente o  ad  avere  accordo  più  onorevole.  Ma  la  viltà  del- 
l'animo loro,  1  causata  dalla  qualità  de  loro  ordini  non  buoni 
nelle  cose  della  guerra,  gli  fece  ad  un  tratto  perdere  lo  Stato 
e  l'animo  ».  ^ 

La  severa  sentenza  di  Niccolò,  breve,  tremenda,  vera,  e 
trovata  tale  anche  da  chi  è  uso  riconoscere  come  allora  il  mi- 
glior senno  civile  d'Italia  aveva  stanza  a  Venezia,  conviensi  colla 
sostanza  de' fatti  e  rivela  una  tendenza  particolare  dello  scrit- 
tore, per  cui  questi,  prescindendo  da  ogni  accidentale  ragione 
di  forme  politiche,  risguarda  un  sano  vivere  umano  come  opera 
d'arte,  e  però  l'à  in  pregio  finché  per  quell'arte  si  riescano  a 
determinare  le  funzioni  organiche  del  corpo  sociale  ;  ma  quando 
all'arte  venga  surrogato  il  congegno,  quando  contro  alle  ne- 
cessità non  si  metta  altro  che  espedienti  e  compensi,  quando  non 
s'ottenga  altra  coesione,  altro  moto  se  non  per  via  di  mecca- 
nica, allora  ei  non  ravvisa  cagioni  né  di  vita,  né  di  credito,  né 
di  rispetto  per  una  compagine  irresistente  alla  corruzione. 

Ma  prescindendo  da  queste  considerazioni,  di  cui  ci  occorre 
per  ora  a  questo  luogo  solamente  far  cenno,  conviene  tuttavia 
osservare  che  non  è  già  che  il  Machiavelli  non  vegga  e  non  ri- 
conosca quanto  di  meno  infermo,  a  petto  alle  costituzioni  delle 
altre  repubbliche  italiane,  sia  in  quella  di  Venezia;  non  è  già 
ch'ei  non  senta  come  questa  per  una  parte  vada  immune  dal 
fradicio  per  cui  tutte  l'altre  repubbliche  sono  già  putrefatte;  ^  ma 

dopo  essere  stati  vanamente  accampati  alla  pianura  per  alcun  tempo,  come  dice  il  Dubos^ 
Histoire  de  la  ligue  de  CambraU  pag.  131,  si  ritirarono  a  Mestre. 

1  et.  Luigi  da  Porto,  Lettere  storiche,  ed.  Lemonnier,  pag. 62 :  «da  Vinegia,  29 mag- 
gio 1509»:  ~  I  provveditori,  pieni  di  avvilimento  e  d'nna  certa  sonnolenza,  si  possono 
veder  cento  volte  al  giorno  sbadigliare  e  stirare  le  membra,  come  se  la  febbre  aspettas- 
sero; e  non  più  l'usato  altero  amore  del  loro  grado  ritenendo,  fuor  di  modo  umili  e  dome- 
stici si  mostrano,  anche  inverso  persone  indegne  della  loro  domestichezza.  Né  a  tante  av- 
versità si  sa  per  celere  urgenza  fare  alcuno  provvedimento;  si  questa  città  si  vede  av- 
vilita ed  il  governo  pavido  e  smarrito.  E  già  alcuni  nobili  vinigiani,  abbraciandomi  e 
piangendo,  mi  anno  detto:  «Porto  mio,  non  sarete  oggimai  più  de* nostri».  —  E  volendo 
io  render  loro  la  solita  riverenza,  mi  dissero:  chMo  noi  facessi,  perciocché  eravamo  tutti 
conservi  in  una  potestate  ed  eguali  ». 

*  Machiavelli,  IHseorsi,  lib.  in,  e.  31.  —  Brosch,  op.  cit.,  pag.  172,  scrive  a  questo  pro- 
posito :  Niemand  hat  die  Haltung  der  Signorie  nach  dem  Schlage  von  Agnadello  im  allge- 
meinen,  nnd  insbesondere  ihre  unter  tieflter  Demttthigung  fortgesetzten  BemUhungen  um 
dtts  Papstes  gnfidige  Huld  und  Verseihung  so  streng  gerichtet,  wie  Machiavelli.  Und  doch 
hat  wieder  Niemand  die  Geschichte  dieser  tlber  Venedigs  Zukunft  entscheidenden  Tage  in 
wenigen  Sàtzen  so  meisterhaft  zusammengefasst,  wie  der  geistesmachtige  Florentiner  ». 

*  M\cuiAVBLLi,  Cf.  JDiscorsif  if  cap.  i.9. 

ToMMASiM  -  Machiavelli.  30 


Digitized  by 


Google 


466  CAPO  SESTO.  [libro 

bensì  vede  come  per  altra  parte  questa  ancora  soggiace  al  me- 
desimo flagello:  la  diffidenza  de* propri  concittadini,  delibarmi 
proprie;  alle  quali  quando  avesse  ben  provveduto,  sarebbe  riu- 
scita a  fondare  «  una  nuova  monarchia  nel  mondo  »,  ^  allac- 
ciandosi, come  Roma,  in  qualità  di  socie  l'altre  provincie  d'Italia, 
sbarrando  la  strada  agli  stranieri  che  ora  la  vilipendono  e  Top- 
priraono,  *  senza  bisogno  di  contrapporre  i  Turchi  a' suoi  cri- 
stiani crocifissori,  senza  timore  di  sarcasmi  e  d'abbandono  dalle 
città  sorelle.  ^  Ma  purtroppo  invece,  nell'  incontrar  la  guerra 
coi  Francesi,  Venezia  sa  che  v'è  V  Italia  da  assicurare  da  tanti 
sospetti;^  nel  sottostare  al  disastro  della  sconfitta,  sa  che  i 
paesi  di  terraferma,  inariditi  da  lei  a  suo  proprio  rigoglio,  go- 
dono dei  mali  che  essa  prova,  e  le  si  sottraggon  festanti  come 
gli  Ebrei  dal  giogo  dei  Faraoni;  ^  pur  troppo,  quand'essa  è  «  in 
sullo  smalto  »  ^  vede  i  possessi  di  terraferma  sparirle,  parte 
rubacchiati  dal  Papa,  parte  invasi  dalle  armi  di  Francia,  parte 
occupati  «  col  nome  solo  »  dall'  Imperatore;  vede  i  porti  di 
Puglia  cedere   senza  contrasto   al  re  Aragonese:  tornarle  di 

^  Machiavelli,  Arte  della  guerra,  lib.  i. 

•  Cf.  Recveil  de  poésies  francoites  des  XV  et  XVI  si^clea  t.  i,  pag.  5>;  Lei  Régréts 
de  Messire  Barthelemy  d'Alìkenne  et  la  eharw>n  de  la  defense  de$  Venitién»: 

«  Ne  vous  meslez  jamais  de  faire  guerre, 
Veniciens;  croyez-moy,  si  vous  p]aÌHt; 
Vous  avez  tant  par  tout  voulu  conquerre, 
Quo  Ton  vous  a  abaissé  vostre  plait  !  » 

3  Nel  citato  Spauento  d'Italia,  del  Sacchino,  Venezia  è  introdotta  a  osclamare: 

«  O  Genova  restata  in  scorza  e  spoglia 
non  far  del  Vangelista  alchuna  risa 
che  se  ridessi  ben  Tu  non  hai  voglia 


O  Florentia  mia  cara  acuto  ingegno 

se  mia  poss&nzia  fusse  unita  tieco 
ancor  non  temerei  di  chi  mi  stracia 
e  s  el  primo  son  io  tu  verrai  meco  ». 

•  RoMANiN,  op.  cit.,  t.v,  pag.  2(fó:  «  Alvise  Mocenigo  savio  di  terraferma  propose  che 
passando  TAdda,  le  truppe  veneziane  avessero  a  gridare  Italia  e  libertà  e  portassero  uno 
stendardo  colle  parole  Defensio  Italiae  acciò  i  popoli  milanesi  e  d'altre  terre  si  persua- 
dessero non  essere  V  intenzione  dei  Veneziani  volta  ad  alcuna  conquista,  ma  solo  a  libe- 
rare Milano  e  cacciare  i  Francesi  dall'  Italia.  Ma  la  proposizione,  qualunque  ne  fosse  il 
motivo,  non  fu  neppur  ballottata  »• 

•  A.  Oloria,  ih  Padova  dopo  la  lega  stretta  in  Cambrai  dal  maggio  all'ottobre  ^509, 
cenni  storici  con  documenti,  Padova  1863.  —  Annali  del  Bruno  :  «  Isto  interim  (4  giugno) 

Verona  et  Vicentia  cum  suis  terrìtoriis  se  dederunt   sachre  cesaree  maiestati, iato 

antera  interim  Alphonsus  dux  Ferrane  habuit  totum  policinium  sine  aliqua  contradictìone 
et  armorum  strepitu  quia  omnes  libenter  ibant  de  manibus  Faraonis  et  de  servitale 
Egipti».  ->  Oltre  il  citato  scritto  del  Gloria,  ove  secondo  le  informazioni  attinte  agli 
scritti  del  Buzzacarini,  dello  Spazzarini  e  del  Bruto,  siam  ragguagliati  delle  relazioni  fra 
Venezia  e  le  sue  terre  soggette  dopo  la  battaglia  d'Agnadello,  veggasi  la  bella  Lettera 
del  medesimo  prof.  Olobia  al  conte  Agostino  Sagredo  in  difesa  deiropuscolo  sopraccitato, 
in  cui  questi  afferma  che  per  troppo  amore  a  Venezia  altri  «  dimentica  che  i  tempi  del 
Grìtti  eran  pur  quelli  del  Machiavelli  »  (pag.  7). 

•  Machiavelli,  Decennale  II,  v.  178. 


Digitized  by 


Google 


«BCOKDO]  SPAVENTO  D'ITALIA,  467 

Ferrara  discacciato  il  Visdomino,  e  man  mano  non  restarle  più 
nulla  di  tutto  quel  suo  stato  fiorito.  Cosi  repentina  miseria  non 
può  non  agitare  il  pensiero  d'ogni  provincia  italica;  non  può 
non  eccitarle  sentore  dell'infermità  propria,  spavento  del  rischio 
prossimo,  comune,  inevitabile: 

—  «  Che  fia  degli  altri  se  questo  arse  et  alse 
In  pochi  giorni,  e  se  a  cotanto  impero, 
Qiustizia  e  forsa,  ed  union  non  valse?  »  -  * 

Che  fia  di  Firenze,  di  quel  suo  gran  barone  San  Giovanni, 
insuperbito  per  l'oppressione  di  Pisa?...  egli  ode  da  lungi  la 
minaccia  profetica  del  vangelista: 

—  «  E  s'el  primo  non' io  tu  verrai  meco  *,  — 

e  dee  prepararsi  anche  lui  a  cedere  il  campo  alla  fortuna  e 
ai  santi  de'  Medici. 

Ma  per  gran  ventura  d' Italia  e  di  Venezia,  fra  tanti  stra- 
nieri che  le  piombarono  addosso,  c'era  chi  non  sapeva  vincere, 
chi  non  sapeva  combattere,  chi  voleva  piuttosto  guadagni  che 
battaglie;  c'era  lo  sgomento  del  pontefice  per  una  mina  ch'egli 
aveva  cagionato,  ma  che  non  avrebbe  mai  creduta  né  si  facile, 
né  si  pronta,  né  si  piena.  E  poiché  per  tutte  queste  cagioni 
Venezia  potè  riaversi,  e  le  terre  invase  accorgersi  che  la  peg- 
giore di  tutte  le  servitù  é  la  soggezione  agli  stranieri,  in  breve 
la  scaltrezza  de' Veneziani  e  l'adulazione  della  loro  fortuna, 
adoprarono  a  disperder  le  memorie  e  a  contessere  l'apologia 
di  quella  negazione  dell'arte  politica,  per  cui  il  Machiavelli 
ebbe  a  rampognare  già  l'avvilita  Repubblica;  come  se  questa, 
co' fatti,  non  si  fosse  prostrata  già  tanto  all'Imperatore  da  non 
aggiungerlo  vitupero  la  bassa  orazione  del  Giustinian;  ?  come 
se  il  pontefice  non  l'avesse  a  sufficienza  umiliata  sotto  le  verghe 
ecclesiastiche;  ^  come  se  la  fiacchezza  del  suo  primo  procedere 

1  Machiavblli,  Decennale  11^  v.  181-183. 

'  È  superfluo  riepilogare  a  questo  luogo  la  controversia  circa  l'autenticità  di  quella 
orazione.  Cf.  Ddbos,  Histoire  de  la  ligue  de  Cambrai,  lib.  i,  parte  i.  Villarz,  Dispacci 
d'Ant.  Oiu8tinian,  voi.  i,  xxiv-v,  e  la  'dotta  recensione  di  questa  pubblicazione  fatta 
dal  Saltini  neW Archivio  storico  italiano,  t.  xxvii,  serie  dr\  in  cui  si  dà  il  testo  del  di- 
scorso del  Giustinian  che  messer  Piero  de*  Pazzi,  ambasciatore  fiorentino  in  corte  di  Roma, 
insieme  con  un  dispaccio  de'  7  di  luglio,  spediva  alla  Signoria,  copiatolo  tutto  di  sua  mano. 

>  Nel  citato  Spauenlo  d' Italia,  Venezia  lamentosa  esclama  : 

«  O  santo  padre,  o  Giulio  glorioso 
ris^uarda  Marcho  eh  a  Te  genuflexo 
chiede  mercè,  pietà,  pace,  riposo  ».  — 

Cf.  Brosch,  Papst  Julius  II,  pag  175:  «  Gleich  am  ersten  Tage  nach  der  Schlacht  bei 
Agnadello  ging  im  venezianischen  Senat  der  Antrag  durch  :  dem  Papst  die  Herausgabe 
der  romagnolischen  Besiirangen  der  Republik  sofort  anbieten  zu  lassen.  Die  Cardinale  Gri- 


Digitized  by 


Google 


4eS  CAPO  SESTO.  [libUo 

verso  le  città  sottoposte,  quando  si  sentiva  smorta;  e  la  crudeltà 
ostentata  verso  di  quelle  ricadute  In  sua  forza;  non  equivales- 
sero alla  vergogna  d'averle  abbandonate;  di  averle,  secondo  la 
cosa  si  colori  poi  con  imbratto  di  classici  rettoricumi,  sciolte  dal 
giuramento. 

Del  resto,  malgrado  le  furiose  violenze,  i  conquistatori 
sentivansi  pur  obbligati  a  tener  qualche  ragione  di  quel  ch'erano 
avvezzi  a  chiamare  il  diritto;  e  l'imperatore,  vivo  fonte  di 
questo,  levava  tutto  quel  vantaggio  che  poteva  di  quella  loro 
preconcetta  necessità.  Il  vittorioso  re  Luigi  gli  aveva  pagato 
centosessantacinque  mila  scudi  d'oro  per  l'investitura  del  du- 
cato di  Milano;  sessantamila  ducati  avevagli  dato  il  Papa,  ce- 
dendogli oltracciò  gran  somma  tratta  di  collette,  di  perdoni  e 
giubilei,  fomento  di  guerra,  come  osserva  il  buon  Nardi.^  Eransi 
ricomperati  anche  i  Fiorentini,  per  quarantamila  ducati,  da 
sborsare  in  quattro  rate,  con  tutte  quelle  assicurazioni,  promesse, 
investiture,  remissioni,  formalità  che  parevano  bastare  a  dar 
il  miglior  affidamento  apparente  e  legale  a  chi  sentivasi  intrin- 
secamente fiacco  e  malsicuro.  Tutto  questo  era  riuscito  a  Mas- 
similiano «  col  nome  solo  »  ;  dacché  con  le  armi  non  era  mai 
venuto  a  capo  di  nulla.  Pochi  Tedeschi  s'erano  appena  affacciati 
sul  lago  di  Garda,  nel  Friuli,  e  sopra  Vicenza;  la  quale  aveva 
aspettato  a  lungo  chi  venisse  a  insignorirsi  dì  lei;  *  Leonardo 
Trissino  per  quarantadue  giorni  gli  aveva  mantenuto  divota 
Padova;  Verona  era  stata  messa  dal  re  di  Francia  nelle  mani 
di  Andrea  da  Borgo,  il  quale  al  popolo  che  gli  correva  incontro 
gridando:  Imperio,  imperio,  persuase  gridare  Austria  e  Tirolo 
e  se  ne  andò.  Massimiliano  aveva  fatto  il  solenne  ingresso  in 
Vicenza,  recandosi  dietro  «  tutti  i  fuorusciti  del  mondo  »  ;  si 
era  accostato  pauroso  a  Verona,  e  tornatosene  poi  in  Germania. 

Trattavasi  frattanto  per  Firenze  di  soddisfargli  al  pagamento 
della  seconda  rata;  e  il  pagar  bene,  cioè  in  modo  da  non  dare 

mani  nnd  Corner  soUten  durch  Ducalschreiben  ermachtigt  werden  deo  Antrag  Sr.  Heiligkeit 
zo  QQterbreìten  ».  —  Cf.RoMANiN,  op.  cit.,  v,  pag.  219  e  segg.,  ove  allega  dai  Secreta,  xli, 
pag.  188  (23  maggio):  «  Quanto  vemni  aspecta  a  le  altre  terre  di  terraferma,  che  abiamo, 
quali  sono  sottoposte  a  lo  imperio,  ex  ntinc  siamo  contenti  de  recognosser  quele  da  sua 
imperiale  Maestà  et  darli  annuo  censo  honesto  et  conveniente  come  parerà  a  sua  Maestà  ». 
~  E  in  una  lettera  a  Massimiliano  (Secreta,  tLii)  3  giugno  :  «^Occupata  sunt  fere  loca 
omnia  quae  quondam  fiierant  Mediolan.  status.  In  reliquis  locis  nris  felices  aquilas  et  signa 
vra  victricia  erigi  mandabirous  ut  qui  sub  umbra  et  protectione  vestra  cesarea  nos  consti- 
tuimus  et  nuUum  alium  patronum  et  defensorem  volumus  quam  vram  imperatoriam  Celsi- 
tudinem  ». 

*  Nardi,  Storia  di  Firenze,  lib.  v. 

*  Da  Porto,  Lettere  Storiche,  pag.  88. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  IL  MACHIAVELLI  A  MANTOVA.  •  469 

appicco  a  ripetere,  doveva  parerle  briga  assai  grave,  dopo  il 
famoso  arzigogolo  dello  «  iure  petere  »,  accennato  dal  Sarn- 
thein  ai  due  mandatari  in  Germania.  Tuttavia  se  in  compagnia 
dei  cavallari  fu  mandato  il  Machiavelli  ad  effettuare  il  paga- 
mento della  somma,  non  è  tanto  a  credere  che  altr'  uomo  non 
si  giudicasse  più  che  sufficiente  ad  ostare  alle  possibili  cavil- 
lazioni,  a  circondar  il  fatto  colle  opportune  solennità  che  ne 
guarentissero  Tefficacia;  quanto  che,  dovendo  il  pagamento  aver 
luogo  a  Mantova,  parte  nelle  mani  di  Bonifazio  da  Sarego, 
gentiluomo  veronese;  parte  in  quelle  di  persona  che  avesse 
espresso  incarico  dall'Imperatore;  da  Mantova,  il  Segretario 
aveva  agio,  senza  troppo  ridestar  l'attenzione  e  il  sospetto  al- 
trui, di  spingersi  un  poco  più  innanzi,  verso  Verona  o  dove 
fosse  meglio  a  proposito,  per  sorvegliare  da  vicino  le  contin- 
genze e  darne  ragguaglio.  Munito  di  credenziali  e  di  commen- 
datizie per  Matteo  Lang,  il  Gurgense,  e  per  la  marchesana  di 
Mantova  ^  (il  marchese  trovavasi  allora  prigioniero  a  Venezia) 
il  Machiavelli  parti  di  Firenze  a'  di  10  di  novembre  e  viaggiò 
cauto,  inavvertito  e  sollecito,  arrivando  in  cinque  giorni  al  suo 
destino. 

Il  di  medesimo  erano  giunti  a  Mantova  Pigello  Portinari, 
fiorentino,  usato  ne' negozi  dell'Imperatore;  e  raesser  Anti- 
maco,  ch'era  stato  già  segretario  del  marchese,  e  poi,  discac- 
ciatone, aveva  trovato  luogo  egli  pure  tra  i  faccendieri  di  Mas- 
similiano. Era  questi  l'azzeccagarbugli  più  perfetto  che  il  re  dei 
Romani,  con  quella  sete  che  aveva  di  danari,  potesse  adoperale 
a  riscuoterne.  Gli  aggiramenti  e  le  sottigliezze  che  seppe  met- 
tere in  giuoco  per  cercare  di  compromettere  la  legalità  del 
pagamento  furono  tuttavia  deluse  per  la  prudenza  di  Niccolò. 
Quegli  aveva  provato  «  secondo  la  consuetudine  molto  ma- 
gnificante de'  curiali  »  *  di  dargli  a  intendere  i  portentosi 
apprestamenti  fatti  dalla  cesarea  maestà  per  battere  i  Vene- 
ziani di  verso  Bassano,  mentre  contemporaneamente  sarebbesi 
atteso  all'assedio  di  Legnago.  E  in  quel  mezzo  che  i  danari 
si  stavano  contando,  circa  le  ultime  ore  del  pomeriggio;  e  il 
Portinari  e  messer  Antimaco  avevano  stabilito  col  Machiavelli 
di  proceder  poi  insieme  con  lui  alla  volta  dell'  Ipiperatore;  ecco 


^  Bibl.  Naz.,  doc.Jtf.,  basta  ly,  n.  133.  ~~  Machiavelli,  Commissione  a  Mantova,  ed.  ult., 
t.  V,  pag.  436-437. 

"  Machiavelli,  Lett.  «ex  Mantua  die  xvij  nov^mbris  m.d.viiij  »  {Arch,  Legax.  del  M., 
n.  X,  lett.  l»). 


Digitized  by 


Google 


470  CAPO  SESTO.  [libro 

sopraggiungere  in  una  lettera  del  vescovo  di  Trento  notizie 
che  sembrano  turbare  i  due  mandatari,  e  ordine  per  essi  di 
condursi,  con  quella  somma  di  danari  che  avevano  esatta,  im- 
mediatamente a  Verona,  dov'egli,  il  Neideck,  trovavasi  gover- 
natore in  nome  di  Massimiliano.  Essi  dovevano  partir  subito,  e  lo 
avrebbero  fatto  in  compagnia  di  Niccolò;  ma  questi  aveva  com- 
missione di  non  pagare  altrove  che  a  Mantova,  e  dichiarava  es- 
sergli forza  attenersi  strettamente  ai  termini  della  commissione 
sua.  D'altronde  gli  era  anche  necessario  aspettare  che  fosse 
acconcio  Tistrumento  di  pagamento  del  Sarego,  ch'oragli  stato 
presentato  prima  da  persona  senza  mandato,  e  steso  in  tal 
forma  che  il  notaio  aveva  avvisato  non  potervisi  far  sopra 
né  pagamento,  né  rogito.  I  mandatari  imperiali  lo  circonda- 
rono allora,  gli  dimostrarono  confidenza,  gli  parteciparono  che 
quelle  lettere  sopraggiunte  avvisavano  come  Vicenza  erasi  ribel- 
lata il  dì  innanzi;  che  v'erano  rientrati  i  Veneziani,  che  non 
si  conoscevano  bene  i  particolari,  ma  temevasi  del  peggio.  In- 
fatti il  provveditore  Andrea  Gritti  aveva  ricevuto  ordine  di  con- 
dursi a  quel  racquisto;  ^  e  il  vescovo  di  Trento  temeva  forte 
non  si  riuscisse  a  tener  Verona. 

Da  tutti  questi  discorsi  il  Machiavelli  non  si  lascia  tutr 
tavia  smuovere,  e  il  pagamento  e  il  rogito  del  contratto  vien 
l'imandato  al  giorno  appresso.  Ma  anche  il  dì  appresso,  nuove 
difficoltà  da  parte  di  Antimaco  strascinano  in  lungo  la  stipula- 
zione. Egli  non  vuole  nella  quietanza  dichiarar  di  ricevere 
quella  rata  per  secondo  pagamento,  «  perché  diceva  che  non 
aveva  notizie  del  primo,  e  ad  altri  non  ne  prestava  fede  ».  Ciò 
nulla  meno  si  riuscì  finalmente  a  trovare  una  scappatoia  che 
lasciasse  impregiudicate  le  diffidenze  reciproche.  Il  pagamento 
venne  efiettuato,  e  questo  fu  causa,  come  gl'imperiali  confessa- 
rono.schietto,  che  allora  Verona  all'Imperatore  non  isfuggisse.* 

Niccolò  si  reca  poi  a  visitare  la  bella  marchesana  da  cui  è 
«  umanissimamente  »  ^  accolto.  Quel  gentile  esempio  di  donna. 
Isabella  d'Este,  cui  gli  affetti  della  famiglia  e  della  patria  erano 
piena  e  naturale  delizia;  quella  che  faceva  ogni  anno  cele- 
brare un  ufficio  «  nel  di  del  fatto  d'arme  di  Parmesana  (cioè  nel- 
l'anniversario della  battaglia  del  Taro)  per  le  anime  di  quelli 


>  Cf.  RoMANiN,  loc.  cìt.,  voi.  V,  pag.  238. 

*  Machia  VILLI,  ComnUu.  a  Mantova,  lettera  «  ex  Verona,  die  22  novembris  m.d.vuij  » 
(Arch.  fior.,  Legaz.  M.»  X,  lett.4*). 

*  Machiatblli,  loc.  cit.,  lett.  6^  (Arch.  fior,  Légaz.  M„  n.  X,  lett.  2). 


Digitized  by 


Google 


SBCOMDO  J  IL  MA  CRIA  VELLI  A  MANTOVA,  471 

nostri  valorosi  homini  quali  persero  Ja  vita  per  salvare  It^.lia»;^ 
quella  che,  tra  le  feste  del  maritaggio  di  Lucrezia  Borgia,  invi- 
diava da  Ferrara  al  proprio  consorte  il  bene  di  vedere  in  viso 
il  figliuolino  suo  e  stargli  vicino,  tremava  in  questo  momento 
per  r  incolumità  dello  sposo  e  del  figlio.  Il  marchese  era  ca- 
duto prigione  de' Veneziani,  in  un  borgo  del  veronese,  colto  al- 
l'agguato e  tradito  dai  villani,  che  lo  diedero,  in  mano  a  coloro 
di  cui  era  stato  l'antico  condottiero.*  Tratto  subito  in  Venezia  di 
notte,  immezzo  al  canale  coperto  di  barche,  tra'lumi  fuori  delle 
finestre,  il  popolo  gli  aveva  gridato  dietro  :  «  appicca,  appicca 
il  traditore  !  »  ^  Era  poi  stato  chiuso  nella  torricella  sopra 
il  palazzo,  circondato  da  scolte  che  gli  facevano  le  guardia 
«  chiamando  come  si  fa  in  li  castelli  »  ^  tanto  da  impedirgli 
il  sonno.  Trattato  a  questa  guisa  non  si  sa  che  cosa  non  fosse 
a  temere  per  lui  nella  disperata  città  che  aveva  spento  il  Car- 
magnola. 

Inoltre  il  figliuolo  di  lui,  appena  nell'età  di  nove  anni  era 
alla  madre  chiesto  in  ostaggio  dall'  Imperatore,  dai  Francesi  e 
dal  Papa.  Questi  tre  tormentatori  d'Italia  lo  volevano  nelle  mani 
come  sicurtà  dello  stato  di  Mantova,  rincalzando  la  loro  do- 
manda prima  con  preghiere,  poi  con  istanze  e  finalmente  con 
minacce.  La  povera  madre  s'andava  schermendo  dalla  tem- 
pesta, che  le  sbatteva  il  cuore  e  le  minacciava  la  città  e  la 
■famiglia,  con  prudenza  virile  e  con  garbo  donnesco.  Era  coi 
Fiorentini  in  relazione  di  buon'amicizia;  ma  essi  non  potevano 
recarle  alcun  giovamento  reale,  remoti  e  costretti  com'erano 
a  noleggiare  la  loro  libertà  sdruscita.  Però,  dopo  scambio  di 
cortesi  parole,  Niccolò  s'accomiata  e  accingesi  a  proseguire  il 
viaggio,  vedendo  chiaro  che  Mantova  è  tal  luogo  dove  non  si 
può  saper  il  vero  di  quel  che  accade,  «  dove  nascono,  anzi 
piovono  le  bugìe  e  la  corte  n'è  più  piena  che  le  piazze  ».^ 
Lasciato  il  rogito  de' pagamenti  fatti  nelle  mani  di  Luigi  Guic- 
ciardini, che  doveva  presto  tornarsene  a  Firenze,  il  Machia- 

»  Arch.  storico,  serie  1»,  app.  H,  pag.  248.  —  Ibid.,  pag.  307.  —  Cf.  Bquicola,  Commen- 
tarii  Mantuaniy  lib.  iv. 

'  Machia  VELLI)  Arie  deUa  guerra,  lib.  i  «  (I  Veneziani). . .  non  avendo  dominio  in  terra, 
erano  armati  in  mare,  dove  ferono  le  loro  guerre  virtuosamente  e  con  Tarmi  in  mano  ac- 
crebbero la  loro  patria.  Me  venendo  tempo  ch'eglino  ebbero  a  far  guerra  in  terra,  per  di- 
fendere Vicenza,  dove  essi  dovevano  mandar  un  loro  cittadino  a  combattere  in  terra,  ei 
soldarono  per  loro  capitano  il  Marchese  di  Mantova.  Questo  fu  quel  partito  sinistro,  che 
tagliò  loro  le  gambe  del  salire  in  cielo  e  delPampliare  ». 

*  Mabin  Sanudo,  BiarU,  ne,  42.—  Romanin,  loc.  cit.,  v,  pag.  228. 

*  Mabim  Sanudo,  Diariiy  x,  187. 

^  Machiavelli,  Comm.cit.f  lett.  3  (ed.  ult.) 


Digitized  by 


Google 


478  CAPO  SESTO. 

velli  arriva  a  Verona,  a' dì  21  di  dicembre.  Quivi  apprende  i 
particolari  della  presa  di  Vicenza  ;  ^  apprende  che  Massimiliano 
si  trova  ad  Avio,*  che  à  comandato  nel  contado  di  Tirolo  un 
uomo  per  casa;  e  si  ferma  in  due  persuasioni:  l*una  che  l' Im- 
peratore farà  anche  questo,  <(  come  gli  altri  fatti  suoi  »  ^  e  Taltra 
che  il  nodo  della  guerra  avrà  certo  ad  essere  ivi. 

Verona  del  resto,  a  somiglianza  di  tutte  quelle  città  in  cui  i 
Veneziani  avevano  dominato,  era  divisa  in  due  fazioni,  spropor- 
zionate per  numero,  ma  contrastanti  per  forze.  Accarezzata,  la 
plebe  era  tutta  ligia  alla  Repubblica  di  S.  Marco  e  si  gloriava 
marchesca;  i  nobili,  al  contrario,  tenuti  in  poco  pregio,  e  talora 
anche  oppressi,  parteggiavano  per  T Impero.  Ma  siccome  l'Impero 
era  debole  ed  accattava  soccorso  di  fanti  spagnuoli  e  di  raccogli- 
ticci, e  riceveva  limosine  di  soccorsi  francesi,  che  temporanea- 
mente, per  sino  a  che  giungessero  istruzioni  da  re  Luigi,  aveva 
largito  il  Trivulzio,  que' nobili  fondavano  le  loro  speranze  su 
Francia;  *  tuttavia  la  paura  s'era  impadronita  di  tutti.  Le  soldate- 
sche cupide,  feroci,  indisciplinate,  diverse  per  natura  e  per  vizi, 
s'azzuffavano  per  le  strade,  crescendo  comune  nella  cittadinanza 
il  gravame  e  l'odio  degli  stranieri;  ^  tanto  che  sarebbero  di- 
ventati marcheschi  anche  i  gentiluomini,  se  il  timore  della 
crudele  Repubblica  non  li  sopratteneva.  Venezia  del  resto,  non 
avendo  racquistato  che  Vicenza,  aveva  ottenuto  ben  poco,  poi- 
ché per  lei  il  vero  punto  strategico  era  Verona  la  quale  chiu- 
deva ad  un  tempo  il  passo  ai  Francesi  e  ai  Tedeschi.*  Stavan 

>  Sono  descritti  da  Luigi  da  Pobto,  Lettere  storiche,  nella  lettera  36,  da  Vicenza 
«  addi  16  novembre  1503  ».  Ed.  Lemonnier,  pag.  141. 

■  Machiavelli,  Comm.  cit.,  Iett82  nov.  1509.**  Questa  lettera  neU'edic.Oamb.  (t.  t., 
pag.  312),  in  cai  fa  primieramente  pubblicata,  reca:  «  Lo  imperadore  si  trova  ad  Acci  ». — 
Nell'ediz.  ultima  (t.  v,  pag. 442):  «  ad  Avi  ».  E  cosi  l'autografo.—  Trattasi  della  borgata 
detta  Avio,  sulle  rive  dell'Adige,  alle  falde  del  Baldo,  dalle  cui  cime  precipita  il  torrente 
Aviana. 

'  Machiavelli.  Decennale  Secondo: 

«  E  benché  fusse  aiutato  da  vai, 
E  da  Francia,  e  da  Spagna,  nondimanco 
Fé*  questo  come  gli  altri  fatti  sui  ». 

E  il  SiSMONDi,  Histoire  des  r^p.  {<.,  t.  x,  pag.  171,  traducendo  e  fiaccando  l'epigramma 
del  poemetto  popolare  machiavellesco  :  «  Maximilien  s'étoit  conduit  dans  cette  guerre  comm» 
dans  toutes  les  précédentes  ». 

^  Machiavelli,  Comm.  cit..,  lett. «Ex  Verona,  die  22  novembris  m.d.  viiij»:  «Questi 
della  terra  che  non  vorrebbono  mutarsi,  e  e'  Tedeschi,  hanno  ogni  loro  speranza  ne*  Fran- 
cesi, e  non  ragioneno  più  cosa  alcuna  dei  provvedimenti  della  Magna  ». 

*  Machiavelli,  Comm.  ctt.,  lett.  «  Ex   V<H'ona,  die  vij  decembris  m  d,  viiij. 

*  Machiavelli,  lett.  cit.,  «  die  :i2  novembris  »,  nella  quale  aggiunge  :  «  Sono  in  queata 
città  4  luoghi  chiusi  che  si  guardone,  e  di  qualità  che,  forniti  bene,  vorrebbono  assai  tempo 
ad  espugnarli,  dove  sono  in  guardia  fanterìe  tedesche,  e  infra  tutte  non  aggiungono  ad 
mille.  Sonci  poi  tremilacinquecento  altri  fanti  infra  Spagnuoli  e  Italiani  :  ecci  circa  mille 
o  mille  dugento  cavalli  ». 


Digitized  by 


Google 


«■cordo]  il  machiavelli  a   VERONA.  478 

pertanto  le  sue  fanterie  accampate  a  San  Martino,  le  arti- 
glierie disposte  all'approccio,  i  villani  arrabbiati,  prontissimi 
ad  irrompere  a  favore  di  lei;  ma  tuttavia  essa  andava  uccel- 
lando air  intomo  per  tastare  il  popolo  della  città,  lusingan- 
dosi averlo  indifferente  almeno,  se  non  amico  ;  ed  esitando  di 
impegnar  battaglia  con  tanta  moltiplicità  d'avversari  e  guar- 
dandosi specialmente  di  più  irritare  il  re  di  Francia.  Questi, 
com'era  noto,  di  quella  cittì  aveva  una  gran  voglia,  e  l' Im- 
peratore, a  cui  in  seguito  del  trattato  di  ripartizione,  sarebbe 
spettata,  non  era  sufficiente  per  allora  né  a  difenderla,  né  a 
conservarla.^  D'altronde  re  Luigi,  quantunque  riconciliato  con 
lui,  non  aveva  intenzione  di  rendergli  a  grato  un  cosi  grande 
servigio  ;  e  Massimiliano  sapeva  che  la  minaccia  che  a  lui  op- 
poneva di  riconciliarsi  coi  Veneziani  per  cacciarlo  d'Italia  non 
sarebbe  stata  presa  sul  serio,  se  non  dai  nobili  veronesi  ;  i  quali 
dubitando  che  i  Francesi  non  ricevessero  ordine  perentorio  di 
ritirarsi  immediatamente  a  Peschiera,  si  sentivano  i  Veneziani 
di  nuovo  e  subito  addosso.  Tutta  una  notte  che  le  genti  di  Francia 
stettero  armate  a  cavallo  fu  mortale  terrore  per  que'gentiluo- 
mini.  Il  Machiavelli  presente  a  que'spaventacchi,  alle  prove  di 
devozione  fanatica,  se  non  eroica,  che  i  villani  rendevano  ogni 
giorno  al  dominio  veneto,^  all'armeggio  fatale  di  due  sovrani, 
che  per  diverse  cause  si  debilitavano  a  vicenda,  definisce  con 
mirabile  acutezza  la  loro  condizione  rispettiva:  «  Questi  sono 
due  re,  che  l' uno  può  fare  la  guerra  e  non  vuol  farla,  l'altro 
la  vorria  fare  e  non  può;  e  quello  che  può  la  va  a  suo  pro- 
posito dondolando.  Ma  Dio  voglia  che  si  apponga,  perchè,  se 
considerassi  quello  importa  la  innata  disperazione  di  questi 
paesani,  li  parrebbe  mille  anni  di  tórre  loro  dinnanzi  ad  li 
occhi  quello  esercito,  in  che  li  sperano,  né  penserebbe  ad  al- 
cuna altra  cosa;  ma  se  mantengono  con  questi  modi  a' paesani 
la  disperazione,  e  a'Viniziani  la  vita,  credesi...  che  in  un'ora 
possa  nascere  cosa  che  farà  pentire  e  re  e  papi  e  ciascuno  di 
non  avere  fatto  suo  debito  ne' debiti  tempi  »,  — 

Infatti  i  Francesi,  disegnando  assicurarsi  la  linea  del  Mincio, 
riescono  ad  ottenere  da  Massimiliano  la  cessione  del  castello  di 
Valeggio,  per  cui  signoreggiano  il  fiume  sino  a  Peschiera;  i  Ve- 
neziani accarezzando  le  plebi  della  città  e  delle  campagne,  «  sopra 

^  Machiavelli,  loc.  cit.,  lett.«ex  Verona,  die  24  noTembris.  m.d.viu)  ».—  Ibid.  «die 
prima  decembris  m.d.viiij  ». 

*  Machiavelli,  loc.  cit.,  lett.  «  die  26  novembris  *. 


Digitized  by 


Google 


474  CAPO  SESTO,  [libro 

quello  che  è  credibile  »,  ^  e  raccozzando  quante  armi  possono 
intanto  che  que're  stanno  a  bada  l'uno  dell'altro,  ritrovano  il 
loro  senno,  e  «  in  tutti  que' luoghi  de' quali  si  rinsignoriscono, 
fanno  dipingere  un  San  Marco,  che  in  cambio  di  libro  à  una 
spada  in  mano,  d'onde  pare  che  si  sieno  avveduti  a  loro  spese 
che  a  tenere  li  stati  non  bastano  li  studi  e  e' libri  ».  *  Atten- 
dono intanto  a  costruire  certe  opere  di  fortificazione,  «  certa 
tagliata  »  scrive  il  Machiavelli,  che  se  fosse  loro  lasciata  fare 
«  dicono  questi  periti  del  paese  »  che  sarebbe  difficile,  mentre 
dura  r  inverno,  poterli  andare  a  molestare  verso  Vicenza.^  Nel 
tempo  stesso  dentro  Verona,  Tedeschi,  Spagnuoli,  Guasconi,  s'az- 
zuffano per  le  strade,  tanto  che  il  soggiornare  in  questa  città 
diventa  pericolosissimo:  ^  gli  unici  che  anno  danaro  e  ne  danno 
sono  i  Francesi;  ma  tutto  quel  raccogliticcio  d'armati  non  può 
andar  innanzi,  perchè  non  c'è  chi  lo  comandi.  Attendesi  lo 
Chaumont,  presso  cui  trovasi  già  orator  di  Firenze  il  Pan- 
dolfini.  Massimiliano  seguita  frattanto,  secondo  il  consueto,  a 
disegnar  le  sue  diete  ora  a  Kempten  ora  ad  Augsburg,  e  a 
volersi  lontani,  secondo  il  solito  modo,  gli  ambasciatori.  Però 
il  Machiavelli  non  vede  più  l'utilità  di  trattenersi  quivi  o  di 
proceder  oltre  in  viaggio,  sia  a  cagione  delle  cose  francesi, 
sia  delle  germaniche.  Delle  persone  à  tratto  tutta  quella  co- 
noscenza che  gli  era  mestieri  per  dar  giusto  valore  alle  loro 
parole  e  argomentare  de' fatti;  di  questi  à  narrato  quanto  era 
certo  e  congetturato  quanto  era  probabile.  Tornato  a  Mantova 
per  evitare  pericoli  non  necessari  e  non  far  dimora  inutile, 
descriva  sotto  l'aspetto  militare  l'acconcezza  della  città  di  Ve- 
rona, come  quella  «  che  à  assai  similitudine  con  Firenze  »,^ 
acciò  che  i  Dieci  <c  sentendo  per  lo  avvenire  parlare  di  essa, 
intendine  meglio  il  tutto  ». 

In  questa  descrizione,  imitata  poi  dal  Guicciardini,  il  Ma- 
chiavelli dà  il  primo  accenno  delle  sue  belle  disposizioni  natu- 
rali all'arte  della  fortificazione.  Riconosce  come  assai  forti  le 

1  Machiavelli,  Comm.ctt.,  lett.«  ex  Verona,  die  29  novembris  m.d.viiij  ». 
'  Machiavelli,  Comm,  eit.,  lett.«  ex  Verona,  die  vij  decembris   m.d.viiij  ».   —  Cf.  il 
Capitolo  dell'Ambizione  a  Luigi  Guicciardini,  v.  158: 

«  San  Marco  alle  sue  spese,  e  forse  invano 
Tardi  conosce,  come  li  bisogna 
Tener  la  spada,  e  non  il  libro  in  roano  ». 

'  Machiavelli,  loc.  cit.,  «  ex  Verona,  die  viij  decembris  ». 

*  Bibl.  Naz..  doc.  Jlf.,  bnsta  iv,  n.  138.  «  I  Dieci  a  N.  M.,  ex  pai.  fior,  die  vjij  dee  1500  »: 
«  e  però  noi  eravamo  risoluti  scriverti  che  atteso  il  pericolo  che  si  portava  di  cotesta  terra, 
la  stessi  avvertito  ad  levarti  in  tempo,  che  non  te  ne  seguissi  danno  e  disordine  a  noi  » 

*  Machiavelli,  Commisi,  cil.,  lettera  «  in  Mantova,  a' di  xij  di  dicembre  M.D.viiq». 


Digitized  by 


Google 


SBCONDoJ  SUA  DESCRIZIONE  DI  VERONA.  475 

rocche  di  San  Piero  e  di  San  Felice  <  più  per  il  sito  che  per 
la  muraglia  »;  ma  non  porge  alcun  sentore  d*essere  addentro 
in  quello  studio  né  per  pratica  né  per  notizia  scientifica.  Più 
tardi,  avvalorato  dal  contatto  con  insigni  architetti  militari,  egli 
nobilita  questa  medesima  descrizione  e  se  ne  giova  incorporan- 
dola assai  convenientemente  nelle  < Istorie  fiorentine  ».^  Ma  in 
questo  mezzo  egli  è  pieno  d'inquietudine  e  mostra  ai  Dieci  un 
vivo  desiderio  di  ritornarsene.  «  Poi  partì'  di  costi,  scrive,  non 
ò  mai  auto  di  costà  alcuno  avviso  »  ;  *  le  faccende  domestiche 
gli  cagionano  brighe,  per  un  grosso  piato  che  aveva  in  Roma 
innanzi  alla  cancelleria  ecclesiastica;  probabilmente  compro- 
mettevasi  il  dominio  di  benefici  che  dovevan  servire  a  sosten- 
tamento di  suo  fiatello  Tetto,  che  sulla  fin  di  giugno  dell'anno 
precedente  gli  aveva  fatta  rinunzia  della  sua  metà  del  retaggio 
paterno,  in  seguito  a  transazione  condotta  per  Francesco  Nelli 
e  Piero  del  Nero,  deputati  da' fratelli  a  comuni  arbitri.  ^ 

^  Machiavelli,  Istorie  Fiorentine,  iib.  v,  8-24.  Cf.  la  descrizione  del  Guicciardini,  .Storta 
d'Italia,  Iib.  viii:  «  La  città  di  Verona,  nobile  e  antica  città,  è  divisa  dal  fiume  delPÀdice; 
fiume  profondo  e  grossissimo,  il  quale,  nato  dai  monti  della  Magna,  com'è  condotto  al 
piano,  si  torce  in  sulla  mano  sinistra  rasente  i  monti,  ed  entrando  in  Verona,  come  n*è 
uscito,  discostandosi  dai  monti,  si  allarga  per  bella  e  fertile  pianura.  Quella  parte  della 
città  che  è  situata  nella  costa  con  alquanto  piano,  è  dall'Adice  in  là  verso  la  Magna;  il 
resto  della  terra,  che  è  tutto  in  piano,  è  posto  dall'Adice  in  qua  verso  Mantova.  In  sul 
monte  alla  porta  di  San  Giorgio  è  posta  la  rocca  di  San  Piero,  e  due  balestrate  distante 
quella,  più  alta  in  sulla  cima  del  po^io,  è  quella  di  San  Felice;  forte  Tuna,  e  l'altra 
assai  più  di  sito,  che  di  muraglia;  e  nondimeno  perdute  quelle,  perchè  soprafanno  tanto 
la  città,  resterebbe  Verona  in  grave  pericolo... —  Ma  nell'altra  parte,  separata  da  questa 
parte  del  fiume,  è  Castelvecchio  di  verso  Peschiera,  posto  quasi  in  mez^o  della  città,  e 
che  attraversa  il  fiume  con  un  ponte;  e  tre  balestrate  distante  da  quello,  verso  Vicenza 
è  la  cittadella  ;  e  tra  l'una  e  l'altra  si  congiungono  le  mura  della  città  dalla  parte  di 
faora,  che  rendono  figura  di  mezzo  tondo;  ma  dal  lato  di  dentro  si  congiugne  loro  un 
muro  edificato  in  mezzo  di  due  fossi  grandissimi,  e  lo  spazio  tra  l'un  muro  e  l'altro  è 
chiamato  il  borgo  di  San  Zeno,  ecc.  »  —  Che  il  Machiavelli  desse  particolare  importanza 
alla  descrizione  della  città  di  Verona,  insinuata  in  quella  sua  lettera  dei  di  12  dicembre, 
ci  è  provato  anche  da  ciò  che  nella  Btbl.  Naz.  fior,  fra  i  Doc.  M.  (busta  vi,  n.  55)  si  trova 
dì  quella  un  estratto  autografo,  probabilmente  contemporaneo  allo  scritto  ufficiale  mandato 
ai  Dieci.  Il  Rankb  già  per  primo  {Zur  Kritik  neuerer  Geschichtschreiber.  pag.  153)  fece 
ragguaglio  fra  le  modificazioni  introdotte  nel  testo  che  si  legge  al  luogo  indicato  delle 
Isterie  fiorentine,  e  quello  di  primo  gitto,  che  si  à  nella  lettera  20  della  Commissione  a 
Mantova  e  in  quelle  circostanze,  (ed.ult.,  v,  pag.  460).  Se  non  che  le  osservazioni  fatte  da 
lui  riguardano  solo  l'eleganza  dello  stile,  l'esattezza  della  dicitura,  le  parole  scelte.  A  noi 
sembra  che  questa  almeno,  fra  le  varianti  molteplici,  dinoti  a  dirittura  una  diversa  condi- 
zione neir  intelletto  dello  scrittore,  determinata  forse  dalle  relazioni  ch'egli  ebbe  poi  col 
Sangallo  e  con  altri  famosi  operai  nell'arte  del  fortificare: 


Lett.  ctt.(pag.  461) 
«  e  da  l'una  ad  l'altra  (dalla  Rocca  Vecchia 
alla  Cittadella),  da  la  parte  ai  fuora,  è  il  muro 
della  città  che  fa  uno  mezo  tondo». 


Ist.  fior.,  1.  V.  8  XXIV. 

dall'una  delle  quali,  dalla  parte  di  dentro, 

si  parte  un  muro,  che  va  a  trovar  l'altra,  e 
fa  quasi  come  una  corda  all'arco  che  fanno 
le  mura  ordinarie  della  città,  che  vanno  dal- 
l'una all'altra  cittadella  ». 
*  Machiavelli,  loc.  cit.,  lett.  «  ex  Verona,  die  viij  decembris,  m.d.viiij  ». 
>  V.  Ed.  ult.  Opp.  M.  Cenni  biografici  intorno  a  N.  Jlf.,  premessi  al  voi.  i,  da  Luigi 
Passerini  (pag.  lviii). 


Digitized  by 


Google 


176  CAPO  SESTO.  [ubbo 

Quella  rinunzia  era  stata  probabilmente  effetto  d'accordi, 
per  cui  Totto  avviato  per  la  carriera  ecclesiastica  ma  non  an- 
cora ordinato  presbìtero,  ^  quando  si  fosse  trovato  nelle  oppor- 
tune condizioni  giuridiche,  sarebbe  stato  eletto  e  presentato  a 
quei  benefici  ecclesiastici  su' quali  la  famiglia  Machiavelli  pos- 
sedeva diritto  di  patronato.  Tali  erano  le  chiese  parrocchiali  di 
S.  Vito  e  Quirico  alle  Sodora,  o  quella  di  Sant'Andrea  in  Per- 
cussina.  Se  pertanto,  si  fosse  messo  in  questione  il  diritto  dei 
patroni,  se  l'esercizio  in  qualsiasi  maniera  ne  fosse  stato  im- 
pedito, se  quei  benefici  fossero  divenuti  litigiosi,  il  domestico 
assettamento  di  Niccolò  avrebbe  dovuto  gravemente  risentirsene. 
Però  egli  sin  dal  principio  di  novembre,  per  l'intermedio  di  Bar- 
tolomeo RufBni,  suo  subordinato  ed  amico  in  cancelleria,  nominò 
procuratore  in  quell'affare  un  Roberto  da  Poscia,  sollecitando, 
che  la  cosa  potesse  essere  spedita  col  procedimento  più  ra- 
pido,  e  procurando  che  le  raccomandazioni  più  potenti  non 

^  Lo  fu  solo  dopo  il  5  geimaio  del  1510,  secondo  che  risalt»  da  una  Pergamena  di 
provenienza  Ricci,  nell'Àrch.  di  Stato  in  Firenze  «  nonis  Januarij  pont.  ^ni  Julìi  ppe  ij 
anno  septimo  »  nella  quale  gli  vien  concesso  di  ricevere  Tordine  del  prHsbiterato.  Questa 
ò  intestala  come  segue:  «  Ludovicus  miseratione  divina  tit.  S  Marcelli  presbiter  cardinalìs 
dilecto  viro  Totto  Bernardi  Machiavelli  clerico  flor.oo  »  —  In  un^altra  pergamena  della  pro- 
veniensa  medesima  e  nello  stesso  Archivio,  «  a.  1515.  indict.  ly  die  vero  mercurìi  quarta 
mensis  Julii  pontificatus  Sxu  in  Xpo  patris  et  dni  uri  dui  Leonis  d.  pr.  pp.e  X  an.  iij  »• 
Pietro  Andrea  Gammaro.  bolognese,  vicario  del  card.  Giulio  de' Medici,  gli  concede  la 
chiesa  parrocchiale  di  S.Andrea  in  Percussina,  rassegnata  liberamente  da  Giovan  Pietro 
Machiavelli.  In  quella  si  leg^e  :  «  Nobilitas  generis,  vita  ac  morum  honestas  alìaque  probi- 
tatis  et  virtutum  merita  super  quibus  apud  nos  fide  digno  comraendaris  testimonio,  merito 
nos  inducit  ut  illa  tibi  favorabiliter  concedamus  quod  tuis  commoditatibus  fore  conspicimas 
opportuna  ».  Di  Totto  si  anno  parecchie  lettere  a  Niccolò,  dalle  quali  apparisce  ch'egli 
soggiornò  per  qualche  tempo  in  Roma.  Oltre  quella  già  citata  da  noi  più  sopra  (pag.  7S 
in  nota)  alleghiamo  le  seguenti  :  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  i,  n.8,  lett.  «  a  di  xxvij  d'agho- 
sto.  T.  M.  egr.  viro  N.di  M.  Bernardo  M.  in  Francia  *  —  Ibid.  busta  iii,  n.  J84,  «  T.  M- 
eg.  V.  N.  M.  secr.  ac  mand.  fior,  apud  P.  maximum,  al  nome  di  Dio  ad  xxj  di  nouembre  1503». 
—  Ibid.,  busta  in,  n.  38.  «  Totto  in  Roma  eg.  v.  N.  M.  s.  f.  Florentie  a'di  xxvj  di  settem- 
bre 1501  »  —  Ibid.,  busU  IV.  n.  121  «  id.  eod  a  di  xv  di  marzo  1504  ».  — -  Ibid.,  n.  ISO 
«  T.  M.  in  Roma,  N.  M  addi  25  di  maggio  m  d.vj  »  —  Totto  venne  a  morte  nel  l&SS. 
come  comprova  un'altra  Pergamena  dell'Archivio  di  Stato  di  Firenze  {provenienza  Ricci): 
«  Anno  d.  J.  m  d.  xxvij  indictione  xm*  die  vero  mercurìi  xviij  mensis  Junii,  electionis  ad 
pontif.  Rmi  in  Xpo  patris  et  domini  nostri  domni  Hadriani  VI.  Sanctorum  Johannis  et  pauli 
pbri  cardinalis  Dertusen.  anno  primo  »,  nella  quale  si  legge-  «  cum  itaque  parrocchiales 
Ecclesie  invicem  perpetuo  unite  Sanctorum  Viti  et  Quinci  alle  Sodora  florent.  dioeces.per 
obitum  hon.  viri  Domini  Tetti  de  Machiavelli  clerici  fior,  illarum  olim  ultimi  et  immediate 
rectoris  et  possessorìs  extra  romanam  curiam  nuper  defuncti  vacaverit  et  vacet  ad  prae- 
sene,  nos  (Horatius  Lelius  Otriculanus)  scientes  quantum  diuturna  Ecclesianim  vacatio 
ipsis  soleat  esse  dannosa,  et  nolentes  dictas  Ecclesias  propter  vacationem  homi  aliquod  io 
spiritualibus  vel  temporalìbus  pati  detrimentum  sed  eisdem  et  illarum  indempnitatì  quantum 
cum  deo  possimus  ex  injuncto  nobis  ollitio  provvidere...— ...visa  electione  et  praesentatione 
de  Te  (Gìannozzo  di  Roberto  Pucci)  coram  uobis  facta  p  hons.  virum  Nìcholaum  olim  do- 
mini Bernardi  de  Machiavellis  civem  flor.aa  patronum  dictarum  Ecclesianim  existentem, 
ut  dicitur,  ac  vice  et  nomine  seu  nominibus  domini  balthassaris  olim  petri  clerici,  Philippi. 
Alexandria  Joannis  Pauli  et  Baptistae  Bonansegne  Joannis  Gherardi  Caroli  et  fratrum  olim 
Frane.  Nicolai  Alexandri  et  Alexandrì  et  fratrum  olim  Laurentii  omnium  de  Machiavelli^ 
predictis  nobilium  florentinorum  suorum  in  dictis  Eccles.  compatronorum,  etc  * 


Digitized  by 


Google 


secondo]      protesta  DI  DIVIETO  A  DANNO  DEL  MACHIAVELLI.  477 

mancassero  ad  aiutarne  la  riuscita  seconda.  Ma,  a  quel  che 
sembra,  il  litigio  di  Roma  ne  trasse  con  sé  un  altro  in  Fi- 
renze, e  forse  coiravversario  medesimo  avanti  alla  curia  del 
potestà,  nel  quale  intervenne  per  lui  come  procuratore  Piero 
del  Nero,  suo  congiunto  zelantissimo  ed  attivo  sino  air  impor- 
tunità. 

E  poiché  queste  liti  ebbero  forse  a  destar  collere  e  stre- 
pito, e  gl'interessi  irritati  a  sfogarsi  per  ogni  via  maligna, 
Niccolò  sentì  finalmente  arrivargli  all'anima  un  colpo  fiero  e 
già  da  un  pezzo  formidato.  Ne  lo  fece  avvisato  una  lettera 
segreta  di  Biagio  Buonaccorsi,  mandatagli  incontro  sulla  via 
del  ritorno,  a  trattenerlo  dovunque  fosse:  «  tcbi  sit>,  —  Era 
scritta  nella  seconda  ora  della  notte  e  del  seguente  tenore: 
«  Niccolò  honorando  —  Io  mi  sono  mosso  ad  scriuerui  la  pre- 
sente, perchè  el  caso  che  sarà  narrato  da  pie  è  di  tanta  im- 
portantia  che  non  può  essere  maggiore,  et  non  uè  ne  fate  befie 
et  non  lo  transcurate  et  non  uscite  di  quello  che  io  vi  dirò 
per  cosa  del  mondo,  perchè  e' sarà  uno  de' potissimi  remedii 
ad  riparare  alla  mina  vostra  et  di  altri  ;  et  a  questo  fine  ho 
prevenuto  col  mandarvi  allo  incontro.  E' farà  domani  octo  dì 
che  uno  turato  con  dua  testimoni  andò  ad  casa  el  notaio 
de'  Conservatori,  et  presente  loro  li  dette  una  notificatione,  con 
protestarli  se  non  la  dava;  et  conteneva  che  per  esser  nato 
voi  di  padre  etc,  non  potete  ad  modo  alcuno  exercitare  lo 
oflìcio  che  voi  tenete  etc.  Et  benché  la  cosa  sia  stata  in  facto 
altra  volta  et  che  la  legge  sia  in  favore  quanto  lo  può,  nien- 
tedimeno la  qualità  dei  tempi  et  uno  numero  grande  che  si  è 
levato  ad  bociare  questa  cosa  et  gridarla  per  tutto,  et  minacciare 
se  non  è  fatto  eic.^  fa  che  la  cosa  non  è  in  molto  buon  termine 
et  ha  bisogno  d'uno  grande  adiuto  et  di  una  delicata  cura  in- 
torno ad  che  io  fino  ad  questo  punto,  da  l'hora  che  mi  fu  da 
nostri  amici  facto  intendere,  non  ho  lasciato  indrieto  cosa  alcuna, 
et  di  dì  et  di  nocte;  in  modo  che  io  ho  mollificato  assai  li  animi 
di  qualcuno;  et  dove  la  logge  era  da  chi  cerca  disfavorire  etc. 
stiracchiata  per  mille  versi  et  datoli  sinistre  interpretazioni,  è 
un  poco  posata.  Nientedimeno  li  adversarii  sono  assai  et  non 
lasciano  ad  fare  nulla;  et  il  caso  è  pubblico  per  tutto,  fino 
pe' bordo  gli,  in  modo  si  può  fare  alla  scoperta,  et  é  aggravato 
da  infinite  circunstantie  ;  et  prestatemi  fede,  Niccolò,  che  io  non 
vi  dico  la  metà  delle  cose  che  vanno  ad  torno,  et  avanti  che 
io  producessi  la  legge,  era  messa  per  cosa  indicata.  Io  l'aiuto 


Digitized  by 


Google 


178  CAPO  SESTO.  [libio 

per  tutti  mezi  :  cosi  fa  Piero  del  Nero,  al  quale  io  fo  hora  per 
hora  intendere  tutto;  perchè  è  facto  el  medasimo  a  me  da  chi 
non  vuole  lasciare  minare  et  voi  et  me.  Sono  stato  solleci- 
tato questo  punto  da  chi  vi  ama,  et  è  persona  che  voi  ne  fate 
capitale,  ad  scrivervi  che  voi  soprastiate  dove  vi  trovate  et 
non  torniate  per  nulla,  perchè  la  cosa  si  va  mitigando,  et 
sanza  dubio  harà  miglior  fine  non  ci  sondo  voi  che  essendoci, 
per  più  conti;  et  poi  io  fo  delle  cose  che  non  fareste  uoi,  et 
pure  son  necessarie;  perchè  tutti  li  homini  vogliono  essere 
ricognosciuti  et  honorati  et  pregati,  ancoraché  le  cose  sieno 
chiare;  et  pare  conveniente  che  chi  serve  ne  sia  ringratiato 
et  pregato  prima  et  ripregato;  ad  che  quanto  voi  siate  apto, 
lo  lascio  indicare  ad  voi.  Insomma  per  uno  de'potenti  remedii 
a  questo  male,  che  è  tanto  grande  che  vi  farebbe  paura,  è  lo 
stare  absente  qualche  di,  tanto  se  ne  vegga  al  fine;  et  perciò 
vi  mando  la  presente,  sollicìtatone  da  altri,  pure  persone  pri- 
vate, ma  di  tanta  qualità  che  si  può  manco  errare  ad  fare 
cosi  che  altrimenti.  Li  altri  vostri  compagni  sono  prompti  alla 
difesa,  se  basterà:  che  a'  di  passati  in  un  caso  simile  è  cosi 
poco  giovato  che  ha  facto  risuscitare  questo.  Se  io  vi  dicessi 
non  bavere  mai  dormito  poi  accade  questo,  crediatemelo;  perchè 
voi  ci  havete  tanto  pochi  che  vi  voglino  aitare,  et  io 
non  so  donde  venga.  Di  nuovo  indico  facciate  quanto  siete 
consigliato  et  non  uscite  et  fate  uno  presupposto  che  io  non 
aorabri  scuro,  come  voi  solete  dire,  ma  che  sia  molto  più;  et 
havendoci  lo  interesse  mi  doverresti  credere,  perchè  tocca  più 
ad  me  che  a  voi.  Non  altro  ».  — 

Questo  documento  che  a'  tempi  nostri  mette  mille  dubbi 
pel  capo  a  chi  lo  considera,  ed  obbliga  a  minute  ricerch?  chi 
tenta  delucidarlo,  era,  com'  interviene  in  tutti  i  casi  consimili, 
della  massima  chiarezza,  non  diremo  solo  agi* interessati,  ma 
alla  maggior  parte  de' contemporanei  in  Firenze.  Tanto  che 
gli  eccetera,  in  cui  qua  e  là  c'imbattiamo,  è  manifesto  che 
non  erano  li  per  nascondere  nulla  né  a  quelli  né  a  Niccolò; 
che  erano  reticenze  di  pudore  e  non  di  segreto;  e  che  nep- 
pure per  noi  medesimi  rappresentano  l'incognita  della  equa- 
zione. E  bensi  per  efi'etto  di  quella  luce  di  crepuscolo  in  cui 
il  passato  si  rappresenta  allo  storico,  anche  quando  sembra 
essergli  meno  incerto  e  più  prossimo,  che  l'afierrare  e  il  rico- 
noscere facilmente  il  valore  di  termini,  altra  volta  certi  e  per- 
spicui, ne' suoi  problemi  gli  è  reso  diflScile.   E  però  anche  a 


Digitized  by 


Google 


«BCONX>o]  L'ECCETERA  DEL  BONXCCORSL  479 

noi  non  rimane,  per  rispetto  a  questo  nostro,  che  andar  sotti- 
lizzando con  quel  po' d' industria  che  si  vuol  da' biografi;  i  quali 
debbon  toccare  talvolta  anche  di  quelle  minutezze  aneddoto, 
sulle  quali  una  più  ampia  storia  felicemente  sorvola. 

Ciò  posto,  il  primo  dato  che  ci  porge  la  lettera  del  Bonac- 
corsi  è  un  fatto,  una  protesta  segreta  per  un  divieto  legittimo. 
Circa  ai  20  di  dicembre,  un  uomo  coperto  nel  volto,  probabil- 
mente colla  persona  avviluppata  in  un  di  que'  sacchi,  che  val- 
gono a  distintiva  di  confraternite,  e  non  recano  altra  apertura 
o  spiraglio  che  i  buchi  degli  occhi,  un  turato,  comparve  in- 
sieme a  due  testimoni  innanzi  al  notaio  de' conservatori  di 
legge,  lanciando  querela  d'incapacità  contro  Niccolò  di  Ber- 
nardo Machiavelli,  poiché  a  lui  s'era  lasciato  occupare  un  uf- 
ficio al  quale  aveva  divieto  per  forza  di  legge.  Questa  que- 
rela, 0  notificazione,  o  protesta  che  si  fosse,  accennava  ad 
una  legale  incapacità  che  derivava  in  Niccolò  per  riguardo 
del  padre;  «  poiché  suo  padre  era...  »  —  e  qui  l'^cce^era prudente 
o  ossequioso  del  Bonaccorsi.  Ora,  se  l'archivio  dei  conservatori 
di  legge  ci  fosse  giunto  intatto  ed  intero,  non  sarebbe  stato  forse 
difficile  ritrovarvi  la  querela  presentata  allora  contro  di  Nic- 
colò, e  il  riguardoso  eccetera  del  Bonaccorsi  sarebbe  così  deci- 
frato e  distrutto;  quantunque  l'esito  che  sorti  poi  l'afiare  potè 
probabilmente  esser  cagione  che  fino  d'allora  si  distruggesse  in 
quella  cancelleria  un  documento  anonimo  e  nocivo.  Ma,  d'al- 
tronde, ad  eccezione  di  poche  reliquie  del  secolo  decimoquinto, 
si  può  dire  che  solo  dall'anno  1549  in  poi  le  carte  de'conser- 
vatori  di  legge  della  Repubblica  fiorentina  ci  siano  pervenute 
con  sufficiente  pienezza;  de' tempi  anteriori  manca  gran  parte; 
della  querela  contro  il  Machiavelli  non  si  trova  orma.  Per- 
tanto non  essendo  a  sperar  nulla  dalle  indagini,  ci  conviene 
sopperire  risicando  congetture,  le  quali  pure  non  trovano  altro 
fondamento  che  nella  lettera  di  Biagio  e  nell'interpretazione 
di  essa. 

Ora  é  da  osservare  principalmente  che  in  questo  scritto,  il 
sentimento  da  cui  il  Bonaccorsi  apparisce  commosso  é  non  tanto 
un  grande  aflfetto,  quanto  un  grande  timore  pel  caso  di  Niccolò; 
di  guisa  ch'ei  sembra  prendere  la  cosa  più  a  cuore  che  questi 
forse  non  farebbe;  paventa  anzi  che  il  Machiavelli  non  l'accusi 
di  veder  nero,  «  di  aombrar  scuro  »  più  che  non  sia  mestieri,  o 
per  naturale  meticolosità  che  gli  conosca  o,per  altre  ragioni  che 
momentaneamente  l'impauriscano.  E  infatti,  come  coadiutore,  sa 


Digitized  by 


Google 


480  CAPO  SESTO.  fLiBio 

che  gli  sovrasta  la  medesima  sorte  del  titolare,  e  che  se  il 
Machiavelli  è  rimosso  dall'ufficio  suo,  dovrà  anch'egli  sgom- 
brare dalla  cancelleria.  Quindi  si  fa  ad  insistere  perchè  Nic- 
colò s'apprenda  fermamente  al  consiglio  datogli  di  tenersi  as- 
sente; ripari  alla  mina  propria  «  e  di  altri  >;  ceda  ad  una 
benevola  autorità;  all'autorità  «di  chi  non  vuole  lasciare  rui- 
nare  et  voi  et  me  ».  —  Chi  poteva  essere  questo  consigliere 
autorevole,  questa  persona  di  cui  Niccolò  «  faceva  capitale  », 
se  non  il  Sederini?  chi  altro  poteva  consigliarlo  con  pienezza 
di  facoltà,  più  che  di  giudizio,  a  indugiare  il  ritorno  suo?  e  come 
sarebbe  stato  possibile,  se  il  pericolo  fosse  veramente  stato 
si  grande,  una  tiepidezza,  un  animo  si  confidente  in  Niccolò; 
s'egli  non  sapeva  d'aver  tanto  nelle  mani  da  sventare  tutte  le 
cospirazioni,  da  ridurre  al  silenzio  tutti  i  malevoli,  da  trovarsi  ad 
agio  cogli  statuti,  colle  leggi  e  cogli  avvocati  che  le  torcessero? 
d'aver  che  fare  con  un  processo  che  era  per  lui  una  saetta 
previsa,  contro  la  quale  aveva  già  da  gran  tempo  opposto  lo 
scudo  e  preparato  difese? 

Osserviamo  bene.  L'incapacità  legittima  di  Niccolò  non  ci 
è  detto  nella  lettera  da  che  impedimento  derivava;  ma  ci  si  dice 
che  esso  «  era  stato  in  fatto  altra  volta  »  e  che  presentemente 
«la  legge  era  in  favore  ».  E  ci  si  aggiunge  di  soprappiù:  «  avanti 
che  io  producessi  la  legge,  era  messa  per  cosa  giudicata»;  ossia 
prima  che,  accampando  una  disposizione  più  recente  di  diritto, 
si  afiacciasse  la  seguita  abrogazione  d'un 'antica  costituzione  di 
legge,  la  sentenza  circa  la  querela  dei  Conservatori  pareva  de- 
cisa, e  con  disfavore  sicuro.  Ora,  prescindendo  dalla  fiacca  ipo- 
tesi d'una  mala  fede,  tanto  negli  accusatori  quanto  ne'  giudici, 
non  men  grande  che  vana,  come  sarebbe  possibile  spiegare  una 
qualità  d'ignoranza  che  non  escusa,  l'ignoranza  del  diritto  ne'  le- 
gisti ;  e  un  difetto  di  conoscenze  negli  assalitori  spinto  sino  al 
ridicolo,  l'ignoranza  delle  armi  proprie;  se  non  si  suppone 
che  la  legge  con  cui  questi  intendevano  colpire  Niccolò,  la 
legge  donde  traevano  argomento  per  l'interdizione  di  lui  dal- 
l'ufficio, avesse  ad  essere  nella  città  assai  più  notoria,  più 
chiara  e  di  assai  più  frequente  applicazione  dell'altra,  la 
quale  veniva  in  appoggio  del  Segretario?  se  non  si  suppone 
che  agli  armeggioni  non  potesse  punto  cader  nell'animo  che 
la  legge,  de'  quali  essi  facevano  la  fortezza  loro,  potesse  aver 
patito  tacite  abrogazioni  o  deroghe,  e  che  quell'arme  ch'essi 
agitavano  fosse  spuntata?  Or  bene,  la  legge,  il  testo  giuridico 


Digitized  by 


Google 


SBOONDo]  L'ECCETERA  DEL  BONACCORSL  481 

che  per  proprio  carattere  avesse  eccellenza  di  valore,  latitudine 
e  sopreminenza  su  tutte  l'altre  della  città,  erano  gli  statuti,  le 
riformagioni  ;  contro  di  cui  Niccolò  non  poteva  levare  a  suo 
sostegno,  se  non  la  provvisione  per  la  riforma  della  cancelleria 
del  1498,  per  la  quale  a  chiunque  interveniva  nel  Consiglio 
dei  richiesti  era  data  facoltà  di  nominare,  nell'elezione  del 
cancelliere,  qualunque  persona  gli  piacesse  meglio  «  non  oh- 
stante  alcuna  prohibitione  a  divieto  ». 

Se  non  che  di  quale  proibizione  potevano  intendere  gli  sta- 
tuti nel  caso  del  Machiavelli?  —  Gli  statuti  contemplavano  due 
modi  di  divieti  o  d'interdizione  ;  alcuni  erano  universali  e  per- 
petui, altri  temporanei  e  particolari,  alcuni  inerenti  alla  per- 
sona, altri  trasmessi  per  vizio  d'origine;  cessavano  alcuni  col 
variare  delle  condizioni   del  cittadino  rispetto  alla  città,  altri 
rimanevano  invariabili  e  insanabili  per   sempre.  Qui  nel  caso 
nostro,  il  Bonaccorsi  ci  mette  sulla  via  di  ricercare  fra  gl'im- 
pedimenti ereditati  la  cagione  dell'incapacità  di  Niccolò:  —  «  per 
esser  nato  voi  di  padre  etc.  ».  Ora,  che  cosa  poteva  essere 
stato  mai  il  padre  di  Niccolò  per  inabilitatile  il  figliuolo  alla  pi^o- 
fessione  di  notaio  e  di  cancelliere?  un  moroso  nel  pagar  le  pre- 
stanze, i  tributi,  alla  città?  *  ma  né  fra  le  numerose  carte  della 
famiglia  de'  Machiavelli,  né  nei  pubblici  registri  v'à  sentore  di 
questo  debito  paterno.   Bernardo  anzi,  per  mantenersi  l'ufficio 
di  tesoriere  della  Marca,  doveva  aver  condotto  la  vita  propria 
in  maniera  da  non  dar  pretesto  che  gli  fosse  diminuita  quella 
fiducia  che  all'esercizio  delle  sue  attribuzioni  era  necessaria. 
Molto  meno  poteva  essere  stato  un  ghibellino,  che  in  tal  caso 
non  avrebbe  potuto  ottenere  alcun  ufficio  per  sé,  non  che  ren- 
derne incapace  la  jprole  sua.  E  poi,  fosse  egli  stato  soltanto 
debitore  dell'erario  pubblico  o  discendenza  di  ghibellini,  si  sa- 
rebbe però  fatto  nella  città  del  caso  di  lui  quel  chiasso  pet- 
tegolo, quel  rumore  scandaloso  «fino  pe'bordegli»,  e  «ag- 
gravato da   infinite  circostanze  »,  che   pareva  che  il  ridicolo 
stesse  a  covare  la  vergogna?  D'altronde  perchè  mai  prima 
dell'istituzione  dell'ordinanza,  prima  che  Niccolò  trascorresse 
con  tanta  ampiezza  di  patenti  e  di  commissioni  pe'  vicariati  e 
le  potesterie,  prima  ch'ei  fosse  in  campo  l'anima  dell'impresa 

»  Cf.  statuto  pop.  et  com.  Flor.y  lib.  v,  rubr.  ccxlvii,  pag.  754  :  «  Et  quod  aliquis  qoi 
sii  véì  esAet  in  fatarum  notarius,  qui  seu  eias  pater  vel  patruns,  vel  frater  camalis  ex 
eodem  patre  non  solvit  praeatantias  in  civitate  Fiorentina  hactenns  ad  mìnas  per  tempos 
viginti  annoram  completorum,  non  possit  etc.  » 

ToMMAsiNi  -  Machiavelli.  31 


Digitized  by 


Google 


482  CAPO  SESTO.  [libro 

di  Pisa  non  apparisce  che  nulla  si  sia  tentato  per  rimuoverlo 
dal  suo  posto  nella  seconda  cancelleria?  forse  che  prima  egli 
non  aveva  nemici?  o  a  questi  era  incognito  il  vizio  d'origine 
di  Niccolò?  0  sembrava  loro  ch'ei  fosse  meno  vulnerabile  come 
semplice  notaio?  o  le  invidie  accumulatesi  dì  per  dì,  non  tro- 
varono prima  acconcia  occasione  a  prorompere? 

La  maniera  medesima  con  cui  questa  volta  erasi  presentata 
la  querela  ai  Conservatori  di  legge  c'induce  a  credere  che  non 
fosse  questo  «il  primo  tentativo  che  si  faceva  per  quel  verso,  nel- 
l'intenzione di  nuocergli.  Un  «  turato  con  due  testimoni  »  non 
sarebbe  comparso  pubblicamente,  se  già  prima  qualch'altr'accusa 
segreta,  gittata  nascosamente  nel  tamburo  destinato  ad  acco- 
glierle, non  avesse  fatto  prova  di  cadere  nel  vuoto.  Ora,  non  ci 
sembra  inutile  rammentare  a  questo  proposito  che,  circa  alla  metà 
di  maggio  del  1507,  era  stato  concesso  a  Niccolò  Machiavelli  un 
documento  solenne  «  in  fidem  suae  originis  >  ^  Quel  documento 
lo  dichiarava  nato  nella  famiglia  dei  Machiavelli  «  ingenuis 
parentibus  et  honestis  maioribus  >;  lo  diceva  figlio  di  Ber- 
naMo,  e  nel  testo  ufficiale  doveva  per  certo  andare  scevro  di 
quelle  inesattezze  che,  sia  per  inavvertenza,  sia  per  altro  mo- 
tivo, si  riscontrano  nella  copia  fattane  sul  registro  di  lettere 
de'  Signori,  ond'è  a  noi  pervenuto.  In  questa  copia  il  nome 
del  padre  di  Bernardo  è  sbagliato.*  Se  non  che  non  sapremmo 
intendere  in  forza  di  qual  legge,  quando  pur  si  volesse  ammet- 
tere che  Bernardo  Machiavelli  fosse  nato  fuori  della  famiglia 
legittima  sarebbe  da  ciò  potuta  discendere  in  Niccolò  alcuna 
incapacità  giuridica  all'ufficio  di  cancelliere,  non  che  ad  altri 
incarichi  pubblici.  C'era  veramente  una  disposizione  statutaria, 
una  rubrica  che  proibiva  certi  uffici  della  repubblica  a  chi 
«  in  rei  veritate  et  realiter  »3  non  avesse  sortito  i  natali  da 


>  V.  più  sopra,  pag,  377,  nota  8. 

>  Tutti  i  documenti  concorrono  a  comprovare  che  il  padre  di  Bernardo  e  l'avo  di  Nic- 
colò Machiavelli  si  chiamasse  Niccolò  di  Boninsegna.  Cf.  la  portata  di  B.  di  N.  di  B.  Ma- 
chiauegli  del  popolo  di  Santa  Felicita  di  Firenze  dell'anno  1498  innanzi  gli  officiati  del  ca- 
tasto, edita  dal  Passerini,  M.  Opp.,  ed.  ult.,  pag.  lv  e  seg.  Il  padre  di  Bernardo  era  già 
morto  nel  1475.  come  attesta  una  pergamena  nelFArch.  di  Stato  flor.,  proveniente  da  casa 
Ricci,  nella  quale,  in  data  del  detto  anno  a'di  21  d'agosto  Bernardo,  vien  chiamato  «  oUm 
Nicholai  de  MachiaueUis  ».  Ora  la  patente  di  nobiltà  e  legittimità  (Arch.  fior.,  ci.  x,  dist.  i, 
n.  119,  a  e.  186)  reca  «  Nicholaum  Bernardi  Jacobi*—  È  molto  probabile  che  in  questo 
fatto  non  si  abbia  a  riconoscere  se  non  un  errore  dell'amanuense  commesso  per  incuria, 
0  per  non  aver  interpretato  rettamente  una  cattiva  minuta,  in  cui  era  facile,  per  somi- 
glianza d'elementi,  prendere  abbaglio  fra  le  due  parole  Jacobi  e  NicolaL 

*  Stat,  fior,  cit.,  rubr.  ccxLv:  »  Decemimus  et  jubemus  quod  aliquis,  qui  in  rei  ve- 
ritate &  realiter  non  sit,  et  seu  non  fuerit,  ve!  esset  natus  in  sua  origine 
&  nativitate  de  legitimo  matrimonio  non  possint  deinceps  ullo  modo,  vel  vigore  habere, 


Digitized  by 


Google 


MCONDo]  MISTERO  DOMESTICO  ^BELL'ORIGINE  DEL  M.  483 

legittimo  matrimonio:  ma  quella  disposizione  non  riguardava 
punto  i  nati  di  padre  illegittimo.  Pertanto  il  tirare  in  campo 
l'illegittimità  di  Bernardo  a  spiegare  la  ragione  del  divieto 
in  Niccolò  Machiavelli  sarebbe  supposizione  gratuita  e  insuf- 
ficiente al  tempo  medesimo.  Che,  se  alcuna  questione  ebbe  a 
sorgere  circa  Torighie  di  lui  che  romanticheggiò  sulla  nascita 
di  Castruccio,  questa  ebbe  forse  ad  essere  agitata  e  discussa 
con  quelle  forme  e  per  un  di  quei  processi  ^  il  cui  eco  ar- 
riva, come  scrisse  il  Bonaccorsi,  fin  nei  postriboli,  rumoreggia 
per  alquanti  di  e  poi  si  spegne,  non  senza  lasciar  qualche 
sentore  di  sé  nelle  generazioni  che  succedon  più  prossime.  *  E 
forse  non  fu  per  tutta  rettorica  che,  come  vedemmo,  si  ripe- 
tevan  solo  dalla  vena  poetica  della  madre  le  qualità  eredi- 
tarie dell'aperto  ingegno  di  Niccolò;  e  niun  vanto  domestico 
gli  si  moveva  dal  padre.  Forse  fu  solo  per  le  militari  com- 
missioni compiute  da  Niccolò  nel  contado  e  nel  distretto  fio- 
rentino che  s'immaginò  di  poterlo  colpire  colla  citata  ru- 
brica degli  statuti.  Ne  certo  è  da  attribuire  ad  altro  che  a  po- 
chezza d'animo  del  Bonaccorsi  la  paura  che  quegli  potesse  per 
vigore  di  proibizioni  legittime  esser  rimosso  dall'ufficio  di  can- 
celliere; paura  che  nel  coadiutore  era  in  tanto  più  viva,  in 
quanto  ei  temeva  il  suo  proprio  pericolo  nel  danno  dell'amico; 
ma  dalla  provvisione  di  riforma  della  cancelleria,  quella  paura 
poteva  essere  di  leggieri  e  interamente  quotata.  Del  resto, 
quando  pur  vogliansi  da  noi  mettere  da  parte  tutte  le  suppo- 
sizioni uggiose  e  sgradevoli,  sporge  sempre  sopra  tutte  le  ipotesi 
questa  certezza,  che  nell'origine  di  Niccolò  Machiavelli  v'à  un 

obtinere,  vel  aliqualiter  exercere  offitium  prioratas  artium  et  vexilliferatus  ìustitiae  &  gon- 
falonieratus  societatum  populi,  et  duodecim  bonorum  virorum  mercantiae  civitatis  prae- 
dictae  coromunìs  praedicti,  vel  aliquod  ipsonim  offitìorum,  et  seu  offitium  sex  conailiarioruin. 
Nec  possit  habere,  obtinere,  vel  aliqualiter  aliquo  tempore  exercere  aliquod  offitium  alicuius 
vicariatus,  uel  capitaneatus,  comìtatus,  vel  districtus  Fio  re  nti  ae,  ant  civitatis, 
uel  terrarum,  uel  civitatis  Pistorii  &  seu  offitia  potestariarium  terrae  Prati  —  Civitatis 
Aretii  —  Castiliouis  fiorentini  —  Terrae  Collis  Vallis  Elsae,  aut  civitatis  Pistorii  —  Sancti 
Geminiani  —  Monti»  Politiani,  Terrae  Barghae  —  Mutilianae  —  Terrae  Sancti  Miniatis 
fiorentini,  vel  aliquod  ipsorum  offltiorum  potestariarum  dictorum  locorum,  vel  alicuius  eorum, 
et  seu  aliquod  offitium  alicuius  vicariatus,  aut  capitaneatus,  quod  deinceps  prò  dicto  communi 
Florentiae  ordinatum  fuerit  sub  poena  librarum  quingentanim  f.  p.  in  quam  qui  contrafecerìt 
incurrat  ipso  facto  prò  qualibet  vice  communi  Florentiae,  &  in  qua  intelligatur  ex  tunc 
ipso  facto  condemnatus,  et  quidquid  centra  lieret  sit  irritnm  &  inane  et  ab  offitio  intelli- 
gatur  remotus,  nec  illud  habeat  vel   exerceat  quoquoroodo». 

^  Nei  medesimi  Statuti,  lib.  ii,  rubr.  ii,  pag.  115,  viene  stabilito  che:  «in  qualibet 
causa  probari  possit  de  morte,  de  tempore  mortis  cuiuscumque  personae,  filiatione  & 
patemitate,  etiam  per  publicam  famam  per  quatuor  testes  »  etc. 

'  Cf.  Campanella  Atheismus  triumphatus,  cap  xviii.  «  Iste  autem  Machiavellus  fa- 
mìlia  quidem  nobilis,  sed  bastardus,  omnium  scientiarum  fuit  expers  et  tantummodo  astu- 
tiam  quandam  ex  historia  rerum  hausit  humanarum  ». 


Digitized  by 


Google 


484  CAPO  SESTO.  [libbo 

mistero,  che  si  vuol  rispettare,  ma  non  si  può  distruggere;  che 
non  gli  nocque  presso  i  contemporanei,  e  che  a  noi  basta,  per 
debito  di  biografi,  avere  accennato. 

Il  Machiavelli,  com'era  ben  prevedibile,  si  guardò  dal  se- 
guitare il  consiglio  di  Biagio  e  dell*  «  autorevole  persona  ». 
Dacché  il  tenersi  lontano  sarebbe  valso  Come  un  tuflfarsi  da 
sé  nel  torto  e  un  provocare  l'ingiuria.  Egli  venne  invece  a 
guardar  in  viso  gli  avversari,  e  a'  due  di  gennaio  ricomparve 
imperturbato  in  Firenze.  La  tempesta  cessò,  senza  lasciar  mate- 
riale danno,  ma  squarciando  una  ferita  di  grave  dolore  neiranimo 
del  Machiavelli.  A  Mantova,  ov'egli  erasi  trovato  in  compagnia 
di  Luigi  Guicciardini,  inconsapevole  della  bufera  che  gli  si  le- 
vava alle  spalle,  aveva  trascorso  con  lui  in  celie  e  in  baie.  Aveva 
quivi  mostrato  agli  amici  un'altra  sua  «  cantafavola  >;  proba- 
bilmente parte  del  secondo  decennale,  che  non  fu  mai  più  com- 
piuto; e  ad  una  lettera  di  Luigi,  nella  quale  questi  gli  stem- 
perava in  parole  alcune  sue  delizie  erotiche  desideratissime, 
aveva  risposto  artiflziosamente,  cercando  con  un'avventura  forse 
tutta  fantastica  e  architettata  a  contrapposto  della  descrizione 
di  Luigi,  stomacarlo.  ^  Ma,  tornato  in  Firenze,  sentendosi  la  prima 
volta  addentar  forte  dall'invidia,  disperatamente  ricorre  alle 
muse,  2  forse,  come  Petrarca,  «  perchè  cantando  il  duol  si  dì- 
sacerbi  »  ;  e  flagella  ancora  con  la  terzina  dantesca  l' ingrati- 
tudine umana,  «  nata  quando  la  gloria  dei  viventi  spiacque 
alle  stelle  ed  al  cielo  »  per  far  che  un  cittadino  «  mieta  con- 

^  Arch.  fior.  Carle  strozziane,  f.  139,  e.  211.  La  lettera  fu  edita  male  dair  Usigli  frale 
Opp.  di  N.  M.,  Firenze  1857,  a  pag.  1U2.  Reca  la  data  «  in  Verona,  die  viij  decembris  1509  ». 
—  L'avventura  in  essa  narrata  non  apparisce  più  vera  che  il  matrimonio  di  Niccolò  nella  I>9- 
scrizione  della  peste.  Chiude  con  questi  particolari  :  «  Io  credo  che  mi  avanzerò  di  questa 
gita  qualche  danaio,  et  vorre'pur  giunto  a  Firenze  fare  qualche  trafflcoszo:  ho  disegnato 
fare  un  pollaiolo  :  bisognami  trovare  un  marulflno  che  me  lo  governi  :  intendo  che  Piero  di 
Martino  è  costi  sufficiente:  vorrei  intendessi  da  lui  se  ci  ha  el  capo,  e  respondetemi  perchè 
quando  e*  non  voglia  io  mi  procaccierò  d*uno  altro.  De  le  nuove  di  qua  uè  ne  Batisfera 
Giouanni  ;  salutate  Jacopo  e  raccomandatemi  ad  lui  e  non  sdimenticate  Marco.  Aspecto  l& 
risposta  di  Gualtieri  ad  la  mia  cantafauola  », 

*  Machiavelli,  Capitolo  dell'Ingratitudine  a  Giowxnni  Folciti: 

«  Giovanni  Folchi,  il  viver  mal  contento 

Pel  dente  delT  Invidia,  che  mi  morde 

Mi  darebbe  più  doglia  e  più  tormento 
Se  non  fusse  che  ancor  le  dolci  corde 

D*una  mia  cetra,  che  soave  suona, 

Fanno  le  muse  al  mio  cantar  non  sorde. 


Cantando  dunque  cerco  dal  cor  tórre 
E  frenar  quel  dolor  de'  casi  avversi 
Cui  dietro  il  pensier  mio  furioso  corre. 

E  come  del  servir  gli  anni  sien  persi, 
Come  infra  rena  si  semini  et  acque 
Sarà  or  la  materia  de*  mie*  versi  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  «  CAPITOLO  DELL'  INORA  TITUBINE  ».  485 

trario  al  seme  che  à  disposto  >,  e  sia  indotto  forse  a  trapas- 
sare il  segno  del  viver  civile  e,  per  sottrarsi  alle  ingiurie  della 
propria  patria,  a  diventarne  tiranno;  bieca  ingratitudine  per 
cui  ebbe  ad  essere  contristato  Scipione  e  corrotto  Cesare.  Di- 
stingue poi  i  tre  modi  in  cui  essa  mostra  il  proprio  veleno 
secondo  tre  diverse  maniere  che  v'ànno  d'ingrati:  coloro  i 
quali  senza  pur  remunerarlo  confessano  il  beneficio;  quelli  che 
lo  dimenticano  e  lo  negano;  quelli  che  finalmente  lacerano  e 
mordono  a  tutto  potere  il  proprio  benefattore: 

Questo  colpo  trapassa  dentro  all'ossa; 
Questa  tersa  ferita  è  più  mortale, 
Questa  saetta  vien  con  maggior  possa. 

Mai  non  si  spegne  questo  acerbo  male 
Mille  volte  rinasce,  s'una  more, 
Perchè  suo  padre  e  sua  madre  è  immortale. 

E  come  io  dissi,  trionfa  nel  core 
D*ogni  potente,  ma  più  si  diletta 
Nel  cor  del  popol  quand'egli  è  signore. 

Questo  è  ferito  da  ogni  saetta 
Più  crudelmente   perchè  sempre  avviene 
Che  dove  men  si  sa,  più  si  sospetta. 

E  le  sue  genti  d'ogni  invidia  piene 
Tengon  desto  il  sospetto  sempre,  et  esso 
Oli  orecchi  alle  calunnie  aperti  tiene. 

Niccolò  a  questo  punto  sente  fastidio  e  ribrezzo  del  po- 
polo; r  ingratitudine  del  quale  lo  colpisce  come  un  fatto  ina- 
spettato e  contrario  alle  sue  idealità  politiche.  E  veramente,  Kedik 
Ahmed  pascià,  conquistatore  di  Gaffa  e  di  Otranto,  vincitore 
di  Djem  e  di  Kasimbeg,  dopo  aver  dato  il  regno  a  Bajesid,  fu 
ricompensato  di  morte  per  comando  di  lui;  ^  Consalvo,  che  con 
genio  militare,  con  avvedimenti  politici  insuperabili,  con  for- 
tezza e  versatilità  d'animo  degna  d'un'odissea,  aveva  saputo 
tener  fra  le  armi  soldati  senza  paghe,  condurli  a  combattere 

I  Machiavelli,  Capii,  cit.,  v.  ICS  e  segg. 

«  Acomatto  bascià  non  dopo  molto 
Ch'egli  ebbe  dato  il  regno  a  Baisitte 
Mori  col  laccio  intorno  al  collo  avvolto. 

À  le  parti  di  Puglia  derelitte 
Consalvo  et  al  suo  Re  sospetto  vive 
In  premio  delle  galliche  sconfitte  ». 

V.  intomo  all'uccisione  di  Ahmed,  L.  db  Hammer,  Oetchichte  dea  Osmai^ischen  Betcks, 
vol.«n,  pag.  284.  Secondo  notizie  solo  di  fonte  europea,  egli  sarebbe  stato  fatto  ucci- 
dere il  di  18  novembre  1482  (6  schewall  887),  dopo  un  convito.  —  È  osservabile  che  il 
M.  non  accenna  punto  a  questa  tradizione;  ma,  come  bene  avvisa  lo  storico  sopra  men- 
zionato :  «  Der  Streich  war  nicht  Ausbruck  giihen  Zornes,  sondem  lang  zurilckgehaltener 
Ungnade  ».  Circa  i  sospetti  di  Ferdinando  intorno  al  Gran  Capitano,  per  cui  sulla  fine  del  1507 
lo  ricondusse  in  Ispagna  a  seppellir  la  sua  gloria,  veggansi  le  co  nsiderazioni  critiche  del 
Db  Lbva,  op.  cit.,  voi.  i,  pag.  07  e  segg. 


Digitized  by 


Google 


486  CAPO  SESTO.  [libbo 

e  vincere  i  Francesi;  cacciar  questi  quasi  dal  regno  che  aveva 
con  Ispagna  spartito;  ammansare  i  popoli  assoggettati;  durare 
ogni  estremità  di  disagi  nella  guerra,  sostenere  una  dignità 
maravigliosa  nelle  trattative  pacifiche,  parere  in 'breve  T im- 
magine identica  del  suo  stesso  sovrano  ;  fu  da  Ferdinando  por- 
tato via  d'Italia  come  un  rivale,  gabbato  con  promesse  non 
mantenute,  lasciato  senza  concessione  d'onori. 

Ma  in  questi  due  casi  gl'ingrati  eran  due  principi,  e  il  Ma- 
chiavelli ammetteva  già  che  la  sconoscenza  stesse  tra  le  vilissime 
necessità  del  principato  nuovo  ;^  né  tuttavia  poteva  capacitarsi  che 
questa  avesse  ad  essere  anche  necessità  o  natura  nel  popolo,  alla 
cui  libertà  poteva  anzi  tornare  estremamente  dannosa.  Niccolò, 
ch'era  salito  a' pubblici  uffici  col  divincolarsi  della  democratia 
dalle  strette  de' Medici,  ch'aveva  tutelato  con  schiettezza  e  op- 
portunità di  cure  la  malferma  repubblica,  che  sapeva  d'averla 
armata  lui,  che  vedovale  sorto  in  grembo  un  esercito,  per 
quanto  esiguo,  devoto  davvero  allo  stato;  non  voleva  pensare, 
il  giorno  in  cui  i  malevoli  l'addentavano,  e  tanti  facevano  di 
que'suoi  morsi  le  grasse  risa,  e  tanto  pochi  c'erano  che  lo  volessero 
aiutare,  ei  non  voleva  pensare  che  un  popolo  avesse  ad  essere 
più  ingrato  d'un  re.  Ben  aveva  egli  veduto  i  suoi  Fiorentini 
alla  prova,  nel  non  riconoscere  la  virtù  e  l'amor  patrio  dei 
Giacomini;  ma  non  credeva  ch'ei  potessero  trascorrere  sino 
all'ultimo  stadio  dell'ingratitudine,  a  rendere  cioè  pe' benefici 
avuti  l'ingiurie  e  il  vituperio.  E  se  non  fosse  stato  il  senti- 
mento del  proprio  dolore,  Niccolò  non  avrebbe  voluto  cogli 
occhi  suoi  ravvisare  nella  democrazia  spensierata  e  tirannica 
le  chiazze  del  fango,  onde  questa  aveva  provato  bruttar  lui.  A 
quella  convinzione  penosa  si  provò  a  repugnare  in  seguito, 
quando,  sebben  avesse  sentito  fino  alle  midolla  come  la  repub- 
blica oflFendeva  i  cittadini  che  avrebbe  dovuto  premiare,  e  so- 
spettava di  coloro  cui  avrebbe  dovuto  più  confidarsi,  il  tempo 
ebbe  sparso  l'oblio  sull'asprezza  del  suo  dolore,  e  l'anarchica  cor- 
ruttela dei  nobili  gli  fece  intraveder  prossimo  un  principato  vile. 

*  Machiavelli,  Cf.col  Principe^  cap.  vii,  ix  e  i  Discorsi^  i,  29;  il  Capitolo  cit.,  v.  171: 

«  E  vedrai  come  i  mutator  di  stati 

E  donator  di  regni  sempre  mai 

Son  con  esilio  o  morte  ristorati. 
Perchè  se  uno  stato  mutar  sai 

Dubita  chi  tu  hai  principe  fatto, 

Tu  non  gli  tolga  quel  che  dato  gli  hai; 
E  non  ti  osserva  poi  fede,  né  patto  ; 

Perchè  gli  è  pia  potente  la  paura 

Ch'egli  ha  di  te,  che  l'obbligo  contratto» 


Digitized  by 


Google 


secondo]  popolo  e  PRINCIPE  INGRATI.  487 

Allora,  quantunque  ei  non  potesse  mettere  in  dubbio  l'ingrati- 
tudine popolare,  scusò  il  vizio  colla  cagione  men  sozza,  e  :  almeno 
i  popoli,  concluse,  non  sono  ingrati  per  avarizia;  e  quando,  lo 
siano  per  sospetto,  sempre  lo  son  meno  dei  principi,  e  sempre  pel 
troppo  amore  di  libertà.^  Così  velò  la  contradizione  di  questa 
colla  sua  prima  sentenza,*  in  omaggio  a  quel   vivere  libero 

^  Machiavelli,  Discorsi,  i,  29. 

>  La  contradizione  a  noi  non  sembra  dubbia,  benché  non  siasi  fin  qui  posta  in  rilievo  ; 
che,  malgrado  l'apparente  conformità  d' idee,  nel  capo  sopra  citato  òq^ Discorsi  e  in  questo 
Capitolo  deW Ingratitudine,  si  giunge  dal  Machiavelli  a  conclusioni  diametralmente  op- 
posta. Poiché  se  ne*  Discorsi  conchiude:  «che  usandosi  questo  vixio  deir  ingratitudine  o 
per  avarizia  o  per  sospetto  si  vedrà  come  i  popoli  non  mai  per  l'avarizia  la  usorno,  e 
per  sospetto  assai  meno  che  i  principi,  avendo  meno  cagione  di  sospettare»;  afferma  in 
quel  Capitolo  che  l'ingratitudine: 

« trionfa  nel  cuore 

D'ogni  potente,  ma  più  si  diletta 

Nel  cor  del  popol,  quand'egli  è  signore. 
Questo  è  ferito  da  ogni  saetta 

Più  crudelmente  perchè  sempre  avviene, 

Che  dove  men  si  sa,  più  si  sospetta,  »  ecc. 

Ora  a  noi  sembra  certo  che  il  Capitolo  in  versi  sia  stato  scritto  occasionalmente,  ed  assai 
prima  del  capo  da  noi  posto  a  riscontro  della  poesia.  E  gli  ai^omenti  che  ci  anno  indotto  a 
questa  persuasione  sono  i  seguenti  :  i^  L'accenno  che  il  M.  fa  «  al  dente  dell*  invidia  che 
lo  morde  >;  indicazione  che  non  sarebbe  stata  acconcia  ad  altra  stagione  della  vita  di  lui; 
che  egli,  uscito  dalla  cancelleria,  ebbe  ad  essere  piuttosto  oggetto  di  compassione  che 
d' invidia.  2^  L'aver  indirizzato  i  suoi  versi  a  Giovanni  Folchi,  cosa  che  dopo  il  1513  il  M. 
avrebbe  fatto  con  minore  probabilità,  dopo  che  quegli,  sospetto  di  congiura  contro  i  Me> 
dici,  ebbe  ad  essere  gittate  in  fondo  di  torre  a  Volterra;  la  qual  ragione  à  più  valore  che 
in  sulle  prime  non  sembri,  se  si  consideri  che  il  M.  si  guardò  sempre  dal  dedicare  i  suoi 
componimenti  a  persone  sospette  e  impotenti.  2P  Nel  citare  «  il  premio  delle  galliche 
sconfitte  »  dato  a  Consalvo,  il  M.  dice  di  «  rivoltarsi  a'  moderni  esempi  »  e  indica  come  il 
Gran  Capitano  «  al  suo  re  sospetto  vive  »  (v.  168).  Nel  capo  29  soprallegato  poi,  quan^ 
tunque  rechi  in  mezzo  l'esempio  medesimo  siccome  intervenuto  «  ne'  nostri  tempi  »  e  cognito 
a  «  ciascuno  che  al  presente  vive  »,  dipinge  in  questa  guisa  i  portamenti  di  Ferdinando  : 
«  prima  gli  levò  la  obedienza  delle  genti  d'arme,  e  dipoi  gli  tolse  le  fortezze,  ed  appresso  lo 
menò  seco  in  Spagna  ;  dove  poco  tempo  poi,  inonorato  mori  ».  —  Pertanto  convien 
mettere  ben  oltre  al  12  dicembre  1515  la  data  di  questo  scritto  ultimo,  e  riportare  quella 
dell'altro  ad  un  tempo  in  cui,  vivo  Consalvo  e  ricondotto  in  Spagna,  il  M.  potesse  essere 
a*  suoi  concittadini  oggetto  d'invidia  e  di  calunnie.  È  chiaro  parimente  che  nei  Discorsi  il 
M.  intese  a  rispondere  sottilmente  dell'osservazione  che  forse  ebbe  a  muoverglisi  di  non  aver 
citato  altro  fatto  della  ingratitudine  di  Roma  se  non  quello  verso  Scipione,  «  perchè  della 
sua  ingratitudine  si  può  dire  che  non  ci  sia  altro  esempio....;  perchè  Coriolano  e  Ca- 
millo fumo  fatti  esuli  per  ingiuria  che  l'uno  e  l'altro  aveva  fatto  alla  plebe  ».  —  Di  Giovanni 
Folchi,  che  al  Machiavelli  fu  carissimo,  si  anno  poche  notizie  negli  storici.  Il  Cambi  {De- 
lizie degli  eruditi  toscani,  voi.  xxii,  pag.  5)  ne  scrive  :  «  Giovanni  di  Simone  Folchi  ebbe 
delle  fune  e  confinato  nella  Rocca  di  Volterra  per  5  anni,  morto  1518  ».  —  Ci  fu  dato 
nell'Arch.  fior.  {Partiti  e  deliberazioni  degli  Otto  di  custodia,  a.  1512-13  a  carte  42t.)  ri- 
trovare la  condanna  di  lui,  del  tenore  seguente: 

«  Die  secunda  martii  Ì5i8. 

*  Spectabiles  Domini  Octoviri  etc. 

«  Pro  conservatione  presentii  optimi  et  pacifici  Status  et  regiminis  Populi  Fiorentini 
vigore  cuiuscumque  eorum,  dictique  eorum  officii  auctoritatis  potestatis  et  balie  eisdem, 
eorumque  officio  quandocunque  et  quomodocunque  data  concessa  et  attributa:  et  audito  et 
intellecto  plurìes  et  pluries  et  multotiens  Johanne  infrascripto  :  Et  visis  et  consideratis  que 
videnda  et  consideranda  fuerunt:  servatis  servandis  et  obtento  partito  secundum  ordina- 
menta,  deliberaverunt,  condemnaverunt  et  confinaverunt  dictum  infrascriptum. 

«  Johannem  Simonis  de  Folchis  ad  standum  et  permanendum  in  fundo  Àrcis  Veteris 
Civitatis  Vulterrarum  per  tempus  annorum  quinque  proxime  futurorum,  initiandorum  die 


Digitized  by 


Google 


488  CAPO  SESTO. 

ch'era  per  lui  e  per  la  città  mancato,  e  che  gli  sapeva  forse  assai 
maggior  bene  d'ogni  altro  male  che  avesse  prima  recato  seco. 

Ma,  chetato  il  rumore,  sepellito  silenziosamente  il  grave 
cruccio  fra  le  ordinarie  faccende  della  cancelleria,  Niccolò  in 
due  mesi  e  mezzo  di  vita  modesta  e  occupatissima  neirufflcio 
suo,  risarei  lo  strappo  maligno  recatogli  alla  riputazione;  e  la 
necessità  de'  tempi  che  sempre  più  si  facevan  grossi  e  torbidi 
ebbe  presto  a  richiamamelo  fuori.  La  prima  occasione  che  si 
colse  fu  piccola  e  però  esente  da  invidia. 

Ghino  de'  Rondinelli,  potestà  a  Sansavino,  da  un  pezzo 
aveva  già  ragguagliato  la  Signoria  di  Firenze  d'un  insulto  che 
i  sudditi  fiorentini  della  comunità  di  Gargonza  avevano  recato 
a  quei  dell'Armaiuolo,  appartenenti  al  territorio  sanese.^  Era 
questione  di  confini,  resasi  col  trarla  in  lungo  più  acerba;  e 
il  Machiavelli  mandato  in  Valdichiana  ad  accomodarla,  impiegò 
sette  giorni  ad  appianar  le  cose,  e  a'  di  20  di  marzo  tornò,^ 
per  ripigliare  più  vigorosamente  in  mano  la  cura  dell'ordinanza 
militare. 

Frattanto  le  vicende  esteriori  mutavano  aspetto  con  una 
rapidità  tanto  precipitosa,  da  togliere  il  tempo  alla  sorpresa  e 
a' provvedimenti  insieme.  Gli  oratori  di  Venezia,  nel  portico  di 
San  Pietro  in  Roma,  fra  le  verghe  sospese  de'  penitenzieri  s'erano 
prostrati  in  mala  fede  a  terra,  davanti  al  soglio  di  papa  Giulio.^ 
Questa  soddisfazione  formale  alla  schernita  città  del  Tebro 
poteva  bastare,'*  e  il  pontefice,  aperte  le  braccia  alla  repub- 
blica ribenedetta  e  rinsuperbita,  trovava  pretesto  a  distaccarsi 
pian  piano,  come  capo  della  chiesa  universale  e  padre  de'  fedeli, 

qao  dictus  Johannes  in  fundo  Arcis  predicte  immissus  fuerit.  In  quem  fundom  et  locum 
predictam  presentare  se  et  introire  debeat  die  quo  in  dictam  Arcem  veterem  appularìt;  «t 
teneatur  et  debeat  dictus  Johannes  dieta  congnia  actendere  et  observare  sub  pena  rebellis 
Communis  Florentie,  et  conflscationis  omnium  honorum  suorum.'  Et  post  dictos  quinqne 
annos  de  quibus  supra.  dictus  Johannes  non  possit  exire,  nec  quomodolibet  dimitti  vel 
relaxari  ex  fundo  Arcis  predicte,  nisi  obtento  partito  per  octo  fabas  nigras  per  officìom 
dictonim  Dominorum  octo  custodie  et  balie  Civitatis  Florentie  ;  et  non  aliter  quo  quo  modo  »■ 

1  Arch.  fior.,  Lett.  ai  Dieci,  ci.  x,  dist.  3,  n.  130  a  e.  38.  Lettera  *die?!0  Tbris  1509». 

■  V.  ed.  ult.  Opp.  M.,  t.  I,  pag.  lxxv,  Io  stanziamento  pubblicato  dal  Passerini. 

*  et.  in  Brosch,  op.  cit.,  app.  x,  la  descrizione  dell'assoluzione;  e  ibid.,  pag. 290  e  segg-, 
la  protestano  nulUlatis  agendorum. 

*  I  Veneziani  burbanzosamente  eransi  testé  chiamati  eredi  del  senno,  della  virtù,  della 
grandezsa  di  Roma  antica.  Cf.  Mabin  Sanudo,  Diarii,  vi,  155,  Epitaphium  clarisnm  s»- 
natoris  Marci  Sanuti: 

«  Unica  Marcus  erat  romano  lingua  senatu 

vox  patribus  venetis  unica  Marcus  erat. 
Cesserat  in  venetos  romana  potentia  patres 

in  Marcum  Marci  cesserat  eloquium. 
Roma  effceta  diu,  muta  est;  fecunda  virorum 

urbs  Marco  haud  poterit  nostra  carere  suo!  »■ 


Digitized  by 


Google 


«TCONDO]  GIULIO  SECONDO  ADESCA  GLI  SVIZZERL  «9 

da  queUa  lega  di  Cambrai,  da  lui,  come  principe  crudele  e 
doloso,  promossa;  e  andava  man  mano  scoprendo  la  radicale 
sua  nimicizia  verso  la  Francia. 

Per  questo  impulso  gli  uomini  ch'ei  sceglie  a  strumento, 
cambiano  repentinamente  qualità  e  fortuna.  Il  duca  di  Ferrara, 
entrato  già  nella  lega  come  gonfaloniere  di  Santa  Chiesa,  ne 
esce  scomunicato,  in  odio  al  papa  che  lo  maledice  e  perseguita, 
perch'egli  vende  a*  Francesi  in  Lombardia  il  sai  di  Comacchio.^ 
Air  incontro,  rivestito  di  quella  dignità  il  marchese  di  Mantova, 
vien  tratto  fuori  della  Torricella  da' Veneziani,  che  rendendolo 
a  libertà  per  voler  del  pontefice,  bramerebbero  farlo  essi  capitano 
generale,  di  prigion  loro  ch'egli  era.^  E  Marcantonio  Colonna, 
testé  lasciato  partire  dal  soldo  de'  Fiorentini,  già  con  suflScienti 
forze  e  col  favore  della  parte  Fregosa  è  indirizzato  a  tentar  la 
rivolta  di  Genova;  dacché  è  sempre  il  papa  ligure  l'incitatore 
vano  della  sua  Liguria,  l'ansioso  vendicatore  della  servitù  di  lei, 
che  vuol  muovere  tutte  le  forze  possibili  a  oflFesa  di  Francia; 
che  non  riuscendo  ancora  a  collegare  né  Spagna,  né  Inghilterra, 
né  Imperatore  a' danni  di  essa,  la  spossa  tuttavia  sottomano,  to- 
gliendole il  nervo  dogli  eserciti  suoi,  que'  mercenari  che  re  Luigi 
aveva  vantato  al  Pandolfini  come  i  soldati  di  cui  intendeva 
sempre  valersi,^  quegli  Svizzeri,  che  precisamente  all'assedio 
di  Genova  avevano  insultato  all'  insuflScenza  de'  fantaccini  fran- 
cesi. ^  E  per  l'ambizione  ecclesiastica,  per  la  volpina  sedu- 
zione del  vescovo  di  Sitten  vien  fatto  a  papa  Giulio  d'aggio- 
gare al. carro  della  Chiesa  il  taurino  e  prode  sangue  d'Elvezia.-'^ 
Matteo  Schinner,  cui  basta  un  cappello  cardinalizio,  é  uomo 
adatto  a  sbattere  l'Amboise  sempre  cupido  del  papato;  Matteo 

*  Cf.  Luigi  da  Porto,  Leti,  storiche,  pag.228.  —  Cf.  Cuononz,  Agostino  Chigi  il  Ma- 
gnifico, note  9,  10,  11. 

*  Cf.  Mabin  Sanudo,  Diarii  (ed.  1837,  t.  ii,  pag.  49)  :  «  Et  il  principe  comenzò  &  dirli, 
come  qnesta  terra  e  questo  stato  l'amava  molto,  et  sempre  hauia  desiderato  ogni  suo  ben. 
e  voluto  farlo  Capetanio  sonerai  di  presone  nostro  che  l'erra,  et  havia  manchà  per  li  soi. 
Poi  disse  che  Dio  hauia  uoluto  per  ben  de  Italia,  che  quello  non  si  havia  potuto  far  per 
una  via  si  facesse  per  altra,  perhò  il  papa,  qual  è  ditto  padre  di  questo  stato,  et  ha 
deliberato  scaxiar  Francesi  de  Italia,  e  liberar  prima  Zenoa,  la  qual  fin  borra  dia  aver 
fatto  movesta,  ecc.»  —  La  bolla  papale  con  cui  il  marchese  ottenne  il  gonfalonierato  di 
Santa  Chiesa  trovasi  nel  Dumont,  Corps  dipìom, ,  t.  iv,  parte  i,  pag.  131. 

*  V.  più  sopra,  pag.  371  e  892. 

*  Jban  d'Autun,  loc.  cit.  «  Ainsi  mesprisoient  iceulex  Aleraands  les  pietons  Francois, 
disant,  que  sans  le  sécours  de  leur  Ligues,  les  gens  d'armes  à  cheval  de  Franco  n'au- 
roient  seur  renfort  de  leurs  pietons  ». 

s  Flbubange,  Mémoires,  cap.  l,  dipinge  Matteo  Schinner  tramezzo  a' suoi  Svizzeri 
«  comroe  ung  regnard  qui  presche  les  poules  ».  E  il  Guicciardini,  Storia  d'Itaìia.  lib.  ix  : 
«  (il  vescovo  di  Sion)  la  cui  autorità  era  grande  in  quella  nazione,  e  il  quale  non  cessava 
con  somma  efficacia  di  orare  a  questo  effetto  nei  Consigli  e  di  predicare  nelle  chiese  ». 


Digitized  by 


Google 


490  CAPO  SESTO.  [libbo 

Schinner,  potente  a  voltare  a' soldi  della  Chiesa  i  compatrioti 
suoi,  mestieranti  di  guerra,  bisognosi  e  avidi  del  danaro,  nel 
momento  che  la  decenne  alleanza  loro  col  re  francese  è  spi- 
rata, e  questi  lesina  loro  le  sue  provvisioni,  facendo  inopportu- 
namente Taltero  co*  rozzi  montanari,  cui  il  pontefice  è  pronto 
a  ricomperar  ad  un  patto  l'anima  e  il  corpo.  E  si  rumoreggia 
infatti  che  e'son  già  presso  a  vendergli  l'uno  e  l'altra;  e  la 
baldanza  accresciutasi  al  fiero  Della  Rovere  dà  novella  ap- 
prensione d'inattesi  tramutamenti.  Disoprappiù  la  fortuna,  quasi 
volga  essa  stessa  a  rimuovere  ogni  impaccio  all'andare  avven- 
tato e  fatale  di  lui,  gli  stende  sul  letto  di  morte  anche  il  car- 
dinale di  Rouen,  l'uggioso  pruno  degli  occhi  suoi,  lasciando- 
glielo stecchito  quando  egli  era  più  suU' imbizzarrire  nella 
bramosia  della  tiara.  ^ 

La  corte  vaticana  e  la  cancelleria  apostolica  pe'  rischi 
cessanti  e  i  lucri  emergenti  che  seguivano,  alleluiarono  a 
quella  morte;  dappoiché  colla  vita  del  cardinale  finiva  la  le- 
gazione di  Francia  e  i  guadagni  de'  benefici  vacanti  tornavano 
a  Roma.*  In  corte  del  re  cristianissimo  all'  incontro  si  pian- 
geva cordialmente  la  perdita  di  quell'uomo,  che  quantunque 
a' di  nostri  dagli  stessi  scrittori  francesi  sia  riconosciuto  per 
una  mente  angusta,  un  animo  irresoluto,  un  impasto  vano  di 
cupidità  e  di  lascivie,^  a'  suoi  connazionali,  de'  quali  ben  seppe 
attirarsi  l'aflFetto,  parve  allora  un  portento  di  saggezza  e  d'acume 
politico.  I  panegirici  che  di  lui  si  anno,  quei  del  Le  Gendre  e 
del  Baudier,  ci  provano  per  fermo  che  ni  un  cardinale  riuscì 
mai  a  farsi  ben  volere  dal  popolo,  come  lui.  Egli  fu  esaltato 
sopra  tutti  i  predecessori  e  i  posteri  in  quell'ufficio,  sopra  un 
la  Forest,  un  de  la  Grange,  un  Balue,  un  Brigonet,  un  Birago, 

1  Louise  de  Savoie,  Son  journal,  ed.  Pétitot,  voi.  v,  serie  1"  :  «  Le  25  de  may  1510, 
environ  midi,  à  Lyon,  aux  Célestins,  mounit  monsieur  le  legat  George  d*Amboise  ».  —  Cf. 
Baudieb,  Vie  du  cardinal  d'Amboiie,  pag.  246:  «II  mourut  à  Lyon  le  vingtcinquiesme  jonr 
de  may  de  l'année  1510,  sMgé  de  cinquante  ans  ».  —  Le  Gendre,  Vie  du  card.  d'A., 
pag.  321  :  «  lì  expira  sur  le  dix  heures  du  roatin,  prononcant  la  première  parole  du  sjm- 
bole,  le  25  may  1510,  la  dix  septième  année  de  son  epìscopat,  la  douziesme  de  son  mini- 
stèro,  et  de  son  ago  la  cinquantiesme  ».  —  All'esequie  di  lui  s'associò  un  accompagno 
«  de  onze  mille  prestres,  douze  cens  prélats  et  de  deux  cens  gentilshommes  ».  —  V.  Triomphe 
des  obseqttes  du  dit  sieur  legat  in  seguito  all'opera  del  Le  Gendbe. 

*  Paride  de  Grassi,  Diario  ms.,  ad  ann.  1510,  dopo  riferita  la  nuova  della  morte  del 
Rotomagense,  dice  di  lui  :  «  quod  fuisset  causa  omnium  malorum  quae  fuerunt  multis  anais 
in  Italia,  tam  in  bellis  et  mille  scandalis,  quam  etiam  in  paupertate  totius  romanae  curiae  ; 
nam  ipso  omnia,  ut  Legatus  in  Galliis  concedebat,  quod  papa  hic  Romae  concedere  non 
consuevit,  et  propterea  omnis  romana  curia,  et  praesertim  cancellaria  letata 
est  in  morte  illius,  cuius  anima  requiescat  in  pace,  amen». 

«  Cf.  Ddmesnil,  Histoire  de  Jules  II,  pag.  140-1,  Paris,  1873.  —  Michelet,  Histoir» 
de  France,  t.  vii,  pag.  198. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  il  machia  VELLI  E  IL  CARDINALE  D'AMBOISE.  491 

un  Richelieu  e  un  Mazarino  ;  sopra  tutti  gli  altri  cardinali  mi- 
nistri degli  stati  europei.^  Pure,  in  mezzo  a  tanta  adulazione  di 
contemporanei,  cinto  di  tanta  potenza,  non  mai  cimentato  dalla 
cattiva,  schernito  spesso  dalla  buona  fortuna,  se  quell'uomo  udì 
mai  una  voce  libera  e  dignitosa  che  gli  parlasse  il  vero,  fu 
quella  del  coraggioso  Segretario  fiorentino. 

Niccolò  era  piccolo,  minimo  rimpettó  a  lui;  ma  forza  di 
logica  e  amor  di  patria  gli  davano  valore  di  propulsare  gli 
insulti  lanciati  dal  cardinale  di  Rouen  alla  fiacchezza  d'Italia. 
—  «Gl'Italiani  non  s'intendono  della  guerra,  avevagli  detto 
burbanzosamente  l'Amboise  a  Nantes;  e  questa  verità  tristis- 
sima era  penetrata  aguta  nel  cuore  del  Machiavelli.  —  Ma  «  e  i 
Francesi  non  s' intendono  dello  stato,  replicò  egli  subito  al  car- 
dinale avventuroso,  altrimenti  non  lascerebbero  venir  la  Chiesa 
in  tanta  grandezza  »  ;  *  che  precisamente  allora  avevano  dato 
braccio  inconsulto  alla  potenza  del  Valentino. 

Ora,  questa  risposta,  che,  a  chi  non  fu  testimonio  di  quei 
tempi,  può  sembrare  più  bella  che  vera,  acquista  grandissima 
eflSlcacia  quando  si  risguarda  come  l'ultima  conclusione  della 
requisitoria,  che  fece  il  Machiavelli  contro  la  direzione  data 
dal  cardinale  alla  politica  francese  nel  primo  decennio  del  se- 
colo decimosesto.  —  «  È  cosa  veramente  molto  naturale  e  or- 
dinaria desiderare  di  acquistare,  scrive  Niccolò,^  e  sempre  quando 
gli  uomini  lo  fanno  che  possono,  ne  saranno  laudati  e  non  bia- 
smati;  ma  quando  non  possono  e  vogliono  farlo  a  ogni  modo, 
qui  è  il  biasimo  e  l'errore.  Se  Francia  adunque  con  le  sue 
forze  poteva  assaltare  Napoli,  doveva  farlo;  se  non  poteva,  non 
doveva  dividerlo.  E  se  la  divisione  che  fece  coi  Viniziani  di 
Lombardia  meritò  scusa,  per  aver  con  quella  messo  il  pie  in 
Italia,  questa  meritò  biasimo  per  non  essere  scusata  da  quella 
necessità.  Re  Luigi  à  dunque  fatto  questi  cinque  errori:  spenti 
i  minori  potenti,  accresciuto  in  Italia  potenza  a  un  potente, 
messo  in  quella  un  forestiere  potentissimo,  non  venuto  ad  abi- 
tarvi, non  vi  messo  colonie».  Questi  cinque  capi  d'accusa,  ed 
un  sesto  che  poc'oltre  nel  citato  luogo  del  Machiavelli  appa- 
risce sottinteso  4  furono  altrettanti  chiodi  per  cui  la  gloria  del 

*  Cf.  Le  Gendrb,  loc.  cit. 

*  Machiavelli,  Il  Principe,  cap.  ni. 

*  Machiavelli,  loc.  cit. 

*  Id.,  ibid.  —  Il  sesto  capo  d*accasa  a  cai  s'accenna  è  la  concordia  tra  il  re  di  Spagna 
e  r  Imperatore,  quella  che  il  Guicciardini  {Storia  d'It.,  lib.  viii)  disse  conclusa  «  per  poco 
consiglio  del  cardinale  di  Roano,  che  non  considerò  quanto  questa  congiunzione  fosse  male 


Digitized  by 


Google 


492  CAPO  SESTO.  [uBVt 

più  popolare  fra  i  cardinali  di  Francia  rimase  confitta  al  suolo; 
ne  bastarono  gli  antimachiavellici  a  sconficcar  quelli,  né  i  pane- 
girici a  sollevar  questa  ;  né  il  Roederer  fece  prova  di  buona  cri- 
tica quando  contro  le  affermazioni  di  Niccolò  si  sforzò  produrre 
argomentazioni  di  contrarie  ipotesi.^ 

Il  cardinale  di  Rouen  rimane  pertanto  anch'esso,  fra  gli 
agitatori  del  suo  tempo,  come  un  cieco  che  obbedisce  all'im- 
pulso di  forze  recondite,  che,  senza  coscienza  del  fine,  senza 
intuito  del  risultamento  estremo,  spinge  le  genti  francesi  sopra 
il  suolo  italiano  ^d  accozzarsi  coU'altre  genti  romaniche  e  colle 
tedesche;  e,  fatto  piuttosto  per  determinare  le  reazioni  che  per 
misurar  la  portata  dell'azione  sua,  non  riesce  ad  alcuno  dei 
fini  cui  mira,  non  soddisfa  nessuna  delle  sue  brame;  muore 
senza  aver  toccato  quel  papato,  cui  aveva  talvolta  sagrificato 
l'utile  della  patria;  muore  senza  aver  abbassato  l'Impero  di 
cui  conosceva  la  fiacchezza,  e  di  cui  pure  invidiava  pel  suo 
monarca  il  fascino  e  la  parvenza;  senza  aver  fondato  nulla 
che  gli  sopravviva,  con  tanti  tesori  e  tanto  sangue  di  Francia 
in  vane  conquiste  gittate.  Egli  muore  e  papa  Giulio  l'accom- 
pagna col  suo  ghigno  sacerdotale  in  articulo  mortis;  e  Mas- 
similiano pensa  che  al  pontificato  massimo  usurpato  rimane  un 
attentatore  di  meno;  muore,  e  il  Segretario  fiorentino,  logico 
e  ineluttabile  come  la  morte,  dalla  cancelleria  di  Palazzo 
Vecchio  gli  pronuncia  sulla  bara  la  fredda  e  incancellabile 
sentenza,  registrata  nel  Principe:  «  i  Francesi  non  s' inten- 
dono dello  stato  ».  — 


a  proposito  delle  cose  del  suo  re;  condotta  a  perfezione,  perchè  parendogli  forse  che  il 
farsene  autore  gli  potesse  giovare  a  pervenire  al  pontificato,  se  ne  interpose  con  grandis- 
sima diligenza  e  fatica».  —  E  il  Machiavelli,  loc.  ctt. in  fine:  «  E  per  esperienza  si  è 
visto,  che  la  grandezza  in  Italia  di  quella  (della  Chiesa)  e  di  Spagna,  è  stata  causata  da 
Francia;  e  la  rovina  sua  è  proceduta  da  loro». 

*  RoEDRREB,  Louis  XII  6  Frattffois  /,  e.  iv,  pag.  33w  «  Tous  les  historiens,  et  parti- 
culièrement  le  président  Hénaut,  ont  attrìbué  la  perte  de  ses  conquétes  en  Italie  à  cinq 
fautes  capitales,  qui  ont  été  iudiquées  par  Machiavel  dans  son  livre  du  Prince  et  qa*ils 
ont  crues  bien  manifestes.  1.  lì  ruina  les  faibles.  2.11  fortifia  un  puissant...,  etc.  En  effet 
si  Louis  XII  eAt  laissé  les  petites  puissances  dans  leurs  vigueurs,  il  eùt  péri  par  lee  pe- 
tites  puissances.  S'il  ne  se  fftt  allié  avec  Alexandre  VI,  il  eùt  péri  par  elles  et  par  luì 
réunies.  S'il  n'eùt  appelé  Ferdinand,  il  n'eùt  pu  conquerir  Naples  et  eùt  succombé  devant 
Alexandre  VI.  S'il  eùt  habité  l'Italie,  il  eùt  perda  la  France  et  l'Italie  ».—  Ibid.,  pag.  363: 
«  Les  uns  (des  historiens)  lui  ont  reproché,  sur  la  foi  de  Machiavel,  de  les  avoir  mal  con* 
Ques  (ses  conquétes),  mal  conduites,  mal  terrainées.  Les  autres,  plus  judicieux,  mais  non 
plus  justes,  lui  ont  reproché  de  les  avoir  entreprises.  J'ai  prouvé  que  les  prémiers  n'avaiect 
pas  entendu  Machiavel  :  que  mal  concues  et  mal  conduites,  dans  le  language  de  cet  ^ri- 
vain  signifiaient,  con^ues  et  conduites  lojalement  (?)  ;  que  mal  terrainées  ne  signifiaient  pas 
terminées  sans  fruit,  car  Machiavel  reconnoit  que  la  réunion  de  la  Brétagne  à  la  France  fat 
le  fruit  des  guerres  d'Italie  (!?);  mais  terminées  sans  tous  les  avantages  qu'one  insigne 
mauvaise  foi  aorait  pu  se  ménager  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCONDoJ         IL  MACHIAVELLI  NUNZIO  ALLA  CORTE  DI  FRANCIA.  493 

Ma  men  che  inutile  tornava  l'intendersene  agl'Italiani, 
sprovvisti,  com'erano,  d'ogni  buon  ordine,  deboli  e  fra  loro 
astiosi.  E  pur  troppo  la  morte  del  cardinale  di  Rouen  lasciando 
incerta  e  in  mani  insuete  l'amministrazione  degli  affari,  dava 
ai  nemici  della  Francia  un  agio  maraviglioso  a  nuocerle,  e 
lasciava  sospesi  e  in  balìa  degli  avversari  i  fautori  dell'al- 
leanza francese.  Pure,  quel  che  la  destrezza  politica  poteva 
valere  in  condizioni  cosi  difficili,  Firenze  e  il  Machiavelli  lo 
mostrarono;  e  se  i  partiti  da  loro  proposti  fossero  stati  seguiti, 
si  sarebbero  forse  evitate  sciagure  e  vergogne;  ma  rado  è  che 
i  consigli  s'accettino  per  la  sola  cagione  ch'e'son  buoni;  e 
sempre  inefficace  è  il  consiglio  dei  deboli. 

Firenze,  com'era  naturale,  posta  in  mezzo,  fra  il  pontefice 
furibondo  e  i  possessi  francesi  di  Lombardia,  atterrita  dal 
presagio  veneto: 

—  E  8*  il  primo  son  io  tu  verrai  meco  —, 

impossibilitata  a  rimanere  in  bilico  nella  lotta  che  apparec- 
chiavasi,  vedeva  in  questa  il  pericolo  supremo  di  quel  ch'essa 
chiamava  la  libertà  sua  ;  vedeva  la  scabrosa  necessità  di  dis- 
simulare, non  fosse  altro,  l'intenzione  di  restar  neutrale 
fra  i  contendenti.  Al  primo  riaversi  de' Veneziani,  al  primo 
sentore  che  il  papa  si  valeva  de' Svizzeri,  alle  prime  dimostra- 
zioni che  quegli  e  i  Francesi  le  fanno  per  indurla  a  dichiarare 
da  che  parte  la  sia  ^per  gittarsi,  essa  pensa,  se  è  possibile,  di 
dar  consigli,  d'esercitare  un  arbitrato  di  pace;  tenta  d'indu- 
giare almeno  il  prorompere  della  guerra;  e  a  condurre  nego- 
ziati cosi  difficili,  manda  in  Francia  Niccolò  Machiavelli,  con 
qualità  di  nunzio,^  per  sino  a  che  altro  oratore  non  siavi  spedito. 
Il  Segretario  parti,  a'di  24  di  giugno,*  munito  non  solo  di 
commissione,  d'istruzione  e  di  credenziale  da'Dieci,  ma  accom- 
pagnato ancora  da  una  lettera  particolare  di  Piero  Soderini, 
che  è  l'unico  documento  rimastoci  ad  attestare  la  qualità  della 
missione  affidata  allora  al  Machiavelli.  A  noi  non  è  dato  poter 
fare  paragone  fra  gli  ordini  che  il  Gonfaloniere  perpetuo  im- 
parti in  questo  scritto  al  cancelliere  della  seconda  cancel- 
leria, e  quelli  tracciatigli  da'  Dieci  in  tale   congiuntura.  Noi 

>  V.  Arch.  di  Stato  fior.,  Istruzioni  e  Missive,  reg.  34  a  e*  4t.  «  Mittimas  ad  Cristia- 
nissimam  Majestatem  vestram  nuntium  nostrum  Nicolaum  Maclavellum  civem  et  secre- 
tarinm  nostrum  >. 

*  V.  lo  stanziamento  pubblicato  dal  Pabsbbini,  loc.  cit.,  pag.  LXXvi.V.la  notainApp. 
bXV Analisi  degli  Apografi  di  G.  de' Riccia  §  xu.  — 


Digitized  by 


Google 


4W  CAPO  SESTO.  [libio 

non  possiamo  sapere  se  anche  questi  abbiano  voluto  dichiarare 
quel  che  messer  Piero  commetteva  a  Niccolò  d'affermare 
a  re  Luigi  :  «  io  non  posso  credere  che  la  patria  mia  possa 
avere  alcuno  bene,  senza  l'onore  e  il  bene  della  corona  di 
Francia,  io  non  stimo  l'uno  senza  l'altro  ».  —  Ma  sappiamo 
bensì  che  oltre  queste  proteste  di  devozione  immutabile  e  ve- 
ramente eccessiva,  che  il  Machiavelli  dovea  ripetere  anche 
da  parte  del  cardinale  di  Volterra,  egli  aveva  ancora  ad  in- 
citare sua  maestà  a  tenere  i  Veneziani  battuti,  a  provocare  il 
re  d'Ungheria  che  movesse  loro  guerra  in  Dalmazia,^  «perchè 
se  perdessero  quelli  luoghi,  sarebbe  al  tutto  la  rovina  loro,  ne 
il  rè  arebbe  più  a  dubitare  che  risurgessero  >  ;  quando  questo 
non  riuscisse,  basterebbe  temporeggiarli  colla  guerra,  tenersi 
ben  congiunto  coU'Imperatore,  non  rompere  col  papa,  «  perchè 
se  un  papa  amico  non  vai  molto,  inimico  nuoce  assai,  per  la 
riputazione  che  si  tira  dreto  la  chiesa,  e  per  non  gli  potere 
far  guerra  de  directo,  senza  provocarsi  inimico  tutto  il  mondo  ». 
Del  resto  nel  temporeggiare  con  tutti  era  il  gran  consiglio  del 
Sederini,  e  nel  raccomandarsi  la  sua  speranza. 

Ora,  dal  contrasto  fra  queste  meschine  istruzioni  e  l'opera 
grande,  coraggiosa  e  fedele,  che  Niccolò  cercò  di  condurre  in 
Francia  a  prò  della  patria  e  del  gonfaloniere  medesimo,  risulta 
lucidamente  la  sovrana  capacità  politica  che  in  lui  s'ascondeva 
e  che  avrebbe  potuto  recare  effetti  mirabili,  s'egli  non  fosse 
stato  ministro  d' impotenti  o  consigliere  di  chi  non  s' intendeva 
dello  stato.  Non  ci  fanno  difetto  i  ragguagli  di  questa  com- 
missione; che  anzi,  a  differenza  delle  altre  da  lui  disimpegnate 
in  condizioni  difficili  e  di  luogo  e  di  tempo  e  di  materia,  poche 
lettere  egli  ebbe  a  scrivere  in  questa  che  non  recapitassero 
al  loro  destino.*  Ne  sovrabbondano  i  manoscritti,   avendosi  a 

*  Fra  l'Ungheria  e  Veneria  intercedevano,  specialmente  per  sospetto  della  pot«nf a  d> 
Massimiliano,  relazioni  cordialissime  d'amicizia.  Cf.  Marin  Sanudo.  DiarU,  vi,  3i8:  «  X^W- 
di  Hongaria  dat€  a  Buda  del  segretario  twstro.  Chome  il  re  si  havia  raso  la  barba;  ert 
varito,  0  andato  a  messa;  et  la  raina  è  graveda  e  à  dito  a  esso  secretano,  per  esser  fioU 
di  la  Signoria,  voi  questa  Signoria  li  provedi  di  mandarli  una  comare  la  lievi  dil  suo  parto, 
qual  tien  certo  sarà  uno  fiol  maschio,  che  sarà  tutto  vostro  ». 

»  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  151.  Leti,  de'  Dieci  al  M,  «ex  palatio  fior. die  3  au- 
gusti M.D.x.  Sarà  con  la  presente  copia  di  una  nostra  de'  28  del  passato,  et  roandansi  p«r 
insino  a  Milano  ad  posta,  per  causa  che  hauendola  mandata  dua  volte  et  per  il  Botietp«r 
il  Basciani,  l'uno  espedito  da  noi,  l'altro  da  altri,  sempre  sono  state  ritenute  ad  Pam*: 
et  inoltre  Bacocco,  che  venne  stamani  da  Lione,  ci  disse  esserli  state  tolte  in  Alessandna 
tue  lettere  de'  26  tutte  aperte.  Questo  disordine  non  A  stato  piccolo,  et  fino  ad  qoi  P"* 
haver  nociuto  più  alle  cose  del  re  che  ad  noi  ;  perchè  ne  sono  state  anche  ritennte  assai 
che  andavono  ad  Milano»  ecc.  V,  anche  una  lettera  de' Dieci  a  Francesco  Pandolfini  ora- 
tore presso  lo  Chaumont  a  Milano,  pubblicata  dagli  editori  ultimi  delle  Opp.  del  M.  (voi.  vi, 


Digitized  by 


Google 


SBOONDO]        DIVERSITÀ  SELLE  LETTERE  DJ  QUESTA  LEGAZIONE.  495 

disposizione  della  critica  il  testo  officialmente  spedito,  la  mi- 
nuta e  più  minute  talvolta,  od  autografe  di  Niccolò  o  trascritte 
nel  copiario  dal  Ricci,  e  notate  per  sommario  dal  Machiavelli 
medesimo  ne'  suoi  registri.  Ma  forse  appunto  perciò  che  di  ma- 
teriali non  era  penuria,  tanto  chi  li  mise  insieme,  quanto  chi 
se  ne  giovò  a  edificare,  poco  s'affaticarono  intorno  alla  scelta 
e  alla  classificazione  di  essi.  Com'era  ben  naturale,  essendo  tra- 
scritto nel  copiario  del  Ricci  e  in  quel  del  Tafani  il  testo  ri- 
cavato dalle  carte  rimaste  presso  Niccolò  Machiavelli,  si  ebbe  in 
questo  più  spesso  il  disteso  delle  prime  minute  o  il  sommario 
de' registri  di  lui,  che  non  quella  più  precisa  e  più  cauta  espres- 
sione di  pensiero,  che  il  Machiavelli  recò  a  perfezione  nelle 
lettere  officialmente  inviate.  Pertanto  mentre  quest'ultime  sa- 
rebber  dovute  sembrare  a  giudiziosi  editori  la  lezione  prefe- 
ribile a  tutti  gli  altri  contesti, ^  il  biografo  non  poteva  dispen- 
sarsi dal  mettere  a  comparazione  gli  uni  cogli  altri,  colla  cer- 
tezza di  sorprendere  in  questo  studio  qualcosa  meglio  che  sem- 
plici minuzie  filologiche.*  L'indicazione  di  nomi,  per  esempio, 

pag.51  in  nota)  intorno  a  questo  proposito.—  Stando  al  contesto  d'una  minuta  (Arch. flotf^ 
reg.  X,  Missive,  340-9)  della  lettera  dei  Dieci  al  M.  «  die  29  junii  m.d.x.  »  (Bibl.  Naz.  doc, 
M.,  busta  V,  n.  142)  nella  edizione  ultima  pubblicata  senza  data,  del  Machiavelli  sarebbero 
giunte  anche  altre  lettere  in  data  de*«xix  giugno,  tenuta  a' di  xx  »,  de' di  xxiìij  dello  stesso 
mese  che  oggi  più  non  si  trovano.  —  Nella  lett.  10  e  13  (ed.  ult.,  vi,  pag.  25)  vien  fatta 
menzione  delle  «  poste  regie  »,  delle  «  poste  del  Re  »  istituite  già  da  Luigi  XI,  cf.  Oomines, 
Mémoireè,  1.  v,  e.  x  e  la  Dissertazione  sulle  poste  degli  antichi  del  Collbschi,  pubbli- 
cata in  Firenze  nel  MDCCXLVI  <  nella  stamperia  ali*  insegna  di  Apollo  »  ;  in  cui  si  ra- 
giona assai  adequatamente  delle  poste  regie  di  Francia. 

^  Neirediz.  ultima  curata  dai  sigg.  Passerini  e  Milanesi  si  tenne  generalmente  questa 
norma  ;  la  Oambiagiana  dette  più  sovente  lezioni  più  simili  a  quella  del  ms.  di  Giuliano 
de' Ricci.  Nell'App.  che  apporremo  al  voi.  ii,  contenente  la  notizia  degli  autografi  del  M. 
da  noi  consultati  apparirà  più  chiaramente  la  ragione  delle  discrepanze  fra  le  diverse  pub- 
blicazioni. In  genere,  dove  l'edizione  si  fece  sugli  apografi,  manca  la  parte  notata  in  cifra, 
a  meno  che  il  decifrato  non  siasi  trovato  negl'  interlinea. 

'  Cosi,  nella  lettera  di  N.  M.  ai  Dieci  «  die  13  augusti,  ex  Bles  »,  il  testo  cambiagiano, 
ripetuto  nelle  susseguenti  edizioni,  fu  prodotto  dall'apografo  del  Ricci.  Nell'ultima  edizione 
soltanto  comparve  quello  originale  dell'Archivio  di  Stato  ;  e  fra  questo  e  l'altro  incontrano 
varianti  che  anno  importanza  di  piccole  rivelazioni  storiche.  Ad  esempio  : 


Ed.  ult.  (vi,  66-68) 
«...ed  appresso  desinare  el  cancelliere 
con  gli  altri  cinque  del  Consiglio  mi  feciono 
chiamare,  ed  il  cancelliere  dopo  un  grande 
esordio  »  ecc. 


Ed.  Camb.  (v,  364-66)  : 
«  ...ed  appresso  desinare  monsig.  l'Ora- 
tellis  (secondo  il  ms.barb.  <  l' Ortellis  »)  con 
gli  altri  cinque  del  Consiglio  mi  fecero  chia- 
mare »  ecc. 


Dì  questo  Oratellis  od  Ortellis  i  traduttori  francesi  dell'  Opp.  di  N.  M.  non  si  occupano 
punto.  Il  BucHON  {(Euvres  complètes  de  .V.  M.,  Paris,  1S37,  t.  ii,  pag.  512)  si  contento  di 
osservare  :  «  Je  ne  puis  redresser  ce  nom.  Machiavelli  estropie  souvent  les  noms  francai» 
en  Italien  ».  Ma  il  M.  seguita  in  questo  la  pratica  de'  suoi  contemporanei  d'ogni  paese,  di 
scrivere  cioè  i  nomi  secondo  il  suono  nella  pronuncia  inteso.  Quel  che  è  più  probabile  in 
questo  caso  è  che  i  copisti,  trattandosi  di  cognome,  non  sapessero  ben  leggere  nell'ori  gì 
naie  del  Segretario  fiorentino.  Non  sarebbe  egli  possibile  che  in  luogo  di  l' Ortellis  od  Ora- 
tellis questi  avesse  scritto  Bochetel,  e  che  si  trattasse  precisamente  di  quel  pei%onaggio 
di  tal  nome  che  appunto  insieme  con  Florimondo  Robertet  e  con  Roberto  Gedoin  era  se- 
gretario della  finanza? 


Digitized  by 


Google 


J96  CAPO  SESTO.  [libro 

che  certe  volte  nel  testo  officiale  vien  supplita  con  reticenze 
o  con  designazioni  generiche  o  con  allusioni,  spesse  volte  oc- 
corre schietta  nelle  prime  copie,  siccome  quella  in  cui  la  più 
discreta  segretezza  non  ancora  à  posto  in  gioco  tutte  le  cau- 
tele sue.  Ma  questa  segretezza,  più  naturale  e  necessaria  a  chi 
governa  gli  affari  de*  fiacchi,  non  trovava  alcun  riscontro  nella 
politica  sbadata  e  spavalda  della  corte  francese.  Il  Rubertet 
diceva  tutto  con  tutti,  faceva  nomi,  dimostrava  intenzioni,  mi- 
nacce, preparativi.^  Che  grande  contrasto  colla  corte  imperiale, 
colla  Germania  muta,  diffidente,  imperscrutabile  !  E  la  prossi- 
mità di  questo  contrasto,  e  i  preconcetti  classici  per  cui  la 
Francia  de'  Valois  dagli  umanisti,  in  certo  modo,  si  riguardava 
ancora  collo  stess'occhio  che  la  Gallia  de*  tempi  di  Cesare;  ed 
oltracciò,  l'aperta  corruzione  dei  ministri,  volti  sempre  cogli 
occhi  dov'era  loro  proteso  un  dono,  dove  li  adescava  la  con- 
sueta maìmnona  iniquiiatis,^  predisponevano  l'animo  del  Ma- 
chiavelli a  poca  simpatia  per  gli  uomini  coi  quali  era  mandato 
a  negoziare  e  colla  nazione  che  essi  sgraziatamente  rappre- 
sentavano. 

Giunto  a  Lione,  a'  di  sette  di  luglio,  vede  già  che  e*  è  chi 
si  letica  i  diecimila  ducati  rimessi  a' banchieri  di  quella  città, 
da  esser  pagati  in  segretezza,  come  donativo,  al  cardinale  di 
Rouen,  per  la  morte  del  quale  erano  rimasti  giacenti  ed  incerti. 
Ma  lo  Chaumont  siccome  nipote  del  cardinale,  e  il  Rubertet 
siccome  quegli  che  dava  a  intendere  ai  Fiorentini  di  portar  per 
loro  pondus  diei  et  aestus,  ^  vi  stavan  già  cogli  occhi  addosso, 
e  l'unico  modo  che  il  Segretario  indica  a  non  perderli  è  farli 
pagare  a'  due  pretendenti  la  metà  per  ciascuno,  in  conto  della 
loro  porzione.  Segue  poi  il  cammino  per  Blois,  ov'è  la  corte, 
e  quivi,  ricevuto  dal  Re,  con  grandi  amorevolezze  per  la  Re- 
pubblica: —  «  Segretario,  questi  gli  dice,  io  non  ò  nimicizia 
né  col  papa,  né  con  alcuno,  ma  perchè  ogni  di  nascono  delle 
amicizie  e  delle  inimicizie  nuove,  io  voglio  che  i  tuoi  Signori, 

^  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  152.  Lett.  de^Diaci  al  M.,  in  cifra  col  decifrato  del 
M.  «  die  3  augusti  m.d.x.  Però  fia  bene  parlarne  con  Rubertet  et  mostrarli  che  qaesta 
larghesa  in  conferire  e*  pensieri  loro  reca  disordine  ad  loro  et  noi  ha  messo  in  gran  pe- 
ricolo ;  e  tutto  diceua  la  Maestà  del  re  avea  conferito  al  Tiboli  ». 

>  V.  sopra  a  pag.  810. 

*  Macbiatblli,  Commissione  3^  in  Prancia,  leU.  10.  Il  Flbubangbs,  Mémoires,  cap.  xlu, 
scrive  :  «  Le  trésorier  Robertet,  qui  pourlors  gouvemoit  tout  le  royanme,  car  depuis  que 
monsienr  le  légat  d*Àniboise  mourut,  c*estoit  l'homme  le  plus  approché  de  son  maistre  et 
qui  sf  aveit  et  avait  beaucoup  vecu,  tant  du  terops  du  roy  Charles  que  du  roy  Louis  ;  et 
sans  point  de  faulte,  c^estoit  l'homme  le  mieux  entendu  que  je  pense  guéres  avoir  veu  et 
de  meilleur  esprit  »  ecc. 


Digitized  by 


Google 


8EeMiB«>]  IL  MACHIA  VELLI  ALLA-  CORTS  DI  FRANCIA.  497 

senza^  dimorare  punto,  si  dichiarino  di  quello,  e  di  quanto  vo- 
gliono f!gire  in  mio  favore,  quand'egli'  occorressi  che'  il'  papa  o 
altri  molestasse  o  volesse' molestare  gli  stati  miei  che  io  tengo 
in  Italia;  e  manda* uno  apposta  subito,  perchè  io  ne  abbi  ri- 
sposta presto,  e  me  lo  faccino  intendere  o^  a  bbccah  o  p^er  let- 
tere, còme  pare  a  loro,  perchè  io* voglio  sapere  chi  è  mio  amico 
o  mio  inimico;  e  scrivi  loro  a  rincontro,  che  io  per  salvar  lo 
stato  loro,  oflFro  tutte  le  forze  di  questo  regno  er  venire  con  la 
propria  persona  >.i  E  dopo  liii  il  Rubertet  rimasto  a  solo  col 
Machiavelli,  insistendo  con  maggiori  conforti:  non  ci  può  es-' 
sere  che  la  morte,  gli  dice,  che  trattenga  il  re  dallo  scendere 
in  Italia;  e  ormai  a- questo  viaggio  egli  si  è  avvezzato;  né',  com- 
piutolo, vorrà  trattare  accordi  se  non  colla  spada. 

Niccolò  seguitai  poi  nello  stesso  giorno  a  render  visita  ce- 
rimonialmente agli  uomini  n\ioviy  che,  morto  TAinboise,  4^si' 
trovano  a  governare  *i?  Tra  questi  principalissimo  il  vescovo 
di  Parigi,  Stefano  Poncher;  il  quale,  uom  dabbene,  non  era 
stato  mai  tra' fautori^  non  mai  tra  i  lodatori  delle  conquiste 
francesi  in  Italia.  Deiranimo  mite,  della  serena  intelligenza  di 
lui  il  Segretario  rende  bella  testimonianza  a' suoi  Signori:  «È 
costui .  d*' ingegno  riposato  e  tenuto  savio,  e  veramente  ei  non 
posse' parlare  più  discretamente  delle  Signorie  vostre  e  dèlie 
cose  che  al  presente  si  veggono  surgere;  &  discorse  quanto  il 
papa  errava  a^  vtolere  senza  cagione  alcuna,  per  far  male  ad 
altri,  mettere  in  pericolo  sò^  e  tutta  Italia;  e  che  se  questa 
guerra^  andava  innanzi,  è  un  pezzo  che  non  fu  mai-  vista  la 
maggiore  e  la-  più  ostinata;  perchè  il  re,  quanti  più  benefizi 
à  fatto  al  papa,  e  quanto  più  à  desiderato  Tamicizia  sua,  tanto 
più  gli  sarà  crudèle  inimico  e  perseguiterallo  nello  stato  e 
nella  i  persona,  e;  crederà  essere  scusato  e  con  ttrtto  il  mondo 
e  con  Dio  >>.  —  Peròùl  Poncher  esorta' i  Fiorentini  ad  esser 
<c  bttoni  francesi»,  soggiungendo:  «quando  ii  papa  fosse  ini- 
mico, non  vi  à  a  ritenere  questo,  perchè  il  re  non  dubitò  fare 
contro  al  papa  (aHempi  d'Alessandro  sesto)  per  salvarvi  lo 
stato  nelle  cose  d'Arezzo  e  obbligò  il  figliuolo  (il  Valentino) 
ad  andane  colla  correggia  al  collo  a  ^trovarlo  in 'Asti;  sicché 
voi' gli  avete' orai  a  render  l'opera  e  scoprirvi  a  buon  ora,  a 
ci&  che  il  benefizio  sia  più  grato,  il  ch^  potria>  tornare  in  be-- 
nefizio  vostro  >.  — 

1  MACBtAvciiU,  CommiMfOfM  3*"  ali»' Corte  d4  Francia,  Iett.l0-(e4.  uh:,  yz,  pag.  17). 
>  MÀCBiAirBt.Li,  ComfRÌ8tion9  cit.,  letti  xi,  (ed.  uh.) 

ToMMABiNi  -  Machiavelli.  32 


Digitized  by 


Google 


498  CAPO  SESTO.  [libro 

Al  re  che  domandava  un  dichiarazione  sollecita,  al  vescovo 
che  consigliava  una  dichiarazione  amica,  come  rincalzando, 
seguitava  il  cancelliere  Giovanni  de  Ganai,  il  quale  da  «  uomo 
caldo  e  tutto  collera  »  visitato  per  terzo  da  Niccolò,  esordì 
«  con  una  grande  rimesta  »  data  contro  ai  Fiorentini,  perchè 
essi  avevano  tolto  il  loro  ambasciatore  dalla  corte  del  Cristia- 
nissimo, e  dato  licenza  a  Marcantonio  Colonna,  espressamente 
perchè  n'andasse  col  papa. 

Le  recriminazioni  si  fanno  ogni  di  maggiori  e  Niccolò  dee 
spendere  non  poca  industria  a  quotare  le  facili  e  continue  ir- 
ritazioni. Omette  di  visitare  il  vescovo  d'Amiens  e  il  signore 
di  Boucicaut  «  due  altri  de'  primi  del  Consiglio  »  perchè  i  con- 
siglieri reali  «  in  su  questi  moti  stanno  sempre  insieme  e  non 
si  possono  avere  alla  spartita  > .  Apprende  dall'ambasciatore  di 
Spagna  e  da  quei  cesarei,  dei  quali  quivi  n'è  due,  uno  stan- 
ziale, l'altro  spedito  recentemente  con  commissione  apposita,  che 
l'Imperatore  e  il  re  di  Francia  son  tra  loro  nella  più  stretta  e 
perfetta  unione  «  e  che  quella  maestà  non  è  mai  per  disunirsi 
con  questa  ».  —  «  Ora,  soggiunge  Niccolò,  se  li  è  vero  lo  sco- 
prirà el  tempo  ».  — 

Visita  l'oratore  del  pontefice  «  che  è  un  signore  vera- 
mente dabbene,  e  molto  prudente  e  pratico  nelle  cose  di  Stato  » 
e  gli  sembra  ch'ei  sia  «  tutto  male  contento  di  questi  moti,  e 
tutto  maravigliato  come  questa  cosa  sia  così  ad  un  tratto  ve- 
nuta al  ferro  ».  —  Non  sa  su  che  forze  possa  fondarsi  il  papa, 
non  à  ragguaglio  di  sorta.  «  Dissemi  bene,  scrive  il  Machia- 
velli, che  quando  e'  pensava  che  guerra  poteva  esser  questa,  e 
in  che  modo  assaltata  e  difesa,  se  ne  raccapricciava  tutto,  e 
in  ultimo  li  dolo  delli  errori  che  si  erano  fatti  in  Francia  e 
in  Italia,  de' quali  e' poveri  popoli,  e  e' minori  principati  sarieno 
e' primi  a  patirne,  e  che  da  lui  non  era  rimasto  di  mettere 
ogni  pace  ».  Ma  quell'uom  dabbene  ormai  alla  pace  non  'cre- 
deva più;  né  altro  Niccolò  ritrasse  da  lui.^ 

Di  questo  nunzio  pontificio  sì  degnamente  animato  da  sen- 
timenti umani,  così  commosso  al  pensiero  della  miseria  d'Italia, 
che  il  furibondo  pontefice  provocava,  è  singolare  che  ne  il  Ma- 
chiavelli disse  mai  il  nome,  né  indicò  la  qualità.  A  quanto 
pare,  volle  occultarlo  di  proposito,*  ed   ebbe  forse  ad  esser 

^  Machiavelli,  Comm.  cit.,  lett.  xi  (ediz.  ult.] 

*  Questo  risulta  specialineute  dalla  comparazione  delle  minute  apparecchiate  dal  M. 
col  testo  delle  lettere  spedite.  Citiamo,  ad  esempio,  la  lettera  in  data  «  die  3  augusti  1510 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  IL  VESCOVO  DI  TIVOLI.  499 

pregato  della  maggior  riserva  dall'oratore  medesimo,  il  quale 
sentiva  che  grande  pericolo  era  l'attentarsi  a  farla  da  paciero 
quando  papa  Giulio  offriva  al  mondo  lo  spettacolo  strano  d'un 
pontefice  bellicoso. 

Quell'oratore  del  resto  era  il  vescovo  di  Tivoli,  Camillo 
Leonini;  recentemente  succeduto  in  quella  sede  al  proprio  zio 
Angelo,  uomo  espertissimo  d'aflFari,  trasferito  all'arcivescovato 
di  Sassari.  La  famiglia  Leonini  godeva  fra  le  altre  casate  ti- 
burtine  di  grande  autorità  e  potenza  per  le  vaste  ricchezze  e 
le  nobili  aderenze  sue.  Stretta  co'Tebaldi  e  i  Coccanari  nelle 
fazioni  baronali  di  Roma  diramate  alla  campagna,  aveva  par- 
teggiato per  gli  Orsini  contro  i  Fornari,  i  Zacconi  e  i  Marescotti, 
i  quali,  dediti  alla  parte  colonnese,  soggiacquero.  Ne'  diflScili 
tempi  borgiani  i  Leonini  non  perderono  punto  autorità  e  favore; 
furono  accettissimi  a  papa  Giulio,  al  quale  Angelo  era  avvinto 
per  lunga  e  intima  comunione  di  vita.  Il  cardinale  de'  Medici 
li  corteggiava,  vagheggiando  unione  di  parentado  con  essi,  ed 
oggi,  sulla  facciata  della  chiesa  di  San  Domenico  in  Tivoli  ancor 
si  veggono  insieme  annestate  l'arme  de'Leonini  e  de' Medici.  ^ 

in  Bles  »  che  gli  aitimi  editori  delle  Opp.  di  N.  M.  dettero  per  la  prima  volta  secondo  il  testo 
deir Archivio  di  Stato  fior.  {Lett.  ai  Dieci,  f.  100,  e.  200)  e  che  precedentemente  era  pub- 
blicata secondo  la  lezione  AéiV Apografo  Ricci  (V  m.  App.,  §  xv).  Ora,  gli  editori  sullodati 
invitano  con  ragione  i  lettori  ad  attendere  alle  notevoli  differenze  tra  le  lettere  del  Mar 
chiavelli  secondo  le  antecedenti  edizioni  e  quelle  edite  secondo  il  testo  da  loro  recente- 
mente pubblicato.  Se  non  che,  dov'essi  son  meno  nel  vero,  è  nell'assegnare  la  cagione  di 
queste  discrepanze  di  lezione  ;  che  certo  non  è  nel  pubblicar  essi  quelle  lettere  «  copian- 
dole dagli  autografi»  per  la  prima  volta;  poiché  anche  Oiulian  de' Ricci  copiava  dagli 
autografi  di  Niccolò;  ma  si  quegli  autografi  non  erano  i  medesimi;  e  se  maggior  valore 
d'autenticità,  per  quanto  aveva  portata  politica,  è  da  attribuire  agli  scritti  pervenuti 
a' Dieci,  siccome  più  accuratamente  deliberati  e  corretti,  quelli  che  rimasero  presso  del 
Machiavelli,  come  scrittura  di  primo  getto,  non  àn  minore  importanza  storica,  e  talvolta 
danno  lume  a  rischiarar  circostanze  rimase  oscure  in  quelli.  Cosi  nella  lettera  indicata, 
dove  nel  testo  della  Cambiagiana,  che  riproduce  quel  dell'apografo  del  Ricci,  è  detto 
chiaro  :  «  ed  avendo  spesso  questi  ragionamenti  con  l'oratore  del  papa,  al  quale  dolgono 
infino  all'anima  questi  movimenti.  Rubertet  mandò  una  sera  per  Giovanni  Girolami,  il 
quale  fa  qui  faccende,  in  questa  corte,  di  Monsig.  di  Volterra  »,  in  quello  dell'Archivio 
di  Stato  è  supplito  a  questo  modo  :  «  ed  avendo  spesso  questi  ragionamenti  con  uno  uomo 
qui  di  grande  autorità,  al  ^uale  dolgono  infino  all'anima  questi  movimenti,  Rubertet  mandò 
una  sera  per  Giovanni  Girolami,  el  quale  fa  qui  certe  faccende  in  questa  corte  come  sa 
Alessandro  Nasi  »  ;  ed  ognuno  intende  la  causa  e  il  valore  della  mutazione.  Né  l'oratore 
del  papa  vi  è  mai  più  nominato,  ma  designato  solo  e  costantemente  come  «  l'uomo  d'au- 
torità che  di  sopra  si  dice  »,  «  quel  tale  »,  ecc. 

^  Bartolomea  nipote  del  card.  Giovanni  de*  Medici  andò  moglie  di  Vincenzo,  fratello 
di  Angelo  Leonini.  Sulla  sepoltura  del  vescovo  dì  Sassari  nella  cattedrale  tiburtina  fu  scol- 
pito il  seguente  distico,  non  meno  a  onore  del  morto  (1517)  che  a  rampogna  de'  contem- 
poranei : 

«  Si  similes  essent  alii.  quae  partica  tela 
Relligio  metuit  nunc  metuenda  forent». 

Cf.  AnT.  Fr.  LoLLi,  Annali  storici  della  cUtà  di  Tivoli,  lib.  vi,  cap.4,  ms.  nell'Arch.  di 
Stato  di  Roma.  —  Ughblli,  Italia  sacra,  t.  i,  col.  1312.  La  famiglia  Leonini  era  de- 
votissima a  papa  Giulio.  Del  vescovo  Angelo,  quando  ei  toma  oratore  a  Venezia  nel  de- 


Digitized  by 


Google 


TiOO  CAPO  SSSTO^ 

Qra»  papa  Giulio,  destro  conoscitore  degli  uomini,  ave^a 
divisato  afruttare  a  vantaggio  della  sua  guerra,  la  pietà  e  la 
mansuetudine  del  buon  vescovo,  fatto  a  bella  posta  per  soffer- 
mare e  intrattenere  con  religiosi  e  caritatevoli  conforti  le  po- 
derose armi  del  re  di  Francia.  La  carità  del  sacerdote  combi- 
nandosi colla  devozione  della  regina  brettone,  sarebbe  stato 
freno  tenace  e  inavvertito  a  ogni  deliberazione  celere  del  re, 
e  il  pontefice  avrebbe  riso  e  trionfato  così  d'un-  nemico  inutil* 
mente,  forte. 

Il  Leonini  dunque,  in  piena  buona  fede  e  colla  persua- 
sione di  far  cosa  utile  alla  cristianità  e  conducente  alla  salute 
d'Italia,  cominciò  a  mostrare  il  disegno  e  l'opportunità  d'una 
mediazione  fra  il  pontefice  e  il  Cristianissimo.  Ma  una  simile 
mediazione  non  poteva  sorgere  d'iniziativa  sua,  e  convenivasi  che 
una  terza  potenza,  inframmettendosi,  la  concordasse.  Chi  avrebbe^ 
potuto  assumere  cosi  bell'ufficio  più  acconciamente  che  la  Si- 
gnoria di  Firenze,  ben  accetta  ad  entrambi  gli  avversari,  da- 
tutti  e  due  sollecitata  a  dichiarare  a  qual  parte  intendeva  ade- 
rire, e  collocata  siffattamente  tra'  due  belligeranti  che,  quando 
questi  venissero  alle  mani,  la  si  sarebbe  trovata  in  mezzo  al- 
l'urto loro?  C'eran  pertanto  tutte  le  ragioni  d'interesse  e  di 
convenienza  perchè  il  Machiavelli  accettasse  di  raccomandare 
la  proposta  fatta  al  suo  governo.  Egli  vedeva  i  gravi  pericoli 
che  l'acerbo  dissidio  fra  papa  e  re  suscitava  e  alla  sua  città 
e  al  Soderini  soprattutto,  che  personalmente  si  confidava  in 
lui.  *  Laonde,  d'accordo  col  nunzio  papale  e  col  Rubertet 
strinse  Giovanni  Girolarai,  il  quale  ivi  in  corte  faceva  gli 
affari  del  cardinal  di  Volterra,   a  partir  subito   per  Firenze, 

cembro  1503,  è  detto  ch'egli  è  «  servitor  del  ponteflce,  stato  anni  18  in  casa  soa  ».  (Mawn 
Sanudo,  Diarii,  (v,  477-47^).  —  Rispetto  a  Camillo  Leonini,  il  cardinale  di  Volterra  cosi 
esprlmevasi  al  M.  :  «  Havete  in  corte  lo  arcivescovo  oratore  pontificio,  homo  prudentis- 
8imo  et  che  vale  assai.  Siamo  certi  vi  vederà  volentieri  et  per  nostro  amor,  perché  è 
amicissimo;  conservatevelo  che  ne  farete  capitale  et  ne  caaerete  fructo  assai  et  aiuterete 
Tuno  Taltro  al  bene  comune  ».  —  (Bibl.Nas,,  doc.  M.,  busta  iv.  n.  111).  Franciacus  card. 
VoUerraniM  bcMlicce  XII  SS.  Aplort4m  pbr  cardinalis  tp.  v.  y.  M*  aro  Ecc.—  Reip.  Fior, 
apud  X.<"«"*  Rggem  compatri  nro  Car.^o  «  Florentiae  xxviii  jonii  m.d.x  ».  —  Ci  mara- 
viglia che  i  diligenti  editori  delle  Legazioni  del  M.  (edis.ult)  non  abbian  creduto  che 
questa  lettera  fosse  a  dare  in  luce  fra  la  corri spondensa  del  Segretario  nella  presente 
commissione  in  corte  di  Francia;  tanto  più  che  da  questa  si  rileva  come  i  propositi 
di  mediazione  tra  il  pontefice  e  il  re  Luigi  partissero  anzi  tutto  dairaccorto  cardinal  di 
Volterra.  Egli  infatti,  poco  sopra,  stimola  cosi  il  fidato  Segretario:  «  confortiamovi,  oltre 
allo  offltio  che  farete  per  la  patria  usar  omni  diligentia  che  si  tenga  in  buona  unione  co- 
testo prìncipe  alla  S.tA  del  papa,  il  che  non  solo  è  per  giovaro  alloro:  ma  a  noi,  et  a  tutta 
Italia  ». 

^  In  una  sua  lettera  «  addì  26  luglio  1510  »  lo  apostrofa  «  egregie  amico  noster  caris- 
sime». (Bibl.  Nas..  doc.  M.,  busta  v,  n.  61). 


Digitized  by 


Google 


SBCOtfDo]         FIRENZE  MEDIA  TRICE  TRA  IL  PAPA  E  LA  FRANCIA.  501 

a  ^persuadere  la  Signorìa  e  segnatamente  il  cardinale  Sode- 
rini  ad  accettare  prontamente  l'ufficio  di  mediatore  *  perchè 
gli  altri  principi  sarieno  per  guastare,  volgendo  a  loro  prò  tale 
inimicizia  ».^  Il  Girolami  prima  di  partire,  d'accòrdo  con  Niccolò, 
chiede  udienza  dal  re,  per  valutar  meglio  le  disposizioni  di  lui, 
dimostrandogli  «  le  baratterie  che  gli  erano  state  fatte  sotto  » 
da  chi  volle  condurlo  a  quei  termini  d'oppoìBiziotie  col  papa. 
—  «  Ma  che  volete  voi  eh* io  faccia?,  risponde  il  re:  il  ptfpa 
mi  à  battuto,  e  io  non  sonò  per  dichinarrai  mai,  sono  per  sop- 
portare tutto,  fuori  che  pèrdere  dell'onore  e  dello  stato  mio. 
Ma  io  vi  prometto  betìe,  che  ^  il  papa  fata  venso  di 'me  dimo- 
strazione d -amore  quanto  è  un  nero  à'ùgna,  io  ne  -fatò  *tta 
braccio;  ma  altrimenti  non  sono  per  procedere  ».*  ^— 

I  fautori  della  mediazione  poteano  aver  più  che  abbastanza 
delle  dichiarazioni  di  sua  maestà;  e  Niccolò  si  affretta  a  scri- 
vere ai  Signori,  facendo  le  scuse  s'egli  è  entrato  in  trattative 
alle  quali  non  era  autorizzato,  dissimulando  sotto  le  scuse  i 
consigli  suoi:  —  «  Le  Signorie  vostre  soao  prudentissime  ed 
esamineranno  quello  scrivo  è  quello  riferirà  loro  Giovanni  e 
.piglierannoci  su  buono  partito:  ma  tutto  bisogna  con 
celerità.  Io  non  ò  fuggito. queste  pratiche,  giudicando  che  alla 
città  vostra  non  potessi  venire  il  più  pauroso  infortunio  che 
l'inimicizia  di  questi  due  principi,  per  quelle  ragioni  che  in- 
fino e'  ciechi  e  sordi  veggono  e  intendono;  e  tutti  quelli  modi 
che  ci  sono  da  pigliare  per  condurre  l'accordo,  Ò  -giudicato 
buoni;  né  veggo,  diventandone  vostre  Signorie  mezzane,  che 
le  ne  possine  altro  che  guadagnare;  perchè,  o  e'  riuscirà  o  no; 
riuscendo,  ne  seguirà  quella  pace  che  noi  speriamo  e  togliamo, 
e  fuggesi  quei  pericoli  che  la  guerra  ci  potrebbe  arrecare  a 
casa;  e  tanto  più  ci  fia  la  satisfazione  vostra,  quanto  voi  ci 
avrete  più  parte,  facendovi  obligati  il  re  e  il  papa,  per  li  quali 
non  si  fa  meno  che  per  voi.  Quando  ella  non  riesca,  questa 
inaestà  vi  resta  obligato,  avendo  voi  fatto  quello  che  gli  à  con- 
sentito, e  datogli  più  giusta  •cagione  di  fondare  le  querele  sue 
contro  al  papa  nel  cospetto  di  tutto  il  mondo;  né  il  papa 
potrà  dolersi  di  voi,  avendo  persuaso  la  paòe,  quando  ei  non 
la  voglia,  e  voi  gli  facciate  contro  nella  guerra.  Tutte  queste 

<  Machia vBLLiy  Comm.  cH.,  lett.  «  die  8  aug.  1510  ». 

*  ìifACi^iA VELLI,  loc.  cit.  Cf.  Anàlisi  dell' Apogr.  G.  de'Ricei,  ^  xiv  per  le  varianti  del 
tèsto  di  questo  passaggio.  L'àbtaud,  op.  cit.,  voi.  i,  pag.  191,  dopo  aver  tradotto:  «Si  le 
pape  fait  un  pas  de  la  longueur  du  noir  de  Tongle,  le  roi  fera  un  pas  d'un  bras  de  long  », 
osserva  :  «  voila  une  bien  sfngulldre  expression  pour  une  communication  politique  ». 


Digitized  by 


Google 


502  CAPO  SESTO.  [libro 

ragioni  mi  anno  fatto  implicare  volentieri  in  questi  maneggi. 
Quando  vostre  Signorie  lo  approvino,  io  Tavrò  caro;  quando 
che  no,  mi  escuseranno,  perchè,  secondo  questo  modo  qua, 
non  potevo  giudicare  la  cosa  altrimenti  ». 

Questa  lettera  di  Niccolò  era  scritta  a' tre  di  dell'agosto: 
la  sera  del  primo  di  settembre  il  Girolami  tornava  a  lui.  La 
pratica  di  Roma  era  intavolata,  ma  v*era  poca  speranza  di 
buon  approdo.  Il  papa  andava  dicendo  che  con  re  Luigi  avea 
la  pace  già  bella  e  in  tasca,  quando  ne  volesse,  e  intanto  rin- 
gagliardiva le  offese.^  Nuovi  tentativi  di  rivolta  in  Genova,^ 
l'occupazione  di  Modena  per  tradimento  de'  Rangoni,  ^  lo  stringer 
Ferrara  coll'arme  del  duca  d'Urbino,  l'arresto  del  cardinale 
di  Auch,4  che  proponeva  termini  d'accordo,  la  tortura  data  a 

^  Machiatblli,  ibid.,  lett.  «in  Bles,  die  27  angusti  1510»:  «Costoro  sanno  come  el 
papa  va  dicendo  che  à  con  questo  Re  la  pace  nella  scarsella  e  tanto  più  si  sdegnano  ». 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  146.  I  Dieci  al  M.  «die  xn  julii  1510».  Arch.  fior., 
LetU  ai  Dieci,  f.  100  a  e.  203.  N.  M.  ai  Dieci  «  die  26  julii  ».  —  Ibid.,  f.  100,  e.  360.  — 
Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  151  «die  3  augusti  M.D.X.  »  I  Dieci  a  N.  M.  (ed.  ult., 
lett.  23).  —  Bibl.  Naz.,  doc.M  ,  busU  v,  n.  67.  Leti.  S.  Antonio  Della  Valle  nolarituegr. 
mcUori  meo  N,  M.  mandatatfo  fior,  apud  X.«»«»»»  r» .«•»•  ma.*«tem^  «  ex  Florentia,  die  iii  angusti 
M.D.X.  »  Neirediz.  ult.( Comm.  cit,,  lett.  24)  trovasi  men  che  esattamente  stampato:  «chi 
guadagnassi  il  vescovo  di  Lione  farebbe  tosto  co'  Svizzeri  uno  gran  passo  ».  Neirautogr. 
leggesi,  naturalmente:  «il  vescovo  di  Sion».  —  V.  anche  la  lett.  J^,  ibid.  —  Parimenti 
nella  LeUera  da  Roma  copiata  dal  M.  a  tergo  a  quella  dei  Dieci  a  lui  diretta  in  data  del 
di  «  vii  augusti  M.  D.  X.  »  (Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  b.  v,  n.  139,  ed.  ult.,  lett.  26  in  nota)  certo 
per  errore  tipografico,  si  è  lasciato  scorrere  (pag.  55)  :  «  e  si  diceva  che  monsignore  di 
Guisa  veniva  qua,  e  ora  s'intende  che  va  al  re  di  Francia»,  in  luogo  di  «monsignore  dì 
Gursa  »,  come  reca  l'autografo,  e  conforme  al  vero. 

«  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  b.  v,  n.  137.  I  Dieci  a  N.  M.  «die  x  aug.  1510».  —  Ibid.,  b.  v, 
n.  68,  luUantu  Vallensis  N.  Jlf.  «  die  xxv  aug.  m.  d.x  ».  Arch.  fior.,  Lett.  ai  Dieci,  f.  100, 
n.  443,  N.  M.  ai  Dieci  «die  27  augusti  1510».  Ibid.,  /  Dieci  aU'AcciaiuoU  «  die  29  augusti 
1510»  (ed.  cit.,  Iea44)  —  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  b.  v,  n.70,  Lett.  di  ter  AnL  detta  Valle  a 
.V,3f.«a  dì  30  d'agosto  1510».—  Lett.  di  N.  M.ai  Dieci,  ed.  ult,  Ice  cit.,  lett.  51. 

*  Guglielmo  di  Clermont,  nipote  del  morto  cardinale  d'Amboise.—  Cf.  Bibl.  Naz.,  doc. 
M.,  busta  v,  n.  113  e  146.  IMI.  de'  X.f*  a  N.  M.  «  die  4  et  xii  julii  1510  ».—  In  quesUè 
inesattamente  stampato  (ediz.  ultima,  t.  vi,  pag.  12)  :  «  e  (il  papa)  dopo  la  ritenuta,  del  car- 
dinale di  San,  secondo  che  pare  a  noi,  non  ha  fatto  alcun  reservo  ».  L'autografo  à,  come 
di  consueto  :  «  del  cardinale  di  Aus  ». 

Rettifichiamo  in  quest'  incontro  altri  errori  sfuggiti  alla  revisione  nell'ediz.  ultima,  in 
altre  lettere  di  questa  Commissione  medesima: 


Ediz.  ult.,  loc.  cit.,  tvi,  pag.  61,  lin.  18: 

«  ...  perche  la  superbia  et  la  potenza  loro 
non  li  tirassi  bassi  ». 
Ediz.  ult.,  loc. cit.,  t.  VI,  pag.  08,  lin.  9: 

«  ...  Abbiamo  tentare  dì  levare  delle  gente 
sue  che  abbiamo  ampliato  lo  stato,  che  tutti 
e'  suoi  soldati  sono  sudditi  della  Chiesa,  e 
ancora  non  siamo  senza  gran  timore,  ecc.  » 

Ediz.  ult.,  loc.  cit.,  t.  VI,  pag.  102,  lin.  34  : 

«  Rubertet  solo  è  chi  lui  sa:  e  tamen  con 
consenso  del  re,  hanno  dato  principio  ad 
quello  che  lui  portò  ».  (Le  altre  preced.  ediz.: 
«  è  che  sa  »). 


Autogr.  Arch.  di  Stato,  Lett.  ai  X.  «,  f.  100  a 
c290: 

«...  perchè  la  superbia  et  la  potenza  loro 
non  li  tira  si  bassi  ». 

*Autogr.  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  70 
(in  cifra): 

«  ...Habbiamo  tentato  di  levare  delle  gente 
sue  né  se  ne  po'  hauere  perché  ha  tanto  am- 
pliato lo  stato  che  tucti  e'  suoi  soldati  sono 
subditi  della  Chiesa.  E  ancora  non  siamo 
ganza  grande  timore,  ecc.  » 

Autogr.  Arch.  di  Stato,  LetU  ai  X.  «.  f.  100  a 
e.  48i: 

«  Rubertet  solo  et  chi  lui  sa  hanno  dato 

{principio,  ecc.  »  —  (Sotto  la  formola  :  et  chi 
ui  sa  vien  dato  a  intendere  con  prudente 
reticenza,  com'è  già  stato  osservato,  l'ora- 
tore del  pontefice). 


Digitized  by 


Google 


secondo]  arti  del  papa,  INERZIA  DEL  RE  DI  FRANCIA.  503 

un  mandatario  del  duca  di  Savoia  trattato  da  spia,*  undicimila 
Svizzeri  chiamati  giù  dall'Alpi  a  pericolo  della  Lombardia, 
erano  le  celeri  e  furibonde  opere  del  pontefice.  Attonito  e 
inerte  il  re  confessava  che  dopo  la  rotta  data  a'  Viniziani,  non 
aveva  potuto  mai  dimesticare  quell'uomo;^  e  tuttavia,  accat- 
tando la  pace  da  lui,  a'  fatti  rispondeva  solo  con  minacce  ed 
apprestamenti.  «  A  un  uomo  che  non  dice  bugie  »  (ecco  un'altra 
delle  solite  perifrasi  con  cui  il  Machiavelli  designa  il  vescovo 
Leonini)  re  Luigi  usava  dire:  «L'Imperatore  mi  à  più  volte 
ricerco  di  dividermi  seco  l'Italia:  io  non  l'ò  mai  volsuto  con- 
sentire, ma  il  papa  questa  volta  mi  necessita  a  farlo  ».3  E  pro- 
testava «  ch'egli  sarà  per  fare  la  più  onorevole  guerra  che  an- 
cora si  sia  vista  in  Italia.  E  il  disegno  suo  è  temporeggiare 
questa  vernata  e  fermar  bene  il  pie  con  .  Imperadore  ed  In- 
ghilterra, e'  quali  come  avrà  guadagnati,  non  stima  cosa  al- 
cuna Spagna;  e  dice  a  chi  lo  vuole  udire,  che  lo  tiene  re  in 
Gastiglia;  e  per  guadagnarsi  i  dua  prenominati,  e' non  perdo- 
nerà a  cosa  alcuna.  Ordina  in  questo  mezzo  questo  concilio 
gallico,  e  qui  sono  già  arrivati  assai  prelati  e  attendono  ad 
ordinarsi  per  la  giornata  deputata  ad  Orliens,  dove  si  leverà 
la  obbedienza  al  papa;  e  quando  l'Imperatore  e  Inghilterra 
ci  concorrine,  creeranno  un  nuovo  papa,  e  a  tempo  nuovo 
scenderà  con  tanta  gente  in  Italia,  che  la  sua  non  fia  guerra, 
ma  fia  uno  viaggio  infino  a  Roma  ».^  Quanta  imperizia  in  tutti 
questi  disegni  reali!  quanta  poca  conoscenza  del  momento  e 
delle  persone,  e  che  sciupo  inconsulto  delle  forze  proprie  !  Re 
Luigi  vuole  4c  temporeggiare  la  vernata  »,  e  papa  Giulio  va  in 
persona  a  campeggiar  la  Mirandola,  sfruttando  il  verno  che 
gliene  ghiaccia  i  fossati  ;5  re  Luigi  vuol  trarre,  contro  il  pon- 
tefice, Arrigo  VIII  d'Inghilterra,  e  Giulio  se  l'à  già  adescato 


^  Arch.  fior.,  Lett.  dei  Dieci,  reg.  34,  a  e.  34t.  AWoratore  Acciaiuoli  «  die  ij  sept.  1510» 
ed.  uh.,  VI,  pag.  109. 

*  Machiavelli,  ibid.  «  Entrò  dipoi  con  di  molte  parole  in  dolersi  dei  portamenti  del 
papa,  dicendo  che  dopo  la  rotta  data  ai  Vinixiani,  mai  lo  aveva  potuto  dimesticare  ».  — 
Cosi  i  mas.  —  Le  stampe,  prima  delPediz.  ultima  :  «  mai  lo  aveva  potuto  dimenticare  ». 

"  Machiavelli,  C^omm.cit.,  lett.  «  die  9  augusti  1510,  in  Bles  ».  —  Cosi,  secondo  l'Apo- 
grafo  di  Oiulian  de' Ricci.  V.  App.,  9  xiv.  Secondo  la  Copia  abbreviata  mandata  con  la 
successiva  de' dì  13  (Arcb.fior.,  Lett.  ai  Dieci,  f.  100,  e. 290)  il  medesimo  periodo  direbbe: 
«  Et  il  re  di  Francia  ha  usato  dire:  che  non  dice  le  bugìe;  il  re  d'Inghilterra  mi  ha  più 
volte  pregato  che  io  mi  divida  l'Italia  seco;  io  non  ho  mai  voluto,  ma  il  papa  ad  questa 
volta  mi  necessiterà  ad  farlo  ».  Cf.  fra  le  Urkunden,  Briefe  und  Aclenstìicke  tur  Ges- 
chichte  MaximiUans  I  und  seiner  Zeit  {Bibl.  des  literar.  derin  Stuttgart,  vol.x,  pag.  329 
e  segg.)  la  lettera  del  Semtheiner  airimp.  «  IS3  ag.  1510». 

*  Machiavelli,  Comm.  cit.,  Lett. ai  Dieci  «ex  Bles,  die  xviii  augusti  1510». 
'^  Machiavelli,  Arte  della  guerra,  lib.  vii. 


Digitized  by 


Google 


304  CAPOSB^O.  \v 

.col  meretricio  iuKrio  .della  rosacd'oro;  ^  c0  al  .Baiohridge,  lamba- 
spiatore  inglese  a  JEloma.ed  arciyescoYo  idi  Yarls;,  à -lasciato  in- 
travedere il  cappello  cardinalizio.  JS.e  Lui^  provoca  ad  un  oon- 
cilio  generale  rjniperatore;  e  questi  .non'Ohiede  di  <m;eglÌQi»nia 
da  tal  .concilio  generale  vuol  egli  uscir  iponiteflce;  né  laom  già 
in  Orleans  od  in  Tours  ria  sede  del  suo  concilio;  ma  .in  :Fi- 
xenze  come  Ncittàche,  oiltre  ad  essere  ànjtalia,  ne*iasti  conci- 
liari resa  già  .irecentemente  celebre  ,pal  sformale  ricongiungi- 
mento della  chiesa  ,grepa  colla  latina,  gjisembna  il  se^io  -^lu 
acconcio  per  recarvi  ad  effetto  ;)a  sua  riunione  fantasticata  ddla 
potestà  pontificia  colla  K^esartea,  nella  'pe^sona  propria.  £  tparò 
invia  Pigolio .Portinari. alla. Soneria  fioreoiitìna,  al  igonfaloniere 
.e  .al  ^cardinale  .Soderini,  promettendo  loro  un  tatnto  hene,  come 
corire^pettivo  ,alla  sovvenzione  dlvaltri  cinquantamila  ducati  dbte 
in  tal  congiuntura  richiede.* 

Sp  Firenze  fosse  ,più  che  mai  spaventata  a  tali  proposte, 
a  tali  prospettive  di  lotta  certa  e  irrecoAciliabile  col  fiero  pon- 
tefice, che  ei;a  fr^  tanti  inoperosi  potenti  il  30I0  attivo,  il  «olo 
phe  .non  dava  .tregua  e  che  CQglieva  Toccasione  .all'agguato, 
•non  occorre  dirlo.  Il  ^Machiavelli  ^oprawegliando  i*ingiros- 
sai:e  di  tanta  tempesta,  stimola  \  Signori  ì%cqìò  /bì  ebrighino  a 
mandar  al  .re  di  Francia  Toiratore  .designato  e  apprendansi 
a  partiti  pronti  e  decisi.  «  Le  Signonie  ivostre,  ei  scriye,  cor- 
rono in  quetsta  guerra  fra  el  papa  ed  el  d^  duoi  pericoli; 
Tuno,  se  chi  vi  sarà  amico  perdessi;  Taltro  :»e  Francia  si  .ac^ 
.cordasse  con  Timperadore  *con  danno  vostro;  sicché  (Sarebbe 
bene  che  lo  imbasciatare  vostro  ci  fosse  innanzi  al  Gurgen^e. 
J^  quegli  Italiani  che  sono  qua,,  ohe  anno  che  perderei,  giudi- 
cano, a  voler  fuggire  ^questi  pericoli,  bisogni  prima  fare 
qgni  cosa  per  vedere  se  el  papa  si  potessi  accordare  seco;  e 
quando  questo  non  si  possa  fare,  mostrare  ad  el  re  come  ad 
tenere  ad  freno  un  papa  non  bisogna  tanti  imperatori,  né  fare 
tanti  romori;  perchè  l'altri  che  per  Tadrieto  li  anno  fatto 
guerra,  0  e' l'anno  ingannato,  come  fece  Filippo  Bello,  0 
eTàano  fatto  rinchiudere  in  castello  Sant'Angiolo  da' suoi 
baroni,  li  quali  juon  sono  si  spenti  che  non  si  potessi  trovar 

>  E08COB,  tifeof  Leo  X,  ti,  pag.843,  ed.  Londira  1872.— Huns,  Hiitory  of  Enfiìani. 
voi.  Ili,  pag.416. 

*  V.  in  Appendice  :  Inttructio  de  hiia,  q%te  agere  et  trafilare  deket  prò  nfibi»  et  no- 
mine nostro  cum  magniflcis  nostris  et  sacri  Jiomani  Imperii  fideUbut  dileetis  fìexaifffo 
justide  et  hailia  cioitatis  nostre  imp^ialis  Florsntie  honorabilis  fidelis  .nobis  diteetut  Pi- 
geUus  Portnarius  seeretarius  noster. 


Digitized  by 


Google 


flBQONBoJ  CONSIGLI  DEL  MACHIA  VELLI  AL  RE  DI  FRANCIA.  605 

modo  ad  racGanderli; ^  e  con  Rubertet,  nell'andare  ch'io  feci 
iermattina  seco,  non  ragionai  d'altro,  mostrandoli  tutti  e*mo- 
•delli  (Che  gì  eerano  deiltro,  e  dicendogli,  oltra  di  questo,  ohe 
'facendo  .guerra  ad  el  papa  apertamente,  essi  non  potevano 
•vincere  se  non  jcon  loro  .pericolo  ;  perchè  «e  e'  la  faranno  soli, 
grùntendevano  quello  che  la  sti  tirava  dreto;  se  la  faranno 
accompagnati,  fconverrà  che  partischino  l'Italia  con  un 
compagno,  ccn  él  qmale  li  aranno  poi  à  fare  una  guerra 
di  nuoTio,  molto  più  pericolosa  erbe  quella :gli  avessino 
ffatta  con  el  papa.  Egli  mi  consentì  tutto,  né  sarebbe  da  di* 
operarsi  di  non  imprimere  loro  questi  .modegli  nel  capo,  quando 
fussi  qui  più'di.unoiitalianDidi  autorità  che  ci  si  affaticasse».^ 
Ma  Niccolò  era  solo;  non  aveva  estrinseca  autorità  di  consiglio; 
•osservava  Je  JCOBe  da  un  punto  così  insolito,  le  faceva  parer  così 
vere,  ma  cosi  crude,  che  più  fermavanla  mente  a -chi  le  udivta, 
che  non  ^ne  ^risvegliassero  l'operosità.  Rubertet  rimaneva  per- 
•eos8o;>gr intelletti  della  corte,  più  ecclesiastici  o  guerreschi  ohe 
statuali,  sentivano  inevitabile  un  contrasto  col  capo  della  chiesa; 
e  questa  necessità,  a  t^ui  eran  meno  preparati,  era  quella  da 
{Cui  men  sapeano  soìlevarai.  Fosse  rimase  in  vita  il  cardinale 
idi  Rouen,  questi  avrebbe  forse  saputo  rizzar  l'ambizione  «uà  pro- 
pria, puntellata  da  tutte  le 'forze  di  Francia,  coiiitro  la  furia  ocu- 
lata ma  nuda  dal  pontefice;  e  quella  passione  tutta  personale 
sarebbe  forse  bastata  in  que'  frangenti  a  dar  valido  impulso  alla 
yoilitica  francese,  vii  Machiavelli  s'accorge  pur  troppo  che  se 
iquell'ambizione  sola  forse  avrebbe  potuto  toner  adora  ri  luogo 
della  migliore  scienza  di  .Stato,  se  quella  ambizione  sola  sarebbe 
bastata  a  far  presa  per  istrascinare,  qmando  ne  fosse  d'uopo, 
la  neghittosità  del  governo  a  partiti  decisivi,  ora,  mancando 
quella,  non  c'era  via  di  riscossa.  —  «  Dio  voglia,  esclama  Nic- 
colò, che  el  tempo  non  scopra  a  danno  del  Re  e  d'altri,  quello 
importi  esser  morto  el  Legato;  perchè,  vivente  lui,  Ferrara 
•non  pativa  mai  tanto;®  perchè  el  Re,  non  essendo  uso  minu- 

>  et.  Bbobcb,  PapMt  luHus  II,  pag.4^,  ove  rileva  tatto  IMmforUnsa  della  •condotta 
4lel  MaGhiavelli  in  questa  congiuntura.  Pare  che  il  re  di  Francia  facesse  qualche  caso 
ablla  istigazione  e  del  consiglio  del  Segretario  fiorentino.  DifaUi  il  Guicciarmmi  (Gloria 
^'Italia,  lib.]()  dopo  aver  detto  delle  macchinasioni  per  la  rivoha  ordita  da  Roberto  Orsini, 
Pompeo  Colonna,  Antimo  Savelli,  Pietro  Margano  e  Renio  Mancini,  contro  papa  Giulio, 
aggiunge  :  «  questi  si  sapeva,  che  ricevati  danari  dal  -re  di  Francia  si  preparavano  infino 
.innanzi  alla  giornata  (di  Renenna)  per  molestare  Roma  ». 

*  Machiavelli,  «  Cofrìa  abbreviata  delia  mia  de'  dt  9  d'ago  iSiO».  Arch.  fior.,  Leti,  ai 
Dieci,  f.  100,  e.  890. 

*  Cf.  Luigi  da  Pobto,  Lettere  itoriche,  ed.  Lemonnier,  pag.  155:  «  Al  4)apa  non  bar 
.stanra  lo  sterminio  recato  dai  Veneti  nel  fersareae  ».  Il  Bboscil,  op.  cit.,  «ita  àe,*  Diarii 


Digitized  by 


Google 


506  CAPO  SESTO.  [libbo 

tamente  ad  governare  queste  cose,  le  straccura;  e  questi  che 
le  governono  ora  non  pigliene  per  loro  medesimi  autorità  ve- 
runa, non  che  di  fare,  ma  di  ricordare  che  si  faccia  e  cosi  mentre 
che  el  medico  non  vi  pensa,  e  il  servigiale  lo  straccura,  el 
malato  si  muore.  E  parlando  io  oggi  con  Rubertet,  venne  un 
dipintore  che  portò  l'immagine  del  Legato  morto,  in  sulla  quale, 
dopo  un  sospiro  disse:  «  0  padrone  mio,  se  tu  fossi  vivo,  noi 
saremmo  con  el  nostro  esercito  ad  Roma!  »  ^ 

Niccolò  à  bel  ricordare  ai  Francesi,  ai  suoi  Signori,  al 
Sederini  che,  «  poiché  il  re  è  volto  tutto  a  questo  disegno  di 
tempo  nuovo,  ne  risulta  che  Ferrara  patisce,  e  potrebbe  pa- 
tire qualcun  altro  »;  à  bel  presagire  ai  Francesi  che,  se  Fer- 
rara soggiace,  perderanno  «  la  Toscana  e  qualunque  fosse 
loro  amico  da  Ferrara  in  là  ».2  II  re,  che  in  Francia  è  arbitro 
di  tutto,  3  è  deciso  diflFerire  a  marzo  la  sua  venuta;  tutti  co- 
loro che  lo  contorniano,  sono  avversi  a  una  nuova  spedizione; 
né  il  popolo  é  disposto  a  sopportare  aggravio  d'altre  spese 
straordinarie.  Con  tutto  ciò  il  re  verrà,  se  lo  vuole  e  se  vive; 
ma,  fallitogli  ogni  termine  di  conciliazione  col  papa,  desidera 
che  i  Fiorentini  si  sbraccino  partigianamente,  durante  quella 
vernata,  a  favor  suo;  e  in  compenso  tende  loro  l'esca  di  Lucca 
e  del  ducato  d'Urbino.  Papa  Giulio,  all'incontro,  stringe  Fi- 
renze con  minacce  di  pericoli  e  immediati:  chiama  il  console 
della  nazione  in  Roma,  chiama  l'oratore  e  minaccia  tutti  di 
gettarli  in  castello;^  tiene  il  dominio  loro  terrificato  per  l'armi 
di  Giovan  Paolo  Baglioni;  ^  vuol  tirar  la  città  per  forza  o  per 
amore  a  voglia  sua  <  parlando  largamente  che  delibera  mu- 
tare questo  governo  che  è  troppo  franzese  ».^  —  Ah,  il  Ma- 


di  Marin  S anudo  (xi,  170)  ud  frammento  di  lettera  del  Donato,  da  Rimini  :  «  il  papa  disse 
haria  creto  che  fino  le  femine  di  Venetia  fusseno  andate  contro  Ferrara  ».  —  Cf.  I^Abiosto. 
Crlando  furioso,  in,  52. 

^  Machiavelli,  6'omm.  cit.,  lett.  «  in  Bles,  die  2  septerobris  1510  ».  —  L'ediz.  ultima 
delle  Opp.  (t.  VI,  pag.  104)  nota  d'averne  pubblicato  il  testo  secondo  l'autografo  della  Bibl. 
Naz.  fior.,  busta  i,  n.  47.  Ora,  nella  Bibl.  Naz.  al  luogo  citato  si  trova  solo  la  minuu  di 
questa  lettera,  mancante  della  sottoscrizione  e  de'  seguenti  incisi  :  «  e  ritraggo  assai  di 
buono  luogo,  come  dicono  (de'  Svizzeri)  averne  già  fermi  otto  Cantoni  »  e  tutti  gl'incisi  dopo 
queste  ultime  parole  :  «  Le  provvisioni  di  Ferrara  si  dissono  per  altra,  né  per  questa  si 
replicheranno.  Valete  ».  —  L'edizione  ultima  à  invece,  più  giustamente,  riprodotto  l'orìgi- 
nale  mandato  ai  Dieci  che  realmente  si  trova  nell'Arcb.  di  Stato,  Carteggio  resp.  ai 
Dieci,  t.  lOl,  c.7-8t.  (cl.x,  dist.  4,  n.  109). 

*  Machiavelli,  Comm.  cit.,  lett.  «  die  5  septembris  1510  ». 

*  Machiavelli,  Comm.  cit ,  lett.  «  die  5  sept.  »:  «  perchè  quando  il  volere  sta  in  unOf 
li  altri  poi  ne  vogliono  quello  che  esso  ».  —  Cf.  Ritratti  di  Francia. 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  b.  v,  n.  150.  /  Dieci  al  M.  *  die  28  julii  1510». 

«  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  b.  v,  n.  124.  /  Dieci  al  M.  «die  xxij  augusti  1510». 

«  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  b.  v,  n.  70.  Ant.  Della  Valle  a  N.  Jlf.  *  a  di  30  d'agosto  1510». 


Digitized  by 


Google 


SBcoKDoJ  IL  MACHIA  VELLI  TORNA  IX  ITALIA.  507 

chiavelli,  pieno  d'ira  per  quello  spirito  diabolico  che  il  papa  à 
nel  corpo,  vorrebbe  bene,  che  la  sua  cara  città,  la  sua  repub- 
blica fosse  altrove  collocata,  acciocché,  scendendo  a  suo  tempo 
l'impeto  oltramontano,  essa  restasse  illesa,  e  «  ancora  a  cotesti 
preti  toccassi  di  questo  mondo  qualche  boccone  amaro  »  !  ^  — 
ma  gli  fa  spavento  che  la  Signoria  e  i  Dieci  non  sappiano  spic- 
carsi da  una  perniciosa  neutralità,  non  si  capacitino  che  «  Toc- 
casione  à  poca  vita  »,  che,  «  se  avranno  a  dubitare  di  stro- 
piccio e  spesa,  potranno  anco  sperar  di  molto  bene;  e  se  si 
correrà  qualche  pericolo,  non  si  maneggiò  mai  cose  grandi 
senza  pericolo»;*  gli  fa  spavento  che  un  re  di  Francia,  ad 
un  papa,  che  gli  si  lancia  innanzi  con  fanti  e  cannoni,  risponda 
con  arzigogoli  di  controversie  teologiche,  e  gli  promuova  un 
concilio  addosso,  per  discutervi  «  se  al  papa  sia  lecito  muover 
guerra  a  un  principe  cristiano  inaudito  e  non  citato;  se  un 
papa  che  à  comprato  il  papato  e  venduto  i  benefizi,  se  un  papa 
del  quale  si  provi  infiniti  obbrobri,  si  debba  reputare  papa».  E 
questi  era  quel  re  che  a  Giulio  secondo  voleva  dare  «  una 
mazzata  daddovero  »  !  ^ 

Niccolò  cede  il  luogo,  sconfortatissimo,  all'ambasciatore  fio- 
rentino che  soprarriva  ;^  convinto  oramai  che  re  Luigi  è  uc- 
ciso dalla  consapevolezza  delle  sue  stesse  forze,  infeconde;  dalla 
fiducia  che,  scendendo  a  suo  tempo,  con  esercito  grossissimo, 
potrà  rimediare  a  tutto  «  senza  stimare  che  in  questo  mezzo 
possa  capitar  male  alcun  suo  amico  ».s  —  A  sadvar  con  op- 
portuni consigli  quest'amico,  —  il  Sederini  —  rivolge  oramai 
Niccolò  tutto  il  suo  animo,  ma  non  con  migliore  presagio. 

Soggiornando  in  Francia  per  quattro  mesi,^  egli  erasi  ben 
preparato  a  ottemperare  all'  ingiunzione  de'  Dieci  :  —  «  ingegne- 
ràti  tornare  ben  informato  delle  cose  di  costà  »J  —  Aveva  ac- 
quistato personali  conoscenze  alla  corte,  frequentato  i  ritrovi 
della  città,  esaminato  i  costumi,  partecipato  alle  gaiezze  e 
fi' guai  pubblici.  Una  tale  «  Janna  »  della  quale  T Acciainoli 
gli  fa  cenno  in  una  sua  lettera,^  sembra  averlo  in  Blois  alcun 

^  Machiavelli,  Comm.  cit.,  Leti,  ai  Dieci  «  die  xxviij  augusti,  ex  Bles  ». 

^  Machiavelli,  Commiss,  cit.,  lett.  «die  5  septembris  1510». 

'  Machiavelli,  Comm.  cit.,  lett. «in  Bles  die  2  sept.  1510». 

"•  Roberto  Acciaiaoli. 

^  Machiavelli,  Comm.  cit.,  «ex  Bles,  die  24  augusti  1510». 

*  Giorni  118,  da' 24  di  giugno,  a'  10  di  ottobre  1510.  V.gli  Staiuiamenti  pubblicati  dal 
Pa8sbbu(i,  loccit.,  pag.  lxxvi-vii. 

'  Lett.  de'  Dieci  al  M,  «  die  xii  sept.  m.d.x  ». 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  05.  Lettera  di  Roberto  Acciajuoli  a  N.  M.: 

•«  Sp.''*  Comp."  Io  ebbi  Tultima  vostra  da  Lione,  &  mi  son  riservato  a  risponderli  per 


Digitized  by 


Google 


508  CAPO  SÈSTO.  [libro 

:poco  adescato;  ma  «Toratope  aggiunge  allusioni  ciròa  alla 
«  Riccia  »  'di  Firenze,  capace  d'avergli  forse  già  fatto  dimen- 
ticai^e  la  «  Janna  »  ;  brutto  sentore  di  lascivie 

O  d*altra  vanità  con  si  breve  aso^ 

che,  come  a  Dante,  così  ad  altri  grsdndi  fece  talora  gravare 
in  giù  l'ali  dell'intelletto;  o^forse-contrappesó  l'irrequieto  im- 
pulso a  spingersi  con  quelle  ^ad  altezze  ove  ia  mente  dispera. 
Se  non  che  la  dimora  francese  non  fu  tutta  «lieta  per  Niccolò; 
legli  contrasse  il  morbo  ohe  in  quel  tempo  infieriva  micidiale 
^tra  il  popolo,  e  del  quale  ebbe  ad  esser  lioCco  il  re  stesso.  Fu 
fletto  la  coqueluohe,  né  l'etimologia  della  parola  è  ben  certa. 
«  La  mi  à  lasciato,  scriva  Niccolò  della  sua  Malattia,  tina  dis- 
posizione di  stomaco  si  trista,  che  non  mi  piace  eosa  alcuna; 
e  per  arroto,  a  Parigi,  *è  una  morìa  si  {grande,  che  ve  ©e 
muore  più  di  mille  el  di  »>.'  I  medici  he  ripetevano  la  cagione 

expectare  lo  arrivar  vostro  in  Firenxe,  dove  io  penso  che  per  grazia  prima  di  Dio,  &  poi 
della  Janna  vi  siate  condocto  salvo,  &  allo  arrivar  di  qua  barete  forse  rivisto  la  Riccia, 
la  lettera  dal  thesaurier  Robertet  credo  fossi  pagata  alla  prima  dfmatida  ^a  quel  de  500, 
e  «quali  se  non  fussin  ben  chiari,  io  son  chiaro  io  assai  bene  che  è  buon  messane  a  ven- 
derci ogni  volta  elle  'frovassi  comperatore  :  Non  so  se  *b  vostri  meiterà  nel  conto  de  500, 
OMdo  di  DO  per  non  guastare  el  numero.  Moìislgnor  Cùattrèfoys  attende  k  scoprir  pmesi 
&  far  scorrerie,  &  perchè  io  mi  sono  impancato  in  su  quel  Gian  Diponte  me  Vò  tirato  di 
qua 'di  riviera  per  dsirli  più  lunga  corsa.  L*  imììascttitoi^  di  Mantova  alla  htirbk  vostra 
oomperò  di  sua  mano  a  queste  mattine  certi  pescion  da  una  bella  figlia,  &  'dice  lo  fece 
per  farvi  dispecto,  &  io  vedendo  chi  vende  appruovo  per  ben  facto,  &  el  primo  venerdì 
Itene  calo  andhMo,  ma  ndn  lo  dite  a  Nencio'che  griderebbe  come  un  pazzo,  et  crederebbe 
ohe  io  havessi  un  bel  tempo.  Delle  condocte  nostre  intenderetene  la  riuscita  allo  arrivar 
Mostro:  Et  come  Piggello  è  venuto  per  consiglio  vedete  se  Tamioo  ha  poca  faccenda,  & 
tsome  può  mai  far  nulla  quando  va  per  consiglio  a  dhi  non  tesoYVe  nulla,  che  non  pnò 
calzar  meglio  questa  cosa,  che  un  che  non  fé  mai  nessuno  efecto  si  consìgli  con  chi  acn- 
chora  non  ne  fa  mai  alchuno,  sopra  che  mi  pare  che  lo  habbiamo  tractato  secondo  la  na- 
tura sua  &  no>stra.  E  mi  pare  vedere  «Il  Casa  &  Francesco  &  Luigji  venirvi  a  trar  di  casa 
apresso  lo  arrivar  vostro,  A  menarvi  a  un  solino  o  in  SancU  Maria  del  Fiore  per  votarvi 
et  intendere  tutte  le  cose  di  qua:  Ricordovi  che  quanto  più  vi  terrete  in  repotatio&e  più 
vi  stfcaerainno,  si  che  datele  loro  a  spizzico  '&  beccatello  :  ìk  racomandatemi  tal  voha  a 
loro,  et  dite  al  mio  Compare  Casa  che  m'abbi  per  raccomandato  in  questa  solitudine:  se 
non  che  io  non  mi  ricorderò  di  lui,  se  noi  passereno  e  monti,  &  che  io  li  farò  saccoman- 
toare  quello  spedahizzo  di  fava.  Delle  cose  di  qua  sendovi  comune  le  pnbUiclie  non  dirò 
altro.  Et  a  voi  mi  racomando.  Vale.  Ex  Blesis.  Die  vij  octobris  m.d.x. 

«  ì)ice  Monsignore  di  Qoattrefoys  che  li  facciate  bone  uno  ^  che  ha  pagato  j^  ìa 
lOttcAra  che  Tha  facta  buona  al  granattiere. 

«  Comp.  RoB.  Ac,  Or. 
(Di  fuori)  «  Sp.i>  Viro  Niccolò  Maclavello 

Secret.*  Fior.»*  Compri  Car.""« 

In  Florentia». 

*  Damtb,  Purgatorio,  xxxi,  60. 

*  Machiavelli,  Commiss.  cH.,  lett.  «  va  Bles,  die  84  àtigusti  1510  ».  —  MttÉlui,  Hi- 
•toirs  de  Franee  (anno  1510),  pag.  835  :  «  Il  courut  en  Franco  une  maladìe  poptolaire,  non 
toutefois  contagieuse,  quMls  nomoient  la  coqueluche,  à  cause  quo  comme  un  coqu^lochon 
elle  affubloit  la  teste,  les  espaules,  et  les  reins  avec  des  douleurs  insupportatries,  une  flèvre 
frénétiqiie  et  un  dégoust  de  toutes  viandes,  •|>^cial6ment  de  vin.  Peu  de  ^gens  en  furent 
•xeinpt,  grande  multitude  en  mourut,  et  les  medecms  «*en  sadnmt  trouver  le  rémedes,  en 


Digitized  by 


Google 


BBCONOO]  RITRATTI  DELLE  COSE  DELLA  FRANCIA.  509 

da  influsso  d'astri^  i  predicatori  da  castighi  dì  Dio,  per  certe 
malei  canzoni  che  erano  in  voga;  la  moltitudine  credula  e  su- 
perstiziosa ricorreva  ad;  amuleti  e  mandragore,*  di  cui  forse 
il  MachiaFolli  sentì  appunto  in  questa  occasione  stimolo  a  no- 
vellare o  farne  argomento  di  alcuna  opera  d'arte,  in  cui  l'in- 
gegno suo,  naturalmente  drammatico,  si  disfogasse. 

Certo  è  che  di  questa  dimora  in  Francia  che  è  la  più  lunga, 
ch'egli  vi  fece,  ebbe  a  portare  la  più  piena  conoscenza  delle 
cose  di  quella  nazione;  e  l'Acciaiuoli,  nella  lettera  citata  poco, 
sopra,  figura  già  come,  al  ritorao  di  lui  in  Prranze,  il  Gasa, 
Luigi  Guicciardini  e  Francesco  Vettori,  sian  per  farglisi  alle 
coste  e  trarlo  seco  in  disparte.  «  per  votarlo  e  intendere  tutte- 
le  cose  di  qua  >.^  Gli  elementi  principali  adunque  pe'suoi  Ri- 
tratti delle  cose  della  Francia,  i  più  particolari  appunti,  onde 
poi  ebbe  a  condurre  la  scrittura  che  ci  è  stata  tramandata 
sotto  questo  titolo,  egli  dovè  sommariamente  raccoglierli  in 
questa  gita.  Gli  restava  a  dar  buona  forma  alla  sua  rela- 
zione, ^  ad  armonizzare  i  dati  della  sua  esperienza  personale 

aurìbueroDl  la  cause  à  l'influence  des  astres  ».  —  Cf.  Desrubllbs,  Traile  de  la  Coque- 
Ittche,  Paris,  1827.  pag.  28,  che  ne  trae  retimologia  o  da  coqxMlicot  :  «  piante  dont  la  fleur 
servait  à  préparer  un  looch  pour  les  malades;  d*autrea  croient  qu'il  derive  de  cuculus, 
capacbon.  —  Cf.  Littré.  Dici,  de  la  langue  francaise. 

^  Il  Fblibibn,  Histoire  de  Paris,  t.  ii,  pag.  811,  allude  già  fin  dairanno  1429  alla  su- 
perstizione francese  delle  mandragore,  accennando  alla  predica  d*nn  tal  frate  Richard 
di  quell'anno  :  «  Le  prédicatenr  vint  aussi  à  bout  de  faire  brQler  plusiears  madagoires, 
mandragores,  ou  mains  de  gioire,  qne  beaucoup  de  gens  gardaient  sottement  et  sapersti- 
tieusement,  dans  la  persnasion  qu'  ils  ne  seroient  jamais  panvres,  tant  qu'ils  les  conser- 
▼eroìent  dans  da  linge  propre  ou  des  étoffes  de  soie  ». 

«  Vedi  Lett.  cit.,  pag.  508* 

*  Che  un  primo  abbozzo  di  questo  scritto  dovesse  essere  del  tutto  ruvido  e  non  cosi 
destinato  alla  pubblicazione  ci  viene  comprovato  da  alcuni  incisi,  riboccanti  di  formule 
latine,  non  solite  nelle  ordinate  scrittìire  di  Niccolò,  evitate,  per  quanto  fu  possibile  poi 
agli  editori,  con  traduzioni  letterali.  Se  ne  può  aver  saggio  nel  seguente  brano  :  «  L'ufficio 
del  gran  cancelliere  è  merum  imperiumj  et  può  graziare  et  condennare  a  suo  libito  etiam 
in  eapitalibui  sine  consensu  regi».  Può  rimettere  i  litiganti  contumaci  nel  buono  di;  può 
conferire  i  benefizi  de  consensu  regis;  tamen  perchò  le  grazie  si  fanno  per  lettere  reali 
sigillate  col  gran  sigillo  reale,  però  lui  tiene  il  gran  sigillo.  Il  salario  suo  è  diecimila 
franchi  Tanno  e  ij  mila  franchi  per  tener  tavola  <».  —  Le  edizioni  ledono  tutte  al  luogo  di 
quest'ultimo  numero  «  undicimila  »,  ma  la  cifra,  data  a  quel  modo  da  un  manoscritto  della 
Biblioteca  Nazionale  fior.,  di  cui  più  oltre  terremo  ragione,  è  la  più  verosimile.  Lo  stesso 
caso  si  ripete  ove  Niccolò  discorre  dei  maestri  di  casa  del  re  :  «  E  dipoi  il  gran  maestro, 
che  successe  in  luogo  di  monsignor  di  Ciamonte,  è  monsignor  della  Palissa,  il  padre  del 
quale  ebbe  già  il  medesimo  ufficio,  che  ha  ìj  mila  franchi,  e  non  ha  altra  autorità  che  es- 
sere sopra  gli  altri  maestri  di  casa  ».  Ora,  poiché  il  salario  degli  altri  maestri  di  casa  è 
«  chi  mille  franchi,  chi  più  e  chi  meno  come  pare  al  re  »,  cosi  è  più  probabile  che  al  luogo 
indicato  debba  lecersi  duemila  e  non  «  undicimila  »  come  le  edizioni  danno.  —  È  oltre  a 
ciò  notevole  che  molte  altre  notizie  e  considerazioni  sottili  intomo  alle  cose  di  Francia 
furono  dal  M.  poi  disseminate  in  parecchi  luoghi  delle  Opere  e  che  avrebbero  trovato 
posto  acconcio  in  questi  Ritratti,  s'egli  li  avesse  condotti  a  polimento  ;  come  sarebbero  una 
più  particolareggiata  descrizione  della  forma  del  governo,  dell'amministrazione  della  mi- 
lizia, della  costituzione  e  autorità  del  Parlamento,  della  bontà  delle  artiglierie,  delle  sara- 
cinesche a  graticola,  ecc.  {Ct  Principe,  ni,  xiii,  xix.  —  Arte  della  guerra,  lib.  i  e  vi). 


Digitized  by 


Google 


510  CAPO  SESTO.  [libbo 

colle  tradizioni  etnografiche  deirantichità  classica;  ed  a  com- 
piere cosiffatto  lavoro,  distrattone  forse  prima  dall'agitazione 
politica  che  non  dava  agio  a  quiete  opere  nella  cancelleria, 
ebbe  probabilmente  ad  attendere  dopo  il  ritorno  dall'ultima 
sua  commissione  in  Francia,  quando  agli  altri  esempi  già  da 
lui  annoverati  a  prova  del  carattere  che  i  Francesi  sogliono 
dimostrare  nella  guerra,  potè  aggiungere  anche  quello  più 
recente  della  battaglia  di  Ravenna.*  Ma  l'inciso  in  cui  si  ra- 
giona di  questa  battaglia  sta  come  da  sé  ;  può  essere  stato  pro- 
babilmente oggetto  d'una  insinuazione  posteriore;  e  ne  assume 
l'apparenza  quando  si  ponga  mente  che  lo  stato  delle  relazioni 
della  Francia  coi  popoli  vicini,  così  com'è  descritto  in  tutta 
questa  relazione,  la  notizia  minuta  delle  cose  e   degli    uffici 

^  A  nostro  credere,  la  forma  dì  questo  passaggio  nei  RUraiti  di  Francia,  à  tutta  1*  im- 
pronta d'una  posteriore  insinuazione;  (V.  Opp,  del  M.,  ediz.  ult..  t.  vi,  pag.  300)  la  quale 
comincerebbe  alle  parole  :  «  Il  medesimo  interveniva  a  Ravenna  agli  Spagnuoli  »  e  termi- 
nerebbe a  pag.  301  (lin.  2)  colle  parole  :  «  non  fu  tanto  grande  strage  ».  —  Del  resto  il  Ma- 
chiavelli descrive  a  questa  maniera  il  carattere  de*  Francesi,  rispetto  alla  guerra  :  «  I  Fran- 
cesi sono  per  natura  più  Aeri  che  gagliardi  o  destri,  ed  in  un  primo  impeto,  chi  può  resi- 
stere alla  ferocità  loro,  diventano  tanto  umili,  e  perdona  in  modo  Tanimo,  che  divengono 
vili  come  femmine....  e  però  chi  vuole  superare  i  Francesi  si  guardi  dal  primo  loro  impeto; 
chò  con  lo  andarli  intrattenendo,  per  le  ragioni  dette  di  sopra,  li  supererà.  E  però  Cesare 
disse,  i  Francesi  essere  in  principio  più  che  uomini,  e  in  fine  meno  che  femmine  ».  —  Come 
è  facile  rilevare,  anche  questa  citazione  del  Machiavelli  è  erronea,  ed  egli  stesso  ebbe  a 
correggerla  quando  n^'  DìÈConi  (lib.  ni,  cap.36)  ricordò  quanto  Tito  Livio  più  volte  dice: 
«  che  i  Franciosi  sono  nel  principio  della  zuffa  più  che  uomini,  e  nel  successo  di  combat- 
tere riescono  poi  meno  che  femmine  »  alludendo  al  passo  del  lib.  ix,  cap.  28  Hiiìor.: 
«  Gallorum  quidem  etiam  corpora  intolerantissima  laboris  atque  aestus  fluere.  primaque 
proelia  plus  quam  virorum,  postrema  roinus  quam  feminarum  esse  ».  —  Cf.  CoBio,  Hi$taria 
di  Milano,  parte  v.  «  Ma  il  conte  Francesco  Sforza  gli  confortava  che  stessero  di  buon 
animo,  che  presto  gli  porgerebbe  aiuto,  et  considerassero  ancora  che  i  Francesi  nel  primo 
impeto  sono  più  che  huomini».  E  nello  Spavento  d'Italia,  poemetto  sopra  citato: 

«  Credete  a  me  eh*  io  so  la  loro  usanza 

Perch*io  conosco  la  furia  di  Pranza». 

E  Alvisb  Contabini  {Relaz.  venete^  ed.  ALBéai,  voi  iv,  pag.  240)  :  «  Dei  costumi  e  natura 
dei  Francesi  in  universale  è  veramente  cosa  degna  d'ammirazione  che  quasi  tutte  quelle 
qualità,  che  si  legge  negli  autori  antichi  di  1500  e  più  anni,  che  in  quei  tempi  aveva  la 
nazione  francese,  le  medesime  si  vede  essersi  conservate  sino  al  presente,  com*ò  Tesser 
furiosi  e  impazienti;  e  però  nelle  guerre  e  battaglie  son  nel  principio  più  che  uomini,  enei 
fine  manco  che  femmine.  E  per  questo  si  vede  che  nei  tempi  passati  chi  ha  potuto  so- 
stentar il  primo  impeto  de*  Francesi,  col  tempo  straccandoli,  e  lasciando  intepidir  quel 
primo  ardore,  li  ha  facilmente  superati,  non  vi  essendo  per  loro  alcun  maggiore  inimico 
che  Taspettare  ».  —  Il  Voltaibb,  Dici,  philos  :  «  Le  fond  du  Francala  est  tei  aujourd*hui 
que  Cesar  a  peint  le  Oaulois.  prompt  à  se  résoudro,  ardent  à  combattre,  impétueux  dans 
Tattaque,  se  rebutant  aisément  ».  —  Lo  Jomini,  Précia  de  l'art  de  la  guerre,  pag.  77,  con- 
ferma con  esempi  moderni  Tantica  sentenza:  «  Les  Francais...  dont  les  vertus  militairs 
n'ont  jamais  été  mises  en  question  quand  ils  ont  été  bien  conduits,  ont  vu  souvent  de  ces 
alerts  qu*il  est  permis  de  nommer  ridicules.  Qui  ne  rappelle  Tinconcevable  terreur  panique 
dont  rinfanterie  du  maréchal  de  Villars  fut  saisie  après  avoir  gagné  la  bataille  de  Fried- 
lingen  (1701)1  la  méme  chose  eut  lieu  dans  Tinfanterie  de  Napoléon  apròs  la  victoire  de 
Wagram,  lorsque  Tennemi  était  en  ple'me  retraite.  Et.  ce  qui  fut  plus  extraordinaire  encore, 
c*est  la  Jéroute  de  la  07<ne  demi-brigade  au  siège  de  Qénes,  ou  1500  hommes  fuyaient  de- 
vant  un  peloton  de  hussards.  tandis  que  ces  mémes  hommes  enlevèrent  deux  jours  après 
le  fort  du  Diamant,  par  un  des  coups  de  miUns  le  plus  vigoureux  de  rhistoire  moderne  ». 


Digitized  by 


Google 


8BCONDO]  RITRA  TTI  DELLE  COSE  DELLA  FRANCIA.  311 

della  corte,  1  l'assenza  d'ogni  tratto  tendente  a  dipingere  l'in- 
dole personale  del  re  e  la  falsa  direzione  della  politica  di  lui, 
che  il  Machiavelli  giudicò  poi  tanto  severamente,  ci  rappre- 
sentano condizioni  di  tempo  anteriori  a  quel  della  battaglia 
di  Ravenna  e  dell'ultima  commissione  di  Niccolò  in  Francia; 
ci  rappresentano  un  tempo  in  cui  le  cose  erano  ancora  più  in 
bilico,  gli  animi  più  aspettanti,  la  fortuna  francese  meno  esposta 
a  pericoli,  le  faccende  ecclesiastiche  meno  turbate,  meno  ac- 
cennanti a  procella;  i  Fiorentini  men  trepidanti  e  meno  indi- 


>  I  nomi  degli  alti  dignitari  dello  stato  e  degli  ufficiali  della  corte  di  Francia,  come 
li  dà  il  Machiavelli,  non  sono  facilmente  riconoscibili  a  chi  li  ragguaglia  co'  dati  degli 
storici  e  cronisti  francesi  contemporanei  Ciò  parve  al  Deltuf  «  une  étranges  manie  ».  Com'ò 
naturale,  il  Segretario  fiorentino  li  notò  secondo  che  udiva,  trasportando  i  suoni  della  pro- 
nuncia francese  d'allora  nella  scrittura  italiana.  Gli  editori  poi.  interpretando  male  Io 
scrìtto,  rincararono  la  dose  delle  difficoltà,  tanto  che  il  venirne  a  capo  parve  cosa  ardua 
agli  stessi  traduttori  francesi  delle  Opere  del  M.  I  signori  del  consiglio  del  re,  i  consiglieri 
dì  stato,  vengono,  per  esempio,  indicati  a  questa  guisa  :  «  monsignor  di  Parigi  (Estienne 
Poncher,  garde  des  sceaux  de  Franco,  en  titre  d'office.  Il  etoit  le  cent-deuxièsme  Evesque 
de  Paris  »  Ct.  Jban  lb  Féron,  HUtoire  dea  connestables,  chanreliera  et  gardea  de^  sceauoc, 
maréachaucCf  admiraucc,  sur^intendans  de  la  naviffation  etgenerauac  desgaléres  de  France, 
Paris,  1658).  —Monsignor  «  di  Buonavoglia  »  (edd.  ult.  e  1843)  «  di  Buovaglia  »  (edd.  1857,  1852, 
Cambiagi  1782)  che  il  Buchon  traduce  :  «  les  èvéques  de  Paris  et  de  Beauvais  ».  La  copia 
manoscritta  della  Bibl.  Naz.  fior.,  doc.  M.,  busta  vi,  n.  83,  lascia  leggere  «  di  busecall  »  o 
«  busciall  »  e  questi  sarebbe  quel  medesimo  che  della  lettera  «  ex  Bles.  die  21  julii  1510  » 
nell'edìz.  ultima  è  chiamato  «  monsignore  di  Bucciaglia  »  e  nelle  precedenti  Bunicaglia.  U 
DsLTur  (Essai  sur  M.  avee  la  traduction  Uttérale  du  Prince  et  de  quelques  fragments 
historiques  et  lUtéraires)^  pag.  184,  lo  tramuta  in  «  Bonnechose  »  ;  il  Buchon  nella  versione 
della  lettera  suindicata  lo  rende  per  «  Boucicaut  ».  —  Il  bagli  di  Amiens,  monsignor  di  Bussi 
(Michael  de  Bucy,  vescovo  di  Bourges)  e  il  gran  cancelliere  (Jean  de  Oanay,  chancelier 
de  France.  Tbsskbad,  Histoire  chronologique  de  la  grande  chancellerie  de  France ^  i,  78). 
V.  per  la  descrizione  del  carattere  personale  dei  membri  del  Consiglio  regio  la  bella  let- 
tera del  M. «ex  Bles,  die  21  julii  1510». —  «L'ammiraglio  di  Francia.... è  ora Prejanni  ». 
Di  costui,  come  del  «  capitano  Pregianni  »,  è  menzione  in  una  lettera  dei  Dieci  all' Ac- 
ciainoli «die  ij  septembris  1510».  (M.,  Opp.,  ediz.  ult.,  voi.  vii,  pag.  14).  Cf.  Marim  Sa- 
ndro, Diarii,  VI,  543  :  «  il  re  di  Pranza  à  spazà  pre  lam,  capitanio  di  5  galle  armate  in 
Marseia  per  le  cose  di  Zenoa  (febb.  1507).  Ibid.,  vn,  36;  ibid-,  87,  ove  è  detto  «capitanio 
de  questa  riviera  de  Zenova  »,  e  ibid.,  vii,  50  «  capitanio  de  Pranza  ».  Era  Prégént  de 
Brìdoux.  Il  M.  scrive  «  ora  »  e  ciò  significa  che  questo  inciso  è  posteriore  al  1510,  epoca 
in  cui  mori  Carlo  d'Amboise,  signore  di  Chaumont,  che  fu  ammiraglio,  dopo  il  Graville,  per 
insino  a  quel  tempo.  Parimenti  «  il  gran  maestro  in  luogo  di  monsignor  di  Ciamonte  è  mon- 
signor della  Palisse  »  cioè  «  Jacques  de  Chabanes  seigneur  de  la  Palisse  et  de  Pacy  ou 
Passy  ».  —  I  comandanti  degli  arcieri  deputati  alla  guardia  della  persona  del  re  che  il  M. 
chiama  «  monsignore  Dubegni  Cursores  e  il  capitano  Qabriello  »  sono  il  conte  d'Aubigny, 
Jacques  de  Carsol,  e  Oabriel  de  la  Chastre.  (Cf.  Baudibr,  op.  cit.)  —  Quanto  ai  capi 
de*  gentiluomini  del  re  che  il  M.  dice  esser  due,  uno  per  ogni  cento  gentiluomini,  è  assai 
probabile  che  sia  corso  un  grosso  svarione,  e  che  gli  editori  abbiano  dato  per  indicazione 
di  due  persone  quella  che  non  ne  designava  che  una  medesima  e  sola.  Il  testo  infatti 
dice:  «  et  ogni  cento  hanno  un  capo  che  soleva  essere  Ravel  e  Vidames  ».  Il  Baudibr,  loc. 
cit.,  allega:  «le  marquis  de  Rothelin  capitaine  de  cent  gentilhommes  de  la  maison  du 
roy  ».  II  Buchon,  traducendo  il  passaggio  del  M.  scrive  :  «  Cent  hommes  formant  une  com- 
pagnie, dont  le  capitaine  est  ordinairemefat  un  vidaroe  ».  —  È  pertanto  assai  verisimile 
che  d'un  solo  «  Rothelin  Vidame  »  siansi  foggiati  i  «  Ravel  et  Visdasmes  »  contro  le  in- 
tenzioni del  M.,  il  quale  se  avesse  voluto  indicare  due  persone,  piuttosto  che  una,  non 
avrebbe  messo  il  veibo  in  singolare,  ma  bensì  avrebbe  scritto  «solevano»  in  luogo  di 
«  soleva  ».  È  ovvio  poi  il  significato  di  vidame  e  di  vidamie  in  Francia,  come  titolo  di 
feudo  ereditario. 


Digitized  by 


Google 


512  OAPO  SESTO.  [ubbo 

spettiti  d' un'alleanza  serbata  da:  loro  con  tenacia  irragionevole* 
e  senza  frutto- 

Pongasi  mente  oltracciò,  a  questa  flatto:  che  laddove  ogni 
altrx)  rapporto,  composto  dal  Machiavelli   à  radice  manifesta 
nelle  lettere  della  commissione  precedente  (e  crediamo  avierlo 
dimostrato  abbastanza  in  tutto  il  corso  idelFopera);  questi  suoi 
Ritratti  di  Francia  paiono  piuttosto  indipendenti  dalle  con- 
dizioni transitorie  e  occasionali^  dellà<  politica  quotidiana;  e  se  • 
qualche  appicco  li  ricongiunge  co*  carteggi  ufficiali  di  lui,  ciò 
incontra  piuttosto  colle  lettere  di  questa  commissione  del  1510, 
che  di  altre  posteriori.^  E  siffatta:  osservazione  c'induce  pur 
anche  ad  argomentare   che  i  Ritratti  di  Francia  del  Segre- 
tario fiorentino,  non  furon  tanto  il  resultato  della  temporanea 
osservazione  sua  nella  dimora  fatta  alla  corte  del  Cristianis- 
simo, quanto  il  portato  dell'inveterato  risentimento  delle  con- 
tinue pratiche,  provocato  in  lui  dalle  infide  vicende  della  po- 
litica francese  nelle  relazioni  con  Firenze  e  con  l' Italia.  Per- 
tanto ci  par  fuori  di  dubbio  che  non  si  possa  mettere  accanto, . 
come  membro  d'un   corpo  istesso  colla  relazione  accennata, 
l'altro  scritterello  più  breve  e  più  mordace  intitolato:  Della  na- 
tura de* Francesi.  Infatti  gli  esempi  che  in  questo  si  allegano 
rivanno  tutti  ad   avvenimenti  più   remoti,  all' Elntragues,   al. 
campo  francese  sotto  Pisa,  al  Valentino,  alla  richiesta  di  Mon- 
tepulciano dai  Sanesi;^  mentre  invece  n^'  Ritratti  si  parla  già 
della  giornata  di  Vaila  e  vi  si  ragiona  degli  Svizzeri  come  di 
vicini  pericolosi  per  la  Francia,  senza  punto  far  motto  né- 
delle  condotte  che  dal  re  erano  usi  ricevere,  né  della  sedu- 
zione fatta  loro  per  maneggi  dal  pontefice.  Oltre  a  ciò,  nella 
Biblioteca  Nazionale  fiorentina  ^  v'  à  una  copia  dèi  Ritraiti  di 
Francia  e  d' Alenuigna,  che  non  è  autografa,  del  Machiavelli, 
ma  certo  è  scrittura  contemporanea  e  proviene  dall'archivio 
mediceo;  la  quale,  mentre  offre  non  poche  e  non  lievi  varianti 
coi  testi  già  impressi,"^  manca  d'alcuni  incisi,  e  non  comprende 


*  Cf.  Riiralti  di  Francia,  ed.  alt.,  loc.  cit.,  pag.  310:  «  Non  si  tiea  adesso  tavola  per 
nissuno.  dopo  morto  il  cardinale  di  Roane.  Perchè  il  gran  cancelliere  non  ci  è,  fa  l*atBcio 
Parigi  ».  —  Ibid.  «  et  in  facto  Rubertet  et  monsignere  di  Parigi  governano  il  tutto  ».  — 
Comm.  cit.,  lett.  «die  21  julii  1510»  «Monsignore  di  Parigi,  uno  di  quelli  che  oggi  si 
trnovono  ad  governare». 

*  Lo  scritto  Della  natura  dé'Franeesi,  non  occorre  che  negli  Apografi  del  Ricci, 
S  XXXV,  e  nel  barberiniano  pag.  111-112.  V.  in  Àpp.,  loc.  cit.  Ebbe  pertanto  a  restar  sempre 
fra  le  carte  private  del  Machiavelli. 

s  Bibl.  Naz.  ìlor.,  doc.  M.,  busta  vi,  n.  83. 

*  Forse  ebbe  ad  esser  cognita  agli  editori  delle  Opp.  complete  di  N.  M.  FIrence,  Usi 


Digitized  by 


Google 


secondo]  ritratti  delle  COSE  DELLA  FRANCIA.  513 

affatto  quel  codazzo  Della  natura  dei  Francesi,  che  s'appiccò 
poi  al  testo  della  relazione  primitiva.  Ci  lascia  insomma  chia- 
ramente intendere  quel  che  dalle  attente  osservazioni  già  tra- 
spariva; che  cioè  di  questo  rapporto,  come  intervenne  di  tutti 
gli  altri  compilati  dal  Segretario  fiorentino,  v'ebbero  parecchie 
redazioni;  che  da  un  primo  nucleo  di  scrittura  ufficiale  si  ge- 
nerarono man  mano  molteplici  copie,  le  quali  accolsero  col 
tempo  modificazioni  di  forma,  accrescimenti  occasionali,  ag- 
giunte che  non  mutarono  gran  fatto  del  primo  fondo;  ma  che 
possono  illudere  il  criterio  di  chi  vi  faccia  computi  cronologici 
intomo.  Ora  benché  il  testo  ultimo,  quello  a  stampa,  siccome 
il  più  comprensivo  ebbe  ad  essere  il  più  diffuso  e  il  meglio  ac- 
cetto; non  è  diflScile  a  chi  l'esanima,  riconoscere  che  lo  scrit- 
terello  della  Natura  dei  Francesi,  apposto  presso  a  quello  come 
per  nesso  logico  dagli  editori,  se  ne  dovrebbe  trovare  le  mille  • 
miglia  distante,  dacché,  non  s'incontra  .mai  prossimo  su' ma- 
noscritti, dacché  le  idee,  in  quello  appassionatamente  accu- 
mulate, vi  si  veggono  parte  incorporate  e  parte  corrette  o  ri- 
fiutate; ^  dacché    il    risentimento  nazionale  é   il  movente  che 

gli,  1857,  i  quali  attinsero  per  lo  meno  ad  una  copia  di  questa  copia,  seppure  non  trascu- 
rarono l'esatta  lezione  del  testo. 

^  L'unica  allusione  del  Machiavelli  che  ci  occorra  nella  Commissione  del  1510  circa 
la  Ni^ura  de'Francesif  è  nella  lett.  28  della  medesima  (ed.  ult.,  Opp.,  t.  vi,  pag.  60)  nella 
quale  si  dice  :  «  La  natura  loro  è  essere  ordinariamente  sospettosa,  e  tanto  sospetton  più 
di  voi,  quanto  e'  vi  hanno  per  più  savi  e  per  uomini  che  desiderate  meno  arrischiare  le 
cose  vostre  ».  Questa  affermazione  si  raccoglie  forse  nella  più  concisa^  sentenza  dell'altro 
scrìtto  (ediz.  cìt.,  vi,  pag.  311)  :  «  Sono  piuttosto  taccagni  (taquins)  che  prudenti  ».  — Circa 
all'altra:  «  sono  più  cupidi  de'  danari  che  del  sangue  »,  cf.  più  sopra  a  pag.  385  la  risposta 
data  da  re  Luigi  all'oratore  Pandolfini,  dai  Dispacci  del  quale  sembra  desunto  l'inciso  ag- 
giunto  dal  M.  Cf.  Desjabdins,  op.  cit.,  t.  ii,  pag.  189.  —  Tutte  le  altre  caratteristiche, 
secondo  le  quali  Nicolò  efficacemente  tratteggia  il  nati^rale  de'  Francesi,  si  possono  ricon- 
durre a  questo  capo:  «badano  più  al  presente  che  non  al  passato  o  all'avvenire;  sono 
varii  e  leggieri  ».  E  tali  qualità,  siccome  costanti  per  ogni  tempo  e  proprie  della  razza 
celtica,  vennero  dagli  stessi  connazionali  facilmente  riconosciute.  Il  Taine,  fra  i  recenti, 
nelle  Origines  de  la  France  contemporaine,  1. 1,  pag.  315  :  «  il  est  Fran^ais,  c'est  à  dire 
excitable  et  communicatif,  aisément  jetó  hors  de  son  assiette  et  prompt  à  re^evoir  les 
impulsions  étrangères,  depourvu  du  lest  naturel  que  le  tempórament  flegmatique  et  la  con- 
centration  de  la  pensée  solitaire  entretiennent  chez  ses  voisins  Germains  ou  Latins  ».  — 
Cf.  TopiNARD,  Anthropologie,  pag.  431,  il  quale  allega  l'autorità  del  Bruce,  {Handbooh 
of  elhnology,  Londra,  1863)  :  «  Le  Frangais  tient  des  trois  grandes  races  dont  il  derive. 
Par  son  caractère  brillant  et  belliqueux,  sa  passion  de  parade  et  d'effet,  son  enthousiasme 
soudain,  qu'égale  un  dócouragement  facile,  sa  promptitude  à  se  laisser  gouvemer  par  des 
chefs  militaires,  son  goùt  pour  les  arts  et  les  omements,'  son  entrain,  sa  légèreté,  sa  ga- 
lanterie, il  est  franchement  colte  ».  —  Lo  Spencer,  Sociologie,  cap.  vi,  pag.  130:  «  La  France 
ne  cesse  de  déraontrer  au  monde,  dépuis  trois  générations  que  s'il  est  une  chose  impossible 
c'est  d'altérer  les  caractères  essentiels  d'une  organisation  sociale  au  moyen  de  ré-arran- 
gements  effectués  révolutionnaìrement  ».  —  Le  altre  particolarità  che  il  M.  de'  Francesi 
accenna  come  contrapposto  all'indole  nazionale  degl'Italiani  anno  aspetto  di  condizione 
transitoria  e  attestano,  più  che  altro,  la  permalosità  di  vicini  disposti  da  natura  a  ben  vi- 
vere separati  e  però  gelosi,  nelle  loro  relazioni  di  prossimità,  per  sospetto  dell'indipendenza 
reciproca.  Quindi  la  taccia  che  i  Francesi  «  stimino  in  molte  cose  l'onor  loro  grossamente, 

ToMMASiMi  -  Machiavelli.  -  33 


Digitized  by 


Google 


514  CAPO  SESTO.  [ubbo 

aguzza  ogni  sentenza  del  Machiavelli  in  quell'embrione  di  com- 
ponimento, in  cui  intende  a  tratteggiare  T  indole  francese  per 
contrapposto  a  quella  italiana;  mentre  le  idee  che  svolge  nei 
-Ritraiti  di  Francia,  anno  una  parte  tutta  oggettiva,  che  è  la 
migliore,  e  nasce  dall'osservazione  propria  del  Segretario;  e  per 
.altra  parte  possono  tutte  spiccarsi  da  pochi  sommi  capi,  quali 
sarebbero  la  tradizione  classica  più  o  meno  sincera,  e  ora  si- 
gnoreggiante  colla  violenza  d'un  pregiudizio,  ora  sfruttata 
come  una  sentenza  autorevole  a  prò  dell'opportunità;  *  la  no- 
tizia più  0  men  completa,  più  o  meno  esatta  della  storia  con- 

e  disforme  al  modo  dei  signori  italiani  »  non  à  importanza  oltre  la  contingenza  storica  che 
potò  provocarla.  Cf.  Goicciabdini  {Si.  d'Italia,  lib.  ix)  :  «  il  re  di  Francia  anendo  meno  ri- 
spetto alla  dignità  che  alla  quiete,  esser  disposto  a  consentire  molte  cose  di  non  piccolo 
pregiudizio  al  Duca  (di  Ferrara)  ».  —  Similmente  Taltra  affermazione  che  i  Francesi  «  sono 
inimici  del  parlare  romano  e  della  fama  loro  »  indica  il  diverso  stadio  di  civiltà  cui  la 
,  nazione  Italiana  e  la  francese  erano  già  pervenute  nel  principio  del  secolo  decìmosesto: 
quella  più  colta  e  men  ferma,  questa  più  potente  e  più  certa.  Cosi  il  linguaggio  opposto 
al  parlare  romano,  s'intende  essere  Tantico  francese  tra  normanno  e  piccardo,  quello  del 
Marot,  del  Gr^oire,  del  Lemaire  de  Belges,  del  Villon,  V  idioma  volgare  e  nasionale,  di- 
spettoso del  grammatiche^iar  latino,  al  quale  sta  per  toccare  la  sarcastica  stretta  di  collo 
da  Pantagrael.  (V.  Rabblais,  lib.  ii»  cap.  6.  Comvtiént  Pantagrttel  rincontra  ung  lAmoauh 
qui  coiUrefaitoU  le  languaige  Frantoi»,  Cf.  Cbasles,  Histoir^  d€  la  liuératur0  €l  da  la 
langué  francaises  pendant  le  XVI  siècle).  Ed  è  a  osservare  come  iV  M. desse  in  questo  caso 
alla  romanità  un  termine  d'antitesi  non  notato  dal  Pabis  (Cf.  Romania,  voi.  i,  pag.  1-22) 
e  constatante  il  fatto,  con  una  giustezza  d'espressione,  insolita  negli  scrittori  dei  tempi 
suoi.  Non  è  inutile  ricordare  a  questo  proposito  il  ritornello  della  ballata  del  Villom: 

«  Prince.  aux  dames  parisiennes 
De  bien  parler  donnez  le  prix; 
Quois  quW  die  d'Italiennes^ 
Il  n'est  bon  bec  que  de  Paris  ». 

Del  resto  ò  evidente  che  ne^MlratU  di  Francia  del  M.,  o  si  riproduce  un  motteggia  allora 
in  voga  tra  gì*  Italiani,  temperanti  coli* ironia  Tamarezza  loro  e  1* infelicità  patria;  o  nel 
seguente  inciso  v*  ò  manifesta  influenza  della  Relasione  di  Spagna  del  Guicciabdcu 
(1512-1513),  ed  in  tal  caso  sarebbe  anche  a  rìsguardare  come  un  notamente  posteriore;  e 
ne  à  infatti  tutta  l'impronta,  per  essere  collocato  in  posto  ove  non  incontra  alcun  logico 
richiamo  :  «  La  natura  dei  Francesi  è  appetitosa  di  quello  d*altri,  di  che  insieme  col  suo  e 
deiraltrui  è  poi  prodiga.  E  però  if  Francese  ruberìa  con  lo  alito  per  mangiarselo  e  man- 
darlo male  e  goderselo  con  lui  a  chi  lo  ha  rubato.  Natura  contraria  alla  spagnuola,  che 
di  quello  che  ti  ruba,  mai  ne  vedi  niente  ».  Il  Guicciaboini,  loc.  cit.,  Opp.  ined.,  voi.  vi, 
pag.  S77  :  «  però  si  dice  che  ò  migliore  signore  il  franzese  che  lo  spagnuolo,  perchè  tutti 
a  due  spogliano  i  sudditi  ;  ma  il  franzese  subito  spende,  lo  spagnuolo  accumula  ;  e  anche 
lo  spagnuolo  per  essere  più  sottile,  debbe  sapere  meglio  rubare  ».  —  Certo  è  che  gli  Spa- 
gnuoli  medesimi  proverbiavano  i  Francesi  pel  loro  modo  di  scialacquare  gli  acquisti.  Cf. 
Mabin  Sanudo,  Diarii,  iv,  468,  ove  da  Lorenzo  Soarez,  orator  Ispano,  sì  dice  «  Francesi 
gana  muchio  e  tiene  poche  ». 

>  Vedemmo  già  più  sopra  la  falsa  citazione  di  Cesare  fatta  dal  Machiavelli,  corretta 
poi  da  lui  medesimo  ne*  Ditcorsi.  Tuttavia,  dove  egli  chiama  i  Francesi  «  insopportabili 
(secondo  le  edizioni  :  «  incomportabili  »)  dei  disagi  ed  incomodi  »  ed  afferma  che  «  con  il 
tempo  straccurano  le  cose  loro  in  modo,  che  ò  facile,  con  il  trovarli  in  disordine  supe- 
rarli »,  è  chiara  allusione  a  Cbsabb,  De  bello  gallico,  lib.  iii,  cap.  xix  :  «  nam  ut  ad  bella 
suscipienda  Gallorum  alacer  ac  promptus  est  animus,  sic  moUis  ac  minime  resistens  ad 
calamitates  perferendas  mens  eorum  est».  -~  Cosi  l*«ut  sunt  Gallorum  subita  et  repen- 
tina Consilia  »  (ibid.,  lib.  in,  cap.  8)  e  il  «  sunt  in  consiliis  capiendìs  mobiles  et  novis  pie- 
rumque  rebus  student  »  (lib.  iv,  cap.  5)  generarono  il  :  «  sono  vari  e  lepori  »  del  Ma- 
chiavelli. Similmente  in  fondo  alla  dipintura  etnografica,  economica  e  politica  che  il  Se- 
gretario fiorentino  fa  del  reame  di  Francia  s*  intravede  il  disegno  già  tracciato  daCESABE 


Digitized  by 


Google 


secondo]  ritratti  DELLE  COSE  DELLA  FRANCIA.  515 

temporanea;^  T informazione  minuta  de'  singoli  offici  della  corte 
e  de*  congegni  amministrativi  del  regno. 

{De  beUo  gaUieo,  lib.  vi,  cap.  13):  «  In  omni  Oallia  eonim  hominum  qui  aliquo  sunt  nu- 
mero atque  honore  genera  sunt  duo  ;  nam  plebs  paene  serronim  habetur  loco,  quae  per  se 
nihil  audet  (—  sono  i  popoli  di  Francia  umili  e  ubbidientissimi....  sono  per  le  terre  tutti  igno- 
bili e  gente  di  mestiere,  e  stanno  tanto  sottoposti  annobilì,  e  tanto  sono  in  ogni  azione 
depressi,  che  sono  vili  — ),  et  nullo  adhibetur  Consilio.  Plerìque  quum  aut  aere  alieno  aut 
magnitudìre  tributo  rum  aut  injuria  potentiorum  praemuntur,  sese  in  servitutem  dicant 
nobilibus,  in  hos  eadem  omnia  sunt  jura,  quae  dominis  in  servos.  Sed  de  bis  duobus  ge- 
neribuB  alterum  est  druidum  (i  prelati)  alterum  equitum  (i  baroni),  etc.  L'avversione 
dflgl*  Italiani  poi  contra  a'  vani  conquistatori  del  loro  paese  V  indusse  ad  usuf ruttare  1  testi 
classici  a  fondamento  di  contumelie  rettoriche.  (Cf.  Pietro  Mabtibb  d'Anglkria,  Opu8 
Epistol.,  121,  207,  208.  E  già  a  questo  proposito  aveva  scritto  Enba  Silvio  Piccolomini, 
Kpp.,  lib.  I,  XI.  «  Mihi  enim  ut  credas  velim,  nullum  esse  quae  Qallorum  superat  ambitio- 
nem:  nostri  preeterea  inimici  sunt,  nec  unquam  nostri  sanguinis  hominem  diligunt.  Nam 
cum  sint  ipsi  pieni  fastu,  viderìque  optimi  velint  potius  quam  esse,  Italos  oderunt,  maxime 
quo  se  prsecellunt.  Et  quia  eos  virtute  nequeunt  imitari,  invidia  prosequuntur.  Et  quibna 
ipsi  potissimum  abundant  vitiis,  ea  generi  nostro  ascribunt  ». 

>  La  prima  parte  dei  Ritratti  di  Francia,  ove  il  M.  espone  le  cagioni  per  cui  quel 
regno  à  ingagliardito  la  propria  compagine,  riceve  acconcio  commento  dalle  opere  del  Lb> 
GBNAI8,  Hittoire  de  Louis  XI,  son  iiècle,  set  eacploits  comfM  dauphin,  ses  dÀx  ans  d'admi- 
ttistration  en  dauphiné,  ses  cinq  ans  de  résidanee  en  Brabant  et  son  régne,  Paris, 
Didot,  1874,  e  del  Dcput,  Histoire  de  la  réunion  de  la  Bretagne  à  la  France,  Paris,  1880. 

—  Laddove  il  M.,  dopo  aver  accennato  alla  presura  di  Luigi  XII,  nella  giornata  di  Bre- 
tagna, alla  battaglia  di  Saint*Aubin  du  Cormier,  scrive  :  «  e  fu  disputa,  morto  che  fu  il 
re  Carlo,  che  per  quel  mancamento  o  defezione  dalla  Corona,  lui  dovesse  aver  perso  il 
poter  succedere;  et  se  non  che  lui  si  trovò  uomo  danaroso  per  la  masserizia  che  aveva 
fatta,  e  potette  spendere,  etc.;  e  dipoi  quello  che  poteva  esser  re,  rimosso  lui,  era  piccol 
fantino,,  cioè  monsignore  d'Angulem  ;  et  anche  questo  re,  et  per  le  ragioni  dette,  e  per 
avere  qualche  favore,  fu  creato  re»;  il  presidente  Hìnault  {Nouvelle  abregé  chronolO' 
gique  de  l'Hist.  de  France,  t.  ii,  pag.  428)  domanda:  «  ou  Machiavel  a-t-il  pris  qu*après  la 
mort  de  Charles  VIII  on  soutint  que  Louis  due  d'Orléans  ne  pouvoit  succèder,  et  étoit  déchu 
de  son  droit  à  la  couronne  pour  avoir  servi  le  due  de  Bretagne,  qui  estoit  en  guerre  avec 
la  France  1  »  Certo  che  quel  periodo  del  M.  i  assai  ingarbugliato  e  lascia  concepire  non 
poco  sospetto  della  esattezza  storica  circa  i  fatti  che  accenna  ;  ma  tuttavia  nella  Re- 
lation  di  sier  Hironimo  Zani  0I  cavaiier  venuto  di  Franta,  fatta  in  Pregadi  (maggio 
1499)  si  fa  cenno  alle  difficoltà  che  potevano  esser  opposte  alla  successione  del  duca  di 
Orléans:  «  fo  gran  ben  per  questo  re  che  Carlo  (VIII)  morisse  cussi  presto,  perchè  da  poi 
mezodi  cadete  in  leto  amalato  et  la  sera  morse  :  questo  perchè  quelli  baroni  et  chi  lo  con- 
sigliava lo  havia  fato  far  testamento,  né  mai  istituiva  herede  questo  re  presente,  ma  la»- 
sava  ad  altri,  perchè  in  Pranza  è  molte  signorie  govemade  per  dono.  (Mabin  Sanudo, 
Diarii,  II,  762).  —  Machiavelli:  «  Il  re  di  Francia  si  serve  sempre  0  di  Svizzeri  0  di  Lan- 
zichinèt,  perchè  le  sue  genti  d'arme,  dove  si  abbia  nemico  opposto  non  si  fidano  dei  Ona- 
sconi.  —  Cf.  Du  Bbllat  :  «  Vous  connoissez  tout  anssi  bien  que  moi  quels  gens  de  guerre 
sont  le  Francais  à  pied.  Tout  notre  reAige  et  esperance  gissait  és  Lansquenets  et  Suisse  » 

—  Cf.  Relaz.  di  Fb.  Qiostiniani,  pag.  212  (ed.  Albìbi,  t.  2^,  serie  1^).  —  Machiavelli: 
«  I  prelati  di  Francia  traggono  due  quinti  delPentrate  e  ricchezze  di  quel  regno  ».  —  Il 
ZoBZi  aveva  già  computato  :  «  il  terzo  de  1*  intrada  di  Pranza  è  di  chiesie,  né  etiam  paga 
niun  di  la  corte  ».  —  Il  Tainb,  op.  cit.,  pag.  18,  fondandosi  sul  rapporto  del  Treilhard  fatto 
in  nome  del  comitato  ecclesiastico  {Moniteur,  19  dio.  1789)  osserva  circa  i  beni  del  clero  fran- 
cese :  «  Ses  biens  valent  en  capital  prés  de  4  milliards  ;  ils  rapportent  de  80  à  100  millions, 
à  quei  il  faut  joindre  la  dime,  123  millions  par  an,  en  tout  200  millions,  somme  qu'il  fau- 
droit  doubler  pour  en  avoir  l'équivalent  aujourd'bui;  outre  cela  le  casuel  et  les  quétes,  etc.  » 
Cf.  VoLTAiBE,  Histoire  du  Parlement,  cap.  xi.  ^  M.  :  «  Sono  i  popoli  di  Francia  umili  ed 
ubbidientissimi,  ed  anno  in  gran  venerazione  il  loro  re  ».  ^  Cf.  i  Ritratti  delle  cose  della 
Magna,  ove  il  M.  dice  che  l'Imperatore  non  à  ridotto  i  popoli  di  Germania  in  condizione 
«  da  potersene  valere  a  sua  posta,  e  non  quando  pare  a  loro,  come  fa  oggidì  il  re  di 
Francia  e  come  fece  già  il  re  Luigi,  ecc.»  Flbubangr,  Mémoires,  eh.  x:  «monsieur 
Tevesque  de  Ource,  son  ambassadeur  allemand,  lequel  avoit  accostumé  de  venir  souvent 
en  ambassade  vers  le  Roy,  luy  prier  qu'il  voulsist  avoir  pour  excuse  sa  mauvaise  dili' 


Digitized  by 


Google 


516  CAPO  SESTO.  [libbo 

Ma  prima  di  procedere  ad  avvisare  le  qualità  intrinseche 
di  questa  relazione  del  Machiavelli,   convien  premettere  che 

gence,  en  quoi  il  ne  poavoit  point  si  bien  eslever  les  Alleroans  comme  le  Roy  faisoit  les 
Francois  ».  Matteo  Dandolo,  Relax,  di  Francia  (1547),  Relax,  venete,  serie  i,  voi.  iv, 
pag.  72.  «  E  dirò  qui  alla  S.  V.  quello  che  Sua  Maestà  ini  disse  a  certo  proposito  rìdendo 
che  Massimiliano  imperadore  soleva  dire:  l'Imperatore  essere  il  re  dei  re,  perchè  i  suoi 
suggelli  sono  principi  e  potentati  cosi  grandi  che  non  gli  obbediscono  se  non  gli  pare;  il 
re  cattolico  essere  il  re  degli  uomini,  perchè  quelli  si  possono  chiamare  uomini  d'ingegno 
e  di  guerra,  e  rispondono  anche  da  uomini  quando  loro  viene  comandata  una  cosa  piat- 
tosto  che  un'altra;  e  il  re  di  Francia  essere  il  re  d^Ue  bestie,  perchè  in  qualunque  cosa 
che  comandi  o  voglia,  è  ubbidito  subitamente,  come  l'uomo  dalle  bestie;  per  il  che  pre- 
tese il  re  farmi  capace  del  potere  del  suo  regno  ».  —  In  generale  il  M.  non  tiene  alcani 
ragione  delle  particolari  relazioni  della  Brettagna  col  rimanente  del  regno  di  Francia.  Ore 
parla  dei  cinque  Parlamenti  non  allude  in  alcuna  guisa  ai  Grands  Jours  di  Nantes;  né 
accenna  ai  cangiamenti  introdotti  da  re  Luigi  XII  per  istabilire  la  giurisprudenza  del 
Parlamento  di  Parigi  e  nel  dar  forma  a  quelli  di  Normandia  e  di  Provenza.  Ora,  oltre  il 
'  Parlamento  di  Rouen,  istituito  da  re  Luigi  per  un  editto  «  donne  au  Moutils  sous  Blois 
au  mois  d'avril  1479  »  egli  aveva  ancora  emesso  un  altro  editto  «  donne  a  Lyon  au  mois 
de  juillet  1501  portant  érection  du  Conseil  souverain  de  Provence  en  parlement  dans  la 
ville  d'Aix  ».  V.  Tessere  A  n,  Histoire  chronologique  de  la  grande  chancellerie  de  France, 
1. 1,  97.  —  Di  queste  omissioni  d' informazioni  si  potrebbe  forse  fare  appunto  al  M.,  se 
non  che  il  Voltaire  nella  sua  Histoire  du  Parlement^  k  un  capitolo  (xiv)  intitolato: 
2)e$  grande  changements  faits  sous  Louis  XJI,  trop  negligés  par  la  pluparl  des  histo- 
riens  »  ;  onde  in  qualche  parte  può  essere  scusato  il  mandatario  fiorentino  se  non  registrò 
quello  cui  gli  scrittori  e  cronisti  francesi  stessi  contemporanei  non  dettero  sufficiente 
rilievo.  È  tuttavia  assai  a  maravigliare  che  né  nelle  Commissioni  né  nei  RUrcUii  di 
Francia,  il  Machiavelli  tenti  in  alcun  modo  di  dar  la  prosopografia  di  Ijuigi  XII,  come 
già  tracciò  quella  di  Massimiliano  ne' Ritratti  della  Magna.  —  Annota  poi  erroneamente: 
«  gli  studi  primi  sono  quattro  :  Parigi,  Orliens,  Bourges  e  Poitiers;  e  dipoi  Tours  ed  Angers, 
ma  vagliene  poco».  Cf.  Jobannis  Limnaei,  Notitiae  regni  Franciae,  t.  ii.  pag.  430:  «Ma- 
chiavelli catalogus  non  imperfectus  modo,  sed  et  in  eo  vitiosus,  quod  Turonensem  nominat, 
quae  nunquam  extitit  ».  —  Dove  il  M.  espone  le  ragioni  per  cui  il  re  di  Francia  pretende 
il  dominio  nel  ducato  di  Milano,  tutte  le  edizioni  recano  :  «  Tra  le  femmine  ne  fo  una  che 
si  chiamò  madonna  Valentina,  e  fu  maritata  al  duca  Lodovico  d' Orliens,  avolo  di  questo 
re  Luigi,  disceso  pure  dalla  schiatta  di  Pipino».  Gf.  a  questo  proposito  l' importante 
pubblicazione  del  Faucon,  Le  mariage  de  Louis  d' Orleans  et  de  Talentine  Visconti,  la 
domination  fran^aise  dans  le  Milanais  de  i387  à  1450,  Paris,  1882.  Il  ms.  soprindicato 
(Bibl.  Naz.  fior.,  doc.  M.,  busta  VI,  n.  83)  scagiona  il  M.  del  grossolano  errore,  leggendoviai, 
in  luogo  di  «disceso»:  «...dicesi  pure  della  schiatta  di  Pipino  ».  —  Ora,  pongasi  a  rim- 
petto  di  quel  «  di  cesi  »  un  passo  àeìV  Instrutione  data  dal  re  de'  romani  a  U  oratori  man- 
dati a  Fiorenza  (Marin  Sanudo,  Diarii,  1. 1,  890)  :  «  sciunt  et  omnes,  hunc  Carolum  (Vili) 
francorum  regem  non  esse  de  linea  Caroli  magni,  sed  ex  Ugone  Capoto  invasore  regni 
Franciae  originem  habuisse;  adeo  ut  si  de  vero  rege  Franciae  disputandum  sit,  procol 
dubio  reperiretur  verum  regem  Angliae,  verum  etiam  Franciae  regem  esse  et  censori  de- 
bere, sicut  et  nunc  anglorum  reges  sustinere  contendunt  »  ;  e  si  parrà  invece  quanto  pm- 
dentemente  il  M.  accennasse  in  forma  dubitativa  al  vanto  interessato  dei  Capetingi,  fatto 
incredibile  in  Italia  per  la  tradizione  messa  in  voga  dalla  terzina  dantesca: 

«  lo  fui  radice  della  mala  pianta 


Chiamato  fui  di  là  Ugo  Ciapetta: 
Di  me  son  nati  i  Filippi  e  i  Luigi 
Per  CUT  novellamente  e  Francia  retta  > 


{Purg.,  XX,  43-51), 
e  ben  cognita  in  Francia,  come  apparisce  nella  Ballade  de  l'Appel  de  Villon  : 

«  Se  fusto  des  hoirs  Hue  Capei, 
Qui  fut  extract  de  bouchene  ». 
Similmente  l'accennato  ros. dove  le  edizioni  leggono:  «danari  due  ciascun  giorno  e  per 
ciascun  cavallo  per  lo  stallaggio  »,  dà  invece  :  «  d.  xii  ciascun  giorno  »  ecc.  —  Dove  Nic- 
colò scrive  :  «  Le  ragioni  che  pretendono  avere  gì'  loghilesi    sul  reame  di   Francia  e  più 
fresche,  ritraggo  e  trovo  esser  queste  »,  è  chiara  allusione  al  trattato  di  Troyes,  àe*ÌÌ  di 


Digitized  by 


Google 


SKCONDO]  RITRATTI  DELLE  COSE  DELLA,  FRANCIA.  517 

se  Firenze  rispetto  alla  Francia  trovavasi  in  quella  condizione 
medesima,  che  Venezia  rispetto  all'Impero;  nella  condizione 
cioè  di  sperarne  e  di  temerne  più  che  d'altri  e  di  avere  però 
miglior  ragguaglio  del  paese  a  cui  l'avvincevano  i  suoi  più 
vitali  interessi,  Niccolò  pel  Rapporto  delle  cose  della  Magna 
trovò  riscontro  nelle  relazioni  degli  ambasciatori  veneti  e 
l'opera  sua  potè  parere  superata  dalla  loro,  ma  ne*  suoi  Ri- 
tratti della  Francia  uscì  alla  sua  volta  originale,  seguitato 
per  gran  pezza  e  talvolta  copiato  dai  relatori  veneziani  me- 
desimi, ^  e  riguardato  come  autorità  sòlidissima  per  tutto  il  se- 
colo decimosesto. 

maggio  14^.  Terminano  i  Ritratti  di  Francia  con  un  lieve  accenno  alle  condizioni  eccle» 
siastiche  dell*  Inghilterra  :  «Gli  arcivescovadi  d'Inghilterra  sono  due;  vescovadi  ventidue, 
parrochie  cinquantadue  mila».  Il  M.  probabilmente  di  quel  di  Oodor  e  Man  fece  due 
vescovati  distinti.  Quanto  alle  parrocchie  d'Inghilterra,  il  loro  numero  ò  men  lontano  dal 
vero  di  quel  che  sia  quello  delle  parrocchie  di  Francia,  cosi  come  vien  dato  dalle  edi- 
zioni assai  erroneamente.  È  singolare  che  nella  Relazione  di  Francia  del  Contabimi 
(ed.  Albébi,  serie  i,  voi.  rv,  pag.  28),  che  è  dell'anno  1492,  si  legge:  «  ...nel  qual 
regno  si  divulga  (e  quelita  è  l'altra  cosa  che  mi  pare  incredibile  e  pure  m' è  stata  affer- 
mata e  giurata  per  vera)  che  vi  sono  1,500,000  parrochie.  Traendo  dunque  da  ogni  dieci 
parrochie  un  franco  arciere,  che  è  una  cosa  minima,  darla  150,000  franchi  arcieri  e  tanto- 
più  quanto  potesse  accadere  o  bisoguare  ».  —  Il  Machiavelli  invece  scrive  :  «  In  ciascuna 
parrocchia  di  Francia  è  un  uomo  pagato  di  buona  pensione  della  detta  parrocchia,  e  si 
chiama  il  franco  arciere,  il  quale  è  obbligato  tenere  un  cavallo  buono,  e  stare  provvisto 
d'armatura  ad  ogni  requisizione  del  re.  Quando  il  re  fussi  fuori  del  regno  per  conto  di 
guerra  o  d'altro,  sono  obbligati  a  cavalcare  in  quella  provincia,  dove  fusse  assaltato  il 
regno,  o  dove  fusse  sospetto  ;  che  secondo  le  parrocchie,  sono  un  milione  e  settecento  ». 
—  Il  Segretario  fiorentino  pertanto  mostra  d'aver  più  precisa  conoscenza  dell'ordinanza  di 
Carlo  VII,  data  a'  23  d'aprile  1448,  per  cui  si  comandava  un  arciere  ogni  parrocchia,  fatto 
immune  da  tributi  e  però  detto  franco.  (Cf.  Monstrblet,  Chroniques^  voi.  in,  pag.  6t. 
E  VHistoire  de  Charìn  VII  nella  raccolta  del  Oodbfrot,  pag.  347,  427)  ;  ma  erra  strana- 
mente circa  al  numero  delle  parrocchie,  che  vengono  computate  per  que'  tempi  in  sedici- 
mila  ed  ascendevano  a  40,000  circa  l'anno  1660.  V.  I^  nombre  des  Ecclédastiques  de  Francai 
ristampa  del  1876,  Paris,  Lisieux,  pag.  46.  Quindi  o  egli  ebbe  ad  essere  tratto  in  errore 
da  false  affermazioni,  come  il  Contarini,  e  ci  par  meno  probabile  in  chi  sapeva  che  «  fra 
molte  cose  che  demostrano  lo  homo  quale  e'  sia,  non  è  di  poco  momento  el  vedere  come 
egli  è  facile  a  credere  quello  che  gli  è  detto  »  (v.  sopra  a  pag.  150)  ;  o  forse  scrisse  anche 
il  numero  delle  parrochie  in  cifre  arabiche,  e  i  trascrittori  nel  copiare  equivocarono,  e  le 
edizioni  resero  l'equivoco.  —  Come  i  francs-archiers  fossero  berteggiati  in  Francia  non  al- 
trimenti che  i  fanti  dell'ordinanza  del  M.  dalle  cicale  in  Firenze,  l'attesta  l'epitaffio  nel  MO' 
nologue  du  frane  archer  de  Baignollet  attribuito  al  Villon  : 

«  Cy  gist  Pemet,  franc-archier 
Qui  cy  mourut  sans  desmarcher, 
Car  de  fuyr  n'eut  onc  espace, 
Lequel  Dieu,  par  sa  saincte  grace 
Mette  ès  cieulx  avecques  les  ames 
De  francs-archiers  et  des  gens  d'armes 
Arriere  des  arbalestriers  ». 

1  Cf.  fra  le  Relazioni  venete  intorno  alla  Francia  quelle  di  Marino  Oiustinian  (1535), 
Fb.  OiusTiNiAN  (1538),  Marzko  Cavalli  (1.546)  (serie  i,  voi.  i,  ed.  Albàri),  Matteo  Dandolo 
(1547),  Giovanni  Cappello  (1554),  Giovanni  Sobanzo  (1558)  (ibid.,  voi.  ii).  Michele  So- 
riano (1562). Cosi,  Matteo  Dandolo  ripete  l'errore  delle  parrocchie  «le  quali  dicono  es- 
sere un  milione  e  settecento  »  a  proposito  delle  istituzioni  dei  franchi  arcieri.  E  il  Soriano 
(loc.cit.,  pag.  114)  à  il  seguente  passaggio  che  il  lettore  può  da  per  sé  comparare  coU'o- 
mologo  del  M.  ;  «  Il  governo  dello  Suto  è  tutto  in  mano  dei  nobili  e  dei  prelati-  Servono 
i  prelati  di  consiglio,  ma  non  di  opera,  e  i  nobili  dell'uno  e  dell'altro;  anzi  si  sono  con- 


Digitized  by 


Google 


618  CAPO  SESTO.  [libro 

Ora,  a  chi  considera  il  punto  di  veduta  da  cui  il  Ma- 
chiavelli osserva  il  regno  di  Francia  è  impossibile  che  sfugga 
il  costante  riflesso  che  le  considerazioni  fatte  già  sull'  intrinseca 
qualità  dell'impero  germanico  gli  gittano  sopra.  Tanto  che 
si  sarebbe  quasi  tentati  a  dubitare  se  l'antitesi,  che  secondo 
la  sua  descrizione  apparisce  negl*  istituti  e  nel  costume  de' due 
paesi,  sia  tutto  effetto  d'intrinseca  e  nativa  diversità  delle  re- 
gioni e  de' popoli,  o  non  v'abbia  punto  di  preconcetto  nel- 
l'animo dello  scrittore.  Se  non  che  il  riscontro  che  può  aversi 
dalle  fonti  storiche  paesane  e  contemporanee  risulta  tutto  a 
vantaggio  del  Machiavelli,  il  quale,  dopo  questo  esame,  più 
particolarmente  dimostra  l'impronta  profonda  del  genio  poli- 
tico di  cui  segnò  questa  breve  opera  sua. 

Come  già  per  la  Germania,  cosi  ora  ei  si  fa  per  la  Francia 
ad  esaminare  la  relazione  che  passa  fra  le  condizioni  naturali 
della  nazione  e  le  economiche;  fra  la  regione  e  gli  uomini  che 
la  popolano.  Ei  ben  l'avvisa  «  per  la  grandezza  sua  e  per  le  co- 
modità delle  grandi  fiumane  grassa  e  opulenta  »;  ben  la  vede 
piena  di  abitatori  operosi  ed  industri,  turgida  di  ogni  maniera 
di  produzioni;  ma  quel  turgore  è  un  ingombro  e  quella  piena 
uno  stagnamento  della  fluida  vita.  Ed  in  questa  occasione  il 
cancelliere  della  repubblica  mercantesca  scruta,  per  verità  con 
occhio  d'economista  più  sagace  e  più  sincero  che  non  fece  in 
Grermania,  le  cagioni  del  contrasto  fra  la  natia  feracità  del 
suolo  e  degli  uomini,  e  le  consuetudini  e  le  leggi  onde  si  dis- 
forma e  corrompe  in  ventraia  idropica  tutto  quell'umor  d'ab- 
bondanza, trattenuto  o  scolato  a  sperpero.  L'ordinamento  del 
vivere  francese  comparisce  al  Machiavelli  tale,  quale  la  Francia 
stessa  ebbe  a  ravvisarlo  al  termine  violento  di  quel  che  oggi 
chiama  antico  regime:  tutto  sofibcato  sotto  una  grande  piramide 
d'oppressione  al  cui  vertice  poggia  il  re,  alla  cui  base  geme 
il  volgo  umile,  prono  e  laborioso.  Un  gran  despotismo  tem- 
perato appena  dagli  epigrammi,  come  parve  al  Carlyle;  ^  ma 
non  più  incerto,  come  per  il  passato,  «  quando  la  Francia  non 
era  unita  per  i  potenti  baroni  che  ardivano,  e  bastava  loro, 
pigliare  ogni  impresa  contro  al  re  »  ;  *  un  despotismo  raggra- 

teDtati  molta  volte  di  lasciare  tutto  l'onore  delle  deliberasioni  ai  prelati,  sapendo  che 
Tesecuzione  ha  da  toccare  a  loro». 

>  Carltlr,  Hiatory  ofthe  French  revolution,  1. 1,  pag. 53. Cf.  Sbyssbl,  ffist.  de LouùXII: 
«  les  Francois  ont  toas  jours  ea  licence  et  liberté  de  parler  à  leur  Tolonté  de  toutes  gens 
et  mesme  de  leurs  princes,  non  pas  apres  leur  mort,  tant  seulement,  mais  encore  en  leur 
vivant  et  presence  ». 

*  Machia VBLU,  RUraUi  di  Francia. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  CONDIZIONI  ECONOMICHE  DELLA  FRANCIA.  519 

vaio  bensì  per  le  scaltre  arti  di  Luigi  XI,  per  via  delle  primo- 
geniture baronali  e  per  i  retaggi  dei  più  potenti  fra  i  nobili, 
che  4c  essendo  tutti  del  sangue  reale,  sperano  che,  in  mancanza 
d'eredi  più  prossimi,  possa  la  corona  quando  che  sia  ricadere 
in  loro  »;  un  despotismo  confitto  tenacemente  con  branche 
feudali  è  il  mostro  che  spreme  e  sugge  tutto  il  sangue  vivo 
della  nazione. 

A  Niccolò  non  riesce  intendere  qual  sia  l'entrata  ordinaria 
o  straordinaria  della  corona,  quantunque  ne  domandi  a  molti, 
perchè  ciascuno  gli  dice  «  essere  tanta  quanta  il  re  vuole  >J 
Gabelle,  taglie,  preste  «  che  rado  si  rendono  »,  tutti  modi  illi- 
mitati per  cui  il  regio  tesoro  impingua.  E  giù  da  quell'apice 
reale  digradando  man  mano  la  grande  pianta  parassita  si  stende 
e  rigonfia,  lasciando  sfruttati  ed  esausti  gli  organi  su  cui  tenace 
s'abbarbica.  Direttamente  suddite  alcune  terre  del  monarca, 
altre  lo  sono  delle  castella  e  delle  abbazie.  Dappoiché  evvi  op- 
pressione ecclesiastica,  come  ve  n'à  monarchica  e  nobilesca. 
Solo,  poiché  la  nazioìie  sopporta  ogni  soggezione,  ogni  gravame 
interno,  ma  l'esterno  abomina  e  scuote;  v'è  una  sanzione 
prammatica  che  la  tutela  dal  pastorale  tosamento  di  Roma.^ 
«  Assai  vescovati,  del  resto,  anno  il  temporale  e  lo  spirituale  ; 
e  poi  avendo  per  il  vitto  loro  cose  abbastanza,  tutti  li  danari 
che  pervengono  loro  nelle  mani,  non  n'escono  mai,   secondo 

1  Sbtssbl:  «  La  taille  qui  se  leve  sur  le  penple  est  arbitraire  »,  pag.63  t. 

*  M.:  «  I  benefici!  di  Francia  per  virtù  di  certa  loro  prammatica  ottenuta  già  lungo 
tempo  fa  dai  pontefici,  sono  conferiti  da*  loro  collegi,  ecc....  e  se  qualche  volta  el  re  volesse 
derogare  a  tale  prammatica,  eleggendo  un  vescovo  a  suo  modo,  bisogna  che  «si  le  forze,  ecc.  » 
—  Cf.  P.  PiTHou,  Hittoùre  contenant  Vorigins  de  la  pragmatique  Sanction,  Paris,  1652, 
e  VHistoria  originis  pragmaticas  sanctionis  Biturigibus  editae,  procurante  re  gè  Ca- 
rolo VII,  anno  i439,  etc.  in  Fbancisci  Pimsonu,  Car.  VII  Fr.  regi»  pragm.  eanetio,  Pa- 
rìsiis  1666.  —  La  prammatica  era  odiosa  ai  pontefici  perchè  li  privava  della  collazione 
dei  benefici,  in  cui  era  la  grande  utilità  e  tutela  del  supremo  grado  gerarchico  ;  ed  anche 
perchè  teneva  desta  la  memoria  del  concilio  di  Basilea,  da  cui  poteva  dirsi  lucita.  Innu- 
merevoli e  indicibili  gli  artifici  della  curia  romana  per  ottenerne  Tabrogazione  sotto 
Luigi  XI,  Carlo  Vili,  Luigi  XII,  conseguita  poi  da  Leone  X  nel  convegno  con  Fran- 
cesco I  a  Bologna.  ~  Quanto  importasse  al  clero  che  fosse  mantenuta  può  giudicarsi 
dalle  Sarangues  de  Jean  db  Rblt  à  Louis  XI  pour  le  malntìen  de  la  Pragmatique 
tanction.  Pertanto  il  re  di  Francia  traeva  partito  di  questa  gelosa  tenacia  del  clero  per 
imporgli  decime  e  angherie,  col  presupposto  «  quod  ubi  tractatur  de  commodo  et  in- 
commodo  regniy  tractatur  de  commodo  et  incommodo  pragmaticae  santionis  ».  Cf.  Zac- 
caria CoNT ARim,  iZtfloz.  di  Francia,  loc.  cit.,pag.  22.Marin  S anudo,  DiarU  (a.  1496)  i,  219, 
annota  :  «  in  rei  verUate,  più  Francesi  non  recognoscevano  alcuno  beneficio  ecclesiastico 
dal  pontefice  romano  ».  —  «  À  la  verité,  scrissero  gli  Stati  radunati  in  Tours  a  Carlo  VIII, 
si  la  pragmatique  qui  fut  re^ne  et  accordée  à  Bourges  l'an  1438  n'y  eut  remediè  et  que  le 
Roy  n*eut  miajuatice  sue  et  diteipline  en  chevalerie,  ce  Rojaume  eùt  été  à  totale  perdition, 
saas  jamais  se  pouvoir  resoudre  »  Cf.  Dijoubt,  Inttitution  d'un  prince,  i.  iv,  pag.  29  e  segg. 
Il  Maurbnbbbcbeb,  Getchichte  der  katotìschen  Reformation,  pag.  30,  scrìve:  «die  prag- 
matische  Sanction  1433  in  Frankreich  war  ein  entschiedener  Sieg  des  Landeskirchlichen 
autonomen  Prinzipes». 


Digitized  by 


Google 


5W  CAPO  SESTO. 

l'avara  natura  de' preti  e  religiosi;  e  quello  che  perviene 
ne' capitoli  e  collegi  delle  chiese,  si  spende  in  argenti,  gioie, 
ricchezze,  per  ornamenti  di  queste:  in  modo  che  fra  quello 
che  anno  le  chiese  proprie  e  quello  che  anno  i  prelati  in  par- 
ticolare, fra  danari  ed  argenti,  vale  un  tesoro  infinito.  Nel 
consultare  e  governare  le  cose  della  corona  e  stato  di  Francia 
sempre  intervengono  in  maggior  parte  i  prelati;  e  gli  altri  si- 
gnori non  se  ne  curano,  perchè  sanno  che  le  esecuzioni  anno 
da  esser  fatte  da  loro  »  ;  però  nobiltà  ed  alto  clero  si  confon- 
dono insieme  come  per  entro  un  amalgama  nel  quale  trovano 
l'affidamento  e  l'utilità  reciproca. 

Sopra  i  sudditi  poi  l'autorità  dei  baroni  «  è  mera  »  ;  e  ciò 
vuol,  dire  che  la  si  stende  sino  a  quella  ferrea  forma,  entro  la 
quale  ebbe  a  gittarsi  il  diritto,  quando  si  intitolò  ^jus  gladtt»; 
di  guisa  che  il  Bridoye  del  Rabelais  giudica  e  rende  sentenza  a 
tratta  di  dadi.*  Delle  prestazioni  personali  che  aggravano  le  plebi 
il  Machiavelli  non  parla,  ma  riconosce  che  «  le  opere  manuali 
vagliene  poco  o  niente  per  la  carestia  de'danari  »;  dacché  la 
sovrabbondanza  d'ogni  grascia  è  ingombro  su'mercati  deserti  e 
causa  della  viltà  ne'  prezzi.  «  E  nasce  perchè  non  anno  dove 
finire  le  grasce  loro,  perchè  ogni  uomo  ne  ricoglie  da  vendere; 
in  modo  che  se  in  una  terra  fusse  uno  che  volesse  vendere  un 
moggio  di  grano,  non  troverìa  perchè  ciascuno  ne  à  da  vendere. 
Ed  i  gentiluomini  dei  danari  che  traggono  dai  sudditi,  dal  ve- 
stire in  fuori,  non  ispendono  niente,  perchè  da  per  loro  anno 
bestiame  assai  da  mangiare,  pollami  infiniti,  laghi,  luoghi  pieni 
di  venagione  d'ogni  sorta;  e  cosi  universalmente  à  ciascun 
uomo  per  le  terre.  In  modo  che  il  danaro  perviene  tutto  nei 
signori,  il  quale  oggi  in  loro  è  grande  e  però  come  quelli  popoli 
anno  uno  fiorino,  li  pare  essere  ricchi  ».^ 

—  Cosi  il  Segretario  fiorentino  riconosce  ed  esprime  il  con- 
trasto delle  condizioni  economiche  tra  la  Germania  e  la  Francia. 
Quella,  abbondevolissima,  non  fa  uscire  danaro  dalla  nazione 
perchè  non  à  mestieri  d' importazione,  né  esporta  se  non  ma- 
nufatti; questa  sarebbe  ricchissima  d'ogni  ben  di   dio,   ma  il 

1  Rabelais,  Panlagruel,  cap.  xxxvi,  «Comment  Pantagrael  assiste  aa  Jogement  du 
Jage  Bridoye,  lequel  sentenctioit  les  procès  au  sort  des  dez  ». 

*  Srtssbl,  Histoire  de  Louis  XII,  sembra  invece  che  accenni  ad  alto  presso  dei  tì- 
veri  :  «  Tellement  qae  la  tierce  partie  dn  royaume  generalement  est  reduicte  à  cultore  de- 
puis  trente  ans,  mais  plus  de  ce  regno  que  de  tont  l'autre  temps  precedent.Et  non  poor» 
tant  si  se  soustient  le  pris  des  vivres  haut,  qui  est  argnment  evident  qa'il  7  a  grande 
multitude  de  peuple,  puisque  tant  des  vivres  si  deduisent  ».  Ma  probabilmente  a  cagion 
delle  guerre  ebbe  a  seguitare  questo  momentaneo  rialzo  ne*preszi  delle  derrate. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  ritratti  DELLE  COSE  DELLA  FRANCIA,  521 

soverchio  delle  derrate  giacenti  le  invilisce  il  prezzo  di  ogni 
prodotto  e  le  fa  scarseggiare  la  moneta  per  modo,  che  questa 
perde  quasi  la  qualità  di  merce  universale.  Pertanto  la  Ger- 
mania internamente  regola  la  vita  sua  più  libera,  più  provvida, 
più  mobile,  più  poderosa;  ma  all'esterno,  per  cagione  di  quel 
suo  più  impacciato  che  complesso  organamento  politico,  appa- 
risce   invalida,  tarda,   disposta  a  perturbamenti  ed  offese.  La 
Francia  invece  è  tutta  nel  suo  re,  si  muove  a  posta  di  lui,^ 
cerca  colla  guerra  la  rivendicazione  de'  suoi  commerci,  il  rial- 
zamento al  valore  dei  propri  prodotti,  l'oblio  dell'intima  e  in- 
discutibile oppressione  sua.  È  di  soprappiù  gittata  dalla  natura 
in  tale  postura  geografica,  ch'ella  debbe  aver  gli  occhi  d'ogni 
intorno,  per  desiderare  o  temere.  —  «  La  natura  de'  Francesi 
è  appetitosa  di  quello  d'altri,  di  che  insieme  col  suo  e  dell'al- 
trui è  poi  prodiga  >.  Teme  poi  di  tutti;  e  l'odio  e  il  timore  so- 
pravvivono ancora  alle  cagioni  che  li  determinano.  —  «  Teme 
assai  la  Francia  degl'  Inghilesi  per  le  grandi  incursioni  e  guasti 
che  anticamente  anno  dato  a  quel  reame;  in  modo   che  nei 
popoli  quel  nome  Inghilese  è  formidabile  ».  Ma  ben  s'appone 
il  Machiavelli  quando  osserva  che  la  nazionalità  costituitasi  è 
ancora  inconsciente,  che  quei  popoli  non  distinguono,  come  la 
Francia ^è  oggi  condizionata   altrimenti   che   in   altri   tempi; 
«  perche  è  armata,  sperimentata  et  unita,  e  tiene  quegli  stati 
in  su  che  gì' Inghilesi  facevano  fondamento  ».  Dagli  assalti  di 
Spagna  la  proteggono  le   ardue  e  sterili  bocche  de' Pirenei; 
da'  Fiamminghi  l'assicura  il  bisogno  delle  vettovaglie  che  questi 
traggon  di  Borgogna  e  di  Piccardia,  e  del  commercio  ch'essi 
fanno  principalmente  sulle  fiere  di  Francia.  De'  Svizzeri  teme 
assai  per  la  prossimità  loro  e  le  fanterie  agguerrite,  da  cui  si 
guarda  coll'artiglieria,  di  che  quelli  difettano;  e  co' luoghi  ben 
muniti  e  l'armi  de'  feudi.  «  Dalla  banda  d' Italia  pur  troppo  non 
temono,  rispetto  alli  monti  Apennini,  e  per  le  terre  grosse  che 
anno  alle  radici  di  quelli  » .  Ma  non  basta  :  —  «  dalla  banda 
d' Italia  non  temono  per  le  ragioni  dette,  e  per  non  essere  in 
Italia  principe  atto  ad  assaltarli,  e  per  non  essere  Italia  unita, 
come  era  al  tempo  de'  Romani  »  ;  verità  fatale  e  rimasa  infe- 
conda per  secoli,  insino  a  noi. 

Pure  è  in  Italia  il  vecchio  e  astioso  pontefice  che  li  di- 

1  Cf.  Machiavelli,  Ritratti  delle  cose  deUa  Magna,  edi2.  uh.,  t.  ti,  pag.  325^  Ibid.,  Ritratti 
di  Francia,  pag.  30^1.  E  nella  Commisa.  cit.,  leti.  «  die  5  septembrìs  »  :  «  Non  voglio  man- 
care di  dire  ad  le  Signorie  vostre,  come  alcuno  qua  difflcnlta  el  passare  del  re  in  Italia 
per  tre  giuste  cagioni....  —  A  questo  si  replica  che  queste  medesime  cose  si   sono  dette 


Digitized  by 


Google 


522  CAPO  SESTO.  Li'O^o 

sfida  e  li  chiama  barbari,  che  non  fa  computo  de'  Pirenei  e 
solletica  il  re  d'Aragona  a  sormontarli;  e  non  si  persuade 
de' nuovi  fondamenti  della  unità  francese;  e  solletica  Arrigo 
ottavo  a  valicar  le  marine  e  tentarne  le  coste;  e  s'avvalora 
del  malo  animo  de'  montanari  di  Svizzera,  per  accenderli  a  un 
odio  contro  il  re  Luigi  maggiore  della  avarizia  loro;  e  non  si 
perturba  della  congiunzione  apparente  che  vede  essere  tra  il 
re  di  Francia  e  l'Imperatore.  Ben  intende  lo  scaltro  ligure 
che  quell'amicizia  non  è  durevole;  che  basta  a  guastarla  il 
buon  successo  dell'uno  e  la  gelosia  dell'altro,  che  nel  mante- 
nerli in  continuo  contrasto  giace  la  sicurezza  del  principato 
ecclesiastico;  che  a  raffreddare  l'impeto  delle  loro  forze  già 
mal  conserte  basta  mantenere  un  po'  d'appicco  alle  pratiche 
della  pace.  E  sfrutta  tutti  i  pacieri,  da  Giovanfrancesco  Pico  a 
Matteo  Lang,  il  burbanzoso  gurgense;  dal  cardinale  di  Nantes,^ 
la  cui  britannità  mette  in  giuoco  verso  il  re  francese,  al  pio 
vescovo  di  Tivoli,  mandato  in  volta  con  commissioni  limitate, 
sottili,  non  sincere.  Né  si  spaventa  della  ribellion  di  Bologna, 
né  della  fuga  dell'esercito  ecclesiastico  condotto  dal  dappoco 
e  crudele  duca  d' Urbino,  che  gli  pugnala  quasi  in  sugli  occhi 
il  cardinal  di  Pavia;  né  del  concilio  che  gli  vogliono  intimare 
addosso  colla  minaccia  di  giudicarlo  e  deporlo  dal  seggio  pon- 
tificale. Papa  Giulio  anzi  preoccupa  subito  la  via  a'  suoi  avver- 
sari, e  convocando  lui  il  concilio  lateranense,  fa  rinviliare  quel 
di  Pisa  a  conciliabolo.  I  Fiorentini  aspettano  dall'alleanza  fran- 
cese la  restituzione  di  Montepulciano?  ma  papa  Giulio  aggio- 
gando alla  propria  fortuna  anche  la  scaltrezza  di  Pandolfo 
Petrucci,  vuol  che  da  lui  riconoscano  anche  quella  restituzione, 
e  che  intendano  bene  che  lui  vuol  tolti  di  mezzo  i  Sederini, 
francesi  per  sin  nell'ossa;  e  lascia  già  alla  città  intravedere 
i  Medici  fra  le  lance  di  Spagna. 


dieci  anni  fa,  ed  egli  sempre  à  passato  e  ripassato  quando  li  è  parso;  perchè  quando 
il  volere  sta  in  uno  li  altri  ne   vogliono  quello   che  esso  ». 

^  GuicciAKOiMi,  St.  d'Italia,  lib.  ix  :  «  ordinò  ancora  che  il  cardinale  di  Nantes,  di  na- 
sione  Brettone,  invitasse  come  da  sé  il  Triulzio  alla  pace».  Cf.  Qubffa,  op.  cit.,lib.  n, 
cap.  xvni.  Ibid.,  csp.  xxiii,  dice  del  cardinale  di  Nantes:  «  que  era  Breton  7  avia  tido 
embaxador  del  Rey  de  Francia»  ....  «  la  Reyna  le  favorecia,  corno  a  privado,  y  naturai 
Breton  ».  —  Il  cardinale  di  Nantes  era  Roberto  Guibe,  per  messo  del  quale  papa  Oinlio 
accarezzava  furbamente  le  tendenze  autonomiche  della  Brettagna,  la  quale,  nelle  questioni 
ecclesiastiche  aveva  mostrato  sempre  inclinazione  diversa  da  quella  del  rimanente  del  regno 
di  Francia:  «Pendant  le  grand  schisme,  scrive  il  Dupct  {Histoire  de  la  réunion  de  la 
Bretagné  à  la  Franee,  t.  i,  pag.  10),  la  Bretagne  a  refusa  de  reconnaitre  les  papes  d*Avi- 
gnon,  auxquels  obéissait  le  roste  du  rojaume.  En  1438  elle  repousse  la  pragmatique  sano- 
tion  de  Bjurges,  et  reste  pays  d*obedience  ». 


Digitized  by 


Google 


Capo  Settimo 


I  MEDICI  E  I  SODERINI  —  CADUTA  DELLA  LIBERTÀ  FIORENTINA 

IL  MACHIAVELLI  RIMOSSO  DAGLI  OFFICI. 

Io  sento  ambltlon,  con  quella  scola 
Ch'ai  principio  del  mondo  el  elei  sortllle 
Sopra  de' monti  di  Toscana  vola: 

E  nominato  à  già  tante  faville 

Tra  quelle  genti  si  d'invidia  pregne 
Ch'arderà  le  sue  terre  e  le  sue  ville.... ^ 
(Magdiavklli,  Capitolo  deU'ambùsione). 

La  buona  fortuna  de'  Franzesl  ci  tolse  mezzo 
lo  stato  ;  la  cattiva  et  torrà  la  libertà. 

(Machiavilli,  postilla  fiM.  de'Framr 
menti  storici). 

II  motto  del  Machiavelli,  che  abbiamo  posto  ad  epigrafe 
del  presente  capitolo,  fu  da  lui  notato  in  margine,  quando,  nel 
Disteso  degli  avvenimenti  dell'anno  1495,  accennava  alle  mire 
del  duca  di  Milano  e  degli  altri  suoi  collegati,  per  abbassare 
i  Fiorentini,  soli  amici  di  Francia. 

Dopo  i  fatti  della  discesa  di  Carlo  ottavo,  quella  di  Nic- 
colò non  era  predizione  diflScile  ;  tuttavia  il  modo  incisivo  e  ta- 
gliente con  cui  fu  da  lui  espressa,  la  fé'  parer  quasi  una  pro- 
fezia, a  compier  la  quale  papa  Giulio  implacabile  raccoglieva 
tutte  le  proprie  forze,  senza  che  gli  venisse  fatto  puranco 
sperar  buona  riuscita.  L' Imperatore,  più  che  mai  bramoso  del 
pontificato  massimo,  s'era  anche  più  impermalito  per  certe  vel- 
leità cesaree  del  pontefice  belligero,^  infatuato  nella  sua  guerra 
gallica;  onde  non  pareva  possibile  indurlo  a  mutar  la  tregua, 
stipulata  a  forza  co'  Veneziani,  in  una  pace,  e  dalla  pace  poi 
cacciarlo  dentro  a  una  lega  con  essi.  Poiché  tale  era  il  fascio 

1  II  Ma.  Vat.  5SS5,  voi.  ni,  p.  609,  reca  male  :  «  ch*arderà  le  sue  terre  e  *1  suo  oyile  »  ecc. 

•  Cf.  Léttres  du  Roy  Louis  XII,  t.  i,  pag.  261.  Lettera  d'Andrea  de  Burgo  e  P.  de  Moten 
a  Margherita  d'Austria  «  ex  Blesis  die  xxj  lulii  1510.  Marcus  Àntonius  Columna  Neapo- 
litanus  et  Octavianus  Fregosius  congregatis  Luce  quatnor  centum  equestribus  et  altquo 
numero  peditum  ex  improviso  profecti  fuerunt  Spediam,  illamque  cesserunt,  proceduntqae 
ut  alia  loca  illius  Oenuensis  Dominii  turbent  et  occupent,  utunturque  in  illis  motibus  papee 
lulii  Ciesaris,  notet  Serenitas  Vostra,  quod  nominapt  eum  papam  et  Csesarem, 
et  simul  utuntur  nomine  Imperatoris  et  Regis  Aragonum  ».  —  Aggiungasi  a  questo,  che  il 
cesareo  veni,  vidi,  vici  aveva  fatto  capolino  nella  scritta  d'un  arco  trionfale  eretto  in  Roma 
in  via  de'  Banchi  pel  trionfo  di  Giulio  :  «  vibtuti  bt  qlobub  sancti  pontificu  auctobib 
PACI8  LiBBRTATiSQUit  :  VENI,  VIDI,  VICI  ».  —  Cf.  Sanudo,  DiarU,  vn,  64. 


Digitized  by 


Google 


524  CAPO  SETTIMO.  [libro 

di  forze  che  Giulio  secondo  agognava  stringere,  tenendosi,  nel 
re  di  Spagna,  in' serbo  l'alleato  più  cauto,  il  men  sospettato, 
il  solo  che  potesse  occupare  Italia  in  nome  della  Chiesa;  e 
che  del  vincolo  di  vassallaggio,  che  nella  sua  qualità  di  re 
di  Napoli  aveva  verso  di  questa,  sapesse  farsi  un'arma  a 
proprio  vantaggio. 

Ma  frattanto,  l'Imperatore  si  serbava  unito  con  re  Luigi, 
e  i  successi  dell'armi  accrescevan  baldanza  a' Francesi  in  Lom- 
bardia ;  Bologna  non  sapeva  in  che  mani  avesse  a  cadere,  ve- 
dendo alle  sue  mura  soprastare  e  fuggirsene  ora  lo  Chaumont, 
ora  il  pontefice;  incerta,  fra  i  Bentivoglio  e  la  Santa  Sede,  di 
chi  fosse  per  oppressarla.  Il  duca  di  Ferrara  seguitava  con 
prodezza  la  parte  di  Francia.  Gli  Svizzeri,  a'  quali  il  papa  a^eva 
girato  il  danaro  delle  vendute  indulgenze,  ^  non  eran  comparsi 
sopra  Genova;  ma  calati  appena  a  Varese  senza  artiglieria  e 
senza  ponti,  dopo  poche  scaramucce,  voltando  per  Como,  scom- 
parvero; sedotti,  a  quanto  sembra,  da  miglior  mercato  e  spa- 
ventati dall'umido  verno,  malcontenti  del  papa  che  ingiuriarono, 
chiamandolo  ingannatore;  abominati  e  infamati  essi  pure  da  lui, 
che  si  diceva  ingannato  da  loro.^ 

Il  cardinale  Schinner,  che,  ottenuta  appena  la  porpora,  aveva 
dovuto  scappare  travestito,  e  a  gran  periglio,  da' suoi  conna- 
zionali scissi  e  furiosi,  seguitava  tuttavia  per  impulso  di  Giulio 
a  far  loro  assaggiare  il  danaro  ecclesiastico  e  ad  allettarli  per 
la  prossima  primavera.^  L'Imperatore  alleato  di  Francia  e  i 
Veneti  intanto  scaramucciavano  predando  e  struggendo  paesi, 

1  pQbblichiamo  la  seguente  partite  dai  Regittri  di  conti  ài  papa  QiuUo  secondo,  nel- 
TArchivio  di  Steto  di  Roma,  a  comprova  del  nostro  asserto: 

Arch.  di  Stato,  Regittri  dare  e  avere  di  papa  Giulio  IT,  m.d.ix.  f.  n.  2:  —  «  La  S^  di  nro. 
8.  lalio  papa  secudo  de*  hanere  a  di  xiiij  di  febraro  due.  duo  milia  doro  de  Cam.  che  sua 
S^  fece  pagare  cioè  mille  p.  mano  de*  fucheri  per  una  cedula  che  doviano  dare  a  sua 
S**  p.  va,  Christiano  commissario  delle  indalgentie  de  Livonia  et  due.  mille  p.  roano  di  m. 
Augustine  Ghisi  a  conto  de  una  compositione  eccìa  circa  la  absolutione  de  Hieronjr,  Fre- 
scobaldi  e  compagni  quali  due.  duo  milia  fumo  inviati  a  m.  Christophoro  Welxer  p.altre- 
tanti  eh.  per  soa  Ira  de  cambio  fece  pagare  a  m.  Alexandre  Oabloneti  da  Man  in  bema 
per  condurre  tremilia  Scivissari  come  appare  a  libro  delle  recordantie  a*  et  in  questo  a 
conto  Alexandre  a  e.  29  —  due.  3!000  ». 

*  V.  in  Appendice  il  breve  del  papa  a*  Svisserì  «  datum  Bononie  sub  annulo  piscatorìs 
die  ultima  septembris  m.d.x.  »  —  Lo  traemmo  dagli  Annali  autografi  del  Tizi  nella  Bibl. 
Chigiana,  t.  vii,  pag.  123-4.  —  Non  dubitiamo  della  sua  autenticità,  ed  è  documento  che 
maravigliosamente  ritrae  la  condisione  degli  Svizf  eri  nelle  politiche  vicende  di  que'  tempi, 
e  1*  indole  del  furibondo  e  superbo  pontefice.  Forse  il  Tisi  n*ebbe  copia  da  quel  Luigi  Stella, 
ferrarese,  da  cui  riconosce  altrove  le  informasioni  che  riceveva,  chiamandolo  «  diligens  homo 
ac  Julii  cubicularius  »  (ibid.  pag.  226).  ~  Lo  reputiamo  inedito,  non  citandolo  né  il  DoifBSKiL, 
né  il  Bboscb,  né  il  Gbbqobovius,  il  quale,  per  le  reiasioni  di  papa  Giulio  colla  Svìzzera, 
attinse  al  Gldtz-Blotzhbim,  Geschiehte  der  Eidgenoseen,  che  forse  avrebbe  potuto  tro- 
varne copia  negli  Archivi  elvetici;  ma  a  noi  non  riusci  consulterò  l*opera  di  lui. 

*  Rakrb,  OeKhiehten  der  romanischen  und  germanischen  Vólher,  pag.  S89  e  segg. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  CADVTA  delle  REPVBBLICHE  in  ITALIA.  525 

con  tanta  infelicità  di  popoli,  quanta  la  storia  non  vale  con 
narrative  a  rappresentare.  Ma  un  inciso  notato  da  un  parroco 
di  Belluno,  a'  primi  di  del  settembre  nel  1511,  sul  libro  de'  sa- 
cristi è  forse  più  eloquente  ricordo  che  non  sarebbe  il  rac- 
conto diffuso  di  quelle  affannose  vicende.  «  In  due  anni  e  due 
mesi,  scriv'egli,  abbiamo  avuto  otto  signorie,  ora  i  Veneti,  ora 
l'imperatore.  Molti  mali  udimmo,  molti  vedemmo».^  E  molti 
ne  restavano  ancora  a  vedere  e  a  patire  alla  misera  Italia. 

Ella  soffriva  tutta:  dovunque  erano  stati  principi,  domi- 
navano stranieri  punto  o  male  contrastati.  Napoli,  che  aveva 
durato  imposte  Serissime,  minacciava  levarsi  contro  Y  Inquisi- 
zione, non  contro  gli  Spagnuoli;*  Milano  tollerava  la  insolenza 
de'  Francesi.  Le  repubbliche  vedemmo  scadere  una  ad  una 
insidiate,  fiaccate,  spente  per  malignità  vicendevole;  si  che 
ognuna  che  moriva  imprecava  con  malo  presagio  alla  superstite  : 

—  Se  la  prima  son  io  tu  verrai  meco.  — 

Cosi  vedemmo  Genova  soggiacere,  Pisa  esser  venduta  da'  re  alla 
tirannide  democratica  di  Firenze  ;  Venezia  aristocratica  toccar 
fondo,  affogata  quasi  da  una  cospirazione  europea;  era  la  volta 
ormai  della  repubblica  d'Arno,  ad  opprimer  la  quale  poche  mene 
di  papa  e  di  cardinali  bastavano  ;  e  il  destino  aveva  pur  troppo 
congiunta  a  quella  della  libertà  fiorentina  la  sorte  del  Machiavelli. 
Come  già  narrammo  più  sopra,  tanto  gli  amici  di  Firenze 
quanto  i  nemici  avevan  visto  di  mal  occhio  quel  racquisto  di 
Pisa,  ond'ella  s'era  più  rallegrata;  di  guisa  che  ed  avversari 
ed  alleati  avrebbero  voluto  aggrovigliarle  di  nuovo  la  que- 
stione di  quel  possesso,  per  cui  credevano  aver  modo  di  tenerla 
in  rispetto.  Firenze,  quanto  a  sé,  giudicava  che  l'osservanza 
dell'antica  massima  -  che  Pisa  era  a  tenere  colle  fortezze  - 
l'avrebbe  del  tutto  assicurata  dal  pericolo  di  perderla  nova- 
mente;  e  aveva  però  deliberato  d'erigervi  una  nuova  cittadella 
più  valida  dell'antica,  adoperando  in  quest'opera  l'arte  de'mi- 
gliori  architetti  militari,  e  mandandovi  Giambattista  Bartolini  a 
commissario.  Questi,  sia  che  non  fosse  convinto  della  bontà 
della  massima,  o  non  contento  del  procedere  de'  lavori,  man- 

1  Fr.  Pellrgbiki,  Memorie  dei  fatti  di  guerra  dal  i508  al  Ì5i6  registrali  nel  libro 
dei  Sacriiti  della  cattedrale  di  Belluno,  pag.  20.  «  Nota  quod  in  duobus  annis  et  duobus 
mensibus  habuimus  dominationes  octo,  videlicet  modo  venetos,  modo  Imperatocem.  Multa 
mala  yidimus  et  audivimus  ». 

«  QuBiTA,  loc.  cit.,  lib.  IX,  e.  XXVI  i  *  De  la  alteracion  que  se  movio  en  la  ciudad  de 
Naples,  y  que  se  apaziguo  con  echar  de  aquel  reyno  los  Judios  ». 


Digitized  by 


Google 


526  CAPO  SETTIMO,,  [libeo 

dava  alla  Balia  di  Firenze  una  relazione  o  discorso  in  cui  con* 
eludeva  che,  nel  caso  si  perdesse  la  città,  anche  la  cittadella 
contemporaneamente  si  sarebbe  perduta.  Di  che  i  Dieci  im- 
pensierirono e,  consultato  Giuliano  da  Sangallo,  tennero  che 
prima  di  tutto  importasse  essere  ben  informati  della  condi- 
zione di  fatto  in  cui  i  lavori  trovavansi.  Spedironvi  a  que- 
st'effetto il  Machiavelli  che,  tornato  di  Francia,  aveva  ripreso 
le  sue  cure,  più  militari  che  cancelleresche,  e  atteso,  oltre  un'an- 
data a  Siena  a  denunziare  il  trattato  di  tregua  che  fra  sei  mesi 
era  per  iscadere  con  quella  città,  a  dar  principio  alla  cavalleria 
statuale,  descrivendo  e  accaparrando  cavalli  leggeri  nel  con- 
tado. ^  Egli,  andato  a  Pisa  a'  di  28  di  decembre,  era  già  tor- 
nato a*  5  del  nuovo  anno,  aveva  già  riferito  circa  l'operato 
de'  condottieri  e  del  Bartolini  e  tenutone  proposito  con  Giu- 
liano e  Antonio  da  Sangallo.*  Questi  trovarono  che  veramente 
gli  appunti  mossi  eran  giusti,  e  furono  immediatamente  spacciati 
a  provvedere.  3  Ma  non  era  questione  di  murar  fortezze,  per 

*■  II  M.  impiagò  tre  giorni  in  questa  sua  andata  a  Siona,  secondo  à  indicato  negli  stan- 
ziamenti. La  credensiale  à  in  data  dei  2  dicembre,  e  fu  pubblicata  dairAMico,  Vita  di  N. 
M.,  pag.  348  insieme  a  un  estratto  dal  Registro  delle  Delio,  della  Bada  di  Siena,  in  cui  è 
notato  :  «  Item  in  dicto  collegio  venit  (5  die.)  N.  Machiavellus  mandatarius  florentinus  qui, 
presentatis  literis  credititiis,  et  ostensis  ejus  mandatis  publicis,  dedixit  treguam  nomine 
dictonim  ilorentinorum  ».  —  Il  Pbcci,  Memorie  storico^eriliche  della  città  di  Siena,  t.  i, 
pag.  245,  scrive  :  «  il  di  5  dicembre  1510  giunto  a  Siena  mess.  Niccolò  Machiavelli  è  in- 
trodotto nel  collegio  ».  Il  Tizi,  testimonio  oculare:  «  Quarta  igitur  novembris  die,  que  iovis 
fùit  florentinorum  sene  ailViit  orator  mandata  exequutus;  qua  ex  re  fuere  nonnulli  qui 
existimarunt  pandulphum  petruccius  (sic)  cum  potrò  Sederino  vexillifero  perpetuo  collu- 
dere ut  utrumque  populum  magis  onerare  valerent,  etc.»  (Cf.  Sioisuunoi  Titii,  Histor. 
tenent.,  autogr.  chigiano,  t.  vii,  pag.  128).  È  evidente  che  in  luogo  di  novembri»  il  Tisi 
dovea  scrivere  «decembris»;  e  che  del  resto  il  semplice  scrittore  si  faceva  eco  de*  male- 
voli, i  quali  per  far  comparire  malintensionato  il  Sederini,  gli  facevano  colpa  delle  sue  relv 
sioni  col  Petrucci. 

*  Il  Machiavelli  s'assentò  per  questa  cagione  la  prima  volta  a*  di  13  di  novembre, 
tornando  a* 29  del  mese  medesimo;  la  seconda  volta  da*  3  insino  a*  19  di  dicembre.  Stette 
inoltre  tre  giorni  a  Siena.  Vedi  gli  Stanziafnenii  pubblicati  dal  Passbbini,  loc.  cit., 

pSg.  LXXVII. 

*  Il  Promis  nelle  sue  pregiate  Memorie  storiche  dell'arte  dell'  ingegnere  e  dell'arti' 
gUere  in  Italia  dalla  sua  origine  sino  al  principio  del  XVI  secolo,  Torino,  1841,  pag.  58, 
nota  men  che  esattamente  che,  quando  fu  incominciata  la  fortessa  di  Pisa  «  il  comune  di 
Firense  mandovvi  all'ingegnere  San  Gallo  come  operaio  o  commissario  il  Machiavelli. 
Visitò  egli  i  nuovi  lavori  e  ne  distese  minuta  reiasione  nella  quale,  a  modo  suo,  non  tante 
si  trattenne  a  descrivere  e  lodare  il  fatto,  quanto  a  notare  gli  errori  commessi  ed  indicare 
il  modo  di  correggerli.  Adunque,  segue  il  Promis,  in  quell'anno  era  egli  già  assai  ben 
versato  nella  moderna  architettura  militare  per  sapere  scoprire  in  una  fortezza  costrutta 
secondo  il  nuovissimo  sistema  tante  inconvenienze  con  tanta  ssgacità  ».  —  Ma  a  cosi  gravi 
conclusioni  arrivò  il  Promis,  partendosi  dall'imperfetta  e  confusa  pubblicazione  fatta  dal 
Oatb  {Carteggio  d^artisti,  voi.  ii,  pag.  116-120),  d'un  dispaccio  e  d'alcuni  frammenti  di 
lettere  de'  Dieci  di  Balia  al  Bartolini,  i  quali  documenti  furono  anche  dal  dotto  scrittore 
piemontese  interpretati  con  eccessiva  ampiezza  di  favore  e  di  disfavore,  per  riguardo  al 
M.  Questi  infatti  fu  inviato  con  semplice  veste  di  segretario  e  con  mandato  ad  refe» 
rendum,  non  già  al  Sangallo,  ma  al  Bartolini  ;  né  quel  che  riferi  fu  parer  suo,  ma  processo 
verbale  d'una  consulta  di  condottieri  raccolta  presso  il  Bartolini  stesso;  di  guisa  che  se 


Digitized  by 


Google 


secondo]  PISA  E  LA  FAMIGLIA  MEDICI.  527 

assicurarsi  il  possesso  di  quella  terra.  Troppe  cagioni  a  temer  di 
perderlo  intravedevano  i  Fiorentini  e  nella  loro  politica  interna 
e  neirestema.  I  Pisani  naturalmente  detestavano  più  che  ogni 
altro  giogo  quello  della  snervante  superbia  democratica,  che 
faceva  veder  loro  un  oppressore  in  ogni  becero  e  in  ogni  ciana 
di  Firenze.  E  senza  dubbio  si  sarebbero  accomodati  con  animo 
men  dispettoso  ad  una  tirannide  qualsiasi,  che,  le  due  città  si- 
gnoreggiando con  durezza  e  arbitrio  eguale,  pareggiasse  i  due 
popoli  in  una  servitù  medesima.  Né  la  famiglia  Medici  ignorava 
la  condizione  e  l'inclinazione  di  Pisa.  Faceva  anzi,  ed  aveva 
fatto  di  tutto  per  abbracciare  la  causa  della  città  oppressa;  ^ 
ne  avrebbe  voluto  impedire  la  sottomissione  e,  seguita  questa, 
intendeva  che  l'unico  scopo  cui  le  convenisse  aver  l'occhio 
oramai,  era  un  mutamento  di  governo  in  Firenze.  Il  cardinale 
de'  Medici  s'accinse  a  lottare  pel  conseguimento  di  questo  fine, 

nella  relazione  notò  piattosto  gli  errori  commessi  e  indicò  il  modo  di  correggerli,  queste 
indicazioni  furono  non  già  prodotto  del  sno  pensiero,  ma  esposizione  di  quel  degli  altri; 
tanto  era  egli  lungo  in  questa  faccenda  dal  trattar  Targomento  «a  modo  suo»;  tanto 
lunge  dal  dar  pareri  al  Sangallo,  dal  cui  contatto  potò  invece  assumersi  quel  pò*  di  notizia 
circa  Tarte  della  fortificazione  di  cui  poi  dio  sentore  nell'Arte  della  guerra.  Nò  era  questo 
il  caso,  come  ben  può  avvisare  il  lettore,  in  cut  s*appartenes«e  al  M.  o  ad  altri  di  descri- 
vere 0  lodare  il  resto  del  fatto.  Farem  solo  rilevare  come  in  un  frammento  di  lettera  al 
Bartolini,  in  data  del  13  gennaio  1510-1,  edito  dal  Gatb  (loc.  cit.,  pag.  120)  si  faccia  parola 
«  del  cavare  é*  fossi  di  dentro  della  cittadella  nuova  »  ;  onde  apparisce  che  1*  idea  esposta 
dal  M.  {Arte  della  guerra,  lib.  vii)  di  fare  nelle  fortezze  «  il  muro  alto  e  con  mura  di 
dentro  e  non  di  fuora  »,  gli  venne  probabilmente  da  Antonio  da  Sangallo  e  ne  vide  Tesempio 
o  il  tentativo  nella  cittadella  nuova  di  Pisa.  Per  quanto  poi,  rispetto  alla  pubblicazione 
degr  indicati  documenti,  risguarda  il  Gaye,  occorre  osservare  come  questi  (pag.  117)  con- 
fonda tempi  e  cose,  mettendo  in  nota  al  Dispaccio  dei  Dieci  al  Bartolini  «  die  !^  de- 
oembr.  1510  »,  un  frammento  di  lettera  scritta  al  M.  nel  tempo  della  guerra  di  Pisa,  in 
data  de'  18  dell'agosto  1508.  Quanto  poi  al  testo  della  lettera  «  Ioanni  baptiste  bartolino 
die  V  januarii  1510-1,  basti  accennare  questa  sola,  fra  le  molte  varianti,  da  noi  osservate, 
collazionando  l'edizione  col  testo  originale: 

ed.  Gate,  pag.  120:  «  et  però  se  in  deota  aut.  (Arch.  fior.,  ci.  x,  dist.  iii,  n.  130, 
cittadella  si  truova  artiglieria  di  più  portata,  e  128t)  :  «  et  però  se  in  decta  cittadella  si 
metterai*  in  cittadella  nuova  ».  truova  artiglieria  di  più  portata  che  falco- 

netto la  trarrai  solo  et  metterala  in  citta- 
della nuova  ;  et  quando  e  ti  paressi  da  trarre 
ancora  et  lasciarla  solamente  cogli  archibusi 
per  maggiore  artiglieria  lo  rimettiamo  nel 
juditio  tuo;  farane  anchora  trarre  tucto  el 
salnitro  ui  si  truova  e  mettoralo  in  cittadella 
nuova  consegnandolo  appeso  ad  chi  tiene 
l'altra  munìtione  e  di  tucto  ne  darai  ad  viso 
qui  :  vale  ». 

1  Marin  Sanudo,  Diarii,  v,  1030  :  (marzo  1504).  —  «  Come  el  cardinal  di  Medici,  dubi- 
tando che  Pisani  non  si  accordino  con  fiorentini,  al  qual  effecto  il  papa  ò  intento,  eri  fo 
dal  papa,  dicendo  a  soa  santità  pisani  amano  la  caxa  di  Medici,  et  tramando  tal  acordo, 
saria  bon  Medici  ritornassimo  in  Fiorenza,  maxime  perchò  fiorentini,  poi  la  morte  di  Piero, 
non  sono  cussi  contrari  a  essi  Medici,  come  li  ha  riferito  Bernardo  Bibbiena.  E  che  *1  papa 
li  ha  risposto  bone  parole;  et  che  li  fazi  constar  la  bona  voluntà  di  pisani  a  caxa  di  Me- 
dici, che  farà  il  tutto  ». 


Digitized  by 


Google 


528  CAPO  SETTIMO.  [lib»o 

con  quella  pertinacia  e  quella  scaltrezza  ch'era  dell'indole 
sua.  Non  aveva  potuto  piegare  il  papa  a  favore  di  Pisa?  collocò 
già  le  sue  speranze  ne'  cardinali  francesi.  ^  Gli  mancavano 
questi  0  scadevano  d'autorità  e  di  potenza  ?  ed  ei  si  rifaceva  al 
pontefice.  Aveva  anzi  iniziato  una  lotta  palese,  se  non  aperta, 
col  cardinal  di  Volterra  in  corte  di  Roma.  Il  suo  nome  era 
dovunque  quello  del  Sederini  non  stesse;  il  suo  voto  sempre 
contro  di  questo;  le  persone,  protette  da  questo,  eran  da  lui  o 
attratte  o  bersagliate;  si  guerreggiava  nella  scelta  delle  spose, 
nella  nomina  de' vescovi,  ovunque  apparisse  un'occasione  di 
provar  le  forze.  Filippo  Strozzi,  contro  le  minacce  della  Qua- 
rantia,  malgrado  la  volontà  del  gonfaloniere,  s'era  imparentato 
co'  Medici,  sposando  la  Clarice,  una  figliuola  di  Piero.  Il  gonfalo- 
niere ne  fece  un  inferno;  vide  in  questo  maritaggio  un  caso  di 
stato.  Voleva  punito  crudamente  il  giovane  come  ribelle,  rivocata 
la  sua  causa  alla  Signoria,  cui  egli  presiedeva,  sottraendola  alla 
competenza  degli  Otto  di  guardia  e  balia,  alla  quale  l'avea  de- 
mandata; intendendo  con  questo  giudizio  colpire  non  solo  il  car- 
dinal de' Medici,  che  aveva  procurato  con  ogni  industria  di  collo- 
care a  nozze  in  Firenze  la  fanciulla,  ma  anche  i  consigliatori  del 
matrimonio:  i  Rucellai,  i  Salviati,  Giovan  Battista  Ridolfi  egli 
altri  giovani,  della  parte  dei  quali  lo  Strozzi  erasi  fatto  capo. 

L'accusa  segreta  presentata  al  tribunale  parve  scritta  con 
gran  finezza  d'arte;  e  corse  voce  che  fosse  opera  del  Machia- 
velli. ^  Potè  forse  essere;  noi  non  abbiamo  cagione  di  negarlo 
0  d'affermarlo.  Ma  quella  voce  corsa  designò  certo  all'odio  de' 
Palleschi  e  de' nobili  il  Segretario,  da  tutti  risguardato  sempre 
più  come  uomo  dedito  interamente  a'  Sederini. 

Neil'  istesso  tempo,  la  franchezza  che  s'ostentò  dallo  Strozzi, 
la  poca  paura  mostrata  da  lui  e  da'  suoi  del  giudizio  dei  fog- 
geitini,  ^  la  mitezza  della  sentenza  nonché  i  mezzi  termini 
con  cui  veniva  talora  in  parte  elusa,^  dicevan  chiaro  che  gli 

1  M.  Sanuoo,  Diarii,  t.  vii,  549:  (giugno  1508)  «i  qual  cardinali  francesi  hanno  dito 
a*  Medici,  che  stagino  di  bona  voja,  che  presto  si  lùuterà  governo  in  Fiorenza  ». 

*  Cf .  Guicciardini,  Storia  fiorentina,  cap.  xxxii,  pag.  375  e  segg.  —V.  Lorenzo  Strozzi, 
Vita  di  Filippo  Strozzi,  suo  fratello j  ed.  Lemonnìer,  pag.  xx:  «Cosi  fa  presentato  agli 
Otto  secretamente,  secondo  Io  stile  degli  ordini  nostri,  un*accasa  di  Filippo,  con  molta 
arte  e  con  molto  ordine  composta,  si  che  per  certo  si  credette  che  Niccolò  Machiavelli 
(che  fu  poi  scrittore  delle  nostre  Istorie,  segretario  allora  della  Signoria,  e  molto  intrinseco 
al  Gonfaloniere)  ne  fusse,  ad  istanza  del  detto,  l'autore  ».  —  Cercammo  indamo  nelPAr- 
chivio  di  Firenze  Tatto  d'accusa  dello  Strozzi. 

*  Guicciardini,  Stor.  fiorentina,  pag.  378  :  «  e  cosi  chiamando  foggiettini  i  popolari,  si 
facessi  beffe  del  Consiglio  e  Governo  popolare  ». 

*  Pitti,  Apologia  de'  Cappucci,  pag.  315  :  «  . . . .  dico  che,  avendo  Filippo  Strozzi 
preso  per  donna  la  Clarice,  figliuola  di  Piero  de'  Medici  morto  ribello,  e  nipote  di  Giuliano 


Digitized  by 


Google 


secondo]  arti  CORROMPITRICI  de*  medici.  589 

avversari  della  repubblica  guadagnavan  terreno  e  favore. 
Questi  alle  fanciulle  delle  migliori  casate,  in  tempo  in  cui 
nella  città  corrotta  i  matrimoni  accadevano  radissimi,  facevano 
di  quando  in  quando  balenar  pratiche  di  nozze  col  giovane 
Lorenzo,  nipote  del  cardinale  de*  Medici,  parentado  ghiotto. 
All'Alfonsina  Orsini,  la  vedova  di  Piero,  venuta  a  Firenze  a 
richiedere,  trai  beni  confiscati  del  marito  ribelle,  la  dote  sua; 
all'Alfonsina  che  aveva  concluso  quel  primo  matrimonio  dello 
Strozzi,  rotto  il  ghiaccio,  sarebbe  stato  meno  difficile  trovar 
la  via  ad  altre  nozze  opportune.  *Nè  la  scaltra  donna  trala- 
sciava mezzo  di  comperare  animi;  visitava,  riceveva  visite,  cor- 
teggiava, non  già  gli  avversi  alla  democratia,  ma  i  nemici 
personali  del  gonfaloniere,  i  Rucellai,  i  Salviati  ;  ^  e  nelle  case 
di  costoro  ebbe  forse  a  incontrarla  anche  Niccolò  Machiavelli, 
scandagliato  da  lei  nell'animo,  dipinto  a  lei  forse  per  men 
soderinesco  che  non  credevasi,  poi  che  i  Salviati  aveano  gu- 
stato i  riposti  epigrammi  del  Decennale  intorno  alla  «  soda 
pietra  >.2 

Frattanto  casa  Orsini  cospirava  a  infiltrare  i  Medici  dentro 
Firenze  per  ogni  via.  Rinaldo  Orsini  rinunciava  a  bella  J)Osta 
l'arcivescovato  della  città;  e  chi  gli  successe,  Cosimo  Pazzi, 
riconobbe  da  favore  del  cardinale  Giovanni  la  promozione  sua. 
Il  cardinale  Sederini  non  seppe  dissimularne  la  stizza,  e  le 
due  porpore  in  pieno  concistoro  s'aflfrontarono.  ^  Le  ire  prò- 
nippero  in  breve,  rotta  ogni  simulazione;  che  la  furia  de' pro- 
cedimenti di  papa  Giulio  non  era  fatta  per  lasciare  gli  odi  a 
stagnare. 

suo  fratello  similmente  ribello,  la  giastisia  doveva  uscire  di  paese.  —  T.:  Oh  perchè?  — 
P.:  Perchè  altro  è  la  ribellione  di  un  cittadino  privato,  e  altra  è  di  colui,  il  quale  è  assue- 
fatto a  padroneggiare  la  patria,  com'erano  i  parenti  più  stretti  della  Clarice.  Ma  perchè 
quella  criocca  che  alla  fine  arrosti  Marzocco,  era  nella  Repubblica  potente,  favorita  dalla 
fievolezza  di  molte  buone  persone,  le  quali  non  vogliono  mai  fare  male  a  nessuno,  lo  giu- 
dicarono per  Tordinario.  —  T.:  E*  lo  confinarono  pure  fuori  dello  stato.—  P.:  Si,  ma  e' lo 
facevano,  non  ostante  il  confino,  passeggiare  di  quando  in  quando  la  piazza.  —  M.:  Oh 
come  può  star  questo,  che  non  ne  fusse  gastigatol  ^-  P.:  Quando  veniva  una  mana  di 
Dieci  della  guerra  fazionaria,  faceva  comandamento  a  Filippo,  che  sotto  gravi  pene,  si 
rappresentasse  dinnanzi  al  magistrato  loro;  cosi  lo  trattenevano,  in  dispregio  e  scorno  di 
tutti  i  libertini  ». 

1  Nbbli,  Commentare,  pag.  99-100. 

*  V.  a  pag.  310  e  segg. 

•  Marin  Sanudo,  Diarii  Oaglio  1508),  t.  vii,  pag.  5Sl  :  -e  Et  che  in  concistorio  era 
sta*  conferito  Tarzivescoa*  di  Fiorenza,  vachato  per  la  morte....,  in  uno  de*  Pazi,  qual  fo 
promosso  per  el  cardinal  de  Medici.  Et  che  el  cardenal  Volterà  disse:  L*è  homo  da  ben, 
et  quella  caxa  fo  sempre  contraria  a*  tyranni.  Questo,  perchè  li  Pazi  alias  amazorono  Ju- 
liano  de*  Medici  etcEt  che  *1  cardinal  di  Medici  0  rispose,  aziò  fusse  expedito.  Et  com- 
pito di  pronuntiarlo,  esso  Medici,  con  altri  cardinali,  andò  verso  Volterà,  dicendo,  a  che 
fin  hauia  dito  quelle  parole,  alterandosi  insieme  assai  »,  etc. 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  34 


Digitized  by 


Google 


530  .    CAPO  SETTIMO.  [libbo 

Il  concistoro  era  allora  un  microcosmo,  e  la  lotta  ecclesia- 
stica, che  cominciava  ad  agitare  Y  Europa,  impegnava  i  cardinali 
a  scindersi  in  tante  fazioni  quante  le  nazioni  e  gl'interessi.  I 
prelati  di  Tours  avevano  risposto  conforme  ai  desideri  del  re  di 
Francia  circa  le  otto  proposizioni  loro  sottoposte  ;  contro  al  pon- 
tefice risollevando  le  temute  idee  del  Gerson,  le  decisioni  del 
concilio  di  Costanza,  le  tradizioni  della  chiesa  gallica.  Ma  alla 
corte  d'un  papa  violento  e  che  governava  da  principe,  i  cardinali 
non  si  sentivano  sicuri.  S'era  veduto  quello  di  Auch  imprigio- 
nato; quello  d'Alby  morto  e,  sospettavasi,  di  veleno.^  All' im- 
provviso cinque  di  essi  credettero,  sfuggendogli  di  mano,  prov- 
vedere ai  casi  propri.  Dovevano  recarsi  da  Roma,  strano  a  dirsi, 
all'accampamento  del  papa  belligero,  presso  a  Bologna;  ma.  de- 
viarono, e  il  Carvajale  Francesco  Borgia,  vescovo  di  Cosenza, 
giunsero  a' 21  del  settembre  in  Siena;  e  il  dì  appresso  vi  ar- 
rivarono Federigo  di  Sanseverino  e  il  BriQonnet,  cardinale  di 
San  Malo,  e  quel  di  Bayeux,  Renato  de  Brie.  I  Francesi  furono 
ospitati  da  Pandolfo  Petrucci,  e  presso  quel  tiranno  scaltrissimo, 
che  sapeva  uccidere  tra'  complimenti,  stettero  in  gran  paura 
d'essere  nelle  vivande  attossicati;  *  però  ben  presto  partironsi 
alla  volta  di  Firenze,  sicuro  porto  ai  Francesi.  Gli  altri  due,  in- 
vece, soprastettero  alquanto  cercando  nell'arcivescovato,  come 
annota  il  Tizi,  i  volumi  del  concilio  di  Costanza  e  più  special- 
mente quel  capo  «  concilium  de  decennio  in  decewnio  esse 
congregandum».^  E  superfluo  aggiungere  che  questi  cardinali 
fuggiaschi  furono  presto  fatti  scismatici  e  guadagnati  tutti  alla 
causa  di  Francia  e  del  Concilio,  bandito  contro  a  papa  Giulio, 
per  la  riformazione  della  Chiesa  nel  capo  e  nelle  membra,  e  da 
congregarsi,  secondo  che  il  re  di  Francia  aveva  scritto  ai  Fio- 
rentini «  en  votre  die  de  Pise  ».  ^  E  alla  scelta  di  Pisa  erasi 
adattato  anche  l'Imperatore,  cui  questa  città  parve  a  Firenze, 


}  V.  fra  le  Lettre»  de  Ta)hìs  XII,  t.  ii,  pag.  45,  la  Lettera  di  Jean  Caulier  a  Marghe- 
rita d'Austria  :  «  Ginq  cardinaalx  8*en  sont  fuys  de  Rome  &  retirez  à  Florence,  asscavoir 
Messrs.  de  Saincte  Croix,  de  Sainct  Severin,  trois  de  Franco  et  encores  nng  d'Espagne. 
Le  cardinal  d'Àlby  est  mort  à  Rome  &  faict  Ton  doublé  quMI  n'ait  esté  empoisonné.  I^ 
Maistre  d'hostel  Rìgault  a  prie  Monsr.  de  Gurce  voulloir  escripre  à  Monsr.  le  cardinal  de 
Saincte  Croix  qo'il  se  voeulle  conformer  à  Tadvis  des  aultres  cardinaulx  qui  se  sont  re- 
fugies  avec  ìny  au  dit  lieu  de  Florence  ». 

*  Cf.  SiGiSMUNDi  Tini,  Hitì.  aanens.f  loc.  cit.:  «  in  Pandulphi  edibus  excepti  insuper  sunt, 
plorimnm  circa  alimoniam  atque  dapes  suspicati,  ita  ut  conflderent  nemini  ». 

*  Labbé,  Condì  gener.,  tom.  xvii.  Act.  Conc.  Const.,  ses!^.  xxxix,  col.  700. 

*  Dbsjabdins.  yégocialions  diplom.,  t.  ii,  pag.  526.  Lett.  di  re  Luigi  alla  Signoria, 
27  gennaio  1511.  —  Cf.in  Goldast,  Politica  imperialia,  pag.  1194^  la  Convocatio  generalii 
Concini  apud  Pisam. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  INSIDIE  CONTRO  I SODERINI.  531 

che  prima  vaghegjgiava,^  preferibile,  per  esser  quella  di  tradizioni 
imperiali,  già  celebre  ne'  fasti  conciliari,  e  posta  sotto  la  giuris- 
dizione de'  Fiorentini  ;  ai  quali  così,  malgrado  la  sottomissione 
recente,  la  questione  pisana  si  riaccendeva  d'un  subito.  Il  cardi- 
nale Sederini  ben  ebbe  l'accorgimento  di  resistere  alle  insi- 
nuazioni del  re  e  di  Massimiliano;  di  non  congiungersi  con 
coloro  in  alcuna  manifestazione  esterna  contraria  al  pontefice; 
noia,  dicevasi  da' suoi  nemici,  ed  anche  da  talun  degli  amici,  ^ 
che  s'egli  avesse  saputo  adoperarsi  presso  il  governo  fiorentino, 
né  Pisa  sarebbe  stata  scelta  a  sede  ,del  concilio,  né  accordata. 
E  invece,  concessa  prima  in  gran  segretezzja  e  per  lo  spauracchio 
dei  Medici,  che  anche  i  Francesi  vincitori  tenevano  in  mano, 
era  stata  accordata  poi  per  votazione  amplissima  del  Consiglio, 
quando  le  fazioni,  cupide  di  gettare  nell'  imbarazzo  il  gonfa- 
loniere, si  trovarono  facilmente  concordi  in  una  maggioranza 
occasionale.  3 

Il  cardinale  de'  Medici,  gettandosi  all'  incontro  con  lar- 
ghissimo gioco  alla  banda  del  papa,  n'avea  guadagnato  grazia 
illimitata,  eccitando  in  lui  tanto  malanimo  contro  al  gonfalo- 
niere perpetuo  e  alla  sua  famiglia,  da  non  farlo  guardar  più  pel 
sottile  a'  mezzi  d'estirparla  di  Firenze.  E  Prinzivalle  Della  Stufa, 
che  dimorava  alla  corte  papale,  ebbe  coraggio  d'andare  a  Filippo 
Strozzi,  uomo  che  il  Machiavelli  giudicò  poi  fatto  apposta  per 
congiurg^re,-*  a  proporgli,  incitato  dal  papa,  da  Marcantonio  Co- 
lonna e  forse  anche  dal  Petrucci,  di  tórre  la  vita  s^  Pier  Sede- 
rini. Lo  Strozzi  astutamente  rifiutando  il  pericoloso  partito,  lasciò 
sfuggir  Prinzivalle  a  Siena,  e  rivelò  poi  la  trama.  Ne  segui  un 
processo  per  cui  il  Della  Stufa  venne  condannato  come  ribelle, 
o  il  padre  di  lui  confinato  a  Certaldo.  Di  papa  Giulio  si  scri- 
veva: «  le  diable  le  chasse  »;  ch'aveva  il  diavolo  addosso. ^  Le 
porte  di  Firenze  stetter  chiuse;  la  città  sembrò  sbigottita;  il 
cenno  che  si  potevano  preparare  e  aspettare  mutamenti  era 
dato.  Non  andò  gran  tempo  che  Piero  di  Tommaso  Sederini, 
nipote   del   gonfaloniere,   ebbe   ad  esser  ferito  egli  pure  al 

1  Cf.  V istruzione  delV  Imp.  a  Pigolio  Portinari,  in  Appendice. 

*  V.  Nardi,  Storie  di  Firenze,  lib.  vi:  «E  qui  è  da  notare  che  il  cardinale  Sederino 
aveva  anche  egli  secretamente  tenuto  intelligenza  con   questi   cardinali  ». 

•  Pitti,  Apologia  de'  Cappucci,  pag.  307. 

♦  Cf.  BU8INI,  loc.  cit.,  pag.  115.  • 

»  Nardi,  Storie  di  Firenze,  lib.  vi.  Pitti,  Storia  di  Firenze,  lib.  ii,  pag,  97.  —  Cambi, 
Storia  di  Fir  ,  pag.  247.  Ammirato,  Storie  fiorentine^  lib.  xxviii.  Titii,  Annales  Sanenses,  ms. 
cit.,  t.vii,  pag.  129.  Cf.  tra  le  Lettres  de  Louis  XII,  quella  d'Andrea  de  Burgo  a  Mar- 
gherita d'Austria  «  4  &  5  gennaio  1510  ». 


Digitized  by 


Google 


582  CAPO  SETTIMO.  [i. 

collo,  e  anche  questa  volta  le  porte  della  città  stettero  due 
di  serrate.  ^  L*  inganno  e  la  violenza  andavano  in  caccia  de*  Se- 
derini; il  sangue  loro  si  cominciava  a  versar  sulle  strade;  Tap- 
prensione  si  destava  ne*  timidi,  gli  adoratori  della  forza  stac- 
cavano pian  piano  Tanimo  dalla  causa  di  quelli,  in  tanto  che 
la  fortuna  dei  Medici  ascendeva  rapida  e  promettente. 

Scrivendo  al  vescovo  di  Parigi,  il  Gurgense  gli  significa  come 
papa  Giulio,  sfuggito  inopinatamente  a  morte  malgrado  le  spe- 
ranze,^ delegava  tre  cardinali,  quel  di  San  Giorgio,  il  Reginense 
e  il  Medici  a  trattare  gli  affari.  ^  Poi  nel  luglio,  quando  si 
pubblicò  la  convocazione  del  concilio  lateranense,  a  pie  di  quel- 
l'atto, con  partigianeria  ostentata,  il  nome  di  Giovanni  de*  Medici 
figurava  tra  quelli  de'  cardinali  diaconi  ;  e  quel  del  Sederini 
non  v'era.  Questo  lo  metteva  presso  la  curia  in  una  irre- 
parabile condizione  d'inferiorità;  né  andò  molto. che  per  dis- 
petto a  Firenze  e  per  nuocere  al  partito  soderinesco,  il  car- 
dinale Giovanni  fu  eletto  alla  legazione  di  Bologna.^  Lega- 
zione malauguriosa,  dicevano  i  curiali  memori  dei  molti  prelati 
che  in  quell'officio  mal  capitarono;  dal  cardinal  Savelli,  a 
Francesco  di  Castel  del  Rio,  cui  toccò  l'onore  d'essere  assas- 
sinato da  un  Della  Rovere;  ^  e  al  Reginense,  che,  assunto  ultimo 
a  quella  dignità,  fu  rapito  presso  che  subito  dalla  morte.  Ma 
la  fortuna  del  Medici  sfidava  pregiudizi  e  malie,  rivolgendo  ogni 
occasione  a  suo  prò.  Quella  legazione  lo  innalzava  a.  vessillo 
della  politica  antifrancese  in  Italia;  la  dignità  gerarchica  lo 
facea  agli  occhi  ecclesiastici  venerando,  e  in   Firenze  v'era, 

^  SioisMUMDi  Tini,  Ann.  Sanent.,  t.  tu.  pag.  134. 

*  Lettres  di*  Roy  Louis  XII,  loc.  cit.,  t.  n.  pag.  08:  «  Le  pape  est  toujours  malade, 
mais  l'espoir  de  la  mort  n*est  si  grand  quMl  estoit  passe  quatre  jours,  &  esticrvoix 
qa'il  fatt  quatre  mil  oouveaulx  gens  de  pied  ». 

>  Ibid.,  t.  n,  pag.  163,  Lettera  del  Gurgense  al  vescovo  di  Parigi  da  «  Bolsano,  17 
aprile  1511  ». 

*  Lettre»  de  Loui»  XII,  t.  ni,  pag.  75  e  segg  Ferry  Garondelet  a  Margherita  d'Au- 
stria, da  Roma,  a  10  ottobre  1511:  «et  (le  pape)  a  crée  Legat  de  toute  la  ditte  Roraaigse 
ou  lieu  dadit  feu  Regine,  le  Cardinal  de  Medicis  qui  est  Florentin,  ayant  grant  part  audit 
Florence,  pour  povoir  par  ce  moyen  plus  nuyre  esdits  Florentins,  ausquels  comme  l'on 
dict  veult  faire  guerre,  à  cause  qui  consentent  au  Consille  que  Ton  veult  faire  contre  lay. 
et  quMIs  ont  baillé  à  requeste  du  Roy  de  Franco  la  cité  de  Pise  pour  ce  faire,  contre 
Tordonnance  &  declaration  quMl  a  fait  en  la  publication  d*ung  anitre  general  Consile  qui 
veult  faire  dù  consentement  de  tous  les  Cardinal s  à  ces  Pasques  cy  à  Rome.  Dieu  doint 
que  bien  en  avienne».  Cf.  Paris  db  Obassis,  Diario ^  oct.  1511. 

*  Perchè  questa  non  paia  una  nostra  gratuita  ironia,  rechiamo  dal  Cod.  vat.  3419, 
pag.  59,  il  seguente  epigramma  del  Maddalbno  : 

«  D.  M.  Francisci  Àlidoxii. 
Moribus  et  vita  Verres:  Catilina  cadendo, 

Sed  non,  pugnando  fortiter,  interii. 
Una  tamen  misero  laus  est.  unumq.  levamen 

Non  poteram  dextra  nooiliore  peti  ». 


Digitized  by 


Google 


WKJOKDo]  /  MEDICI  E  I  SODERim.  58S 

come  scrive  il  Gambi,  quella  «  spezieltà  de*  preti  >,  de' quali 
ogni  casa  grande  per  Tutilità  delle  entrate  n'avea  qualcuno.* 
A  petto  a  tanta  forza,  a  tante  cagioni  di  preponderanza  che 
cosa  potevano  mettere  in  campo  i  Sederini  ?  la  suprema  auto- 
rità del  gonfaloniere  perpetuo;  ma  nella  repubblica  democra* 
tica,  questi  non  aveva  a  sua  disposizione  che  mezzucci,  espe- 
dienti parlamentari,  ingegni  di  mèro  apparato,  a  petto  alla  Si- 
gnoria mutabile,  alla  Pratica  malfida,  al  Consiglio  grande  vario, 
fiacco,combinante  secondo  l'opportunità  le  maggioranze  sue.  ^  Ma 
ih  fondo,  il  gonfaloniere  nelle  deliberazioni  non  valeva  che  un 
voto,  ed  era  esecutore  necessario  di  pubbliche  volontà,  delle 
quali  comprendeva  spesso  la  determinazione  obliqua,  o  l'in- 
sidie nascose,  senza  poterle  mettere  a  nudo,  che  non  paresse 
farlo  per  suo  particolare  riguardo.-  Contro,  agli  Orsini,  con 
tanta  efficacia  medicei,  ei  non  poteva  opporre  come  soderine- 
schi  i  Colonna^  Marcantonio  era  divenuto  capitale  nemico  di 
Firenze;  Fabrizio  costava  troppo,  e  le  Pratiche  osteggiavano 
come  gravosa  ed  inutile  la  condotta  delle  armi  loro.^  Piero  Se- 
derini era  stato  buon  massaio  della  pubblica  sostanza,  avea  tolto 
dì  mezzo  il  depositario  del  danaro  del  comune,  sgravando  il 
bilancio  dello  stipendio  fisso  per  quest'ultimo  e  delle  perdite 
eventuali  che  ne  derivavano,  sottraendo  ai  banchieri  lauti  emo- 
lumenti d'usure.*  Aveva  pertanto  malcontentato  i  nobili,  non 
solo  come  nobili,  ma  come  mercanti;  sul  clero,  per  via  del 
cardinale  di  Volterra,  non  aveva  quella  presa,  che  potevano 
bensì  esercitare  l'arcivescovo  di  Firenze  e  il  legato  di  Bologna. 
Per  virtù  naturale  dell'indole  sua,  in  quella  scompaginata  de- 
Dflocratia  recava  l'obbiettivo  del  bene  comune  idealmente  sen- 
tito, senza  rispetto  a  ceti,  senza  favori  a  persone,  senza  quella 
bassa  mira  da  demagoghi,  si  ovvia  dove  governa  il  numero, 

^  Caiibi,  St.  di  Firenze,  t.  ii,  pag.  270. 

*  Guicciardini,  Opp.  inedite,  voi.  ii,  pag.  280.  Pitti,  Apologia  de* Cappucci,  paf{.  907. 
B  Dbsjardiks,  Ioc.  cit.,  t.  II,  pag.  517-18:  «  (M.  A.  Colonna)  servirebbe  volentieri  per 

la  metà  manco  condizione,  a  chi  avessi  a  fare  guerra  a*  Fiorentini  che  a  qualunque  altro  ». 
—  Bibl.  Vatic,  ms.  ottob.  2759,  Consulte  e  Pratiche  della  Rep.  fior.,  pag.  130t.  «  Die  xxij 
juHi  1512.  —  ....M.  Matteo  Niccolini:  circa  a  Fabrìtio  el  medesimo  per  hauere  prouato 
questi  Colonnesi  insopportabili  et  per  uenire  in  una  spesa  grandissima  senja  fructo  ».  eco. 

*  Cambi,  .Scorta  di  Firenze,  t.  ii,  pag.  242:  «Chominciò  nel  principio  di  sua  Signoria 
a  fare,  che  uno  dei  Magnifici  Signori,  che  pareva  fussi  apto,  fussi  dipoxitario  delle  pe- 
cunie del  Chomune  di  dua  mesi  di  loro  Signoria,  et  chosi  e*  seghnitò  per  insino  pi  questo 
di,  et  seghue;  et  avanti  si  pigliassi  questo  modo,  si  faceva  Dipoxitario  qualche  mercha- 
tante,  che  avessi  buono  credito,  chon  fiorini  50  d*oro  el  mese  di  salario,  in  modo  che  e*  da- 
nari che  prestavano,  si  paghava  inghordi  interessi,  chon  danno  grande  del  Chomune,  et 
per  questa  chagione  ministrando  questo  danaio  lui,  cho*  Magnifici  Signori,  però  à  voluto 
renderne  ragione  al  popolo  ». 


Digitized  by 


Google 


534  CAPO  SETTIMO.  [libbo 

di  far  uscire  le  piccole  utilità  de' volghi  facinorosi  dal  sagri- 
ficio  pubblico.  Però,  come  gonfaloniere  perpetuo,  poteva  cre- 
dere d'essere  amato  da  chi  veramente  amava  queirordinamento 
dello  stato;  ma,  lui  come  lui,  non  aveva  fatto  nulla  per  avvin- 
cersi proseliti,  per  guadagnar  partigiani.  Aveva  anzi  messo  tutto 
l'amor  proprio  a  far  parere  amabile  la  libertà  per  la  schiet- 
tezza di  vita  ch'essa  domanda,  come  condizione  fondamentale 
della  propria  esistenza. 

Ma  dalla  schiettezza  trarre  dignità,  farla  comparire  virtù 
forte  e  magnanima,  tenerla  alta  cosi  che  la  calunnia  non  la 
denigri,  che  la  meschinità  non  l'avvilisca  coli' interpretazione, 
che  la  villana  intimità  non  la  sfiorì  col  dito,  era  tale  impresa 
che  al  Sederini  non  riusci.  Non  già  ch'egli  non  sapesse  ispi- 
rare il  suo  pensiero  a  grandezza;  che  del  pensiero  e  del  sen- 
timento non  si  sforzasse  ottener  la  concordia  nell'animo  suo 
retto;  ma  l'espressione  esteriore  tradiva  spesso  in  lui  il  di- 
sagio della  carne  inferma,  in  mezzo  a  condizioni  eroiche  ti:^ 
cui  la  necessità  lo  cacciava,  e  in  cui  non  poteva  durare  a 
lungo,  senza  che  la  tempra  del  suo  debole  corpo  ripugnasse 
al  violento  impero  dell'animo.  Egli  era  pertanto  incapace  di 
quella  sublime  ipocrisia  che  è  dissimulazione  dell'  interna  lotta, 
e  di  cui  non  può  fare  a  meno  chi  vuol  farsi  un'arma  dell'  ideale, 
chi  s' indossa  un  principio  e  vuol  trionfare  per  esso.  Per  questa 
cagione,  con  tanta  sua  virtù,  egli  ebbe  a  riscuotere  dai  con- 
temporanei suoi,  amatori  di  libertà,  più  compianto  che  ammi- 
razione; per  questa  cagione,  i  nemici  di  lui,  simulatori  e  fallaci, 
trovaron  la  via  di  screditarlo  agli  occhi  del  popolo,  nella  fantasia 
del  quale  ei  non  grandeggiava  e  non  trovava  difesa.  Dacché, 
c'era  chi  n'avea  visto,  e  per  cause  piccole,  le  furie  prorompenti, 
sproporzionate,  vane,  sfidate  ;  cóme  in  occasione  del  matrimonio 
dello  Strozzi,  quando  il  suo  zelo  contro  a'  ribelli,  C9ntro  chi  coi 
sacramenti  corrompeva  la  repubblica,  fu  colorito  per  invidia  di 
parentado.  C'era  chi  vedendolo  piangere  in  Consiglio,  quando  non 
si  vinceva  la  provvisione  del  danaio,  aveva  riso  della  impotenza 
democratica,  di  cui  quegli  credeva  aver  fatto  la  forza  sua.  Chi 
vedendolo  rompere  in  lagrime,  tanto  da  venirgli  men  la  parola, 
nell'arringare  il  popolo,  quando  il  Della  Stufa  provò  d'attentargli 
alla  vita,  avea  goduto.*  Cosi  l'eloquenza  di  Piero  spesso  era  sem- 
brata feminea;  femineo  il  suo  armeggiare  coi  reconditi  congegni 
parlamentari,  a  fine  di  spuntare  una  deliberazione  contrastata. 

^  Cambi,  loc.  cit.,  pag.247. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  condizione  DI  PIERO  SODERINL  535 

Ma  il  dispregio  che  affettavano  e  provocavano,  a'  nemici 
di  lui  non  bastava.  E' ne  volevan  1*  infamia,  però  che  in  quel 
loro  dispregio  era  più  odio  che  disistima,  più  desiderio  di  ca- 
lunniare che  possibilità  di  nuocere.  E  alle  calunnie  schiude, 
com'  è  naturale,  più  facile  campo  la  politica  esterna  che  V  in- 
terna, presso  il  popolo  ombroso,  che  suppone  male  dovunque 
non  arriva  cogli  occhi;  che  mentre  può  agitare,  dinoccolare, 
stiacciare  ogni  quisquilia  pur  che  abbia  relazione  cogli  affari 
interni,  è  costretto  per  le  faccende  esteriori  riconoscere  limiti 
al  proprio  arbitrio  e  alla  propria  curiosità,  imporre  freni  alla 
disamina,  star  sulla  fede  per  tutto  quel  che  concerne  ini- 
ziativa, relazione,  esecuzione.  Oltre  a  ciò  la  natura  medesima 
de'  negoziati  e  la  qualità  della  Signoria  con  cui  si  conducono  le 
trattative,  contribuiscono  in  gran  parte  a  diffondere  simpatia  od 
avversione  non  solo  sopra  il  trattato  particolare,  ma  ancora 
sulle  stesse  persone  che  ne  sonò  intermedie.  Aggiungasi,  che 
non  è  dato  se  non  a*  governi  forti  condurre  la  propria  po- 
litica esterna  in  modo  ben  diritto  ed  esplicito;  e  che  appunto 
nella  medesima  i  governi  deboli  cercano  il  puntello,  se  mancano 
di  fondamenta,  e  trovano  la  leva  che  li  rivolta,  quando  le 
inteme  fazioni  li  straziano.  Agli  stati  fiacchi,  cioè,  le  questioni 
inteme  diventano  facilmente  internazionali,  e  in  Firenze,  già 
da  parecchio,  la  setta  più  insidiosa  s'era  avvezza  a  collocare 
tutte  le  speranze  del  tramutamento  che  bramava  in  città,  nel- 
Taggrovigliarsi  delle  relazioni  esterne.  Pertanto,  o  contrastava 
a  tutti  que' disegni  ch'eran  per  giovare  al  mantenimento  della 
repubblica  libera;  o,  non  riuscendo  a  eluderli,  li  calunniava. 

Né  al  Sederini  restavano  per  fermo  partiti  netti  e  sicuri; 
dappoiché  le  armi  francesi,  malferme  nell'  Emilia,  si  ristavano 
pur  minacciose,  ma  sempre  men  che  sollecite,  nel  settentrione 
d'Italia.  Però,  se  da  una  parte  il  gonfaloniere  accettava  i 
buoni  uflScì  del  pontefice  per  comporre  le  cose  con  Pandolfo  Pe- 
trucci  e  ottenere  la  restituzione  di  Montepulciano  senza  guerra, 
dall'altra  era  stimolato  dal  regio  governatore  di  Genova  e 
dallo  stesso  re  di  Francia  a  intendersi  e  far  lega  col  Grimaldi, 
signore  di  Monaco;  perchè  Monaco  era,  come  vedemmo,  pel 
re  di  Francia,  la  chiave  della  riviera  ligure.  ^  Da  queste  di- 
verse pratiche,  scaturiva  pel  Sederini  una  duplice  sorgente 
d'odiosità;  poiché  gli  uni  con  istizza  vedevano  ch'egli  s'appar- 
tasse da  Francia,  ch'ei  tenesse  bordone  all'egoistica  tirannia 

^  V.  a  pag.  387  nota  4. 


Digitized  by 


Google 


586  CAPO  SETTIMO.  [u 

del  Petnicci;  ^  il  quale,  per  conservarsi  il  potere  in  mano,  spo- 
gliava la  città  di  Siena  del  possesso  di  quella  terra,  e  colle 
armi  fiorentine  parea  volesse  tenere  quasi  in  rispetto  i  con- 
cittadini suoi  ;  gli  altri  andavano  spargendo  che  era  un'  inde- 
gnità, malgrado  le  benigne  intenzioni  del  papa,  parteggiare  per 
la  barbarie  oltramontana,  e  cospirare  a  opprimere  Genova, 
proprio  nel  momento  in  cui  la  signoria  francese  le  gravava 
sopra  con  maggior  crudeltà,  rizzando  patiboli  e  spegnendovi 
Giovanni  Intonano,  Domenico  da  San  Piero,  sbandeggiando 
Girolamo  D' Oria  e  il  vescovo  di  Ventimiglia.  * 

E  a  tutte  queste  trattative  lunghe  e  ardue  benché  pic- 
cole, poiché,  come  il  Guicciardini  osserva  a  questo  proposito, 
«spesso  le  cose  piccole  non  anno  minori  difficoltà  né  meno 
difficili  a  esplicarsi  che  le  grandissime  >,^  era  stato  di  mezzo 
il  Machiavelli,  che  i  faziosi  riguardavano  come  fatto  apposta 
per  colludere  col  Petrucci  e  con  Antonio  da  Venafro,  capaci 
di  mene  borgesche,  odiatissimi  non  meno  in  Firenze  che  a  Siena. 
Satire  e  libelli  bersagliavano  in  ambedue  le  città  quel  crudele  e 
astuto  signore  e  T immorale  e  ambiziosa  sua  figliolanza.^  Lo 
stesso  Niccolò  aveva  coperto  della  sprezzante  sua  logica  la  «  fra- 
terna lite  di  Siena  >,  quella  di  Borghese  e  Alfonso  Petrucci, 
sorta  airoccasione  de*  doni  che  Chiapino  Vitelli  recava  loro, 
menandone  sposa  la  sorella.^ 

*  TiTii,  Hitior.  unem.,  t.  m,  loc.  cit 

*  FoaLiBTTA,  nittor.  g9nu€ni.y  lib.  xn. 

*  OuicciABOiNi,  Istoria  d'Italia,  lib.  ix.  ' 

*  SioiSMUicDi  TiTii,  Hist.  sen&ns.,  ma.  cit.,  t.  vu,  pag.  140:  «  Tntere*  libelli  in  Pandal- 
phum  appendebantur  famosi  ».  —  Cf.  Cambi,  Istoria,  loc.  cit.,  pag.  295. 

*  A  Boi  non  sembra  dubbio  che  in  que*  versi  dal  Caditoio  dell'Ingratitudine,  in  coi  ti 
accenna: 

«  Di  queato  caso  eh*  a  Siena  è  segaito  », 

e  della  «  fraterna  lite  »  debbaai  intendere  il  suaccennato  episodio,  originato  per  invidia 
de*  donativi  del  Vitelli  e  occorso  neiranno  1509,  e  non  già  l'altra  contesa,  onde  poi  sego) 
la  cacciata  di  Borghese,  per  opera  principalmente  di  RafRaele  Petrucci,  nel  1515,  coae 
opina  il  PoLZDOBi,  Op«r«  minori  di  N.  M.^  pag.  503  in  nota.  ~  B  ciò.  perchè  le  condixioni 
politiche  d*  Italia  descritte  in  esso  Capitolo,  rispondon  meglio  al  vero,  supponendole  di 
quello  anzi  che  di  questo  anno  ;  perchè  nella  tersina  che  cominciji  al  v.  15S,  si  riproduce, 
come  notammo  a  suo  luogo  (pag.  474,  nota  2),  un  pensiero  del  Segretario  fiorentino,  esposto 
nella  Lettera  «  ex  Verona,  die  vij  septembris  m.o.vxit}  »  ;  e  perchè  veramente  lo  scandalo 
destatosi  nel  popolo  per  quel  litigio  del  1509  fu  a  un  punto  di  roveeciare  in  Siena  la  si- 
gnoria de*  Petrucci.  Cf.  Pkcgi,  Memorie  storicO'Criticke  della  città  di  Siena,  voi.  i,  pag.  24S, 
e  il  Tizi,  ms.  cit.  :  «  Res  continuo  per  compita  et  artificnm  tabemas  vulgarì,  ut  divitam 
solent,  ita  cepta  est,  ut  nullo  modo  occultari  nequiret.  Medici  protinua  acciti,  quaesita 
remedia  atque  adhibita.  Tam  saevus  enim  frater  in  fratrem  fnit,  ut  post  illatum  vul- 
nus alind  quoque  ad  exitium  inferro  tentasset  ante  fugam,  ni  restitisseit  et  clamasset 
Alphonsus.  Nomo  est  qui  nesciat  quo  dolore  afflicti  parentes  fuerunt,  quave  letitia  odiantes 
cives.  Nec  defuere  qui  dicerent  Burghesium  ad  id  facinus  impulsum  quoniam  Alphonsus 
lasciventem  illum  cum  una  ex  sororibus  deprehenderat  »,  etc. 


Digitized  by 


Google 


8«coKi>o]  IL  MACHIA  VELLI  A  SIENA  E  A  MONACO.  537 

Ma  al  popolo  la  logica  non  dà  soddisfazione  bastevole,  e 
l'ammirazione  d'Anton  da  Venafro  che  il  Segretario  fiorentino 
non  dissimulava,^  porgeva  facile  pretesto  a  rappresentarlo  sem- 
pre meglio  per  uno  strumento  soderinesco,  siccome  quegli  oralo 
di  Pandolfo.  £  le  cure  assidue  di  Niccolò  pel  battaglione,  l'essere 
in  continuo  movimento  per  cappar  fanti,  caparrar  cavalli,  visitar 
fortezze,  ad  Arezzo,  al  Poggio  Imperiale,  nelle  valli  di  Chiana 
e  d'Amo  e  lo  studio  di  lui  per  far  nominare  il  Savelli  a  capo 
delle  fanterie  raggravavano  i  sospetti. 

A  che  tante  armi?  a  che  quel  capitano?  dell'ordinanza 
molto  si  sperava  e  molto  temevasi,  secondochè  s'aveva  l'occhio 
o  alla  resistenza  che  si  credeva  potrebbe  offrire,  all'occasione, 
contro  gl'invasori  del  dominio;  o  all'impedimento  che  se  ne  pa- 
ventava da  chi  fosse  per  tentar  qualche  moto  sovversivo  nello 
stato  ;  ^  da  poi  che  il  Machiavelli  era  stato  un  tempo  anche  tra 
i  fautori  di  don  Michele. 

D'altronde,  sugli  ufficiali  della  seconda  cancelleria  era  pur 
ovvio  che  ciecamente  si  rovesciassero  le  antipatie  determinate 
dalla  natura  de'  maneggi  esterni.  A'  dodici  di  maggio  Niccolò 
partiva  per  stringere  col  signore  di  Monaco,  a  sollecitazione 
del  re  di  Francia,  un  trattato  d'amicizia  e  di  navigazione  per 
dieci  anni.  ^  Sulla  fine  d'agosto  poi  si  promulgavano  capitoli  di 
pace  e  confederazione  colla  repubblica  di  Siena,  per  anni  ven- 
ticinque, ad  intercessione  del  papa  e  del  re  di  Spagna. "^  Era 
chiaro  che  Firenze,  trovandosi  in  fra  due,  tendeva  a  non  schie- 
rarsi dall'una  parte  o  dall'altra,  ma  bensì  a  schermirsi  annuendo 
qua  e  là,  dovunque  l'occasione  le  paresse  spoglia  di  pericoli,  do- 
vunque il  dichiararsi  amico  non  fruttasse  nemici.  E  la  mutabi- 
lità delle  contingenze  giornaliere  pareva  incorar  ^uasi  a  cam- 

1  Cf.  Machiavelli,  Il  Principe,  c&p.  xxn. 

*  V.  gli  StanziamenH  per  le  indicate  corrnmlssionl  del  M.,  pubblicati  dal  Passerini, 
Ice.  cit.,  pag.  Lxxvn-Lxxix.  Al  Consulto  per  Vehxione  del  capitanot  secondo  gli  appunti 
forniti  dagli  Apografi  àe\  Ricci  (V.  App.,  S  xlih)  assegnamo  la  daude'6di  maggio  1511. 

*  Tornò  a*  di  5  di  giugno,  secondo  che  apparisce  dallo  stansiamento,  pubblicato  dal 
PaSSBBimi,  loc.  cit.,  pag.  lxxix.  Si  riferiscono  a  questa  Commissione  due  documenti  editi 
dair Amico,  op.  cit.,  pag.  352-3,  per  cut  apparisce  come  il  re  di  Francia  ed  il  governatore 
di  Genova  ecciUvano  i  Fiorentini  a  far  convensione  col  Grimaldi  e  pigliar  con  lui  «  qualche 
assetto  ».  —  Oli  BfFeUi  della  convenzione  che  ti  ha  a  fare  con  Luciano  Grimaldi,  signore 
di  Monaco  (Bibl.Nas.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  163  —  V.  in  App.,  Apogr.  G.  d.  R.,  §  xxxv), 
possono  valere  di  commissione  per  questa  andata  del  Segretario  al  Grimaldi. 

*  TiTii,  Histor ,  ms.  cit.,  t.  vii,  pag.  148-9:  «  ...ex  parte  spectatissimorum  offlcialum 
Balie  civitatis  Senensis  proclamatur  ae  denuntiatur  qnod  intercessione  Sanctissimi  pape 
julii  secundi  nec  non  Catholice  Majestatis  hispanie  Regie  prò  Btrurie  pace  et  prò  nostre 
libertatis  conservatione  nec  non  regiminis  presentis  phedus  et  liga  et  confederatio  ad 
annos  vigintiquinque  Inter  excelsam  rempublìcam  seuensem  et  magniflcos  dominos  floren- 
tinis  celebrata  est  cum  capitulis  modis  ac  pactis  que  in  ipso  federe  continentur  ». 


Digitized  by 


Google 


538  CAPO  SETTIMO.  [libbo 

parla  alla  giornata.  Morto  lo  Chaumont  incapace,  lascivo,  fiacco, 
al  comando  dell'esercito  di  Lombardia  ebbe  ad  esser  preposto 
Giangiacomo  Trivulzio,  un  uomo,  nel  significato  più  nobile  e  intero 
della  parola;  e  il  dover  stare  di  contro  a  lui,  provetto  generale, 
pareva  ben  altra  faccenda  che  non  l'avere  a  trescar  con  Tinsuf- 
ficenza  d'un  favorito,  qual'era  stato  l'Amboise,  vissuto  tra  giuochi 
meretricii,  morto  supplicando  l'assoluzione  del  pontefice  contro 
cui  combatteva.^  Ma  l'incertezza  d'animo  del  re  lontano,  impen- 
sierito e  quasi  scrupoloso  egli  pure  per  le  proprie  vittorie  su 
papa  Giulio,  ebbe  presto  a  ridurre  men  che  inutile  la  valentia 
del  Trivulzio.  Il  re  di  Spagna  insospetti  della  potenza  francese, 
temendo  per  la  sicurezza  del  suo  regno  di  Napoli;  e  s'avvisò 
che,  ad  assicurare  i  propri  possessi  in  Italia,  conveniva  farsi 
paladino  della  Chiesa.  ^  Né  trasandó  intanto  d'eccitare  il  gio- 
vane re  d' Inghilterra,  suo  genero,  a  collegarsi  contro  la  Francia 
e  ad  insistere  co' suoi  ufiìci  perchè  l'Imperatore,  staccaiidosi 
da  questa,  si  rappacificasse  coi  Veneziani.  Arrigo  ottavo  infatti, 
nel  luglio  1511,  scriveva  a  Massimiliano  a  questo  efietto;  esor- 
tandolo soprattutto  a  non  fare  convocar  concilio,  se  non  d'ac- 
cordo col  pontefice.  ^  Questi,  frattanto,  al  giovane  re,  ricco  di 
tesoro  e  ardimentoso,  protendeva  scaltramente  il  titolo  di  cri- 
stianissimo, annesso  alla  corona  di  Francia,  come  un  invito  a 
rinnovellare  l'antiche  guerre  combattute  dagl'  Tnglesi  sul  suolo 
francese;  e  cedendo  all'avveduto  consiglio  di  Ferdinando,  — 
quanto  per  iscacciare  chiodo  con  chiodo  -  ut  clavum,  clavo, 
truderet  -  come  tutti  dicevano,  e  come  scrisse  uno  storico  con- 
temporaneo, ^  intimò  pel  maggio  dell'anno  prossimo,  un  concilio 
universale  a  Roma,  in  Laterano,  per  la  riformazione  della  Chiesa 
nel  capo  e  nelle  membra,  secondo  la  formola  in  voga. 

Ora,  mentre  un  tal  fatto  spezzava  a  re  Luigi  tutte  quel- 
l'armi spirituali  che  avea  creduto  impugnare  contro  il  ponte- 
fice, egli  stesso  cospirava  improvvisamente  a  staccare  da  sé  al- 
leati e  crearsene  avversari,  per  puntiglio  e  senza  ombra  d'utilità. 
E  mentre  avrebbe  dovuto  ingegnarsi  di  tenere  stretto  dalla  sua 
l'Imperatore  bisognoso,  gli  lesinava  aiuti  contro  Venezia  perchè 
non  fossero  i  soccorsi  francesi  a  dargli  tutto  il  vantaggio;  e 
agli  Svizzeri  negava  non  solo  l'aumento  delle  pensioni  che 

^  Cf.  Da  Porto,  Lettere  storiche,  pag.  206  e  segg.  —  Guicciardini,  Storia  d'ItaUa^ 
lib.  IX. 

>  QuRiTA.  loc.  cit.,  lib.  IX,  cap.  xxxv. 

s  Leltres  de  IjOuu  XII,  loc.  cit.,  pag.  305. 

«  Borqii,  Hist,  de  bello  Ital.,  lib.  vi. 


Digitized  by 


Google 


«ECONDo]         SVIZZERI  E  IMPERATORE  ABBANDONANO  FRANCIA.  539 

domandavano,  ma  anche  il  trarre  vettovaglie  dal  ducato  di 
Milano,  per  far  sentir  loro  che,  se  voleva,  poteva  aflfamarli. 

Ora,  gli  uomini  ninna  potenza  abbassano  tanto  volentieri 
quanto  quella  che,  come  per  libidine,  vuol  far  sentir  loro  il  ^uo 
peso,  senza  proporzione  col  bisogno  proprio,  più  offesa  che  danno 
recando  a  chi  soggiace;  ninna  abbassano  più  facilmente  di 
quella  che  dimentica  le  fondamenta  sue  e  l'opportunità  altrui. 
L'Imperatore  fu  in  breve  raffreddo,  e  gli  Svizzeri  inimicati  con 
Francia,  gittaronsi  in  braccio  allo  Schinner,  procaccevole  sempre 
in  prò  del  papa.  Vero  è  che  Giulio  cadde  in  questo  mezzo 
subitamente  malato,  e  parve  e  si  die  per  morto.  Francesi,  Mi- 
lanesi, Ferraresi,  Fiorentini  ne  tripudiarono;  ^  Roma  pensò  sol- 
levarsi; i  cardinali  contrattarono  voti;  corse  a  tutti  il  pensiero 
al  conclave  prossimo.  Queir  infermità  e  questa  prospettiva  val- 
sero a  dirittura  a  dare  una  nuova  inclinazione  agli  animi  e 
produssero  un  mirabile  effetto  anche  su  quello  di  Massimiliano. 
Questi  che  in  sul  principio  disegnava  introdurre  nell'impero 
qualcosa  di  simile  alla  prammatica  sanzione  francese,  tórre  le 
annate  al  pontefice,  stabilire  una  legazia  permanente  con  su- 
prema giurisdizione  nell'amministrazione  della  chiesa  tedesca, 
e  aveva  dato  incarico  al  Wimpheling  di  tracciargli  un  siffatto 
programma  di  riformazione  ecclesiastica,  ^  mentre  già  teneva 
col  re  di  Francia  nella  questione  del  concilio,  vide  aprirglisi 
per  la  morte  del  papa  un  orizzonte  nuovo.  Agognando  sempre, 
come  vedemmo,  il  pontificato  massimo,  gli  fu  fatto  balenare  che 
s'egli  non  s'appartava  dalla  chiesa  universale,  forse  nel  pros- 
simo conclave  sarebbe  potuto  riuscire  eletto;  forse  i  cardinali 
italiani  e  spagnuoli  avrebbero  potuto  votare  per  lui.  L'astutis- 
simo re  Ferdinando  l'accalappiò  a  maraviglia  con  questa  lu- 
singa, ^  sì  ch'egli  non  potè  più  sottrarsene  al  fascino,  neppure 

^  V.  Sommario  di  tre  lettere  avute  di  Roma  del  protìionotario  lipomano  a  suo  fra- 
delo  m.r  ìUer.^to,  a*di  27  d'agosto,  edito  dal  Nabduccx  (NuptiaU  di  M.  Ant.  Altieri,  p.  ix 
e  x):  «Lo  pontefice  a' di  23  fu  dito  morto  a  hore  19.  —  ....  FraDcesi,  florentÌDÌ,  milanesi, 
foraresi  hanno  scrito  et  fato  grande  triumfo.  Forse  vivendo  sua  santità  ne  farà  demostra- 
tione  ».  Cf.  ibidem,  pag.  xxi,  V Avvito  dello  ttato  della  città  di  Roma  nell'  inflrmità  di 
Giulio  20  dato  per  m.  Ant.  Altieri  all'IU.mo  signor  Renzo  da  Cere. 

'  MAuaBKBBBCBEB,  GescHicHte  der  katholischen  Réformation,  voi.  i,  pag.  99. 

'  QuBiTA,  loc.  cit.,  lib.  IX,  cap.  xxxvi.  Papa  Oiulio  è  per  morire  e  Massimiliano  spera 
succedergli  «  porque  los  Cardenales  Italianos  y  Espanoles  estavan  conformes,  en  que  mu- 
nendo el  papa,  no  se  hiziesse  election  de  Pontiflce  frances,  ni  de  persona  afficionada  a  està 
nacion  ;  pues  mostravan  temer  tanto  esto,  que  para  assegurarlo,  vernian  mas  facilmente, 
en  que  el  Emperador  fnesse  eligido.  Con  una  esperan^a  tan  vana  comò  està,  conociendo 
el  Rey  la  condicion  del  Emperador,  procurava  de  persuadirle,  que  se  apartasse  del  Con- 
cilkkbulo  pisano  ;  y  aprovasse  elque  el  papa  avia  convocado  para  San  Jean  de  Letran  ». 
La  confidenza  di  Massimiliano  nel  credersi  più  che  per  l'innansi  capace  del  pontificato^  poi 


Digitized  by 


Google 


540  CAPO  SETTIMO.  [ubbo 

poi  che  il  papa  a  delusione  di  tutti,  fu  guarito,  e  re  Luigi  co- 
nobbe che  l'Imperatore  gli  restava  debole  accosto  e  «  facile 
a  dare  la  volta  »,i  se  l'occasione  capitava. 

Frattanto  Giulio  secondo,  risuscitato  più  violento  colla 
furia  sua,  e,  dopo  aver  rasentato  la  morte,  più  amicato  quasi 
colla  fortuna,  vide  approssimarsi  il  settembre  e  lo  scismatico 
concilio  star  per  ragunarsi  a  Pisa;  vide  come  i  Fiorentini  ave- 
vano concesso  quella  sede  e  n'arse  d'ira.  Comminò  l'interdetto 
sulla  città,  sequestrò  le  robe  de'  mercanti  in  Roma,  li  minacciò 
del  sacco  i  richiamò  sotto  pena  di  ribelli  i  condottieri  Savelli  e 
Còlonnesi  ch'erano  a* servizi  della  repubblica;  nell'odio  contro 
ai  Sederini  diventò  implacabile,  e  fissò  d'estirparli  da  Firenze. 

D'altro  canto  i  Fiorentini  avevan  concesso  con  paura  quel 
che  non  avevano  potuto  negare;  perchè  l'armi  francesi  allora 
s'accampavano  vincitrici  a  Bologna;  perchè  il  concedere  allora 
era  loro  sembrato  un  acquistar  tempo,  un  dar  luogo  alla  ra- 
gione. Scrissero  i  Dieci  subito  al  Tosinghi,  oratore  presso  il  pon- 
tefice, e  al  Consolato  della  nazione  in  Roma  per  essere  scusati 
con  questi  argomenti  e  trattenere  il  furore  di  Giulio;  intanto 
che  in  Lombardia  ed  in  Francia  facevan  pratiche  per  sospen- 
dere i  preparativi  del  concilio  e  la  venuta  dei  prelati  che  l'a- 
vevano promosso.  Spedirono  a  questo  effetto  il  Machiavelli,  e 
della  scelta  della  sua  persona  dettero  particolare  notizia  al 
Tosinghi,  quasi  che  il  pontefice,  che  ben  conosceva  l'intelletto 
e  la  fede  del  Segretario,  dovesse  trovarvi  malleveria*  tanto 
per  l'intenzioni  del  governo,  quanto  per  la  buona  riuscita 
delle  trattative.  E  altra  volta  tornano,  pochi  di  poi,  a  metter 

che  era  morta  1*  imperatrice  Bianca  Maria  sua  moglie,  fin  dal  31  dicembre  1510,  erasi  di 
gran  lunga  accresciuta.  Cf.  Willt  Bokhm,  Hat  kaiser  Maaimilian  I  in  Jahre  iSii  Papsl 
werden  wolUn  f  eine  kritisehe  untersuchung,  Berlin,  pag.  6.  Molto  acconciamente  riprende 
il  BoEUM  la  trascuraggine  del  Lb  Qlat  nel  dare  in  luce,  con  poca  attenzione  dello  date 
cronologiche,  la  raccolta  conosciuta  sotto  il  titolo  Lettrei  du  roy  Louis  XII.  —  Massimi- 
liano del  resto  s'apparecchiava  a  procacciarsi  il  pontificato  con  que*modi  che  sapevano 
allora  più  sicuri.  A  Paolo  di  Lichtenstein  scriveva  a*  di  16  settembre  del  nil  :  «  Aber  nach 
dem  solches  ohn  ein  merckliche  Summa  geldes,  die  wir  darauff  legen,  une  gestehen  lassen 
mtissen,  nìcht  wol  beschehen  mag,  haben  -wir  demnàch  angeschlagen,  su  notturft  vorbe- 
rttrtes  unsers  fUmemmen  uff  zn  sagen  und  versprechen  den  Cardin&len  und  etlichen  andern 
personen  in  diesen  sachen  zu  verhelfen  biss  in  die  dreymal  hundert  tausent  Ducaten  za 
gebrauchen,  und  dass  solches  allein  durch  Fugger  Pannelch  daselbst  zu  Rom  entleiben, 
gehaudelt.  bestellt  und  zugesagt  werde,  und  beschehen  milsste  ».  »  B  cosi  il  papa  soldava 
Svizzeri  col  prezzo  dell*  indulgenze  ;  e  1*  imperatore  corrompeva  prelati  per  andar  con  essi 
alla  ripesca  del  pontificato  massimo. 

>  V.  Lettera  di  Roberto  AeciaiuoU  oratore  ai  X»'  «  die  vigesimaqnarta  septembris  1511  » 
di  mano  di  N.  M. 

*  /  Xei  a  Pierfromcesco  Totinghi  «  die  viiij  septembris  1511  »,  ed.  uh.,  M.,  Opp.j  t  vi, 
pag.  130  :  «  ci  siamo  risoluti  mandare  uno  uomo  ad  posta  fino  a  quel  Cristianissimo  re,  a 
fino  a  domandassera  partirà,  e  fla  il  Machiavello  secretarlo  nostro  »,  eCc. 


Digitized  by 


Google 


secondo]       il  machiavelli  IN  FRANCIA  PER  ORDINE  DÈ^ DIECI.    '  541 

innanzi  «Tuorao  quale  si  è  mandato  per  ordine  nostro  solo 
e  ex  motu  proprio  e  non  d'altri.  ^  »  —  Così  i  Dieci.  —  Ma 
che  voleva  dire  quel  «  per  ordine  nostro  solo  »,  quell'^^  moiu 
proprio,  quel  «  non  d'altri  »  su  cui  parvero  insistere,  quasi  che 
quella  dichiarazione  avesse  particolare  importanza  per  l'esclu- 
sione che  lasciava  sottintendere?  e  chi  avevano  inteso  d'esclu- 
dere?... la  Signoria  o  i  Consigli?...  è  egli  forse  questo  un  esempio 
di  quell'autorità  soverchia  che  gli  stessi  fautori  della  libertà 
riconoscevano  come  un  inconveniente,  nel  magistrato  de' Dieci?* 
Queste  osservazioni  piccole  e  minute  non  ci  paiono  da  trasan- 
dare, poiché  valgono  essenzialmente  a  rischiarare  tutti  i  viottoli 
per  cui  la  men  benevola  disposizione  della  moltitudine  poteva 
concorrere  contro  del  Machiavelli,  in  forza  del  suo  stesso  ufficio 
cancelleresco.  D'altronde,  non  sembra  ammissibile  che  i  Dieci 
e  il  Gonfaloniere  non  procedessero  d'accordo  in  questa  que- 
stioncf,  e  la  natura  stessa  della  commissione  affidata  a  Niccolò 
ne  fa  prova.  Questi  deve  colla  maggiore  celerità  possibile  met- 
tersi in  via  per  Milano;  scoprire  a  Bologna  dove  siano  i  car- 
dinali avviati  per  Pisa,  il  Carvajal,  il  BriQonnet,  il  De  Prie, 
il  Borgia,  che  si  sapevano  giunti  pochi  giorni  innanzi  fino  a 
Borgo  San  Donnino;  dee,  visitandoli,  persuaderli  a  non  venire 
innanzi  verso  Firenze,  notificando  i  pericoli  che  la  città  corre, 
i  danni  che  le  reca  e  le  minaccia  il  papa,  gli  aff'ronti  che 
potrebbero  temere  essi  stessi  venendo  innanzi;  perchè  si  dice 
già  che  armi  spagnuole  stiano  per  sbarcare  a  Piombino,  e  che  il 
duca  di  Termini  sia  già  fatto  capitano  del  papa.  Incusso  paura 
e  sfiducia  in  que' cardinali,  il  Segretario  dee  proceder  subito 
per  Milano,  intendersi  confidenzialmente  con  Francesco  Pan- 
dolfini,  che  stava  oratore  presso  il  signore  di  Lautrec,  viceré 
in  Lombardia;  e  proseguir  poi  subito  «  con  la  medesima  dili- 
genzia  e  celerità  »  (formola  che  a  noi  spiega  e  ricorda  come 
si  dicesse  poi,  e  che  volesse  dire  «viaggiare  in  diligenza»)  per 
la  via  di  Francia,  e  recarsi  alla  corte  del  re.  Quivi,  insieme 
coU'ambasciatore   Roberto   Acciainoli,   deve   rappresentare  al 

1  L*ediz.  ultima  (voi.  vi,  pag.  153)  reoa  :  «  airuomo  quale  si  è  mandato  per  ordine  no- 
stro, solo  e  ex  motu  proprio  e  non  d'altri  ».  —  Ci  sembra  indispensabile  o  togliere  affatto 
la  virgola,  secondo  Tautografo  (Arch.  fior..  Carteggio  dei  X^* ,  Legazioni,  Commissarie, 
istruzioni  e  missive,  n.  83  a  e.  15t),  o  apporla  dopo  la  parola  aolOi  riferendo  questa,  come 
un  epiteto  a  «  ordine  nostro  ». 

*  Pitti,  Apologia  ds' Cappucci,  pag.  280:  «Dove  lascia  egli  il  magistrato  de* Dieci  di 
libertà  e  pace,  eletto  sempre  nel  Consiglio  grande,  di  sei  in  sei  mesi,  de*  più  qualificati  cit- 
tadini del  reggimento  ?  1\  quale  magistrato  si  poteva  ragionevolmente  dannare  di  soverchia 
autorità,  trattandovisi  le  cose  importantissime  della  Repubblica  ». 


Digitized  by 


Google 


542  CAPO  SETTIMO.  [libro 

Cristianissimo  «  gì'  interdetti,  le  censure,  le  guerre,  gì'  insulti 
sopra  corpi  e  beni  »,  che  la  nazione  fiorentina  paventa  da  papa 
Giulio;  deve  istigarlo  a  interrompere  l'infelice  prova  d'un  con- 
cilio a  cui  l'Imperatore  pensa  «niente  o  poco»,  a  cui  non  si 
recava  nessuno  dei  prelati  di  Germania,  a  cui  paiono  acceder 
lenti  gli  stessi  prelati  gallicani,  e  che  si  sarebbe  incominciato  con 
tre  persone  sole,  parendo  che  anche  gli  altri  cardinali  nomi- 
nati negli  editti  di  convocazione,  tergiversassero  o  differissero 
con  diversi  pretesti  la  venuta  loro.  ^  Quando  questo  non  riu- 
scisse, Niccolò  doveva  ottenere  almeno  che  fosse  portata  via 
da  Pisa  e  dal  dominio  fiorentino  la  sede  di  quel  concilio.  E  se 
non  si  potesse  spuntar  neppur  questo,  allora  ricorresse  ad  in- 
vocare «  il  beneficio  del  tempo  »,  a  indugiar  due  o  tre  mesi 
tanto  per  dar  tempo  che  il  papa,  com'era  probabile,  morisse. 

Il  Segretario  partì  a' di  11  di  settembre,  di  buon  ora;  ^ 
a' dì  12  giungeva  la  sera  a  San  Donnino;  ove  trovò  i  feardi- 
nali,  che  albergavano  tutti  nel  castello,  meno  il  Carvajal,  al 
quale  per  esser  lui  come  il  capo  de' dissidenti  ejer  saperlo  più 
affezionato  alla  città  di  Firenze,  favellò  per  primo.  Questi  con- 
dusse poi  il  Machiavelli  a  visitar  gli  altri  colleghi  in  fortezza, 
e  a  sopportare  da  loro  una  grandine  d'argomenti  di  teologia  e 
di  storia  ecclesiastica,  che  essi  contrapponevano  alle  politiche  ra- 
gioni del  Segretario.  —  «  Firenze  doveva  bene  per  amore  a  Cristo 
pigliar  questo  peso,  dicevano:  tollerò  già  in  Pisa,  tre  anni  ap- 
pena dopo  l'acquisto  di  quella  città,  un  concilio  contro  un 
papa  santo,  cominciato  dai  cardinali;  il  sinodo  stesso  di  Ba- 
silea, aggiungevano,  lo  cominciò  un  abate;  ed  essi  sarebbero 
invece  tanti  cardinali  e  prelati,  da  fornir  ben  altr'opera  che 
quella». 2  —  Ma  l'argomento  valido  di  que' preti  ambiziosi,  cia- 
scun de' quali  sognava  il  papato,  ^  uno  solo  era;  e  Niccolò  lo 

1  Questi  erano  Federigo  San  Severino,  Ippolito  d'Este,  Carlo  Fieschi,  Adriano  da  Cor^ 
neto.  V.  in  Richbb,  Hisloria  conciliorum  generalium^  lìb.  iv,  pag.  353,  la  Contoeatio  Cte- 
neraUs  Concila....  per  omnes  quatuor  nationes  divulgata  et  pubblicata^  in  cui  si  trovano 
pienamente  raccolti  tutti  gli  atti  relativi  al  Conciliabolo  pisano.  —  Cf.  Brosch,  op.  cit., 
pag.  231  e  segg.  Maurenbbbcber,  op.  cit.,  pag.  103  e  seg. 

*  Lett.  del  M.  ai  X**'  die  13  sept.  1511.  Pisa  fu  acquisita  a*  Fiorentini  il  9  ottobre  1406. 
Il  concilio  di  Pisa,  cui  i  cardinali  alludevano  fu  aperto  il  29  marzo  M09.  —  Cf.  Lbnfakt, 
Hiitoire  du  ConcU  de  Pise,  pag.  iv,  302-309.  —  La  deposizione  di  Benedetto  XIII  e  Gre- 
gorio XII  ebbe  luogo  nella  decimaquinta  sessione.  V.  gli  Atti  in  Martènb,  Thes.  ncv. 
Anecdot.ft.  ii,  pag.  1178.  —  Cf.  Hbpble,  Conciliengeschichte,  ed.  francese,  t.  x,  pag.  283 
o  segg.  È  probabile  che  per  «  papa  santo  »  s' intendesse  dai  cardinali  indicare  Gregorio.  — 
Il  Grboorovius,  Gesch.  der  Stadi  Rom,  t.  vi,  pag.  591  a  questo  proposito,  scrive:  «  Das 
Pisaner  Concil,  von  Cardiualen  ohne  den  Papst  berufen,  bildete  eine  Epoche  in  der  Geschichte 
der  Kirche  ». 

>  G.  MoBONB,  EpistoUie,  nella  Miscellanea  di  Storia  patria^  i.  ii,  pag.  179;  Stephano 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  IL  CARVAJAL  E  IL  MACHIA  VELLL  543 

scrisse  ai  Dieci  con  tutta  crudezza  :  «  Vostre  Signorie,  sei  mesi 
fa,  quando  il  Concilio  si  pubblicò  per  a  Pisa,  dovevano  prepa- 
i"arsi  a  tutto  quello  che  ne  poteva  nascere  ».  Del  resto,  poi- 
ch'egli  ebbe  fatte  a' porporati  quelle  risposte  più  opportune 
che  potè  a  stornarli  dal  venir  a  Firenze,  quando  li  senti  de- 
cisi a  recarsi  a  Pisa  direttamente  per  la  via  di  Pontremoli  e 
a  chiedere  «  la  scorta  di  trecento  lance  francesi  e  V  intervento 
della  propria  persona  del  viceré  che  li  accompagnasse  »,  mentre 
il  cardinale  Sanseverino  partiva  per  la  Germania  ad  eccitare 
l'Imperatore,  pensò  di  correr  subito  a  Milano,  per  ovviare  a 
questa  ulteriore  complicazione.  ^ 

Frattanto  il  cardinale  Carvajal  gli  aveva  fatto  balenare 
la  speranza  che,  tenute  a  Pisa  due  o  tre  sessioni,  per  compia- 
cere ai  Fiorentini,  il  concilio  si  sarebbe  poi  levato  e  trasferito 
altrove. 

Niccolò  aveva  badato  a  Borgo  San  Donnino  tre  giorni  :  ^ 
al  Pandolflni  si  presenta  sul  primo  mattino  del  di  14;  poi,  presi 
accordi  con  lui,  e  vedendo  che  occorreva  soprattutto  ottenere 
modificazione  di  voleri  nel  re,  sulle  ventidue  ore  del  di  suc- 
cessivo, parte  alla  volta  della  corte.  ^  Giunge,  assai  per  tempo, 
ai  22  di  settembre  in  Blois:  il  giorno  dopo  insieme  con  Ro- 
berto Acciainoli  ottiene  udienza.  Il  Rubertet  era  presente. 

I  Fiorentini  espongono  la  commissione  loro:  si  offrono,  pur- 
ché il  concilio  si  spenga,  mediatori  per  la  pace.  E  re  Luigi: 
—  «  piacesse  a  Dio  che  voi  la  potessi  condurre,  che  non  é  cosa 
che  ro  tanto  desideri!...  ma  se  noi  levassimo  il  concilio,  il  papa 
non  vorrebbe  punto  di  pace  ».  Argomentazione  che  sembrava 
,  fatta  a  posta  perchè  altri  gliela  ritorcesse  contro.  Quanto  al 
trasferire  la  sede  del  concilio,  il  re  aveva  paura  di  disgustare 
i  cardinali;  non  voleva  farlo  senza  consenso  dell'Imperatore, 
che  temeva  accattasse  le  occasioni  per  girargli  sotto:  lo  potreV 
bero  ridurre  a  Vercelli,  o  in  altro  luogo,  «  dopo  aver  fatto  a 
Pisa  la  prima,  la  seconda  e  la  terza  stazione  —  che  cosi  la 
chiamò  — »,4  osserva  il  Machiavelli,  cui  nessun  particolare 

Poncherio  ep.  parisiensl  (12  giagno  1512)  :  «  cardinales  concilii  auctores.  quorum  quisque 
pulso  Julio^  pontiflcatura  sibi  pollicebantur  ». 

1  Lett.  del  M.  ai  Xci  «  die  13  sept.  1511  ». 

»  Dbsjardxms,  op.  cit.,  t.  II.  pag.  528.  Lett.  di  Fr,  Pandolflni  ai  Xa  «  15  sett.  1511  ». 
Machiavelli,  ^iXt.  ai  Xa  «addi  15  sett.  1511». 

*  La  lettera  di  Roberto  Àcciaìuoli  ai  Xci  «  die  yigesimaquarta  septembris,  ex  Blesio*» 
è  autografa  del  M.  colla  soscrizione  deiroratore.  Ve  n*à  due  copie  nell'Arch.  lior.,  Lett. 
ai  Xci,  f.  106  a  e.  94  e  99. 

*  Id.  ibid. 


Digitized  by 


Google 


544  CAPO  SETTIMO.  [libro 

comico  della  conversazione  sfuggiva.  Re  Luigi  del  resto  non 
credeva  punto  che  tra  il  re  di  Spagna  e  il  pontefice  si  prepa- 
rasse alcuna  convenzione:  «  aveva  bonissime  lettere  e  amba- 
sciate da  quella  maestà  »,  gli  sapeva  impossibile  che  volesse 
frammettersi  nella  questione  fra  il  pontefice  e  lui.  Ai  due  Fio- 
rentini non  restava  pertanto  che  vincere  l'ultimo  punto  della 
commissione:  il  temporeggiare.  E  circa  a  questo,  il  re  era  meno 
alieno  dal  concedere,  ma  voleva  bensì  che  la  proroga  fosse 
dissimulata,  che  fosse  il  fatto  che  la  recasse  e  non  un  atto  qua- 
lunque, che  potesse  compromettere  il  valore  delle  forme  giuri- 
diche finora  scrupolosamente  osservate.  Sapeva  certo  che  i  car- 
dinali non  vorrebbero  in  ninna  maniera  recarsi  a  Pisa  senza 
il  salvacondotto;  di  questo  egli  avrebbe  loro  trattenuto  la 
copia. 

Il  Machiavelli  intanto  ebbe  agio  di  visitare  ancora  «  mon- 
signore di  Tiburi  »,  il  vescovo  Leonini,  che,  sempre  ben  inten- 
zionato, rallegrandosi  della  venuta  di  lui,  prometteva  ancora 
far  buon  ufScio  col  papa,  sperava  ancora  nella  pace  possibile. 
Ma  Giulio,  febbricitante,  ribelle  al  male,  ai  medici,  alla  sua 
stessa  carne,  rafibrzava  la  guerra,  spiegava  un'energia  mirabile 
di  spirito,  una  tempra  ferrea  da  poter  cadere  d'un  colpo  ma  da 
non  soffrir  languore.  Quando  ebbe  nuova  dell'invio  del  Segre- 
tario fiorentino  in  Francia,  lo  giudicò  un  tranello  per  perdere 
tempo;  ^  mandò  egli  bensì  a  Firenze  Guglielmo  Capponi,  vescovo 
di  Cortona,  e  poi  il  Simonetta^  a  dichiarare  che  intende  che 
levino  totalmente  di  mezzo  il  concilio  pisano,  mandino  via  i  tre 
procuratori  che  vi  sono  venuti  ^  e  promettano  che  i  cardinali  che 
ne  sono  autori  non  saranno  ricevuti  nel  loro  dominio,  o  ful- 
minerà immediatamente  l'interdetto  su  Firenze  e  su  Pisa.  I 
Fiorentini,  sbalorditi  dell'intimazione  papàie  da  un  lato,  dal- 
l'altro stretti  dall'insistenza  de' Francesi  «  e' quali  vogliono  che 
la  sia  così,  seguendo  la  regola,  che  qui  non  est  mecum  con  tra 
m^  esl*,^  tengono  pratiche  e  consigli  senza  veder  possibilità 
di  partiti  ragionevoli  o  sicuri,  fuori  dell'indugio  solito;  e  pro- 

^  Leu.  de'  X«<  a  Roberto  Acciainoli  «  die  xiii  sept.  1511  »  (ad.  nlt.  Opp.  M.,  t.  ti, 
pag.  U9). 

>  Cf.  Leu.  de^X^i  a  Pier  Fr.  Tosinghi oratore  a  /Soma  «die  15  septembris  l5ll  »  (ed.  ult. 
Opp.  M.,  t.  VI,  pag.  151  e  segg.) 

*  QuBiTA,  lib.  n,  cap.  30:  «  por  otra  parte,  porque  el  escandolo  fuese  m^yor,  el  Conde 
G^ronymo  Rogarolo,  j  Antonio  Cabeca  de  Vaca,  y  Lodovico  Faella  ambaxadorea  del  Em- 
perador,  y  otroa  trea  procuradorea  del  Rey  de  Francia  procederon  en  nonibre  de  ana  prìn- 
cipea,  à  bazer  convocaci on  del  Concilio  ». 

*  Leu.  de'Xci  a  Pier  Fr.  Tosinghi  «  13  aett.  1511  »  (ed.  uh.  Opp.  M.,  t.  vi,  pag.  145). 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  IL  MACHIAVELLI  IN  LOMBARDIA  E  IN  FRANCIA.  545 

vano  persuadere  anche  il  nunzio  <  a  differire  la  pubblicazione 
delle  censure  e  dell'  interdetto  fino  a  tanto  si  veda  che  frutto 
fa  l'andata  del  Machiavelli  e  in  Lombardia  e  in  Francia  ».  — 
Ma,  quantunque  i  cardinali  a  Roma  opinino  d'aspettare  l'effetto 
di  queste  trattative,  il  vescovo  di  Cortona  e  il  nunzio  partono 
e  lasciano  pubblicar  gì'  interdetti.  I  Fiorentini  se  ne  consolano  : 
«  non  faranno  forse  quelli  effetti  che  nostro  Signore  à  dise- 
gnato».* Ne  appellano  tuttavia  al  futuro  concilio  universalis 
ecclesiae,  studiando  bene  di  mantener  l'equivoco  e  di  non  la- 
sciare capire  se  con  quella  formola  intendano  appellare  al  si- 
nodo pisano  0  al  lateranense.  E  il  pontefice  intanto  strascina 
i  principi  dalla  sua;  promette  loro  ^  omnia  fanda  et  nefanda  »* 
purché  aderiscano  al  concilio  da  lui  indetto  a  Roma;  e  quan- 
tunque senta  per  la  prima  volta  levarglisi  contro  l'obbiezione 
che,  essendo  l'apostolo  della  cristianità  diventato  un  sovrano 
in  Italia  e  in  Roma,  il  concilio  congregato  nel  Laterano  non 
potrebbe  esser  libero;  ^  egli  non  pur  riesce  a  farne  riconoscere 
la  convocazione  valida  e  legittima,  ma  si  propone  di  compiervi 
atti  feroci  contro  il  trono  e  la  famiglia  di  re  Luigi,  intendendo 
non  solo  a  frangere  la  nazione  francese,  a  scioglierla  dalla 
fedeltà  verso  il  principe,  a  chiamarle  sopra  l'invasione  britan- 
nica; ma  anche  a  strappare  al  re  mogliero  la  sua  donna  bret- 
tone, le  cui  nozze  avea  già  pagato  sì  care  ad  Alessandro  sesto.-* 
Certo  è  che,  se  gli  altri  principi,  secondo  l'esposizione  del  pio 
(purità,  si  servivano  della  fede  per  premitoio  o  per  fuso,  por 
torcedor,^  non  era  ultimo  il  pontefice  a  mostrare  il  costrutto 

1  Leu.  de*  X^*  al  ToHnghi,  «die  20  sapt.  1511  ».  (Ed.  ult.  Opp.  M.,  t.  vi,  pwg.  158). 

'  0.  MoRONK,  Epistolae  <  die  30  aag.  1512  »  Archiep.  barensi  :  «  Compertum  est  Julìum 
omnia  fanda  nefandaqne  Caesari  ac  Ferdinando  indulctunim,  dumraodo  concilio  Latera- 
nonsi  per  se  indicto  adhaereant». 

>  Filippo  Dbcio,  Consultum  prò  Ecclesiae  auctoritale,  anno  m.d.xi,  in  Richbb,  Hi- 
storia  condì,  gener.^  t.  iii,  pag.  27):  «  Quis  enim  Romae  auderet  a  sammo  Pontiflce 
ejuB  villicationis  rationes  exigere,  qui  solitus  est  in  eos  saevire  qui  ejns  voluntati  repu- 
gnant?»  —  I  Dieci  scrivevano,  a  proposito  di  questo  famoso  giureconsulto,  al  Tosinghi  : 
«die  XIII  sept.  1511  (li  Cardinali)  hanno  fatto  levare  da  Pavia  il  Decio  e  un  altro  dot- 
tore di  conto  per  menarli  seco  e  cosi  molti  altri  dottori  per  conto  di  quella  Università».  — 
P.  GuicciABDiNi,  Storia  d'Italia^  lib.  x,  lo  chiama  «  uno  dei  più  eccellenti  giureconsulti  di 
quella  età».  —  E  il  Dbcio  {Consilia,  326,  n.  1)  commemora:  «  Io.  Fran.  de  Guicchardinis 
olim  acutissimus  scholaris  meus  Paduae  e't  nunc  doctor  clarissimus  ».  Cf.  Saviont,  Gesch. 
des  rbm.  Rechts  im  Miltelalt,  cap.  lvii.  V.  Fé.  Boeza,  Vita  D.  Ph.  Decii  sive  de  Dexio, 
con  documenti  importanti. 

*  QuRiTA,  lib.  IX,  cap.  35;  «(Il  papa)  propuso  de  tratar  en  el  concilio  (lateranense) 
algunas  cosas  de  grande  importancia  :  corno  era  mostrar  que  la  Reyna  de  Francia  no  era 
legitima  muger  del  Rey  Luys;  y  que  se  auia  de  dar  absolucion  del  juramento  de  fldelidad 
a  loB  pueblos  de  Ouiana,  y  Normandia  :  para  que  le  hiziessen  al  Rey  de  Inglaterra,  comò 
a  su  senor  naturai;  y  offrecia  de  darle  todo  favor  con  las  armas  espirituales,  y  tempo- 
rales  ». 

*  Qdrita,  lib.  IX,  cap   30:  «  Mas  cada  uno  de  estos  principes  tornava  por  torcedor  la 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  35 


Digitized  by 


Google 


54d  CAPO  SETTIMO.  fuBRO 

che  poteva  cavarsene  a  prò  delle  sue  temporali  faccende.  Ei  me- 
desimo mentre  il  Machiavelli  era  tuttora  in  Francia,  mentre  i 
Fiorentini  speravano  ancora  nelle  pratiche  della  mediazione  e 
dell'indugio,  aveva  fatto  un  colpo  da  maestro:  concluso  un 
trattato  di  lega  offensiva  e  difensiva  colla  Spagna  e  la  repub- 
blica di  Venezia  da  aver  vigore  anche  in  caso  ch'egli  morisse,* 
per  la  difesa  e  l'unione  della  chiesa,  l'estirpazione  dello  scisma 
e  la  ricuperazione  di  Bologna  e  di  quanto  mediatamente  o  im- 
mediatamente appartenne  alla  Santa  Sede.  In  forza  del  qual 
trattato,  sotto  il  comando  di  don  Raimondo  di  Cardona,  viceré 
di  Napoli,  diecimila  fanti  spagnuoli,  mille  uomini  d'arme  e  mille 
cavalleggieri  dovevano  nel  termine  di  due  mesi  passare  in  Ro- 
magna. Il  pontefice  e  il  senato  veneto  ne  avrebber  corrisposto 
lo  stipendio  mensile  di  ventimila  ducati  ciascuno,  anticipando 
due  mesi.  Il  papa  contribuirebbe  anche  all'esercito  della  lega 
con  seicento  uomini  d*arme,  comandati  dal  duca  di  Termini, 
luogotenente  generale  per  la  Chiesa.  Qualunque  de' confede- 
rati conquistasse  terre  fuori  d'Italia,  guerreggiando  contro  chiun- 
que s'opponesse  allo  scopo  della  lega,  poteva  ritenere  l'acquisto 
fatto  jure  belli;  ma  tuttavia  il  pontefice  non  si  obbligava  fuori 
d'Italia  a  prestar  altro  aiuto,  se  non  d'armi  spirituali:^  riser- 
vata facoltà  air  Imperatore  e  al  re  d' Inghilterra  d'entrare  in 
questa  confederazione,  che  per  esser  fatta  tutta  a  beneficio  della 
chiesa,  il  papa  comandava  che  si  chiamasse  santissima.  *  Ber- 
nardo Dovizi  da  Bibbiena,  la  sera  stessa  della  conclusione  ne 
scrive  al  cardinale  Medici  a  Bologna. 

caasB  de  la  Fé,  y  de  la  reformacion  del  Estado  Eclesiastico;  no  porque  EUos  curassen 
mucho  della,  por  el  bien  universa!,  si  no  por  sus  propios  respetos  e  intereases  ».  —  Guic- 
ciardini, Storia  d'Italia^  lìb.  x  :  «  ...comprendendosi  chiaramente  che  con  la  causa  del  Con- 
cilio era  congiunta  principalmente  la  causa  delle  armi  e  degl*  imperi,  avevano  i  popoli  in 
orrore  che,  sotto  pietosi  titoli  di  cose  spirituali,  si  procurassero  per  mexzo  delle  guerre  e 
degli  scandoli  le  cose  temporali  ». 

^  T.  Rtmer,  Foedera,  t.  vi,  p.  i,  pag.  23.  —  A  pag.  24  vi  si  legge  la  postilla  seguente: 
«  Die  octavo  octobris,  lectis  capitulis  in  Concistorio  secreto,  exponente  Sanctissimo  Do- 
mino nostro  quod,  si  contigerit  Sanctitatem  suam  ab  hac  luce  migrare,  aequum  esse  quod 
praemissa  tam  per  Regem  Catholicum  et  Dominium  venetorum  observarentnr  prò  Defen- 
sione  Status  et  Libertatis  Sa.  Ro.  Eccl.  ac  liberà  creatione  futuri  Pontiflcis,  saltem  usque 
ad  Creationem  huiusmodi   »,  etc. 

*  Rysieb,  loc.  cit.  :  «  et  tamen  sanctissimus  Dominus  noster  extra  Italiam  aliquod  prae- 
sidium dare  non  teneatur,  nisi  armis  spiritualibus,  ut  praefertur  ».  — A  che  aveva 
approdato  il  dantesco: 

Già  si  soleA  con  le  «pad»  far  guerra,  ecc.? 

'  Db^ardins,  loc.  cit.,  pag.  543,  Bernardo  da  Bibbiena  al  card.  Legato  a  Bologna: 
«  Conclusa,  stabilita,  ferma  e  sancita  si  ò  stassera  la  lega,  la  quale  Nostro  Signore,  per 
essere  fondata  e  fatta  tutta  a  benefìcio  della  Chiesa  vuole  e  comanda  che  si  chiami  San- 
tissima ».  —  V.  anche  il  Breve  a  pag.  550.  —  Nei  Brevi  al  cardinal  Legato  il  Pontefice, 
non  dà  a  questo  altro  titolo  che  di  «  Circumspectio  tua  »  ;  la  qualità  sola  che,  forse,  gli 
pareva  necessaria  a  tutto  queirarruffio. 


Digitized  by 


Google 


«BCONDo]  IL  CARDINAL  MEDICI  LEGA  TO  DI  BOLOGNA.  547 

Il  papa  gliene  manda  il  di  appresso  la  notizia  ufficiale  per 
mezzo  d'un  breve,  certo  che  il  Medici  debbo  goderne  e  vedervi 
dentro  la  rovina  dei  Sederini  e  la  sottomissione  di  Firenze.  E 
dopo  un  -mese  e  mezzo,  gli  rimette  il  gonfalone  della  lega, 
perchè  egli  medesimo  lo  consegni  solennemente  a  don  Rai- 
mondo di  Gardena;  confidando  ch'egli  stesso,  interessato  a  ve- 
dere in  quella  della  chiesa  la  causa  della  sua  famiglia,  prov- 
vegga con  circospezione  a  quanto  è  opportuno  alla  buona  riu- 
scita dell'impresa.  A  petto  a  tanta  furia  di  cospirazione,  che 
cosa  contrappone  il  governo  di  Firenze,  la  democratia  minac- 
ciata, la  casata  de*  Sederini  insidiata  nella  vita? 

Quel  che  potevano  volontà  molteplici  e  cozzanti:  collisione 
€  incertezza  di  partiti  all'interno,  nelle  relazioni  esteriori  neu- 
tralità; la  quale  da  tristo  fatto  che  era,  si  voleva  nobilitare 
e  rivendere  come  un  principio.  Però,  non  solamente  a  Blois 
il  Machiavelli,  ma  erasi  mandato  un  altro  segretario  a  Parma 
«  per  ovviare,  come  scrivevasi,  all'efifetto  del  concilio  >.^  Ciò 

>  V.  M.  Opp.,  ed.  alt.,  voi.  vi,  pag.  181.  Lettera  dei  Signori  ad  Antonio  Strozzi  ora- 
tore a  Roma,  die  28  dee.  1511.  —  L'altro  segretario,  di  cui  parla  la  lettera,  fu  Giovanni 
da  Poppi,  il  quale  fu  spacciato  al  Lautrec  con  la  seguente  : 

létructione  data  a  te  Ser  Giovanni  da  Poppi  deliberata  die  25  (Sept.  i5il)  per  li  ma- 
gnifici Signori  Dieci. 

«  Sor  Giovanni  voi  chavalcherete  domattina  di  buonhora  in  poste  et  con  ogni  diligentia 
fino  al  Borgo  a  San  Donnino  o  in  altro  luogo  li  vicino  dove  intenderete  trovarsi  quelli  Re- 
verendissimi Cardinali  di  Santa  Croce,  Nerbona  et  Cosenza,  et  presentatovi  alle  loro  Si- 
gnorie Revme  con  una  lettera  credentiale  nostra,  exporrete  loro  come  havendo,  che  loro 
disegnano  venire  di  proximo  ad  Pisa,  et  menare  con  loro  buona  banda  di  gente  d'arme 
franzese,  noi  ce  ne  siamo  forte  maravigliati,  et  dispiacendoci  questa  ultima  parte  delle 
genti  sopra  ogni  altra  cosa,  vi  habbiamo  mandato  là  in  poste  ad  ciò  che  T  intendine  se 
e'  vogliono  venire  ad  Pisa  nel  modo  che  si  è  sempre  ragionato,  et  come  noi  V  habbiamo 
concesso  al  Re,  che  e*  possono  :  cioè  venendo  sanza  gente  d'arme,  e  colle  persone  sola- 
mente necessarie  al  Concilio.  Ma  quando  disegniassino  menar  con  loro  gente  d'arme  per 
qualunche  cagione  si  sia,  che  da  bora  noi  protestiamo  loro  che  non  venghino  perchè  non 
vi  saranno  ricevuti,  et  troveranno  quella  città  chiusa  con  prohibire  loro  ogni  commodità: 
«t  questa  parte,  perchè  la  è  il  tutto  della  Commissione  vostra,  tracteretela  vivamente,  et 
la  chiarirete  loro  bene  et  con  parole  larghe,  et  in  modo  che  gì' intendine  che  menando  con 
loro  gente  d'arme,  e'  non  entreranno  in  Pisa.  —  Faccende  sempre,  et  in  ogni  replica  una 
medesima  conclusione,  che  se  verranno  con  gente  d'arme  Egli  staranno  fuora  et  manche- 
ranno di  tutte  le  necessità  et  bisogni  loro.  Crediamo  che  gli  habbino  a  replicare  molte 
cose  ;  et  in  tali  repliche  è  necessario  che  voi  vi  risentiate  vivamente,  et  mostriate  loro  che 
questa  non  è  stata  mai  la  intentione  del  Re,  et  le  resolutioni  nostre  sono  state  in  sullo 
bavere  sempre  decto  la  Sua  Maestà  che  gente  non  vi  verranno  :  et  che  la  guardia  del  Con- 
cilio toccherà  a  noi.  Dipoi  che  quel  paese  non  la  può  sopportare  et  cagione  non  hanno  di 
diffidare  o  temere,  perchè  di  noi  possono  meritamente  confidare,  havendolo  promesso  al  Re, 
al  quale  non  mancheremo,  havendo  dato  loro  il  salvocondocto,  et  essendoci  ad  loro  requi- 
sitione  inimicati  con  il  Papa  con  tanto  charico  et  danno  et  travaglio  nostro;  narrando  in 
questa  parte  tucto  quello  che  è  seguito  qui,  a  Roma  et  nella  Marca.  D'altri  anchora  non 
hanno  da  temere,  potendosi  noi  facilmente  difendere  trovandoci  buona  banda  di  gente,  et 
anche  confidente  al  Christianissimo  Re  per  bavere  tanti  condoctieri  sua  subdìti.  Dove  se 
loro  replicassino  li  grandi  apparati  del  Papa  o  del  Cattholico  Re,  la  replica  vi  sia  facile 
con  dire  che  li  apparati  grandi  si  prevederanno  tanto  avanti  che  vi  si  potrà  provvedere, 
et  li  piccoli  non  noceranno.  Poi  ci  sono  due  altre  ragioni  molto  potenti.   L*  una  è  che  gli 


Digitized  by 


Google 


548  CAPO  SETTIMO.  [ub» 

nulla  meno,  il  concilio  s'andava  accozzando  e  stava  per  essere 
inaugurato;  e  al  podestà  e  al  capitano  di  Pisa  che  domanda- 
vano se  si  dovesse  accordargli  Tuso  delle  chiese  e  se  fosse  a 
partecipare  alla  pompa  dell' inaugurazione,  la  signoria  rispon- 
deva che  lasciassero  fare  gli  ambasciatori  a  quell'efFetto  con- 
venuti e  de' fatti  loro  non  s'impacciassero.  Frattanto  l'interdetto 
ecclesiastico  su  Firenze  e  su  Pisa  era  stato  lanciato,  atteggian- 
dolo gli  ecclesiastici  in  quel  modo  più  scenico  che  potevano 
verso  i  creduli,  ^  a  ciò  men  si  avverasse  la  previsione  male 
ostentata  al  pontefice  dal  governo  di  Firenze,  che  cioè  sul  po- 
polo e'  non  avrebbe  forse  prodotto  quel!'  impressione,  che  sua 
santità  se  ne  riprometteva.  Ora,  poiché  s'era  risicata  questa 
espressione,  conveniva  mostrare  che  si  sapeva  davvero  resi- 
stere air  interdetto  o  con  la  forza,  obbligando  il  clero  all'eser- 
cizio del  culto;  o  coli' indifferenza,  mostrando  che  far  a  meno 
delle  cerimonie  sacre,  non  era  impossibile  alla  città.  Ma  non 
si  fece  né  una  cosa  né  l'altra;  perchè  i  preti,  «  quella  spezieltà 
de'  preti  »,  non  si  volevano  sforzare  a  disubbidire  al  pontefice, 
per  non  esporli  alla  privazione  de'  benefici  e  non  iscomodar  le 
famiglie;  né  si  aveva  fiducia  che  i  Consigli  avrebbero  approvata 
tale  proposta;  ma  i  frati,  che  nulla  avevan  da  perdere,  furono 
bensì  comandati  che  ufficiassero.  Pure,  se  il  governo  avesse 
voluto  tener  testa  per  questa  seconda  via,  poteva;  secondato 
dal  popolo,  che  dell'  interdetto  veramente  si  curava  tanto  poco. 


hanno  da  pensarci  più  che  qaalunche  altri,  se  vogliono  potere  stare  In  Pisa,  che  con  le 
genti  d'arme  non  fìa  mai  possibile  che  vi  stieno.  L' altra  è  che  se  noi  le  habbiamo  con- 
sentito a  questo,  et  lasciato  in  preda  al  Papa  la  Natione  et  le  robe,  facilmente  possono 
sperare  di  bavere  ad  essere  ricevuti  aiutati  et  difasi  da  noi:  et  quando  ogni  altra  ragione 
manchassi,  basterebbe,  ad  farci  negare  totalmente  questo,  il  volere  fuggire  un  carico  grande 
che  ce  ne  risulterebbe  di  haver  compiaciuto  al  Re  una  tal  cosa,  et  che  la  Maestà  Sua  poi 
non  si  habbia  ad  fidare  di  noi.  Sonci  poi,  oltre  a  queste,  infinite  altre  ragioni  le  quali  vi 
sono  note  per  bavere  inteso  a  questi  dì  tutto  quello  che  si  è  praticato,  et  le  quali  voi  use- 
rete in  sul  fatto  come  vi  accadrà.  Subito  che  harete  exeguito  questa  prima  vostra  com- 
missione dareteci  adviso  del  ritraete:  dipoi  non  partirete  senza  nostra  lìcentia:  et  nella 
stanza  vostra  userete  ogni  diligentia  d' intendere  ogni  motivo  loro  ;  che  genti  sieno  in  quelle 
circurastantie  per  poter  venire  ;  quando  sieno  per  partire  et  in  quante  giornate  per  condursi 
a  Pisa.  Non  sappiamo  se  Sanseverino  sia  ancora  arrivato.  Quando  e*  vi  fussi,  farete  in- 
tendere anchora  ad  lui  il  medesimo  che  alli  altri,  usando  buona  diligentia  in  tutto,  quel 
tempo  che  vi  starete  per  poterci  subito  dare  adviso  d'ogni  particulare  degno  di  notitia.  An- 
cora vi  ricordiamo  stare  principalmente  in  su  queste  due  cagioni.  La  prima  che  non  è  pos- 
sibile per  la  strectezza  del  vivere  che  le  genti  vi  possino  stare.  L'altra  che  il  condurre  là 
queste  genti  non  è  altro  che  tirare  in  qua  quelle  del  Papa  e  del  Cattholico  et  recarci  una 
guerra  in  casa:  che  è  quello  che  noi  non  voliamo  a  prezìo .alchuno ,  et  che  può  solo  im- 
pedire et  guastare  lo  effecto  del  Concilio,  offerendo  loro  dal  canto  nostro  qualunque  securtà 
che  sia  possibile  et  conveniente.  »  (Arch.  fior.,  class,  x,  dist.  l,  n.  105,  Elezioni  ed  istru- 
£ioni  ad  ambasciad.,  dal  1499  al  1512,  pag.  174  e  segg.) 

1  Cambi,  op.  cit.,  pag.  206:  «e  fecìe  fermare  l'ufitio  e  le   messe   finire  quelle  erano 
chominciate  ». 


Digitized  by 


Google 


»BCONi>o]  ACCATTO  IMPOSTO  AL  CLERO.  M» 

che  il  papa  ebbe  ad  essere  il  primo  a  sospenderlo  per  quindici 
dì,  senza  che  ne  fosse  ufScialmente  richiesto;  e  s'affrettò,  non 
appena  potè  con  decenza,  a  tórlo  via.  Tanto  s'erano  alienati 
dalla  chiesa  gli  animi  dei  Fiorentini! 

Ma  l'utilità  de' singoli,  come  accade  più  spesso  dove  go- 
verna il  numero,  stette  sopra  all'utilità  comune.  Così,  quando 
si  vide  che  la  guerra  lunga  e  dispendiosa,  che  minacciava 
Firenze,  le  veniva  tutta  da'  maneggi  del  papa  e  degli  eccle* 
siastici,  parve  giusto  occorrere  a  tanto  spendio  e  a  tanto  tra- 
vaglio, imponendo  un  tributo  al  clero,  obbligandolo  almeno  a 
un  prestito  forzato,  o,  come  allora  dicevasi,  ad  un  accatto.  Se 
non  che,  la  legge  fu  dovuta  proporre  due  giorni  e  votar  sei 
volte  prima  che  fosse  approvata.  Poi,  ottenuta  che  fu  ed  eletta 
una  commissione  d'otto  cittadini  a  stabilire  e  regolare  l'accatto, 
quattro  degli  eletti  rassegnarono  l'incarico.  Ed  era  naturale, 
che  non  già  gli  uffici  odiosi  si  accettano  volentieri  nelle  de- 
mocratie.  Surrogati  altri  quattro,  invece  di  quelli,  e  stabilite  le 
poste  del  prestito  a  ciascuno  ecclesiastico,  s'andava  con  fred- 
dezza nel  riscuotere,  perchè  il  solo  aver  deliberato  l'aggravio 
sul  clero  pareva  fatto  d'un*  audacia  tale  da  bastare  per  al- 
lora. Il  gonfaloniere  stesso  voleva  che  s'andasse  piano,  e  fre- 
nava l'ardore  degli  ufficiali  preposti  alla  riscossione  della  pre- 
stanza, i  quali  animosamente  avevan  chiuse  e  suggellate  le 
botteghe  dell'arcivescovado  all'arcivescovo  partigiano  e  nemico 
della  patria,  che  negava  contribuire  per  nulla  al  mutuo. 

Ma  quest'accatto  medesimo  aveva  offerto  occasione  di  mo- 
strar mal  animo  contro  a'  Soderini.  Naturalmente,  al  cardinal 
di  Volterra,  fratello  del  gonfaloniere,  era  stata  posta  la  rata 
più  alta;  e  mentre  questo  solleticava  il  dispetto  de'  loro  av- 
versari, dava  agio  a  calunniar  le  intenzioni  di  Piero,  per  la 
tiepidezza  che  mostrava  poi,  nel  far  riscuotere  la  tassa  che 
feriva  forte  il  fratello.  Cosi,  mentre  il  cardinale  de' Medici 
poteva  sfruttare  la  chiesa  a  favore  della  sua  casata,  e  ad  op- 
pressione della  libertà  fiorentina;  i  Soderini  non  potevano  né 
disporre  delle  forese  dello  stato,  né  non  sentirsi  feriti  in  seno, 
quando,  osteggiando  la  chiesa,  provavano  a  colpir  gli  avversari. 
Al  cardinal  di  Volterra  non  restava  se  non  andare  a  spasso 
per  il  contado,  e  spiegar  la  sua  diffidenza  d'andare  a  Roma 
con  una  metafora,  che  a  que'  tempi,  non  punto  eroici,  poteva 
non  parere  vergognosa.^  Del  resto  l'alleanza  di  Francia,  mentre 

1  Cambi,  Storia  di  Firenze,  voi.  ii,  pag^.  272:  «  el  chardinale  da*  Soderini  s'andaua  a 


Digitized  by 


Google 


550  CAPO  SETTIMO.  [libbo 

gittava  la  repubblica  in  tanti  pericoli,  non  accennava  punto  a 
recarle  sostegno.  —  «  Le  forze  francesi,  scriveva  l'oratore  da 
Brescia,  se  bisognerà,» potranno  securarli  dello  stato,  ma  non 
già  delle  spese,  de'  travagli  e  della  rovina  de'  sudditi  loro  ».  — 
Infatti  la  briga  del  concilio  pisano  cominciava  a  diventare  tal- 
mente grave,  da  provocare  la  Signoria  ad  atti  di  risolutezza 
che  non  erano  ne'  suoi  propositi.  I  cardinali  scismatici,  come 
avevano  annunziato  al  Machiavelli,  insieme  a'  prelati  di  Francia, 
passavano  l'Apennino  e  venivan  giù  per  Pontremoli,  mentre 
di  Lombardia  lye  o  quattrocento  lance  francesi  sotto  il  comando 
del  signor  di  Lautrec,  cugino  del  re,  scelto  dai  cardinali  a  cu- 
stode del  concilio,  dovevan  muovere  per  servir  loro  di  scorta. 
Firenze  era  disposta  a  tollerar  tutto,  fuor  che  l'armi  di  chi 
si  fosse,  dentro  il  suo  dominio  e,  sopratutto,  in  Pisa.  Roberto 
Acciainoli  e  il  Machiavelli  avevano  avuto  commissione  espli- 
cita di  dichiarare  al  re  e  a  chiunque  importasse  in  Francia,  che  se 
que'  cardinali  di  Milano  venissero  con  genti  d'arme  a  cavallo 
0  a  piedi,  non  sarebbero  ricevuti,  ma  troverebbero  la  città 
serrata,  o  disposta  in  modo  che  loro  medesimi  piglerebbero 
partito  di  non  venirvi.^  Questo  non  già  per  diffidenza,  dicevano, 
ma  <  per  voler  fare  una  questione  e  non  cento  »;  perchè  non 
ricevendoli,  non  si  doveva  parlar  d'altro  se  non  di  non  averli 
ricevuti;  ricevendoli  invece,  sarebbero  sorte  ogni  di  e  ogni  ora 
mille  difficoltà,  d'alloggiamenti,  di  vettovaglie,  d' infinite  cose. 
Capacitato  il  re,  spacciarono  Francesco  Vettori  al  cardinale 
BriQonnet,  «  con  ambasciata,  scrive  il  Guicciardini,^  pari  alla 

spasso  pel  chontado  di  Firenze,  perchè  non  si  fld&aa  a  Roma,  e  diciena  per  auere  el  male 
francioso  non  ai  poteaa  andare  ». 

>  /  Dièci  a  Roberto  Aedaiuoli  «  die  xxv  septembris  1511  ». 

*  Guicciardini,  Storia  d'Italia,  lib.  x.  —  Ecco  il  testo  della  Istmctioné  data  a  Fran- 
Cesco  Vettori  horatore  ai  Cardinali  iX  Lombardia^  deliberata  die  29  Septembris  Ì5U: 

«  Francesco,  tu  cbavalcherai  subito  per  la  via  di  Lnnifpana  et  Pontremoli  a  trovare 
li  Revini  Cardinali  di  Sancta  Croce,  Nerbona.  Cosenza,  Baiosa  et  Alibretth,  quali  a  que- 
st'hora  si  debbono  essere  levati  dal  Borgho  a  San  Donnino  per  venire  ad  Pisa  et  mon- 
stratoli  sotto  le  lettere  credentiali  che  bai  da  noi,  exporrai  loro  come  non  ci  sattisfacceado 
della  risposta  data  al  Secretano  nostro  circa  al  menar  con  loro  gente  a  Pisa,  visto  che 
non  obstante  tutto  quello  che  noi  habbiamo  fatto  intendere,  le  genti  pure  s'inviino,  et  ben- 
ché si  dica,  per  fermarle  ad  Pontremoli  et  Serexana,  nondimeno  a  noi  pare  potere  ragio- 
nevolmente dubitare,  non  potendo  stare  in  quel  luogo  che  le  habbino  a  venire  avanti, 
non  parendo  verisimile  per  lo  honore  del  Re  et  loro,  che  le  habbino  ad  tornare  indietro, 
et  ad  poco  ad  poco  stillarsi  in  Pisa  et  in  quel  contado,  et  che  la  necessità  Thabbia  ad  fare: 
et  essendo  totalmente  contro  a  ogni  bisogno  nostro  et  promesse  dateci  sempre  dal  Re,  è 
necessario  che  un'altra  volta  intendine  bene  la  intentione  nostra  la  quale  è  deliberata  ogni 
qualvolta  che  noi  veggiamo  tali  genti  passare  le  Alpi,  pensando  per  le  ragioni  dette  che 
le  habbino  ad  venire  ad  Pisa,  non  ricevere  né  le  Loro  Signorie  Revme  né  tali  genti,  et 
non  pensare  ad  altro  che  ad  guardare  bene  et  Pisa  et  tutto  il  resto  di  quel  ConUdo,  per 
fare  una  quesUone  et  non  cento.  Et  cosi  tu  in  tal  caso  protesterai  loro  vivamente,  et  in 
tal  maniera  che  V  habbino  ad  credere,  come  in  facto  ò  la  intentione  et  deliberatione  nostra. 


Digitized  by 


Google 


SKCOKDo]  XL  CONCILIO  PISANO  INA  UG  URA  TO.  551 

sua  superbia  »  intimandogli  cioè,  che  se  nel  dominio  loro  egli 
e  1  suoi  colleghi  fossero  entrati  con  le  armi,  li  avrebbero  trat- 
tati da  nemici.  Queir  insolita  franchezza  sopraffece  il  porporato 
burbanzoso  che,  giocando  d'astuzia,  rimandò  indietro  la  solda- 
tesca, ottenendo  in  grazia  che  restassero  co'  cardinali  solamente 
il  signor  di  Lautrec  e  lo  Chatillon  con  cinquanta  arcieri.  Il 
poco  numero,  pensava  tra  sé  il  cardinal  di  Saint-Malo,  avrebbe 
dato  occasione  di  far  calare  il  molto;  cosi  vennero  innanzi  sino 
a  Lucca. 

Il  giorno  dell'inaugurazione  del  concilio  era  imminente, 
e  Papa  Giulio,  traboccando  di  sdegno,  faceva  cose  nuove:  pri- 
vava solennemente  del  cardinalato  in  concistoro  i  cardinali 
ribelli;  interdiceva  la  città  di  Lucca  che  li  ricettava;  accarez- 
zava ì  Fiorentini  per  quel  po'  di  volto  brusco  che  avean  mo- 
strato a' Francesi;  sospendeva  l'interdetto;  faceva  loro  inten- 
dere ch'ei  non  l'aveva  già  colla  città,  ma  col  gonfaloniere  di 
giustizia  e  colla  famiglia  Sederini,  che  la  tenevano  aggiogata 
a  Francia,  da  cui  gli  bastava  staccarla.  Frattanto  venuto  il  pe- 
nultimo di  d'ottobre,  e  mandati  innanzi  l'abate  del  Subasio,  Zac- 
caria Ferreri,  il  protonotario  D'Andrea,  l'arciprete  di  Loches, 
Giacomo  Galand,  procuratori  del  concilio,  entrarono  in  Pisa  anche 

Le  cagioni  per  le  quali  noi  voliamo  cosi  tono  molte,  et  per  esserti  note  non  si  repliche- 
ranno, cosi  del  non  poter  pascerle,  come  del  recharci  una  guerra  in  casa:  le  quali  due 
cagioni  ci  hanno  in  modo  persuaso  questo  ulficio,  che  noi  non  siamo  per  mutarcene;  et 
però  bisogna  che  te  ne  risenta,  et  chiarischa  loro  bene  che  se  le  genti  passano  le  Alpi,  che 
non  yenghino  né  le  loro  Signorie,  ne  le  genti  più  avanti  perchè  non  le  ricevereno;  et  che 
ne  voliamo  prima  scrivere  in  Francia,  donde  sempre  si  è  ritraete  et  ci  è  stato  promesso 
che  le  non  verranno.  Crediamo  che  subito  si  replicherà  che  nel  paese  del  Re  le  possino 
tenere,  et  che  noi  non  habbiamo  che  fare  ;  ma  questo  sarebbe  vero  quando  elle  vi  potes- 
sino  stare,  et  non  fussi  loro  necessario  venire  avanti  per  non  tornare  con  dishonore  adrieto. 
Et  in  somma  che  questa  loro  passata  di  qua  dalPAlpe  a  noi  ò  quel  medesimo  che  venire 
ad  Pisa  per  le  ragioni  decte.  Questo  medesimo  discorso  bisogna  che  tu  anchora  facci  con 
Monsignore  di  Utrech  et  con  quelli  altri  Capitani  acciocchò  intendine  bene  Tanimo  nostro, 
et  non  habbino  da  maravigliarsi  quando  e*  venghino  et  non  truovino  le  cose  ad  loro  pro- 
posito. È  anchor  necessario  per  aiutare  questa  materia  che  tu  mostri  loro  che  il  venir 
genti  ad  Pisa  non  giova  alla  sicurtà  loro,  ma  il  mandarle  verso  Bologna  farebbe  meglio 
quello  uficio  che  e*  vogliono  ;  et  che  ci  pare  molto  strano  in  questi  tempi  che  gli  habbino 
levato  le  genti  da  Bologna  per  condurle  ad  Pisa;  et  che  questo  non  ci  pare  altro  che  voler 
condurre  a  fare  la  guerra  in  casa  nostra,  il  che  noi  non  voliamo  per  conto  alcuno.  In  somma 
il  fine  ed  il  tutto  di  questa  commissione  nostra  non  ò  altro  che  fare  intendere  et  chiarir 
bene  ognuno  che  il  passar  gente  le  Alpi,  è  volere  condurre  ad  poco  ad  poco  ad  |^isa;  et 
questo  non  ci  potrebbe  dispiacere  più,  ne  lo  voliamo  sopportare  in  alchun  modo.  Et  però 
siamo  deliberati  in  tal  caso  non  li  ricevere,  et  negar  loro  ogni  commodità,  et  non  pensare 
ad  altro  che  guardar  bene  quella  città  et  tutto  quel  contado.  Nò  dubitiamo  haveme  ad  es- 
sere imputati  dal  Re,  havendoci  sempre  la  S.  Maestà  decto  che  tal  cosa  non  sarebbe.  Ser 
Giovanni  da  Poppi  Secretarlo  nostro  aspecta  risposta  da  noi  al  Borgo  a  San  Donnino,  la 
quale  li  porterai  tu  et  gliene  manderai,  acciò  non  stia  là  ad  perdere  tempo,  et  lo  effecto 
è  che  si  venga  ad  trovare  per  fare  ciò  che  tu  li  dirai  ;  al  quale,  arrivato  che  fla,  tu  ordi- 
nerai che  stia,  o  tomi,  secondo  che  ti  accadrà  servirtene.  »  (Arch.  fior.,  Disci  di  batta^ 
classe  u,  dist.  6,  n.  208,  cit.) 


Digitized  by 


Google 


I  5Sg  CAPO  SETTIMO.  [Lwao 

il  Carvajal,  il  BriQonnet,  il  de  Brie  e  l'Albret,  il  quale  ultimo 

avea  maudato  di  rappresentare  anche  Filippo  di  Lussemburgo, 

cardinale  cenomanense,  e  Francesco  Borgia,  il  cosentino,  rimasto 

'  a  Lucca  infermo.  Al  di  primo  novembre  si  trovarono  in  pochi  ; 

i  ma:  pochi,  osservò  nella  sua  predica  l'abate  del  Subasio,  erano 

stati  anche  gli  apostoli   del   cristianesimo:    pochi   potrebbero 
^  essere  pertanto  anche  i  riformatori  della  chiesa.  ^  La  prima 

sessione  era  intimata  a'  dì  cinque,  e  per  quel  giorno  potevan 
nascere  tafferugli.  La  Signoria  di  Firenze  aveva  a  suoi  com- 
missari in  Pisa  Rosso  Ridolfi  e  Antonio  Portinari,  ma  le  pareva 
prudente  assicurare  con  nuove  forze  la  città;  e  al  Machiavelli, 
I  che  a*  di  due  di  novembre  era  appena  ritornato  di  Francia,  fu 

I  dato  incarico  di  partir  subito  il  di  tre  alla  volta  di  Pisa,  con 

!  lettere  pel  signor  di  Lautrec  e  pe'  cardinali,  e  con  commissione 

I  segreta  di  levare  trecento  fanti  e  più  se  ne  fosse  mestieri,  e 

1  recarli  a  guardia  di  quella  terra.^  Ma,  era  appena  partito,  che 

I  i  Dieci  gli  mandavan  dietro  subito  l'ordine,  se  le  cose  andassero 

I  quiete,  come  i  commissari  assicuravano,  di  non  farne  nulla,  a 

I  meno  che  il  bisogno  non  ne  fosse  certo  ed  evidente. 

1  L'aver  paura  di  far  mostra  di  forze  è  precauzione  di  chi 

n'à  poche,  e  non  è  maraviglia  che,  quando  si  à  tanta  coscienza 
della  propria  infermità,  si  sollevi  o  si  fiacchi  poi  l'animo  per  ogni 
fatto  esterno  che  accade  ;  dubitando  che  ogni  cosa,  quand'anche 
non  abbia  importanza  di  causa,  non  possa  tuttavia  restar  senza 
effetto;  donde  à  origine  la  credulità  ne'  pronostici.  Soprag- 
giunsero a  que'di  casi  strani,  a  sgomentare  il  popolo,  e  dar 
agio  a'  furbi  d'ogni  fatta  di  colorarli  secondo  le  proprie  inten- 
zioni. Un  temporale  terribile  si  riversò  su  Firenze:  caddero 
due  fulmini,  che  parvero  nell'impeto  loro  scrivere  una  sen- 
tenza, urtando  la  lanterna  della  cupola  nel  duomo,  la  torre 
della  campana  nel  palazzo  de'  Signori,  la  camera  del  capitano 
de'  fanti,  la  cancelleria  testé  novamente  acconcia  ^  e  certi  gigli 

>  RicBBB,  Hiaioria  Coneil  Gener.,  lib.  it,  pag.  410. 

»  /  Di&ci  a  N.  M,  «  die  3  nov.  1511  ».  —  Cf.  Ammirato,  Istoria  fiarenHne,  lib.  xxvxn: 
«  benché  i  Dieci  ▼'avesser  mandato  Niccolò  Machiavelli  con  ampie  commistiioni  di  metter 
tante  genti  in  Pisa,  che  in  qualunque  numero  de*  forestieri  non  se  n'avesse  a  temere  ». 

•  Nel  PriorUta  di  Gio.  dkl  Nbbo  (Bibl.  Vat.,  cod.  ott.  3098,  pag.  621  e  segg.)  si  legge: 
(1511)  «  ...come  si  usciva  dall'audiensa  per  andare  alle  camere  a  mano  ritta,  erano  i  neceasaij 
e  a  mano  manca  era  la  Cancelleria  delle  lettere  di  M.  Marcello  di  M.  Virgilio  allora  can- 
celliere maggiore  della  nra  Sig'**,  et  feciono  detta  cappella  (di  palazzo)  come  al  presente 
si  vede,  e  rifeciono  gli  agiamenti  dove  sono  al  presente  allato  alla  Camera  del  notaio 
de*  Signori,  et  la  Cancelleria  si  rifece,  che  alzorono  sopra  la  porta  di  dogana  di  verso  la 
'mercanzia  di  pietre  abbozzate,  come  era  il  resto  del  palazzo,  et  feciono  due  Minestrati  in 
su*  due  anditi,  che  Tuno  di  sotto  va  nella  sala  nuova  del  Consiglio  grande,  fatta  l'anno  1496; 


Digitized  by 


Google 


secondo]  tristi  pronostici.  563 

d*oro,  ch'erano  sopra  la  porta  di  palazzo.^  Ognuno  voleva  in- 
travedere, tanto  in  quel  che  i  fulmini  avevano  colpito  che  in 
quel  che  avevano  risparmiato,  il  presagio  di  quanto  aveva  tra 
breve  a  succedere;  dacché  si  sentiva  l'impossibilità  di  rima- 
nere più  a  lungo  intatti;  ed  era  radicato  nel  popolo  un  pre- 
giudizio, che  pareva  frutto  d'esperienza  e  d'osservazione,  cioè 
che:  €  innanzi  che  seguine  i  grandi  accidenti  in  una  città  o  in 
una  provincia,  vengono  segni  che  li  pronosticano  o  uomini 
che  gli  predicono  ».^   Una  saetta,  alla  morte  del  Magnifico, 

e  in  sulPaltro  andito  che  viene  di  sopra;  e  al  piano  della  sala  deirAudienza  feciono  la 
Cancelleria,  che  dove  ò  la  porta  della  Cancelleria  in  su  d.*  sala  era  ona  flnestra,  che 
guardava  in  dogana,  e  Tanno  innanxi  1510  si  fece  la  scala  naova;  che  va  solo  nella  sala 
nuova  del  Consiglio  ».  —  Di  qaesti  riattamenti  nel  palazzo  e  nella  Cancelleria  parla  anche 
il  Cambi,  Ittorie,  voi.  ii,  pag.  275 

*  Macbuvelu,  Ditcorti,  lib.  i,  e.  lvi.  «  Sa  ciascuno  ancora,  come  poco  innanzi  che 
Piero  Sederini,  quale  era  stato  fatto  gonfalonieri  a  vita  dal  popolo  fiorentino,  fusse  cac- 
ciato e  privo  del  suo  grado,  fu  il  palazzo  medesimamente  da  un  fulmine  percosso  ».  -^  A 
suo  luogo  discuteremo  quanto  influsso,  anche  circa  Topinione  del  M.  relativa  ai  pronostici, 
potè  esercitare  Tautorìtà  de*  classici.  Qui  ci  sembra  opportuno  d'avvisare  solamente  come 
di  questa  tempesta  portentosa  si  facesse  a'  que'  giorni  un  gran  caso.  V.  Nardi,  Istorie 
di  Firense,  lib.  v  in  fine,  il  quale  parla  per  lo  meno  di  tre  folgori  ;  dell'arme  del  popolo 
gittata  da  esse  nell'immondezza;  delle  leggi  e  provvisioni  fatte  in  quell'anno,  asportate 
pur  via  per  la  finestra  della  Cancelleria  delle  Riformagioni,  d'una  flguretta  carbonizzata 
a  capo  al  letto  del  gonfaloniere  ;  delle  stelle  d'oro  nella  volta   azzurra  della  cappella  di 
palazzo,  scalfltte,  scolorate  da  punture  divisate  a  modo  dell'arme  dei  Medici,  ecc.,  nel 
qual  brano  il  Nardi  deve  aver  raccolto  tutte  le  dicerie  popolari  che  corsero  allora.   Il 
Cambi,  Istoria,  loc.  cit.,  voi.  ii,  pag.  274,  ne  scrive  nel  modo  seguente:  «  e  le  dua  saette, 
ne  dette  una  nella  lanterna  della  chupola,  e  roppe  tin  pezzo  di  chomicie,  e  fecie  un  pocho 
d'apritura,  e  una  nel  chanpanile  de'  Magnifici  Signori  di  Firenze,  e  roppe  uno  schaglione 
della  schala  a  chiociola  va  alla  chanpana  maggiore;   e  venne  giuso  nella  chamera  del 
chapitano  de' fanti,  ch'è  a  lato  a  l'udienza  degli  Otto,  e  forò  la  volta,  e  fecie  chadere  di 
molti  chalcinacci  in  sul  letto,  che  v'era  a  dormire  un  ciptadino   de*  Cherichini   Barducci, 
sostenuto  a  stanza  degli  Otto  per  certa  questione  tra  altri  Chenchini,  nipoti,  e  chugini,  e 
dipoi  andò  nella  Chancielleria  delle  Riformagioni,  e  aperse  una  chassa,  e  trassene  borse, 
dov'era  il  Chonsiglio  degli  80,  parte,  e  parte  ne  rimase,  e  dov'era  molti  previlegi  d' Impe- 
radorì  e  di  Signori;  e  non  fecie  danno  nessuno;  e  dipoi  usci  fuora  sopra  la  porta  del  pa- 
lagio, graffiò  certi  gigli  d'oro  chessono  da  que'  marzocchi,  e  ritornò  in  Palagio  per  la  porta, 
e  roppe  un  pezzo  di  schaglione  della  schala  della  chorte  va  a'  Signori,  e  dipoi   era   un 
Davitte  di  bronzo,  di  mano  di  Donatello   in    sth*  una  cholonna,  che  pòsaua  in   sur  una 
baxe,  ch'avea  quattro  fogliami  a*  piò  di  detta  cholonna  nel  mozzo  della  chorte  del  Pa- 
lazzo, e  roppe  uno  de' 4  fogliami  in  tre  parti,  e  dipoi  roppe  un  muro  dalla  parte  degli  ufi- 
ciali  del  Monte,  e  forollo  chome  fussi  di  legnio;  entrò  nella  stanza  del   Proveditore   del 
Monte  e  quivi  fini.  Ebbesi  nella  terra  per  cliattivo  pronostiche  »  ecc.  —  Cosi  ne  accenna 
parimente  il  gcRixA,  loc.  cit..  lib.  ix,  cap.  xlii:  «  Se  promulgò  alli  entredicho  :  y  fue  buelto 
à  poner  en  Florencia;  j  al  mismo  tiempo  que  se  puso,  sucedio  un  caso,  que  fue  avido  por 
muy  roaravilloso;  porque  sobrevino  muy  repentinamente  una  grande  agua,   con  muchos 
relampagos,  j  truenos  :  y  una  tan  furiosa,  y  terrible  tempestad,  que  à  todo  el  pueblo  causò 
grande  espanto;  y  parecio  ser  juyzio,  y  ira  de  Dios:  porque  cayò  un  rayo  en  la  Iglesia 
mayor:  y  de  alli  fue  à  dar  en  las  casas  de  la  ciudad,  y  abrasò,  y  derribo,  y  hiso  mucho 
estrago».  Scriveva  a  questi  tempi  Pietro  Martire  d'Amqbisra,   Epp.,  465:   «Prodigiis 
misera  undique  exagitatur  Italia,  nec  dum  cessasse  iram  caelitum  in  illam  praesagiunt  ». 
Cf.  Bobcebarot,  RéncAsaanet,  pag.  420  e  segg.;  Hbidbnhbimbr,  Petrus  Martyr  Anglerius, 
pag.  37,  in  nota. 

»  Machia vsLLi,  Discorsi,  lib.  i,  cap.  lvi.  Cf.  gli  Estratti  di  Uturs  <ed.  uH.,  voi.  ii, 
pag.  S3S-0)  :  «  Ammalò  Lorenzo  -  cascò  addi  5  d'aprile  la  saetta  in  su  la  terrazza  della 
cupola  -  ...  -  mori  Lorenzo  addì  8  d'aprile  ».'  —  E  le  Istorie,  lib.  vin:  «  ...e  come  dalla 
sua  morte  ne  dovesse  nascere  grandissime  rovine,  ne  mostrò  il  cielo  molti  evidentissimi 


Digitized  by 


Google 


554  CAPO  SETTIMO.  [lib»o 

aveva  percosso  11  duomo  nella  sua  più  alta  parte;  il  Savona- 
rola aveva  predetta  la  discesa  di  Carlo  ottavo;  non  dovevano 
le  folgori  questa  volta  preannunziar  nulla?  Alla  moltitudine 
pareva  illogico  non  conchiudere  il  sillogismo  della  paura,  e 
Niccolò  Machiavelli,  maritando  la  superstizione  volgare  al  pre- 
concetto classico,  tenne  il  pronostico  nella  memòria,  e  lo  sgo- 
mento nell'animo.  In  Pisa  egli  stava  presente  quando  il  sinodo 
s'inaugurava;  e  al  cardinale  di  Santa  Croce,  che  gli  aveva  fatto  a 
San  Donnino  balenar  la  speranza  di  trasferire  altrove  il  con- 
cilio dppo  le  prime  due  o  tre  sessioni,  consigliò,  rammentan- 
dogliela, discostarlo  più  che  potesse,  farlo  in  terra  di  Francia 
0  in  terra  di  Alemagna  «  dove  troverebbero  i  popoli  più  atti 
ad  obbedire,  che  non  sono  per  fare  i  popoli  di  Toscana  ». 

E  i  conforti  del  Segretario  furono  in  questo  anche  meglio 
aiutati  da  fatti;  ostentando  i  Pisani  ogni  contrarietà  e  disprezzo 
pe'  cardinali,  pe'  Francesi,  pel  conciliabolo;  poiché  ben  sentivano 
che  la  era  occasione  di  far  dispetto  a' Fiorentini,  senza  che  questi 
avessero  modo  a  risentirsene.  Che  anzi,  i  Fiorentini  stessi,  parteg- 
giando pel  pontefice  nemico,  contro  la  loro  patria  e  il  loro  governo, 
parevano  farla  da  buoni  cristiani.  Cosi  a'  cardinali  venne  ne- 
gato l'uso  de'  paramenti  sacri,  quando  volevan  cantare  la  messa 
dello  spirito  santo  in  duomo;  anzi,  le  porte  del  duomo  stesso 
vennero  di  poi  loro  serrate  sul  viso.^  Fremevano  i  Francesi, 
e  il  cardinale  d'Albret  sopra  tutti,  che,  avendo  fatto  assegna- 
mento su'  tafferugli  probabili  a  fine  di  provocare  altre  armi 
dalla  Lombardia,  provò  far  grande  scalpore  per  due  falconi, 
e  godè,  quando  per  caso  o  per  artificio,  due  soldati  della  citta- 
della si  bisticciarono  con  soldati  di  Francia  in  causa  d'una  cor- 
tigiana, tanto  da  seguirne  una  mischia  presso  al  Ponte  Vecchio. 
Una  nuova  e  più  grossa  e  feroce  il  di  appresso,  quando  già 
il  Machiavelli  era  partito  alla  volta  di  Firenze,  tra  i  fanti 
del  battaglione  e  le  milizie  straniere,  mentre  nella  chiesa  pros- 
sima di  san  Michele  stava  ragunato  il  concilio,  parve  decider 
le  cose  e  far  intendere  a  tutti  che,  non  che  speranze,  in  quel- 
l'arruffio giornaliero  non  c'erano  che  comuni  pericoli.  L'abate 


segni,  infra  i  quali  raltissima  sommità  del  tempio  di  Santa  Reparata  fa  da  uno  fulmine 
con  tanta  furia  percossa,  che  gran  parte  di  quel  pinnacolo  rovinò,  con  stupore  e  mara- 
viglia di  ciascuno  ». 

^  OoicciABOiMi,  Storia  d'ìtaHa,  lib.  x;  Ammirato,  Storie  fiorentine,  lib.  xzvm:  «  f ur 
chiuse  loro  arditamente  le  porte  del  tempio  in  sul  -viso,  attribuendosi  gran  parte  di  questa 
dimostraxione  a  Niccolò  Capponi,  il  quale  arrivato  la  notte  precedente  a  Pisa,  si  credeva 
aver  quest'ordine  dal  pontefice  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCONDO]  IL  CONCILIO  SI  TRASFERISCE  A  MILANO.  555 

del  Subasio  avea  già  cercato  nella  sua  concidne  ai  padri  con- 
fortarli teologicamente  delle  male  accoglienze  ricevute,  com- 
mentando il  versetto  «  lux  venii  in  mundum  et  dilexerunt 
homines  magis  tenébras  quam  lucem  ».^  Restava  a'  que' padri 
pertanto  scuotere  la  polvere  da'  propri  sandali  e  mutar  aria. 
Cosi,  tenutasi  a  furia  la  terza  sessione  in  casa  del  Carvajal, 
non  senza  dispetto,  i  cardinali  deliberarono  di  trasferirsi  a 
Milano,  ove  indissero  la  prossima  sessione,  pe'  13  di  dicembre, 
nella  gran  cattedrale.^  Partirono  poi  con  tanta  sollecitudine, 
che  a'  di  quindici  del  novembre,  Pisa  era  tornata  in  calma  tale, 
da  non  parere  che  mai  vi  fosse  stato  né  concilio  né  Francesi. 
Ma  intanto  quell'indecente  spettacolo  aveva  discreditato  tutti 
coloro  che  n'erano  stati  autori  o  principali  o  tolleranti  ;  e  Fi- 
renze e.  i  Sederini,  senza  essersi  riguadagnato  il  pontefice,  si 
ebbero  cosi  procacciato  anche  l'avversione  de'  prelati  scisma- 
tici. Papa  Giulio,  in  questo  mezzo,  cedendo  alle  persuasioni 
scaltre  e  non  punto  disinteressate  di  Pandolfo  Petrucci,  si  di- 
menava per  guisa  da  cullare  i  Fiorentini  nella  loro  neutralità, 
non  stringendoli  mai  tanto  da  indurli  a  pigliar  partito;  ma 
preparando  alla  parte  francese  in  Italia  un  colpo  decisivo  e 
improvviso. 

Apparivano  di  nuovo  gli  Svizzeri  sul  Gottardo,  a  mezzo 
novembre,  col  vessillo  sotto  al  quale  avean  vinto  gi^  Carlo  di 
Borgogna,  e  che  d'allora  in  poi  non  era  stato  più  portato  in 
campo,  colla  minaccia  scritta  a  lettere  d'oro  sul  loro  princi- 
pale stendardo  in  cui  «  quei  villan  brutti  »,  come  gli  chiamava 
l'Ariosto, 3  s'intitolavano  difensori  della  chiesa  e  domatori  di 
principi.  Apparivano,  trainando  con  loro  le  prime  artiglierie 
che  il  Gottardo  vedesse;^  apparivano,  tratti  all'esca  del  loro 
solito  cardinale  Schinner;  di  quel  che  in  Firenze  i  popolari  chia- 

1  EvaDg.  IoaD.,  3.  --  V.  nel  Richbb,  loc.  cit.,  la  Seconda  Sessióne  del  Concilio  pisano, 
pag.  423, 

*  RicBBB,  op.  cit.,  Decreta  tertiae  sessionis,  pag.  433:  «  Itera  qaia  ex  nuperrime 
emersis  ac  intellectis  in  diesqne  emergentibns  caasis  jnstissimis  ac  evidentissimis  ab  bis 
qui  praesertim  buie  sacro  Concilio  fauere  debuissent  suscitatis,  locom 
ipsnm  Concini  transferri  oportere  sancta  haec  Synodus  animadvertit  »  etc. 

*  MuBATORi,  Annali  d'Italia,  ad  ann.;  citando  l'anonimo  Padovano,  ne  riferisce  la  scritta: 

«  DOMATORBS  PRINCIPUM,  AMATORBS  IV8TITIAB,  DBFBNSOBBS  SANCTAB  ROMANAB  BCCLESIAB  »  ; 

onde  r Ariosto,  Orlando  furioso,  xxxiii,  43,  cantò  di  re  Francesco: 
«  che  cosi  rompe  a'  Svixeri  le  coma 
che  poco  resta  a  non  gli  aver  distratti, 
si  che  il  titolo  mai  più  non  gli  adoma, 
ch'usurpato  s'avean  que' villan  brutti; 
che  domator  di  principi  e  difesa 
si  nomeran  della  romana  chiesa  ». 

*  Ranke,  Oeschiehten  der  rom.  und  germ.  Vdlker.,  pag.  270. 


Digitized  by 


Google 


556  CAPO  SETTIMO,  [ubbo 

mavano  paurosi  «  il  cardinale  svizzero  ».  Si  prevedeva  che  questi, 
cougiungendosi  coll*esercito  ispano -ecclesiastico  di  Romagna, 
potessero  cagionare  all'armi  francesi  una  rovina  estrema.  La 
città,  atterrita  già  da  que'  sinistri  pronostici,  ne  fu  scossa;  la 
fiducia  nell'utilità  dell'alleanza  francese  scoraggiata  anche  in 
chi  col  cuore  non  avrebbe  saputo  smuoversene.  Le  lettere  del 
Pan  delfini  parla  van  chiaro,  segnalando  come  la  poca  sicurezza 
del  re  comprometteva  a  dirittura  l'esito  della  guerra.^  Il  car- 
dinal Sederini,  vista  la  mala  parata,  giudicava  non  restare  a 
far  altro  che  raccostarsi  al  pontefice,  e  assicurarlo  che  Firenze 
sarebbe  entrata  a  far  parte  della  lega.  Era  tardi.  Papa  Giulio, 
ritorcendo  l' infelice  metafora  del  cardinal  di  Volterra,  ghignava 
ironico  ;  ^  e  sapeva  bene  che  né  questi  né  il  gonfaloniere  per- 
petuo disponevano  più  della  città. 

In  tali  strette,  Niccolò  Machiavelli,  il  solo  che  pur  sapesse 
alzarsi  col  pensiero  sopra  i  colleghi  atterriti  della  cancelleria, 
vide  soprastare  alla  repubblica  una  catastrofe  inevitabile;  dalla 
quale  chi  sa  se  la  persona  e  la  famiglia  di  Pier  Sederini,  chi 
sa  se  egli  stesso,  inviso  per  tante  cagioni  ai  faziosi,  sarebbero 
usciti  immuni.  Guardare  la  morte  coraggiosamente  in  viso, 
era  preveggenza  per  lui;  poteva  essere  buon  esempio  per  altri. 
Ei  fece  il  suo  testamento  noncupativo,  nella  cancelleria  delle 
Reformazioni,  in  palazzo.  I  suoi  colleghi,  ^  Antonio  Vespucci, 
Bartolomeo  Dei,  Piero  Bonaccorsi,  Filippo  Lippi  da  Pratovec- 
chio.  Luca  Ficini,  Giovanni  Biagi  da  Poppi,  Bartolomeo  Rufini 
gli  furon  testimoni;  ser  Francesco  Ottaviani  d'Arezzo,  notaio 
delle  riformazioni  rogò  l'atto.^  Provvide  cosi  Niccolò  ai  propri 
figli,  lasciandoli  eredi  ed  assegnando  loro  a  tutrice  e  curatrice 
la  madre,  nella  cui  integrità  ed  affezione  si  confidava;  libe- 
randola d'ogni  obbligo  di  compilazione  d'inventario  e  di  ren- 
diconto; vincolandola  appena,  e  solo  in  caso  d'alienazione  o  di 
obbligazione  de'  fondi,  a  procedere  d'accordo  col  fratello  Tetto. 

i  Dbsjardins,  Negoclationi  dipi,  voi.  ii,  pag.  542.  Pandolfini  da  Parma  23  nov.  1511  : 
«  ...le  opere  repugnano  alle  parole;  il  volere  il  re  stando  in  Francia  governare  la  guerra 
che  8i  fa  di  qua  e  regolare  la  epesa,  mi  par  cosa  male  a  proposito,  e  gli  potria  talvolta 
causare  qualche  sinistro,  perchè  la  distanza  è  troppa  e  le  occasioni  che  nascono  si  per- 
dono in  quel  tempo  ». 

*  Dbsjaroins,  loc.  cit.,  pag.  558-9.  Bernardo  dìB  ibbiena  al  Legato  «  Roma  18  die.  1511  »  : 
—  «  E  venga  quando  vuole  monsignor  di  Volterra,  e  porti  che  i  Fiorentini  entreranno  in 
lega  e  moveranno  contro  Francesi  quanto  gli  piace!  Ha  nostro  Signore  due  volte  usato 
dire:  Sviszeri  essere  buoni  medici  del  mai  francese,  perchè  hanno  si  bene  guarito  monsi- 
gnor di  Volterra,  che  in  un  tratto  ha  potuto  venir  qua  ove  prima  non  poteva  muoversi  ». 

•  V.  in  App.,  n.  III. 

«  Addi  22  novembre  1511. 


Digitized  by 


Google 


8BCO2fD0]  PRIMO  TESTAMENTO  DEL  MACHIAVELLI.  557 

Ciò  fatto,  ei  poteva  coraggiosamente  accingersi  a  servir  la  re- 
pubblica e  compiere  il  suo  dovere  a  costo  della  vita.  Ei  non 
dissimulava  ad  alcuno  che  v'eran  da  correr  pericoli  ;  incitava 
anzi,  per  quanto  gli  era  lecito,  ad  incontrarli.  Vedeva  nel 
corpo  civile  della  sua  Firenze  farsi  strada  ogni  dì  più  il  prin- 
cipio della  dissoluzione;  sorgere  al  contrario,  come  per  fortuna, 
inaspettati  compensi  a  puntellare  l'audacia  del  papa  nemico, 
sprovvisto  di  vere  forze,  e  avventuroso  pur  sempre.  ^  Quegli 
Svizzeri  che  piovevano  giù  a  sostegno  di  lui,  non  solo  costrin- 
gevano i  Francesi  a  ceder  loro  il  passo  e  rinserrarsi  nelle  for- 
tezze, ma  cavavano,  in  certo  modo,  il  papa  dalle  mani  del  re 
di  Spagna;  alleato  che  altrimenti  l'avrebbe  tenuto  nella  più 
piena  dipendenza  da  sé.  Quel  cardinale  de'  Medici  nel  campo 
della  lega  era  d' altronde  V  impedimento  più  forte  perchè  il 
gonfaloniere,  che  sentiva  come  pure  era  duopo  uscire  dalla 
neutralità,  potesse  pencolare  da  altra  parte  che  da  quella  ove 
i  Medici  non  stessero  ;  da  altra  parte  che  da  Francia^  la  quale, 
anche  a  causa  de'  recenti  garbugli  di  Pisa,  s'era  alienata  tutta 
la  simpatia  de'  democratici  fiorentini,  ed  era  naturalmente  in- 
visa ai  partigiani  de'  Medici.  Ora,  i  tempi  erano  mutati  e  il 
Sederini  non  se  n'avvedeva,  ■  quantunque  il  Machiavelli  pro- 
vasse di  farnelo  accorto.  Quando  tra  il  bene  della  patria  sua 
e  la  causa  francese  fu  comunanza  d'intendimenti  e  di  fini,  Piero 
era  stato  mediatore  di  relazioni  politiche,  che  avean  finito  per 
divenire  suoi  vincoli  personali,  sue  necessità  interiori,  che  gli 
ottundevano  il  senso  d'ogni  altra  esteriore  necessità.  Eran  mutati 
i  tempi,  ed  egli  non  se  n'accorgeva,  e,  per  ridirla  a  ^  modo  del 
Machiavelli,*  non  si  sapeva  più  riscontrare  con  essi.  Oltre  a  ciò, 

*  Cf.  Machiavelli,  Il  Principe,  cap.  xiii.  —  Id.,  Discorsi,  lib.  in,  cap.  9:  «Papa 
lalio  It  procedette  in  tutto  il  tempo  del  suo  pontificato  con  impeto  e  con  furia;  e  perchè 
i  tempi  Taccompagnarono  bene,  gli  riuscirono  le  sue  imprese  tutte.  Ma  se  fussoro  venuti 
altri  tempi  che  auessero  ricerco  altro  consiglio,  di  necessità  rovinava  ;  perchè  non  arebbe 
mutato  né  modo  né  ordine  nel  maneggiarsi  ».  —  Questa  sentenza  del  M.  sembra  ridurre 
d*assai,  quanto  al  pontefice,  il  giudizio  del  Brosch,  op.  cit.,  pag.  237.  in  cui  chiama  Giulio 
secondo  e  Ferdinando  il  Cattolico  «  unter  Europa's  Hegenten  die  ersten  Staatsm&nner  der 
Zeit  »  ;  e  risponde  in  certo  modo  a  un'afTermazione  di  Francesco  Vettori  il  quale  scrivendo 
a  N.  M.  «  a  di  5  d'agosto  1510  »  giudicava  del  pontefice  :  «  non  si  può  dire  che,  poi  è  in 
quel  grado,  il  governo  suo  sia  stato  di  matto  ».  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v.  n.  66. 

•  Il  Machiavelli,  (Discorsi,  lib.  ui,  e.  9,  Ghiribizi  a  Pier  Soderini  in  Raugia,  v.  App., 
Analisi  dell' Apogr.  G.  d.  R.,  §  xxi,  Capitolo  di  fortuna  a  G.  B.  Soderini)  insistè  sulla 
necessità  di  riscontrare  coi  tempi  il  proprio  modo  di  procedere;  altrimenti  avviene  che 
la  sorte: 

«  non  potendo  tu  cangiar  persona, 
Né  lasciar  l'ordìn  di  che  il  ciel  ti  dota 
Nel  mezzo  del  cammin  la  t'abbandona  ». 

Quest'ultimo  componimento  indirizzato  a  quello  fra  i  Soderini  che,  come  riferisce  il  Busimi 


Digitized  by 


Google 


568  CAPO  SETTIMO.  [libro 

la  lealtà,  T  indulgenza,  l'amor  della  legge,  che  in  lui  erano 
naturali,  l'avevano  confermato  nel  sentimento  che  una  causa 
buona  à  difesa  intrinseca  e  bastevole  nella  bontà  propria. 
«  Jusius  ut  palma  florebit  »,  era  il  motto  del  suo  sigillo;' 
e  quando  la  slealtà,  la  periSdia,  la  prepotenza  si  levavano  a 
insidiare  e  offendere  con  le  leggi  gabbate  la  causa  buona,  ei 
non  sapeva  farsi  leone,  non  sapeva  urtar  gagliardamente  le 
opposizioni,  sbattere  gli  avversari  con  tutta  l'energia  vitale, 
per  tema  di  sconfinare  dal  limite  legittimo,  d'uscire  dalla 
consuetudine  civile,  di  cercar  altra  cosa  che  il  trionfo  finale 
della  giustizia:  «  Justus  ut  palma  florebit  »  —  Ma  «  chi  pi- 
glia una  tirannide  e  non  ammazza  Bruto,  e  chi  fa  uno  stato 
libero  e  non  uccide  i  figli  di  Bruto,  si  mantiene  poco  tempo  »,^ 
gli,  osservava  reciso  il  Machiavelli;  e  il  Sederini  era  per 
dargli  ragione,  per  consentirgli  la  verità  di  questa  massima, 
ma  rispondeva  voler  prima  cadere  che  compromettere  con 
modi  straordinari  l'esistenza  nuova  di  quella  forma  di  governo 
democratico.  Egli,  il  primo  gonfaloniere  perpetuo  di  giustizia, 
non  desiderava  se  non  che  ne  potessero  seguire  altri  dopo  di  lui, 
in  quella  dignità;  né  si  curava  di  morir  lui  in  uflìcio,  ma  voleva 
che  quell'ordinamento  politico,  ohe  colla  persona  sua  si  era 
inaugurato,  avesse  ad  acquistarsi  l'amore  e  la  fiducia  di  tutto 
il  popolo.  C'era  del  resto  la  legge,  che  chiudeva  la  via  di  far 
parlamenti  e  s'era  spuntata  da  poco;  la  sanzione  doveva  per- 
tanto colpire  chi  tentava  violenze  ;  ma  chi  fosse  per  tentarne 
non  doveva  sino  a  prova  contraria  essere  sospettato;  pareva  anzi 
che  lo  stato  affettando  sicurezza  guadagnasse  di  credito.^  Ma  era 

{Lettere,  pag.  37),  educò  «  il  Ferruccio  glorioso,  che  quanto  seppe  ebbe  da  Oiovambatista  », 
dovette  essere  scritto  da  Niccolò  dopo  la  sua  disgrazia  e  l'uscita  dalla  cancelleria.  Del 
non  essersi  riscontrato  coi  propri  tempi  del  resto  ei  non  fa  colpa  al  Gonfaloniere  perpetuo , 
ma  riconosce  solo  che  in  ciò  fu  principalmente  la  causa  della  sua  caduta. 

^  Veggasene  l'impronta  in  Silvano  Razzi,  Vita  di  P.  Soderini;  in  fine  della  pref. 

•  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  ni,  e.  3.  —  E  circa  affigli  di  Bruto,  cf.  G(7icciar2>u;i; 
Reggimento  di  Firenze,  1.  ii,  pag.  213  e  segg. 

*  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  ut,  cap.  3  :  «  E  questo  è  Piero  Soderini,  il  quale  si  cre- 
deva con  la  pazienza  e  bontà  sua  superare  quello  appetito  che  era  ne'  figliuoli  di  Bruto  di 
ritornare  sotto  un'altro  governo,  e  se  ne  ingannò.  E  benché  quello,  per  la  sua  prudenza» 
conoscesse  questa  necessità,  e  che  la  sorte  e  la  ambizione  di  quelli  che  lo  urtavano,  gli 
desse  occasione  a  spegnerli,  nondimeno  non  volse  mai  l'animo  a  farlo.  Perchè,  oltre  al 
credere  di  potere  con  la  pazienza  e  con  la  bontà  estinguere  i  mali  umori,  e  con  i  premi 
verso  qualcuno  consumare  qualche  sua  inimicizia;  giudicava  (e  molte  volte  ne  fece 
con  gli  amici  fede)  che  a  volere  gagliardamente  urtare  le  sue  opposizioni  e  battere 
i  suoi  avversari,  gli  bisognava  pigliare  straordinaria  autorità,  e  rompere  con  le  leggi  la 
civile  egualità;  la  qual  cosa,  ancora  che  dipoi  non  fusse  da  lui  usata  tirannicamente, 
arebbe  tanto  sbigottito  l'universale,  che  non  sarebbe  mai  poi  concorso  dopo  la  morte  di 
quello  a  rifare  un  gonfaloniere  a  vita  :  il  quale  ordine  giudicava  fusse  bene  augumentare 
e  mantenere,  lì  quale  rispetto  era  savio  e  buono:  nondimeno  e* non  si  debbo  mai  lasciare 


Digitized  by 


Google 


«BCOKDoJ  IMPRUDENTE  PAZIENZA  DI  PIER  SODERINI.  559 

logico  forse  aspettare  che  altri  potesse  succedergli  in  quel 
magistrato  in  cui  egli  non  sapeva  mantenersi?  era  prudente 
credere  che,  sopraffatto  prima  dalla  furia  e  dagli  inganni  di 
faziosi  prepotentissimi,  si  sarebbe  poi  restaurato,  dopo  l'oppres- 
sione, quell'ordinamento  dello  stato  che  non  era  fatto  a  prò  di 
partigiani,  che  non  porgeva  lusinghe  né  a  clienti  né  a  sover- 
chiatori, che  a  mala  pena  aveva  potuto  andare  innanzi  finché  la 
coalizione  malvagia  de'  diversi  avversari  non  era  riuscita  pos- 
sibile? —  Messer  Piero  metteva  ogni  sua  fidanza  nel  tempo, 
nella  fortuna,  ne'  tratti  concilianti  e  benevoli  che  credeva  do- 
vessero scemare  ogni  di  il  numero  de'  suoi  nemici  e  aumen- 
targli quel  degli  amici.  Egli  era  fresco  in  età,  e  credeva  d'aver 
agio  a  godersi  il  trionfo  della  causa  santa  e  dei  tempi  liberi. 
Bastava  del  resto  che  il  pontefice  collerico  e  moribondo  chiu- 
desse gli  occhi,  e  le  armi  sarebbero  tosto  posate,  e  i  rischi  di- 
leguati. Ma  il  Machiavelli  a  questa  asseveranza  di  lui  crol- 
lava il  capo  compassionando,  poiché  quegli  <  non  sapeva  che 
il  tempo  non  si  può  aspettare,  che  la  bontà  non  basta,  che  la 
fortuna  varia,  che  la  malignità  non  trova  dono  che  la  plachi  ».^ 
Il  Machiavelli  vedeva  chiaro  che  il  Soderini  era  per  correre 
l'ultima  posta,  che  necessitava  forse  ai  suoi  fedeli  di  morire  con 
esso,  e  che  era  a  bramare  e  a  provvedere  che  eguale  e  con- 
temporaneo tramonto  non  toccasse  alla  libertà. 

Su  questo  proposito  Niccolò  non  poteva  aprirsi  intimamente 
se  non  col  vecchio  e  venerando  cieco  Giacomini,  il  solo  che  amasse 
la  repubblica,  il  solo  che  avendo  contribuito  a  crearle  difesa 
coU'esercito  statuale,  avrebbe  potuto  ne'  consigli  e  nelle  pra- 
tiche opporsi  4c  senza  sospetto  e  senza  rispetti  »  al  gonfalo- 
niere. Ma  il  Giacomini  era  malandato  della  salute  e  mosso  da 
parte;  perché  ad  alcuni  dispiaceva  la  franchezza  colla  quale 
nelle  Pratiche  non  dissimulava  mai  né  opinioni  né  fatti;  ad  altri 
la  sincerità  con  cui  amava  il  governo  popolare.*  E  in  Firenze 
s'era  oramai  ridotti  a  questo,  che  non  c'era  chi  pensasse  di 
poter  fare  opposizione  al  Soderini  dentro  l'orbita  delle  leggi.^ 

scorrere  un  male  rispetto  ad  un  bene,  quando  quei  bene  f'acilraente  possa  essere  da  quel 
male  oppressalo  ».  —  Cf.  Pitti,  Istoria  fiorentina,  lìb.  ii,  pag.  100  e  segg.,  ove  si  ripro- 
duce, poco  men  che  colle  parole  medesime,  il  giudizio  e  il  fatto  narrato  dal  M. 

1  Macriaybll],  Discorsi,  lìb.  m,  e.  30. 

»  Pitti,  Vita  d* Antonio  Giacomini,  loc.  cit,  pag   255. 

*  Machiayelli,  Discorsi,  lib.  i,  e.  lii  :  «  Piero  Soderini  si  aveva  fatto  riputazione  nella 
città  di  Firenze  con  questo  solo  di  favorire  Tuniversale;  il  che  nello  universale  gli  dava 
reputazione,  come  amatore  della  libertà  della  città.  E  veramente,  a  quelli  cittadini  che 
portavano  invidia  alla  grandezza  sua,  era  molto  più  facile,  ed  era  cosa  molto  più  onesta. 


Digitized  by 


Google 


^^' 


5€0  CAPO  SETTIMO,  [l 

La  malignità,  T  invidia,  la  superbia  aveano  toccato  un  grado 
d'esaltamento  tale,  che  ai  partigiani  non  bastava  già  il  toglier 
via  l'uomo;  ma  le  istituzioni  si  volevano  abbattere,  perchè 
quegli  aveva  potuto  armeggiare  con  esse.  Fra  lui  e  la  Signoria, 
fra  lui  e  i  Dieci^  fra  lui  e  le  Pratiche  non  solo  non  era  più 
armonia,  ma  discrepanza  decisa;  e*  quella  maggioranza  stessa 
su  cui  egli  aveva  potuto  fin  qui  far  assegnamento  in  Consiglio 
grande,  cominciava  a  vacillare  o  per  timore,  o  per  particolari 
interessi,  o  per  sazietà. 

Così  quando  i  Signori  e  Collegi  gli  avevano  approvato 
l'istituzione  d'una  quarantla  speciale,  d'un  tribunale  apposito 
per  giudicare  de'  delitti  politici,  il  Consiglio  degli  Ottanta  gliene 
rigettava  la  legge,  ^  lasciando  che  non  a' quaranta,  ma  a' pochi, 
corrotti  0  corruttibili,  spettasse  l'arbitrio  di  quelle  sentenze. 
Cosi  quand'egli  intendeva  spingere  vigorosamente  la  repubblica 
all'alleanza  francese  e  aiutare  il  re  Luigi  con  tutte  le  forze, 
votarono  invece  di  mandar  un  ambascerìa  al  re  di  Spagna,  per 
tenersi  propiziato  il  maggior  potentato  della  lega;  e  Francesco 
Guicciardini,  il  giovane  ed  egoista  dottore  di  leggi  che  n'ebbe 
commissione,  non  cessò  mai  più  di  vantarsi  d'esservi  stato  pre- 
scelto, quantunque  ancora  per  età  non  eligibile  a  magistra- 
ture, e  di  lamentar  la  ristrettezza  del  mandato  affidatogli.*  Ma 

meno  pericolosa  e  meno  dannosa  per  la  repubblica,  preoccupargli  quelle  vie  per  le  qaali 
si  faceva  grande,  che  volere  contrapporsegli,  acciò  che  con  la  rovina  sua  rovinasse  tutto 
il  resto  della  repubblica;  perchè  se  gli  avessero  levato  di  mano  quelle  armi 
con  le  quali  si  faceva  gagliardo  (il  che  potevano  fare  facilmente)  arebbono  po- 
tuto in  tutti  i  consigli  e  in  tutte  le  deliberazioni  pubbliche  opporsegli  sensa  sospetto  e 
senza  rispetto  alcuno  »,  ecc. 

>  Il  Pitti,  Storia  di  Firenze,  lib.  ii,  loc.  cit.,  pag.  100,  dico  che  fu  «  il  senato  »  che 
non  Tapprovò  «  dappoiché  li  favori,  li  rispetti  e  la  corruzione  impedivano  il  far  giustizia 
nel  magistrato  degli  Otto  e  nel  supremo  ».  —  È  evidente  che  per  «senato  »  il  Pitti  vuol  in- 
tendere il  Consiglio  più  stretto,  relativamente  al  Consiglio  del  popolo.  Quale  si  fosse  Ta- 
nimo  del  Machiavelli,  quando  vide  naufragare  la  proposta  istituzione  della  Quarantia  ci  si 
rivela  da  un  passaggio  dei  Discorsi  (lib.  i,  capo  vii)  in  cui  egli  cita  «l'accidente  seguito 
in  Firenze  sopra  Piero  Sederini,  il  quale  al  tutto  segui  per  non  essere  in  quella  repubblica 
alcuno  modo  di  accuse  contra  all'ambizione  de*  potenti  cittadini,  perchè  lo  accusare  a  otto 
giudici  in  una  repubblica,  non  basta;  bisogna  che  i  giudici  sieno  assai,  perchè  pochi  sempre 
fanno  a  modo  de*  pochi.  Tanto  che,  se  tali  modi  vi  fussono  stati,  o  i  cittadini  lo  arebbono 
accusato,  vivendo  egli  male  ;  e  per  tal  mezzo,  senza  far  venire  l'esercito  spagnuolo  areb- 
bero  sfogato  l'animo  loro;  o  non  vivendo  male,  non  arebbono  avuto  ardire  operarli  con- 
tra »,  ecc. 

«  Cf.  Fb.  GruicciABDiNi,  Storia  d'Italia,  lib.  x.  «  Anzi,  procedendo  con  queste  incerti- 
tudini,  mandarono  con  dispiacere  grande  del  re  di  Francia,  al  re  di  Aragona  ambasciatore 
Francesco  Guicciardini,  quello  che  scrisse  questa  istoria,  dottore  di  leggi,  ancora  tanto 
giovane,  che  per  la  età  era,  secondo  le  leggi  della  patria,  inabile  a  esercitare  qualunque 
magistrato  ;  e  nondimeno  non  gli  dettero  commissioni  tali,  che  alleggerissero  in  parte  al- 
cuna la  mala  volontà  dei  confederati  ».  V.  anche  i  suoi  Ricordi  autobiografici,  pag.  85  e 
segg.  —  Il  Prrri,  Apologia  de' Cappucci,  loc.  cit.,  pag.  317  e  segg.,  cerca  ridurgli  la  ca- 
gione del  vanto;  cita  «^  T istruzione  datagli  da' Dieci,   scritta  da  messer  Marcello   primo 


Digitized  by 


Google 


SBCONDOj     y.  MACHIAVELLI  TORNA  A  OCCUPARSI  DELLE  MILIZIE.  561 

chi  ragguaglia  le  parole  sue,   le  lettere  di  lui  e  del  fratello 
Iacopo,  in  quella  sua  commissione  spagnuola,  con  le  confuta- 
zioni che  in  nome  de'  Cappucci  contrappose  poi  loro  il  Pitti, 
vede  che  specie  d'umori  fermentavano  allora  in  Firenze.  Cosi 
ancora,  da  poi  che  il  cardinale  di  Volterra  era  tornato  a  Roma, 
si  restava  dairesigere  l'accatto  su'  preti,  contro  il  volere  della 
Signoria  e  per  istruzione  segreta  del  gonfaloniere;  il  quale 
adescato  dal   fratello,  più  acuto  e  più  ardito  politico  di  lui, 
voleva  preoccupare  la  strada  ai  Medici,  e  pareva  quasi  dar 
volta  e  abbandonare  l'antica  alleanza.  Era  naturale  che   di 
quel  fatto  la  Signoria  si  risentisse,  e  che  chi  in  quella  aveva 
male  intenzioni,  ne  traesse  vantaggio,  per  opporre  le  delibera- 
zioni di  una  Pratica,  che  avesse  l'aspetto  di  secondare  il  Sede- 
rini, a  quella  del  Consiglio,  che  aveva  decretato  altrimenti.  * 
Cosi  le  membra  dello  stato  con  dispetto  artificioso  si  facevano 
a  cozzar  fra  loro;  cosi  il  Gonfaloniere  perpetuo,  a  cui  la  mar- 
maglia, come  dicevano  i  nobili,  aveva  inneggiato  fin  allora,*  si 
perdeva  in  faccia  ai  popolari  medesimi. 

Il  Machiavelli,  a  tal  punto,  usci  d'ogni  speranza  che,  visto 
quell'insieme  di  persone  e  di  cose,  le  condizioni  politiche  della 
città  potessero  esser  giovate  in  alcun  modo  da  maneggi  o  da 
consigli.  Rimaneva  ancora  da  attendere  alle  armi,  da  spe- 
rare nell'esercito  statuale,  nell'ordinanza  de' fanti;  rimaneva  da 
preparar  buone  forze  pel  giorno  in  cui  le  forze  soltanto  avreb- 

segretario  »,  che  fu  pubblicata  dal  CANBSTRmi  (Fr.  Guicciardini,  Opp.  inedite,  voi.  vi, 
pag.  3-10)  più  correttamente  che  non  dal  Bbnoist  {GuicharàÀn)^  e  gli  appone  T  infàmia 
d'aver  accettato  danari  in  dono  da  Ferdinando  il  Cattolico. 

*  V.  OuicciARDiNi,  Opp.  inedite,  voi.  vi.  Lettera  di  Iacopo  Guicciardini  a  Fr.  in 
Spagna  «  23-30  aprile  151!^  ».  pag.  41.  «  Il  Gonfaloniere  poiché  il  cardinale  andò  a  Roma 
in  qneste  cose  di  Francia  è  ito  molto  freddamente,  e  pare  che  tutto  si  sia  rivoltato  da  quel 
che  già  era,  come  quello  che  è  stato  soffiato  da  Roma  Nelle  cose  de'  preti  si  raffreddò  e 
lasciògli  fare  ciò  eh'  e'  vollono,  quando  questi  ufficiali  gli  comiociorno  a  strignere,  in 
modo  eh*  e  ci  si  bolliva  assai  ;  e  dua  o  tre  volte  si  giuoco  l'onore  della  Signoria,  e  lui 
chiudeva  gli  occhi  ».  —  Cambi,  Istorie,  voi.  ii,  pag.  286:  «La  Signoria  ordinò  una  pra- 
ticha  di  ciptadini  per  pigliare  chonsiglio,  chome  s'aveano  a  ghovernare  con  questi  preti; 

di  che  sottonbra  di  charità  raportorno  appunto  quello  volevano  e' preti —  Di   che  la 

Signorìa  messe  ad  eifecto  tutto  et  la  mattina  seghuente  renderono  e*  danari  e  chomando- 
rono  agli  uficiali  non  rischotessino  ;  che  per  la  spetieltà  di  qualchuno  de'  Signori  fu  tutta 
tal  pratica  a  suo  proponete;  e  a  questo  modo  le  leggio  non  hebbono  luogho,  perchè  la 
Signoria  non  avea  alturità,  né  dovea  uxarla,  chontro  a  quello  s'era  fatto  Chonsiglio  gie- 
nerale.  E  questo  schrivo.  perchè  chi  legierà  vegga  quanta  poche  giufititia  era  rimasta 
nella  Ciptà  in  questo  tempo  e  pncha  unione  ». 

*  Nel  poemetto  La  presa  di  Pisa,  di  cui  più  sopra  tenemmo  proposito,  del  gonfaloniere 
si  discorre  a  questo  modo,  con  eccesso  di  lode  che  par  fatto  a  posta  per  dispiacere  ai  gen- 
tiluomini fiorentini: 

«  Al  tempo  che  regnava  el  Sederino 
degno  Cóffalonier  Pietro  chiamato 
che  di  consiglio  passa  ogni  latino 
&  d'ogni  anpla  virtù  dal  ciel  dotato  ». 

ToMMA.^iNi  -  Machiavelli.  26 


Digitized  by 


Google 


562  CAPO  SETTIMO.  [l 

bero  deciso  della  sorte  della  patria;  ed  ei  tornò  principalmente 
ad  occuparsi  delle  milizie. 

Si  trattava  di  collocar  nuove  bandiere  nella  provincia  to- 
scana di  verso  Romagna,  e  ne  venne  affidata  la  cura  a  lui,  con 
amplissime  patenti.^  In  questo  mezzo,  egli  che  per  esperienza 
aveva  notato  come  la  miglior  maniera  di  persuader  gli  uomini, 
circa  l'opportunità  d'idee  reputate  stravaganti  o  difficili,  stava 
nel  presentarle  loro  già  belle  e  in  fatto;  aveva  posto  insieme, 
lungi  dalla  città  anche  questa  volta,  anzi  alle  pendici  del  do- 
minio, un  primo  nucleo  d'armamento  di  cavalli;  duecento  uo- 
mini in  tutto,  i  quali  doveano  servire  di  modello  ad  un  corpo 
di  cavalleria,  da  lui  ideato  per  spalleggiare  i  fanti,  per  sosti- 
tuirlo alle  genti  d'arme  de'  condottieri,  e  tórre  via  lo  sconcio 
che  accanto  a'  soldati  statuali  si  mantenessero  mercenari,  e  della 
peggior  qualità,  come  quelli  che  davano  maggiori  occasioni  a 
ruberie  e,  colle  pretensioni  nobilesche  de'  condottieri,  ofiFendevano 
il  sentimento  popolano  dell'ordinanze  medesime.  Niccolò  ne  ac- 
caparra in  questa  sua  gita  altri  cento;  gli  ascrìve  tutti  alle  ban- 
diere di  Valdarno,  Valdichiana  e  Casentino,  e  promette  a'  Dieci 
che  pel  fin  d'anno  <  potranno  valersi  di  que'  trecento  cavalli 
in  quei  luoghi  vorranno  ».*  Poi,  coi  criteri  che  già  il  lettore 
conosce,  in  parte  avendo  in  mira  le  antiche  cavallate  del  co- 
mune, in  parte  sottomettendosi  alle  necessità  de'tempi,  seguita 
ad  occuparsi,  nei  primi  mesi  del  1512,  della  inscrizione  e  del- 
Tordinamento  di  queste  nuove  squadre  di  cavalli  ;  ^  fintanto  che 
il  nuovo  fatto  parve  cresciuto  tanto,  che  l'utilità  ne  fosse  vi- 
sibile ai  più,  l'aggravio  per  la  spesa  non  paresse  soverchio, 
e  lo  svilupparlo  più  ampliamento,  senza  una  misura  legisla- 
tiva, sembrasse  non  concesso  ai  Nove.  Fu  però  dato  incarico 
allora  al  Machiavelli  di  preparare  una  speciale  proposta  di 
l^gge,  per  cui  il  numero  dei  cavalli  si  potesse  recare  sino  a 
cinquecento,  almeno. 

La  provvisione,  come  di  consueto,  si  presentò  prima  al  Con- 
siglio degli  Ottanta,  ove  l'opposizione  de'  mali  intenzionati  era 
preveduta  da  Niccolò,  in  tutta  la  bieca  dissimulazione  di  cui 
eran  capaci.  Della  relazione  con  cui  il  Segretario  l'accompa- 

^  Bibl.  Naz.  Fior.,  doc.  M.,  busto  v,  n.  156.  PntenU  per  far  leve  d*uomim  in  Eo- 
magna  «  addi  2  di  dicembre  1511  ». 

«  Arch.  fior.  (ci.  x,  dist.  4,  n.llO,  Lett.  ai  X.d,  fll.  n.  108,  e.  60).  LeU.  di  N.  Maehiik- 
vegli  ai  Xs*  «  die  5  Xbris,  ex  Bibiena  ». 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busto  y,  n.  73.  Laurentiut  MarieUui,  commistariu*  egr,  viro 
N.  d.  M.  «  ex  Montopolitiano  die  iiij  febniarìi  m.d.xi  »  (st.  e.  1512)  raccomanda  Jacopo 
da  Ricasoli  suo  parente  «  per  uno  capo  della  nuova  ordinanza  de*  cavalli  ». 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  FRAMMENTO  CIRCA  V ORDINANZA  BE'  CAVALLI.  5d3 

gnaya  ci  rìman  forse  yestigio  in  alcuni  frammenti  conservatici 
nell'apografo  del  Ricci,^  onde  par  chiaro  che  quei  s'aspettasse 
che  i  nobili  l'avrebbero  combattuta  sotto  colore  di  amar  la 
libertà  sino  alla  gelosia.  Ma  a  chi  gli  obbiettava  il  pericolo  che 
il  contado  armato  sarebbe  forse  per  non  obbedire  più  alla  città 
prepotente  e  disarmata,  si  faceva  innanzi  a  rispondere  che  dove 
s'era  dato  l'arme  ai  fanti,  si  poteva  pur  dare  ai  cavalli;  e  poi, 
«  che  chi  pensa  ad  ogni  inconveniente  che  può  nascere,  non 
comincia  mai  nulla,  perchè  questa  è  una  massima:  che  non 
si  cancella  mai  un  inconveniente  senza  che  se  ne  scopra  un 
altro;  e  sempre  si  pigliano  le  cose  meno  ree  per  buone  ».*  Fatto 
sta  che  la  legge  con  poche  modificazioni  fu  approvata,  entro 
il  giro  di  una  settimana,  tanto  nel  Consiglio  ristretto  che  in 
quello  del  popolo,^  e  che  quindi  il  Machiavelli  si  dedicò  tutto 
alla  esecuzione  di  essa. 

Invaghito  dell'opera  propria,  Niccolò  forse  s'illudeva  circa 
il  resultato  immediato  che  quella  avrebbe  potuto  recare.  Per 
lui  non  era  dubbio  che  l'esercito  statuale,  composto  a  quel 
modo,  e  sufficientemente  esercitato,  sarebbe  potuto  riuscir  col 
tempo  l'unica,  la  più  naturale,  la  più  salda  difesa  della  re- 
pubblica. Ei  non  dubitava  che  i  fanti  di  essa,  assuefatti  «  al 
menare  della  spada  e  al  pigliarsi  per  il  petto  »,  ^  costitui- 
rebbero il  miglior  fondamento,  il  vero  nervo  dell'esercito; 
non  dubitava  che  quei  fanti  e  quei  cavalli  avessero  a  libe- 
rare Firenze  dalla  turpe  necessità  di  provvisionare  ogni  si- 
gnorotto di  Romagna  e  del  Perugino,  di  farsi  tributaria  dei 
suoi  vicini;  né  credeva  che  fanti  e  cavalli  statuali  potessero 
facilmente  essere  o  surrogati  da  batterie  di  difesa  o  tenuti  in 
iscacco  da  potenti  artiglierie  de'  nemici.  —  «  La  difesa  della 
città,  diceva  egli,  si  à  a  ridurre  a  difenderla  colle  braccia, 
come  anticamente  si  faceva,  e  coll'artiglieria  minuta».  L'e- 
normi macchine,  i  mostruosi  proiettili,  secóndo  lui,  non  val- 
gono a  sbaragliare  assalitori  strenui  e  compatti.  —  «Questa 
è  una  massima,  dice  lui,  che  dove  gli  uomini  in  frotta  e  con 
impeto  possono  andare,  le  artiglierie  non  gli  sostengono  ».5  E 


^  V.  in  Appendice,  Anali^  deWApogr.  di  G.  d.  R.y  %  xlii,  noU  4*. 
•  Ibidem. 

>  Negli  Ottanta  addi  23  di  mano  ;  addi  30  nel  Consiglio  grande.  Le  modiflcasioni  pos- 
sono desumersi,  ragguagliando  il  testo  edito  e  quello  copiato  ne*  Regesti  dal  Ricci.  V.  in 
App.  V Apografo,  8  xli  e  la  nota  al  documento. 

^  Macbiayblli,  Discorti,  ii,  cap.  17. 

>  Ibid. 


Digitized  by 


Google 


564  CAPO  SETTIMO.  [wbbo 

contro  la  «  opinione  universale  di  molti  »  che  in  faccia  alla 
polvere  esplodente  e  alle  recenti  ingegnerie  d'offesa,  il  corag- 
gio personale  del  soldato,  la  disciplina  classica  de'  fantaccini, 
l'armeggiare  cavalleresco  del  medio  evo,  avessero  perduto  ogni 
efficacia  ed  importanza,  sostiene  che  gli  uomini  possono  ancora, 
non  ostante  le  bocche  da  fuoco,  mostrare  la  virtù  loro  com'ei 
potevano  anticamente,  perchè  anche  ai  tempi  antichi  «  non 
mancavano  a  chi  difendeva  le  terre  cose  da  trarre,  le  quali 
se  non  erano  così  furiose  facevano  quanto  all'ammazzare  gli 
uomini  il  medesimo  effetto  ».^ 

A  servigio  di  queste  massime  erano  sopraggiunti  strepitosi 
avvenimenti  guerreschi,  che  Y  ingegno  sistematico  del  Machia- 
velli considerò  come  novella  esperienza,  come  argomento  a 
conferma  delle  sue  convinzioni  :  il  sacco  di  Brescia  ®  e  la  bat^ 
taglia  di  Ravenna. 

Gli  Svizzeri  avevano  deluso  un'altra  volta  il  pontefice, 
che  pure  li  corteggiava  ancora,  sempre  per  la  lusinga  di  ve- 
derli riversar  sulla  Lombardia.  Del  grosso  esercito  ausiliare 
che  gli  costava  tanto  caro  e  non  gli  produceva  effetti  in  Ro- 
magna, papa  Giulio  si  era  lamentato  aspramente,  chiamandosi 
assassinato  dagli  Spagnuoli,  confessando  all'oratore  veneto  di 
non  poter  far  altro,  d'essere  tutto  nelle  mani  loro.^  È  vero 
che  don  Fedro  Navarro,  generale  delle  loro  fanterie,  aveva 
acquistato  contro  Alfonso  di  Ferrara  la  bastìa  importantissima 

<  Machiavelli,  Diicorsif  ii,  cap.  17.  —  Con  maravigliosa  rassomiglianza  a  questa 
sentenza  machiavellica,  Fbd.  Auo.  Wolf,  nei  suoi  Prolegomena  ad  Homerum,  xii,  scrì- 
veva: «Nimirum  tanto  magie  admiramur  veteres  navigatores,  quod  iHos  cursus  soos  re- 
gere  potuerunt  sino  pyxide  nautica;  nec  forsitan  omni  militi  hodie  credibile  fit,  ante  pulveris 
nitrati  inventionem  Alexandrum  vel  Oaesarem  tantas  res  egisse,  tot  mnnitissimas  urbes 
cepisse.  Attamen  habuerunt  illi  quod  pulveris  nitrati  vìcem  satis  valide  expleret  ». 

■  Machiavelli,  loc.  cit.  :  «  Questo  esser  vero  si  è  conosciuto  in  molte  espugnazioni 
fatte  dagli  oltramontani  in  Italia  e  massime  in  quella  di  Brescia;  perchè  sendosi  quella 
terra  ribellata  da*  Francesi  e  tenendosi  ancora  per  il  re  di  Francia  la  fortezza,  avevano 
i  Veneziani  per  sostenere  l'impeto  che  da  quella  potesse  venire  sulla  terra,  munita  tutta 
la  strada  di  artiglierie  che  dalla  fortezza  alla  città  scendeva  e  postane  a  fronte  e  ne*tìanchi 
ed  in  ogni  altro  luogo  opportuno.  Delle  quali  monsignor  di  Pois  non  fece  alcun 
conto;  anzi  quello  con  il  suo  squadrone  disceso  a  piede,  passando  per  il  mezzo  di  quelle, 
occupò  la  città,  né  per  quello  si  senti  ch'ali  avesse  ricevuto  alcuno  memorabile  danno  ». 
—  l\  BoNACCORSi,  Diario,  pag.  16S,  dice  solo  che  l'esercito  francese  «  trovò  un  poco  d'op- 
positione  all'artiglieria  »,  il  Da  Porto  {Lettera,  65)  che  «  il  Foix  avendo  fatto  smontare 
circa  500  uomini  d'arme  con  Biccm' (hache)  in  mano,  cominciò  a  farli  calare  dalla  rócca 
contro  la  cittadella  ».  —  Batard,  Memoires,  ediz.  Oodefroy,  pag.  265:  «  Les  ennemis  oyans 
ce  bruit  deslacherent  plusieurs  coups  d'arti  llerie,  dont  entre  les  autres  un  coup  de  canon 
veint  droict  donner  au  beau  milieu  de  la  trouppe  du  Due  de  Nemours,  sans  tUer  ne  blesser 
personne  ;  qui  feut  quasi  chose  miraculeuse,  considerò  comme  ils  marcboient  serrez  ». 

*  Dispaccio  del  Foscari  da  Roma  «  JB2  febr.  1512  »  in  Marin  Sanudo,  sui.  ms.,  recato 
dal  Broscb,  op.  cit.,  pag.  356:  «  lì  papa  si  doleva  molto  di  Ihoro  e  vedeva  ì  non  valeano 

nulla  et  che  era  sasinato  da  Ihoro sì  che  si  duol  assai,  ma  non  poi  faraltro   et   è  in 

man  di  Ihoro  ».  Cf.  Machiavelli,  Principe,  cap.  xiii. 


Digitized  by 


Google 


MCOKDo]  CARDINALI  LEGATI  PRESSO  I  DIVERSI  ESERCITL  505 

sul  Zanniolo,  la  quale  rispetto  alla  città,  poteva  considerarsi  come 
la  chiave  del  Po;  ma  il  duca  l'aveva  ben  presto  ricuperata  con 
un  eroismo  degno  della  cortigianesca  celebrazione  nelY Orlando 
Furioso.^  Raimondo  di  Gardena  aveva  tentato  anche  stringere 
Tassodio  di  Bologna,  ove  coi  Bentivoglio  stava  il  presidio  fran- 
cese sotto  Ivo  d'Allegre  e  il  signor  di  Lautrec.  Ma  le  lunghe 
considerazioni  de' vari  pericoli  cui  quell'impresa  era  per  esporlo, 
e  il  timore  che  il  duca  di  Nemours  non  sopraggiungesse  a  ta- 
gliarlo in  mezzo  o  impediiigli  rapprovvigionamenti,  avevano  fatto 
comparire  il  Cardona  si  lento,  si  freddo,  che  si  sospettava  tutta 
quella  sua  cautela  nascesse  da  segrete  istruzioni  del  re  di  Spagna, 
per  tenere  a  bada  il  pontefice.  Questi,  sempre  più  sulle  furie, 
sferzava  amaramente  il  cardinale  de'  Medici,  il  quale,  com'uom 
di  chiesa  che  s'impacciava  delle  armi,  provocava  il  disdegno 
de'  generali  spagnuoli,  ogni  volta  che  di  quelle  furie  tentava 
farsi  l'interprete.  Ed  era  strano  spettacolo  che,  mentre  il  car- 
dinale de'  Sederini  metteva  tutta  la  sua  speranza  nelle  fan- 
terie fiorentine  ordinate  dal  Machiavelli,  sebbene  con  maggior 
prudenza  tra  quelle  non  scorrazzasse,  il  Medici,  legato  pontificio 
nel  Bolognese,  comandava  fra  Spagnuoli  le  armi  ecclesiastiche, 
mentre  un  altro  cardinale,  il  Sanseverino,  deputato  dallo  scher- 
nito conciliabolo  di  Milano  a  legato  di  Bologna,  «  feroce  e,  come 
il  dipinge  il  Guicciardini,  più  inclinato  alle  armi  che  agli  eser- 
cizi o  pensieri  sacerdotali  »,*  stimolava  tra'  Francesi  il  genio 
bellicoso  dell'ardente  Nemours  a  venire  a  giornata  decisiva  col- 
l'esercito  della  lega.  Che  maraviglia  che  con  tanta  profanità 
cardinalizia  che  gli  spronava,  i  due  eserciti  s'appiccassero,  pro- 

^  Ariosto,  Orlando  furioso,  iii,  53,  dice: 

le  genti  di  Romagna  mal  condotte 
contro  ì  vicini  e  lor  già  amici  in  guerra 
8G  n'avvedranno,  inaanguìnando  il  suolo 
che  serra  il  Po,  Santemo  e  Zanniolo. 

*  GuicciABDiKi,  Storid  d'Italia,  lib.  x.—  In  nn  poemetto  popolare  contemporaneo  inti- 
tolato «  El  facto  d'arme  de  Romagna  con  la  presa  de  Rauena  »,  del  legato  si  fa  questa 
menzione  : 

«  Fa  del  concilio  statuito  pisano 
clie  con  lo  esercito  andasse  un  legato 
el  Qual  se  fé  de  drento  da  Milano 
acio  chel  campo  si  vada  asetato 
e  vedendo  esser  bon  co  Tarme  in  mano 
iusto  potente  e  di  bon  sangue  nato 
el  cardinal  elesser  Federico 
da  Sansevrin  Roberto  el  fìgliol  dico  ». 

Questi  ebbe  la  legazione  bolognese  nella  quinta  sessione  del  sinodo,  tenuta  in  Milano  «  die 
mercuri!  undecima  mensis  februarii  m.d.xii  ».  V.  in  Richer,  op.  cit.,  pag.  475  e  segg.,  le 
Litlerae  Bononiensis  legationis 


Digitized  by 


Google 


566  CAPO  SETTIMO. 

prio  nel  giorno  della  cristiana  pasqua,  sul  paludoso  piano  ra- 
vennate? La  battaglia  fu  sanguinosa: 

La  gran  vittoria  contro  Giulio  e  Spagna  > 

mise  spavento  a  tutti.  Il  Pandolfini  ne  ragguagliò  la  Signoria 
in  un  suo  dispaccio  officiale,  descrivendola  come  «  il  più  san- 
guinoso e  orribile  conflitto  che  sia  mai  stato  ne'  nostri  tempi  e 
eguale  a  tutti  quelli  che  per  le  memorie  antiche  appariscono  mag- 
giori ».*  Poemetti  volgari  con  diversa  partigianeria  ne  strombaz- 
zarono; 3  a  Francesco  Guicciardini  ne  mandarono  notizia  in 
Spagna  il  padre,  il  fratello  Jacopo  ^  e  il  Machiavelli  stesso,  accu- 
sato da  lui  d'avergliene  scritto  <  a  passione,  e  massime  circa  al 
numero  dei  morti,  diminuendoli  da  una  parte  e  dall'altra  accre- 
scendoli ».5  Può  essere  che,  per  desiderio  di  mostrare  in  questa 
vittoria  francese  rassicurato  il  governo  soderinesco  di  Firenze, 
il  Segretario,  o  di  proprio  impulso  o  per  esagerato  avviso  o  per 
commissione  espressa,  ne  scrivesse  allora  ingrandendo  un  poco 
l'importanza  di  esso,  o  sperandone  effetti  maggiori.^  È  certo 
che  per  tutta  la  penisola  ne  corse  sul  primo  momento  un  gran- 
dissimo terrore.  È  certo  che  al  papa  parve  già  di  sentirsi  ac- 

^  Ariosto,  Orlanào  furioso,  cui,  55. 

s  Dbsjardins,  op.  cit.,  voi.  II,  pag.  581.  Anche  il  Qubita,  loccit.,  lib.  ix,  pag.  S84t: 
«  pues  fue  una  de  las  mas  fiera»,  y  crueles,  y  la  mas  sangrienta,  y  de  major  estrago  qae 
se  vio  en  Italia  en  muchos  siglos  ». 

*  Si  anno  due  poemetti  contemporanei  e  popolari  circa  la  battaglia  di  Ravenna. 
L'ano,  è  opera  del  «  Perunno  da  la  Rotonda  »,  ed  è  scritto  con  simpatie  più  spagnoole 
che  ecclesiastiche.  Si  descrìve  in'  esso  «  il  Carvagial  che  menava  le  mano  »  ;  vi  si  af- 
ferma: 

«  qualunche  legge  ^ui  pone  ben  cura 
che  da  cento  anni  in  qua  sì  fatte  ^enti 
non  fu  morta  nò  presa  de  tal  vaglia 
quanto  che  fu  in  questa  ria  battaglia». 


E  vi  si  conclude  : 


«  ma  Questa  lor  Victoria  se  pò  dire 
che  fu  danno  comune  senza  mentire  »: 


È  intitolato:  El  fatto  darme  fatto  a  Rauenna  nel  M.D.Xìj.  A  <fi  X/  d«  aprile;  e  noi  ne 
vedemmo  nella  Bibl.  Angelica  di  Roma  due  edisioni  diverse,  Tuna  delle  quali  in  caratteri 
gotici.  L'altro  componimento  à  per  titolo  «  El  facto  darme  de  Romagna  con  la  presa  de 
Ravena»f  e  sembra  che  l'autore  anonimo  per  alcuni  accenni  dialettali,  e  per  scrìvere: 
«  nostri  francesi  se  mison  più  volte 
al  ordin  tutti  sotto  soa  bandiera», 

dovesse  essere  probabilmente  di  parte  francese  e  lombardo. 

*  OoicciABDiin,  Opp.  inedite,  voi.  vi,  pag.  36-51. 
■  OuicciARDiNi,  ibid.,  pag.  93. 

*  In  seguito  il  Machiavelli  {Discorsi,  lib.  ii,  cap.  16)  si  limitò  a  commemorare  la 
battaglia  di  Ravenna,  come  quella  che  «fu,  secondo  i  nostri  tempi,  assai  bene 
combattuta  giornata».  Cf.  anche  Discorsi,  ii,  e.  17;  Arte  della  guerra,  lib.  n.  —  RUretti 
di  Francia.  Nella  lettera  del  Segretario  del  duca  di  Ferrara^  scrìtta  «  ex  foelicibns  Castrìs 
Regiis  apud  Ravennam,  die  xj  aprilis  »  si  riferiscono  particolarì  assai  conformi  alle  idea 
del  Machiavelli,  rispetto  allo  spregio  delle  artiglierie  :  «  Le  genti  da  cauallo  dil  loro  anti- 
guardo, per  quanto  refTerisce  il  S.°'  Fabricio  disseno  non  uoler  morire  cosi  miserabilmente 
d'artiglieria,  ma  cum  la  spada  in  man  j  ».  Veggasi  in  Appendice. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  la  battaglia  DI  RAVENNA.  567 

casciato  sotto  a'  colpi  del  legato  conciliare  di  Bologna,  dello 
scismatico  Sanseverino,  che  voleva  coll'armi  francesi  muover 
diritto  su  Roma,^  portando  prigione  in  sue  mani  con  Fabrizio 
Colonna,  con  don  Fedro  Navarro,  coi  marchesi  della  Palude,  di 
Bitonto  e  di  Pescara  lo  scaltro  legato  pontificio,  il  cardinale 
de'  Medici. 

Questa  prigionia,  queir  inopinata  vittoria  francese  volta- 
rono per  un  momento  in  Firenze  tutti  gli  animi;  e  non  è  ma- 
raviglia se  il  Segretario  della  seconda  cancelleria  la  magni- 
ficò allora  per  qualcosa  meglio  che  per  una  semplice  <  giornata 
assai  ben  combattuta  ».  —  Ne'  giorni  precedenti  egli  aveva 
veduto  tale  un  trascorrere  di  tutti  i  partiti,  che  se  la  fortuna 
avesse  arriso  alle  armi  ecclesiastiche,  il  mutamento  di  governo 
nella  città  sarebbe  stato  inevitabile.  I  male  intenzionati  Tavevan 
detto  chiaro  e  forte:  <  se  il  papa  vince,  guasterà  questo  Con- 
siglio e  rimetterà  i  Medici  >;*  tra  le  fazioni,  non  si  mostravan 
più  dispareri,  ma  rabbia.  Jacopo  Guicciardini  che  scriveva  al 
fratello  ambasciatore  in  Spagna,  quantunque  fosse  in  condi- 
zione di  dover  usare  ritegno,  diceva  francamente  del  gonfa- 
loniere :  «  egli  à  da  pregare  Dio  insieme  cogli  altri  che  amano 
questo  vivere,  che  le  cose  abbino  sortito  questo  fine,  perchè 
se-I  papa  vinceva,  si  faceva  un  tristo  giudizio  delle  cose 
nostre  >. 

Ma  quel  che  sopratutto  stimolò  forse  allora  il  Machiavelli  a 
magnificare  la  vittoria  di  Ravenna  fu  l'attitudine  malignamente 
furba,  furono  gli  sforzi  quasi  che  subiti  de'  nobili  e  de'  palle- 
schi, per  attenuarne  l'importanza;  giudicando  da'  resultati  esigui 
che  se  ne  vedevano.  Quando  poi  fu  conosciuto  che  nella  mischia 
il  duca  di  Nemours  era  morto  (che  fosse  morto  d'arma  da  fuoco 
0  di  ferro  non  importava  ad  altri  forse  che  al  Machiavelli);^ 

1  O1B.M0RQMB,  Lettere  latine  nella  Miscellanea  di  storia  patria,  voi.  11,  edite  dal 
Pbomis  e  dal  MttLLBB,  pag.  178-180  «  die  81  janii  »  ove  s'accenna  anche  alla  cagione  che 
trattenne  il  Sanseverino  dal  recare  ad  efletto  il  suo  disegno  :  «  Contra  vero  Jo.  lacobus 
Trivnltins  Franciae  marescalcus  qui  privatas  in  omni  tempore  simnltates  cum  Sansoveri- 
nonim  gente  exercnit,  gloriam  pulsi  pontificis  et  captae  urbis  Romae  ab  eis  eripere  co- 
nabatur  ». 

»  OmcciABOiNi,  Opere  inedite,  voi.  vi.  Jacopo  Guicciardini  a  Fr.  in  Ispagna  «  23-30 
apr.  1512»,  pag.  45. 

s  Per  comprovare  il  suo  assunto  che,  dopo  Tuso  delle  artiglierìe  «  della  morte  de*ca- 
pitaoi  e  de*  condottieri  ce  ne  furono,  in  ventiquattro  anni  che  sono  state  le  guerre  ne* pros- 
simi tempi  in  Italia,  meno  esempi,  che  non  era  in  dieci  anni  presso  gli  antichi.  Perchè 
dal  conte  Ludovico  della  Mirandola,  che  mori  a  Ferrara  quando  i  Vinisiani  pochi  anni 
sono  assaltarono  quello  Stato,  ed  il  duca  di  Nemors,  che  mori  alla  Cirignola,  in  fuori,  non 
è  acorso  che  d*artiglieria  ne  sia  morto  alcuno  ;  perchè  monsignor  di  Pois  a  Ravenna  mori 
di  ferro  e  non  di  fuoco».—  {Discortii  lib.ii,  e.  17).  È  chiaro  che  quand'anche  questo  di- 


Digitized  by 


Google 


568  CAPO  SETTIMO. 

quando  fu  chiaro  che  l'unico  genio  guerresco  che  i  Francesi 
avesser  mostrato  in  tante  loro  battaglie  in  quella  s'era  spento; 
ch'essi,  invece  di  seguitar  la  yittoria,  s'andavano  bisticciando 
per  la  successione  nel  comando  supremo,  e  ripiegando,  come 
chi  non  crede  alla  propria  fortuna  ;  mentre  i  collegati  e  i  fau- 
tori de'  Medici  ritrovarono  l'audacia  loro,  Piero  Soderini  che 
aveva  tratto  appena  un  largo  respiro  di  confidenza,  che  aveva 
appena  rinalberato  una  speranza,  per  le  mene  scaltre  de'  suoi 
nemici  fu  pur  ricacciato  fittamente  in  mezzo  alle  angustie.  Era 
corso  poco  oltre  un  mese  dalla  battaglia  di  Ravenna,  ed  egli  si 
senti  ispirato  a  far  testamento. ^  Perchè?  aspettava  la  morte  come 
s'aspetta  un  ladro  che  circuisce  la  casa,  o  si  accingeva  a  sfidarla 
animosamente?  seguitava  l'esempio  del  Machiavelli,  compiendo 
un  atto  di  sereno  coraggio;  sentiva  oramai  il  proprio  capo 
devoto  alle  furie  che  menavano  strazio  della  patria  e  della 
libertà^  o  cedeva  all'oppressione  fiacca  della  malinconia?  si  di- 
sponeva a  morire  in  piedi  e  da  principe,  o  scongiurava  super- 
stiziosamente la  morte  con  quel  timido  pensiero  che  le  gittava? 
Questi  erano  dubbi  che  gli  avvenimenti  soli  potevan  chiarire. 
Per  allora  si  parlò  in  palazzo  delle  disposizioni  di  lui,  com- 
mentandone gli  atti,  improntati  a  quella  mansueta  bontà  che 
ciascuno  gli  riconosceva.  In  quel  suo  testamento  e'  s'era  ricor- 
dato degli  amici  più  cari,  di  tutti  coloro  co'  quali  aveva  avuto 
relazione  giornaliera:  avea  disposto  per  legato  di  quindici  fio- 
rini d'oro  in  oro,  a  favore  di  ciascuno  dei  cancellieri  della 
prima  e  della  seconda  cancelleria;  di  Marcello  Virgilio  cioè, 
e  del  Machiavelli,  che  allora  trovavasi  a  Pisa,  per  riordinarvi 
la  guardia  della  cittadella;  non  aveva  dimenticato  né  i  loro 
coadiutori  né  i  notai,  i  fedeli  suoi  che  l'attorniavano  e  che 
avrebbero  potuto  soffrire  per  cagion  sua.  Ma  con  questa  man- 
sueta bontà  ei  pareva  atteggiarsi  piuttosto  a  vittima  che  a  do- 
minatore. 

scorso  sta  stato  dal  Machiavelli  composto  o  letto  circa  il  ISiS,  il  concetto  di  esso  ebbe  ad 
essere  già  un  pezzo  prima  determinato  dall'esperienza  attinta  e  dall'occasione  continua  d*oc- 
cuparsi  neirordinamento  delle  fanterie  e  de'  cavalli)  come  il  Segretario  faceva,  senza  darsi 
delle  artiglierie  alcun  pensiero;  mentre  invece  altri  uomini  di  guerra  come  Federigo  da 
Urbino  e  Alfonso  da  Ferrara  se  ne  travagliavano  con  si  profondo  sapere,  chet  come  os- 
serva il  Burckhardt  (Renaisiance,  pag.  79),  a  petto  alla  lora  scienza,  quella  di  Massimi*- 
liano  imperatore  poteva  parere  superficiale  e  leggera. 

1  Fu  fatto  a*  di  16  di  maggio  lol2  ;  venne  dato  in  luce  colla  VUa  di  Pitr  Soderini  del 
Razzi,  pag.  148  e  segg.  È  notevole  in  questa  pubblicazione,  corredata  di  tanti  documenti 
relativi  ad  avvenimenti  storici  occorsi  nel  gonfalonierato  di  Pier  Soderini,  lo  scndie  manh* 
feste  d'escludere  il  nome  del  M.  e  d'allontanare,  per  quanto  si  potesse,  la  memoria  di  lui 
da  quella  del  gonfaloniere  perpetuo,  da  cui  era  naturalmente  inseparabile.  Tanto  poteva 
ancora  sugli  splendidi  editori  del  1737  Io  spauracchio  del  machiavellismo! 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDo]  JL  CARDÌNALE  DE'  MEDICI  A  MILANO,  5« 

Sì  tristi  e  raumilianti  effetti  aveva  dunque  recato  per  lui 
quella  strepitosa  vittoria  di  Ravenna!  col  re  di  Francia,  che 
pareva  troppo  in  auge  per  non  essergli  ricusato  nulla,  riuscì 
appena  a  stringere  una  lega,  mal  volentieri  consentita  da  chi 
aveva  inviato  il  Guicciardini  al  re  di  Spagna.  Quella  lega  era 
solamente  difensiva  e  macrissima,  impregnando  i  Fiorentini  a 
fornirgli  nella  Lombardia  quattrocento  lance,  contro  promessa 
d'averne  da  lui  seicento,  nel  caso  che  Firenze  n'abbisognasse. 
Ma  era  stato  appena  ratificato  quel  trattato,  che  su' primi  di 
maggio,  Piero  Guicciardini  scriveva,  mostruosamente,  al  figliuolo 
ambasciatore:  «  forse  se  si  avesse  a  fare  ora,  si  andrebbe  più 
adagio:  questo  non  impedisce  non  si  possa  fare  il  medesimo 
con  Spagna;  e  quando  voi  credesti  vi  fussi  disposto,  sarà  bene 
lo  facciate  intendere  qua,  ma  tutto  governiate  in  modo  non 
paia  sia  nato  da  voi  ».^  —  Così  la  politica  esterna  si  reggeva 
anch'essa  per  cospirazioni,  più  o  meno  baldanzose,  secondo  che 
il  vento  mutava  e  le  parti  si  sentivano  forti. 

Del  resto  l'ottava  sessione  del  conciliabolo  in  Milano  aveva 
deciso  la  sospensione  di  papa  Giulio  da  ogni  amministrazione 
spirituale  e  temporale  del  papato.  *  Il  decreto  n'era  stato  affisso 
con  tutte  le  solennità  alle  porte  della  cattedrale;  ma  il  Car- 
vajal,  il  Sanseverino,  i  cardinali  tutti  seguaci  dello  scisma  ve- 
nivano ingiuriati  e  vilipesi,  non  men  che  a  Pisa,  dalla  popola- 
glia per  le  vie  di  Milano,  ove  la  protezione  dell'armi  francesi 
non  li  faceva  parere  più  venerandi.  E  il  legato  de'  Medici, 
invece,  prigioniero  presso  il  Sanseverino,  ossequiato  per  ispirito 
di  parte  da'  Trivulzio,  da'  Pallavicini,  dalle  casate  più  ragguar- 
devoli, vedeva  all'incontro  prostrarsi  a  terra  sul  suo  sentiero 
i  soldati  di  Francia,  supplicanti  l'assoluzione  per  aver  pugnato 
contro  la  chiesa,  in  servizio  del  proprio  re;^  assoluzione  che 
il  cardinale  Giovanni  concedeva  con  la  plenaria  facoltà  deman- 
datagli dal  pontefice  stesso,  per  mezzo  di  Giulio  Medici,  suo  cu- 
gino, ch'egli  aveva  spedito  a  Roma  a  mitigar  l'impressione  della 
rotta  di  Ravenna  e  a  rappresentare  ne'  veri  termini  la  condi- 
zione delle  cose.  Questi  aveva  saputo  risollevare  gli  animi  ab- 

>  OuicciABDiNi,  Opp.  in9dt(e,  voi.  vi,  Lett,  di  Pigro  OtUcciardini  a  Franeesco^  «3  mag- 
gio \òìi  ».  Cf.  Pitti,  Apologia  de'Cappueci^  pag.  318,  ove  il  Guicciardini  è  Ucciato  da*  po> 
polani  nella  sua  legaiione  di  Spagna  d'aver  propiziato  re  Ferdinando  «  più  per  chi  era 
fuori  che  dentro  ». 

■  «  Die  XXI  aprilis  a  Nati  vitate  Domini  m.  o.  xn  ».  -^  V.  il  documento  in  Ricbbb,  loc. 
cit.,  pag.  537  e  segg. 

»  RoscoB,  lÀfe  of  Leo  X,  cap.  vm. 


Digitized  by 


Google 


570  CAPO  SETTIMO.  [ubbo 

battuti;  e  al  papa,  che  non  bramava  di  meglio  che  esser  dis- 
tolto dalle  vie  della  pace,  mostrava  che  si  poteva  ancora  ben 
fare  la  guerra.  Le  fanterie  spagnuole,  secondo  ch'egli  avea 
riferito,  s'eran  portate  cosi  bene,  che,  malgrado  la  rotta,  ave- 
vano acquistato  reputazione.  Poteva  esser  faccenda  di  assegnar 
loro  migliori  capi,  e  si  fé'  balenare  V  idea  di  rimandare  il  Gran 
Capitano  in  Italia;  *  venivan  gli  Svizzeri,  sempre  dietro  al  loro 
sinistro  cardinale,*  e  questa  volta  coli' animo  di  dir  davvero. 
Già  da' ventisei  dell'aprile  erano  a  Verona;  s'aspettava  che  ve- 
nissero innanzi,  e  il  pontefice,  impensierito  già  meno  dell'osti- 
lità francese  che  della  protettrice  padronanza  spagnuola,  salutò 
in  que'  maneggevoli  montanari  la  salvazione  sua.  ^  La  cautela 
di  Ferdinando  fece  poi  che  Consalvo  si  determinasse  a  non 
uscire  di  Spagna.  I  conforti  del  Guicciardini  v'ebber  forse  parte 
pur  essi  :  «  a  voi  s'appartiene  più,  così  gli  scriveva  il  Fioren- 
tino, nell'età  che  voi  siete,  fare  officio  di  vecchio  savio  che  di 
giovane  volonteroso  »,4  consiglio  da  dottore  di  leggi:  laonde 
il  Machiavelli  ebbe  occasione  di  segnalare  poi  l'ingratitudine 
reale. 

Ma  gli  Svizzeri  procedettero  davvero,  spazzando  dell'armi 
francesi  la  Lombardia.  Il  papa,  rinsanguato,  ricacciava  fuori 
il  mal'animo;  richiamava  l'ambasciatore  da  Firenze;  non  ce- 
lava d'avere  <  in  su  lo  stomaco  »  ^  il  gonfaloniere;  e  il  car- 
dinale Sederini  dovea  partirsene  mogio.  In  mezzo  a  tanto  tram- 
busto, tornando  da'  bagni,  muore  anche  Pandolfo  Petrucci  ;  e 
questa  morte  del  tiranno,  odiatissimo  ai  popolani,  ^  gitta  il  go- 

>  QnicciABDiNi,  Legazione  di  Spagna^  pag.  55  e  segg.;  ibid.»  pag.  SS.  —  V.  anche  ii 
suo  Diacono  se  U  Gran  Capitano  debbe  accettare  la  impresa  di  Italia  (Opp.  inedite,  toI  i. 
pag.  268). 

*  lì  MoBONB,  loc.  cit.,  pag.  205,  ecco  a  che  modo  dipinge  T  indole  dello  Schinner,  nella 
lettera  «  Octavkmo  electo  Laudensi  pridie  idna  Jolii  1512  »  :  «  Caussas  dissensionis  plorì- 
maa  adduxit;  sed  (vis  dicam)  potissima  est  cardinalis  imprudentia  et,  si  dicere  fas  est, 
imbecillitas.  Proh,  dii  immortales,  quantum  est  impatiens,  quantum  rationis  expera,  quan- 
tum credulus,  quantum  ad  suscipiendam  iracundiam  facilìs  ». 

'  V.  Lettera  di  Piero  Guicciardini  a  Francesco  «  addi  3  maggio  1512  ».  —  Cambi,  Istorie 
di  Firenze,  loc.  cit.,  pag.  298:  «  per  paura  d'uno  chardinale  suizero,  che  fu  fapto  da  papa 
lulio  chera  discieso  in  Lombardia  a  preghiera  del  papa  con  25  mila  sviseri  ». 

*  OuicciABDiMi,  Discorso  se  il  Or.  Capitano  debbe  accettare  Vimpresa  d'Italia,  loc.  cit. 

*  Iacopo  a  Fr.  QaicciABDiNi,  Opp.  ined.,  vi.  pag.  66,  «  addi  12  giugno  1512  ». 

*  Cambi,  loc.  cit.,  pag.  295:  «L'anno  1512,  del  mese  di  giugno  mori  a  Siena  Pandolfo 
Petrucci,  che  mori  andando  al  bagnio;  el  quale  Pandolfo  s'era  fatto  tiranno  di  Siena  per 
modo,  che  dava  e  vendeva  a'  sua  ctptadini  gl'ufici  di  fuori,  de'  podestà,  e  vichari,  e  quelli 
ciptadini  che  li  chonperavano  vi  mandavano  altri  a  ghovemare  quelli  popoli  ;  pensa  che 
gouerno,  et  giustizia  era  quella;  e  le  chasse  delle  glabelle  si  votavano  a  chasa  sua  chome 
Signore,  e  chon  danari  di  detto  suo  Chomune,  fecie  fare  un  suo  figliuolo  Chardinale,  che 
ispese  si  disse  meglio  di  scudi  40  m.  Fecielo  papa  lulio  2P  perchè  avea  dua  figliuoli,  e'  quali 
l'uno  feri  l'altro  et  però  quello  che  feri  l'altro  fu  fatto  chardinale.  »  ^  Veggasi  in  Appen- 


Digitized  by 


Google 


SECOMDo]  N.  M.  A  SIENA  PER  LA  MORTE  DEL  PETRUCCL  571 

verno  di  Firenze  in  nuovi  pensieri.  Dacché  per  quella  occa- 
sione potevano  in  Siena  levarsi  improvvisi  torbidi,  che  avreb- 
bero avuto  appicco  in  nuove  e  recenti  risse;  e  trovavasi  un 
cardinale  Petrucci  in  corte  di  Roma  ;  ed  eran  dubbie  le  dispo- 
sizioni di  Borghese,  flgliuol  di  Pandolfo,  verso  Firenze;  che  do- 
veva ravvisare  e  raflforzare  in  Siena  il  proprio  antemurale  contro 
le  offese  pontificie. 

Vi  spedirono  però  Niccolò  Machiavelli,  ch'era  a  Fucec- 
chio,  e  attendeva  tuttora  a  sistemar  buone  guardie  nella  for- 
tezza nuova  di  Pisa.  Cosi,  mentre  i  volghi  delle  due  città 
riandavano,  commentandole,  tutte  le  nefandità  commesse  da 
quell'astuto  sfruttatore  di  fazioni  irrequiete,  mentre  la  parti- 
gianeria mentiva  il  dolore  esagerando  le  funebri  pompe,  toccò 
al  Segretario  fiorentino  d'esprimere  formalmente  alla  Balìa  se- 
nese il  rammarico  de'  propri  Signori  per  la  perdita  di  quel 
tant'uomo.  Non  possiam  dire  se  la  natura  di  quell'ufficio  va- 
lesse allora  ad  accrescere  contro  Niccolò  calunnie  di  malevoli; 
certo  è  che  in  progresso  di  tempo  agli  antimachiavellici  egli  ebbe 
a  pagarne  lo  scotto.  ^  Ad  ogni  modo,  le  dimostrazioni  da  lui 
fatte  in  nome  del  governo  tornarono  assai  accette  alla  fazione 
che  allora  in  Siena  governava.  Borghese  iu  particolare  assicurò 
il  Segretario  che  i  Fiorentini  potevano  far  conto  di  valersi  di 
quello  stato  «  non  altrimenti  che  d'una  delle  loro  città  »,  pro- 
testando che  voleva  in  tutto  seguitare  la  fortuna  della  loro 
repubblica.  Ciò  fatto,  Niccolò  tornossene  a  Pisa,  lasciando  Siena 
in  una  condizione  assai  pacifica,  benché  l'uccisione  d'un  bar- 
gello, seguita  ne'  di  precedenti,  sotto  gli  occhi  stessi  di  Borghese, 
e  per  opera  di  tutti  parenti  e  amici  di  lui,  facesse  temere  qual- 

dice  il  brano  delle  Istorie  senesi,  mss.  del  Tizi,  ove  son  riepilogate  le  accuse  e  le  dicerie 
che  corsero  in  Siena  alla  morte  di  Pandolfo.  È  da  notare  che  il  Tizi,  cosi  povero  di  studi 
e  di  critica,  riferendo  come  una  meraviglia  il  caso  che  il  Petrucci,  tiranno  odiatissimo, 
fosse  morto  nel  proprio  letto  e  non  di  morte  violenta,  accenna  ai  due  versi  di  Giovenale 
{Sat.,  Lib.  IV,  XII,  V.  112-13),  riportati  anche  dal  M.  {Discorsi,  lib.  in,  cap.  6)  : 

Ad  generam  Cereris  sine  csede  et  vulnero  pauci 

Descendunt  reges,  et  siccà  morte  tyranni. 

Laonde  è  a  credere  che  qne*  due  versi,  secondo  che  la  corrente  delle  idee  portava,  doves- 
sero essere,  da  frequentissima  citaxione  degli  umanisti  e  de*  retori,  passati  nell'uso  comune 
anche  di  chi  non  era  uso  alla  lettura  di  Giovenale. 

>  II  Pbcci,  Memorie  storicO'crUiche  della  città  di  Siena,  1. 1,  pag.  281,  scrive  del  Pe- 
trucci. con  evidente  errore  cronologico  e  critico:  «  A  molti  per  leggerissime  calunnie  fu 
tolta  la  roba,  colla  quale  non  solamente  sollevò  la  povertà  de*  suoi,  ma  gli  arricchì  gran- 
demente, e  ad  alcuni  di  quelli  non  fu  opposto  altro,  se  non  che,  fatti  troppo  ricchi,  impe- 
divano l'uguaglianza  e  le  faccende  tra  cittadini.  Con  tali  sentimenti  si  regolava  a  tenore 
appunto  delle  massime  del  Machiavelli,  perchè  come  suo  intrinseco  amico,  con 
esso  continuamente  carteggiava,  e  gli  communicava  quelle  stesse  maniere,  che  si  leggono 
espresse  ne*  di  lui  scritti  ». 


Digitized  by 


Google 


572  CAPO  SETTIMO.  [libro 

che  sturbo:  «  e  non  la  rendicando,  scriveva  il  Machiavelli, 
pare  che  si  dia  loro  troppa  autorità  e,  vendicandola,  par  cosa 
da  far  troppa  alterazione  >.  ^ 

Questa  può  considerarsi  come  l'ultima  fra  le  commissioni 
d'indole  politica  che  compiè  il  Machiavelli,  quando  non  vo- 
gliasi riguardar  per  tale  anche  la  parlata  ch'ei  fece  a'  Priori 
e  al  Consiglio  di  Montepulciano  per  confermarli  nella  fedeltà 
verso  Firenze.^  Dappoi  che  ci  accade  osservare  come  precisa- 
mente ora,  che  i  momenti  più  difficili,  che  le  lotte  supreme  si 
preparano  alla  repubblica  fiorentina,  il  Segretario  della  seconda 
cancelleria,  colui  cui  gì'  incarichi  più  gravi,  più  pericolosi,  più 
segreti  erano  stati  confidati  per  T innanzi;  colui  ch'era  stato 
mandato  già  al  Valentino,  all'imperatore,  a  papa  Giulio,  alla 
corte  francese,  a  lato  a  coloro  che  avevan  titolo  d'oratori, 
come  assistente,  come  consigliatore,  come  riscontro,  ora  non 
si  spende  più  che  in  commissioni  militari,  sia  che  fra  i  Dieci 
v'abbia  chi  lo  conosce  troppo  sinceramente  devoto  alla  repub- 
blica che  si  vuole  abbattere;  sia  che  il  gonfaloniere  vegga 
preclusa  la  via  d'adoperarlo  senza  contrarietà;  sia  che  manchi 
la  persona  a  cui  l'ingerenza  continua,  l'ispezione  suprema,  l'e- 
secuzione fidata  degli  ordini  relativi  all'esercito  si  possa  o  si 
voglia  commettere.  Le  patenti  che  d'altronde  gli  si  rilasciano 
per  l'esercizio  di  siffatti  uffici  sono  d'un'ampiezza  maravigliosa 
in  un  governo  democratico.  Al  Segretario,  siccome  a  dipendente, 
si  delega  quell'autorità  di  cui  i  Dieci  non  avrebbero  mai  in- 
vestito né  il  Giacomini,  né  alcun  altro  cittadino  loro  eguale. 
Ai  condottieri  delle  genti  d'arme,  a  tutti  i  preposti  a' cavalli 
leggieri  dell'ordinanza,  a  tutti  i  connestabili  di  fanti  ordinano 
obbedire  ad  esso  Niccolò  in  tutto  quello  che  comanderà,  «  non 
altrimenti  faresti  al  magistrato  nostro  quando  alla  presenza  vi 
comandassi  ».  ^ 


»  Arch.  fior.,  Filze  di  Lett.  ai  X.a,  n.  109  (ci.  x,  dist.  4,  n.  113),  e.  264:  N.  Mgli  secret. 
ai  Dieci,  «  ex  Poggibonzi  a  di  5  giugno  ».  I  passi  da  noi  citati  di  questa  lettera  trovano 
la  loro  illustrazione  nel  brano  delle  Storie  del  Tizi  da  noi  recato  in  Appendice. 

*  V.  Lettera  di  Giovambatiiata  de'?lobHiai  X.<^,  «  die  xxtii  junii  m.d.xii  »,  nelle  Opp. 
del  M.,  edis.  ult.,  t.  vi,  pag.  198.  Ragguaglia  in  fine:  «Niccolò  Machiavelli  parti  jermat- 
tina  di  qui,  e  andò  a  Valiano  per  veder  quel  riparo:  dipoi  al  Monte  a  San  Savino  per  poter 
far  testa  fra  11  e  Foiano,  come  per  altra  si  scrisse  ». 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  159.  Il  Oaddi,  De  Seriptoribus,  etc.  (tom.  ii,  p.  8), 
si  mostrò  tanto  più  ammirato  di  un  mandato  cosi  esteso  concesso  al  Segretario  floreotino, 
quanto  glien*erano  men  chiare  le  cagioni  storiche:  «Ego  legi,  scrive,  quondam  patentem 
(sic  appellant  epistolam  huius  generis)  amplissimam,  in  qua  Florent.  magistratus,  vel  sum- 
mus  vel  summo  par  (ne  dicam  maior)  in  bellicis  negotiis  se.  Decemviralis  imperat  ducto- 
ribus  aliisque  capitibus  ut  Machiavello  tanquam  ipsi  magistratui  obediant». 


Digitized  by 


Google 


SBCOKiK)]  FUGA  DEL  CARDINALE  DE'  MEDWL  573 

Ma  s' intendeva  egli  dunque  di  far  capitale  davvero  delle 
armi  coscritte  dallo  stato,  nel  pericolo  che  pareva  avvicinarsi 
a  gran  passi,  o  si  mirava  ad  eludere  ogni  speranza  preconcepila 
sulla  validità  di  quelle  forze,  concentrandole  dove  non  occor- 
revano, tenendole  disaffezionate  a' capitani,  dipendenti  da  chi 
non  poteva  dipartirsi  coraggiosamente  di  un  punto  dalle  istru- 
zioni ricevute,  da  chi  non  aveva  la  morale  autorità  di  commili- 
tone sui  condottieri,  ne  d'uomo  di  guerra  provetto  innanzi  a 
coloro  che  gli  commettevano  ciecamente  loro  disegni  ad  ese- 
guire? È  impossibile  dire  quel  che  la  città  volesse,  dove  i  pochi 
bastavano  a  sviare  e  disperdere  la  buona  volontà  de'  molti.  Pur- 
troppo il  fradicio  della  vita  democratica  era  penetrato  nel  mi- 
dollo, e  il  tarlo  della  disunione  c*era;  purtroppo  il  mal  talento 
de'  singoli  s'aggiungeva  ad  infermare  quel  che  il  sospetto  e  la 
grettezza  del  popolo  lasciava  ancor  fievole  e  senza  capo. 

Si  seppe  in  breve  che  il  cardinale  de'  Medici  era  fuggito 
di  mano  ai  Francesi,  giunto  a  Modena,  atteso  a  Bologna.  I 
repubblicani  schietti  che  segnavano  sui  prioristi  di  famiglia  il 
ricordo  degli  avvenimenti  giornalieri;  i  «  zazzeroni»,  per  dirla 
con  frasi  di  quei  tempi,  «  i  zazzeroni  che  scombiccheravano  su 
pe'loro  scartafacci  ciò  che  dava  la  piazza»,  ^  lo  notarono  con 
terrore.  —  «  Iddio  aiuti  la  povera  Italia!  »,  ne  scrisse  il  Cambi.  ^ 
Ma  i  santi  fortunati  di  casa  Medici  aduggiavano  già  l'insuper- 
bito patrono  della  città  d'Arno.  Venne  il  suo  di  solenne,  e  la 
Signoria  non  convitò  a  desinare  festivo  gli  ambasciatori,  come 
era  consueta;  non  andò  alla  chiesa  di  lui  a  fare  l'offerta  so- 
lita co' capitani  di  parte  guelfa;  non  v'andò  il  gonfaloniere  di 
giustizia,  avvisato  che  avrebber  cerco  di  tagliarlo  a  pezzi.  Egli 
non  era  un  Cesare,  e  sperava  potersi  riparare  dagl'idi  di 
marzo  ;  non  era  temuto,  ^  e  si  faceva  paura  da  sé  stesso,  per 
guisa  che  chi  l'offendeva  pigliava  maggiore  baldanza.  Sciar- 
rati  via  i  Francesi  d' Italia,  più  col  terrore  de'  Svizzeri  che 
con  altro,  papa  Giulio  per  far  dispetto  al  Sederini  e  al  suo 
governo  mandò  un  breve  all'arcivescovo  Pazzi,  ordinandogli 
far  processioni  d'allegrezza  per  quella  cacciata.  L'insulto  amaro, 
fatto  coll'ordigno  della  fede  e  del  culto,  fu  con  metafisica  in- 
differenza sopportato  nella  città  ^  che  poteva  generare  e  un 

*  Pitti,  Apologia  de*  Cappucci,  loc.  cit.,  pag.  319. 

*  Cambi,  Istoria  fior.,  loc.  cit.,  pag.  2OT. 

'  Cf.  Machia VBLLi,  Il  Principe^  pag.  xvii. 

*  Cambi,  loc.  cit.,  pag.  29S:  «  el  papa  mandò  an  brieve  al  Arciuescouo,  che  faciessì 
procissioni,  et  allegrezza  di  tale  chacciata  de' Franzexi  d'Italia,  di  che,  faccendolo  noto 


Digitized  by 


Google 


574  CAPO  SETTIMO.  [libro 

Savonarola  e  un  Machiavelli,  ma  non  un  genio  che  li  incar- 
nasse tutti  e  due  ad  un  tempo,  non  un  fra  Paolo  Sarpi.  Visto 
il  pontefice  che  più  egli  spingeva,  più  trovava  cedevolezza; 
mandò  insolentemente  Lorenzo  Pucci,  suo  cardinal  datario,  cit- 
tadino fiorentino,  a  Firenze,  e  fece  scrivere  dall'oratore  Strozzi, 
ch'egli  intendeva  che  il  Gonfaloniere  perpetuo  rinunziasse 
al  suo  ufficio,  che  i  fuorusciti  fossero  riammessi  nella  città, 
che  questa  entrasse  a  parte  dell'alleanza  ch'egli  aveva  stretta 
coir  imperatore,  colla  Spagna,  coli' Inghilterra,  cogli  Svizzeri, 
co'  Veneziani  a  danni  di  Francia;  egli,  il  pontefice  del  concilio 
lateranense,  cui  tutti  que*  potenti  avevano  aderito. 

Ben  è  vero  che  il  cardinal  datario  npn  ebbe  coraggio  di 
spingersi  sin  dentro  alla  sua  città,  e  ristette  lontano  un  miglio, 
a  San  Gaggio.  Ben  è  vero  che  Pier  Soderiili  trovò  nel  suo  cuore 
eloquenza  bastevole  a  rintuzzare  la  cauta  alterìgia  del  prelato 
e  l'impeto  sconfinato  del  pontefice;  ma  le  parole  non  eran  più 
nulla;  i  fatti  vili  si  moltiplicavano,  s'intrecciavano;  le  simu- 
lazioni bieche  coprivan  tutto  ;  ma  le  intimazioni  fatte  dal  papa 
dovevano  giungere  a  Firenze  da  un  altro  lato. 

I  nobili  non  medicei,  ma  stizziti  contro  la  repubblica  de- 
mocratica, e  i  vecchi  palleschi  si  strinsero  in  combriccole,  con- 
giurando alla  Paneretta  de'  Vettori,  *  mentre  i  diplomatici  scal- 
triti si  eran  dati  la  posta  ad  un  congresso  in  Mantova.  Quivi 
si  recava  il  Gurgense  per  l' imperatore,  don  Ramondo  di  Gar- 
dena pel  re  di  Spagna,  gli  oratori  del  papa,  de'  Veneziani,  degli 
Svizzeri  ;  e  v'andò  pe'  Fiorentini  Giovan  Vittorio  Soderini,  il 
quale,  con  Commissione  di  propiziare  l'Imperatore,  erasi  già  con- 
dotto sino  a  Trento,  per  trovarvi  il  Gurgense,  col  quale  tornò. 
Quest'andata  sua  fu  fatale.  ^ 

a  la  nostra  Signoria,  se  ne  fecie  praticha,  efib  chonsigliato  lasciassino  ubidire  al  Ardue- 
scono,  ma  nessuno  secholare  non  v'andò,  né  nessuna  chonpagnia  né  di  fanciulli,  né  duo- 
mini,  né  magistrati,  nessonossi  le  chanpane  di  palazzo^  né  mostrò  la  Ciptit  segnio  nessuno 
d'alegrezza,  ma  più  tosto  stana  chon  dispiacere  et  sospetione  di  mutamento  di  stato  ». 

1  Pitti,  Apologia  de'  Cappucci,  loc.  cit.,  pag.  311. 

■  Nel  Cod.  Vat.  5283  (pag.  cxxvii),  tra  gli  appunti  raccolti  in  seguito  dal  Diario  del 
Bonaccorsi,  da  persona  non  certo  sospetta  di  favorir  la  democratia,  si  legge  la  seguente 
nota  :  «  La  ritornata  de*  Medici  in  Firenze  fu  stabilita  in  una  dieta  fu  fatta  prima  a  Man> 
tova,  doue  si  trovò  il  viceré  di  Napoli  con  monsignore  di  Oursia  luogotenente  dell'Impe- 
ratore in  Italia.  Per  la  Signoria  di  Firenze  vi  si  trovò  ambasciadore  M.  Oiovan  Vettorio 
Soderìni,  il  quale  era  stato  eletto  ambasciadore  al  detto  monsignore  di  Gursia  et  allo  Im> 
peratore,  venendo  lui  in  Italia.  Et  per  la  nostra  città  sarebbe  stato  meglio  che  vi  fusse 
stato  ambasciadore  più  presto  ogni  altro  che  il  detto  M.  Giovan  Vettorio  per  rispetto  del 
Gonfalonieri  suo  fratello,  che  le  lettere  d'ogni  altro  credo  sarebbono  state  più  credute,  et 
accordatosi  senza  lasciar  venire  sul  nostro  l'esercito,  et  sarebbesi  mantenuta  la  libertà 
cioè  il  gouerno  libero.  Il  detto  M.  Giovan  Vettorio  Sederini,  dottore,  ritornò  in  Firense  poi 
seguita  la  mutazione  et  fu  di  poi  confinato  »,  etc. 


Digitized  by 


Google 


MCONDO]  CONGRESSO  DI  MANTOVA,  575 

Nella  Dieta  di  Mantova  si  doveva  inventare  un  sovrano 
per  la  Lombardia  che,  mentre  riuscisse  un  pruno  agli  occhi 
della  Francia,  fosse  poi  un  nudo  fantasma  per  gli  altri  poten- 
tati, che  ve  lo  collocavano;  tanto  da  lasciare  le  vie  aperte  alle 
cupidigie  degli  aspiranti,  da  non  pregiudicare  l'avvenire  a  nes- 
suno, ma  da  lasciarlo  maturare  all'ombra  d'un  presente  queto. 
Fu  facile  l'accordo  sul  figlio  di  quel  duca  Ludovico  il  quale  era 
morto  prigione  a  Loches,  Massimiliano  Sforza,  ch'aveva  vissuto 
parecchi  anni  in  Germania  alla  corte  dell'Imperatore,  ch'era  cu- 
gino dell'  Imperatrice,  e  che  avrebbe  lasciato  al  papa  disporre 
dei  benefici  ecclesiastici  ;  a  Svizzeri  e  Spagnuoli  sperar  doni  e 
provvisioni,  sognare  aggrandimenti  eventuali  alla  repubblica  di 
Venezia. 

Questa  parte  assettata,  si  pensò  a  Firenze,  che  bisognava  ad 
ogni  modo  sottrarre  all'amicizia  francese.  Andarle  addosso  con 
seimila  fanti  e  mille  cavalli,  sotto  al  comando  del  Gardena, 
cacciar  via  i  Sederini,  rimetterle  in  seno  i  Medici,  pare  che 
fosse  segretamente  deliberato  fin  da  principio  ;  ma  tanto  segre- 
tamente e  con  tanto  superfluo  di  simulazione,^  che  quasi  si  di- 
rebbe i  prepotenti  dimenticassero  aver  che  fare  con  uno  stato 
debole;  a  meno  che  non  si  ammetta  che  per  diffidenza  reciproca 
avesser  poca  intenzione  di  dare  effetto  a  quel  comune  divisa- 
mente. Il  Gurgense  del  resto  si  tratteneva  lungamente  in  di- 
scorsi col  viceré  Gardena,  evitando  di  ricevere  l'ambasciatore 
fiorentino.  Poi  gli  dava  a  intendere  che  l'Imperatore  non  era 
peranco  entrato  nella  lega,  che  quando  v'entrasse,  entrerebbe 
in  modo  che  i  Fiorentini  vi  avessero  difesa.  ^  L' oratore  spa- 
gnuolo  a  Roma  intanto  assicurava  confidenzialmente  che  i  Fio- 
rentini non  dovevano  temer  nulla  delle  forze  di  re  Ferdinando: 
da  poi  che  il  viceré  sapeva  benissimo  come  papa  Giulio  avrebbe 
voluto  cacciare  il  suo  re  d' Italia,  non  altrimenti  che  il  re  di 
Francia;  che  se  lo  stato  di  Firenze  cadeva  in  mano  al  cardinale 
Medici,  fatto  legato  di  Toscana,  questi  non  sarebbe  se  non  cosa 

1  Machiavelli,  Lettera  a  %n%a  Signora  :  «  Concluso  che  fu  nella  dieta  di  Mantova  di 
rimettere  i  Medici  in  Firenze,  e  partito  il  viceré  per  tornarsene  a  Modana,  si  dubitò  in  Fi- 
rense  assai  che  il  campo  spagnuolo  non  venisse  in  Toscana  ;  nondimanco  non  ce  ne  essendo 
altra  certezza,  per  auere  governate  nella  dieta  le  cose  segretamente,  e  non  potendo  cre- 
dere molti  che  il  papa  volesse  che  Tesercito  spagnuolo  turbasse  quella  provincia,  inten- 
dendosi massime  per  lettere  di  Roma  non  essere  intra  gli  spagnuoli  e  il  papa  una  grande 
confidenza,  stemo  con  Tanimo  sospesi,  senza  fare  altra  preparazione,  insino  a  tanto  che 
da  Bologna  venne  la  certezza  del  tutto  ».  —  Cf.  Vettori,  Storia  d'Italia,  loc.  cit.,  pa- 
gine 289-90.  —  QuicciAROiNi,  Legazione  di  Spagna,  Lett.  da  Logrogno,  «^-25  agosto  1512», 
loc.  cit.,  pag.  83. 

•  V.  in  App.  Lettera  di  Gio.  Vittorio  Soderini  ai  Dieci,  «  a'  di  29  luglio  1512  ». 


Digitized  by 


Google 


576  CAPO  SETTIMO.  Ilibw 

del  pontefice  imprudentemente  aggrandito.  E  da  Logrogno  scri- 
veva contemporaneamente  Francesco  Guicciardini  che  il  re  de- 
siderava stringersi  con  Firenze;  che  non  capiva  con  che  fine 
papa  Giulio  desse  tanto  favore  agli  Svizzeri,  che  gli  doveva 
bastare  aver  ricuperato  Bologna;  né  poteva  piacere  ad  alcun 
potentato  d' Italia  ch*ei  pigliasse  Ferrara  e  «  facesse  del  duca 
d'Urbino  un  altro  Valentino  ».^ 

Dall'altra  parte  il  pontefice  dava  ad  intendere  all'oratore 
Strozzi  e  al  cardinal  Soderini  ch'ei  gli  Spagnuoli  abborriva 
non  meno  dei  Francesi;  che  vedeva  ben  chiaro  come  il  Me- 
dici, rimesso  in  Firenze  colle  armi  di  Spagna,  sarebbe  divenuto 
strumento  di  queste;  né  avrebbe  però  fatto  mai  la  pazzia  d'aiu- 
tarvelo.  La  congiura  di  Cambrai  non  fu  per  certo  ordita  con 
slealtà  maggiore. 

L'unico  che  dava  sentore  del  pericolo  era  l'imperatore; 
quegli  cui  i  Fiorentini  eran  disposti  a  creder  meno,  perchè  pareva 
a  buon  diritto  il  più  interessato  ad  esagerarne  il  colorito,  a  fine 
di  rivender  loro  per  danaro  la  solita  sicurtà  illusoria.  *  Andrea 
de  Burgos,  uno  de'  segretari  imperiali,  diceva  in  Mantova  a 
Giovan  Vittorio  :  «  voi  avete  il  fuoco  a  casa  in  ogni  modo.  Voi 
non  volete  sovvenire  l'imperatore,  e  l'imperatore  lascerà  ire 
le  cose  a  beneficio  di  natura  :  voi  volete  che  vadino  male,  ma 
noi  le  lasceremo  andare  male  e  peggio,  e  sarete  cagione  col 
non  ci  aiutare,  si  consentirà  loro  ciò  che  vorranno,  e  ve  ne 
pentirete  ».  ^  —  Questo  «  beneficio  di  natura  »  veniva  così  per 
ricatto  minacciato  alla  città,  la  quale  voleva  pur  sempre  «  goder 
quello  del  tempo  »;  ^  e  si  sarebbe  acconciata  piuttosto  a  presentar 
di  qualche  donativo  il  vescovo  di  Gurk,  come  raccomandava 
anche  Giovan  Vittorio  Soderini  ;  ^  ma  non  intendeva  né  di  met- 
tersi bruscamente  contro  all'antica  alleata,  né  soprattutto  di 
ricomperar  troppo  cara  la  libertà  a  prezzo  d'oro.  Pure  gli  Spa- 


1  Fr.  Ouicciardini,  Legazione  di  Spagna,  lett.  cit. 

*  Il  Salviati  cosi  ne  parlava  nella  /Va/ùra,  con  molto  senuo  :  «  E*  modi  d'assicarani 
sarebbe  convenire  con  questi  principi;  et  potendo  farlo  con  tutti,  farlo  con  patti  conue- 
nienti.  Con  lo  Imperatore  solo,  non  lo  farebbe  perchò  non  ui  può  offendere  se  non  con  le 
genti  del  papa  e  Catholico,  delle  quali  ci  va  tempo  a  potersene  servire.  E  però  a  lui  solo 
non  darebbe  danari,  nò  al  papa  solo  ancora  ».  —  Vedi  in  Àpp.  le  Consulte  »  IVatiehe, 
«  die  30  julii  1512  »,  e  segg. 

*  V.  in  Appendice:  Lettera  di  Gio  Vitt.  Soderini,  «  data  Mantne  die  septima  Au- 
gusti 1513». 

^  V.  in  Appendice,  tra  le  Consulte  e  Praticfie,  quella  «  die  15  julii  1512  ». 

*  V.  Lettera  di  Gio.  Vitt.  Soderini,  «  a*  di  29  di  luglio  »,  in  Appendice:  «  hauendo 
veduto  per  experientia  mal  volentieri  li  ultramontani  potersi  conseruare  in  amicitia  sanza 
tali  mezzi  ». 


Digitized  by 


Google 


secondo]  gli  SPAOyUOLI  SULL'APENNINO.  òTJ 

gnuoli  si  spiegavano  abbastanza  chiaramente.  Il  conte  di  Cariate 
diceva  all'oratore  fiorentino  d'essersi  trovato  quando  anche  il 
cardinale  di  Rouen  mercantava  di  rimettere  i  Medici  in  Firenze.  ^ 
Il  Burgos  sosteneva  conferir  meglio  all'utilità  dell'Imperatore 
che  questi  tornassero,  i  quali  avrebbero  pagato  non  una  volta 
sola,  come  la  città  negava,  ma  tante  che  sarebbe  parso  per- 
petua ricognizione  dall'Impero  del  dominio  loro.  Ma  siffatti 
avvisi  la  mala  fede  dei  nobili,  la  gretteria  popolare  chiamava 
spaventacchi  !  —  e  i  medicei  pagarono.* 

Firenze  tuttavia  si  sentiva  torcere  in  quelle  pressure,  ed 
aveva  eletto  ambasciatore  al  viceré  Cardona,  Piero  Guicciardini; 
ma  lo  scaltro  e  vecchio  patrizio  potè  ottenere  escusazione  dal- 
l'incarico.  Gli  Ottanta  scelsero  allora  Baldassarre  Carducci, 
amatore  della  libertà,  fermo  per  indole  e  schiettissimo,  che 
andò  fra  quei  subdoli  come  un  pesce  fuor  d'acqua.  Andò  che 
la  Dieta  era  finita  e  che  gli  Spagnuoli  venivano  già  alla  volta 
di  Firenze.  ^ 

Qualche  provvedimento  per  tener  loro  il  passo  su  pe'  monti 
del  Mugello  erasi  preso  per  ventura,  e  si  doveva  in  gran  parte 
alle  sollecitudini  di  Niccolò  Machiavelli,  il  quale  molto  oppor- 
tunamente aveva  pensato  che  se  lo  stato  fiorentino  dovesse  in 
quella  congiuntura  andar  soggetto  a  un'  invasione,  Y  invasione 
sarebbe  venuta  certo  da  quella  banda;  dacché  Ramazzotto,  con- 
dottiero a'  soldi  de' Veneziani,  fra  quelle  montagne  aveva  amici 
e  congiunti  ;  ^  dacché  da  quella  banda  le  condizioni  del  suolo 
davano  maggiori  occasioni  a  scaramucce  che  a  giornate  cam- 
pali ;  né  però  i  Fiorentini  v'avrebbero  potuto  distendere  e  pro- 
vare il  battaglione  de'  loro  fanti,  l'aspettativa  e  la  rinomanza 
del  quale  giganteggiava,  secondo  fantasie.  Quando  il  Machia- 
velli seppe  ch'eran  comparsi  i  primi  fanti  spagnuoli  presso  il 
Sasso,  a  Loiano,   scrisse  immediatamente  per  strappare  ener- 


»  V.  in  Appendice,  Lettera  di  Gio.  Vittorio  Sederini  ai  XM,  «  Mantue  die  14  An- 
gusti 1512  ». 

*  Pitti,  Storia,  lib.  n,  Ice.  cit.,  pag.  99:  «  mandarono  bene  i  congiurati  diecimila  du- 
cati a  Giuliano  de*  Medici  a  Mantova;  con  li  quali  appuntò  col  vicerò  che  movesse  Teser- 
cito  da  Modena  verso  Bologna,  per  rimetterlo  in  Flrenxe  ».  —  In.,  Apologia  de' Cappucci, 
pag.  30S-309. 

'  V.  Lettera  di  Iacopo  a  Francesco  Guicciardini,  «  a*  di  3  settembre  1512  »,  in  Odic- 
ciARDiNi,  loc.  cit.,  voi.  VI,  pag.  96  e  segg. 

*  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  88.  Lettera  di  Antonio  Conestabile  m.co  ^.Wo  ^y.  M.  et 
in  assentia  biagio  (Bonaccorsi)  «  In  Firenzuola,  die  iiij  julii  m.  o.  xii  »  :  «  Ho  ricevuto  la 
lettera  vria  per  la  quale  intendo  che  noi  desideraresti  di  sapere  tutti  Rli  amici  e  parenti 
di  ramazotto  di  queste  montagne;  della  qualcosa  amme  ò  impossibile  a  sapere  il  chuor 
degli  uomini  »,  ecc. 

ToMMASiKi  -  Machiavelli.  37 


Digitized  by 


Google 


97S  CAPO  SETTIMO. 

gìche  determinazioni  ai  Dieci.  Ma  questi,  tepidamente 
dogli  trecento  fiorini,  gì'  incnlcarano  di  non  li  spendere  se  pio- 
prìo  non  vedeva  certo  che  quelle  genti  venivano  per  assalire: 
e  quella  era  cosa  da  vedersi  presto,  giacché  a  Loiano  gli  Spa- 
gnuoli  non  potevano  star  fermi  e  conveniva  inoltrassero  o  tor- 
nassero indietro:  «  Siamo  a  tre  ore  di  notte  e  non  vogliamo 
pigliare  partito  da  noi  di  levare  altre  bandiere,  se  non  s'in- 
tende altro  ;  e  abbi  rocchio  che  queste  genti  si  mettino  in  luogy> 
che  non  si  tirino  lo  umore  addosso  o  che  certi  fussino  rooi, 
che  sarebbe  cosa  di  troppo  gran  momento  !  »  ^  —  Quando  le 
lettere  di  Niccolò  furono  lette  negli  Ottanta,  ^  parecchi  del 
Consiglio  applaudirono  a*  Dieci  per  quel  che  avevano  latto;  al- 
cuni (e  fu  il  Carducci  tra  questi)  raccomandarono  vi  si 
dasse  per  commissario  «  un  uomo  di  conto  »;  ma  Y\ 
che  sapeva  davvero  che  cosa  significasse  guerra  e  invasione, 
l'uomo  che  conosceva  la  natura  del  suolo  e  quella  de*  fanti 
che  aveva  già  sventato  il  tentativo  dell'Alviano,  presso  a  San 
Vincenzo,  il  Giacomini,  si  levò  furioso  a  quegli  avvisi  del  Ma- 
chiavelli. Parlò  in  pubblico,  parlò  in  privato  :  si  offerse,  benché 
malato  e  cieco,  purché  gli  dessero  un  pò*  di  marraiuoli,  un 
tremila  fanti  e  centocinquanta  cavalli,  d'andar  lui  a  costruire 
allo  Stale  di  Mugello,  sull'alto  Apennino  della  Futa,  un  forte, 
che  gli  Spagnuoli'  non  oltrepasserebbero,  o  li  farebbe  morir  di 
fame,  impedendo  loro  ogni  approvvigionamento  dalla  parte  di 
Bologna.  Ma,  ebbe  a  scrivere  uno  de' biografi  del  Giacomini, 
nei  Dieci  e  nella  Pratica  trovò  «  li  animi  ostinati  e  le  orec- 
chie sorde  ».  '  —  «  Tanto  a  fortuna  ehi  ben  fa,  dispiace!  » 
notava  il  Machiavelli. 

Si  pensò  invece  di  fare  una  testa  di  duemila  fanti  a  Fi- 
renzuola, castello  sui  confini  tra  la  Toscana  e  il  Bolognese, 
opinando  che  gli  Spagnuoli  si  sarebbero  occupati  ad  espugnarlo, 
per  non  lasciarsi  dietro* le  spalle  quel  corpo  d'esercito  e  non 
capitare  ad  essere  serrati  in  mezzo.  Il  Tosinghi,  il  Zati,  il  Cambi, 
commissari,  attesero  col  Machiavelli  a  questi  preparativi  ;  ^  ma 

>  Lett.  de'  X.«i  al  M.,  «  die  xxvnj  julii,  ora  iij  notte  1512  »,  in  M.,  Opp.,  ed.  ult.,  t.  vi, 
pa«.  201 -2. 

'  V.  in  Appendice,  frale  Consulte  e  Pratìehe,  quella  «  die  yeneris  de  mane  30  jalii  1512». 

*  Pitti,  Vita  d'Antonio  Giacomini,  pag.  257.  —  Il  Nardi,  Vita  d'Ant.  Glaeomini,  non 
mensiona  questo  episodio  glorioso  del  sno  eroe. 

«  Blbl.  Naz.,  doc.  M.,  basta  v,  n.  92.  Fr.  Zati  sp.  viro  N.  M.  allo  stato,  «  a*  dì  30  lu- 
glio 1512  ».  —  Id.,  eod.,  ibid  ,  n.  93  —  Fr.  Z<Ui  N.  M.  Floréntiolaet  ««  castro  Searperiae, 
«  die  XXXI  Julii  »,  n.  94.  —  Stefano  Cambi  dna  N.  M.  in  Vaglie  o  alla  Searperiat  «  ex 
Firenzuola,  a*  di  28,  29,  30  luglio  »  (loc.  cit.,  n.  95, 96,  97).  —  La  patente  a  favore  del  M., 


Digitized  by 


Google 


SBOONDo]  »  .V.  MACHIAVELLI  E  IL  TOSINOHL  579 

«  eran  panni  caldi  >,  come  ebbe  a  chiamarli  scoratamente  il 
Tosinghi  stesso,  quando  si  videro  gli  Spagnuoli  non  curarsi  per 
nulla  di  Firenzuola,  scender  giù  per  TApennino  sino  a  Bar- 
berino, benché  commissari,  soldati  e  villani  del  paese  serras- 
sero loro  dietro  i  passi  in  tutto  il  Mugello. 

«  Se  non  si  fa  una  testa  grossa  a  Prato,  aggiungeva  il 
Tosinghi,  veggo  le  cose  nostre  rovinare  tutte  >.  ^  Ma  se  si  avesse 
o  no  a  fare  testa  quivi  fu  oggetto  di  particolare  consulta,  cui 
vennero  chiamati  i  condottieri  delle  genti  d'arme.  Non  sembra 
che  il  Machiavelli  fosse  dell'opinione  del  Tosinghi,  come  non 
lo  furono  i  condottieri.  Il  Segretario  avrebbe  voluto  impedire 
con  tutte  le  forze  che  gli  Spagnuoli  entrassero  nel  dominio; 
entrati,  gli  premeva  salvare  il  cuore  dello  stato,  proteggerne 
la  capitale,  mantenere  nel  popolo  fiducia  ch'ei  poteva  reggersi 
ed  aiutarsi  ancora.  ^  E  il  Soderini,  convinto  che  questa  era 
l'ultima  via  di  salvezza  che  rimaneva,  fece  venire  a  Firenze 
novemila  fanti  del  battaglione  ;  diede  a  ciascuno,  di  essi  un  fio- 
rino; ne  dispose  ottomila  tra  porta  al  Prato  e  porta  a  Faenza;^ 
gli  altri  per  le  terre  prossime;  vi  raccolse  ancora  duecento 
uomini  d'arme  e  trecento  cavalleggieri,  e  così  credette  essersi- 
assicurato  da  ogni  sorpresa  di  fazioni.  ^ 

Ma  qui   si   manifestò  apertamente  lo  screzio  fra  lui  e  i 
Dieci;  5  alcuni  dei  quali  in  buona  fede,  altri  in  mala  fede  so- 

«  ex  palatio  nro,  die  28  julii  m.  d.  x.ii  »,  à  sottoscritta,  come  é  naturale,  secondo  le  pratiche 
della  cancelleria,  dal  medesimo  «  N.  Maclauellus  ». 

^  Bibl.  Naz.,  doc.  M.,  busta  v,  n.  105.  PetrusfrancUcuè  de  Tosinghia  Commiss,  genlis 
y.  M.  a  Firenzuola  o  dove  fussi,  «  ex  barberino  Macelli  die  xx^  augusti  m.  d.  xii  ». 

*  Nella  Lettera  ad  tuta  Signora,  scrìve:  «  Essendosi  intanto  a  Firenze  condotto  buona 
parte  di  gente,  e  ragunati  i  condottieri  delle  genti  d*arme  e  consigliatisi  con  loro  alla  di- 
fesa di  questo  assalto,  consigliarono  non  essere  da  far  testa  a  Prato,  ma  a  Firenze,  perchè 
non  giudicavano  potere,  rinchiudendosi  io  quel  castello,  resistere  al  viceré,  del  quale  non 
sapendo  ancora  le  forze  certe,  potevano  credere  che  venendo  tanto  animosamente  in  questa 
provincia,  le  fossero  tali  che  a  quelle  il  loro  esercito  non  potesse  resistere  ».  Se  nel  pre- 
cedente passaggio  il  Machiavelli  riferisce  da  storico  Taccennata  deliberazione,  limitan- 
dosi a  dir  che  «  piacque,  e  in  specie  al  gonfaloniere  »,  ne*  Discorsi  (ììh.  ii,  cap.  30)  esprime 
nettamente  il  parer  suo  :  «  il  cuore  e  le  parti  vitali  di  un  corpo  si  hanno  a  tenere  armate, 
e  non  Testremità  d'esso;  perchè  senza  quelle  si  vive,  ed  offeso  quello  si  muore;  e  questi 
stati  tengono  il  cuore  disarmato  e  le  mani  e  li  piedi  armati.  Quello  che  abbia  fatto  questo 
disordine  a  Firenze,  si  è  veduto  e  vedesi  ogni  dì  :  che  come  uno  esercito  passa  i  confluì 
e  che  gli  entrano  propinquo  al  cuore,  non  ritraeva  più  alcuno  rimedio  ». 

'  Cambi,  Istorie;  il  Nardi,  lib.  v:  «  e  cosi  s'accamparono  le  genti  d'arme  dentro  e  fuora 
delle  porte  al  prato,  a  Faenza  e  san  Gallo  ».  —  Il  Bonaccobsi,  Diario,  pag.  181:  «I  con- 
dottieri delle  genti  d'arme...  si  accamporono  alla  porta  a  san  Francesco  poco  di  fuori; 
benché  di  poi  mutassino  alloggiamento,  et  andassino  alla  porta  a  san  Gallo  ». 

^  Lett.  di  Iacopo  a  Fr.  Guicciardini,  loc.  cit.  —  Cambi,  Istorie,  loc.  cit.,  pag.  305,  \\ 
quale  pone  il  numero  de'  fanti  in  sedici  mila.  —  Machiavielli,  Lettera  a  una  Signora.  — 
Pitti,  Apologia  de' Cappucci,  pag.  310. 

*  Iacopo  Guicciabdini,  loc.  cit.  :  «  e  perchè  il  Gonfaloniere  voleva  governare  le  cose 
all'usato  e  come  pareva  a  lui,  molti  uomini  da  bene  ci  erono  malcontenti  ;  ma  non  pote- 
vono  fare  altro,  massime  vedendo  l'universale  averli  scoperta  gran  fede  ».  Cambi,  loc.  cit. 


Digitized  by 


Google 


580  CAPO  SETTIMO,  '  [libso 

stenevano  che  bisognava  fortificar  Prato  per  resister  quivi  va- 
lidamente agli  Spagnuoli  ;  per  aver  agio  di  prendere  poi  nella 
capitale  quei  partiti  che  il  successo  avrebbe  consigliato.  Di 
questo  non  volle  sentir  nulla  il  gonfaloniere,  più  convinto  del 
parere  del  Segretario,  e  tenace  del  proprio;  al  quale  spogliare 
la  città  di  forte  difesa  non  garbava  punto.  Ora,  siccome  un 
fondo  di  verità  stava  in  tutte  e  due  le  opinioni,  e  una  gran 
parte  di  pericolo  si  nascondeva  in  tutti  e  due  i  propositi,  ne  segui 
che  e  gonfaloniere  e  Dieci  diffidarono  Tuno  dell'altro  e  gli 
apprestamenti  che  fecero,  riuscirono  sospettosi,  dispettosi,  in- 
sufficienti. 

Intanto  il  Carducci,  arrivato  nel  campo  spagnuolo,  intro- 
dotto da  Antonio  De  Leva  al  viceré,  ne  scorge  le  intenzioni 
ostili,  dissimulate  con  fredda  cortesia  di  modi  che  non  provo- 
cava a  disperazione,  ma  non  lasciava  nulla  a  sperare.  Il  dia- 
logo poi  che  l'oratore  fiorentino  ebbe  col  De  Leva,  maestro 
del  campo,  ritratto  da  lui  in  una  delle  preziose  sue  lettere,  ^ 
è  d'una  bellezza  indicibile  e  rileva  squisitamente  la  natura  e 
la  condizione  degli  avversari.  Condottolo  all'alloggiamento,  in- 
vitatolo a  cena,  il  De  Leva  ridendo  prova  insinuarglisi  :  «  non 
foste  voi  già  ad  una  scuola  col  cardinale  dei  Medici  ?»  e  scher- 
mitosi il  Carducci  dalla  proposta  di  visitarlo,  l'altro  gli  domanda 
quanti  uomini  d'arme  faceva  la  città  :  «  risposi  più  che  trenta- 
mila, scrive  il  Carducci.  «Domandommi:  il  battaglione  che  fa? 
(l'ordinanza  cioè  del  Machiavelli).  Dissi  :  aspetta  le  signorie  vostre 
per  far  buona  guerra,  quando  vogliano  guerra.  Inoltre  mi  do- 
mandò :  come  è  oggi  popolata  Pisa  ?  dissi  che  di  Pisani  da  guerra 
c'era  pochi,  ma  ben  era  guardata  da  gente  d'arme  e  fanterie. 
Domandommi  se  da'  Fiorentini  v'era  stata  fatta  fortezza:  dissi  di 
sì  e  fortissima  ».  Dopo  aver  tanto  risposto,  il  Carducci  cre- 
dette alla  sua  volta  interrogar  lo  Spagnuolo  circa  le  intenzioni 
che  avevano:  «  domani,  dissemi,  tutto  l'esercito  e  l'artiglierie 
saranno  a  Barberino  ».^ 

1  Queste  furono  pubblicate  da  Cbsabb  Guasti  in  quell'egregia  sua  raccolta  di  docu- 
menti relativi  al  Sacco  di  Prato  (voi.  ii),  edita  dal  Romagnoli  fra  le  sue  Curiosità  lette' 
rarie  inedile  o  rare.  Noi  ne  rechiamo  alcune  in  Appendice,  per  dilucidazione  del  nostro  rac- 
conto, avendole  trascritte  neirArchivio  fiorentino  quando  non  conoscevamo  l' intenzione  di 
darle  a  luce  nell'ottimo  Soprintendente;  tanto  più  che,  a  servizio  degli  studi  storici,  e  ad 
onore  dell'umanità,  sarebbe  gran  bene  che  le  lettere  del  Carducci  non  istessero  relegate 
fra  le  rarità  bibliografiche.  Come  può  vedersi  in  Appendice^  la  copia  nostra,  secondo  appa- 
risce dalle  poche  varianti,  ebbe  ad  esser  tratta  da  altro  ms.  che  da  quello  di  cui  si  valse 
il  comm.  Guasti. 

•  Cf.  Lett.  Balthassab  Carduccius  orator  fior,  apitd  III.  Vicereffem  NeapoUt.  Hio- 
gnificis  dominis  Decem.  Lib.  et  Bai.  «Apiani,  die  23  aug.  15fò»,  in  Appendice. 


Digitized  by 


Google 


«BCONDO]  IL  MACHIA  VELLI  NEL  MUGELLO.  581 

Infatti  il  giorno  dopo  il  Tosinghi  da  Scarperia  avvisa 
correr  voce  dell'ingresso  di  duecento  fanti  nemici:  lamenta  il 
loco  debole  e  sfornito,  gli  uomini  inviliti.  Ansiosa  la  Signoria 
chiama  il  Machiavelli  in  fretta  a  sé,  per  esser  bene  istrutta 
di  quel  che  accade.  Questi  riferisce  che  l'avanguardia  spa- 
gnuola  col  Legato  e  Giuliano  Medici  sono  a  Barberino  e  in 
que*  pressi;  che  anno  preso  il  Panzane,  villa  di  Tommaso  To- 
singhi, ucciso  quarantacinque  uomini,  portate  vie  le  donne, 
messo  il  terrore  fra' contadini.  Le  artiglierie  -  due  bocche  sole  - 
e  il  retroguardo  sono  ancora  allo  Stale;  i  villani  tuttavia  sa- 
rebbero buoni  marzoccheschi  in  Mugello  :  con  ordine  della  Si- 
gnoria e  un  capo  che  gli  animi  e' taglìerebbero  a  pezzi  i  nemici.^ 
Ma  il  Carducci  avvisa  da  Appiano  delle  seduzioni,  delle  pro- 
messe che  mettono  in  giuoco  i  Medici:  avvisa  che  Giuliano 
accarezza  tutti  i  contadini  in  cui  s'abbatte:  —  «  e  tenete  per  dio 
buona  cura  in  Prato,  raccomanda,  perchè  qui  si  parla  molto 
largo,  e  dicono  quegli  uomini  essere  bene  volti  al  favore  del 
cardinale  !»  *  —  I  Dieci  pertanto,  a'  25  di  agosto,  vi  mandano 
archibusi,  falconetti,  legnami,  fascine;  «lance  no,  che  ne  àn 
poche  e  sanno  che  gli  uomini  dell'ordinanza  ne  sono  ben  for- 
niti »  ;  ordinano  rinettar  fossi,  rassettare  mura,  rivellini,  ponti 
levatoi  —  «  noi  stimiamo  tanto  il  salvare  cotesta  terra  quanto 
questa  propria  »,  scrivevano.  —  Ma  mentre  alcuni  congiurati 
palleschi  mandavano  a  vuoto  le  provvisioni  di  essi,^  la  gara 
fra  i  pareri  de' Dieci  e  il  Sederini  si  raccende;  e  il  giorno  dopo 
il  Machiavelli  scrive  al  potestà  di  Prato  e  ad  Andrea  Tedaldi, 
commissario:  «  a  difender  Prato  secondo  il  parere  de'  con- 
dottieri bastano  due  mila  fanti  »;  trasmette  l'ordine  che  ne 
rimangan  tremila  ;  gli  altri  che  capitassero  si  mandino  tutti  a 
Firenze  ;  si  descriva  e  si  ordini  chi  debba  pigliar  l'armi  ;  gli  altri 
non  ne  piglino,  e  guardino  la  casa  loro  >.  ^ 

Frattanto,  la  sera  del  25  d'agosto  viene  alla  Signoria  un 

1  Guasti,  S€teco  Ai  Prato,  documenti,  pag.,  71-75  passim. 

s  Id.,  ibid.,  doc,  n   3S.  , 

>  Pitti,  Apologia  de'  Cappucci,  pag.  310,  dice  del  Guicciardini  :  «  E'  tassa  il  magi- 
strato de*  Dieci;  una  parte  de' quali  erano  corrotti,  et  ei  li  chiama  imperiti;  gli  altri,  che 
fecero  il  debito,  furono  beffati  dalla  violenza  di  alcuni  giovani  della  fazione,  i  quali,  tra- 
versato la  via  a'  mulattieri  che  vi  conducevano  i  bariglioni  di  polvere  e  di  palle,  sotto  co- 
lore di  essere  urtati  da  quelle  some  nelle  ginocchia,  messo  mano  alle  spade  e  spaventato 
i  vetturali,  tagliarono,  come  per  collera,  le  funi  che  sostenevano  i  bariglioni  ;  e  caduti  per 
le  fosse,  furono  lasciati  stare  da*  conduttori.  Cosi  restò  Prato  senza  quella  provvisione  a 
discrezione  di  spagnuoli,  e  di  qualche  ministro  pubblico,  che  li  servi  di  coppa  e  di  coltello  ». 

*  Questa,  e  un'altra  lettera  de*  Dieci  a  Lamberto  Cambi,  connestabile  in  Firenzuola. 
fra  1  Documenti  pubblicati  dal  Guasti  (pag.  77  e  7S),  sono  di  mano  del  Machiavelli. 


Digitized  by 


Google 


582  CAPO  SETTIMO.  ^  [libio 

ambasciatore  del  viceré,  domandando  duramente  udienza  alle 
tre  ore  di  notte.  Espone  come  il  Cardona  non  vuol  altro  che 
liberar  Firenze  dalla  tirannide  di  chi  la  vuol  aggiogata  a'  Fran- 
cesi. Il  papa  stesso  in  un  breve,  pochi  giorni  dopo,  professa 
similmente  di  sforzarla  a  quel  modo  per  farla  libertor;  basta 
loro  che  il  gonfaloniere  deponga  l'ufficio. 

Piero  Sederini  trova  in  quell'ora  una  dignitosa  risposta 
allo  straniero  :  «  non  era  venuto  a  quel  segno  né  can  inganno 
né  con  forza,  ma  vi  era  stato  messo  dal  popolo;  e  però  se 
tutti  i  re  del  mondo  accozzati  insieme  gli  comandassero  lo 
deponesse,  mai  lo  deporrebbe.  Ma  se  questo  popolo  volesse  che 
lui  se  ne  partisse,  lo  farebbe  cosi  volentieri,  come  volentieri 
lo  prese,  quando  senza  sua  ambizione  gli  fu  concesso».^ 

Tale  la  riferisce  il  Machiavelli,  quando  l'ostentare  an- 
cora qualcosa  di  grande  e  di  buono  in  Pier  Sederini  non  era 
punto  per  tornargli  a  Conto.  Ma  veramente  Niccolò  ne'  momenti 
estremi  della  libertà  e  della  patria  fu  così  fortemente  eccitato 
che,  lusingandosi  dalle  parole  e  dall'atteggiamento  del  gonfa- 
loniere, s'illuse  che  questi  avrebbe  saputo  appigliarsi  a  riso- 
luzioni degne  d'un  uomo  antico  e  morir  sul  suo  seggio  civile, 
sulla  sedia  curule,  come  un  eroe.  Forse,  pensava  lui,  la  vio- 
lenza trascorrerà  per  le  vie  di  Firenze;  ma  se  l'insidie  vili 
non  coglieranno  nel  sonno  il  capo  dello  stato,  egli  saprà  mo- 
strarsi a'  marrani  di  Spagna  venerando  e  più  che  umano,  come 
suo  fratello,  il  vescovo  di  Volterra,  s'era  già  mostrato  alle  turbe; 
come  Marco  Papirio  e  il  senato  di  Roma  simillimos  dis,^  ai 
Galli  saccheggiatori;  e  la  libertà  sopravviverebbe. 

Radunò  frattanto  messer  Piero  immediatamente  il  Consi- 
glio grande  e  parlò  al  popolo,  notificando  la  proposta  fatta  dal 
viceré,  e  dichiarando  ch'era  prontissimo  ad  andarsene  a  casa, 
quando  si  giudicasse  che  dalle  sue  dimissioni  dovesse  nascere 
la  pace  di  Firenze  «  perchè  non  avendo  egli  mai  pensato  se 
non  a  beneficare  la  città,  gli  dorrebbe  assai  che  per  suo  amore 
la  patisse  >.  ^  —  Tutti  i  gonfaloni  commossi  allora  dichiara- 

1  Machiavelli,  Lettera  a  una  Signora. 

•  Livio,  v,  -11. 

*  Machiavklli,  loc.  cit.  —  Iacopo  Guicciardini,  nella  lett  citata  dice  semplicemonte  : 
«  fece  in  Consiglio  più  dicerie,  parlando  dei  Medici  quello  che  se  ne  poteva  parlare  ».  — 
Da  questo  inciso  Fb.  Ouicciardiki  per  amplificazione  trasse  fuori  la  solenne  parlata  che 
mette  in  bocca  al  Sederini  nella  Storia  d'Italia^  lib.  xi.  Ma  mentre  Iacopo  nella  soa  let- 
tera aggiunge  :  «  che  ci  volevano  lui  e  non  i  Medici  ;  con  tante  buone  e  affezionate  parole 
verso  di  uno  che  tanto  brutte  e  disoneste  disse  inverso  de*  Medici,  quanto  era  possibile  a 
dirlo»,  lo  storico,  non  si  sa  su  quale  autorità  fondandosi,  scrive:  «  non  era  dubbio  quello. 


Digitized  by 


Google 


fDo]  OSTENTATA  RISOLUTEZZA  DEL  SODERINI.  583 

0  unanimi  «  di  voler  Ini,  lui  e  non  i  Medici  !  »   tutti   si 
irono  «  di  iuettere  insino  alla  vita  per  la  difesa  sua  !  »  — 
ita  unione,  tanto  fervore  della  città  mise  nel  gonfaloniere 
elle  persone  di  palazzo  una  fiducia  si  grande  che   credet- 
)  d'avere  poco  meno  che  la  vittoria  in  mano.  Il  voto  del 
siglio  avea  schiacciato  la  fazione  dei  palleschi;  e  il  Sode- 
che,  sino  a  quel  punto  non  aveva  mai  voluto  cedere  alle 
nuazioni  ardite  del  Machiavelli,  che  non  aveva  mai  voluto 
:are  «  i  figli  di  Bruto  »,  la  sera  stessa  fece  arrestare  in  pa- 
0  parecchi  cittadini  sospetti  d'essere  partigiani  dei  Medici. 
Niccolò  scrisse  che  i  ritenuti  furono  «  molti  »  ;  ^  sembra 
di  poco  eccedessero  il  numero  di  venticinque;  ad   ogni 
lo  erano  un  bell'ostaggio  per  tenere  i  faziosi  in  rispetto, 
^giungevano  le  condizioni  del  campo  spagnuolo  ad  accre* 
:e  la  baldanza  del  Sederini.  I  Medici,  per  dir  vero,  v'in- 
^^^3ntivano,  come  chi  è  sicuro  del  fatto  suo:  ma  gli  Spagnuoli 

che  avesse  a  deliberare  il  Consiglio,  per  la  inclinazione  che  aveva  quasi  tutto  il  popolo  di 
mantenere  il  governo  popolare;  però  con  maraviglioso  consenso  fu  deliberato  che  si  con^ 
aenHtse  aUa  ritornata  dei  Medici  come  privati,  ma  che  si  diniegasse  di  muovere  il  gon* 
faloniere  del  magistrato;  e  che  quando  gì* inimici  stessero  pertinaci  in  questa  sentenza,  che 
con  la  facnltà  e  con  la  vita  si  attendesse  a  difendere  la  libertà  e  la  patria  comune  ».  — 
Né  il  BoKAOCORSi  nel  Diario^  né  il  Nardi,  né  il  PrrTi,  neìV Istoria,  fanno  mensione  del  di- 
scorso di  Pier  Soderini.  Il  Cambi,  Istorie,  loc.  cit.,  pag  306  e  segg.,  scrive  ohe:  «elQhour 
falonjere  parlò  »,  ma  riferisce  che  i  gonfaloni  ali*  unanimità  e  con  ardore  votarono  «  che 
per  niente  il  Ghonfaloniere  si  partissi,  né  Medici  tornassino,  nò  danari  se  gli  desaino  ».  -» 
L*ÀMMiBATO,  Storie  fiorentine^  lib.  xxviii,  seguitando  il  (Guicciardini,  conia  rettoricamente 
la  parlata  e  la  deliberazione  del  ConsigNo  «  che  dal  permettere  in  fuori  che  i  Medici  ritor- 
nassero in  Pireose  privati,  ninna  cosa  s'innovasse  e  che,  di  ciò  non  contentandosi,  biso- 
gnando, s'assaltasse  il  campo  ». 

1  Maccbiavblli,  Lettera  a  una  Signora.  Ci  sembra  indispensabile  recare  un  esemplo 
delle  varianti  che  si  anno  fra  il  ms.  e  l'edisione,  in  questo  solo  passo  del  documento: 


Edis. 

«  fo  costretta  la  Signorìa  a  rilassare  molti 
cittadini  i  quali,  sendo  giudicati  sospetti  e 
amici  a*  Medici,  erano  stati  a  buona  guardia 
più  giorni  in  palazzo  ritenuti,  i  quali,  insieme 
con  molti  altrì  cittadini  de*  più  nobili  di  que- 
sta città  che  desideravano  di  ricevere  la  re- 
putazione loro,  presero  tanto,  che  U  martedì 
vennero  armati  a  palazzo  ». 


Ms.  G.  D.  R.  : 
«  f^  costretta  la  Signorìa  a  relsasare  molti 
cittadini  i  quali^  sendo  giudicati  sospetti  et 
amici  a  Medici  erano  suti  ad  buona  guardia, 
suti  più  giorni  in  palazzo  ritenuti,  i  qu«li  in- 
sieme con  molti  altri  cittadini  de*  più  nobili 
di  questa  città,  che  desideravono  rihavere  la 
reputatone  loro  presono  animo  tanto,  che 
il  martedì  mattina  vennono  armati  a  pa- 
lazzo »,  ecc. 

Veggasi  pel  resto  in  Appendice  VAnaUti  dei  Regesti  del  Riccia  e.  xix.  —  Quanto  a*  pri- 
gioni, Iacopo  Guìcciabdini  nella  lettera  cit.  scrìve  che  furono  :  «  più  cittadini,  i  nomi  dei 
quali  saranno  in  una  nota  in  questa  ».  -»  Ma  quella  nota  non  fu  probabilmente  rinvenuta 
dall'editore,  il  quale  si  contentò  di  annotare  :  «  i  nomi  dei  sostenuti  leggonsi  in  tutti  gli 
storici  ».  •  Non  ne  fa  motto  lo  storico  Fb.  Guicciardimi.  —  Il  Vbttobi  (loc.  cit.,  pag.  293)  dice 
unicamente  che  furono  «  circa  venticinque  ».  Secondo  il  solo  Pim  {Storia,  pag.  101),  ecco  i 
nomi  che  si  anno  :  «  Bernardo  e  Giovanni  Rucellai,  alcuni  Tomabuoni,  con  circa  venticin- 
que parenti  e  amici  de*  Medici  ».  —  Non  ne  dicon  nulla  il  Bgnaccgbsi,  il  Nabdi,'  il  Cambi 
e  rAuMiRATO.  V.  in  Appendice  la  Nota  di  coloro  ch*ebbero  precetto  di  presentarsi  alpa' 
lazzo,  ne*  giorni  SS,  24,  26,  27  d'agosto:  altri  furono  requisiti  a*  di  28.  Di  tutti  costoro  ò 
certo  che  parecchi  ebbero  ad  esser  subito  dimessi.  È  osservabile  che  de*  rilasciati  a*  di  31 
si  rogò  regolarmente  la  deliberazione. 


Digitized  by 


Google 


584  CAPO  SETTIMO. 

afifamavano  e  volevano  viveri.  Dimandatone  a  Calenzano,  erano 
tenuti  a  bada  da'  commissari.  Bernardo  degli  Albizi,  quasi  per 
provocare  la  soldatesca,  maltratta  il  trombetto  spedito  a  ri- 
chiederne; ma  il  viceré  cui  non  importava  gran  fatto  de*  Me- 
dici, e  solo  voleva  danaro  e  uscita  da  quelle  strette,  propone 
agli  ambasciatori  fiorentini  di  persuadere  la  Signoria  a  dargli 
cento  some  di  pane  e  conchiudere  trattato  con  lui:  egli  nel 
frattempo  non  innoverebbe  nulla. 

E  qui  il  Machiavelli  ci  obbliga,  per  una  singoiar  menzione, 
che  fece  di  questo  momento  politico,  a  ricostruire  in  certo  modo, 
neir  intervallo  di  queste  trattative,  la  condizione  transitoria 
degli  animi  nella  città  e  nel  palazzo.  Egli  scrive,  e  con  molta 
ragione,  che  l'intenzione  di  quell'esercito  era:  «  mutare  lo 
stato  in  Firenze,  levarlo  dalla  devozione  di  Francia,  trarre 
da  lui  danari.  Quando  di  tre  cose  e'  ne  avesse  avute  due,  che 
son  l'ultime;  ed  al  popolo  ne  fosse  restata  una,  che  era  ]a 
conservazione  dello  stato  suo,  ci  aveva  dentro  ciascuno  qualche 
onore  e  qualche  satisfazione  ;  né  si  doveva  il  popolo  curare 
delle  due  cose,  rimanendo  vivo;  né  doveva,  quando  bene  egli 
avesse  veduta  maggiore  vittoria,  e  quasi  certa,  voler  mettere 
quella  in  alcuna  parte  a  discrezione  della  fortuna,  andandone 
l'ultima  posta  sua;  la  quale  qualunque  prudente  mai  arri- 
schierà  se  non  necessitato*.  Se  non  che  queste  ossei^azioni 
giustissime  Niccolò  le  intercala  in  un  capitolo  de'suoi  Discorsi, 
a  comprova  della  massima  seguente:  —  «  Ai  principi  e  re- 
pubbliche prudenti  debbe  bastare  vincere;  perchè  il  più  delle 
volte,  quando  non  basti  si  perde  >  ^  —  colla  quale  massima 
ei  non  può  collegare  l'esempio  altrimenti  che  cosi  :  «  doveva 
bastare  ancora  al  popolo  fiorentino,  e  gli  era  assai  vittoria, 
se  lo  esercito  spagnuolo  cedeva  a  qualcuna  delle  voglie  di 
quello,  e  le  sue  non  adempieva  tutte  ».  —  Per  noi,  che  giu- 
dichiam  dopo  il  fatto,  é  chiaro  che  il  guadagno  di  Firenze  po- 
teva consistere  nel  preservar  ancora  qualche  cosa  di  quel  molto 
che  dovea  perdere  e  di  quel  tutto  che  perde;  ma  che  non  era 
qui  il  caso  di  parlar  di  vittoria;  e  se  il  Machiavelli  insinuò 
al.  luogo  sopraindicato  quella  sua  opinione  d'allora,  come  un 
dato  d'esperienza,  quando  invece  a  servigio  della  sua  regola 
non  gli  avrebber  fatto  difetto  esempì,  che  con  quella  serbas- 
sero miglior  proporzione  e  maggior  legame  logico,  vuol  dire 

1  MACHiAyBLLi,  Discorsi^  lib.  n,  cap.  27. 


Digitized  by 


Google 


8SCONDO]  CONDIZIONE  DEL  CAMPO  SPAGNUOLO.  585 

che,  come  al  solito,  egli  riparò  poi  all'ombra  d*una  massima  la 
memoria  d'un  suo  sentimento  e  d'una  propria  opinion  perso- 
nale allora  negletta;  vuol  dire  che  l'impressione  vergine  di 
que'  momenti  di  confidente  incertezza,  in  cui  la  vittoria  ci  po- 
teva essere  e  si  poteva  sperare,  in  cui  c'era  chi  col  desiderio 
la  credeva,  gli  rimase  pur  dopo  inalterata  ;  e  che  fu  a  seconda 
di  essa,  ch'egli  potè,  non  del  tutto  illogicamente,  esprimersi  poi 
a  quel  modo,  quando  era  certo  che  non  solo  non  ci  era  stata 
vittoria,  ma  che  avea  arriso  una  lieve  probabilità  soltanto  di 
far  minore  la  perdita.  Infatti,  l'illusione  di  chi  governava  e 
consigliava  in  que' frangenti  ebbe  a  essere  grande:  «il  viceré, 
scrive  il  Pitti,  *  non  vedendo  secondo  le  asseverazioni  dei  Me- 
dici comparire  li  persuasi  favori,  stretto  da' viveri,  udì  con 
animo  più  benigno  gli  oratori  fiorentini  »  ;  e  Jacopo  Guicciar- 
dini racconta  non  senza  dispetto  «  che  l'accordo  si  stringeva; 
che  già  delle  prime  due  cose  non  si  ragionava  più  ».2  II  Bo- 
naccorsi  nota  l'angustia  a  cui  il  Cardona  era  ridotto:  «  o 
tornar  indietro  con  quell'accordo  che  avessi  potuto,  o  fare  ul- 
tima forza  di  espugnar  Prato,  copiosamente  pieno  di  vettova- 
glie >.  3  II  Guicciardini,  lo  storico,  aggiunge  che  il  gonfaloniere 
erasi  persuaso  «  contro  la  sua  naturale  timidità,  che  gl'inimici, 
disperati  della  vittoria,  dovessero  da  se  stessi  partirsi  »;  il  Pi- 
stofilo,  che  trovavasi  all'accampamento  degli  Spagnuoli,  scriveva 
a' 26  dell'agosto  a  Ippolito  d'Este:  «se  e' Fiorentini  volessino, 
credo  potriano  dare  una  bastonata  e  fare  danno  e  vergogna  a 
questo  campo  ».^  —  Ma  il  partito  di  negar  le  vettovaglie  pre- 
valse, cospirando  in  questo  avviso  i  palleschi,  i  quali  bramavano 
che  la  disperazione  persuadesse  il  Gardena  al  giuoco  delle  armi. 
Il  giorno  appresso  i  nemici  alloggiarono  a  Gampi.  Il  Soderini  se 
ne  maravigliò.  5  «  Ghi  voi  sapete,  scriveva  il  Bonaccorsi  a  Nic- 
colò, vuole  ch'io  vi  facci  intendere  che  voi  sollecitate  costi  a 

fare  qualche  provvedimento fate  quello  buono  potete  che  il 

tempo  non  si  perda  in  pratiche  ».  — 

Infatti  delle  Pratiche  il  gonfaloniere  non  voleva  più  sa- 
perne e  non  a  torto,  perchè  in  quelle  i  medicei  avevano  stil- 


1  Pitti,  Storia,  loc.  cit.,  pag.  110. 

*  Iac.  Quicciabdini,  loc.  cit. 

'  Bonaccorsi,  Diario^  pag.  181. 

*  Guasti,  Sacco  di  Prato,  voi.  ii,  pag.  102. 

*  Bibl.  Naz.,  Doc.  M.,  busta  v,  n.  106.  Blasius  (Bonaccorsi).  N.Macl.  secr.  in  campo, 
«  ex  palatio,  die  xxtij  augusti  1512,  bora  22»:  « ...  questo  yenire  el  campo  nimico  stasera 
ad  Campi  per  alloggiami,  non  li  piace  punto  et  maravigliasene  ». 


Digitized  by 


Google 


586  CAPO  SETTIMO.  [libbo 

lato  tutto  il  proprio  veleno.  Al  Consiglio  del  popolo  non  ri- 
correva, perchè  poca  utilità  di  consulta  poteva  attendersene; 
sapendo  d'aver  quivi  la  maggioranza  assicurata,  ogni  volta  che 
non  chiedesse  stanziamenti  di  danaro.  Si  fidava  che  il  Segre- 
tario facesse  quel  bene  che  potesse;  non  aveva  più  attorno  nes- 
suno e  lo  sgomento  della  solitudine  lo  pigliava.  Venne  il  di  28, 
e  gli  Spagnuoli  dettero  il  primo  Assalto  a  Prato:  ruppero  il 
muro,  sbigottirono  i  difensori;  e  nella  notte  passato  il  BiseD2Ìo, 
fecero  poi  impeto  più  feroce.  Occuparono,  saccheggiarono  la 
terra,  uccisero  uomini,  violarono  donne  e  chiese,  empierono  tutto 
di  stupri  e  di  sacrilegi.  —  E  i  fanti?...  e  il  battaglione  dell'ordi- 
nanza?... e  i  condottieri?  o  vili,  o  aggirati  dal  tradimento  non  re- 
sistettero: gittarono  Tarmi,  s'arresero,  fuggirono.  —  «  Gli  Spa- 
gnuoli rimasero  stupiti  che  in  uomini  militari  potesse  regnare 
tanta  viltà  e  si  poca  esperienza  ».  —  Cosi  s'esprime  con  im- 
passibilità crudele  il  Guicciardini,  ^  che  alle  fanterie  comunali 
non  aveva  mai  creduto,  che  le  giudicava  una  fantasticheria  de- 
,  mocratica  del  Machiavelli.  Il  Segretario  fu  ferito  per  tanta  viltà 
nel  più  vivo  dell'animo.  Oramai  la  reputazione  di  quelle  fan- 
terie statuali  era  perduta.  Di  quegli  orrori  pratesi  si  parlava 
per  ogni  dove:  l'ambascia,  la  ferocia,  la  delusione  di  que'giomi 
fu  eternata  in  poemi,  in  canzoni,  epistole,  narrazioni,  ricordi.* 
Lamentavano  quei  poveri  cittadini,  d'essere  stati  barbaramente 
manomessi  per  avere  avuto  fede  in  Firenze  e  nelle  sue  milizie: 

Perchè  sttmaron  qnel  che  si  parlava 
per  la  Toscana  di  questi  soldati.' 

Niccolò  quando,  nella  sua  lettera  ad  una  signora  bmie  af- 
fetta ai  Medici,  giunse  colla  narrazione  al  sacco  di  Prato,  non 
volle  riferirne  i  particolari  —  «  per  non  le  dare  molestia  d'animo  >. 
—  Ma  quella  molestia  d'animo  il  cardinale  de'  Medici  la  portò 
pur  con  sé  fino  alla  morte.  Vuol  la  leggenda  che  negli  ultimi 
suoi  momenti  Prato  ancor  lo  atterrisse  :  <Praium  me  terrei  !>  ;* 
e  la  tradizione  domestica  corse,  che  il  Machiavelli  facesse  poi 

1  GciCGiABDiKi,  St.  d'Italia,  lib.  xi. 

>  Ne  raccolse,  annotò,  pubblicò  primieramente  Atto  Vannucci.  Cf.  Archivio  slorieo  U., 
serie  P,  voi.  i.  Tre  narrazioni  del  sacco  di  PratOf  col  poemetto  di  Stefano  Quizzalotti, 
in  terza  rima.  —  Ultimamente  il  Guasti,  op.  cit.,  voi.  ii,  Bologna,  18S0. 

>  Guizzalotti,  Il  miserando  sacco  di  Prato. 

*  Cf.  C.  Guasti,  loc.  cit.,  Prefazione.  —  A.  Vannuoci,  loc.  cìt ,  pag.  MS  e  segg.  — 
Scipione  db*  Ricci,  Memorie,  t.  i,  pag.  52:  «  Fui  pure  assicurato  che  fra  le  filze  di  me- 
morie attenenti  alla  chiesa  di  Prato  ed  esistenti  presso  una  famiglia  che  vi  ebbe  un  vica- 
rio,  vi  sia  un  progetto  del  nostro  segretario  Niccolò  Machiavelli  dove  si  determinano  anche 
i  confini  della  diocesi  da  assegnargli  ». 


Digitized  by 


Google 


SECOimo]  IL  SACCO  DI  PRATO.  '  587 

una  proposta  per  determinare  i  confini  diocesani  di  quella  sven- 
turata terra,  cui  i  Medici  dettero  a  intendere  di  voler  ristorarla 
del  danno  irreparabilmente  sofiferto. 

La  notizia  dell'atrocità  commessa  a  Prato  perturbò,  spaurì 
Firenze;  si  sgombrarono  case  e  botteghe;  le  donne  rifuggivano 
ne'  monasteri  :  non  si  voliere  alloggiare  in  città  i  battaglioni 
e  le  genti  d'arme  «  perchè  si  diffidava  di  loro  ».^  —  •<(  Non- 
dimanco,  scrive  il  Machiavelli,  il  gonfaloniere  non  si  sbigotti  ».^ 
—  Ma  era  forte  e  serena  fermezza  la  sua,  per  cui  dinnanzi  al 
pericolo,  vedeva  più  certamente  tracciato  il  sentiero  che  gli 
restava  a  percorrere?...  —  Ei  si  confidava  «  sulle  grate  offerte 
che  pochi  di -avanti  gli  erano  state  fatte  dal  popolo  >.3  Opi- 
nione vana!  notava  il  Segretario,  conoscendo  che  gli  uomini 
«  offeriscono  il  sangue,  la  roba,  la  vita,  i  figli,  quando  il  bi- 
sogno è  discosto  ;  ma  quando  ti  sì  appressa,  si  rivoltano  »;  ^ 
ciò  non  ostante  l'imperturbabilità  di  Piero  era  ancora  degna 
d'ammirazione. 

Il  Gardena  dopo  una  vittoria  non  ammetteva  più  i  patti 
di  prima;  voleva  più  denari,  voleva  i  Medici  a  ogni  modo  re- 
stituiti nella  patria  e  ne'  beni;  avrebbe  a  queste  condizioni  fatto 
ancora  l'accordo.  E  qualcuno  «affezionato  alla  libertà »5  scon- 
giurava il  Soderini  che  adcettasse  ogni  patto,  purché  l'esercito 
sgombrasse  dal  territorio  :  «  i  Medici,  gli  dicevano,  rimessi  con 
le  leggi  non  avrebbero  avuto  più  autorità  di  quelle  >;  ma  Piero 
stava  ostinato:  avrebbe  dato  ogni  somma  di  denaro,  purché 
quella  genia  tirannica  restasse  fuori  !  —  0  la  guerra  o  i  Medici, 
intimò  invece  il  Cardona.  E  il  sacco  recente  dato  da'  marrani 
rimpiccinì  il  cuore  di  tutti.  In  Firenze  «  si  temè  degli  Spa- 
gnuoli,  si  temè  degli  assoldati,  che  non  cogliessero  occasione 
di  far  disordine;  si  sperò  nella  novità  >:  si  cominciò  a  dire  che 
«  per  salvare  un  solo  non  era  da  mettere  a  pericolo  un  popolo  »,<^ 
«  il  timore  cominciò  ad  essere  accresciuto  da  tutta  la  nobiltà, 

1  QuiccUKDiNi  Ikt.y  leu.  cit. 

*  Machiayblli,  Lettera  a  una  Signora. 

*  Neir  Apografo  del  Ricci,  ma.  A,  il  presente  brano  è  dato  a  questo  modo  :  «  il  gon- 
faloniere non  si  sbigotti  fondandosi  in  certe  sue  vane  *  oppenioni  »;  e  in  margine  alPaste- 
risco  risponde  questa  nota  :  «  le  grate  offerte  che  pochi  di  avanti  gli  erano  sute  fatte  dal 
popolo  ».  Oli  altri  Apografi,  compreso  il  barberiniano,  incorporarono  nel  testo  la  nota,  la 
quale  entrò  cosi  anche  nelle  edizioni. 

*  Machiavelli,  7/  Principe,  capo  xvii. 

*  Vbttobi,  Storia  A* Italia,  pag.  291.  —  Machiavelli,  lett.  cit.  —  Bonaccobsi,  Diario.  — 
Odasti,  Sacco  di  Prato,  I^ettera  degli  oratori  Ormannoszo  Dati,  Niccolò  del  Nero,  N.  Va- 
lori, B.  Carducci,  «  addi  30  agosto  ». 

'  Iac.  Guicciabdini,  lett.  oit. 


Digitized  by 


Google 


588  CAPO  SETTIMO.  [libeo 

che  desiderava  mutare  ìo  stato  ».i  S'era  già  determinato  di 
fermare  l'accordo  a  qualunque  patto  col  Viceré,  quando  la 
violenza  incominciò  a  prorompere.  Sulle  due  ore  di  notte  del 
lunedi,  penultimo  d'agosto  (è  il  Machiavelli  solo,  testimonio  di 
veduta,  che  ci  oflfre  questi  particolari),  *  data  appena  la  com- 
missione del  trattato  agli  oratori,  il  palazzo  rimase  senza  guardia. 
Non  è  da  credere  che  il  terrore  soltanto  cagionasse  questo  ab- 
bandonò: l'oro  e  il  tradimento  v'ebbero  parte  per  certo.  La 
Signoria,  scrive  Niccolò,  fu  costretta  a  lasciar  liberi  i  ritenuti. 
In  che  modo  vi  fu  costretta?  furono  i  prigioni  che  tumultua- 
rono? furono  i  loro  consorti  che  sopraggìunsero  a  ripeterli?  ^ 
si  giudicò  prudente,  poiché  tutto  era  spacciato,  cominciare  a 
salutare  il  nuovo  sole  sorgente,  prosciogliendo  gli  amici  de'  Me- 
dici? impenetrabili  misteri  della  viltà,  che  Niccolò  non  conobbe 
o  non  svelò  alla  gentildonna,  la  quale  non  avea  certo  bisogno 
che  le  si  svelassero. 

Per  tutta  quella  notte  in  palazzo  si  stette  trepidanti.  Il 
Sederini,  rimase  solo  con  sé  stesso,  ebbe  a  sentirsi  già  esau- 
torato; e  poiché  «i  figli  di  Bruto»  erano  alle  porte  della  città, 
non  era  incerto  a  cui  nella  dimane  s'aspettasse  soggiacere.  — 
Il  martedì  mattina  gli  sprigionati  medicei  della  sera  innanzi 
si  ripresentarono  a  palazzo  coli'armi.  Dovettero  trovarvi  guardie, 
perché  il  Pitti   parla   di  trecento  fanti   volterrani,^  e  Jacopo 

>  Machiavelli,  Lett.  ad  una  Signora. 

*  Machiavblli,  Ioc.  cit.  II  Vettori,  che  dopo  il  Machiavelli  ci  offre  la  testimonianza 
più  autorevole,  pone  il  fatto  dell*  invasione  del  palazzo  e  della  richiesta  dei  ritenuti  a  dì 
31  d*agosto  {St.  d'ItaUaf  Ioc.  cit.,  pag.  292).  —  II'  Bonaccobsi  non  parla  de*  prigioni  rila- 
sciati e  solo  accenna  airespulsione  del  gonfaloniere,  «  addi  ultimo  d'agosto  ».  —  Iac.  Guic- 
ciABDiisi  nella  lett.  cit.  tace  de*  prigionieri  e  mette  la  cacciata  del  gonfaloniere  «  a*  dì  trenta  ». 
—  Fr.  Guicciardini,  nella  Storia  d'Italia  (lib.  xi):  «la  mattina  del  secondo  dì  dalla  per- 
dita di  Prato,  che  fu  l'ultimo  giorno  di'  agosto  ».  Il  Pitti,  Apologia  de'Cappueci.  pag.  311 
e  segg.,  sembra  non  contradire  alla  data  del  Guicciardini.  —  Il  Nardi,  Storie  di  Fir9ns€f 
lib.  V,  non  parla  neppur  egli  de*  prigioni  rilasciati,  ma  «  a  di  ultimo  d'agosto  »  pone  l'in- 
vasione del  palazzo,  e  lo  fa  occupare  da  «  Francesco  e  Paolo  Vettori,  Baccio  Valori,  i  ligliuoli 
di  Bernardo  Rucellai,  con  più  altri  della  medesima  famiglia  parenti  stretti,  o  vero  depen- 
denti dall'autorità  loro,  e  Francesco  e  Domenico  di  Girolamo  Rucellai,  Anton  Francesco 
di  Luca  d'Antonio  degli  Albizi,  Gino  di  Neri  Capponi  e  i  figliuoli  e  nepoti  di  Piero  Toma- 
buoni,  e  altri  di  quella  famiglia,  e  Giovanni  di  M.  Guidantonio  Vespucci,  e  altri  a  costoro 
aderenti,  che  in  tutto  non  ascendevano  al  numero  di  trenta  persone  ».  A  tanto,  come  ve- 
demmo più  sopra,  si  faceva  ammontare  il  numero  de*  ritenuti  in  palazzo;  cosi  che  questi 
particolari  del  Nardi  sembrano  venire  a  conferma  della  narrazione  del  Machiavelli  ;  come 
il  Pitti  {Apologia  de'Cappuccif  pag.  312)  viene  in  appoggio  del  Nardi  affermando  che  «  co- 
testi primi  giovani  che  entrarono  in  palagio,  vi  entrarono  con  molti  e  non  con  pochi  ».  Vedi 
in  Appendice  la  Deliberazione  per  cui  furono  rilasciati. 

*  Pitti,  Apologia  de'Cappucci,  pag.  312.  —  Storia  di  Firenze,  pag.  102,  dice  che  il 
Sederini  «  quietato  il  tumulto  di  trecento  volterrani  (guardia  del  palagio)  in  suo  favore  su- 
scitato, a  casa  il  Vettori  se  ne  andò  ».  —  Quel  tumulto  non  dovette  esser  cosa  seria,  se 
non  ebbe  conseguenze  e  se  tutti  gli  altri  storici  poterono  non  tenerne  parola. 

*  Cambi,  Ioc.  cit.,  pag.  308.  —  Iac.  Guicciardini,  lett.  cit.  - 


Digitized  by 


Google 


secondo]  il  gonfaloniere  PERPETUO  È  DEPOSTO.  589 

Guicciardini  accenna  che  i  rivoltosi  «  passarono  la  catena  quasi 
per  forza  »A  Quattro  di  loro  giunsero  al  gonfaloniere:  Baccio 
Valori,  Paolo  Vettori,  Gino  Capponi,  Anton  Francesco  degli 
Albizi;  e  gì*  intimarono  di  risolversi,  giacché  ei  non  doveva 
permettere  che  la  città  andasse  per  cagion  sua  a  preda  e  a 
fiamme.  La  Signoria  sedeva  frattanto  nel  Consiglio  degli  Ot- 
tanta, insieme  colla  Pratica.  I  congiurati  avevano-  poste  le 
sentinelle  all'uscite  :  *  non  v'era  scampo.  Il  gonfaloniere  a'  modi 
insolitamente  spicci  di  que'  giovani  rispondeva  «  con  parole 
grate  ed  umane,  ma  senza  venire  a  conclusione  »,3  cercando 
godere  anche  una  volta  «  il  beneficio  del  tempo  »  ;  e  facea 
per  ritrarsi  ad  altra  stanza,  quando  l'Albizi  gli  mise  le  mani 
addosso,  e,  come  il  Vettori  racconta,  poiché,  in  questa  nar- 
razione, gli  eufemismi  delle  storie  interessate  abbondano,  «  lo 
prese  per  la  veste  »,  Il  Soderini  a  quel  punto  si  senti  mancar 
l'animo:  egli  non  era  né  Mario  né  Cesare,  né  aveva  forza  col 
gesto  e  col  guardo  d'atterrire  chi  l'assaliva.  —  «  Campatemi 
la  vita  »  disse  (e  lo  scrive  il  Cambi  ^  che  gli  è  tra'  più  afiezio- 
nati).  Coloro  non  volevano  altro  e  «  gliel  promisono  ».  — 'E 
negli  estremi  momenti,  in  cui  aveva  bisogno  di  persona  fidata, 
Piero  Soderini  chiamò  Niccolò  Machiavelli  e  lo  mandò  a  Fran- 
cesco Vettori,  pregando  che  questi  si  recasse  a  lui.  Il  Vettori, 
deputato  dai  Dieci  a  commissario  sopra  i  soldati,  consapevole 
dell'attentato  del  fratello  Paolo,  e  dedito  ai  Medici,  «  voleva  (ed 
è  lui  proprio  che  lo  confessa)  montare  a  cavallo  per  uscire  dalla 
città  ».  Nondimeno  il  Segretario  valse  a  trattenerlo,  a  convincerlo 
che  il  compiacere  al  gonfaloniere  era  cosa  opportuna  e  pietosa. 
Egli  andò;  ma  si  giustificò  poi  a*  medicei  che  glielo  rimprove- 
rarono, come  se  fosse  andato  per  obbligo  o  per  forza.^  Trovò 


^  Iac.  Guicciardini,  lett.  cit. 

*  Machiavelli,  lett.  cit.  :  «  occnpati  tutti  1  luoghi  per  sforzare  il  gonfaloniere  a  partire  ». 

•  Vettori,  loc.  cit 

^  Cambi,  Storia,  loc.  cit.,  pag.  306. 

<  Vettori,  St.  d'Italia,  pag.  292:  «  Ed  avendo  inteso  quello  era  seguito  in  palazzo,  né 
potendo  essere  contro  il  fratello,  senza  manifesto  pericolo,  né  volendo  per  modo  alcuno 
essere  contro  al  Gonfaloniere  ed  al  Palazzo,  voleva  montare  a  cavallo  per  partirsi 
dalla  città;  ma, facendogli  Niccolò  l'ambasciata  per  parte  del  Gonfaloniere,  n'andò 
subito  a  lui  »,  ecc.  —  In  questa  transizione  del  1512  è  notevole  per  quasi  tutti  gli  storici 
fiorentini  il  proposito  di  riuscire  apologetici  di  so  e  de*  suoi,  accusatori  d'altrui  ed  ipocri* 
ticì  sempre,  h* Apologia  de' Cappucci  tartassa,  e  spesso  a  ragione,  il  Guicciardini;  e  la 
Storia  del  Pitti  è  tutta  ordinata  a  contrastargli  e  stabilire  i  fatti  oppostigli  in  quella.  Il 
Nardi  (lib.  v)  fa  digressioni  per  scagionare  sé  e  Raffaello  Nardi,  suo  fratello,  di  non  aver 
provvisto  il  castello  di  Campi,  accusando,  ma  senza  fare  i  nomi,  uno  o  più  del  magistrato 
do*  Dieci.  Il  Machiavelli,  nella  citata  lettera  ad  una  gentildonna,  le  confessa  che  nell'e- 
sporle il  successo  de*  casi,  «  non  à  voluto  inserire  quelle  cose  che  la  potessero  offendere. 


Digitized  by 


Google 


590  CAPO  SETTIMO.  [l 

il  Soderini  «  solo  e  impaurito  »,  che  gli  si  raccomandò  di  non- 
essere offeso,  che  si  mise  sotto  alla  protezione  di  lui,  e  offerse 
di  lasciare  il  palazzo,  pur  che  gli  si  desse  certezza  di  non  essere 
ammazzato.  Francesco  se  ne  fé'  dar  parola  dagli  altri  congiu- 
rati, e  questi  proffersero,  alla  loro  volta,  di  accompagnarlo  si- 
curo alle  case  sue.  I  Dieci  «  si  cavaron  cosi  la  rabbia  Anal- 
mente dr  vederlo  uscire  >.^  Chi  aveva  simulato  sin  allora,  fu 
palese:  «scopersesi  Lanfredino  e  qualcun  altro  >,  scrive  Jacopo 
Guicciardini,  e  anch'essi  lo  presero  per  mano,  ad  accompagnarlo. 
Aveva  in  dosso  una  gabbanella  di  raso  chermisino:  potè  giun- 
gere sino  al  ponte  a  santa  Trinità;  poi  non  resse  più  «  all'af- 
fanno e  alla  paura  ».  Pregò  i  Vettori  di  ripararlo  nelle  case 
loro,  lung'Arno,  dietro  la  loggia  de' Frescobaldi;  e  ne  fu  com- 
piaciutot  Madonna  Argentina,  sua  moglie,  che  non  seppe  eser- 
citar mai,  né  per  lui  né  per  la  cosa  pubblica,  l'efficace  virtù 
di  una  madame  Roland,  che  non  valeva  per  ingegno  quel  che 
l'Alfonsina  pe'  Medici,  levata  di  palazzo  da  alcuni  nobili  cit- 
tadini, si  chiuse  nel  monastero  delle  Murate.  Paolo  Vettori 
strappava  intanto  ai  Collegi  radunati  la  deposizione  del  gon- 
faloniere. E  siccome  questi  indugiavano  per  non  saper  moti- 
varla: «  voi  gli  volete  far  bene  a  non  cassarlo,  esclamò,  e 
faretegli  male,  perch'io  non  posso  tenere  quel  popolo,  che  lo 
vogliono  tagliare  a  pezzi  ».*  E  cosi  fu  deposto,  «  e  la  notte  ve- 
gnente, conclude  il  Machiavelli,  con  buona  compagnia,  di  con- 
sentimento.  dei  Signori,  si  condusse  a  Siena».  — 

Quel  «  di  consentimento  de'  Signori  »  era  gittate  li  astu- 
tamente per  dare  a  credere  che,  se  la  violenza  aveva  avuto 
qualche  parte  nel  successo,  non  era  mancata  la  legalità  a  san- 
zionarla ;  che  poteva  esser  mutata  la  persona,  ma  la  repubblica 
stava  ancora  ritta  e  inalterata.  Ma  lo  pensava  o  lo  sperava 
davvero  il  Segretario?  —  Egli  era  rimase  in  palazzo,  poi  che  il 
Soderini  erane  uscito;  aveva  assistito  a  tutto,  era  stato  inter- 
medio onesto  di  quell'azione  disonesta.  Non  si  era  illuso  mai 
circa  le  intenzioni  de'  palleschi  ;  né  aveva  confidato  gran  fatto 
nella  prudenza  e  nella  valentia  del  Soderini;  ma  di  saper 
morire  con  dignità  e  nella  dignità,  lo  avrebbe""  tenuto  capace. 
Il  testamento  fatto,  l'ostinazione  mostrata,  l'appello  al  popolo, 


come  miserabili  o  poco  necessarie.  Nelle  altre  si  è  allargato  quanto  la  strtttessa 
di  una  lettera  richiede  ». 

^  Cambi,  pag.  308.  Iac.  Guicciardini,  lett.  cit.,  pag.  101. 

*  Cambi,  pag.  310. 


Digitized  by 


Google 


awJONBo]  AVVILIMENTO  DI  PIERO  SODERINI.  591 

la  risoluta  risposta  agli  ambasciatori,  la  previsione  delle  umi- 
liazioni che  l'aspettavano,  gliene  davano  argomento.  I  grandi 
esempi  delle  storie  antiche,  il  culto  e  la  superstizione  comune 
verso  ogni  classica  idea,  l'esempio  vivo  del  Giaoomini,  che 
«  privato,  era  senza  parte  e  senza  ambizione  alcuna;  quando 
pubblico,  era  solo  desideroso  della  gloria  della  città  e  laude 
sua  e  severo  nel  servare  la  pubblica  maiestà  »,i  parevan  dovere 
incorarvelo.  E  quel  meschino  vi  si  era  provato,  e  gli  era  parso 
fortezza  la  testardaggine,  singolarità  l'isolamento;  ^  ma  la  tempra 
sua  non  reggeva  neppure  ad  eroismi  momentanei,  come  quelli 
di  Pier  Capponi.  Non  aveva  saputo  prima  somigliare  a  Bruto, 
quando  il  Giacomini  ve  l'incitò;  dovea  perdere  poi  «insieme 
con  la  patria  sua  lo  stato  e  la  riputazione  ».^  Niccolò  Machia- 
velli non  l'avea  ritenuto  mai,  neppur  da  principio,  per  pietra 
soda  ^  della  libertà  fiorentina  ;  ma  quando  lo  vide,  dopo  tanta 
imprudenza,  irresolutezza,  ostinazione,  tremare  dinnanzi  ai  ca- 
tilinari che  l'opprimevano,  innanzi  ai  traditori  che  sogghigna- 
vano e  l'avevano  tratto  all'agguato,  innanzi  alla  moltitudine 
che  lo  compassionava;  quando  lo  vide  tremando  lasciar  l'uflScio 
supremo  senza  rassegnare  neppure  i  poteri,  senza  neppure  at- 
tendere la  formalità  precedente  della  deposizione;  tremando 
.uscire  di  palazzo  e  mancar  sulla  strada,  fin  d'allora  gli  gridò 
in  cuor  suo:  anima  sciocca!  sentenziandolo  al  limbo.^ 

*  MACHUVBI.LI,  Nature  A'w)mini  fiorentini. 

*  Tutti  gli  storici,  dfU  più  aderente  alla  casa  Medici  al  più  popolare  e  soderinesco.  gli 
rimproverano  :  «  la  vanità  del  suo  consiglio,  lo  spavento,  la  perdita  della  riputazione  e  del- 
Tautorità,  l'irresolutezza,  non  provvedendo  a  cosa  alcuna,  né  per  la  conservazione  di  sa 
medesimo,  né  per  la  salute  comune  »  (Gdicciardini,  Storia  d'/t.,  lib.  xi)  ;  che  non  seppe 
essere  «  principe  né  cattivo  né  buono  »,  che  «  avvili  e  fu  cacciato  di  palazzo,  senza  far 
nessuna  di  quelle  difese  che  ancora  si  sarebbero  potute  fare  »  (Nebli,  Commentari,  p&g.  109, 
110,  il  quale  è  quello  che  soprattutto  raccoglie  il  pensiero  del  Machiavelli),  lì  Vettori 
(loc.  cit.,  pag.  1^1)  ipocritamente  «  che  la  mala  fortuna  della  città  lo  ritraeva  da  fare  quello 
che  conosceva  essere  a  beneficio  di  essa  ».  —  Il  Nardi  (lib.  v),  che  non  à  intenzione  di 
biasimarlo,  ma  ne  esalta  la  innocenza  e  la  nettezza,  racconta  che  conoscendo  egli  le  ma- 
lignità de*  faziosi  che  lo  volevano  fuori  di  palazzo,  «  per  fuggire  ogni  cagione  di  Beandolo, 
se  n*era  voluto  per  sé  stesso  andare,  ma  non  era  stato  lasciato  partire  dalla  Signoria  né 
dagli  altri  cittadini  che  si  trovavano  presenti  ».—  Il  Cambi  (loc.  cit.,  pag.  307):  «  e  *1  detto 
Ghonfaloniere  non  aveva  persona  che  lo  chonsigliassi,  perchè  non  s*avea  riserbato  per- 
sona, che  volea  fare  ogni  chosa  dassè,  chessegli  attendeva  al  consiglio  del  popolo,  era 
viptorioso  la  ciptà  ellù  ».  Nel  ms.  ottob.  2147  della  Bibl.  Vat.,  che  contiene  Narrationi  de 
alcune  cose  successe  in  Fiorenza  dall'anno  252  ia%sino  al  i532  cavate  da  un  priorista 
(pag.  216),  si  racconta  a  dirittura:  «  a' di  31  d.^  Piero  Soderìnl  Gonfaloniere  a  vita  si  fuggi 
di  palazzo  ». 

*  Machiavelli,  Discorsi,  lib.  in,  cap.  3^.  Dice  Invece  del  Giacomini  (Nature  d'uom. 
fior):  «  Né  veruna  cosa  forte,  animosa  o  pericolosa  era  conceduta  ad  altri  che  a  lui,  né 
altri  più  volentieri  l'accettava.  Donde  non  solo  crebbe  il  suo  nome  in  Firenze,  ma  in  tutta 
Toscana;  e  cosi  Antonio,  incognito' prima,  ed  oscuro,  acquistò  reputazione  in  quella  città, 
dove   tutti   gli   altri   chiari   e.  riputati   cittadini   Tauenano   perduta». 

*  V.  a  pag.  309-310. 

■  Y.  VEpigramma  in  morte  di  Pier  Sederini,  a  pag.  3S  in  nota.  Parecchi  anni  dopo, 


Digitized  by 


Google 


592  CAPO  SETTIMO.  [libro 

Ma  quel  che  passava  in  cuor  suo  allora  il  Cancelliere  della 
seconda  cancelleria  non  aveva  né  dritto  né  voglia  d'esprimere; 
dacché  una  naturai  legge  di  convenienza  gli  faceva  sentire 
che  dalla  fede  ch'egli  era  per  mostrare  a  chi  cadeva,  si  sa- 
rebbe misurata  quella  ch'avrebbe  saputo  servare  a  chi  stava 
per  sorgere.  E  poi  ch'egli  aveva  atteso,  sino  agli  ultimi  sgoc- 
cioli delle  cose,  a  servir  la  libertà  e  il  gonfaloniere  con  un  fer- 
vore d'affetto  che  poteva  essergli  attribuito  a  passione,  cominciò 
a  raccapezzare  quel  che  restava  delle  cose  sue,  a  domandare 
a  sé  stesso  se  egli,  che  non  aveva  né  tremato  né  esitato,  avesse 
anche  ad  essere  una  vittima;  cominciò  a  cercar  la  proporzione 
fra  sé  e  le  vicende  esteriori  ch'erano  per  determinarsi,  senza 
aver  altra  certezza  di  termini  che  questa:  da  una  parte  cioè 
la  necessità,  la  brama  di  rimaner  cancelliere,  colla  coscienza 
di  non  aver  in  nulla  demeritato  del  pubblico;  dall'altra  la  con- 
sapevolezza che,  qualunque  mai  forma  fosse  per  assumere  lo 
stato,  i  Medici  sarebbero  certo  ritornati  in  Firenze. 

Ora,  ninno  alla  bella  prima  avrebbe  ragione  ai  nostri 
tempi  di  levarsi  a  condannare  il  desiderio  di  lui  di  restare 
nella  cancelleria  al  suo  posto.  Poteva  ben  essere  nella  città 
chi  lo  avesse  calunniato  quale  arnese  soderinesco  ;  ma  egli  non 
era  entrato  a'  servigi  della  città  co'  Sederini  né  per  mezzo  di 
essi;  e  se  la  fortuna  di  questi  vacillava,  la  repubblica  stava 
ancora,  né  della  necessaria  persistenza  della  sua  forma  libera 
era  possibile  levar  dubbio,  neppure  ai  nemici  di  lei  più  accaniti.^ 
Poteva  bensì  essere  accusato  di  tendenze  soverchiamente  po- 

TAmmirato  (Storie  fiorentine,  lib.  xxyiii,  in  fine)  giudicava  a  questo  modo  del  gran  riduto 
fatto  dal  gonfaloniere  perpetuo  :  «  Questo  fine  ebbe  l'autorità  e  grandezza  di  Piero  Soderini  in 
Firenze,  uomo  di  buona  mente  e  amatore  della  libertà  della  sua  patria,  e,  ove  dal  timore 
non  era  sopraffatto,  di  prudente  e  moderato  consiglio;  ma  il  quale  restò  in  modo  da  que- 
st'ultima azione  oscurato,  non  si  essendo  veduta  in  lui  deliberazione  alcuna  magnanima, 
che  se  la  pietà  delle  sue  sciagure  noi  rendesse  ancor  oggi  nella  memoria  degli  uomini  com- 
passionevole, sarebbe  di  molto  maggior  biasimo  degno  di  quello  ch'egli  non  ò  senza  alcun 
fallo  reputato,  perciocché  gli  uomini,  i  quali  in  ^ran  fortuna  sono  costituiti,  non  solo  a 
quello  debbono  riguardare,  che  in  danno  o  beneficio  di  sé  stessi  ò  sol  per  tornare,  ma  uf- 
ficio loro  è  di  servare  a  lor  sommo  potere  la  dignità  a  quel  grado  in  che  soit  collocati, 
perchè  l'altezza  e  chiarezza  di  quel  luogo  non  resti  nella  persona  loro  macchiata;  onde  sarà 
sempre  celebratissìma  la  memoria  di  Michele  di  Landò,  né  disprezzabile  per  avventura  sarà 
quella  di  Cesare  Putrucci,  i  quali  soli  fra  tutti  coloro  che  in  quel  palazzo  si  son  trovati 
in  qualche  pericolo,  han  mantenuto  salda  e  inviolata  con  presto  e  valoroso  avvedimento 
la  pubblica  riputazione  ». 

»  Fb.  Odicciabdini,  Discorsi  poUlici,  fra  le  Opp.  inedite ^  voi.  ii,  discorso  terzo,  spe- 
culando da  Logrogno  una  nuova  forma  di  repubblica,  dopo  la  decisione  della  Dieta  di  Man- 
tova di  rimettere  i  Medici  in  Firenze,  riconosceva  essere  il  Consiglio  grande  «  una  sostan- 
zialità necessaria  »  (pag.  275).  —  V.  anche  il  Discorso  quartOj  ibid.,  pag.  318.  ove  riconosce 
la  gran  difiicoltà  di  divezzare  i  cittadini  dal  modo  di  governo  «  popolarissimo  e  liberissimo  » 
cui  son  nutriti  ed  avvezzi.  —  Nardi,  Discorso  fatto  in  Venezia  contro  ai  calunniatori  del 
popolo  fiorentino,  ed.  Barbèra,  pag.  265. 


Digitized  by 


Google 


SBCONDo]  IL  MACHIA  VELLI  BRAMA  CONSBR  VARE  V  UFFICIO.  5» 

polari  ;  d'aver  inclinato  coll'animo,  d'essersi  adoperato  col  fatto 
al  trionfo  d'alcune  proposte  incluse  nella  «  sancia  riforma  » 
del  Cocchi;  ed  aveva  realmente  «riaperto  il  tempio  a  Marte»; 
iniziato  cioè,  e  compiuto  l'ordinanza  delle  fanterie  comunali. 
Ma  quelle  fanterie  s'eran  tirato  addosso  tanto  scorno  nei  casi 
della  recente  guerra,  che  l'aver  partecipato  alla  loro  istitu- 
zione poteva  pesare  gravemente  come  un  addebito.  Ma  di 
questo  il  Machiavelli  meno  s' impensieriva,  convinto  che  d'armi 
proprie  necessariamente  dovesse  vestirsi  qualunque  governo;  e 
che,  dove  la  democratia  fosse  per  riuscir  meno  sciatta  e  invi- 
diosa, quell'armi  sarebbero  agevolmente  ordinate  con  mag- 
giore saldezza,  fornite  di  capi,  nudrite  alla  disciplina  e  all'uso 
della  guerra.  ^ 

Scendendo  poi  a  considerazioni  più  minute  e  più  vicine 
alla  persona  di  Niccolò,  egli  non  era  come  vedemmo,  ricco  di 
famiglia;  né  le  sue  abitudini  spenderecce  gli  avevano  fatto  il 
risparmio  facile,  quando  de'  suoi  salari  avesse  pur  potuto  ca- 
varne. Oltracciò  le  gravezze  eran  per  assorbirgli  non  piccola 
parte  della  rendita.  Esercitare  un  officio  per  mantener  con 
decenza  la  famiglia  che  cresceva,  eragli  necessità  a  dirittura. 
Ciò  posto,  per  seguitare  ad  essere  il  Segretario  della  seconda 
cancelleria  nella  repubblica  di  Firenze,  ei  poteva  credere  di 
dover  vincere  opposizióni  di  fatto,  malevolenze  di  nemici,  so* 
spetti  nella  fazione  che  trionfava;  ma  a  ninno  de'  suoi  contem- 
poranei sarebbe  potuto  cader  nel  pensiero  che  il  desiderare 
e  il  procurare  d'esser  conservato  in  ufficio  per  mutazioni  se- 
guite neir  indirizzo  politico  dello  stato,  ad  ogni  partecipazione 
delle  quali  egli  era  nello  stretto  dovere  di  tenersi  estraneo, 
non  gli  fosse  consentito  dal  rispetto  d'ogni  ragione  di  conve- 
nienza verso  di  sé  e  verso  altrui.  Dacché  il  cancelliere  d'una 
Signoria  non  era  già  un  officiale  da  razzolarsi  in  ogni  cate- 
goria d'uomini  a  favore  di  parte;  né  era  facile  voltarsi  facil- 
mente da  questa  ad  altra  professione;  ma  da  lui  si  richiedeva 
quel  che,  a' politicanti  di  fazione,  come  a  di  nostri,  non  era 
chiesto  ;  la  conoscenza  perfetta  in  materia  di  stato,  la  pratica 
estesa  de'  civili  negozi,  l'essere  esperto  notaio,  possedere  cioè 

^  Cf.  a  questo  proposito  Fr.  GuicciABDim,  Opp.  ineàUe,  voi.  ii,  pag.  1^.  Dicono  terso, 
il  quale,  quantunque  sì  dimostii  anche  in  questo  caso  sopraffatto  dalla  sua  natura  scettica 
e  infetto  da  gretta  gelosia  democratica,  riconosce  che  «  questo  fare  la  guerra  coirarmi  sue 
proprie  sarebbe  per  infinite  ragioni  sanxa  comparazione  più  utile  che  l'armi  mercenarie  »; 
ma  aggiunge  poi  :  «  dare  la  somma  a  uno  solo,  ò  pericoloso  ;  tenere  molti  pari  ò  confu- 
sione  ». 

ToMMASiNi  -  Mòchiawlli.  33 


Digitized  by 


Google 


5»4  CAPO  SETTIMO.  [lib»o 

Yars  dictaminis,  e  Teloquenza,  a  tal  grado  da  poter  esser  con- 
siderato come  l'eloquio  decoroso  e  prudente,  come  «  la  lingua 
de'  suoi  signori  >,  '  ed  essendone  la  lingua,  parerne  esterna- 
mente anche  il  pensiero;  essere  cioè  di  una  fede  e  di  un  segreto 
indubitabile.  Questa  la  virtù  massima,  il  requisito  essenziale 
all'ufficio;  ad  offrir  certezza  del  quale  ninna  attestazione  pote- 
vasi  offrir  migliore,  dell'osservanza  usata  già  verso  signorie,  a 
devozione  di  cui  si  fosse  precedentemente  prestata  opera,  per 
quanto  diversa  od  ostile.  Tanto  che  l'aver  mantenuto  fede 
sino  all'ultimo  alla  fazione  nemica  soggiacente,  lungi  dal  for- 
mare una  condizione  incompatibile,  si  poteva  accampare  coi  vin- 
citori siccome  un  vanto  ed  un  titolo  ;  ^  quasi  fosse  compito  dei 
cancellieri  conservare  nella  loro  persona  l'unità  degli  stati  mu- 
tevoli, annestare  le  novità  colle  consuetudini,  ricoprire  la  forza 
colle  forme  legittime,  e  dove  tutto  per  fatti  interni  ed  esterni 
poteva  ne'  nostri  comuni  non  di  rado  alterarsi,  essi  restar  sempre 
incommossi. 

Un  simile  stato  di  relazioni  stabilitosi  fra  loro  e  il  governo 
in  nome  di  cui  parlavano,  aveva  due  conseguenze  diverse  e 
talora  simultanee;  dacché  coloro  i  quali,  per  dirla  a  modo  del 
Segretario  fiorentino,  «  tenevano  una  persona  pubblica  »  ^  per 
poco  che  ricordassero  di  possederne  anche  una  privata,'^  per 
poco  che  mostrassero  passione  propria  in  una  causa  o  in  un 
consiglio,  si  riducevano»  a  sopportare  inesorabilmente  le  vicende 
dell'esito;  e  cadevano  quindi  come  olocausto  della  parte  gra- 
vata. Quando  poi  si  governavano  con  tanto  rigore  di  cautele 
quanto  l'ufficio  loro  pareva  richiedere,  o  per  lo  meno  quando 
se  ne  facevan  coscienza;  assumevano,  senza  avvedersene,  una 
tale  consuetudine  all'indifferenza  degli  eventi  politici,  quanta 

^  V.  a  pag.  157  e  segg. 

■  Cf.  MoBONB,  Epistolae,  loc.  cit.,  «  Illmo  Maxìmillano  Sfortiae  duci  Mediolani  »  (1512, 
4  die),  pag.  255:  «  Itaqae  vel  sola  ratione  coniicere  omnes  possunt,  fidem  hominis  qnae 
cum  barbaris  ad  extremum  usque  remansit  longe  magis  cum  nostris  et  hiis  cum  qnibas 
innata  et  adalta  est,  firmÌBsimam  ardentissimamque  fore,  et  quod  naturale  barbaronim 
odinm  non  dimovit,  longe  minns  alia  quaecumque  vi  motam  iri  ».  E  nella  lettera  a  Oio- 
vanni  Colla  (pag.  261):  «  Ergo  in  fide  defeci  1  fateor  hostem  me  Gallis  dici  posse,  qnod  ipsi 
patrìae  et  principi  hostes  sunt;  sed  non  prius'eis  adversatns  suro,  quam  fuissem  ab  illomm 
ditione  atque  orani  vincalo  liberatus,  tam  quod  polsi  juate  fuerant,  tum  quod  ipsimet  reoa- 
dentes  peculiari  decreto  mihi  ipsi  indulxerant,  ut  mihi  liceret  futurum  dominum  quisquis 
ille  foret  morari  et  eidem  salva  fldei  existimatione  obsequi.  Quid  igitur  est,  quod  obiicere 
mihi  ipsimet  hostes  possint  ?»  —  Con  queste  ragioni  il  Morone  che,  sotto  la  dominazione 
francese  nella  Lombardia,  era  stato  ampiamente  adoperato  da  loro,  credeva  poter  restare 
a*  servici  dello  Sforza,  e  vi  restò. 

»  V.  a  pag.  158. 

*  Machiavelli,  Prindps,  cap.  22:  «  Quello  che  à  lo  stato  d*uno  in  mano,  non  deve 
mai  pensare  a  sé  ». 


Digitized  by 


Google 


•■cordo]  lettera  del  MACHIAVELLI  AD  UNA  SIGNORA.  505 

può  esser  quella  che»  neirordine  naturale,  si  richiede  per  l'in» 
telletto  d'un  fisico;  il  quale  avvisa  e  non  crea  le  patologiche  condi- 
zioni che  scruta.  Di  guisa  che  come  la  medicina,  nell'esercizio, 
diventa  arte,  la  politica  ridotta  a  osservatorio  e  casistica,  diven- 
tava mestiere.  £  di  tutti  e  due  questi  effetti  ebbe  appunto  a  ri- 
sentirsi tanto  la  vita  pratica  quanto  l'intellettiva  del  Machiavelli. 
Per  quel  che  concerne  l'operativa,  ora  il  Segretario  senti  primie- 
ramente il  bisogno  di  provvedere  al  rimedio  ;  ora  che  si  trovò 
solo  e  ricordò  i  maligni  suoi,  querelanti  a'  Conservatori  di  legge. 
Visto  che  non  c'era  tempo  da  perdere,  riflettè  subito  che  il 
miglior  modo  di  persuadere  i  nuovi  signori  ch'egli  non  era 
incompatibile  collo  stato  nuovo,  era  il  mostrare  com'egli  ne  com- 
prendeva 0  rappresentava  l'origine  legittima,  quasi  naturale 
conseguenza  di  quello  precedente,  del  quale  egli  era  a*  servigi. 
Ed  una  lettera  appunto  che  avesse  le  caratteristiche  d'una  rela- 
zione officiosa,  trasmessa  a  persona  che  fosse  nella  più  prossima 
relazione  coi  Medici,  in  forza  del  trattato  riammessi,  gli  parve 
un  mezzo  molto  opportuno  per  accertare  e  giovare  i  suoi  in- 
tendimenti. Gli  fu  questa  lettera  domandata  davvero,  come 
egli  dà  a  credere  nel  preambolo,  e  fu  veramente  diretta  a  ma- 
donna Alfonsina,  come  accenna,  dubitando,  il  Ricci?  ^  La  prima 
questione  è  di  pura  forma,  premendo  per  certo  più  al  Machia- 
velli il  rispondere  che  all'  incognita  gentildonna  il  richiedere 
o  il  ricever  notizie.  Potè  egli  afferrarne  in  aria  una  oppor- 
tuna e  generica  richiesta  che  gli  faceva  gioco  ;  o  essa  averlo 
dimandato  o  per  venirgli  gentilmente  in  aiuto,  o  per  sag- 
giarlo e  perderlo  subito  con  feminea  scaltrezza.  Per  altro  se* 
si  riflette  che  Niccolò  dichiara  scriverle  volentieri  «  si  per 
satisfarle,  si  per  avere  i  successi  delle  novità  onorato  gli  amici 
di  Vostra  Signoria  illustrissima  e  padroni  miei  »  (è  fuor  di  dubbio 
che  il  Segretario  intende  designare  i  Vettori,  i  Rucellai,  i  Sal- 
viati,  non  per  anco  i  Medici  i  quali  volevano  essere  ma  non 
venir  chiamati  padroni),  le  quali  due  cagioni  gli  cancellano 
«  tutu  gli  altri  dispiaceri  avuti,  che  sono  infiniti  »,  si  vede 
chiaro  che  non  c'è  buona  ragione  per  credere  la  lettera  indi- 


»  Il  Ricci,  Noiamenti  premessi  al  Regesto,  v.  App.,  §  xix,  dopo  aver  indicato  corno 
destinataria  di  questa  lettera  l*Alfonsina,  madre  di  Lorenzo  Medici,  aggiunge  che  :  «  po- 
tette anche  essere  scritta  a  madonna  di  Furli  »,  cioè  a  Caterina  Sforza  Medici,  che  fu 
madre  di  Giovanni  delle  Bande  Nere,  la  quale  a  questo  tempo  invece  ets.  morta.  Il  dubbio 
espresso  dal  Ricci  indica  tuttavia  apertamente  che  la  designazione  di  madonna' Alfonsina 
tti  non  la  dette  per  essergli  giunta  da  tradizione  domestica,  ma  per  congettura  propria.  È 
quindi  attendibile  sino  ad  un  certo  segno  e  non  esclude  altre  ipotesi. 


Digitized  by 


Google 


596  CAPO  SETTIMO.  [libbo 

rizzata  più  all'Alfonsina  Medici  che  non  alla  Clarice  Strozzi  o 
alla  Contessina  Ridolfl,  o  alla  Lucrezia  Salviati,  le  quali  due 
ultime  al  cardinale  de' Medici  eran  sorelle. 

Del  resto  se  si  eccettui  lajnenzione  degl'infiniti  dispiaceri 
sofferti,  con  avvedutezza  finissima  il  Machiavelli  si  guarda  nel 
contesto  della  lettera  di  fare  alcun'altra  allusione  a  sé  stesso. 
Evita  ogni  soverchio  nell'espressione;  ogni  parzialità,  ogni  affetto 
nella  narrazione;  <  non  volendo  inserire  quelle  cose  che  po- 
tessero offendere,  come  miserabili  e  poco  necessarie,  quell'illu- 
strissima madonna  >.  È  pur  vero  che  di  questo  scritto  ebbero 
a  formularsi  due  maniere  di  redazione,  l'una  anteriore,  l'altra 
posteriore  a'  di  16  di  settembre;  l'una  in  cui  si  narrava  solo  del 
festoso  ricevimento  fatto  a'  Medici,^  l'altra  in  cui  si  trattava 
della  sconcia  commedia  per  cui  fu  riformato  il  governo  a  be- 
neplacito del  cardinale,  coljo  spauracchio  della  violenza  solda- 
tesca, secondo  il  vecchio  stile  de'  parlamenti,  e  coU'impostura 
de'  plebisciti  scenici  e  tumultuari.  Nel  primo  testo  il  pensiero 
del  Machiavelli  non  apparisce  disinteressato,  ma  non  s*abbassa: 
nel  secondo  mendica  artifici  per  adonestare  fatti  ch'egli  giudica 
in  cor  suo  come  biechi  e  tristi,  e  ricorre  al:  «  rumore  levato 
a  caso  in  piazza  per  il  quale  Ramazzotto  co'  suoi- soldati  ed  altri 
presero  il  palazzo  gridando  palle  palle,  e  subito  tutta  la  città 
fu  in  arme,  e  per  ogni  parte  della  città  risonava  quel  nome; 
tanto  che  i  Signori  furono  costretti  chiamare  il  popolo  a  con- 
ciono, quale  noi  chiamiamo  parlamento,  dove  fu  promulgata  una 
l^gg^)  V^^  1^  quale  furono  questi  Magnifici  Medici  reintegrati  in 
tutti  gli  onori  e  gradi  de*  loro  antenati.  E  questa  città  resta 
quetissima,  ^  e  spera  non  vivere  meno  onorata  con  l'aiuto  loro, 
che  si  vivesse  ne'  tempi  passati,  quando  la  felicissima  memoria 
del  magnifico  Lorenzo  governava  ».  —  Conclusione  che  avviliva 

^  Veggast  quanto  accennammo  in  nota  al  g  xix  dell* Analisi  degli  Apografi  di  G.éLR., 
in  Appendice.  Ecco  del  resto  la  variante  che  occorre  nel  primo  testo  della  lettera,  trasandata 
in  tutte  le  edizioni:  ~~  «  ...  si  condusse  a  Siena.  A  questi  magnifici  Medici,  udite  le  cose 
successe,  non  parve  di  venire  a  Firenze,  se  prima  non  avevano  composto  le  cose  della  città 
col  viceré,  con  il  quale  dopo  qualche  difficultà  feciono  raccordo  ;  et  entrati  in  Firenze  sono 
st&ti  ricevuti  da  tutto  questo  popolo  con  grandissimo  onore  et  reintegrati  in  tutti  li  onori 
et  gradi  de*  loro  antenati.  Et  questa  città  »,  ecc. 

■  A  di  16  di  settembre  mandavasi  la  seguente  circolare  ai  potestà  di  Pisa,  Volterra, 
Poppi,  Arezzo,  Anghiarì,  Borgo,  Montepulciano,  Mugello,  Cortona,  Lari,  Vico  :  «  La  pre- 
sente è  per  farti  intendere  come  hoggi  ad  82  ho  re  s*è  facto  generale  parlamento  Mcondo 
Vordinario;  nel  quale  8*è  dato  pienissima  auctorità  a  50  cittadini  di  riformare  tutto  lo  stato 
della  città;  et  le  altre  cose  tucte  sono  quiete;  ne  ci  è  seguito  uno  minimo  scandob imt  la 
grcMa  di  dio;  né  offeso  alcuno;  attenderassi  ora  quietamente  ad  comporre  il  resto:  il  che 
ti  si  scriue  per  informatione  tua  ».  —  (Arch.  fior..  Dieci  di  Balia,  Carteggio  missive  97,  ci.  x, 
dist.  3,  n.  138,  pag.  58t.)  Era  a  questo  modo  che  i  Medici  potevano  bramare  che  si  scrivesse. 


Digitized  by 


Google 


secondo]  /  MEDICI  TORNA  TI  IN  FIRENZE.  597 

Niccolò  e  non  dava  bastante  soddisfazione  agli  oppressori; 
poiché  essi  non  erano  venuti  per  dare  aiuto  ma,  per  pigliare 
l'autorità  ;  né  il  rumore  era  stato  levato  a  caso,  né  poteva  darsi 
ad  intendere;  ma  bisognava  fargli  plauso  e  non  scusarlo.  Ed  il 
popolo  era  stato  chiamato  a  conciono^  ma  non  si  voleva  confes- 
sare che  la  Signoria  v'era  stata  costretta;  e  non  è  dubbio  che 
se  questo  secondo  testo  della  lettera  capitò  agli  occhi  de'  Me- 
dici, fu  questo  probabilmente  che  li  determinò  a  non  fidarsi 
mai  più  del  Machiavelli. 

Del  resto  la  natura  degli  avvenimenti  che  in  que'  giorni 
si  eran  compiuti  in  Firenze  aveva  sopraffatto  ogni  proposito, 
ogni  previsione.  Quando,  non  appena  partito  Piero  Sederini,  fu 
visto  l'Albizi  audace  andare  a  prendere,  di  suo  capo.  Giuliano 
Medici  e  recarselo  in  casa  senza  aspettare  che  fosse  colle  vo- 
lute formalità  liberato  del  bando,^  non  pochi  credettero  che  il 
Consiglio  fosse  spacciato  e  che  la  signoria  medicea  si  sarebbe 
affermata  subito  con  insolita  e  cruda  affettazione;  *  ed  ebbe  Nic- 
colò medesimo  ad  essere  fra  coloro  che  cosi  pensarono.  Ma 
poi,  quando  vide  due  di  casa  gli  Albizi  a  nome  e  per  mandato 
di  tutta  la  famiglia  andare  a  scusarsi  colla  Signoria;  quando 
vide  Giuliano  e  Lorenzo  diportarsi  modestamente  in  ogni  cosa, 
vestir  senza  pompa,  passeggiare  senz'accompagno,  radersi  al- 
l'uso fiorentino,  chiedere  a'  Signori  il  partito  del  loro  riban- 
dimento;  quando  osservò  Giuliano  render  visita  riverente  ad 
Antonio  Giacomini,  che  stiacciò  il  cordoglio  e  l' ironia  dell'anima 
in  un  complimento,  pur  dì  non  dissimulargli  il  v^ro  ;  ^  credette 
ancora  che  l'azzurra  bandiera  della  libertà  sarebbe  rimasta  a 
sventolare  al  balcone  di  Palazzo,  che  la  repubblica  non  fosse 
cosi  morta,  come  pretendevano  i  palleschi;  che  la  fazione  dei 
nobQi,  congiuntasi  occasionalmente  con  loro,  trescante  fra  il 
popolo  e  i  Medici,^  potesse  ottener  cangiamento  d'uomini  e  non 
d' istituzioni;  e  che  i  due  più  giovani  rampolli  della  famiglia 

1  Cambi,  Storie,  Ice.  cit.,  pag.  311. 

*  Iac.  Guicciardini,  loc.  cit.,  pag.  102. 

*  Il  Pitti,  VUa  d'Antonio  Oiacomini,  pag.  265,  rende  il  significato  delle  parole  del  Gia- 
comiiii  assai  meglio  del  Nakdi,  V.  d.  A.  G.  (pag.  188):  «  e  salutatolo  amorevolissimamente, 
li  rispose  Antonio,  che  si  doleva  d*essere  in  quel  grado  cattivo  ;  perciocché  sua  Magnifi- 
cenzia  non  avrebbe  avuto  a  spendere  quelli  passi.  La  quale  risposta,  ancora  che  Giuliano 
la  ricevesse,  che  Antonio  sarebbe  andato  per  il  debito  suo  a'visitare  lui,  penetrò  in  alcuni 
maligni  interpreti,  che  egli  presumesse  tanto  di  sé,  che  s'ei  fosse  stato  sano,  averebbe  te- 
nuto li  Medici  anche  di  fuora:  onde  avvenuto  non  sarebbe  che  Giuliano  Tauesse  auto  a 
visitare  ».  La  riposta  ironia  del  Giacomini  avea  il  sapore  di  quelle  di  Niccolò  Machiavelli. 

*  Machiavelli,  Ricordo  ai  Palleachi,  ed.  Guasti,  per  nozse,  Prato,  1868:  «questi  che 
puttaneggiono  infra  el  popolo  et  e  Medici  ». 


Digitized  by 


Google 


598  CAPO  SETTIMO.  [LmBO 

tirannesca,  si  sarebbero  acconciati  facilmente  a  vivere  da  cit- 
tadini, sotto  le  consuete  leggi.  Togliere  il  Consiglio  grande  al 
popolo  che  l'aveva  gustato  pareva  impossibile  ad  uomini  gravi, 
per  quanto  d'opinioni  opposte,  come  il  Nardi  e  il  Guicciardini  ; 
parve  impossibile  ai  venti  accoppiatori  eletti,  dopo  la  deposi- 
zione del  Gonfaloniere  perpetuo,  per  riformare  lo  stato  secondo 
i  preconcetti  de' nobili;  i  quali  si  contentavano  di  restringerlo, 
di  mettergli  sul  collo  un  senato,  di  ridurre  ad  annuo  il  gon- 
falonierato;  ma  volevano  reggersi  a  libertà.  E  quand'anche 
i  palleschi  irritati  del  gioco,  per  non  ceder  la  posta  a'  nobili, 
istigarono  il  cardinale  de'  Medici  a  cancellare  in  furia  quella 
costituzione,  quell'opera  infruttifera  che  i  nipoti  di  lui  tollera- 
vano 0  per  inesperienza,  o  per  oblio  delle  loro  tradizioni  dome- 
stiche, 0  forse  per  segreta  istruzione  e  perchè  i  nemici  loro 
si  scoprissero  tutti;  quel  traditore  del  Lanf redini  e  Jacopo  Sal- 
viati  insistevano  ancora  a  raccomandargli  che  punto  non  toc- 
casse il  Consiglio  grande.  1  II  cardinale  pochi  giorni  di  vita 
lasciò  alla  costituzione  de'  nobili,  nata  a'  d\  sei,  morta  a'  sedici 
settembre,  quasi  a  schernevole  compenso  della  loro  momentanea 
coalizione  co' suoi  fautori;  e  la  soffocò  ignominiosamente  colle 
armi  di  Spagna  e  de'  mercenari. 

Però  mentre  sino  a'  di  sedici  le  reliquie  del  governo  so- 
derinesco  s'erano  ancora  in  parte  tenute  ritte,  crollarono  tutte 
dopo  quel  giorno,  per  la  prepotenza  degli  uni  e  la  viltà  degli 
altri.  Il  gonfalonierato  annuale,  venne  ricondotto  a'  due  mesi 
come  era  ne'  felici  tempi  del  Magnifico.  Giambattista  Ridolfl  fece 
anch'egli  il  gran  rifiuto,  «  chiedendo,  scrive  il  Pitti,  che  la 
cosa  passasse  di  maniera  che  paresse  al  popolo  ch'ei  fosse  stato 
sforzato  »,^  —  Due  giorni  dopo  fu  abolito  anche  l'ufficio  degli 
spettabili  Nove  della  milizia,  sciolti  tutti  i  battaglioni  e  i  ca- 
valleggeri  dell'ordinanza,  ritirate  le  armi,  con  che  ferita  al 
cuore  del  Machiavelli  può  bene  immaginarsi.  Gli  antichi  Otto 
di  pratica  tornarono  a  surrogare  i  Dieci  di  libertà  e  di  pace; 
cosi  anche  il  Segretario  di'  questi  si  senti  cadere. 

La  Balia  andava  innanzi  cauta  ma  sicura,  senza  punto  far 
caso  che  Firenze  aveva  avuto  diciotto  anni  di  tempo  per  divez- 
zarsi da  queste  istituzioni.  Circa  la  metà  d'ottobre  confinò  Pietro 
Sederini  a  Ragusa,  dove  erasi  già  rifugiato  dall'ira  del  papa, 

^  Pitti,  Storia,  lib.  ii,  pag.  104:  «  ...  intra  i  quali  Iacopo  Salviati  e  Lanfrediao  Laa- 
fìredini  lo  consigliarono  a  non  alterare  in  modo  alcuno  il  Consiglio  grande  ». 
■  Pitti,  Storia,  lib.  ii,  pag.  106. 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDoJ  PERSECUZIONI  CONTRO  I SODERINL  590 

non  potendo  aspettarsi  onesta  accoglienza  presso  al  re  di  Fran- 
cia.i  II  ritratto  di  lui,  appeso  già  per  voto  nella  chiesa  de'  Servi 
innanzi  all'altare  dell'Annunziata,  ebbe  ad  essere  squarciato  e 
tolto  via.*  Confinarono  poi  Giovanvittorio  Sederini  a  Perugia 
per  tre  anni,  e  altri  tre  nipoti  di  lui  e  di  Piero,  uno  a  Napoli, 
l'altro  a  Milano,  il  terzo  a  Roma.  Madonna  Argentina  rimasa 
sola  nelle  Murate,  stavasi,  come  dicevano  i  mordaci  «  più  bella 
che  mai  ».  Eppure,  a  certi  frati  dellosservanza  che  le  avevano 
fatto  da  cancellieri,  toccò  d'esser  tenuti  parecchi  di  ne'  ferri  in 
prigione;  3  altri  tre  frati  di  Santo  Spirito  per  aver  sparlato 
andarono  a'  confini;  i  piagnoni,  pel  dolore  di  tante  sciagure  non 
profetate  andavan  mogi;  parevano  aver  rinnegato  quasi  il  Sa- 
vonarola, e  i  domenicani  di  San  Marco  «  aver  perduto  il  vero 
lume».  La  sala  del  gran  Consiglio,  fatta  edificare  da  fra  Gi- 
rolamo, erasi  ridotta  a  quartiere  di  mercenari;  il  popolo  non 
poteva  più  nulla;  e  la  città  ciarliera,  poiché  molte  persone  già 
autorevoli  si  trovarono  rabbassate,  e  ciascuno  avea  tempo  da 
uccellare  al  paretaio,  non  dovendo  né  consultare  d'affari  pub- 
blici né  render  voti,  proverbiava  :  <  ecci  assai  che  di  lume  di 
torcio,  sono  diventati  lumicini  »,  —  «  sonci  rincarate  le  corde 
da  ragna,  e  rinvilite  le  fave  ».  ^ 

A  Niccolò  Machiavelli  non  era  rimasto  di  tanti  oflSci  altro 
luogo  che  quel  di  cancelliere  della  seconda  cancelleria;  ma 
anche  in  questo  non  fu  tenuto  a  lungo.  ^  Oculatissimo,  aveva 
preveduto  la  rovina,  s'era  arrabattato  quanto  poteva  per  en- 
trar nell'animo  del  cardinale  de'  Medici,  p^r  provarsi  uom  di 
fede.  Implacato  contro  de'  nobili,  che  per  l' imprudente  loro 
cospirazione  avevano  messo  in  mano  la  vittoria  ai  Palleschi  ;  im- 

i  V.  QuicciABDiNi,  Opp.  iiMdite^  VI,  pag.  123.  Luigi  a  Fr.  OuiedaréUni,  23  ottobre 
1512:  «  è  comune  opinione  che  Piero  Sederini  e  cosi  li  altri  osservino  i  confini,  e  che  non 
andrà,  come  per  molti  si  stimava,  in  Francia,  per  non  essere  in  buona  grasia  apresso  del 
Rè».  —  Cambi,  MarUf  loc.  cit.,  pag.  835.  —  Pitti,  Storie,  pag.  107. 

*  Odicciardini,  Opp.  inedite,  ti,  pag.  147  e  segg.  Leti,  di  ter  Pandolfo  de*  Conti  a 
Fr.  Ouicciardim, 

*  PriniA  del  parlamento  e  finché  l'oppressioBe  della  libertà  non  tu  ceru,  anche  alla  me* 
moria  del  Soderini  si  usarono  maggiori  riguardi.  A  Oiovan  Battista  dei  Bartoli,  capitano 
di  Cortona,  scrìvevasi  «  die  xij  sept.  »:  —  «  et  circa  allarme  di  Piero  Soderini  che  è  sopra 
la  porta  del  palasse  di  cotesti  S.ri  Priori  non  habbiamo  che  dir  nulla  ;  perchè  non  yellha- 
uendo  messa  con  ordine  liro,  tucto  quello  che  ne  delibereranno  sarà  bene  deliberato  ». 

*  OuicciABDiNi,  ibidem. 

>  L*  ultima  lettera  di  N.  M.  nella  cancelleria  de*  Dieci  porta  la  data  dei  25  d'agosto. 
Cf.  Vindice  dei  Minutari  e  Registri  originali  della  Rep.,  contenente  autografi  del  M.  da 
noi  pubblicato  in  Appendice,  n.  it.  —  V.  anche  Fr.  Mobdbnti,  Diario  di  N.  M.,  Firense, 
1880,  pag.  338.  —  Le  carte  relative  ali*  amministrasione  pubblica  nel  tempo  della  libertà, 
furono  dai  Medici  riposte  tutte  nella  cancelleria  del  magistrato  dei  Nove,  secondo  che  ri- 
ferisce il  Pitti,  Apologia  àtf  Cappucci,  pag.  318. 


Digitized  by 


Google 


600  CAPO  SETTIMO.  [libbo 

placabile  come  si  suol  essere  con  gli  amici  che  passarono  a 
complici  del  nemico;  con  uno  scritto  pieno  d'amarissima  logica 
bersagliandoli,  s*adopró  a  metterli  a'  Medici  in  dispregio  e  in 
diffidenza.  I  vincitori  nutrivano  intenzione  di  screditare  la  per- 
sona del  Soderini  e,  probabilmente,  richiesero  la  cooperazione 
del  Segretario,  che  conoscevano  poco  ammiratore  del  gonfalo- 
niere perpetuo,  per  riuscire,  come  dicevasi,  «  a  scoprire  i  di- 
fetti di  Piero  ».  Ma  il  Segretario  si  schermi  sagacemente  da 
questa  proposta  vile  e  perigliosa,  e  diede  nuovo  argomento  di 
quella  fede  verso  il  caduto,  che  gli  pareva  dovess'essere  il  mi- 
gliore argomento  alla  considerazione  di  sé,  presso  i  nuovi  si- 
gnori. —  «  Questo  stato,  scoprendo  Piero  Soderini,  egli  scrisse, 
terrebbe  reputazione  a  lui  e  non  la  darebbe  a  sé,  ma  a  quelli 
cittadini  che  gli  erano  nemici  e  che  ne  dicevano  male,  e  fa- 
rebbegli  venire  più  in  grazia  del  popolo,  il  che  non  é  punto 
a  proposito  di  questo  stato;  perchè  questo  stato  à  bisogno  di 
trovar  modo  che  sieno  odiati  e  non  ben  veduti  dal  "popolo; 
acciò  che  abbiano  con  tanta  più  necessità  a  stare  uniti  con  lo 
stato,  e  a  quel  bene  e  a  quel  male  che  starà  lui.  E  se  voi 
ricercherete  bene  chi  son  questi  che  fanno  questa  calca,  voi 
conoscerete  esser  vero  quello  che  io  vi  dico  ;  perchè  pare  loro 
aver  acquistato  un  odio  grande  colFuniversale,  sendo  stati  nimici 
di  Piero,  se  non  si  trovi  ch'e'  sia  un  tristo  e  che  lo  meriti.  E 
vorrebbero  purgare  quest'odio  per  fare  il  fatto  loro,  non  quello 
de*  Medici;  perchè  la  causa  della  mala  contentezza  tra  l'uni- 
versale e  i  Medici,  ngn  è  né  Piero  né  la  sua  rovina,  ma  sì 
bene  l'ordine  mutato  ».  ^ 

Similmente,  quando  vide  che  la  Balìa  ebbe  nominato  una 
commissione  d' inchiesta  per  riconoscere  i  possessori  de'  beni 
de'  Medici  o  presi  in  pagamento  o  comprati  dal  comune  nel  1494, 
per  rivendicarli  in  ogni  modo,  rendendo  loro  il  prezzo  d'acquisto, 
si  permise  scrivere  al  cardinale,  raccomandandogli  di  non  com- 
piere un  atto  che  avrebbe  esposto  la  dominazione  della  fami- 
glia sua  a  pericolo  lungo,  fatale  e  inevitabile;  sconsigliando 
il  male  all'uomo  malvagio  non  già  siccome  cosa  ingiusta,  ma 
come  nociva,  e  rivelando  gì'  intendimenti  del  futuro  autore  del 
Principe.  ^ 

1  Machiatblli,  Ricordo  ai  Palleichi  del  Ì5i2. 

*  Questo  scritto,  autografo  neU* Archivio  delle  Riformagloni,  fu  pubblicato  già  dal  Pas- 
serini nel  n.  Wì  del  giornale  politico  io  Statuto,  a'  19  dicembre  1819.  —  Fu  stampato 
tra  le  Opere  del  M.  solo  nell'ediz.  Usigli,  a  pag.  114/),  la  quale  comprende  undici  lettere 
del  M.  più  che  non  sono  nelle  altre  edis.  delle  Opp.  di  lui.  Tre  sole  fra  queste  sono  del 


Digitized  by 


Google 


secondo]  N,  machiavelli  RIMOSSO  DAGLI  UFFICJ.  601 

Niccolò  chiudeva  questo  scritto  con  le  seguenti  parole  :  <  Io 
ricordo  tutto  con  fede.  V.  S.  R.  secondo  la  sua  prudenzia  de- 
liberi ».  E  il  cardinale  deliberò.  I  beni  de'  Medici  furono  ri- 
conosciuti e  rivendicati:  della  fede  del  Machiavelli  non  si  seppe 
che  fare,  ed  a  ragione.  Essa  pareva  troppo  franca,  troppo  lo- 
gica, troppo  intera  per  esser  recente,  a  chi  non  badava  che 
era  vecchia  e  che  la  venia  di  mestiere.  La  novella  Signoria, 
fatta  dagli  accoppiatori  in  novembre,  a'  di  sette,  cassò,  privò  e 
rimosse  totalmente  dall'  uflScio  della  seconda  cancelleria  e  da 
ogni  ufficio  ch'ebbe  o  fu  solito  esercitare  come  cancelliere  dei 
Dieci  e  per  conto  della  loro  cancelleria  Niccolò  di  Bernardo 
Machiavelli.^  Col  titolare  cadeva  anche  il  coadiutore;  così  anche 
Biagio  Bonaccorsi  soggiacque.  Rilegati  per  un  anno  nel  terri- 
torio fiorentino,  ebbero  precetto  e  divieto  per  quello  spazio  di 
tempo  d'entrare  in  palazzo.  Niccolò  tuttavia  ottenne  permesso 
un  giorno  del  novembre,  più  largamente  nel  dicembre,  un  mese 
a  marzo  e  aprile,  venti  giorni  a  luglio  di  tornarvi  a  rendere 
conti  e  dar  necessario  assetto  a'  suoi  affari  rimasti  pendenti.  ^ 
E  per  due  anni  almeno,  in  forza  di  proibizione  statutaria  gli 
fu  tolta  ogni  speranza  di  poter  essere  riassunto  in  quell'ufficio.^ 

A  questo  punto  cessa  egli  di  portar  legittimamente  il  ti- 
tolo di  Segretario  fiorentino,  per  prendere.,  a  suo  malgrado, 
seggio  tra  gli  scrittori  e  i  filosofi  della  politica  e  della  storia; 

resto  le  inedite.  —  I  cinque  ufficiali  creati  per  restituire  le  cose  ai  Medici,  di  cui  si  parla  nel 
componimento  in  questione,  furono  :  Gherardo  Corsini,  Oio.  Ridolfi,  Bartolomeo  Bonci,  Ber- 
nardo Gondi,  Lorenzo  Benintendi  ;  e  vennero  eletti  a*  di  29  settembre  dalla  Balia.  Questa 
data  pertanto  e*  illumina  rispetto  a  quella  da  attribuire  allo  scritto,  che  non  ne  reca.  No- 
tevole, che  in  questo  si  legga:  «gli  uomini  si  dolgono  più  d*uno  podere  che  sia  loro  tolto, 
che  d*uno  fratello  o  padre  che  fussi  loro  morto,  perchè  la  morte  si  dimentica  qualche  volta, 
la  roba  mai.  La  ragione  ò  in  pronto;  perché  ognun  sa  che  per  la  mutazione  d'uno  stato, 
uno  fratello  non  può  risuscitare,  ma  e'  può  bene  riavere  el  podere  ;  e  se  questo  avviene  ad 
alcuno,  avviene  a'  Fiorentini,  perchò  sono  in  genere  più  avari  che  generosi  ».  —  Cf.  col 
cap.  17  del  Principe. 

^  Le  deliberazioni  relative  furono  pubblicata  dal  Passerini,  Pref.  all'Opp.,  voi.  i,  pa- 
gine Lxxxiii.  De*  Prioriiti  fiorentini  che  esaminammo,  il  solo  che  dia  cenno  della  remozione 
del  M.  dall'ufficio  è  quello  da  cui  fu  compilato  il  ms.  ottob.  2147  (Bibl.  Vat.),  pag.  237: 
«  Anno  d.o  9  novb.  Mr.  Nicolò  Machiavelli  Sec.rio  della  S.n»  fu  casso  della  balia  et  li  fu 
fatto  sapere  di  non  si  partir  di  Firenze  per  x  anni,  et  mr.  Biagio  di  Buonacorso  et  ser  Ni' 
colò  Machiauelli  (erroneamente  l'apografo  Michelozzi)  cancro  de*  X  furono  cassi  de'  loro 
uffitii  9. 

■  V.  il  testo  di  tutte  queste  deliberazioni,  dato  dal  Passbbini,  pref.  all'Opp.  del  M., 
pag.  Lxxxiii  e  segg.  —  Nella  Bibl.  Naz.  di  Firenze,  doc.  M.,  busta  i,  n.  69,  si  à  di  Niccolò 
la  Copia  de'  conti  ds'  dt^mila  ducati  di  che  le  quietanze  sono  allegate,  cioè  Conto  di  7  650 
d'oro  in  horò  hauti  da  la  S.na  per  leuare  fanti  di  Mugiello  addi  S8  di  luglio  Ì5i2  et 
renderne  conto  di  Nicholò  di  M.  Bernardo  Machiavegli;  e  il  Conto  di  Nicholò  di  M.  Ber- 
nardo Machiauegli  cancellieri^  di  500  ducati  portò  \seco  quando  partì  da  Firenze  addk 
Si  d'agosto  1512  et  di  1500  li  fumo  poi  mandati  da'  dieci  add^  23  del  detto  mese  per 
saldare  fanti  e  fare  altre  spese  in  Firenzuola  et  altroue  ». 

»  Cf.  Statuta  populi  et  Comunis  Florentiae^  lib.  v,  rubr.  ccxxv  e  ccxcix. 


Digitized  by 


Google 


608  CAPO  SETTIMO. 

e  a  questo  punto  si  termina  il  corso  di  quella  sua  ^  lunga 
esperienza  delle  cose  moderne  >^  ch'egli  presentò  come  propria 
dote  a  Lorenzo  di  Pier  de'  Medici.  Della  «  continova  lezione 
delle  antiche  »,  che  insieme  con  quella  egli  aveva  più  cara  e 
stimata  fra  la  sua  suppellettile,  qualche  piccolo  saggio  avemmo 
già  occasione  di  togliere;  ma  resta  ora  a  fame  particolare  e 
piena  disamina.  La  faremo  ne' libri  che  seguitano,  cercando 
quel  che  del  Machiavelli  divenne  post  res  perditaSj  com'egli 
diceva.  *  Non  per  questo  ei  potrà  mutarci  d'aspetto,  che  circa 
a'  quarantatre  anni  della  sua  vita,  tutto  l' uomo  è  in  lui  già 
maturo,  né  v'à  facoltà» recondita  che  debba  ancor  dare  ger- 
moglio. Di  lui  tutto  l'uomo  ci  è  noto.  Noi  lo  vedemmo  finora 
impressionevole  nel  corpo  e  nell'anima,  quando  mutava  il  bel 
cielo  di  Firenze  pe'  rigori  oltramontani  o  per  stanze  meno  sa- 
lubri risentirsene  facilmente,  contrarre  talora  l' infernaità  che 
incontrava  in  quelle,  e  liberarsene  ;3  cosi  nella  mente  di  leggieri 
assimilare  e  fecondare  ogni  germe  che  trovava  nelle  circostanze 
che  lo  attorniavano  :  francarsi,  quanto  potè,  osservando  genti  e 
paesi  diversi,  dal  pregiudizio  soggettivo;  procurare  d'immede- 
simarsi con  quel  che  gli  appariva  diverso,  trovar  appicco  a  re- 
lazione, a  comparazione  con  quello;  sgusciarne,  per  dir  cosi,  la 
causa  intima;  parlai:e  colle  parole  degli  uomini  che  avvicinava^ 
e  dipingerli  al  vivo,  lasciando  trapelare  le  disposizioni  sue  al- 
l'analisi or  quasi  da  filologo,  e  ora  da  artista;  ma  dall'analisi 
rapida  e  sottile  risollevandosi  pronto  ad  una  sintesi  comprensiva 
e  potente,  a  divinazioni  e  fantasie  audacissime.  I  fatti  per  lui 

*  Machiavelli,  Dedicatoria  al  m.eo  LorenzOf  premessa  al  libro  del  Principe. 

■  Bibl  Naz.,  doc.  M.,  busta  1*,  n.  78.  Sulla  coperta  d'una  relazione  del  M.,  circa  lo 
stato  di  fatto  in  cui  trovavamsi  le  milizie,  quando  egli  incominciò  primieramente  a  descrì- 
verne, si  legge  il  titolo,  scrittovi  probabilmente  quando  egli  riordinava  le  carte,  restate 
presso  di  sé  dalla  cancelleria.  «  La  cagione  dell'ordinanza,  dove  la  si  trovi,  e  quel  che 
bisogni  fare.  Post  res  perditM  ».  Vedi  la  nota  1',  a  pag.  361. 

«  Cf  pag.  300;  433;  503. 

*  V.  Estratti  di  lettere,  ed.  ult.,  voi.  ii,  pag.  156.  Il  re  di  Francia  dice  :  «a  ceste  beare, 
tout  est  gagnd  ».  —  Lo  Chaumont  (v.  a  pag.  302):  «  non  de  rien  dotte  ».  ~  «  Quando  avranno 
fatto  a  Pisa  la  prima,  seconda  e  terza  stazione,  che  cosi  la  chiamò  »  (station  per  ms- 
Sion).  Legaz.  xxxiv,  lett.  IS,  ed.  cit.,  voi.  vi,  pag.  166.  —  E  (Leg.  xxxii,  lett.  22):  «  ha 
comandato  banda  e  retrobanda  per  la  guardia  del  rè»  (ban  et  arrière-ban,  per  retimologia 
delle  quali  parole  v.  D'Abbois  db  Jubainvillb,  La  langue  franque  et  le  francais  nella 
Romania,  1872,  pag.  \4\).  —  tì6' Ritratti  di  Francia:  «Denari  due  per  uomo  per  i  lingi.- 
— ...  e  sono  tenuti  a  mutare  detti  lingi.  — ...  i  tesaurierì  tengono  Vargento  e  pagano  se- 
condo Tordine  e  discaric?ie  de*  generali  (ed.  cit.,  voi.  vi,  pag.  310).  —  «  Piero  da  Fossan 
che  travaglia  mercanzie  co'  Fiorentini  »  (legaz.  xxiv  all'  Imp.,  voi.  n,  pag.  258,  lett.  2>).  — 
E  nella  leg.  al  signor  di  Piombino  «  autorità  di  trattare  e  consertare,  che  questo  vocabolo 
disse  clys  usavano  (i  Pisani)  »,  ed.  cit.,  v,  388.  —  Da  Verona  «die  vij  decembris»  scrìve: 
«  sensi  divisi  inflno  in  ventimila  persone  fra  contadini  e  altri  foresti  »  (leg.  a  Mantova,  v, 
455-56).  —  Sull'Adige  vede  foderi  carichi  d'ogni  qualità  di  munizioni»:  da  vuoter  (mhd.) 
futter  (Commiss.  all'Imp.,  lett.  12),  ecc. 


Digitized  by 


Google 


SBCOKDo]  CARATTERISTICA  DEL  M.  SEGRETARIO.  608 

cristallizzano  in  massime,  e  nelle  massime  egli  stesso  ripara 
quando  la  contradizione  lo  inasprisce  o  lo  umilia  ;i  ma  guarda 
bene  di  non  irritare  l'altrui  vanità  con  sue  regole,  e  si  con- 
tenta scaltramente  stillarne  e  ravvolgerne,  come  nocciolo,  in 
esempi.  Dagli  uomini  sopporta  ogni  cosa*  men  che  V inconse- 
guenza, r  inoperosità,  le  mezze  misure.  {Tra'  forestieri  ama  e 
comprende  in  una  comunanza  d'amore  l'Italia;  ma  di  qua  dal- 
l'Alpi non  può  amare  più  che  Toscana  e  Firenze.  À  visto  cader 
Genova,  e  n'à  goduto;  Venezia,  e  l'à  procurato;  Pisa,  e  s'è 
affaticato  ad  opprimerla;  ed  ora  ch'ei  vede  Firenze  ridotta  al 
capestro  anch'essa,  si  domanda  se  proprio  non  siavi  rimedio  al 
suo  e  al  comune  dolore.  Tale  ei  ci  si  manifesta  come  Cancel- 
liere dei  Signori  e  de' Dieci;  tale  come  testimonio  e  giudice 
de'  fatti  ne' Quali  ebbe  maneggio,  ne'  quali  gittò  l' impronta  del 
suo  pensiero/ Resta  ora  di  ricercare  in  questo  la  traccia  e  l'ela- 
borazione del  pensiero  antico;  diversa,  e  vedrem  di  quanto,  da 
quella  de'  contemporanei  di  lui,  che  quella  medesima  antichità 
idoleggiavano. 


*  Cf.  a  pag.  264;  337,  ecc 


Digitized  by 


Google 


AGGIUNTE 


Poiché,  secondo  l'ordine  logico  che  ci  proponemmo  nel  con- 
durre il  nostro  libro,  la  storia  critica  del  machiavellismo,  ri- 
sguardato  e  come  empirismo  politico  e  come  pregiudizio  spe- 
culativo, ebbe  ad  occupare  il  principio  del  nostro  lavoro  e  a 
servire  in  certo  modo  d'introduzione  generale  al  libro;  segui 
che,  dopo  la  stampa  di  quella  parte,  essendoci  venute  a  mano 
opere  da  noi  o  vanamente  cercate  o  non  conosciute  per  l' in- 
nanzi ;  originarono  nuove  relazioni  d' idee,  non  occorseci  prima, 
e  la  notizia  bibliografica  circa  gli  scritti  risguardanti  il  nostro 
autore  e  il  sistema  che  da  lui  ebbe  nome  ci  s'impinguò  via 
via.  Né  pertanto  ci  parve  bene  differire  di  mostrare  al  lettore 
la  buona  volontà  e  la  cura  che  ponemmo  in  non  abbandonare 
senza  ulteriori  diligenze  l'argomento  trattato  e  la  materia  pur 
troppo  già  impressa  da  un  pezzo.  D'altronde,  aggiungendo  queste 
noterelle,  siamo  ben  lungi  dal  credere  di  aver  esaurito  il  sog- 
getto vastissimo  e  dallo  spacciar  per  compiuta  la  bibliografia 
machiavellica.  Ci  basterebbe  solo,  per  dir  così,  che  ogni  rami- 
ficazione d'idee,  rispetto  al  machiavellismo  e  alla  critica  del 
Machiavelli,  fosse  rappresentata,  e,  possibilmente,  dal  suo  ramo 
principale  ed  originario.  Il  cortese  lettore  ci  perdoni  per  quel 
tanto  che  manca  e  ci  aiuti,  che  gliene  saprem  grado  di  tutto 
cuore,  a  colmar. le  lacune. 

Introdiu.,  pag.  4:  Lo  Chablbs,  Étude»  tur  U  XVI  siècle  en  France,  p«g.  232,  nota 
fra  le  parole  tolte  a  prestanza  dall'Italia,  per  opera  dei^  dotti  e  de' guerrieri  :  ^machiavé- 
Uter,  80  conduire  d'après  lea  préceptea  de  Machiavel  »;  e  cita:  «pour  obtenir  qaelqae  hon- 
neur  au  prósent  siècle  il  faut  machiavóliser.  (Pasqibb)  —  Ce  mot  est  perdo  ;  machia vélisme 
est  reste  »  —  pag.  5:  Oltre  il  «  machiavólisme  maritai  »  del  Balzac,  TAddison  (Spectator, 
tomo  xn,  n.  561,  pag.  64),  nell'Account  of  the  WtdoiM  Club,  accenna  ad  nn  machiavel- 
lismo vedovile  :  «  The  politics  wich  are  more  cultivated  by  this  society  of  She-MachiaveU, 
relate  chiefly  to  these  two  pomts,  how  to  treat  a  lo  ver  and  how  to  maaage  a  hosband  ».  — 
Il  OoBTHB  {Sfirticìie  in  Proiaf  pag.  1*61)  argutxunente  proverbiò  del  panteismo   poetico  : 


Digitized  by 


Google 


AGGIUNTE.  605 

«  Alles  spfnozistische  in  der  poetischen  Production  wird  in  der  Reflexion  MachiavelliHinus  ».— 
P.  Janbt  {Hiat.  de  la  Bcience  polUique  dans  888  rapporta  atsec  la  morale  (1.  in,  e.  2,  pag.  112), 
qnantanqne  affermi  che  «  le  machiavéliame  ne  repose  que  sur  dea  équivoques  »  (cap.  i,  pag.  36), 
consente  nel  pregiudizio  vecchio  de*  suoi  connazionali  :  «  Nous  avons  dans  notre  histoire 
deux  grands  crimes  qui  sont  une  Adele  et  rigoureuse  application  des  doctrines  de  Machia- 
vel  ;  Tun  monarchique,  Tautre  populaire,  la  Saint-Barthélemy  et  les  Massacres  de  septembre. 
Machiavel  eAt  approuvé  Tun  et  Tautre;  ils  sont  l'un  et  l'autre  conformes 
à  ces  principe 8  ».  —  Riconosce  (pag.  50)  che  «  Machiavel  rendit  à  la  politique  le  méme 
service  que  Dante  à  la  poesie  :  il  la  traduit  en  langue  vulgaire.  Le  premier  il  traita  de  la  politi- 
que réelle,  et  substitua  l'étude  et  Tanalyse  des  faits  à  la  discussion  des  textes  et  à  Targumen- 
tation  à  priori  9.  —  E  pone  tra  i  partigiani  di  un  «  demi-machiavéliame  »  (pag.  9Q)  il  Descartes, 
«  le  fondateur  de  la  philosophie  moderne  »,  a  cagione  della  sua  Lettre  à  la  princesse  Elisabeth 
Pbscabtbs,  (EuvreSyed.  Cousin,  t.  ix,  pag.  387).  —  L'autore  di  uno  dei  migliori  saggi  della  cri- 
tica francese,  rispetto  al  nostro  scrittore,  Ce.  Lafatbttb,  Dante,  Michel-Ange,  Machiavel, 
Paris,  Didier,  1852,  pag.  305,  sentenzia:  «  Le  nom  de  Machiavel,  enrìchissant  étran- 
gement  les  langues  qui  lui  ont  empninté  le  mot  VMtchiavéliaméf  livre  encore  ai\|ourd*hui 
aux  serres  sans  pitie  de  Toutrage  la  doublé  immortalité  d'un  horame  et  d'une  idée  ». 
—  pag.  10,  nota  1":  Circa  al  machiavellismo  di  Elisabetta  d'Inghilterra,  v.  Mattbr. 
Histoire  des  doctrines  morales  et  poUtiques,  voi.  ii,  pag.  39;  ibid.,  pag.  45.  Similmente, 
nel  Catolicon  |  Francois  |  ou  |  plaintes  des  deux  cTiasteaux  |  raportées  par  |  Rbnaddot, 
mai8tre  du  bureau  \  d'adresse  \  m.  dc.  xxxvi,  a  questo  modo  è  tratteggiato  il  machiavel- 
lismo del  Richelieu  (pag.  71):  «Tu  te  sers  de  la  religion  comme  ton  precepteur Machiavel 
fa  monstre  que  faisoient  les  antiens  Romains,  la  toumant,  virant,  revirant,  l'expliquant 
et  l'apliquant  selon  qu'elle  sera  d'humeur  chaussante  à  l'avancement  de  tes  desseings.  Ta 
teste  est  aussi  preste  à  porter  le  Turban  que  le  chapeau  rouge,  pourvn  que  les  Jannis- 
saires  et  les  Bachatz  te  trouvent  assez  honneste  homme  pour  t'eslire  leur  Empereur  ».  — 
E  (pag.  113)  al  cardinale  medesimo  si  pone  sulla  bocca:  «  J'estime  fort  la  France  et  trar 
vaille  tant  que  je  puis  à  sa  conservation,  mais  j'ay  plus  d'interest  à  la  mienne.  Mon  pre- 
cepteur  Machiavel  m'a  donne  ceste  lecon  et  ne  l'oubliray  jamais:  qui  faict  les  affaires 
d*autruy  est  un  coyon,  qui  faict  les  siennes  est  uà  galant  homme  ».  —  Tra  i  furori  della 
Fronda  il  machiavellismo  diventò  facilmente  mazarinismo.  Nell'opuscolo  intitolato  Le  De- 
reglement  de  l'Estatj  mdcli,  pag.  30,  si  legge:  «  nous  ne  sommes  que  trop  sgavans  dans 
les  souplesses  de  la  Cour,  depuis  que  le  plus  scelerat  des  mortels  y  a  fait  glisser  la  con- 
tagion  des  intrigues  Italienes  pour  y  corrompre  la  candeur  Frangoise  ».  —  Ma  nel  libello 
La  prise  du  bagage,  meubles  et  cabinet  de  Maxarinpar  lesHabitans  de  la  ville  d'Angers, 
avec  la  liste  de  tout  ce  qui  s'y  est  trouvé,  à  Paris,  chez  Anthoine  Du  Hamel,  m  dg  lii,  fra 
i  libri  che  compongono  la  biblioteca  del  Mazarìni  si  citano  «  les  lettres  d'Aristene  tradnites 
du  grec  en  Italien  et  le  Prince  de  Machiavel  »,  il  quale  «  tenoit  en  ce  lieu  là  un  rang  de 
prince  »  (pag.  7).  —  E  nel  Caiechisme  de  la  Cour,  à  Paris,  chez  Philippes  Clement,  xf .  no.  lii, 
ecco  il  credo  satirico  che  vi  si  espone  :  «  1.  Je  croy  au  Roy  pour  mon  interest,  lequel  est 
tout  puissant  à  faire  agir  toutes  choses.  2.  Et  au  Mazarin  son  unique  favory.  S.Quiaesté 
concau  de  l'esprit  de  Machiavel,  est  né  du  card,  de  Richelieu  ».  —  Ad  appaiar  il  machia- 
vellismo col  gesuitismo  contribuì  probabilmente  anche  il  libello  dello  Sdoppio,  pubblicato 
sotto  il  nome  di  Alph.  db  Vaboas,  Relatio  ad  Reges  et  principes  cristianos,  de  stratage- 
matis  et  sophismatis  politicis  societatis  Jesu  ad  monarchiam  orbis  terrarum  sibi  conficien' 
dam,  8.  1.,  M.  DC.XLi,  in-lS»,  ove  (pag.  45)  si  sostiene  che  «  Jesuitae  Regi  suadent  tyran- 
nidem  et  vim  injustam  in  alios  ».  —  V.  anche,  contro  al  M.,  Saba  da  Castiolionb,  Ricordi 
ovvero  ammaestramenti,  Venezia,  1555,  pag.  131.  Fb.  Hotomani,  Epistolae,  ed.  Amsterdam, 
1700,  pag.  139,  Lettera  99  a  Rod.  Walther,  25  dee.  1580:  «  Nam  idem  ille  bonus  typogra- 
phus  Pema,  qui  toties  a  magistratu  ob  impios  et  execrandos  libellos  a  se  impressos  in 
carcere  detrusus  fbit,  detestanda  opera  omnia  Machiavelli  ab  eodem  ilio  Stupano  latine 
conversa  hic  impriroit.  Scis  illa  opera  propter  tam  apertas  in  Mosem  et  Christum  blasphe- 
mias  ne  in  Italia  quidem  aut  imprimi  aut  divendi  licere.  Wolphiits  nuper  Augustae  mor- 
tuus  in  suis  commentariis  in  Tuscul.  quos  anno  superiore  mihi  donavit,  Machiaveilum  scele- 
rum,  impietatum  et  flagitiorum  omnium  magistrum  appellat,  ac  testatur  illum  quodam  loco 
scripsisse  sibi  multo  optabiliua  esse  post  mortem  ad  inferos  et  diabolos  detrudi,  quam  in 
coelum  ascendere  »,  ecc.  —  A  questo  proposito  è  a  ricordare  quel  che  riferi  già  il  Busim, 
Lettere  al  Varchi,  pag.  241:  «  Qui  sono  state  vietate  e  proibite  a  vendersi  tutte  le  opere 
del  nostro  Machiavello,  e  voglion  fare  una  scomunica  a  chi  le  tiene  in  casa;  ma  sino  a 
qui  nessun  libraio  ne  può  più  vendere  sotto  gravi  pene.  Dio  aiuti  il  Boccaccio,  Dante,  e 
Morgante  e  Burchiello  ».  —  Cf.  Joan  db  Salazar,  Politica  «spanoto,  Logrono,  1619,  pag.  45  : 
«  No  son  las  reglas,  i  documentos  del  impio  Machabelo  qde  el  Atheismo  llama  razon  de 
Estado  »,  ecc.  —  Gasp.  Zibolbrds,  Circa  Regicidium  Anglorum  ExercitationeSj  aceedit 


Digitized  by 


Google 


606  AGGIUNTE. 

Jacobi  Scballbbi  Disteriatio  ad  loca  qitaedatn  MiltonL  Lngd.  Batavonim,  1653  :  «  Qua  ra- 
tione  excusari  quodammodo  potasi  Nicolaus  Machiavellua,  yir  saepe  quidam  improbi  (acoo 
il  motto  dal  Manzoni  posto  sulla  labbra  di  don  Ferranta)  sad  tamen  magni  ingenii,  quando 
in  prìncipa  (e.  15,  17  at  18,  ai  da  rap.,  e.  9)  virtutis  simulationam  raligionisqua  astamam 
tantum  spaciem  principi  sufBcara  docat  ».  —  Neil'  Hippoliti  a  Collibus,  Princep»  eofui- 
liarius  Palatinui  9ive  aulicxM  et  nobilU  eum  additionibus  «I  noti»  polUieU  Martiri  Nau- 
RATHS  Jcii,  Francofurti,  mdclxx,  pag.  180,  si  cita:  «impoliti  illius  politici  Machiavalli  im- 
pius  dacalogus.  1.  Raligio  rationi  status  famulatur.  2.  Pietatam  quam  non  habet  praa  sa 
farat.  3.  Raligionam  statui  prò  tampora  congruantam  falsis  miraculis  firmai.  4.  Raligionam 
Ethnicam  crìstianaa  praeferat.  5.  Fortunaa  non  virtuti,  casui  non  Dao  falicitatam  adscrìbat. 
6.  Mojsis  authoritatem  at  legam  vi  at  armis,  non  fida  at  dao  nixas  fuissa  cradat.  7.  Status 
sarvandi  ampliandiqua  causa  cum  dabaat  omnia  jura  parfringara,  ad  omnam  ventum  vaia 
vertara  paratus  sii.  8.  Cradat  virtutas,  si  sampar  vara  adsint  at  sarvantur,  pamitiosas,  ai 
inassa  putentur,  fructnosas.  9.  Belli  justitiam  in  ao,  quod  sibi  utile  vidatur,  statuat.  10.  Ty- 
rannum  aliquem  insignem  imitetur,  contempla  crudalitatis  fama,  immanitatem  uno  impala, 
sansim  varo  benaficanliam  axarcaat.  Abar  aufiT  das  jenig  so  diesar  ungahobalte  Esali 
Machiavell  affricta  fronte  at  quadrata  ohnvarsch&ml  heraus  blatsat,  hai  kain  radlich 
Chrìstlicb  Oamulh  su  sahen  ».  —  Similmente  il  Rbink,  Biblisch»  Polieey,  confutando,  a  suo 
modo,  che  il  principe  debba  lutto  veder  di  per  sé,  come  un  principio  machiavellico  (cf.  Pnw- 
cipe,  cap.  23),  esclama  :  «  abar  diase  Machiavallische  principia  stimmen  mil  dar  Biblischen 
Policej  und  gesunden  Vemunfit  nicht  Uberein  ».  ~  Il  Bobbi,  nella  Chiave  del  QabinsUo, 
con  breve  relazione  della  sua  vita  ed  istruzioni  politiche,  Colonia,  1681,  pag.  31-37:  «  Il 
politico  M.  che  creda  che  la  promessa  fatta  par  forxa  non  si  devono  mantenere,  fa  appunto 
come  gli  amanti  trasportati  da  passione  amorosa  »,  ecc.  —  Nell^opera  Des  Satyre*  per- 
sonelles,   traiti   Mstorique  et  eritìque  de  celici  qui  portent  le  titre  d'anti,  Parigi,  1689, 
in-12<>,  si  parla  dell'antimachiavello,  nel  tomo  n,  pag.  129-130.  —  Il  Lr  Noblb,  neU*.ffts- 
toire  secrHe  des  plus  fametuea  eonspirationst  Parigi,  1698,  dichiara,  rispetto  al  M.:  «  c*est 
sur  les  idées  de  ce  grand  homme,  que  j*ai  compose  un  traile  polilìque  des  conspiralions  ». 
—  Nel  Giornale  de*  letterati,  f.  xlv,  1732,  art.  v,  pag.  115,  il  libro  del  Principe  si  giudica 
ancora  come  una  satira.  —  Nella  Scelta  di  lettere  familiari  di  Gius.  Babbtti,  Londra, 
1769,  voi.  I,' Lettera  del  conte  Scamaflgi  al  march.  Orisella  di  Rosignano,  pag.  112-194,^ 
il  M.  vien  dipinto  come  repubblicano  a  monarcomaco.  —  V.  ibid.  la  leti.  21  a  22,  a  la  33, 
di  Giangrisostomo  Tappali  a  Gofiredo  Franzini,  in  cui  si  sostiene  che  la  lingua  degli  scrit- 
tori d*  Italia  debbasi  dir  italiana  e  non  toscana  a  fiorentina,  contro  il  M.,  pag.  215-257.  ~ 
Il  Babàbb  {Afemoires,  an.  1796)  chiama  il  Direttorio  «  iropuissant,  divise,  et  imprévojajrt, 
à  qui  la  revolution  n*avait  donne  aucune  expérience,  at  a  qui  les  réactions  avaienl  légué 
un  héritage  de  vengaancas  et  de  machiavélisme  qui  devail  le  faire  succomber  tòt  ou  lard  », 
e  raccoglie  da  un  giornalista  inglese  «  les  principes  machiavéliques  »  del  Tallejrand  «  dans 
sa  dernière  conversalion,  pendant  sa  maladie»  {Memoires,  l.  iv.  pag.  417,  edis.  dì  Bruxel- 
les, 1844.  —  Nelle  Lettere  dei  Dr.  A.  e  Dr.  B.  airEsBLiNo,  pubblicate  a  Lipsia  nel  1851 
col  titolo  Europa  und  Nordameriha,  si  contorce  il  significalo  dei  pensieri  dal  M.  a  si  pren- 
dono strani  abbagli  intomo  a  lui  ;  affermandovisi  ch'egli  (pag.  6)  «  als  rechtglaubiger  Ka- 
tholic  und  Verehrer  des  Papslas  lebte  und  slarb  »;  a  pag.  30,  domandandosi  che  cosa  può 
il  M.  insegnare  circa  le  scuole  popolari,  il  diritto  di  riunione  e  la  libertà  di  stampa;  a  (alla 
32)  congetturandolo  suddito  fedele  e  devoto  al  polare  temporale  de'  papi,  a  ragguagliando 
mala  con  la  massima  di  lui   la  idee  democratiche  dell'America  dal  Nord.  —  Un  altro  cu- 
rioso opuscolo,   relativo  al  machiavellismo  di  Napoleone  il  piccolo,  è  intitolalo  Dialogues 
aux  enfers  entre  M.  de  Montesquieu  ou  la  politique  de  Machiavel  au  XIX  siede  par 
un  eontemporain  (Maubicb  Jolt).   I  dialoghi  sono  in  numero  di  ventiquattro.  Nel  set- 
limo,   a  pag.  70,  si  mette  sulle  labbra  del  M.  medesimo  un  enuncialo  che  rivela  e  il 
pernio  e  l'intima  natura  dell'opera:  «  Machiavel,  gli  si  fa  dira,  aujonrd'hui  a  des  petit» 
fila  qui  savanl  le  pris  de  ses  le^ons.  On  me  croii  bien  vieux  at  tous  les  jours  je  rajeunls 
sur  la  terre  ».  —  A  pag.  61  si  designa  il  De  Maistre  come  uno  «  des  plus  illustres  parti- 
sans  de  M.  ».  ^  Una  machiavelUana,  ispirandosi  alla  recanti  venture  dell'unità  d' Italia, 
cantò  Antonibtta  Saccbi  Pabbavicini  (Firenze,  1871).    —  Comparva  finalmente  nel  1831 
un  periodico  politico  quindicinale  in  Bari,  intitolandosi  il  JfacAtavtflZi;  ne' primi  tra  numeri 
del  quale  il  Segretario  fiorentino,  indirizzando  sue  lettere  «  ai  ministri  dal  ragno  italico  », 
li  consiglia  e  redarguisce  non  senza  acume,  non  senza  qualche  sapore  machiavellesco  su'  re- 
centi casi  di  Tunisi.  —  Finalmente  d'un  machiavellismo  poliziesco,  il  più  abbietto  fra 
tulli,  si  dio  cenno  nel  Giobbe  del  Balossabdi,    Voce  di  poliziotti,  a  pag.  81.  —  Un  pa- 
rallelo satirico,  anzi   sarcastico,  tra  l'antico  Segretario  fiorentino  e  un  toscano  segre- 
tario, comparve  nel  Piovano  Arlotto,  t.  in,  pag.  211,  Firenze,  1859-60.  —  A  chi  percorre 
VEinleitung  zur  Geschichle  des  XIX  Jahrhundert  del  Gebvinos,  apparisce  manifesto  lo 


Digitized  by 


Google 


AGGIUNTE.  «07 

influsso  delle  dottrine  machiavelliche  nel  chiaro  scrittore  della  GesehichU  der  fiorentini-' 
sehén  Hiatoriographie.  —  Altri  scritti  più  recenti  che  concernono  il  M.  sono  :  Contini,  Rs- 
Iasione  del  IV  centenario  di  N.  M.^  Firenze,  1869.  A.  Nota,  La  politica  di  N.  M.,  Siracusa, 
1871.  Le  Mastime  religioie  ettrcUte  fedelmente  dalle  opere  di  N.  Jf.,  Modena,  1869,  recano 
per  epigrafe  :  «  Se  non  volete  esser  figli  della  Chiesa  cattolica,  siate  almeno  discepoli  del 
!£.  ».  e  intende  colle  testimonianze  medesime  del  grande  scrittore  a  combatterlo,  e  dissuadere 
la  ristampa  degli  scritti  di  lui  ->  A.  Bouu.ibb,  Études  de  poUtique  et  d'histoire  étran^ 
gère9,  1870,  pag.  249-263.  —  E.  Lombardi,  Delle  Atlinenxe  ttoricì^  fra  sciente  ed  arti  in 
Italia,  pag.  400  e  s*igg.  —  C.  Pbbbiconb,  Considerazioni  su  N.  Af.,  Siracusa,  1871.  — 
O.  Caumo,  Sul  libro  del  Principe,  Verona  1871.  —  Fa.  Costbbo,  Prof,  al  Principe,  Mi- 
lano, 1875,  a  pag.  14  scrive:  «  corre  una  grandissima  differenza  tra  la  massima:  il  fine 
giustifica  i  mezzi,  e  Taltra:  i  mezzi  sono  giustificati  dalla  santità  del  fine  »  (7).  —  L.  Rua- 
aiEBi,  Studi  sopra  N.  M.,  Palermo,  1876.  «  Il  M.,  dice  Tautore  (pag.  34),  immagina  Tori- 
gine  dello  Stato  come  la  filosofia  del  sec.  xviii,  stabilendo  l'ipotesi  di  una  vita  selvaggia, 
precedente  alla  civile  convivenza,  ma  egli  non  incorre  neirerrore  di  Rousseau  e  de'  suoi 
segnaci,  di  tenere  cioè  come  una  contingente  fattura  deirarbitrio  individuale  l'esistenza 
dello  Stato  ».  Afferma  poi  (pag.  96):  «  che  non  è  a  maravigliare  se,  con  l'applicazione  del 
metodo  induttivo,  egli  non  abbia  potuto  scorgere  la  legge  della  perfettibilità  umana  ».  -> 
L'Hbttnbb,  Zur  Geschichte  der  Renaissance,  Braunschweig,  1879,  scrive,  con  notevole 
regresso  dal  punto  di  vista  della  critica  tedesca,  intomo  al  libro  del  Principe:  «  aber  ein 
nichtswilrdìges  Buch  ist  es  und  bleibt  es;  ein  grauenhaftes  Zeugniss,  wie  weit  sich  das 
Italien  der  Renaissance  von  der  Hoheit  und  Reinheit  der  sittlichen  und  politischen  Ideale 
Dante*s  und  Petrarca's  entfernt  hat,  und  wie  der  sp&ter  von  den  jesuiten  verkUndete  Qrund- 
■ats,  dass  der  Zweck  die  Mittel  heilige,  nur  die  epigrammatische  Zusammenfassung  der 
allgemeinen  durcb  alle  Volksscbichten  verbreiteten  Sittenverwilderung  und  Oewissenslosig* 
keit  ist».  —  C.  O.  Paoani,  U  VUle  di  N,  M.,  nel  Fanfulla  della  domenica,  1879,  n.  20, 
riferisce  tradizioni  campagnuole  sulla  presenza  di  N.  M.  e  della  sua  famiglia  in  una  villa 
a  Sant'Angelo  in  Bibbione.  —  Nella  Rassegna  settimanale^  voi.  iv,  pag.  444-6,  jxixpòs  esa- 
mina il  contenuto  nel  capo  ii,  lib.  i,  de'  Discorsi  di  N.  M.,  «  di  quante  specie  sono  le  re- 
pubbliche e  di  quale  fu  la  rep.  romana».—  Pibtbo  Mobblli,  Saggio  critico  sul  Principe 
del  M.,  Cesena,  tip.  Naz.,  1880.  —  E.  Gp.bhabt,  Discours  sur  M.,  letto  alia  Sorbona,  1880. 
Manvbbdo,  N.  M.  e  le  donne,  nella  Cornelia,  rìv.  lett.,  an.  viii,  n.  15,  agosto  18S0.  —  I. 
Clazko,  Causeries  florentineSt  1880,  designa  con  spiritoso  epigramma  il  M.  secondo  il  verso 
dantesco  (Parad.,  xi,  69),  siccome  «  colui  eh*  a  tutto  il  mondo  fé*  paura  »  ;  e  aggiunge  : 
«  lui  aussi  presenterà  au  monde  un  idéal  politique,  un  idéal  que  se  transmetteront  les  sié- 
cles.  Lui  aussi,  il  divinisera  l'idée  de  TÉtat;  mais  cet  État  il  le  tiendra  quitte  de  tout 
honneur  et  de  tonte  vertu.  Lui  aussi  il  exaltera  les  anciens  Romains,  mais  non  point  pour 
leur  désinteressement  imaginaire  ni  leur  patronage  benèvole...  —  L*unité  du  genre  humain, 
la  solidarité  de  la  famille  chrétienne  lui  paraitront  des  mote  depourvus  de  sens,  et  il  pro- 
clamerà la  guerre  de  tous  contro  tous.  Il  fera  des  voeux  pour  la  venne,  non  pas  d'un  aigle 
imperiai,  mais  d*nn  loup  et  d'un  lion  (volpe  e  leone)  unis  dans  la  personne  d*un  tiran  heu- 
reux  ;  il  ne  demanderà  à  ce  messie  ni  la  paix,  ni  la  justice,  ni  la  liberté  ;  il  ne  lui  deman- 
derà que  le  succès;  et  son  Cesar  sera  Cesar  Borgia»  (pag. 245).  —  Fb. Mordenti, Diario 
di  N.  M.y  opera  favorevolmente  giudicata  dalla  Commissione  esaminatrice  degli  scritti  pre- 
sentati al  concorso  indetto  nel  quarto  centenario  machiavellesco.  —  G.  Ricca  Salerno, 
Di  alcune  opinioni  finanziarie  del  M.  e  del  Guicciardini,  nella  Rassegna  seti.,  voi.  vii, 
pag.  106.  ~  Canbllo,  Storia  della  letteratura  italiana  nel  secolo  X  VI,  capo  ni.  pag.  28-43. 
L'autore  opina  «  che  se  il  Machiavelli  à  avuti,  già  vivo,  molti  detrattori,  il  motivo  più 
forte  è  forse  da  cercarlo,  piuttosto  che  nell'apparente  incoerenza  politica,  nella  non  troppa 
dignità  della  sua  vita  privata  »  (pag.  41).  Esclude  che  il  Discorso,  ovvero  dialogo  circa 
la  Unguaj  se  debbasi  cMamar  italiana,  toscana  o  fiorentina,  sia  del  M.  L'attribuisce,  con- 
getturando dal  Cesano  del  Tolomei,  ad  Alessandro  de'  Pazzi.  —  R.  Mariano,  Il  Machia" 
velli  del  Villari,  acutissimo  scritto,  in  cui  si  discute  non  meno  la  qualità  delle  dottrine  del 
M.,  che  il  giudizio  che  di  esse  rende  il  biografo.  —  C.  Cipolla,  Storia  delle  Signorie  ita- 
liane  dal  1313  al  1530,  pag.  930  e  segg.  —  Esaminano  M.  come  scrittore  di  cose  militari, 
oltre  gì' indicati  :  E.  Db  la  Babbb  nu  Pabc,  Massime  militari  di  N.  M.,  traduzione  ital. 
con  note  di  C.  Mabiani,  Milano,  1873.  ~  C.  O.  Pagani,  N.  M.  e  la  istituzione  delle  mt- 
lizie  nazionali,  nella  Rassegna  settimanale,  t.  vii,  pag.  106.  —  P.  Db  Cuppis.  Sull'Arte 
della  guerra  di  N.  Af.,  il  quale  cita  le  parole  del  Fabscb  tìqW Inslruction  militaire  du 
Roy  de  Prusse  pour  ses  g  ^n^raux  che  giudica  «  l'art  de  la  guerre  de  M.  ouvrage  bien  plus 
estimable  que  connn,  et  dont  le  roj  de  Prusse  paroit  avoir  adopté  beaucoup  des  princi- 
pes  ».  ~  I.  RocQUANcouRT,  Cours  d'art  et  d'histoire  militaire,  t.  i,  pag.  157-161.  ~  L.  Vul, 
Histoire  abrèg'^e  des  campagnes  moderneSf  jusqu'en  i880,  Parigi,  1881,  t.  i,  pag.  61.  — 


Digitized  by 


Google 


608  AGGIUNTE. 

Come  autor  comico  :  Signorelli.  St.  cr.  d.  teatr.,  iii,  208  e  segg.  <—  Klbin,  Geschichie  des 
Drama's,  t.  iy,  pag.  414-471.  ~  A.  Graf,  Studii  drammatici,  pag.  113-162.  — If.  aU  Komò- 
diendiehter,  in  App.  aWAllgemeine  Zeitung^  1881,  nel  quale  articolo,  senza  prove,  si  con- 
clude che  la  commedia  in  versi,  del  pari  che  l'altra  in  prosa  sensa  titolo,  sono  recisamente 
apocrife.  —  Db  Odbbrmàtis,  Storia  del  teatro  drammaticOt  pag.  288  e  segg.;  533  e  segg. 

—  A.  Borgognoni,  La  Mandragola^  1882,  nella  Domenica  letteraria,  n.  40,  46.  —  A.  Mbdin, 
La  Mandragola,  ibid.,  n.  41.  —  Come  novellatore:  E.  A.  Cicogna,  Jtcrixioni  veneziane, 
t.  V,  758.  —  Il  DuNLOP,  History  of  fiction,  pag.  259-60,  ed.  2*,  il  quale  reca  rorigine  della 
novella  di  Belfegor  da  un'antica  storiella  raccontata  in  un  ms.  latino  «  vhich  is  now  lost, 
but  vhich  till  the  period  of  the  civil  vare  in  France  remained  in  the  library  of  Saint- 
Martin  de  Tours  ».  Ripete  dalla  novella  di  Belfegor  l'argomento  di  due  commedie  inglesi, 
intitolate  l'una  Grim,  tìie  collier  of  Croydon  (1602),  l'altra  The  marriage  ofthe  devil  (1691). 

—  Il  Paranti,  Catalogo  dei  novellieri  ital.^  pag.  203  e  segg.  —  G.  Passano,  /  novellieri 
italiani  in  prosa,  p.  i,  pag.  404-411.—  Il  Gargano,  Intorno  al  concetto  dell'autore  detta  no^ 
velia  di  Belfegor  arcidiavolo^  innansi  l'ediz.  del  Dotti,  Firense,  1569.  —  C.  Bbccaria^ 
Belfegor,  N.  M.  iraÌYVicv  latine  vertit.  Augustae  Taurinorum,  ex  ofScina  Alex.  Fina, 
M  nccc  LXXX. 

A  quello  che  già  dicemmo  rispetto  al  ritratto  del  M.,  a  pag.  M  e  segg.,  e  nella  lunga 
nota  a  pag.  67-69,  aggiungeremo  che,  rileggendo  le  Lettre»  familièret  écrite$  en  Italie  en 
1739  et  i740  dal  Db  Bbossbs,  nella  lettera  39  trovammo  accenno  che  il  ritratto  del  M.. 
il  quale  ora  si  vede  nella  galleria  Doria,  fu  già  nella  Barberini,  ove  il  De  Brosses  potò 
osservarlo  insieme  ai  ritratti  di  Bartolo,  di  Baldo  e  della  Fomarina.  Cosi  che  forse  il  ri- 
tratto del  M.  che  è  in  possesso  de'  Doria,  fu  già  in  mano  de*  discendenti  da*  Tafani  di 
Barberino,  o  levato  o  ispirato  forse  da  un  de*  busti  in  terrecotta  colorata.  —  Nella  Rac-> 
colta  poi,  intitolata  Choioc  de  gravurea  à  l'eau  forte  d'apre»  lei  peintures  originale*  et  le» 
marbres  de  Lucien  Bonaparte,  Londra,  Miller,  18S2,  al  n.  142  si  produce  un  ritratto  del  M. 
in  mezsa  figura,  colla  persona  e  il  viso  rivolto  a  destra,  e  la  nota  sottoposta  Masaccio  pinae. 
Masaccio  che,  nato  nel  1102,  nel  1493  venne  a  morte!  —  Ai  tanti  epigrammi  notissimi,  in 
lode  0  in  vitupero  del  M.,  si  possono  mettere  accanto  anche  i  seguenti,  men  cogniti,  rife- 
riti nelle  Deliciae  quorumdam  poetarum  danorum,  Lugd.  Batav.,  1693,  voi.  ii,  che  sono 
di  Enr.  Hardbr  (pag.  269): 

Ad  Maehiavttlum. 
hatei  philosophos  docen  nemo 
Saecenu  meliore  t«  Tidotor; 
<)noi  Tn  diieipnlos,  Hetnuce,  formu, 
Hi  toli  fere  maToIunt,  me^lfter, 
<)aalee  ezpetit  eeee  qnun  TiderL 

e  a  pag.  281  : 

Ad  «wfufen». 
Seriptoree  Uadantnr  tb  Uè,  cnlpontar  tb  ilU«, 

Non  lubet  hoc  in  te,  MachiaTelle,  loeain. 
Te  enlpat  qnicumqae  probat  ;  quM  diwerii,  artce 

DìMere,  doetorem  diwimulare  Ja^at. 
81  laadem  acriptie  quaeiisti,  falleria;  bomm 

Laudator  rama,  maltas  amator  erlt. 

Ad  0und«m, 
5on  tu  aoliia  eraa  illai  qnl  noweret  artei, 

8ed  qui  Tolraret  tam  bene  primiu  eraa. 
Qvod  ta  TnlyaaU  duduni  placet  atqne  plaeebit 

8ed  qnod  Tulgacti  diaplicuiMe  poteet 

Nei  Monumenti  del  giardino  Puccini,  pag.  273,  è  la  seguente  epigrafe,  dettata  da  Pimno 
Giordani:  N.  M.  |  maestro  di  libertà,  di  regno,  di  guerra  |  pittor  di  costumi,  esempio 
di  facondia  |  gran  peccato  di  fortuna  |  onore  immortale  d'Italia  |  ricevi  questo  monu- 
mento I  da  Niccolò  Puccini  |  ccLXxxxvin  anni  dopo  la  tua  partita.  —  Circa  le  vicende  che 
toccarono  al  nome  del  M.,  rammenteremo  che  né\\* Apologia  de'Cappuccif  pag.  294,  dal  Pitti 
e  dal  BusiNi,  Lettere  al  Varchi,  nella  lett.  xxrv,  pag.  243,  vien  indicato  coiraccorciativo 
«  il  Machia  »,  probabilmente  per  designazione  popolare,  originata  dalla  sigla  «  MacTa  »  che 
solevasi  apporre  appiè  degli  atti  nella  cancelleria  della  quale  era  titolare.  Laonde  prende 
abbaglio  il  Cattaneo  nel  suo  Discorto  intorno  a  N.  M.,  Trieste,  1878,  pag.  49,  quando 
dice  che  quegli  «  veniva  da'  suoi  concittadini  chiamato  il  Machia,  la  qual  voce  venne  poi 
usata  coll'articolo  femminino  a  significare  furberia  ».  —  Nell'ediz.  parigina  delle  Opp.  del 
M-,  fatta  il  MDCCLxviii  presso  Marcello  Prault,  a  pag.  xxxv  leggesi  neW Ahr('gé  de  sa  vie: 


Digitized  by 


Google 


AGGIUNTE.  600 

«  Son  nom  étoit  Nicolas  Maclavel,  dont  les  Italìens  ont  fait  Machiavelli  ou  Macchiavellì  ».  (!) 
—  or  Italiani  invece  non  avevano  neppure  coraggio  o  libertà  di  pronuniiare  quel  nome.  Il 
Malàvolti,  che,  nell'edizione  senese  della  prima  parte  dell' JTtJtorta  dU  Siena,  fatta  nel  1574, 
«  appresso  Luca  Bonetti  stampatore  dell*  Eccell.  Collegio  de*  Sig.  Legisti,  con  licentia  et 
privilegio  di  sua  altezza  »  (il  granduca  Cosimo),  chiama  «  N.  M.  scrittore  elegantissimo  e 
letterato  »;  nell'edizione  poi  della  prima  e  della  seconda  parte,  dedicata  a  Ferdinando  de'  Me- 
dici e  intitolata  Hiatoria  ds' fatti  «  gtterrB  de*San»sÌ,  Venezia,  1590,  pag.  4,  lib.  i,  al  luogo 
sopra  recato  Io  cita  indicandolo  come  «  altro  scrittore,  al  quale  non  è  lecito  al  presente 
dar  nome  »;  e  il  Faoiuoli,  RifM  piacevoli,  Firenze,  1729,  per  evitare  di  menzionare  il  nome 
abbominato,  in  luogo  di 

Bmehfc  diean  persone  Mereditate 
Che  U  «ia  lioria,  già  ohe  il  MaehiaTello 
La  neconte  con  troppa  Teritate, 

sostituì  «  Ch'ella  sia  storia,  tanto  sta  a  martello  ». ~ Recentemente  O.  Rbvebb,  Osiride, 
pag.  177: 

Niccolò  Machiavelli,  il  tno  eaaato, 
Se  retimologia  Tal  qualche  eoea. 
Tiene  dai  mali  chiodi  diviato, 
Kd  origin  codaeta  i  gloiloaa. 

e  celiando  apostrofa  il  Segretario  fiorentino: 

a  moetrarti  largo  e  figlio  degno 
IH  lei,  ch'ora  il  eveechia  e  rinnovella, 
Col  Mono  antico  le  laaciaeti  i  ehiodL 

Sul  Baretti,  anno  xi,  n.  50,  si  leggono  ancora  Aue  Sonetti  di  B.  Boccàbdi  intomo  al  M., 
in  cui  si  celebra  «  l'acre  saver  che  si  distilla  Dalla  sua  penna  in  un  maligna  e  pia  ».  — 
Ravvisammo  nello  scritto  del  Zibolbb  il  motto  posto  dal  Manzoni  sulle  labbra  di  don  Fer- 
rante; quello  di  Gino  Capponi,  da  noi  riferito  in  nota  a  pag.  60,  trova  riscontro  per  via 
d'antitesi  in  quel  che  M.in«  Roland  {Mémoires)  riferisce  intomo  al  Brissot:  «il  juge  bien 
l'homme  et  ne  connait  pas  du  toot  les  hommes  ». 

[A  pag.  101]  —  Le  lettere  e  la  musica  dovettero  pertanto 
essere  probabilmente  studio  simultaneo  anche  della  giovinezza 
di  Niccolò.* 

*  Nel  ms.  vaticano  5225,  voi.  ni,  fog.  673,  che  contiene  una  miscellanea  poetica  del 
secolo  XVI,  si  trova  un  sonetto  di  N.  M.  che  possiamo  certamente  risguardare  come  dei 
primi  componimenti  di  lui,  non  privo  di  pregi.  Questo  è  da  Niccolò  indirizzato  *adM.  Ber^ 
nardo  sito  padre,  in  villa  ad  S.o  Caaciano  ».  —  Fu  pubblicato  dal  Villabi,  op.  cit.,  voi.  in, 
pag.  414;  il  quale  non  avendo  consultato  da  per  so  il  manoscritto,  ne  die  una  lezione  non 
corretta,  ed  ebbe  però  a  trovar  «  non  facile  »  la  interpretazione  di  esso  ;  tanto  da  parergli 
«  che  in  alcuni  punti,  specialmente  nella  prima  terzina,  riesca  oscurissimo  ».  ~  Similmente, 
poiché  chi  comunicò  a  lui  la  notizia  di  questo  componimento,  non  si  sovvenne  forse  a  me- 
moria degli  altri  scritti  poetici  del  M.,  lo  informò  soltanto  che  nel  ms.  indicato  si  tro- 
vavano, oltre  a  questo,  l'altro  noto  sonetto  (pag.  074)  «  Io  ho.  Giuliano,  in  gambe  un  paio 
di  geli  »  e  (pag.  605)  il  Capitolo  dell'ambizione,  che  in  detta  raccolta  capitano  contra- 
segnati col  nome  del  Machiavelli;  senza  rilevare  che  vi  si  trovano  ancora  (pag.  518)  il 
cosi  detto  Capitolo  dell' Occasione,  intitolato  «  Uno  che  parla  a  Fortuna  »;  e  l'altro  Cap. 
di  Fortuna  (pag.  581t),  e  quello  àéiV Ingratitudine  (pag.  667-671).  —  Ora  noi,  ripub- 
blicando il  sonetto  precedentemente  sconosciuto,  invitiamo  il  lettore  a  ponderare  l'aria  con- 
fidenziale, scherzevole,  burchiellesca,  che  Niccolò  affetta  verso  il  proprio  padre,  e  l'accenno 
a  un  messer  Daniello,  come  a  giudice,  cui  la  famiglia  rivolgeva  efilcacemente  contro 
messer  Bernardo  le  sue  rimostranze  ed  appellazioni. 

Niccolò  ìiaehia«Mi  ad  M.  Btmardo  9uo  paàire 
in  uiOa  ad  8.o  Camino.  (1) 

Coetor  ulaenti  aono  un  meae,  o  pine 
a  noce,  a  llehi,  a  fané,  a  carne  leeea  (2) 

(1)  Hi:  "  Caieaao  ,  — 

(3)  Ms:  *  leccha,  dloceha,  leeeha,  treeeha  „  — 

ToMMASmi  -  MaehiafMlU.  39 


Digitized  by 


Google 


610  AGGIUNTE. 

Ul  ch'ella  fla  malitia  «t  non  cilecca 

el  far  »\  (3)  lanya  stanza  costà  sue. 
Como  '1  bue  flesolan  (4)  guarda  a  l'angihe  (5) 

Amo,  assetato,  o'mocci  se  no  lecca 

così  fanno  ei  de  l'ooua  ch'ha  la  trecca 

et  col  becchaio  del  castrone  et  del  bue. 
Ma,  per  non  fare  afamar  le  marmegge, 

noi  faren  motto  drieto  a  daniello,  (6) 

che  forse  già  u'h  qualcow  che  legge 
Perchè  mangiando  (7)  sol  pane  et  coltello 

fatti  habian  becchi  che  paion  d'aeegge, 

at  a  pena  tegnan  gli  (8)  occhi  a  sportello 
Dite  ad  quel  mio  fratello 

che  uenga  ad  trionfar  con  esso  noi 

l'oca  (9)  eh'hauemo  giouedi  (10)  da  uoi 

Al  fin  del  gioco  (11)  poi, 

messer  Bernardo  mio,  uoi  eomperrete 

paperi  et  oche,  et  non  no  mangerete. 
risiB. 

[Pag.  121-22]  —  Restava  che  il  re  dicesse:  «  andiamo 
adunque  dove  ci  chiama  la  gloria  della  guerra,  la  discordia 
de' popoli  e  gli  aiuti  degli  amici  »,  come  il  Machiavelli  retto- 
ricamente  gli  fa  dire  ;  * 

*  Imitazione  da  Svbtonio,  in  lulius  Caesar^  32  «  Eatur,  inquit,  quo  deoram  ostenta  et 
inimicorum  iniquitas  vocat:  iacta  alea  esto  )».  — 


[Pag.  156.  Nota] 


E  non  ne  dice  altro.  Ma  negli  Estratti  di  lettere^  che  furono  lavoro  preparatorio  alle 
Storie^  scrive  (ed.  ult.,  t.  ii,  pag.  263):  «Aveva  offerto  Pagolo,  sentendo  e*  bociamenti, 
stare  alla  ripruoua  che  non  aveva  errato  —  Fu  Pagolo  condotto  a  Firense,  et  morto  addi 
10  d'ottobre  ».  — 

[Pag.  187,  lin.  1*]  —  «egli  sembra  avere  attinto  agli  atti 
autentici,  di  cui  riferisce  i  sommi  capi  e  le  parole  testuali  >.♦  — 

*  V.  Arch.  fior.,  Carte  del  M.  autografe^  di  provenienza  Zanoni.  Da  lettera  di  Fr. 
Cappello  :  «  Che  fundamento  si  prese  in  sul  fare  il  divortio  di  questo  Re  di  francia  con  la 
Regina  sua  donna,  che  haueua  inanti  questa  di  bretagna.  vr  Fran.  Cappellus  ».  —  E  dal- 
l'altra parte  del  foglio  :  «  Quia  sterilis,  affinis,  Comater,  et  metu  ac  vi  Ludovici  Regis  dea- 
pensata.  Sed  potior  causa  pretensa  fuit  sterilitatis,  super  qua  obtinuit  ab  Alexandre  pontiflce 
Cansam  committi  jiidicìbus  sibi  propitiia  et  procedi  illa  repudiata  invita  et  reclamante  ».  — 

[Pag.  417,  Un.  34.  Nota] 

....  nelle  due  diverse  lingue.  È  pur  notevole,  a  questo  proposito,  il  seguente  passo  del 
CoMiNBS,  MémoireSf  lib.  v,  cap.  i  :  «  Le  R07  envoyoit  aussi  vers  ces  ligues  d'Alemagne; 
mais  c'estoit  à  grande  difficulté  pour  les  chemins,  et  y  falloit  envoyer  mendiens,  pelerins 
et  semblables  gens  »,  ecc.  — 


(5)  Ed.  Tlllarì:  "  al  far  più  Innra  starna  .  — 
(4)  Ms:  "  flesolano  ,  — 

(6)  Ha:  "  angue  .  — 

(6)  Ed.  Yillari  :  -  noi  farin  motto  drieto  od  orniello  [7]  .  - 


(T)  Ms: 

"  mancando  «  — 

(8)  Ms: 

•  glocchi  ,  - 

(9)  Ms: 

-  loeha  ,  - 

(10)  Ms: 

-  gouedì  ,  - 

(II)  Ma: 

-guoco.- 

Digitized  by 


Google 


APPENDICE. 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


I. 

(T.  JntroduaUkHt,  pig.  66). 

Lettere  dello  Sdoppio. 

1.  (Gaspar  Scioppio)  ali  molt'Ill."  Sìgs  il  SigJ  Giovanni  Fabri  medica 
e  simplicista  di  N.™  Sig.»^  —  Roma. 

(Roma  —  Archivio  degli  Orfani.  Zattere  d'Interassi  diversi  scritte  ai  sig.  Dr.  Oio. 
Fabri  medico  da  Bamherga^  to.  421,  pag.  544).  ^ 

S.  P.  Tuas  accepi .  nihil  mihi  neque  ab  Inquisitione  neque  a  D.  Bar- 
tholino  responderi  tanto  tempore,  demiror.  Vide  quaeso  quid  rei  sit. 
Antonino  Amico  a  me  salutem  plurimam  scribes,  cuius  munus,  de  quo 
scribis,  multo  mihi  erit  gratissimum.  Poteris  ei,  cum  erit  occasio,  Ele- 
giorum  meorum  exemplar  mittere,  ut  et  siculis  nonnullis  innotescam. 

Corniti  Nassovio  proxime  scribam  de  nomine  rev.™»  d.  Vives.  D. 
Gezius  Velsenj  scripsit  titulum  Consiliarii  D.  Ramboldo  jam  tributum 
esse,  der  quo  ei  verbis  meis  gratuleris  volo. 

Exiit  Bononiae  novus  Index  libroram  prohibitorum,  in  quo  extant 
lusti  Lipsii  opera  et  Squittinium  della  libertà  veneta,  quod  satis  mi- 
rari  non  possum,  sicut  e  libris  eisdem  plara  alia.  Tu  quaeso  inquire 
qua  causa  duos  illos  vetandos  putarini  Liber  meus  de  stilo  historico 
superiore  hebdomada  extremam  manum  rocepìt.  Jam  occupor  in  dispu- 
tatione  de  libris  et  doctrina  Machiavelli.  Doceo  Ecclesiam  justissimis 
de  caussis  eos  prohibuisse,  sed  non  propter  eas  caussas  quas  ii  volunt, 
qui  adhuc  centra  eum  scripserunt,  quorum  nomo  eius  mentem  aut  con- 
silium  intellexit  Spero  me  cum  Inquisitioni  satisfkcturum,  tum  perma- 
gnam  ab  Hetruriae  Duce,  Florentinis,  omninoque  ab  omnibus  Italis  grar 
tiam  initurum.  Sed  de  hoc  meo  Consilio  non  nisi  quibus  tutissime  credes, 
dicas  velim.  Est  enkn  suspiciosum  valde  negotium  «  und  dùrftt  mancher 
ein  bòsen  concept  von  mir  machen,  bis  es  heraus  kombt  ».  —  Abso- 
lutum  Magno  Duci  mittere  cogito,  ut  ille  det  imprimendum  et  postea 
cum  Inquisitione  agat,  ut  correctione  aliqua  adhiblta,  vel  potius  decla- 
ratione  Machia vellum  legi  permittant*  Confeci  synopsin  dialecticam  libri 
de  Principe,  ex  quo  manifeste  patet  longe  alia  mente  verba  illa  lu- 
brica et  perìculosa  scripsisse  Machiavellum,  quam  calumniatores  ^us 
praecipueque  Jesuitae  clamìtani  Ante  Pascha  spero  librum  absolutum 
iri.  Vale  et  amicos  saluta.  Mediolani  4  aprile  1618. 

1  Non  sarà  inutile  al  lettore  conoscere  roccasione  per  cui  Io  Scioppio  si  determinò  a 
scrivere  la  sua  Machiavellica^  secondo  ci  vien  manifestato  nel  seguente  scritto  deirautore 
medesimo.  Questo  conservasi  ora  nella  Libreria  Laurenziana«  unitamente  alle  altre  opere 
dello  Scfopplo  che  appartennero  già  alla  biblioteca  del  conte  PleruccI,  acquistata  dallo  Stato 
e  trasferita  in  quella  libreria  il  di  18  giugno  dell'anno^  1816.  Il  Bandini  nel  Commentario  De 
Vita  et  Scripti»  Joh,  Bapt.  Donii  ne  die  notizia.  Nella  pref.  messa  innanzi  airediz.  delle 


Digitized  by 


Google 


614  APPENDICE. 

2.  Al  molt'Ill.'o  SìgJ  il  SìgJ  Giovarmi  Fabri  medico  e  simplicista  di 
N.^'o  Sig,^  —  Roma. 

(Arch.  degli  Orfani.  Lettere  al  aig.  Dr.  Giovanni  Fabri  medico  da  Bambergafto,i2l). 

S.  P.  Paracelsica  tua,  si  apud  vos  essem,  libentissime  viderem,  ma- 
xime si  quae  Paracelsus  more  suo  involucris  texit,  ea  Terrentius  ho- 
minum  more  et  quotidianis  verbis  exposuit;  quod  utrum  factum  sit, 

Opp.  di  N.  M.,  Italia,  1828  si  accennarono  1  titoli  di  quelli  scritti  che  particolarmente  rlsguar- 
dano  il  M.  — 

(Firenze,  Libreria  Laurenziana  —  Manoscritti  di  Gaspare  Scioppio,  voi.  xii,  n.  10). 
Verba  Gasparis  Scioppi 
in  libro  qui  inscribitur  :  Macchiavellicorum  operae  pretiunij  quem  absolvit  mense  Maio 
anni  1619. 

—  «Anno  1615  in  celebri  Germaniae  oppido  tragedia  de  Leontio  Comtte  Italo,  Machia- 
velli  discipulo,  in  maxima  spectatorum  frequentia  fuit  acta,  cuius  Scena  VI.  Partis  I 
huiusmodi  argumentum  typis  descriptum  legitur  :  Aliquot  Germani  Barones  ac  nobiies  apud 
exteros  Machiavellismum  addiacuntf  exultantque  gaudio^  ae  tam  excellentem  philO' 
sophiam  ac  sapientiam  in  patriam  referre.  Simul  ergo  librum  Macfiiavelli  legunt,  et 
gimplicibus  auis  Germania  eomminantur,  facturoa  ae,  ut  eoa  quoquo  velintt  naso  circum- 
ducant.  Nimirum  si  Poetae  isti  fides  est,  in  Italia,  quam  Ribadeneira  primum  Machia- 
vellicorum  praeceptorum  Seminarium  facit,  Germani  haud  aliud  lucrantur,  quam  quod 
ìngenuitatem  missam  faciunt,  libidines  contra,  fraudes,  perfldiam  et  impietatem  discant. 
inque  patriam  reversi  aliorum  simplicitati  illudunt.  Atque  hac  re  (Ieri  apparet,  ut  pa- 
rentea,  fide  id  genus  poetis  habita,  in  Galliam  potius,  quam  in  Italiam  excolendi  causa 
ingenii  liberos  ablegent.  Ego  Gallicam  peregrinationem  nequaquam  damno,  si  ea  sit  aetas. 
quae  vel  domestica  magistrorum  cura  adhuc  regatur,  vel  tam  firmi  sit  iudicii,  ut  vir- 
tutes  Gallorum  a  vitiis  intemoscere,  et  alba^  quod  aiunt,  linea  aignare  possit.  Italioam 
poetae  isti  dissuadere  non  possunt,  quin  vel  invidiam  erga  Italos  et  qui  ab  ^s  aliquid 
dldicerunt,  vel  summam  rerum  iam  pervulgatanun  imperitiam  prodant.  Quae  est  enim  vel 
scientia,  vel  ars  libero  digna,  sive  ad  utilitatem  generis  humani  referatur,  sive  voluptatem 
aliquam  honestam  et  concessam  efficiat,  cuius  non  clarissimos  doctores  magno  numero 
Italia  produxerit,  et  hodie  quoque  producati  Numerent,  si  placet  Theologos,  Juriscoa- 
sultos,  Medicos,  I^ilosophos,  Oratores  maxime  rerum  sacrarum  ad  populum  interpretes. 
Poetas,  Politicos,  Oeconomicos,  Arithmeticos,  Musicos,  Calligraphos,  sive  literarum  facien- 
darum  arti/ìces,  Pictores,  Architectos,  Sculptores,  Statuarios,  Comicos,  equites  sive 
equorum  doctores,  gladiatores  an  lanistas,  saltatores,  carptores  seu  ciborum  scissores: 
maximum  horum  numerum  Italtae  deberi,  et  hodie  qui  unum  qnodvis  istorum  probe  discere 
cupiat,  eins  rei  facultatem  in  Italia  paene  sola,  plus  certe  quam  usquam  alibi  tetranini, 
contingere  invenient.  Quid  iam  de  iudicii  acrimonia  commemorem,  quam  omnium  nationum 
consensus  Italiae  nitro  tribuit?  Ego  certe  Italos  vix  mediocriter  doctos  elegantios 
rectlusque  de  literis,  quam  consummatissimos  Transalpes  earqm  professores,  non  raro 
indicare  comperi,  neque  non  faveo  eorum  sententiae  qui  Transalpinos  censent,  si  !n  Italia, 
praesertimque  Romae  non  fuerìnt,  neque  Italorum  hominum  usu  iadicinm  subegerint  aut 
perpoliverint,  non  modo  multa  in  Graecis  ac  Latinis  auctoribus  non  nisi  per  nebulam  et 
caliginem  perspicere  et  intelligere,  sed  saepe  etiam  alieno  aliquid  tempore  aut  loco,  vel  ultra 
aut  citra,  quam  oporteat,  facere  ac  dicere,  neque  a  insta  Ineptiae  reprehensione  abesse  posse. 
Quid  de  virtute  Illa  dicam,  cuius  in  consuetudine  sive  conversatione  hominum  qnotidianus 
QSQB  est,  quam  sive  Civilitatem,  sive  Concinnitatem  aut  Decentiam  moram  voces  licet,  qua 
qui  praediti  sunt,  omnia  cavent,  quae  sensibus,  praecipue  extemis,  eorum,  quibuscum  ver- 
santur,  molestiam  afferro,  vicissim  vero  praestant  omnia  quae  gratos  reddere  et  commen- 
dare aliis  solenti  An  est  quisquam,  qui  laudem  eius  virtutis  sic  Italiae  propriam  negare 
ausit,  ut  si  quis  alterìus  cuiuavis  nationis  ea  sit  praeditus,  qui  in  Italia  non  fnerit,  id  intar 
prodigia  numerari  mereaturl  Neque  ego  tamen  istis  Italorum  obtrectatoribus  adversatus 
fuero,  si  eorum  dicant  exempla  posse  memorari,  qui  non  modo  nthilo  maiore  morum  con- 
cinnitate,  sed  etiam  multìs  vitiis  onustiores  et  deteriores  quam  illuc  venerant,  ex  Italia 
redierìnt.  Verum  id  nullius  magis,  quam  ipsorum  culpa  evenisse  scio,  quippe  qui  vel  iam 
astate  corroboratiores  Italiam  venerint  (quod  genus  hominum  emendari,  et  ineptisstmis 
quibus  innutriti  sunt  opinionibus  ac  moribus  liberari  vix  ullius  hominis  arte  aut  ingenio 
potest:  nolunt  discere,  qui  nunquam  didicerunt,  et  nisi  quod  ipsi  faciant,  nihil  rectum  pu- 
tant)  vel  in  Italia  cum  popularibus  assiduo  una  fuerint,  et  Italicae  peregrinatlonis  fructum 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  615 

certior  fieri  uolo.  Ego  magni  Paracelsum  facere  coepi,  postquam  Thomae 
Bovii  nobilis  veronensis  fulmen  adversus  medicos  rationales,  melampy- 
gum  et  flagellurn  medicorum  legi  ;  qui  libelli  nuper  admodum  apud  nos 
ringentibus  Galeni  asseclis  recusi  sunt,  quos  an  legeris,  quamque  pla- 
ceant,  scire  ex  Te  studeo.  Accepi  literas  a  Card.  Millino,  quibus  significai 
molestum  esse  collegis  suis  Inquisitori  bus,  quod  mihi  hoc  tempore  gra- 
tificar! et  Bartholomaeum  Simonettam  hospitem  meum  in  sodalitatera 
Petri  Martyris  cooptare  nequeant;  caeterum  quaevis  me  officia  a  se 
expectare  jubet 

Rev.m  D.  Episcopum  Casalensem  salvum  ad  vos  venisse  gaudeo,  cui 
ut  salutem  amoris  et  observantiae  plenissimam  a  me  nuncies,  rogo.  Cum 
domum  re  versus  fuerit,  opera  a  me  dabitur  ut  et  *  eum  visore  egusque 
consuetudine  aliquantum  frui  possim. 

Bohemiae  res  pessimo  sunt  loco,  neque ,  video,  quomodo  malis 
tantis  medicina  fieri  possit.  Fructus  isti  sunt  Consiliorum  non  Ma- 
chiavellicorum  (nam  Machiavellum  et  recta  et  sancta  praecipere  com- 
peri) sed  CL  Asellianorum  ;  *  quos  me  jam  tum  anno  1610  praenuhciasse 
optimus  mihi  textis  ipso  Rex  Ferdinandus  esse  potest.  Utinam  nostri 

in  perpotando  collocarìnt,  vel  deniqae  ex  Italis  non  nisi  cum  vulgi  faece,  caaponibas,  mu- 
lionibus,  nautis,  rhedariis,  lenonibus.  meretriculis,  aut  cum  iis  qui  gladìatoriam,  saltatoriam, 
fidicinam,  sìmìlesque  artes  mercede  docent,  consuetudinem  habuerint,  caeterum  nuUum 
Italiae  Nobilitatis  periculum  unquam  fecerint,  cum  tamen  nusquam  alibi  tanta  Nobilium  in 
peregrinis  ad  familiaritatem  admictendis  sìt  facilitas  et  communitas.  Etsi  autem  quod 
scenici  isti  philosophi  in  eadem  sua  Tragaedia  de  veritate  praedicant,  eam  proprium  Ger- 
manorum  exoticis  moribus  non  depravatorum  bonum  esse,  id  eia  vel  pervulgati  illius  verbi 
causa  libenter  alii  concesserint,  nuo  dici  solet,  in  vino  veritas:  tamen  haud  facile  mihi 
alienigenarum,  praecipueque  Italorum  exempla  demonstrabunt,  qui  hac  de  causa  in  Ger- 
maniam  venerint,  ut  ullam  ex  enumeratis  paulo  prius  artibus  aut  virtutibus  addiscerent. 
Aliis  enim  hoc  est  consilii,  ut  liberi,  quos  in  Germaniam  mittunt,  aut  linguam  commerciis 
necessariam  cognoscant,  aut  in  studiis  humanitatis  firmiorajaciant  fundamenta,  aut  labori 
nonnihil  adsuescant.  Cum  enim  magistris  in  Germania  discipulos  nudare  (rem  apud  poli- 
tiores  nationes  subturpem)  et  serviliter  corium  eis  concidere  ius  sit,  quo  illi  iure  etiam 
adversus  nobili  atque  illustri  loco  natos  uti  non  dubit^int:  sic  iit  ut  plerique  superstitìosius 
metuentes  plusculum  annitantur,  et  in  discendo  industriam  suam  praeceptoribus  probent. 
NonnuUis  denique  parentum  satis  videtur,  si  lìlii,  quos  aetate  adhuc  tenera  in  Germaniam 
mittuntj  interea  patriae  vitiis  domi  non  imbuantur.  Sed  hac  tota  de  re  alias  fortasse  se* 
parato  volumine  disputabitur  :  nunc  satis  est  mihi  reraovisse  de  mediò  irapedimentum,  quod 
homines  tam  palam  in  Italos  iniqui  Transalpinis,  praecipueque  Germanis  meis  in  Italiam 
profecturis  obiecerant.  Machiavellus  enim  nihil,  quod  mores  hominum  depravare  posset, 
scripsit,  et  si  scripsisset,  plus  ab  eo  in  Germania,  quara  in  Italia  periculi  metuendum 
foret;  nam  in  Italia  libri  eius  non  nisi  a  paucis,  idque  furtive,  legantnr.  Sed  in  Germania 
snbinde  recuduntur,  ac  passim  venales  prostant,  neque  ex  ipsorum  quoque  Catholicorum 
numero  facile  inveneris,  qui  sibi  lectione  eorum  putet  interdictum,  quoniam,  ut  dixi,  legem 
Indicis  Librorum  prohibitorum  nondum  a  maiore  Catholicorum  parte  receptam  esse  sciunt, 
adeoque  ea  ae  nequaquam  obligari  argumentatur  ». 

1  Ms.  ••  ad  ". 

*  U  seguente  foglio  informativo  circa  VApologia  dello  Sctoppio,  tnu»messo  dal  padre 
Benna,  come  prova  l'autografo  pontificio,  a  papa  Alessandro  VII,  dimostra  che  accoglienza 
facessero  allo  scritto  del  dotto  e  bizarro  tedesco  gli  Aselliani.  Ne  debbo  partecipazione  alla 
cortesia  dell'egregio  sig.  prof.  Cuononi,  della  cui  gentile  amicizia  mi  è  caro  attestargli  la  più 
cordiale  riconosrenza. 

Bibl.  Chig.  CarU  partic.  di  papa  Alessandro  VII:  «  Frustra  conatur  Scioppius  omnium 
catholicorum  calculis  damnatum  Machiavellum  a  labe  impietatis  et  pseudo  politices  ausu 
temerario  vindicare.  Quia  enim  is  est  dubiae  ac  sublassae  fidei  homo,  qui  se  tot  viris  religione 
ac  piatate  praestantissimis  praeferre  praesumitl  Nec  rationum  momdnta,  quibus  suas  firmare 
vindicias  satagit,  alicuius  ponderis  sunt.  Duo  enim  supponit,  scripta  Machiavelli  ab  Aposto- 
lica Sede  primum  approbata,  et  Clementis  vij  jussuRomae  edita;  tum  jubente  Clemente  viij 
nigram  eis  Theta  praefixum,  non  ob  errores  et  falsa  dogmata  quae  contineant  ;  sed  quia 


Digitized  by 


Google 


616  APPENDICE. 

Principes  Machiavellum  cum  cura  legere  et  regnandi  rationem  discere 
ex  eo  vellent!  Longe  certe  praeclarius  cum  rep.  Christiana  hodie 
ageretur.  Sed  de  rebus  ìstis  multum  si  cogitare  velim,  vix  canitiem 
barbae  meae,  de  qua  scribis,  evitare  possim.  Itaque  avocare  me  cupio 
et  ad  Antichristum  *  nostrum  convertor,  quem  quod  canos  nondum  prò- 
mittere  mihi  narras,  vix  paene  fidem  facis.  Tu  eum  sodes  verbis  meis 
percunctare,  etiamne  tentiones  carnis  ei  molestae  sint;  aut  quibus  eas 
rationibus  a  se  depellet,  utrum  Triphallì  sui  ritu  sub  arboris  coma 
ruber  sedens  cum  rubente  fascino?  aut  quotumo  aetatis  anno  com- 
meatum  ab  iis  impetrarit,  aut  à  Cypria  manumissus  fuerit?  Haec  enim 
scire  salus  est  adolescentulis,  ait  ille. 

Si  ergo  me  salvum  vult,  ista  me  celare  nequaquam  debet.  Saluta 
Salaputium  disertissimum,  et  ipse  quoque  vale.  Mediolano  a.  d.  27 
Junii  1618.  Tuus  Pascasius  Gorippus.  • 

plerique  in  pravam  sensum  ea  detorqoentes  ex  eorum  lectione  in  errorem  labi  poterant. 
Utrumque  autem  fundamentum  inane  est,  et  quìdquid  superaedificat  corruit  et  f rangitar.  Nam 
Glemens  vij  non  ideo  MachiaveUi  scripta  aplica  auctoritate  approbasse  censetur  quia  Ro> 
mano  Typographo  suo  diplomate  indulsit,  ne  quis  praeter  ipsum  illa  tjpis  mandaret.  Neque 
Clemens  viij  eorum  lectionem  fidelibus  interdixisset,  nisi  praevio  examine  et  matura  disqui- 
sitione  praehabita,  certe  cognovisset  quot  et  quibus  erroribus  ac  pravis  opinionibus  scata- 
rent.  Norunt  omnes  quibus  stylus  Romanae  curiae  perspectus  est,  quantum  in  bis  fundamentis 
praestruendis  a  veritate  Scioppius  aberret.  Quae  vero  congerit  2*  operis  parte  ad  praetensam 
Machiavelli  innocentiam  propugnandam,  ipsa  se  destruunt.  Fatetur  passim,  et  potissimam 
cap.31  ea  omnia  in  ejus  libris  reperiri,  quae  catholici  damnant;  sed  scriptorìs  intentionem 
sanctam  fnisse  autumat,  ipse  videlicet  scrutator  cordium  et  intentionum  discretor;  tum 
prava  exempla  ab  eo  proponi  affirmat,  sed  malo  principi  imitanda:  impiis  praeceptis  prin- 
cipem  imbui,  sed  tjrannum  et  sceleratum:  ita  ei  scribendum  fuisse,  quia  sibi  propositum 
erat  etiam  vitiosas  imperiorum  formas  instituere  et  tyrannidem  in  optimum  prìncipatam 
commutare.  Sic  suum  aethiopem  magis  denigrat,  dum  nititur  dealbare;  dum  excusat,  accusat. 
Satis  fuisset  tjrannum  detestari,  quam  instruere.  Neque  Aristoteles  aut  D.  Thomas,  quo- 
rum abutitur  testimoniis  documenta  tjranuis  praebent  ad  tyrannidem  conseruandam.  Alia 
illis  mens,  ut  eorum  contextum  legenti  perspicuum  erit.  Sed  Scioppius  infensissimus  Jesui- 
tarum  hostis,  quia  Possevinus  et  Ribadeneira  aliique  Jesuitae  acrius  adversus  Machia- 
vellum insurrexerunt,  in  odium  Societatis  malae  causae,  ut  conijcìo,  defensionen  aggressus 
est.  Hinc  irae,  hinc  oestrum,  hinc  iniuriae,  quas  initio  secundae  partis  evomit  in  Jesuitas. 
Quod  si  hic  Cedex  in  lucem  editus  fuisset,  eadem  censura  meo  iudicio  notandus  foret,  quae 
Machiavello  iustissimjs  inflicta  est  ». 

(Notato  colla  matita  e  di  mano  di  papa  Alessandro  VII)  :  «  P.  Bonna  »• 

^  Sotto  la  designazione  dell' Anticristo  sembra  debba  Intendersi  il  Gre  vie.  dicendosi  In 
una  lettera  precedente:  >  in  cujus  flne  Graeviua  noster  totum  folium  occupat.  Fiet  immortali^ 
per  me.  Omnes  enim  Transalpini  posthac  volent  Antlchrf.stum  illum  videro,  almanco  per  U 
bel  mostaccio  suo,  che  nel  mio  libro  vlen  descritto  ".  3  F('br.  1612. 

>  Anagramma  di  -  Gaspar  Scioppius  ".  Il  medesimo  Sdoppio  In  altra  lettera  «  die  SO 
Junll  1618  »  aveva  scritto:  >  Dux  Mantuae  omnibus  fere  hebdomadis  me  ad  se  invltat.  Itaque 
proximo  mense  ad  eum  proflcisci  constitui  absolutis  scilicet  Machtavellicis,  in  quibus  totos 
15  dies  Jam  fui  feriatus,  vel  potius  aliis  occupatus  »  —  E  nell'Archivio  medesimo,  t.  414. 
addi  4  settembre  1618  si  trova  altra  lettera  assai  bizarra  diretta  al  Fabro  in  cui  si  tlen 
proposito  dell'apologia  machiavellesca: 

«  Machiavellica  mea  reussiren  mir  Uber  die  massen  stattlich  ».  Ea  in  veni  aigumenta  qoae 
mihi  paene  ipsi  admirationem  exprimunt.  «Man  wird  von  dieser  Defension  Machiavelli 
zu  singen  und  su  sagen  haben  »,  omnia  scribo  cum  summo  honore  Ecclesiae  romanae  «  und 
man  hoffentlìch  su  Rom  nicht  ubel  wird  mit  zufrieden  sein.  Es  ist  schon  l&ngs  fertìg 
ge^esen,  allein  hab  ich  den  principium  reformiren  woUen.  Und  eile  ich  mich  nicht  und 
nimt  mir  den  Weil»,  quum  nihil  in  mora  periculi.  Sat  cito  si  sat  bene.  «Wan  ich  michau 
Wegen  bringe  man  den  Machiavellum  wird  trSsten  und  lesen  lassen  (etsi  nonnihil  correctam 
quod  probo  ipsum  auctorem  facturum,  si  viveret)  so  soli  man  mir  billich  den  studiren, 
lesen  und  schreiben  verbieten  ». 

«  Aliud  jam  nihil  reperto  quod  scribi  mereatur.  Vale  et  amicos  saluta. 

«  Medici.  4  septeb.  1618.  «  Tuus  O.  Scioppius  ». 


Digitized  by 


Google 


lì. 


(T.  Introdu0{OH«,  pig.  62). 


Analisi  delV Apografo  di  Giuliano  de'  Ricci 

Note  premesse  alla  copia  de*  mas.  di  Niccolò  Machiavelli  ^ 


§  I.  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

Non  è  a  mio  giuditio  per  dispiacere  ai  lettori  la  infrascritta  let- 
tera scritta  dal  Machiavello  ad  un  amico  suo  Tanno  1497  circa  al  pre- 
dicare di  fra  Girolamo  Savonarola,  nella  quale  egli  liberamente  jdice 

1  Quest'analisi  nostra  è  diretta  a  servire  d'illustrazione  cosi  alla  edizione  degli  scritti 
del  M.,  come  alla  conoscenza  di  quel  mss.  del  medesimo  autore  che  non  ci  pervennero  nel- 
Toriginale.  Dell'edizioni  si  cita  In  nota  la  prima  in  cui  comparvero.  Oltre  a  ciò,  dalle  anno- 
tazioni, che  Gtulian  de'  Ricci  premise  alla  trascrizione  dei  documenti  nel  suo  rege.<:to.  ebbe 
in  gran  parte  a  determinarsi  la  dirittura  critica  rispetto  alla  vita  e  alle  opere  del  Segretario 
fiorentino  che  sino  a'  giorni  nostri  prevaine  ;  per  guisa  che  apparisce  chiaramente  da  quelle 
e  l'azione  e  la  reazione  che  il  machiavellismo  nel  suo  progressivo  svolgimento  e-sercltò  sugli 
stessi  discendenti  del  Machiavelli,  più  devoti  alla  memoria  sua  e  animati  per  lui  da  inclina- 
zioni apologetiche,  sotto  ogni  riguardo.  Però  ci  parve  rispondente  all'Indole  del  nostro  lavoro 
il  metterle  in  luce;  tanto  più  c|ie,  cosi  facendo,  avevamo  agio  di  mostrare  quanto  poco  tut- 
tora si  possa  fare  a  fidanza  colle  edizioni,  quand'occorra  di  portar  giudizio  delle  opere  e  della 
vita  del  Marhiavelli. 

Gli  studi  nostri  furono  condotti  sopra  tre  mss.  della  Biblioteca  Nazionale  di  Firenze, 
sopra  un  ms.  della  Corsiniana  ed  uno  della  Barberiniana  di  Roma;  i  quali  tutti,  strettamente 
vincolati  di  parentela,  fra  loro,  posson  distinguersi  in  due  ramificazioni,  a  questo  modo: 

GivLuif  di' Ricci 
ms.  I  A 


I  I 

y  X 


_i 
Il  1 

B  e  D 

A.  Blbl.  Naz.  di  Firenze.  Ms.  palat.,  E.  B.  15,  10  —  è  a  considerare  come  il  primo 
fondamento,  il  primo  gitto,  de'  regesti  che  vennero  compilati  cogli  scritti  del  M.  Esso  è  car- 
taceo del  secolo  xvi  (a.  0,370,  1.  0,240)  scritto  presso  che  interamente  di  mano  di  Giuliano 
de'  Ricci.  L'indole  sua  e  la  sua  autorità  non  potrebbeci  esser  meglio  rivelata  che  dal  seguente 
notamento  dello  scrittore,  che  non  occorre  nei  termini  identici,  né  in  B,  nò  in  C,  nò  in  D. 

(pog.  82t)  —  *  Essendo  oou  c«rtiasima  che  nella  presente  mia  fatieha  si  pnò  desiderare  né  oiom  ■  kxh 
cosrcso,  non  mi  pare  faor  di  proposito,  hamanissimi  lettori,  il  renderui  rainone  di  parte  della  Latentione  et 
animo  mio.  Doaete  adunque  sapere  che  auendo  io  hanti  quelli  originali  alla  rinfusa,  non  bo  possuto  s^  per  questa 
cagione,  eome  anche  per  bauerli  hanti  in  più  uolte,  et  eesere  occupatissimo,  sernare  l'ordine  de'  tempi  ;  et  mi  è 
bastato  solo  el  registrare  in  questa  prima  parta  del  libro,  tutti  i  discorsi  che  dal  Hachiavelli  furon  fatti  sopra 
diuerse  attioni  importanti,  che  ne'  suoi  tempi  si  trattauano  infra  diuersi  principi,  de'  quali  discorsi  11  tempo  ee 
ne  ha  lasciati  pochi,  et  quelli  molta  malconci.  Inoltre  perchè  da  ciaschuno  possa  eesere  nota  in  quanti  et  in  quali 
importanti  maneggi  e'  fosse  adoperata  da'  suoi  cittadini,  ho  preso  fatieha  di  registrare  et  far  nota  di  tutta  le  spe- 
ditioni  et  eommessioni  che  hebbe  dalla  rep.c*,  copiandoui  appresso  (se  ne  ho  trouate)  le  L'*  che  da  lui  furono 
scritta  a  magistrati  in  quella  speditione,  et  cerchata  di  fare  sempre  maggiore  cumulo  che  ho  possuta  di  cosa  ap- 
partenenti a  quel  nogotio.  Ma  con  tutta  le  diligentie  usata,  per  le  molta  difflculta  hauta,  non  mi  è  uenuta  inte- 
ramente fatta.  Et  eceho  che  adesso,  hanendo  trouata  altre  due  l.r«  et  discorsi  nella  speditione  dell'anno  1510  alla 
]f.sta  X.B»,  le  copio  qui  apiè,  eh*  si  potranno  attachare  con  le  altre  che  flnischono  in  q.*^  a  carta  Tentuno  ,  ecc. 

Questa  ò  pertanto  la  prima  bozza  del  regesto  ricciano,  composto  con  men  d'ordine  cro- 
nologico e  di  sistema;  contemporaneo  e,  probabilmente,  fonte  al  ms.  barberiniano  (j^),  11 
quale,  per  quanto  alterato  nella  rilegatura,  in  gran  parte  serba  tuttavia,  com'  ò  facile  rav- 
visare dall'analisi  che  ne  diamo  in  nota  a  pag.  619.  la  medesima  disposizione  dei  documenti 
e  offre  identità  di  testo  con  quello.  La  differenza  essenziale  fra  1  due  coplarl  sta  in  ciò: 
che  mentre  il  Ricci  si  profonde  ne'  notamentl,  lo  scrittore  dell'apografo  barberiniano  n'ò  par- 


Digitized  by 


Google 


018  APPENDICE. 

Toppenione  sua,  della  quale  ciascuno  potrà  fare  quello  capitale,  che  gli 
parrà  in  tante  diversità,  che  ci  sono  tra  quelli,  che  hanno  scritto  del 
detto  frate,  circa  alla  sua  dottrina,  alla  qualità  de'  costumi,  et  al  fine  al 
quale  egli  tendeva,  hauendo  ciascuno  scritto  secondo,  che  gli  dettavano 
le  passioni  deiranimo,  che  in  quelli  tempi  abbracciarono  quasi  tutta  la 
nostra  Città. 

Segue  lettera  del  M,  ad  un  suo  amico:  «  per  darvi  intero  av- 
viso »...  —  ...«  le  cose  nostre  facciate.  Valete,  Datum  Florentiae  die  vin 
martii  1497  ».*  [a  carte  A  23-24,  B  2-7,  C  1-5,  D  1-4 

§  II.  Giuliano  de* Ricci  a  chi  legge. 

Li  pochi  versi  latini,  che  seguono  furono  facilmente  scritti  dal 
Machiavello  a  quello  M.  Francesco  nominato  nella  seguente  '  lettera  ^  o 
ad  altri  che  trattasse  in  Roma  la  causa  di  Fagna,  essendo  essi  in  sul 
medesimo  foglio,  dov'è  la  lettera  che  segue,  et  era  lettera  intera,  ma 
ne  manca  più  che  li  sette  ottavi,  essendo  il  resto  del  Voglio  stracciato. 
Prendano  adunque  da  me  gli  amorevoli  lettori  quel  poco  che  il  tempo 
ci  ha  lassato,  et  da  esso  faccino  coi\jettura  gli  giudiciosi  da  quanta 
invidia  si  lasciò  trasportare  il  Giovio,  quando  disse  il  Machiavello  essere 
ignorante,  o  almeno  poco  litterato.  Considerino  ancora  se  il  Machiavello 
havea  bisogno,  che  Marcello  Virgilio  gli  esponesse  i  più  bei  fioretti  della 
lingua  latina  et  greca,  scrivendo  egli  di  questa  maniera  Tanno  1497 

cliissimo.  Il  Ricci  copiò  dagli  autografi,  a  man  a  mano  che  gli  venivano  dati;  da  questa  copia 
del  Ricci  ebbe  a  trarre  il  suo  registro  forse  un  di  que'  della  famiglia  Tafani  di  Barberino 
in  Val  d'Elsa,  discendente  da  quul  Niccolò  che  il  Machiavelli,  nella  lettera  al  Vettori  dn'  di 
4  decembre,  ciiiama  ••  amirus  nnster  »,  di  cui  •»  totiwaque  familiae  •  encomia  1'  «  alacritas. 
qua  nihil  est  in  hoc  nostro  rure  suavius  »  ;  da  cui  uscirono  i>oi  qua'  principi  Barberini  che 
voltarono  i  loro  tafani  in  api. 

Questo  regesto  A  ebbe  ad  essere  II  padre  d'un  secondo  regesto  x.  che  non  fu  se  non 
ricomposizione  e  riordinamento  del  primo  scritto  da  Giuliano  de'  Rìcci  medesimo.  Ora  di 
quesito  secondo  regesto  x,  che  nei  1726  ora  tuttora  in  possesso  deiral)ate  Corso  de*  Rìcci,  e 
da  cui  furono  esem|»lati  i  copiar!  B,  C,  D,  non  ci  riuscì  aver  notizia,  per  quante  ricerche 
abbiam  fatte.  È  evidente,  pertanto  che,  si  per  rispetto  alla  fedeltà  della  trascrizione  che 
alla  slcurtì7za  della  lezione.  Il  ms.  A,  messo  a  riscontro,  quando  occoiTeva,  cogli  autografi, 
doveva  aver  la  precedenza  su  tutti  gli  altri. 

Il  Ricci  nel  sud  Priorista  (ms.  Bibl.  Naz.  Fior.,  Quartiere  di  Santo  Spirito,  pag.  159t) 
accenna  anche  ad  un'  altra  maniera  di  regesto  compilato  di  lettere  del  M.  e  dei  Dieci  e  ag- 
giunto ad  un  libro  di  altre  storie  di  scrittori  antichi  •  le  quali  lettere  furono  dlllgentemeni* 
copiato  da  Bartolomeo  di  Gherardo  Barbadori  "  ;  ma  neanche  di  questo  potemmo  avvisar 
vestigio. 

B.  Firenze.  Bibl.  Palat.  Ms.  cartac,  ii,  2,  334.  In-foglio,  donato  alla  Biblioteca  Nazionale 
di  Firenze  dal  Canestrini  che  lo  po.ssedeva,  ■  copia  /atta  da  Rosso  Antonio  Martini  sopra 
un  esemplare  dell'abate  Corso  de'  Ricci  y  tratto  dal  regesto,  di  Giuliano  de' Ricci,  compi- 
lato sugli  scritti  originali  di  Nic<;olò  Machiavelli.   Segue    dopo  la  carta  487,   non  numerata. 

•  Copia  di  parecchie  lettere  condotta  sugli  originali  spettanti  alla  famiglia  Ricci,  di 
mano  dtìi  Giampieri  ».  Indi  uno  scritto   autografo  del    medesimo    modestamente   intitolato; 

•  Due  fanfaluclie  di  me  I.  G.  (Innocenzo  Giampieri)  relative  ad  una  nuova  pubblicazione 
deHe  opere  di  N.  Af.  •;  la  prima  delle  quali  à,  per  argomento:  •  Niccolò  MaehiaceUi  e 
Marietfa  Corsini  •,  la  nota  apologia  circa  le  relazioni  domestiche  del  M-  La  seconda  si 
intitola:  -  Aoihso  ai  futuri  editori  delle  opere  complete  di  N.  M.  •  ;  dopo  di  che  seguono: 
Correzioni  e  Varianti  nelle  Istorie  fiorentine  di  N.  M.  tratte  dall'autogr.  palatino;  Cor^ 
rezioni  e  varianti  per  le  Commissioni  e  lettere.  Segue  Legazione  di  N.  M.  alla  contessa 
Caterina  Sforza  a  Forlì.  Lettere  ufficiali,  e  alcune  confidenziali  di  Biagio  Buonaccorsl. 

C.  Ibld.  Ms.  palat.  cartac,  21,  i,  692.  Lettere  e  altre  opere  di  Niccolò  Machiavelli. 
In  fine  a  pag.  924  si  legge  la  seguente  annotazione:  «  Il  presente  volume  da  me  Marco 
Martini  in  questo  anno  172^7  ù  stato  copiato  dalVesemplare  del  sig.  abate  Corso  de'Rirci. 
e  questa  copia  da  Rosso  Antonio  Martini  mio  fratello  t^  stata  di  poi  collazionata  eoll'e- 
scmplare  suddetto  di  Giuliano  de' Ricci  ». 

D.  Roma,  Bll)l.  Corsiniana.  Ms.  cartac.  sec.  xviii,  n.  1918.  Frammento  de'precedeùti  Ape- 
grafi,  di  mano  di  monsignor  Bottari. 

^  Ed.  Camb.,  vi,  3-6. 
'■*  Ms.  A  :  "  sopradocta  •. 
3  V.  Op.,  pag.  100,  nota  3. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  619 

della  sua  età  28,  nel  qual  tempo  appena  haveva  cominciato  a  conoscere, 
non  che  a  praticare  et  conversare  con  il  Vergili©,  di  cui  egli  non  fu  mai 
notaio,  come  falsamente  afferma  il  Giovio  nel  med.mo  luogo,  ma  fti 
Segretario  delli  Signori  et  delli  Dieci,  e  da  essi  per  servitio  della  re- 
pubblica adoperato  in  cose  importantissime,  siccome  in  appresso  ap- 
pieno si  mostrerà,  *  et  a  lungo  da  me,  o  da  altri  sopra  questa  materia 
sarà  discorso.  Basti  per  bora  alli  lettori  questo  poco,  contentandosi  di 
credermi  che  la  infrascritta  lettera  latina,  fosse  da  lui  scritta  nel  tempo 
detto,  che  per  non  li  tediare,  non  ne  adduco  li  testimonìi,  et  scritture 
che  in  fede  della  verità  ne  ho;  parendomi  anco,  adducendole,  fare  torto 
a  me  medesimo  a  persuadermi,  che  non  mi  debba  .essere  creduto  questo, 
poiché  il  Giovio  si  dette  ad  intendere  che  il  mondo  credesse  che  il  Ma- 
chiavello gli  dicesse  che  Marcello  Virgilio  come  ho  detto  di  sopra,  gli 
avesse  insegnati  ì  fioretti  della  lingua  greca,  e  della  latina. 

Segue  il  frammento:  <  verum  ego  valetudine  oppressus  »...  — 
...«  non  poenitebit.  Vale,  Datum  Florentiae  kal.  Decembris  ».* 

[a  carte  A  23,  B  9-10,  C  5-6,  D  4-5 

§  in.  Giuliano  de* Ricci  a  chi  legge.^ 

La  che  seguita  è  copia  d'una  lettera  scritta  dal  Machiavello  ad 
un  prelato  in  nome  di  tutta  la  famiglia  de' Machiavelli  circa  alla  recu- 
peratione  del  benitìtio  della  Pieve  di  Fagna  posta  in  Mugello,  vicino 
a  Scarperia,  del  qual  luogo  ne  sono  li  detti  padroni,  come  anco  di  molti 
altri  benefitii  di  non  minore  importanza  posti  nella  Valdelsa.  Servirà 
questa  lettera  per  mostrare  la  nobiltà  della  famiglia,  (che  sendo  cosa 
notissima  non  ci  starò  a  discorrere  sopra)  et  per  far  fede  al  mondo  in 
quanto  conto  fosse  tenuto  il  nostro  Machiavello,  non  solamente  dalla 
Repubb.  ca,  et  dall'universale,  ma  ancora  da  suoi  medeximi,  il  che  suole 
essere  molte  volte  assai  difficile,  maxime,  quando  in  una  casata  sono 
assai  in  numero,  che  per  sapere,  et  facultà  non  pare  loro  di  devere 
cedere  alli  altri,  essendo  che  queste  ci  rendono  insolenti,  et  di  quello 
ne  pare  bavere  a  ciascuno  molto  più  che  non  li  bisogna.  Nondimeno  tutti 
gli  altri  cederono  in  questo  loro  bisogno  a  Niccolò  nostro,  se  bene  era 
il  più  giovane  di  tutti,  et  forse  il  meno  facultoso,  tanto  fu  da  essi 
apprezzato  il  sapere,  et  ingegno  suo  attissimo  a  qualsivoglia  sorte  di 
cosa. 

Segue  la  lettera  ad  un  prelato  «  Tutte  le  cose  che  »...  —  ...«  in  ae- 
ternum.  Ex  Florentia  4to  Nonas  Decembris  >^ 

[a  carte  A  22-23,  B  11-13,  C  6-7,  P  5-6 

^  Ms.  A:  «si  come  di  sopra  si  è  mostro  et  più  appieno  si  mostrerà  «. 

>  Ed.  Camb..  vi,  2-3. 

»  In  margine:  •  Viene  di  Fogna  in  Mugello  Padronato  de' Machiavelli  ». 

*  Ed.  Camb.,  iv,  pag.  l-S.  Negli  apografi  la  soscrizione  è:  •■  Maclaoellorum  familia, 
Piero,  Niccolò  et  tutta  la  famiglia  de'  Machiavelli.  Cioes  fiorentini  ».  —  V.  Blbl.  Naz.  (Doc. 
M.,  bti.sta  I,  n.  57).  11  ms.  barberlniano  (xj)  sopraccitato  ebbe  ad  essere  forse  scomposto  e  mal 
riordinato  nella  rilegatura  recente,  trovandovisl  i  numeri  31-47  fuor  di  luogo  e  In  principio. 
Stando  al  numero  d'ordine  Indicato  nella  copia,  questa  lettera  sul  beneficio  della  Pieve  di  Fagna 
doveva  in  origine  essere  la  quinta.  Or  ecco  a  che  guisa  si  conseguitano  le  materie  nella  pre- 
sente condizione  del  manoscritto:  —  -  ...  Commef sione  a  Mantova.  &  di  10  novembre  1509 
(Istruzione)  pag.  1.  —  xxxi.  Li  effetti  della  eonventione  che  ai  à  da  fare  con  Luciano  Gri- 
maldi S.r»  di  Monaco,  pag.  2-3.  — •  xxxii.  Instructione  viene  a  Te  Niccolò  Machiaoegli 
di  quello  si  ha  a  fare  in  questa  gita  tua  per  ordine  nro  a  Vinetia,  deliberata  questo  di 
9  d'agosto  1525  ;  pag.  3-4.  —  xxxiii.  Instructione  a  Te  Niccolò  Machiavelli  deliberata  a  di 


Digitized  by 


Google 


620  APPENDICE. 

Istructione  a  Niccolò  Machiavelli  Secretario  allo  III.  Signore  di 

3  di  febbraio  1586  dalli  Mag.ci  Sri  Otto  di  Pratica;  pag.  4-5.  —  zzziv.  Instruetione  del  Guto- 
ciardinl  al  M.  mandato  da  lui  a  Cremona;  pag.  5-6.  —  zxxv.  Delle  cose  dì  Lucca;  pag.  6-10. 

—  XXXVI.  (Ritratti  d'uomini  lUuttri)  Piero  di  Gino  Capponi;  pag.  li.  —  xxxvii.  Anton  Già- 
cominl  ;  pag.  11-18.  —  xxxviii.  Cosimo  de'  Pazi  e  mr.  Fr.  Pepi  fatti  oratori  allo  Imp.«;  pag.  18. 

—  xxxix.  di  FranceBco  Valori  ;  ibid.  —  xv.Varie  tententie  et  pareri;  pag.  18-13.  —  xlì.  Let- 
tere di  N.  M.  a  Fr.  Vettori,  13  marzo  1518;  pag.  13-14.  —  xlii.  Id.  eod.,  addi  18  di  marzo; 
pag.  14-15.  —  xLiii.  Id.  eod.,  addi  9  aprilo  1513;  pag.  15-16.  —  xliv.  Id.  eod..  addi  16  aprile  1513; 
pag.  16-17.  —  xLv.  Id.  eod.,  addi  80  giugno  1513  pag..  17-80.  xlvi.  Id.  eod.,  addì  10  agosto  1513; 
pag.  80-84.  —  XLvii.  Id.  eod.,  «  ex  Percussina  4.  die.  decemb.  1514  ••;  pag.  84.  —  Segue  senza 
numero  progressivo  :  •  Del  fortificar  Jlrenze  e  metter  dentro  monte  OUoeto  -  ;  pag.  85-36. 

—  Indi  comincia  col  numero  ii.  Lettera  circa  la  med.  materia  allo  ambasciatore.  •  Avanti 
Jeri  ricevemmo  la  v.ra  de*  88  del  pa.s8ato  •;  pag.  86-37.—  iii.  Sermone  spirituale;  pag.  37-39. 

—  IV.  Discorso  sopra  le  cose  di  Pisa,  senza  principio  e  fine,  tutto  lacero.  •>  Che  riavere 
Pisa  sia  nece.s.sarIo  «...  —  ...>  in  questi  tempi  o  no  ".  Poi  aggiunge:  «seguita  questo  discorso 
a  e.  161  •  pag.  39-40,  —  v.  Lettera  sul  hencjlcio  della  Pieve  di  Fagna,  col  frammento  la- 
tino ;  pag.  40-41.  —  VI.  Ad  un  amico,  circa  il  predicare  di  fra  Girolamo  Savonarola,  8  marzo 
1497  ;  pag.  41-44.—  vìi.  Discorso  ovver  Dialogo  sopra  la  lingua  fiorentina;  pag.  44-53.  Com- 
missione a  Caterina  ^orza.  Lett.  di  credenza;  pag.  53.  —  viii.  -  Da  Castrocaro  scripsl  •, 
Lett.  19  luglio  1499;  pag.  53-55.  Ibid.  Lett.  88,  83,  84  luglio  1499;  pag.  55-58.  —  ix.  Segue 
della  Commissione  al  Valentino  la  sola  Patente;  ibid.  Commissione  data  dai  M.d  X.d  a  N.  M. 
deliberata  a*  83  d'ottobre  1503;  p.  59.  Lett.  di  credenza  al  papa  die  8  novembris  1503;  pag.  60. 

—  Seguono  :  Lett.  a'dl  87  novembris,  pag.  64-45,  6  di  dicembre  (imperfetta),  pag.  65-66. 
Lett.  di  N.  M.  a  Pier  Soderlni  ;  pag.  66-67.  Appunti  storici.  •>  Addi  84  d'ottobre  1503.  LI 
Franzesi  andorno  a  campo  a  Roccasecca  *...  Id.  novembre  1503.  Ricordi  suoi  propri.  7  die, 
15  die.  1503;  pag.  67-69.  —  x.  Commissione  al  re  di  Francia  19  genn.  1503;  pag.  70-78.  Segue 
la  nota  :  -  Le  lettere  scritte  dal  Machiavello  in  q.ta  tua  gita  in  Francia  sono  capitate  male  •. 

—  XI.  Commissione  all'Imp.  1507.  Lett.  da  •  Bolzano  addi  17  genn.  •;  p.  78-75.  Segue:  Di' 
scorso  sopra  le  cose  della  Magna  e  sopra  l'Imperatore  ;  è  imperfetto  ;  pag.  75-76.  Rap- 
porto delle  cose  della  Magna;  pag.  76-88.  —  xii.  Instructione  a  N.  M,  per  a  Roma,  a'dl 
85  d'agosto  1506;  pag.  88-83.  Lett.  di  N.  M.  ai  X  80  agosto  1506  (erron.  88);  pag.  83-86.  — 
XIII.  Commissione  in  Francia,  1510.  N.  M.  al  X. ci  Lett.  18  luglio  1510;  pag.  87-91.  Id.  Bozza 
della  lett.  addì  85  di  luglio  tenuta  a'dì  86;  pag.  91-96.  Lett.  9  e  10  agosto.  Nota:  ■  della 
seguente  lettera  manca  il  principio  e  forse  il  fine  dell'antecedente  ••;  pag.  96-99.  Lettera  -  die 

18  auguriti  -;  pag.  100-108.  Id.,  a'dl  84,  87,  30  agosto.  A'dl  8,  5,  10  settembre^,  pag.  108-lli. 
Della  natura  de'Franzesì:  •  Stimano  tanto  l'utile  «...  —  ...•  naviga  per  perduto  >;  p.  111- 
118.  —  XIV.  Comm.  in  Lombardia,  1511.  Comra.  e  patente;  pag.  118-116.  —  xv.  Fr.  Vettori 
al  M.  Lettera  de' 3  die.  1514;  pag.  116-117.  N.  M.  a  Fr.  Vettori,  due  lett.,  80  die.  1514; 
pag.  117-185.  Id.  eod.,  14  aprile  1514  ;  pag.  185-187.  N.  M.  a  Fr.  V.  (senza  principio)  -  ci  veggio 
quando  si  pigli  p.  l'arciduca  contro  alla  voglia  de' Svizzeri  «;  pag.  187.  —  xvii.  Lettere  di 
N.  M.  ad  una  donna  illustre  delle  novità  di  Firenze  nel  1518.  Ibid.  Della  medesima  ma^ 
teria,  scrittura  imperfetta  :  •  Essendosi  in  quel  tanto  in  Firenze  fatto  certo  nuovo  ordine  •; 
pag.  187-130.  —  xviii.  N.  M.  a  Fr.  Vettori  :  «  Io  nel  mezo  di  tutte  le  mie  felicità  «...  ora  la 
pace,  manca  il  fine;  pag.  130-134.  —  xix.  Ghiribizzi  scritti  a  Pier  Sederini  In  Raugia  da 
N.  M.;  pag.  134-136.  —  xx.  Lettera  di  Fr.  Guicciardini  a  N.  M.  a  Carpi,  18  maggio  1521  ; 
pag.  136-137.  Lettera  di  N.  M.  al  card.  Giulio  de'  Medici,  essendo  il  Car.l*  a  Firenze  et  il 
M.  a  Modana;  pag.  137-138.  Z.e^(.  di  N.  M.  a  Giovanni  Vemacci  in  Pera.  86  giugno  1513. 
Id.  eod.,  18  agosto  1515.  Id.  eod..  19  nov.  1515,  15  febbr.  1515,  8  giugno  1517,  5  genn.  1517; 
pag.  139-140.  —  XXII.  Proemio  a  discorsi;  pag.  140.  —  xxiii.  CommiMione  a  Siena.  86  aprile 
1503.  —  XXIV.  Commissione  data  a  N.  M.  per  a  Siena,  deliberata  per  li  M.d  X.d  addi  16 
di  luglio  1505;  «manca  il  negotiato-;  pag.  140-141.  Ibid.  Lett.  di  N.  M.  -  die  84  Julii  1505  •; 
pag.  141-143.  —  XXV.  Provvisione  dell'ordinanza:  pag.  143-151.  Termina:  «  fermezza  allo 
stato  loro  •.  —  ■  Principio  e  frammenti  laceri  per  la  provvisione  de'  cavalli  •;  pag.  151-15S. 
Seguono  1  Frammenti  laceri  circa  la  medesima  materia:  ■  Gli  huomini  si  travagliano  volen- 
tieri "...  —  ..."  e  il  più  tristo  facchino  che  vesta  armi  in  Italia  «.  Esegue  la  seguente  nota: 
■  Si  lasciano  molte  Commissioni  date  al  M.  dalla  rep.  per  entro  II  dominio  flor.ao  et  fuori, 
appartenenti  alll  ordini  della  milizia  che  da  esso  ebbero  il  principio,  la  regola,  l'ordine  et 
la  forma.  Solo  si  registra  questo  discorso  di  chi  sarebbe  bene  che  comandasse  alle  fanterìe 
delle  ordinanze,  fatto  a'dl  6  di  maggio  1511  •.  Segue  Consulto  per  eleggere  il  capo  delle 
fanterie;  pag.  158-153.  —  xxvi.  Discorso  senza  principio  et  mal  condizionato  del  gastigo  si 
dovea  dare  alla  città  di  Arezzo  et  di  Valdichiana  quando  si  ribellò  nel  1502;  p.  153-156. 

—  XXVII.  Commissione  al  signor  di  Piombino  die  85  marti!  1498;  pag.  156-157.  —  xxviii.  Com- 
miss.  a  Perugia,  a  O.  P.  Baglioni  die  9  aprilis  1505;  pag.  157-158.  —  xxix.  Commiss,  a 
Mantova  4  maggio  1505  ;  pag.  158-159.  —  xxx.  Commiss,  a  Piombino;  pag.  159-160  cogli 
appunti  della  lettera  spedita  da  Niccolò  a  Piombino;  pag.  160-161.  Nota:  >  Questo  discorso 
circa  le  cose  di  Pisa  appicca  col  discorso  a  carte  30  n.  4  >.  Se  non  che  la  carta  30  mane* 
nel  ms.  passandovisi  dalla  85  alla  38.  —  xlviii.  Lett.  di  N.  M.  a  Fr.  Vettori,  addi  86  ago- 
sto 1513;  pag.  163-166.  —  xlix.  Id.   eod.,  addi  X  ott.  1513;  pag.  166-169.  —  l.  Id.  eod.,  addi 

19  die;  pag.  169-170.  —  li.  Id.  eod..  addi  5  genn.  1513;  pag.  170-178.  —  lii.  Id.  eod.,  4  febb. 
1513;  pag.  178-174.  —  lui.  Id.  eod.,  addi  85  febb.  1513;  pag.  174-176.  —  liv.  Id.  eod.,  addi  10 
giugno  1514;  pag.  176-177.  —  lv.  Id.  eod.,  3  ag.  1514;  pag.  177-178.  —  lvi.  Id.  eod..  addi 
SI  gennaio  1514;  pag.  178-180.  —  lvii.  Addi  5  d'aprile  1587  N.  M.  a  F.  V.;  pag.  180-181.  — 
Lviii.  Id.  eod.,  14  apr.  1587;  pag.  181-188.  —  lix.  Id.  eod.,  16  apr.  1587;  pag.  188-183.  — 
Lx.  Id.  eod.,  18  apr.  1587  -  in  Bcrzighella  ■;  pag.  183.  —  \.xi.^Framm.  storico:  •  Papa 
Alessandro  volle  che  Alfonso»...;  pag.  183-184.—  lxii.  Id.  Dalle  Ire  del  vescovo  de'Paziet 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE,  621 

PiomUno  €  andrai  al  ponte  ad  Hera  »... — ...«  ti  pareranno  più  a  proposito, 
die  xxiiij  martii  mccccLxxxxlviij  ».* 

[a  carte  A  75-75t,  B  14-16,  C  7,  D  6-7 
Framenti  di  lettere  del  Vescovo  de'  Pazzi  et  di  pier  soderini  ora" 
tori  in  Francia  addi  17  settembre  1498  " 

V  €  Noi  discorrendo  infra  noi  i  casi  nostri  »...  — ...«  quello  che  si 
ha  a  fare  de' fatti  di  Pisa^  si  faccia  presto  presto  ». 

[a  carte  A  161,  B  17,  C  9,  D  7-7t 
2°  Et  de' 20  di  7bre  1498.  <  una  delle  cose  che  noi  giudichiamo 
essere  necessaria  »...  —  ...«  et  mantenersi  a  servizi!  vostri  ». 

[a  carte  A  161,  B  17,  C  9,  D  7t 
3  et  de  29  di  settembre   1499  <  Questa  mattina  el  Cardinale  di 
S.to  Piero  ad  vincuLa  mandò  per  noi  »...  —  ...«  VV.  SS.  gli  privereb- 
bono  del  Capitaneato  et  soldo  ». 

[a  carte  A  161-161t,  B  17-19,  C  9,  D  7t-8 

§  IT.  Giuliano  de'  Ricci  a  chi  legge. 

La  che  seguita  è  la  lettera  di  Credenza  per  li  Sig.»^»  di  Furli.*  Lei- 
tera  di  credenza  à  Caterina  Sforza  <  priores  libertatis  et  vexillifer 
lustitiae  pop.  fior,  ex  palatio  nostro  die  12  lulii  1499  ».»  «  Mittimus  ad 
Exca»  vestras  »...  — ...«  ac  nobis  loquentibus.  b.  v.  ». 

[a  carte  A  40,  J5  19,  C  9-10,  D  8 


di  Pier  Soderini,  oratori  in  Francia,  addi  17  di  sett.  1494.  Et  de*  20  sett.  1498;  id.  de*  21 
sctt.  1499.  —  Lxiii.  A  di  14  nov.  1494.  Frammenti  ed  estratti  di  lettere,  die.  1474.  —  lxiv. 
Passaggio  di  Carlo  Vili.  Comincia:  "  Mandò  oratori  per  Italia  a  tentare  1  popoli  •;  p.  185- 
190.  —  Lxv.  Cose  dì  Montepulciano.  —  lxvi.  Estratti  e  appunti  storici,  luglio,  ag.,  sett., 
ott.,  nov.  1495.  —  Lxvii.  Die.  1495.  —  lxviii.  Da  genn.  1495  a  luglio  1498.  Note:  -  Seguita 
ne'  quadernurci,  e  molte  altre  cose  pure  In  quadernucci,  cioè  tutto  II  1515;  pag.  225.  Seguono: 
Lett.  di  N.  M.  a  Fr.  Guicciardini,  Carpi,  a  dì  17, 18, 19  maggio  1521  ;  pag.  225-228.  Segue: 
N.  M.  a  mr.  Francesco  Guicciardini  commissario  in  Romagna.  Note:  •  Dopo  hauerll  tratteto 
d'una  macchia  ch'egli  aveva  a  far  plantere  a  Poppiano  di  Valdelsa,  di  un  suo  garzone,  e 
dolutosi  che  quell'anno  non  si  pigliava  beccafichi,  nel  fine  della  l.ra  dice:  ò  atteso  et  attendo 
in  villa  ad  scrluere  le  istorie  •...  —  ...«  nessuno  si  può  dolere  -;  addi  30  aprile  1524,  pag. 
228.  —  N.  M.  a  Fr.  Guicciardini,  addi  17  agosto  1525;  pag.  228-229.—  Id.  eod.,  "  per  essere  io 
andato  subito  >•;  pag.  230-231.  Id.  eod.,  «  io  non  mi  ricordo  •;  pag.  231-232.  Id.  eod.,  19  die.  1525; 
pag.  232-233.  —  Id.  eod.,  3  genn.  1525;  pag.  233-234.  Seguono  Canti  e  intermezzi  alla  Man- 
dragola: •  Perchè  la  vite  è  breve  »,  ecc.;  pag.  235.  —  N.  M.  a  Fr.  Guicciardini  •  addi  15 
marzo  1525  -;  pag.  236-238.  — JV.  M.  a  Fr.  Guicciardini  ■  21  magg.  1526  •;  pag.  239.  —  N.  M.  a 
Fr.  Guicciardini  •  2,  3,  4  giugno  1526  •;  pag.  239-241.  —  N.M.a  Fr.  Guicciardini  •  5  nov. 
1526  »;  pag.  241-242.  JV.  M.  e  Fr.  Bandini  a  Fr.  Guicciardini  *  22  maggio  1527  •;  pag.  242.  — 
Fr.  Guicciardini  a  N.  M.  *  29  luglio  1525  •;  pag.  243.  —  Id.  eod.,  7, 1525;  pag.  243.— Id.  eod., 
■  Rome  22  malj  *;  pag.  243.— Id.  eod..  xxx  octob.  1526;  pag.  244.— Id.  eod.,  «  12  nov.  1526  •; 
pag.  244.  Id.  eod.,  «  26  die.  1526  ••;  pag.  246.  Jacopo  Sadoleto  a  N.  M.  -  da  Roma  addi  8 
luglio  1525  •;  pag.  246.  Filippo  Strozzi  a  N.  M.  •  ultimo  di  maggio  1526  in  Roma  »;  p.  247- 
248.  —  Bartolomeo  Cavalcanti  a  N.  M.  •  18  sett.  1526  •;  pag.  248.  —  Fr.  Soderini  vescovo  di 
Volterra  a  N.  M.  (die  29  sept.  1502);  pag.  248.  —  Marcello  Virgilio  a  N.  M.  al  Pontassieve. 
m  Yi  februarii  1509  *;  pag.  299. 

*  Ed.  Itella.  1828.  —  Nel  ms.  A,  innanzi  a  questa  Commissione  -trovasi  (pag.  75)  la  se- 
guente annotozione,  soppressa  poi  negli  altri  apografi:  «  Giuliano  de' Ricci  a  chi  legge.  Di- 
sopra ho  copiato  molte  Commessioni  date  a  Niccolò  Machiavelli  dalla  sua  rep:  resterebbo- 
sene  ancora  molte  le  quali  Io  lascio  da  banda  per  es.sere  la  maggior  parte  per  dentro  nello 
steto  de'  fiorentini  appartenenti  alli  ordini  della  mllltia.  che  da  esso,  come  altrove  ho  detto 
hebbero  il  principio,  la  regola,  l'ordine  et  la  forma,  et  per  dare  effetto  a  teli  ordini,  et  per 
descrluere  soldati  a  piedi  et  a  cauallo,  per  leuarli  et  condurli  ove  rlcercaua  il  bisogno,  fU  11 
Machlauello  mandato  più  et  più  uolte  con  amplissime  patenti  per  lo  stato,  che  tutto  la.<«cio. 
Farò  solo  mentlone  di  quelle  Commissioni  che  ho  rltrouate  esserli  stete  date  per  fuori  dello 
stetn,  che  sono  le  appresso  -, 

•  Ed.  Itella,  1813,  voi.  vi,  pag.  11. 

8  In  margine:  •cioè  di  Pagalo  •,  e  poco  sopra:  *  parlano  di  Pagolo  Vitelli^. 
«  Ms.  A  :  m  che  il  resto  è  copiato  in  questo  a  e.  31   delle   cose   appartenenti   a  queste 
spedizione  •. 

<- Erroneamente  In  A,  B  e  C,  1490. 


Digitized  by 


Google 


622  APPENDICE. 

%  Té  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

Furono  le  lettere  che  seguono  scritte  dal  nostro  Machiavello  in  una 
spedizione  che  fu  mandato  dalla  Repubb^a  alla  Principessa  di  Furlù 
come  chiaramente  si  vede  dal  contesto  di  esse  lettere.^  Conoscerassi 
dalli  avveduti  lettori  differenzia  non  piccola  et  di  stile  et  d'altro  tra 
queste  scritte  da  lui  nel  1499  all'altre  ch'egli  scrisse  dipoi. 

—  Segue:  Lettera  di  N.  M.  ai  X"  di  Forlì  addi  17  di  luglio  1499. 
«  Da  Castrocaro  scrissi  hiermattina*  »...  —  ...«  accrescere  la  sua 

buona  disposizione  che  diminuirla.  Bene  valete  ». 

[a  carte  A  30t-31,  B  20-25,  C  10-12,  D  8t-9 

—  Segue:  Lettera  da  Furti  a  di  22  di  luglio  1499.  «  Scripsi  all'Ebe. 
SS.  VV.  »...  —  ...«  come  per  la  ultima  mia  vi  significai  ».3 

[a  carte  A  31-31t,  B  25-27,  C  13-14,  D  9t-10t 

—  N.  M.  ai  X**'  addi  23  di  luglio  1499.  «  Hieri  poiché  io  hebbi  scritto 
et  spacciato  »  — ...«  obbligo  fatto  da  me  in  nome  di  quelle  >.  * 

[a  carte  A  31t-32,  B  28-30,  C  14-15,  D  lOt-llt 

§  ¥!•  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

La  sopradetta  lettera  de'  23  è  imperfetta,  che  manca  il  fine  di  essa, 
come  anco  l'altra  de' 17  dove  è  contrasegnata  coli' asterismo  *  *  non 
attacca,  di  che  non  è  da  maravigliarsi,  et  senza  dubbio  non  se  ne  ma- 
raviglierebbe  alcuno  che  sapesse  in  che  modo  erano  stati  trattati  questi 
originali  dalla  lunghezza  del  tempo,  et  dal  poco  conto  che  ne  era  stato 
tenuto  per  chi  gli  aveva  per  li  tempi  addrieto  hauti  in  custodia,  che 
ora  per  la  diligentia  et  amorevolezza  di  Niccolò  Machiavelli  il  giovane, 
nipote  ^  di  questo,  che  ho  tra  le  mani,  sono  di  nuovo  ritornati  vivi, 
et  veramente  risuscitati,  di  che  gli  debbe  avere  obbligo  non  piccolo 
non  solamente  tutta  la  famiglia  et  Casata  de  Machiavelli,  ma  ancora 
tutto  r  universale  in  mano  di  chi  verranno  queste  opere,  dalle  quali, 
oltre  alla  perfetta,  et  vera  cognitione  delle  cose  successe  in  quelli 
tempi  nella  toscana,  et  nella  italia,  se  ne  trahe  diletto,  et  piacere  in- 
finito con  giovamento  grandissimo  scorgendosi  in  tutte  secondo  la  qua- 
lità delle  materie,  che  in  esse  si  trattano,  quel  garbo  naturale  che  fti 
in  questo  huomo,  et  imparandosi  il  modo  di  servire  bene  et  diligentemente 
li  suoi  Sig.ri  et  padroni,  come  anco  a  conoscere  le  qualità  et  nature 
dell!  huomini. 

Segue:  N.  M,  ai  X"*  «  Havendo  io  hiersera  scritta  la  alligata»...  — 
...«  non  potrei  più  desiderare  tornarmi  alli  piedi  di  VV.  SS.  alle  quali...  »' 

[a  carte  A  32t,  B  32-33,  C  16,  D  12-13 

Lettera  del  Vescovo2di  Volterra  a  N,  M.  Vulterris  29  septem- 
Ifris  MDij.  <  Non  esset  opus  unius  bore  »...  —  ...<  et  me,  ut  facis,  ama». 

[a  carte  A  174t,  B  33-34,  C  17,  D  13 

1  M».  A:  •  Manca  la  patente  et  la  Instructlonc  «. 

-  Ed.  Camb.,  iv,  7-12.  Trovasi  *  innanzi  le  parole:  •  Qu&«:to  giorno  dipoi  circa  ore  16  •. 

>>  Ed.  Camb.,  iv,  15-17.  Termina  diversamente  ;  testo  tratto  dall'autogr. 

*  Ed.  Camb.,  iv,  17-20.  Termina  diversamente  ;  testo  tratto  dall'autogr. 

*  Cod.  A:  •  coirasterismo  della  *  ". 

«  Era  flgliuol  di  Bernardo  e  d'Ippolita  d'Alessandro  Rlnuccl.  Nel  1578  fu  canonico  di 
Santa  Maria  del  Fiore:  mori  nel  10  giugno  1597.  Fu  quegli  che  tentò  far  ritogliere  dall*  In- 
dice le  opere  dello  zio. 

*  Ed.  Camb..  iv,  21-22.  Termina  diversamente;  testo  tratto  dall'autogr. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  623 

§  TU,  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

Sarebbe  cosa  lunga,  et  a  me  impossibile  il  copiare  le  lettere,  che 
dalli  Dieci,  et  dalli  Sig."  furono  mandate  al  Machiavello  in  diversi  luoghi 
dove  egli  si  trovava  per  maneggi  importanti  della  Repub.c*  pure  perchè 
si  habbia  notitia  di  parte  dei  Negotii  ne'  quali  fu  adoperato,  mi  pare  far 
noto  al  benigno  lettore,  come  egli  fu  mandato  dalli  Dieci  al  Duca  Va- 
lentino, et  tenuto  appresso  di  quel  Sig.r®  che  all'hora  si  chiamava  il  Duca 
di  Romagna,  di  molti  mesi,  come  appare  per  infinite  lettere  scritteli  in 
tre  mesi,  che  vi  stette  incirca;  nel  tempo,  che  il  detto  Borgia  fece 
acquisto  della  maggior  parte  di  quella  provincia.  Registrerrò  solo  la 
patente  fattali  da  Priori  alla  sua  partita  per  detto  Duca,  non  mi  sondo 
della  sua  speditione  capitato  altro  alle  mani. 

Segue  —  Patente,  <c  Priores  libertatis  et  Vexillifer  justitiae  etc. 
Mandando  noi  Niccolò  di  ms.  Bernardo  Machiavelli  nobiliss.mo  cittadino 
et  segretario  nostro  »...  —  ...«  maggiore  opera  accadendo.  6.  ?;.  Ex  par 
latio  nostro  die  iii j  octobris  m  .  d  .  i  j  ». 

[a  carte  A  24t,  B  35,  C  17-18,  D  13 

—  Commissione  al  re  di  Francia  «  deliberata  die  ("xviiy)  lan.  1503 
«  Niccolò,  tu  cavalcherai  in  poste  a  Lione  »...  —  ...«  tutti  li  successi  delle 
cose  e  tutti  i  pensieri  nostri.  Ego  Marcellus  Virgilius  ».  * 

[a  carte  A  5t-6t,  B  36-42,  C  18-21,  D  13t-14t 

—  Commissione  a  Siena,  addi  26  aprile  1503.  «  Niccolò  tu  andrai 
a  Siena  »...  — ...«  et  aspettarne  risposta.  Marcellus  ».  ' 

[a  carte  A  62,  B  43-45,  C  21-22,  D  15 

§  Vili.  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge,  ^ 

Stette  il  Machiavello  sino  a  mezzo  gennaio  1502  appresso  il  Duca 
di  Romagna.  Segui  di  poi  la  morte  di  papa  Alessandro  VI  addi  16 
agosto  1503  ei  alli  20  di  7bre  fu  creato  papa  Pio  terzo  il  quale  visse  sino 
alli  16  di  8bre  del  med.^o  anno,  dopo  il  quale  addi  p.°»o  di  9bre  fu  creato 
Giulio  secondo.  Li  Fiorentini  intesa  la  morte  di  Pio  mandarono  il  Ma- 
chiavello al  collegio  de' Cardinali,  il  quale  si  trovò  in  Roma  alla  creatione 
di  Giulio  2^0,  et  vi  si  fermò  anco  doppo  molte  settimane,  come  si  vedrà 
per  le  infrascritte  instructioni,  lettere  di  credenza,  et  lettere  scritte  da 
lui,  mentre  che  in  questa  speditione  stette  in  Roma,  le  quali  si  regi- 
strerranno  per  oTdine: 

Segue  —  Commissione  deliberaia  addì  23  d'  8bre  i503.  «  Niccolò, 

tu  andrai  a  roma  »...  —  ...«  degno  di  notizia.  Ego  Marcellus  Virgilius  ».^ 

[a  carte  A  24-25,  B  46-48,  C  23-24,  D  18-19 

1  Ed.  Camb..  t.  v,  pàg.  1-5.  Nel  ms.  A,  pag.  7,  .««egna:  «  Giuliano  di  Giovanni  de*  Ricci 
a  chi  legge.  Le  lettere  scritte  da  Niccolò  Machiavelli  mio  auo  In  q*  sua  gita  In  Francia 
a.  1503  non  mi  sono  capitate  alle  mani,  et  la  che  seguita  è  una  Instructione  facta  al  predecto 
Niccolò  da  Piero  Sederini  all'hora  gonfaloniere  nella  quale  non  ui  è  la  data  del  giorno.  Ma 
cinedo  fosse  fatta  nel  1510  quando  II  Machlauello  andò  la  2*  volta  In  Francia,  mandato  dalli 
X  della  guerra,  che  ci  mancano  le  patenti,  et  la  instructione  di  tal  gita,  solo  si  truova  Ja 
infrascritta  che  la  copierò  dal  proprio  originale,  come  ho  facto  et  farò  di  tucte  le  altre  de 
verbo-  ad  verbum.  Può  anco  essere  sia  fatta  la  Inft'ascrltta  Instr.  quando  la  preced.  nel  1503. 
Ma  è  molto  più  verisimile  quello  che  questo  i>. 

•  Ed.  Camb.,  iv,  276-7. 

«  Nel  codice  D  per  errore  di  rilegatura  o  Inavvertenza  di  numerazione,  segue  a  pag.  18. 

*  Ed.  Fossi,  Flr.,  1767,  pag.  95-98. 


Digitized  by 


Google 


«M  APPENDICE. 

—  Patente  a  N.  M.  ex  Pàlatio  fiorentino  die  2^  novemòris  i503 
al  papa  :  «  Habbiamo  commesso  a  N.  M.  »...  —  ...€  et  certissima  fede  g.  b.  r. 
S.  V.  »•  [a  carte  A  25,  B  49,  C  25,  D  19t 

—  N.  M,  ai  SS,^  X^'^di  Libertà  e  pace,  €  Questa  mattina  si  è 
comunicato  alla  S^^  dei  papa  >...  —  ...  €  ma  come  sarà  in  luogo  di 
poterlo  fare  Io  manderà  ».* 

[a  carte  A  25tr-26,  B  49-56,  C  25-28,  D  19t-20 

—  N,  M,  ai  X*'  d.  l.  e  p...,  €  Ieri  fìi  Tultima  mia  »...  —  ...<  et  lui 
insolito  ad  assaggiargli  vi  si  aggiri  drente  ».  ^ 

[a  carte  A  26t-27,  B  56-59,  C  28-30,  D  20-21 1 

—  N.  M.  ai  SS.*^  X*'  «  a*  di  27  *  di  9bre  in  Roma.  <  Monsig.r* 
rey.™<>  di  Volterra  mi  ha  hoggi  conferito  »...  —  ...<  che  se  ne  abbia 
vergogna  ».  [a  carte  A  27-27t,  B  60-62,  C  30-32,  D  24-25 

—  N.  M.  ai  X*"'  «  a'  dì  6  di  dicenbre  <  Le  SS.  VV.  si  ricorderanno 
quello  scrissi  »...  —  ...«  travagliare  seco  con  utile  della  città.  Et  se  ne 
scrive  >.5  [a  carte  A  27,  B  63-64,  C  32,  D  25-25t 

§  IX.  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

La  lettera  precedente  è  levata  da  un  pezzo  di  carta  tutto  lacerò» 
e  guasto,  et  come  si  vede  è  imperfetta.  La  che  seguita  ^  fu  dal  nostro 
Machiavello  scritta  in  questa  espeditione  a  qualche  principale  citta- 
dino di  Firenze,  a  chi  premevano  li  moti  ^  fatti  da  Veneziani  in  Ro- 
magna, et  forse  a  Piero  Soderini  Gonfaloniere,  che  questo  si  lascia 
considerare  a  chi  legge,  possendo  stare  Y  uno  et  l'altro,  vedendosi  chia- 
ramente dai  contesto  di  essa,  che  fu  scritta  a  persona  d*  importanza, 
et  che  air  bora  aveva  grandi  maneggi  nella  republica. 

Segue  lett:  €  Magfco  Vir.  Ho  ricevuta  la  vostra  de*  21  ancora  che 
io  non  intenda  la  soscrittione  »...  — ...«  né  credo  per  chi  vi  ha  a  scrivere 
il  vero  si  possa  scrivere  altro  ».« 

[a  carte  A  28,  B  65-67,  C  33-34,  D  28-29 

—  Commessione  de'  X"^  a  N.  M,a  Perugia  a  Giampaolo  Baglioni 
€  Niccolò,  tu  cavalcherai  con  ogni  celerità  »...  —  ...«  ci  darai  notitia 
d'ogni  tuo  ritratto.  Ex  palatio  fiorentino  die  viiij  aprilis  m.d.v.  Mar- 
cellus  Virgilius.  »»  [a  carte  A  75t-76,  B  68-70,  C  34-35,  D  29-25 

—  Commessione  dé'X^^^uN.  M.  per  a  Mantova  :  <  die  mj®  may.  1505. 
Niccolò  tu  cavalcherai  in  poste  »...  — ...«  sai  quanto  importa  il  tempo  ».  *^ 

[a  carte  A  76-761,  B  70-73,  C  36-37,  D  26-27 

1  Ed.  Camb.,  iv,  S95  In  nota. 

>  Senza  data  nel  manoscritto.  È  la  prima  bozza  della  Lettera  ■  die  zi  novembrls  m.d.iq  * 
Commisi,  alla  Corte  di  Roma. 

s  Senza  data  nel  manoscritto.  È  un  frammento  della  lettera  In  data  •>  Rome  14  novem- 
brls  1503  •.  Ed.  Fossi.   128-30. 

•  Nelle  stampe  (ed.  Fossi,  pag.  173-175)  la  data  è  a*  di  28  di  novembre.  Ciò  è  naturale, 
essendo  condotte  suU'autogr.  in  cifra  che  doveva  recare  la  data  di  spedizione.  Negli  Apo- 
grafi manca  il  poscritto  che  trovasi  neirediziont,  da  quella  del  1767  in  poi. 

»  Ed.  Camb.,  iv,  377-78. 

•  Per  mala  legatura  nel  ms.  Corsinlano  D  si  va  dalla  pag.  24t  alla  pag.  28,  e  dalla 
pag.  29t  torna  poi  alla  26. 

'  Ms.  A  9  C:  •  motivi  •. 
s  Ed.  Camb.,  iv,  379-80. 

•  Ed.  Fossi,  200-201.  In  A  non  è  tutta  autografa  del  Ricci. 

^0  Ed.  Camb.,  iv,  75-76.   Lacune:    •  escluso  di  tutte  queste  parti  ritomo  ad  volere... . 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE,  685 

—  Lettera  de'  X'*  al  Marchese  di  Mantovaj  «  Perchè  noi  deside- 
riamo la  conservatone  dello  Stato  della  Exc.a  vra  »...  —  ...«  habbiamo 
Mte  le  presenti  lettere  nostre.  Bene  valete  >.  * 

[a  carte  A  76t,  B  73-74,  C  2n,  D  27t 

—  Commessione  a  N,  M.  per  a  Siena  a  dì  i6  di  luglio  i505.  «  Nic- 
colò cavalcherai  sino  a  Siena  »...  —  ...  «  come  sei  sempre  consueto  di 
fare.  Ego  Marcelius  Virgilius  rogatus  ».' 

[a  carte  A  62t,  B  74-75,  C  37,  D  27-30 

—  Lettera  di  N,  M.  ai  X^'  Senis  die  24  lulii  1505.  «  Per  l'ul- 
tima mia  data  hieri  ad  ore  17  »...  — ...«  o  che  mi  provvegghino  alle  quali 
mi  raccomando  ^^  [a  carte  A  62t-63,  B  75-79,  C  38-40,  D  30-33 

—  Lettera  di  Marcello  Virgilio:  spectabili  viro  N.  Maclavello 
secjrio  fiorentino  tanquam  fratria  al  ponte  a  Sieve.  <  Carissime.  Il  si- 
gnor Gonfaloniere  m' ha  commesso  ti  facci  intendere  »...  — ..,  €  Le  altre 
cose  sì  stanno  qui  all'usato,  b.  v.  F'iorentiae  die  6  Februarij  1505  ». 

[a  carte  A  175,  B  79-80,  G  40,  2)  32-32t 

—  Instructione  data  a  N,  M.  per  a  Roma  a  di  25  d'agosto  del  1506. 
€  Niccolò  tu  andrai  in  poste  sino  a  Roma  a  trovare  la  Sant.*^  del  Papa»... 
— ...«  di  quanto  accader&  degno  di  notitia.  Ego  Marcelius  >.* 

[a  carte  A  40-40t,  B  81-83,  C  40-41,  D  32ir^bisi^ 

—  Lettera  di  N.  M.  ai  X*'»  da  Civitacastellana,  addi  26  d'agosto  1505. 
€  Hieri  arrivai  a  Nepi,  dove  quel  di  medesimo  il  papa  era  giunto  »...  — 
...«  che  di  raccomandarmi  alle  SS."«  VV.  qui  (sic)  felices  valeant  ».« 

[a  carte  A  40W2,  B  83-91,  C  42-46,  D  326Mt-36t 

§  X.  Giuliano  de'  Ricci  a  chi  legge. 

Infra  le  altre  spedizioni  che  dalla  Repubb.cA  Fior.QA  ebbe  il  Machia- 
vello, ne  fu  una  l'anno  1507  in  Alamagna  allo  Imp.r®  Massimiliano,  che  non 
se  ne  sono  trovate  nò  le  patenti,  nò  le  Commissioni  ;  solo  ci  sono  due  lettere 
scritte  da  lui  mentre  vi  sto  a'  SS.^ì  Dieci  con  un  discorso  appresso  fatto 
delle  cose  appartenenti  allo  Imperio,  che  non  doverrà  dispiacere  es- 
sendo da  lui  stato  scritto  con  garbo  maraviglioso,  et  tutto  fondato  in 
su  le  cose  viste  da  lui,  et  in  la  ragione  naturale  accompagnata  dal- 
l'experienzia,  che  per  molti  anni  in  simili  maneggi  aveva  acquistata^ 
il  quale  discorso  si  troverà  sotto  a  carte  50. 

Segue:  Lettera  di  N,  M.  ai  X""  €  In  Bolzano  addi  17  di  Gen.**  1507. 
€  io  giunsi  qui  addi  xi  ritenuto  questo  tempo.  Et  perchè  »...  —  ...«  avendo 
esposto  la  commessione  loro  a  Francesco  ».7 

[a  carte  A  35t-36t,  B  92-99,  C  46-50,  D  37-40 

oltre  che  li  havesslmo  a  dare  licenzia  <  —  ■  noi  la  passeremo  parchò  non  Importi  più 

Hia  stata  la  intentione  et  nostra  et  sua  da  principio la  si  avessi  a  fare  con  grazia  ».— 

Non  è  autografa  del  Ricci,  In  A. 

1  Ed.  ult.,  t.  V,  pag.  107-8  dairaut.  nella  Blbl.  Naz.  di  Flr.,  Doc.  M.«  busta  iv,  n.  idi. 
In  A  non  è  copiata  di  mano  del  Ricci. 

»  Ed.  Camb.,  iv,  77. 

3  Ed.  Camb.,  iv.  100-103. 

*  Ed.  Camb.,  iy.  109-110. 

a  Nel  ms.  Corsiniano  D  dopo  la  pag.  32  segue  un'altra  pagina  non  numerata,  che  desi- 
gneremo come  la  38  bis. 

«  Ed.  Camb.,  111-117,  colla  data  a'  di  SS  d'agosto  1506. 

f  Ed.  Camb.,  y,  190-195,  termina  diversamente.  Ms.  A:  «  addì  27  •.  —  Gli  oratori  tr&n- 

ToMMASiKi  -  MaehiavellL  40 


Digitized  by 


Google 


626  APPENDICE. 

—  N.  M,  in  Firenze,  Memoria  cUSS*^  *  «  Per  bavere  scritto  alla  giunta 
mia  anno  qui  delle  cose  dello  Imp.re  »...  —  ...4:  si  estenderà  la  commes- 
Sion  vostra  ».  [a  carte  A  36t,  B  99-102,  C  50-51,  D  40-41 

§  XI,  Giuliano  de' Ricci  a  chi  legge.* 

La  lettera,  0  discorso  registrato  di  sopra  fu  fatto  dal  Machia- 
vello uno  anno  dopo,  che  tornasse  della  Magna,  e  forse  ad  instantia, 
e  per  strutìone  di  qualcuno  che  andasse  Imb.re  ^  ìq  detto  luogo,  et 
in  quanto*  a  quello  dice  avere  scritto  Tanno  innanzi ^  delle  cose 
dello  Imp.re  e  della  Alemagna.  Questo  discorso  sì  vedrà  più  sotto  a 
carte... 

Segue:  Commissione  de'Xc^  a  N.  M,  deliberata  addi  iO  marzo  1508, 
per  a  Piombino. 

4L  Niccolò,  noi  vogliamo  che  alla  ricevuta  della  presente  »... — ...«  per 
dua  bore  sole  più  di  tempo.  Ego  Marcellus  Virgilius  ».<^ 

[a  carte  A  87-77t,  B  102-105,  C  51-53,  D  41-42t 

—  Commessione  de*  X«  a  N.  M.  per  a  Mantova,  et  in  quelle  cir- 
cunstanzie  deliberata  addi  10  di  9bre  1509.  «  Niccolò  tu  te  ne  andrai 
a  Mantova  »...  —  ...«  che  questo  è  per  il  secondo  pagamento.  Ego  Mar- 
cellus Virgilius  scripsi».' 

[a  carte  A  77t-78,  B  105-108,  C  53-54,  D  42-44 

§  XII.  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

La  che  seguita  è  una  Instruzìone  fatta  a  Niccolò  da  Piero  Soderini 
allora  Gonfaloniere,  nella  quale  non  vi  è  la  data  del  giorno,^  ma  credo 
fosse  fatta  nel  1510,  quando  il  Machiavello  andò  la  seconda  volta  in 
Francia  mandato  dalli  Dieci  della  guerra,  che  ci  mancano  le  patenti, 
et  la  instruzione  di  tal  gita.  Solo  si  truova  la  infrascritta,  che  la  co- 
pierò  dal  proprio  originale,  come  ho  fatto,  et  farò  di  tutte  le  altre 
de  verbo  ad  verbum. 

Segue;  Piero  Soderini  Gonfaloniere  a  N.  M.  Instruzione  «  Eseguito 

cesi  presso  gli  Svizzeri  in  A,  fi,  C,  D  leggonsi  egualmente:  Rocchen  Albertin  etpierluis.  la  A 
fra  1  nomi  de* cantoni  collegati  leggesi:  «suri  e  torà»  invece  di  •  Surich  e  tona*. 

^  È  il  Diteorao  aopra  le  coae  della  Magna  e  sopra  l'Imp.  Ed.  Camb.,  ii,  167-168. 

*  In  A,  pag.  35,  è  un  altro  notamento  di  questo  tenore:  •  Infra  le  altre  spedltionl,  che 
dalla  rep.  fiorentina  hebbe  il  Macbiauello,  ne  fu  una  Tanno  1507  in  Alamagna  allo  impera- 
tore Massimiliano,  che  non  se  ne  sono  trouate  né  le  patenti,  né  le  commissioni.  Solo  ci  sono 
due  1.'*  scritte  da  lui  mentre  vi  ste,  a  SS.  dieci  con  un  discorso  appresso  fatto  delle  cose 
appartenenti  allo  Imperio,  che  non  douerrà,  di.<*piacere,  es.sendo  da  lui  stato  scritto  con  garbo 
maraviglioso  et  tutto  fondato  in  su  le  cose  uiste  da  lui,  et  In  la  ragion  naturale,  accompa- 
gnata dall'experlentia.  che  per  molti  anni  in  simili  maneggi  haueua  acquistata  «. 

«  Ms.  A:  Imbaseiadore. 

*  Male  B,  C,  D:  "  questo  „  —  A:  "  qto  ". 

s  In  A,  pag.  37,  segue  a  questo  modo:  •  II  proprio  originale  registrerò  qui  a  pie.  solo 
quella  parte,  che  non  è  data  alle  stampe,  contrasegniando  doue  cominciano,  o  doue  diuer- 
siflchano  li  stampati  da  questo  originale,  e  chi  uuole  uedere  il  resto,  lo  cerchi  ne' ritratti 
delle  cose  dell'alemagna  di  questo  medesimo  autore,  che  per  lo  più  uanno  stampati 
dreto  al  libro  del  Principe.  Considerato  di  poi  meglio  et  uisto  che  sarebbe  una  con- 
fusione tenere  il  modo  detto,  per  essere  molto  diuerso  l'originale  dallo  stampato,  lo  ho  co- 
piato tutto  come  sta,  et  contrasegnato  solo  lo  stampato  «•.  Cf.  più  oltre  §  xxxvi. 

*  Ed.  Camb..  v,  267-268.  In  A,  non  è  di  scrittura  del  Ricci. 
V  Ed.  Camb.,  v,  304-306. 

*  Nell'ediz.  Passerlni-Milanesl  a  questa  Istruzione  ò  apposta  la  data  del  di  2  giugno  1510, 
(voi.  Yi,  pag.  2;.  —  Probabilmente  è  per  abbaglio,  dacché  la  lettera  credenziale  pel  Machia- 
velli, è  de'  di  20,  ed  egli  parti  a'  di  24  del  medesimo  mese. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  627 

che  tu  barai  tatto  quello  che  per  ordine  de' Dieci  ti  sarà  commesso  »...  — 
...«  infinite  volte  a  Sua  Maestà.  »^ 

[a  carte  A  7-7t,  B  109-111,  C  55-56,  D  44-45t 
§  XIII.  Giuliano  de' Ricci  a  chi  legge. 

Le  lettere  che  seguono  furono  scritte  da  Niccolò  Machiavelli,  la 
seconda  volta  che  dalla  Repca  Fior^a  fu  mandato  in  Francia  al  Re,  •  a* 
Dieci  della  guerra,  et  le  ho  levate  fedelmte  dal  proprio  originale  come 
stanno  senza  aggiugnervi,  o  levarne  niente.  Et  perchè  il  quaderno 
donde  sono  levate  è  tutto  lacero,  guasto  et  consumato  dal  tempo,  et 
in  molti  luoghi  rotto  che  ve  ne  mancano  molte  parole,  acciò  le  lettere 
restino  nel  loro  contesto  le  ho  accomodate  io  per  coniettura;^  et  perché 
ciascuno  possa  vedere,  quello  vi  ho  aggiunto  le  ho  scritte  punteggiate 
sotto,  ^  et  nell'altre,  per  trascriverle  fedelm**  ho  usato  ogni  dili- 
gentia,  sendo  il  detto  originale  pieno  di  cassi,  et  rimessi,  et  la  prima 
bozza,  che  gli  uscì  della  mente,  et  della  penna,^  non  è  da  maravi- 
gliarsi, se  non  sono  cosi  pulite,  come  Tal  tre  cose  sue.  Le  ho  lasciate 
stare  come  sono,  acconciatole  solami  nelle  desinenze,  et  regole  della 
lingua,  la  quale  egli  non  osservò  per  vizio  comune  di  quei  tempi, 
come  si  vede  in  tutti  gli  scritti  de'  migliori  autori  di  quella  età. 

—  Segue:  JV.  M,  oratore  in  Francia  appresso  il  Rè  Crist.**^,  1510 
a'  SS"  Dieci.  «  Die  xvm  Julii  per  le  mani  di  Rubertet  infino  a  Lione,  et 
dipoi  al  Panclatico,  che  spacciasse  uno  a  posta  a  Firenze.  Arrivai  qui 
hiersera  et  per  essere  l'hora  tarda  »...  —  ...«  se  non  raccomandarmi  alle 
SSrie  VV.»«  [a  carte  A  8-9,  B  113-119,  C  57-60,  D  46-49 

—  N.  M.  ai  X'*  addi  20  luglio  tenuta  a'  di  21  di  luglio.  «  Addi  18 
scrissi  »...  — ...«  è  la  minore  rovina  di  che  essi  lo  minaccino.  Valete  >P 

[a  carte  A  9-lOt,  B  120-125,  C  60-63,  D  49-51t 

1  Ed.  Camb.,  v,  331-333.  V.  la  nota  xviii. 

s  Lacuna  In  C.  dissimulata  In  B,  accennata  in  D:  forse  neiraltro  apografo  del  Ricci  sarà 
stata  Tabbrevlatura  •  Xpmo  ". 

>  Si  ponga  mente  a  questa  maniera  d'acconciatura,  e  alla  caratteristica  di  "  prima  bozza  ,, 
che  il  Ricci  riconosceva  ne*  suoi  autografi  di  N.  M. 

*  Ms.  D:  *  le  ho  scritte  con  lettere  grandi  ». 

*  D:  »  onde  non  ù  da  maravigliarsi,  ecc.  • 

<  Ed.  Camb.,  336-340.  Collazionata  coll'autograto  del  M.  (Arch.  fior.,  Xci  di  Balla,  Car- 
teggio retp.,  t.  100  a  e.  120).  —  Tra  questa  prima  copia  trascritta  dal  Ricci,  e  il  testo  uffi- 
ciale incontrano  non  poche  varianti.  Oltre  la  mancanza  di  parecchi  incisi,  per  cut  risulta 
ancora  che  il  testo  registrato  dal  Ricci  termina  diversamente,  occorrono  altre  notevoli  dif- 
ferenze d'espressione,  delle  quali  diam  saggio: 
Testo  dell* Arch 


«  disse  che  uoi  ci  hauevi  molti  nlmlcl 
et  subito  quando  trovavano  cosa  da  callun- 
nlarul  lo  faceuano  et  che  li  era  bene  in  questi 
tempi  non  dare  queste  cagioni  di  dire  male  •>. 
—  •*  Io  ne  so  questo  certo,  che  '1  papa 
inflno  ad  otto  di  fa  ha  mandato  loro  trenta- 
seimila ducati,  per  haueme  seimila,  e  voleva 
che  si  levassino;  ma  e  Suizzeri  presono  quelli 
danari  et  hora  dicono  che  non  si  vogliono  le- 
uare  se  non  hanno  3  paghe  ". 


Testo  G.  d.  R.: 

--  «  dLsse  chtf  uoi  ci  haueul  molti  nimici 
et  subito  quando  haueuono  da  appiccarsi,  lo 
faceuano;  et  che  li  era  bene  in  questi  tempi 
non  dare  que.ste  cagioni  di  mormorare». 

—  "  io  ne  so  questo  certo,  che  il  papa 
ha  mandato  loro  trentaseimila  ducati  sino  a 
dieci  di  fa  per  haueme  seimila,  et  uoleua  che 
si  leua.ssero.  Li  Suizzeri  hanno  preso  quei 
danari,  et  hora  non  si  uogliono  leuare  se  non 
hanno  3  paghe  **. 


'  Ed.  Camb.,  v,  340-344.  Oltre  a'  decifrati  che  Giulian  de*  Ricci  sottolinea,  trovansi  In 
questa  lettera  contrasegnate  al  margine  sinistro  con  linea  ondulata  queste  parole  :  •>  Discese 
poi  in  su  casi  vostri  dicendo  che  quanto  a  Dio,  et  alli  uomini  voi  non  potevi  essere  se  non 
buoni  franzesi,  né  egli  ne  credeva  altrimenti;  perchè  voi  vedete  apparecchiate  tante  armi 
in  Italia  per  difesa  delle  cose  sua,  et  de  suoi  amici  che  voi  non  arete  da  temere,  et  quando 
li  papa  fussi  inimico  non  vi  ha  a  ritener  questo,  perchè  11  Re  non  dubitò  fare  contro  11 
papa  per  salvarvi  lo  Stato  nelle  cose  d'Arezzo,  et  costrignere  II  figliuolo  ad  andare  con  la 
coreggia  al  collo  a  trovarlo  In  Asti,  sicché  voi  gli  avete  ora  a  rendere  l'opera  et  scoprirsi 
a  buon  ora  acciò  che  il  benefizio  sia  più  grato,  il  che  potrà  tornare  in  benefizio  vostro  •  — 
{A,  pag.  9t  -  B,  pag.  49t  -  C,  pag.  i21  -  Z),  61). 


Digitized  by 


Google 


628  APPENDICE. 

§  XIV.  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

Al  quadernaccio  (che  cosi  mi  pare  da  chiamarlo),  dove  dal  Ma- 
chiavello furono  registrate  le  prime  bozze  delle  lettere,  che  egli  scrisse 
a  Dieci,  mentre  che  Tanno  1510  stette  in  Francia,  doppo  le  due  copiate 
da  me  di  sopra,  seguitano  alcuni  brievi  sommarli  di  lettere  scrìtte  da 
lai  a  modini  et  nelle  med»«  materie  ;  quale  non  mi  ò  parso  lasciare 
indrieto,  accioche  siano  un  testimonio  della  diligentia  sua,  et  che  il 
Lettore  habbia  in  un  med^o  tempo  leggendo  a  riportarne  piacere  et 
utile,  poichò  anco  in  essi  si  scorge  una  ombra  della  piacevolezza  del 
dire  di  questo  autore,  che  arreca  diletto  grande  et  giovamento  non 
piccolo.  Et  molto  utile  apporta  il  sapere  ogni  minimo  particulare  et 
accidente  seguito  in  quelli  tempi,  che  il  re  di  Francia  roppe  la  guerra 
con  il  papa  a  quelli,  che  si  dilettano  della  lectione  delle  historie. 

—  Addi  22  mandate  per  via  di  corte  al  Panciatico  a  Lione.  «  scrissi 
il  giuramento  fatto  »...  — ...«  presto  i  monti  ». 

[a  carte  A  lOt,  B  126,  C  63-64,  D  51t-52 

—  Addi  25  tenuta  addi  26  di  luglio  mandata  per  via  di  Corte  al 
Panciatico  a  Lione.  «  Risposi  alle  loro  de*xii  »...  — ...«  haute  con  Man- 
tova», [a  carte  A  11,  JB  126-127,  C  64,  D  52 

—  Addi  28  tenuta  addi  31  di  Luglio.  «  Risposi  alla  loro  »...  — ...«  il 
capitano  della  sua  guardia  ». 

[a  carte  A  11,  B  127-128,  C  64,  D  52-52t 

§  XV.  Giuliano  de' Ricci  a  chi  legge. 

La  lettera,  che  seguita  intera  mi  è  parso  a  proposito  registrarla, 
et  copiarla  alla  distesa,  come  dal  Machiavello  fu  mandata  ;  ma  perchè 
la  prima  bozza  fu  fatta  più  chiara  et  più  aperta,  et  la  che  si  mandò 
ritocca,  et  fatta  più  obscura,  mi  è  parso,  lasciando  le  margini  del  libro 
più  larghe,  notare  in  esse  li  cassi  che  sono  pure  di  mano  del  med*^ 
Niccolò  non  cancellati  in  modo,  che  non  si  possine  leggere,  et  li  con- 
trassegnerò con  *. 

—  N.  M.  aiS*^  X'*  mandata  per  Gio,  Girolami  addì  3  d'Agosto  che 
andò  in  poste.  €  Sanno  che  io  scrissi  a  quelle  più  di  sono  »...  —  ...€  a 
disfare  il  mondo:  v.  ».* 

[a  carte  A  Il-I3t,  B  128-136,  C  65-68,  D  52t-56 

1  Di  questa  lettera,  come  d'altre  non  poche  spettanti  alle  Commissioni  del  M.,  s'ebbero 
parecchi  autografi,  parecchie  copie  e  transunti  ;  onde  derivarono  i  molteplici  testi  che  se  ne 
produssero.  Il  primo  di  tali  testi  comparve  neiredlzlone  cambiaglana  del  1782  (voi.  ▼.  pag. 
353-359),  ripetuto  poi  in  quella  del  1797  del  Poggiali  e  in  tutte  le  altre  di  seguito.  E  che 
questa  lezione  dovesse  originare  da  un  esemplare  che  fu  realmente  mandato  ai  Dieci,  o  che 
per  lo  meno  non  rimase  tra  le  carte  domestiche  del  M.,  lo  prova  il  fatto  che  tanto  l'apo- 
grafo di  Giuliano  de'  Ricci,  quanto  quello  barberlnlano  del  Tafani,  diversi  fra  loro,  diversi- 
ficano anche  da  quello,  col  quale  tuttavia  anno  comune  il  lungo  poscritto  :  «  diedi  a  Giovanni 
Girolami  «,  ecc.,  omesso  nella  lettera  originale  dell'Arch.  fior.  (Lett.  ai  X,  f.  100,  e.  StfO) 
[ci.  X,  dist.  4.  n.  104]  da  cui  fu  tratto  11  testo  dell'ultima  edizione  (Opp.  M.,  t.  v,  pag.  42-4S). 
Inoltre  il  testo  dell'apografo  del  Ricci  e  del  ras.  barberlnlano,  prescindendo  dalle  inavvertenze 
dei  copisti  che  lo  resero  erroneo,  è  assai  più  brevò  di  quel  dell'edizione  cambiaglana  citata. 
Però  questa  non  ebbe  ad  èsser  tratta  né  dai  manoscritti  sopra  indicati,  né  dall'originale  che 
si  custodisce  ora  nell'Archivio  di  Stato.  Dovette  esistere  pertanto  un  altro  autografo  di  cui 
non  ci  riuscì  aver  notizia;  e  questo  autografo  recare,  se  non  11  migliore,  certo  il  testo  ptù 
Intero.  Se  si  fa  il  ragguaglio  tn,  la  cambiaglana  e  l'edizione  ultima,  s'avviserà  subito  come 
11  testo  di  questa  rivela  maggior  circospezione  da  parte  del  M.,  il  quale  in  esso  si  guarda 
attentamente  dall'accennare  l'oratore  del  papa  altrimenti  che  come  ••  uno  uomo  di  grande 
autorità  •>,  •  quello  di  autorità  che  di  sopra  ti  dice  «,  •>  questo  tale  *  ;  mentre  nell'altro 
contesto  lo  qualiflca  a  dirittura  senza  mistero.  Di  soprappiù  nell'edlz.  ultima  la  lezione  è  più 
accurata  e  fedele,  e  più  s'attiene  al  sistema  ortografico  dell'autore.  I  trascrittori  degli  apograll 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE,  629 

—  N,  M,  ai  SS"^  X"^  die  9  et  10.  «  Dopo  la  partita  di  Gio:  Giro- 
lami  »...  —  ...<  giudicheranno  a  proposito  per  loro  libertà  ».  * 

[a  carte  A  13t-14t,  B  136-143,  C  69-72,  D  56-59 

§  XVI.  Giuliano  de' Ricci  a  chi  legge. 

Se  bene  la  precedente  lettera  apparisce  habbia  il  suo  devuto  fine, 
nondimeno  mi  è  parso  a  proposito  far  noto  ai  Lettori,  che  dal  Ma- 
chiavello si  trattò  in  essa  di  altri  negot^i,  che  dipoi  essendo  stata  levata 
la  maggiore  parte  dì  quella  carta,  ci  ha  tolto  vìa  il  fine  della  prece- 
dente, et  il  principio  della  seguente  lettera,  la  quale  fu  dal  meàF^ 
Machiavello  scritta  a  SS"  Dieci. 

—  «  Et  feci  loro  bene  intendere  il  contenuto  di  quello  »...  — ...«  sono 
rimaste  fra  via  ».*  [a  carte  A  15-15t,  B  143-146,  C  73-74,  D  59t-61 

—  «  Die  18  Augusti  3  N,  M.:  «  Scrissi  l'ultima  mia  a  di  13  »...  — 
...«  secondo  la  loro  solita  humanità  ». 

[a  carte  A  15t-16t,  B  146-151,  C  74-76,  D  61-63 

—  Addi  24  Agosto  :  Risposi  alla  de'  X.  Scrissi  del  dubbio  del  passo 
de'  Svizzeri  »...  —  ,..«  ricordai  l'Imbre  et  i  miei  50  y  ».*  (Giornale  di  Nic- 
colò MachiavelU).  [a  carte  A  16t,  B  151-152,  C  76-77,  D  63 

—  N.  M.  a'  SS.  D^'  addi  27  Agosto  :  «  L'ultime  che  io  ho  da  V  V.  SSrìe 
furono  de' di  xv  del  presente  »...s —  ...«  tirare  questo  re  alla  divisione 
d'Italia».  [a  carte  A  17-18,  B  152-157,  C  77-80,  D  63-65t 

—  N.  M.  ai  X"*  €  Addi  30  d'agosto  :  «  Addì  27  fu  l'ultima  mia.  »...  — 
...€  a  quest'ora  potrebbe  esser  fatta.  Raccomandomi  ».^ 

[a  carte  A  18-19,''  B  158-164,  C  80-83,  D  66-68t 

§  XVII.  Giuliano  de'Bicci  a  chi  legge. 

Questa  che  seguita  è   una  informazione   data   a  Niccolò  da  uno 

B,  C,  D  invece  furono  assai  meno  scrapolosi  in  quanto  a  fedeltà,  e  troppo  forse  indulgenti 
al  loro  particolar  gusto,  al  quale  si  dee  probabilmente  ascrivere  che  l'inciso:  •  Se  il  papa 
farà  verso  di  me  dimostrazione  ancora  che  piccola  di  amore  ■  venisse  sostituito  con 
miglior  cura  di  galateo,  ma  certo  con  minore  efficacia,  a:  Se  il  papa  farà  verso  di  me 
dimostrazione  d'amore  quanto  è  un  nero  d'ugna,  io  ne  farò  uno  braccio  ».  Il  ms.  barb. 
reca  ■  monsignor  dcllaTramoia  ".  dove  gli  altri  apografi  erroneamente  anno  {B,  C.  D)  ;  «  della 
Ramfla  »,  {A,  non  di  scrittura  di  G.  de  R.  In  questo  passo):  "  della  namoia  '*.  E  tutti  poi  gli 
apografi,  compreso  A,  recano  con  manifesto  errore  de'  copisti  «  monsignore  di  Guisa  •  in  luogo 
di  •  nuìnsignore  di  Oursa^,  non  riuscendo  più  a  chi  copiava  nò  di  leggere  né  di  interpre- 
tare il  vescovo  di  Gurca,  sotto  questa  designazione.  Anche  il  testo  della  lettera  susseguente 
nel  tre  apografi  coincide  senza  varianti  con  quello  del  ms.  barberiniano. 
1  Ed.  Camb.,  v,  359-363. 

*  Frammento  della  lettera  zi  (Ed.  Camb.,  v,  364-366).  deìla.  LegoJiione  terza  alla  Corte 
di  Francia.  Mancano  le  prime  cinque  e  le  ultime  quattro  linee  del  testo  edito.  La  lezione  di 
G.  de'  Ricci  concorda  con  quella  del  ms.  barberiniano;  tuttavia  la  scrittura  nel  ms.  A  (pag.  15t) 
non  è  di  Giuliano. 

<  Ed.  Camb.,  v.  367-370.  —  Ms.  barber.,  Id.  Nei  tre  apografi  dopo  le  parole:  boccone 
amaro,  è  il  seguente  brano,  che  nell'ediz.  trovasi  altrove  e  altramente  inserito:  «  /{  re 
disse  questa  mattina  aver  lettere  che  Gio.  Paolo  Baglioni  era  suto  ammazzato,  VV.  SS. 
ne  sapranno  meglio  il  vero  >.  Ms.  A:  ''ne  sapeuano  ,,  In  questo,  la  scrittura  di  G.  d.  R. 
comincia  solo  alle  parole  "  Doppo  la  venuta  di  tali  auisi  ". 

*  sic  in  luogo  di   V. 

*  Cosi  gli  apografi  erroneamente.  L'originale  ^Arch.  fior.,  Lett.  al  Xei,  f.  109  a  e.  i43)  à 
•  de' di  11  del  presente  «,  conforme  all'ed.  Camb.,  v,  378-376. 

<  Ms.   barber.  idem.  —  Ov' è  lacuna  dopo  le   parole:  •    Ifon  approvò  che  W.  SS.rie 

per  scusa  del  non  mandare  le  genti  allegassi  la che  di  Roma  *  (Apogr.  A,  B,  C,  D: 

allegassin;  ms.  barb.:  allegansi),  il  cod.  barber.  lascia  supporre:  -  allegassi  le  pratiche 
di  Roma  •.  Cosi  à  infatti  l'autografo  dell'Arch.  fior.  (Lett.  ai  Xei  f.  loo.  e.  481)  il  cui  testo 
diversifica  alquanto  da  quel  degli  apografi.  Nel  ms.  A  la  scrittura  di  G.  d.  R.  cessa  alle  pa- 
role: "et  portaua  Inter  cetera". 

V  In  A:  "  Seguono  instructioni,  lettere,  et  discorsi  appartenenti  a  questa  gita  In  questo 
a  carte  trentaquattro  ". 


Digitized  by 


Google 


630  APPENDICE. 

de'  principali   Cittadini   della  Città   attenente   alla   gita   di   Francia 
del  1510. 

—  «  Niccolò  io  ho  parlato  con  M.  Marcello  »...  —  ...«  et  a  che  tempi 
il  gonfaloniere  gli  habbia  designati  pagare  ».  *■ 

[a  carte  A  33,  B  164-165,  C  84,  D  68t-69 

—  N,  M.  ai  X^  addi  2  di  Tbre  :  «  L'ultima  mia  fu  de'  di  30  e  31 
del  passato  *...  —  ...«  sicché  per  questa  non  si  replicheranno.  Valete  >.* 

fa  carte  A  33-33t,  B  165-170,  C  84-86,  D  69-71 

—  N.  M,  ai  X*''  Addi  5  di  7bre  1510.  <  Addi  dua  di  questo  fu  l'ultima 
mia  »...  — ...«  gli  altri  poi  ne  vogliono  quello  che  esso  ».  ^ 

[a  carte  A  34-34t,  B  170-174,  C  87-89,  D  71-73 

—  N.  M,  ai  X*^  Addi  x  di  ^bre:  «  Comparsone  hieri  le  di  V.  S«  >...— 
...«  commissioni  vostre  et  prudenza  sua  *.* 

[a  carte  A  44t,  B  174-176,  C  89-20,  D  73-73t 

§  XYIII.  Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 

Questo  ò  quanto  si  è  ritrovato  che  fosse  scritto  dal  Machiavello 
l'anno  1510  la  2*  volta  che  andò  in  Francia  a'  SS."  Dieci  di  Libertà  et 
Pace  (^c)  della  città  di  Firenze,  da'  quali  l'anno  seguente  per  le  cagioni 
che  s'intenderanno  fu  altra  volta  mandato  al  med.°»o  Re  X.^o  con  la 
infrascritta  patente  et  instructione  cioè: 

Decemviri  Libertatis  et  Pacis  Reip,^"^  Florent.'^*  etc.  —  Segue 
patente  a  N,  M.  per  al  re  cristianissimo  :  «  ex  palatio  fiorentino  die  Xn» 
Septembris  1511  M.  Virgilius  »...  —  ...<  significa mus  vobis  »...  — ...«  habe- 
bimus  beneficii  loco  b.  t?.  ».  «^    *        [a  carte  A  19t,  B  177,  C  90,  D  74 

—  Instructione  data  a  N,  M.  per  in  Lombardia  e  in  Francia,  addi 

*  II  seguente  brano  inedito  occorre  anche  nel  ms.  barberinlano  fpag.  107):  •  Informa- 
tione.  Niccolò,  lo  ò  parlato  con  m.  Marcello:  circa  alla  informatlone  desideravi:  dice  non 
sapere  né  potere  dire  altro  fuora  di  quello  che  sarà  notato  qui  dappiè,  cioè: 

»  Che  in  su  ciascuna  fiera  corre  di  presente  per  claschuno  de'duoi  re  3250  V  et  questi 
si  pagano  et  sino  a  qui  non  ci  è  debito  cosa  alcuna  di  quello  che  correua  et  che  n'è  corso 
sino  alla  prossima  futura  Aera.  ■ 

"  Detonativi  se  ne  haveua  a  dare  x  V  a  Roano  che,  come  sapete,  per  la  morte  sua  sono 
sospesi  a  Lione  nelle  mani  de*Mercanti  dove  erano  ordinati.         m 

«  A  Ciamonte  et  Rubertett  si  à  a  dare  fra  ambedua  altri  x  V  et  di  questi  non  so 
come  siano  distribuiti  et  a  che  tempi  11  gonfaloniere  gli  abbi  designati  pagare  •.  In  A 
(32t-33)  trovasi  preceduto  dalla  seguente  nota  che  non  occorre  negli  altri  Apografi: 
"  Giulivo  de'  ricci  a  ehi  legge.  Essendo  cosa  certissima  che  nella  piite  mia  faticha  si  può 
desiderare  più  ordine  e  men  confuso  non  mi  pare  fuor  di  proposito,  humanissfml  lettori,  il 
renderul  ragione  di  parte  della  intentlone  et  animo  mio.  Dovete  adunque  sapere  che  basendo 
io  hauti  qtti  originali  alla  rinfusa,  non  ho  possuto  si  per  questa,  cagione,  come  anco  per 
hauerli  hauti  in  più  volte,  et  essere  occupatissimo,  servare  l'ordino  de'  tempi,  et  mi  è  ba- 
stato solo  di  registrare  in  questa  prima  parte  del  libro  tutti  i  discorsi  che  dal  Machlauello 
fùron  fatti  sopra  diuerse  attioni  Importanti,  che  ne*  suoi  tempi  si  trattavano  inf^a  diaersi 
principi,  de  quali  discorsi  il  tempo  ce  ne  ha  lasciati  pochi,  et  quelli  molto  malconci  ;  Inoltre 
perchè  da  ciascheduno  possa  essere  noto  In  quanti  et  in  quali  importanti  maneggi  e' fosse 
adoperato  da  suoi  cittadini,  ho  preso  faticha  di  registrare  et  far  nota  di  tutte  le  spedltione 
e  comessioni  che  hebbe  detta  repc«,  copiandovi  apresso,  se  ne  ò  trouate,  le  Ire  che  da  lai 
furono  scritte  a*  magistrati  in  quella  spedltione,  et  cerchato  di  fare  sempre  maggiore  cu- 
mulo che  ho  po.ssuto  di  cose  apartenenti  a  quel  negotlo.  Ma  con  tutte  le  diligentie  usate, 
per  le  molte  diflcultà  haute  non  mi  è  uenuto  interamente  fatto  ;  et  eccho  che  adesso  hauendo 
trouato  altre  sue  Ire,  le  copio  qui  apie.  che  si  potranno  attachare  con  le  altre  che  flnischono 
in  questo  a  carte  uentuna.  Et  questa  che  seguita  è  una  informatlone  datali  da  uno  de'  prin- 
cipali cittadini  della  città,  attenente  alla  detto  gito  di  Francia  del  1510  *'. 

*  Manca  ne' tre  apogr.  e  nel  ms.  barb.  il  poscritto  che  è  nell'edizione  Camb.,  y,  384-387 
e  nelle  altre  edizioni  posteriori,  indizio  che  quella  prima  fb  fatto  sull'autografo. 

*  Ed.  Camb.,  v,  387-389.  Mancano  gli  ultimi  tre  capoversi  che  sono  nelle  edizioni.  Si- 
milmente nel  ms.  barber. 

^  Cod.  barber.,  n.  ziii.  Ed.  Camb.,  v,  381-384. 

>  Ed.  Camb.,  v,  390.  Riproduce  anche  il  sigillo  del  Magistrato  dei  Dieci;  però  è  a  cre- 
dere che  l'edizione  sia  stoto  fatto  dall'originale   (Bibl.  naz.  fior.,  doc.  M.,  busto  ▼,  n.  i54). 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  631 

X  di  settembre  1511.  «  Niccolò  egli  ti  è  benissimo  »...  —  ...«  materia 
del  concilio  >.*  [a  carte  A  19t-21t,  B  178-187,  C  90-95,  D  74-78t 

§  XEX«  Giuliano  de'Ricd  a  chi  legge. 

Servissi  sempre,  et  no' maggiori  suoi  bisogni  dall'anno  1494  al  1512 
la  Repub.c«  del  nostro  Machiavello,  però  sentendo  Tanno  1512,  che 
l'Esercito  Spagnuolo  veniva  in  verso  la  Toscana  e  dubitandosi  de' pro- 
gressi di  esso,  da  quelli  che  airbora  reggevano  fu  mandato  addì  23  di 
giugno  Niccolò  nella  Valdichiana  per  levare  fanterie;  e  dipoi  addi 
28  di  luglio  del  detto  anno  fu  mandato  colle  med.io^  commissioni  in 
diversi  luoghi  per  levare  fanterie,  e  condurle  in  verso  Firenzuola,  dalla 
quale  parte*  si  dubitava,  e  da  esso  dovette  essere  eseguito  il  tutto 
diligentem.t^  secondo  il  solito  suo,  e  non  sendo  le  provvisioni,  da  quello 
state  fatte,  sute  bastanti  ne  segui  la  mutazione .  di  esso  addi  ultimo 
d'agosto  1512,  sendo  ritornata  nella  città  l'IU.ina  famiglia  de' Medici. 
Da  una  parente  (che  forse  fd  Mad.™»  Alfonsina  madre  del  duca  Lo- 
renzo) della  quale  famiglia  ricerco  il  Machiavello  di  darli  notizia  de'casi 
successi,  li  scrisse  la  qui  infrascritta  lettera,  che  servirà  oltre  alla  no- 
tizia particulare  di  quei  casi  per  mostrare  a  ciascuno  quanto  s'ingan- 
nasse il  Giovio  quando  negli  elogi  disse  il  Machiavello  essere  stato  poco 
affezionato  alla  casa  de'  Medici.  ^  Questa  lettera  potette  anche  essere 
scritta  a  madonna  di  Furli. 

—  N»  M.  a  —  —  «  Poiché  V.  S.  vuole,  Ill.^a  Madonna,  intendere 
queste  nostre  novità  di  Toscana  »...  — ...«  mi  abbia  per  scusato,  qucie 
din  et  felix  valeat».^  [a  carte  A  42t-43t,  B  189-196,  C  96-99 

§  XX.  Giuliano  de'Ricd  a  chi  legge. 

Nel  med.rao  foglio,  dove  è  scritta  la  soprad.»  lettera,  che  il  Ma- 
chiavello mandò  ad  una  donna  interessata,  o  per  parentado,  o  per 
amicitia,  o  per  affectione  con  quelli  della  IH.^a  famiglia  de'  Medici,  vi 
è  dipoi  la  infìrascritta  memoria  delle  cose  seguite  pochi  giorni  doppo, 
che  appartenendo  alla  med.ma  materia,  et  dall'autore  stesso  messe  in- 
sieme, mi  parrebbe  errore  il  separarle,  però  le  scrivo  qui  di  sotto. 

—  Segue  il  frammento  indicato.  «  Essendosi  in  quel  tanto  »...  — 
...«  questi  Mag.c»  Medici  reintegrati  ». 

[a  carte  A  43t-44,  B  196-197,  C  9^100 

§  XXI.  Giuliano  de'Ricd  a  chi  legge. 

Se  e'mi  fosse  lecito,  o  per  meglio  dire  possibile  conservare  l'ori- 

l  Ed.  Camb.,  v,  391-396. 

3  A  questo  punto  termina  TApografo  Corsinlano  D. 

>  Ms.  A  reca  in  imargine  le  parole  che  seguono,  omesso  "  anche  ''. 

«  Ed.  Camb..  vi,  7-K.  >-  W  testo  della  lettera  nell'Apografo  del  Ricci  è  identico  a  quello 
del  ms.  barberinlano  ;  vi  manca  cioè  quel  brano  che  va  dalle  parole  :  ••  ettendoti  in  quel  tanto 
in  Firenze  «  sino  a  ■  e' gradi  de' loro  antenati  "  che  nelle  edizioni  suole  introdursi  frale 
parole  •  si  eonduste  a  Siena  ne»  questa  città  resta  quttissima  ".  Bensì,  nel  ms.  barbe- 
"rinlano,  a  pag.  130,  In  fine  di  quella  lettera,  trovasi  trascritto  colla  seguente  nota:  •  Della 
medesima  materia,  scrittura  imperfetta  «.  Si  verifica  la  stessa  cosa  pel  testo  copiato  dal 
Ricci  (S  xzi):  e  ciò  ne  dà  argomento  a  credere  che  cosi  questo,  come  quello,  sian  derivati 
dal  medesimo  autografo,  composto  di  fogli  staccati,  in  un  de'quali  doveva  esser  compresa 
raggiunta  senza  segno  di  chiamata.  Se  non  che,  T  inserzione  di  quel  frammento  nell'edizione 
Camb.  VI,  7-lt,  da  cui  copiarono  le  volgate,  fu  per  fermo  arbitraria,  né  si  può  supporre  ori- 
ginata da  altro  miglior  autografo,  di  quello  mandato  air  illustre  ma  incerta  Signora  cui  è  diretta 
la  lettera,  poiché  II  Camblagi  medesimo  avverte  d'essersi  giovato  solo  della  copia  del  Ricci. 


Digitized  by 


Google 


632 


APPENDICE. 


ginale  di  donde  io  traggo  la  infìrascritta  lettera  del  Machiavello,  credo 
certo  che  chi  la  vedesse,  in  un  medesimo  tempo  si  maraviglierebbe  della 
dlligentia  mia,  mi  scuserebbe  delli  errori  che  nel  copiarla  havessi  fatto, 
mi  harebbe  compassione  della  fatica  che  ci  ho  durata  et  in  ultimo  mi 
harebbe  un  grande  obbligo,  che  io  l'avessi  ridotta  in  modo  che  si  possa 
vedere,  et  perché  la  è  piena  di  cassi,  di  rimessi,  consumata  non  tanto 
dal  tempo,  quanto  dalla  straccurataggine,  et  inoltre  vi  sono  molte 
chiose»  io  per  poterle  notare  '  lascio  contro  al  solito  le  margini  del  libro 
larghe.  Leggetela  dunque,  humanissimi  lettori,  che  in  essa  riconoscerete 
lo  ingegno  del  Machiavello  non  meno,  che  vi  abbiate  fatto,  o  siate  per 
fare  in  altra  cosa  sua. 

—  Segue:  Niccolò  Machiavello  a Ghiribizzi  scritti  in  Raugia 

al  Soderino.^  —  «  Una  vostra  lettera  »...  —  ...€  nella  provincia  sua  >. 

[a  carte  A  57t-68t,  B  198-203,  C  100-103 


^  Ms.  A:  "et  anco  per  potere  fare  mentione  di  alcune  dluersità  **. 

*  Ed.  Camb.,  vi,  50-52.  -~  In  margine  di  questa  specie  di  lettera.  Intitolata  tanto  dal 
Ricci  quanto  dallo  scrittore  del  codice  barberinlano:  •  Ghiribizzi  scritti  in  Raugia  a  Pier 
Soderini  •.  titolo  analogo  a  quello  de'Giribixzi  d'ordinanza  [Arch.  flor,.  Carte  del  Ai., 
provei\ienza  Zanoni]  da  noi  più  oltre  recate  in  appendice;  si  trovano  segnate  parecchie  sen- 
tenze, le  quali  occorrono  negli  scritti  politici  e  letterari  del  Machiavelli,  ma  non  tutte  nei 
differenti  mss.  s'incontrano.  Oltracciò  v'à,  ne' diversi  testi.  Inversione,  quantunque  lieve, 
d'alcuni  incisi.  Sono  In  tutte  e  due  le  specie  di  mss.  le  seguenti: 

—  Chi  non  »a  schermire  ravviluppa  ehi  sa  di  scherma. 

—  Non  consigliare  persona  né  pigliar  consiglio  da  persona,  eccetto  che  un  consiglio 
generale:  che  ognuno  faccia  quello  che  gli  detta  l'animo,  e  con  audacia  (ms.  barb.  e 
l'audacia). 

Negli  apografi  da  quel  di  Glullan  de' Ricci;  —  Ciaseuruì  secondo  la  sua  fantasia  si 
governa. 

—  Tentare  la  fortuna  ch'ella  ò  amica  de'  giovani,  et  mutare  secondo  truovi.  ma  non 
si  può  avere  le  fortezze  e  non  le  avere,  essere  crudele  et  pio. 

—  Come  la  fortuna  si  stracca,  così  si  rovina. 

—  Julio,  la  famiglia,  la  città,  ognuno  ha  la  fortuna  sua  fondata  sul  modo  del  pro- 
eedere  suo  et  ciascuna  di  loro  si  stracca,  e  quando  la  è  stracca  bisogna  racquistarla 
con  un  altro  modo.  Comparatione  del  cavallo  et  del  morso  circa  le  fortezze. 

A  noi  parve  dapprima  che.  se  anche  la  materia  intrinseca  di  questo  scritto  potesse  cre- 
dersi del  Machiavelli,  sarebbe  a  dubitare  se  questa  lettera  sia  mai  stata  scritta  da  lui,  o 
almeno,  se  mandata  mal.  A  ogni  modo  le  sentenze  marginali,  e  segnatamente  alcune  Insert 
nel  testo  del  ms.  barberinlano,  non  ci  paiono  cadute  dalla  penna  del  Segretario  florentino. 
quantunque  consuonino  co* pensamenti  suol.  E  il  modo  dell' indirizzo,  secondo  ce  lo  tramanda 
11  Ricci,  e  11  dolore  del  Ricci  stesso  per  non  vedersi  né  lecito  né  possibile  conservare  l'origi- 
nale, valsero  a  rafforzar  sul  principio  1  nastri  dubbi.  Se  non  che,  ci  venne  poi  fatto  nel  Prco- 
rista  di  Glullan  de*  Ricci  medesimo  (Ms.  nella  Bibl.  naz.  flor.  Quartiere  di  StuUo  Spirito. 
e.  237)  rinvenire  una  citazione  della  stessa  scrittura,  colla  Interpretazione  a  fronte  fatta  da 
Giuliano,  In  una  forma  che  ci  sembrò  forse  la  men  remota  dall'originale  probabile.  Eccola: 


Lett.  del  M. 

Una  vostra  lettera  mi  si  presentò  in  pap- 
pafico: pure  doppo  dieci  parole  la  riconobbi. 


Credo  la  ffequenzia  di  piombino  per  cono- 
scerui. 

Et  delli  impedimenti  vostri  et  di  fllippo  sono 
certo,  perchè  lo  so  che  l'uno  è  offeso  del  poco 
lume,  et  l'altro  dal  troppo. 

Gennaio  non  mi  da  noia  pur  che  febbraio 
mi  venga  fHt  le  mani. 

Dolgoml  del  sospetto  di  Fllippo  et  sospeso 
ne  attendo  11  fine. 


Priorista,  loc.  cit. 

Interpretatlone  di  essa. 
—  Pappafico  era  una  maschera  di  panni» 
che  copriva  il  viso,  et  in  quelli  tempi  si  usaun 
portare  quando  caualcauano,  per  difendersi  dal 
vento  et  dal  ffeddo  et  andando  turati  veni- 
vano a  non  essere  riconosciuti  cosi  facilmente. 
Però  douette  questa  lettera  essere  fatta  scri- 
uere  dal  Soderino  di  altra  mano  che  la  sua 
et  non  sottoscritta,  o  con  nome  finto,  per  ri- 
spetto de' pregi udttll  .che  portauaseco  lo  acrl- 
uersi  l'uno  all'altro,  et  Niccolo  che  aueua  in 
pratica  Io  sttl  suo,  la  conobbe  ben  presto  et 
Li  risponde. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE. 


633 


§  XXII.  Giuliano  de'  Ricci  a  chi  legge. 

Io  ho  sempre,  humaniss.™»  lettori,  tenuto  gran  conto  delle  memorie 
antiche,  et  sempre  mi  è  parso  officio  debito  di  ciascuno  il  cercare  di 
mantenere  le  cose  dei  suoi  il  più  che  sia  possibile,  et  anco  risuscitarle, 
et  metterle  in  luce  et  in  consideratione  alli  posteri  (non  si  partendo 
però  mai  dalla  yerità).  Et  di  questo  mi  sono  in  testimonio  le  fatiche 
che  ho  durate  nella  investigazione  delle  actioni,  et  delli  huomini  della 
famiglia  de'  Ricci.  *  Testimonio  non  piccolo  ne  rende  ancora  la  pre- 
sente fatica  attorno  alle  cose  di  Niccolò  Machiavelli  mio  avolo.  Et  questa 
è  la  cagione  che  avendo  trovato  una  letterascritta  dal  dM  Machiavello 
a  Francesco  Vettori  sopra  la  triegua  fatta  Tanno  1513  infra  il  Rè  di 
Francia  e  quello  di  Spagna,  ricercando  io  di  quella  che,  ricercandolo 
che  discorresse  sopra  questa  materia,  gli  scrisse  il  Vettori,  mi  sono  capi- 
tate alle  mani  molte  lettere  sue,  le  quali,  parendomi  che  in  esse  oltre 
alla  piacevolezza  et  garbatezza  vi  sia  la  notizia  di  molte  cose  seguite  in 
quelli  tempi,  non  narrate  semplicemente,  ma  discorsovi  sopra  fondata- 
mente et  con  bellissimo  giuditio  mi  sono  resoluto  a  registrarle  tutte  per 
ordine  inserendovi  le  risposte  del  Machiavello,  dove  le  troverrò,  che  sa- 
ranno poche  perchè  non  se  ne  salvava  registro.  Non  voglio  già  mancare  di 
dire,  che  queste  lettere  sono  scritte  dall'uno  amico  all'altro,  senza  alcuno 
ornamento  di  parole,  et  senza  mettervi  alcuno  studio,  ma  solo  tirate  giù, 
secondo  che  veniva  loro  alla  mente.  Serviranno  anco  queste  lettere 
oltre  a  quanto  ho  detto  di  sopra  per  dimostrare  lo  stato  nel  quale  doppo 
il  1512  si  ritrovava  il  Machiavello,  et  il  giuditio  che  ne  faceva  il  Vet- 
tori persona  reputatissima,  giuditiosiss.n^*  et  in  quelli  tempi  jfkvorito, 
et  molto  adoperato  dalli  111.»»  Medici  sotto  il  governo  de'  quali  si  reg- 
geva allhora  la  Città  doppo  la  cacciata  del  Sederini,  al  cui  tempo,  sendo 
stato  assai  adoperato  il  Machiavello,  et  particularmente  nelli  ultimi  mesi, 
quando  lo  exercito  Spagnuolo  passò  in  Toscana,  et  saccheggiò  Prato, 


Fu  la  vostra  lettera  brieue  et  lo  rileggen- 
dola la  feci  lunga. 

Fumml  grata  perchè  mi  dette  occasione  di 
fare  quello  che  io  dubitauo  di  far%  et  che  uoi 
mi  ricordate  che  io  non  faccia,  et  solo  questa 
parta  ho  riconosciuto  in  lei  senza  proposito. 


Di  che  io  mi  marauigllerei  se  la  mia  sorte 
non  mi  hauesse  mostre  tante  cose  et  cosi  ua- 
rle,  che  io  sono  costretto  a  marauigllarmi  poco, 
et  confessare  non  hauere  gustato  né  leggendo 
né  praticando  le  actioni  delli  huomini  et  II 
procedere  loro. 

Conosco  uoi  et  la  bussola  della  nauigatione 
v.ra  et  quando  potesse  essere  dannata  (che 
non  può)  ueggendo  In  che  porti  ui  abbia  gui- 
dato et  di  che  speranze  ui  possa  nutrire. 

Donde  io  credo  che  con  lo  specchio  v.ro 
dove  non  si  vede  se  non  prudentla,  ma  per 
quello  de' più  che  si  habbia  nelle  cose  a  uedere 
11  fine  et  non  il  mezzo. 


—  Douette  essere  lettera  di  importanza  et 
da  lui  uista  et  letta  uolentierl. 

—  Cioè  di  scriuerll  et  che  doueua  andare 
ritenuto  et  forse  qualche  altra  cosa  di  mag- 
giore momento. 

—  Si  uoleua  mettere  in  ogni  rischio  et  pe- 
ricolo: tanta  era  la  reuerentia  et  affectione 
che  gli  portaua. 


—  Ecco  che  11  Machiauello  loda  il  proce- 
dere del  Soderino  et  ancora  non  erano  fkiori 
di  speranza  di  qualche  Insperato  successo  In 
bene. 


in  margine  dell'originale  dice  a  giudi- 
care  et  chi  uuole  leggere  il  fine  di  questa  let- 
tera che  ó  bellissima  la  trouerà  nel  mio  libro 
doue  ho  copiato  molte  cose  del  Machiauello 
che  non  sono  stampate,  e.  59. 

^  Allude  al  Prioritta^  che  tuttora  si  conserva  presso  la  signora  marchesa  Piccolellis, 
vedova  dell'ultimo  de'  Ricci,  del  qual  Priorista  esiste  pure  il  citato  esemplare  nella  Bibl. 
Maz.  fiorentina. 


Digitized  by 


Google 


631  APPENDICE. 

none  maraviglia  se  dalli  inimici  suoi  (che  non  gliene  mancava)  fu  trovata 
occasione  di  farlo  incarcerare,*  come  nelle  seguenti  lettere  s' intenderà. 

—  Mag."^  Viro  Francisco  Yettorio  oratori  florenL*^  Dignissimo  apud 
summum  ponti ficem  Romce,  <  Come  da  Pagolo  Vettori  harete  inteso  »... 
— ...«  fare  honore  a  voi  et  utile  a  me.»  Die  13  martii  1512.* 

[a  carte  A  143t,  B  205-206,  C  104 

—  Mag.'"*  Viro  Francisco  Victorio  oratori  fior,'*''  apud  summum 
pontificem  Romce.  «  La  vostra  lettera  tanto  amorevole  »...  —  ...«  che  me 
la  pare  sognare  ».  ^  [a  carte  A  44t,  B  206-208,  C  104-105 

—  Frane.''''  Vettori  in  Roma  a  Niccolò  Machiavelli  addi  15  di  marzo 
1512  (secondo  lo  stil  fiorentino  et  1513  airEcc.co)  «  Da  otto  mesi  in  qua 
io  ho  avuto  gli  maggiori  dolori  »„.  —  ...«  patientia  a  tutto  ».  * 

[a  carte  A  44t,  B  208-209,  C  106 

—  Fr.  Vettori  a  N.  M.  addi  9  di  aprile  1513.^  «  In  otto  giorni  ho 
avuto  due  Vostre  »...  —  ...«  et  presto  ne  sareno  chiari  ». 

[a  carte  A  44t-45,  B  209-211,  C  106-107 

—  Magf'*  Oratori  apud  summum  ponti  ficem  Frane,  Victorio.  «  Ed 
io  che  del  color  fui  più  accorto,  ecc.  Questa  vostra  lettera  mi  ha  più 
sbigottito  che  la  fune  ^  »...  —  ...<i:  l'anima  sua  et  di  tutti  e  sua  ».  —  addì 
9  di  aprile  1513.  [a  carte  A  144-144t,  B  211-213,  C  107-108 

—  N,  M.  Mag.""  Viro  Francisco  Victorio  Oratori  Florent,**^  apud 
summum  pontificem  patrono,  et  benefactori  suo  Romce.  Addì  16  d'aprile 
1513.  «  Sabato  passato  vi  scrissi  »...  -^ ,..«  quello  che  mi  è  restato  ».  ^ 

[a  carte  A  144t-145,  B  213-216,  C  108-110 

—  Fr.  Vettori  a  N.  M,  Romae  die  21  Aprilis  1513:  <  Destami  questa 
mattina  a  buon  bora  »...  —  ...«  et  a  voi  mi  raccomando  ».* 

[a  carte  A  45-46,  B  216-222,  C  110-114 
^  N.  M.  a  Fr.  Vettori,  oratore  presso  S.  5."*  Jesus  Maria:  «  Io 
nel  mezzo  di  tutte  le  mie  felicità  »...  —  ...«  faceva  per  lui  li  garbugli 
bora  la  pace....  »  (manca  il  fine)^ 

[a  carte  A  46t-49,  B  223-235,  C  114-120 

—  N.  M.  a  Francisco  Victorio  Mag.^"  apud  summum  ponti  ficem. 
€  Io  vi  scrissi  più  settimane  fa  »...  —  ...«  facendola  senza  partecipazione 
d'altri  »  —  die  20  junii  1513.  *o 

[a  carte  A  145-146,  B  235-240,  C  120-123 

—  N.  M.  a  Gio.  di  Fr.  Vernacci  in  Pera:  €  io  ho  ricevuto  più  tue 

1  Ms.  A:  **  come  nella  seguente  lettera  del  Vettori,  scrittali  pochi  giorni  doppo  la  crea- 
tone di  leone  xmo  r1  Intenderà  **. 

>  Edlz.  Italia  (Firenze.  1813,  voi.  viii,  pag.  S9-30)  :  •  die  13  martll  1512  *  secondo  11  ms. 
barberlnlano,  nel  quale,  come  neiredlz.  anzidetta,  la  data  de*  di  18  di  marzo  è  apposta  alla 
lettera  susseguente. 

s  Edlz.  clt.,  t.  vili.  pag.  32-33. 

*  Edlz.  clt.,  t.  vili,  pag.  30-31. 

6  Edlz.  clt.,  t.  vili,  pag.  34-35. 

V  Edlz.  clt.,  vili.  pag.  35-87.  Nel  codice  barberlnlano  è  una  lacuna,  come  Indicammo, 
dalla  pag.  25  alla  32  :  però  1  documenti  copiati  della  corrispondenza  tra.  II  Vettori  e  II  Ma- 
chiavelli saltano  bruscamente  dal  30^  al  48^. 

''  Edlz.  clt..  vili,  37-39.  In  A,  dalle  parole  "  et  ogni  di  me  li  richiede  „  sino  a  "  et 
cardinale  di  Volterra  quello  medesimo:  di  modo  che  co  non  poato  credere  ,,  lo  scritto 
non  è  di  mano  di  G.  d.  R.,  quantunque  vi  appaiano  correzioni  sue. 

>  Edlz.  clt..  vili,  41-46. 

"  Edlz.  Camb.,  vi,  18-25.  Nel  ms.  A  questa  lettera  non  è  tutta  autografe  del  Ricci,  an- 
dando la  scrittura  d*altra  mano  dalle  parole  *'  nella  quale  Impresa  a  me  parve  „  sino  a 
*'  come  voi  dite  che  doveva  fare  per  non  hauere  trovato  ". 

1»  Edlz.  1813,  vili,  55-59. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  635 

lettere  et  ultimam.t®  »...  —  ...«  mi  si  mostrino  più  benigni  >  —  addì  26 
di  giugno  1513.*  [a  carte  A  61,  B  240-241,  C  123 

—  Fr.  Vettori  a  N.  M,  addi  27  di  giugno  1513:  «  Io  non  vi  ho  ri- 
sposto a  una  vostra  »...  —  ...«  credo  (non)  ci  rincrescerà  il  parlarne  ».^ 

[a  carte  A  49-49t,  B  241-245,  C  123-125 

—  Fr,  Vettori  a  N.  M,  €  Compare  mio  caro,  ancora  che  come  io 
vi  ho  scritto  »...  — ...«  fuggo  le  cerimonie  quanto  posso  »  —  addi  12  di 
luglio  1513.3  [a  carte  A  50-50t,  B  245-251,  C  125-128 

—  Fr.  Vectoritis  Orator  Romce  die  5  Augusti  1513:  t  Se  io  serbassi 
copia  delle  lettere  scrivo  »...  —  ...«  ogni  novellaccia^  vostra  mi  pia- 
cerà. Iddio  v'aiuti  ».  [a  carte  A  5l-51t,  B  251-256,  C  128-130 

—  N,  M.  Fran,^  Viatori  patrono  suo:  addi  10  d'agosto  1513:  <  Voi 
non  volete  che  questo  povero  rè  di  Francia  »...  — ..,«  simili  al  Biancac- 
cino,5  raccomandomi  a  voi  ». 

[a  carte  A  146<^148t,  B  256-266,  C  131-135 

—  Fr,  Vettori  a  N.  M.  addì  20  d'agosto  1513:  <  Compare  mio  caro, 
ancora  che  di  ogni  materia  che  scriverrete  »...  — ...«  se  non  raccoman- 
darmi a  voi  ».6  [a  carte  A  51t-53t,  B  266-278,  C  135-141 

—  N.  M.  Magnifico  Viro  Fr.  Vectorio  Oratori  Romce  apud  summum 
ponti ficem,  addì  26  agosto  1513  in  Firenze:  «Questa  vostra  lettera 
de'  20  mi  ha  sbigottito  »...  —  ...«  se  ora  ci  si  può  rimediare.  Valete  ».''' 

[a  carte  A  148<r-150,  B  279-286,  C  141-144 

— N.  M.  Magn."^  Oratori  Franc,^''  Viatorio  apicd  summum  ponti  ficem 

patrono  et  benefactori  suo.  Romce;  die  x  octobris  1513  in  villa.  «  Tarde 

non  furon  mai  grazie  divine  »...  —  ...«  et  a  voi  raccomando,  sis  felix».* 

[a  carte  A  150t-151t,»  B  286-292,  C  145-147 

^  Ediz.  Camh..  vi,  24-26. 

'  GII  apografi  omettono  •  non  ».  Ediz.  1813,  viii,  60-63. 

«  Ediz.  cit.,  vili,  63-67. 

*  Ediz.  cIt.,  vili,  68-71  "  nooelluccia  ". 

^  B  e  C  Biancaccino:  ediz.  cit.,  viii,  71-78,  Brancdtceino .  Nel  ms.  i4,  non  6  scrittura 
di  G.  d.  R. 

«  Ediz.  cit.,  vili,  78-87. 
^  Ediz.  cit.,  vili,  88-93. 
>  Ediz.  cit.,  vili,  9:ì-98. 

*  Ediz.  cit.,  vili.  Di.sgraziatamente  questa  importantissima  lettera  non  fu  trascritta  di 
mano  di  G.  d.  R..  essendo  nel  ms.  A  copiata  dalla  mano  meno  esatta  tra  quelle  che  coadiu- 
varono il  Ricci  alla  compilazione  dei  suo  regesto.  Tuttavia  da  questo  apografo  che  Giuliano 
stesso  cercò  in  qualche  ^arte  dichiarare  o  correggere,  derivarono  tutti  gli  altri  manoscritti 
e,  conseguentemente,  le  edizioni,  più  o  meno  imperfette,  ma  fk*equentissime.  di  questo  slngolar 
documento,  di  cui  daremo,  secondo  è  nostro  costume,  alcune  delle  varianti  di  maggior  ri- 
lievo fra  11  ms.  e  i  testi  a  stampa: 


Ed.: 

—  "  io  mi  levo  col  sole  e  vomml  In  un 
mio  bosco  ". 

Ed.: 

—  "  io  cominciai  a  fare  il  diavolo,  volevo 
accusare  II  vetturale,  che  vi  era  Ito,  per  ladro, 
donde  G.  Machiavelli  vi  entrò  di  mezzo  e  ci 
pose 'd'accordo  ". 

—  '*  tutti  ne  hanno  fatto  capo  grosso,  et 
In  specie  Batista,  che  connumera  questa  tra 
le  altre  sciagure  di  stato.  Partitomi  dal  bosco, 
io  me  ne  vo  ad  una  fonte,  e  di  qui  in  un  mio 
uccellare,  con  un  libro  sotto  ,,  ecc. 

—  "  Cosi  rinvolto  In  questa  viltà,  traggo 
il  cervello  di  muffa  ". 

—  "  Venuta  la  sera  mi  ritorno  a  casa, 
ed  entro  nel  mio  scrittolo,  ed  in  sull'uscio  mi 
spoglio  quella  veste  contadina,  piena  di  fango 
e  di  loto  „  ecc. 


Ms.: 

—  *'  io  mi  lievo  la  mattina  con  el  sole  et 
vommene  in  un  mio  boscho  '\ 

Ms.: 

—  "  lo  cominciai  a  fare  il  diavolo,  volevo 
accusare  el  vetturale,  che  vi  era  ito  per  esse, 
per  ladro.  Tandem  G.  Machiavelli  entrò  di 
mezzo  et  ci  pose  d'accordo  ". 

— '  "  et  tutti  ne  hanno  fatto  capo  grosso, 
et  in  spetie  Batista  che  connumera  questa  tra 
l'altre  sciagure  di  prato.  Partitomi  dal  bosco 
lo  me  ne  vo  a  una  fonte  et  di  quivi  in  un  mio 
uccellare,  ho  un  libro  sotto  ,,  ecc. 

—  *'  Cosi  rinvolto  entro  questi  pidocchi 
traggo  el  cervello  di  muffa  ". 

—  ''  Venata  la  sera  mi  ritorno  in  casa, 
et  entro  nel  mio  scrittolo:  et  in  sull'uscio  mi 
spoglio  quella  veste  coti  diana  piena  di  fango 
et  di  loto  „  ecc. 


Digitized  by 


Google 


636 


APPENDICE. 


—  -V.  M.  MagJ^  Oratori  Fr.  Victori  R.  P.  Flor."^  apud  summum 
Pontificem,  addi  19  di  X.bre  1513:  «  Io  vi  scrissi  8  o  10  di  sono  »...  — 
...«  come  e*  V  ha  perduto  con  questi.  Valete  ».* 

[a  carte  A  152-152t,  B  292-295,  C  148-150 

—  N.  M,  Mag,"*'  Oratori  Fior.  ap.  sum,  Pontif,  Fr,  Victorio  be^ 
nefactori  suo  osservandissimo,  addi  5  di  gennaio  1513.  «  Egli  è  per 
certo  gran  cosa  a  considerare  »...  — ...«  alle  faccende  vostre  a  vostro 
modo».»  [a  carte  A  153-153t,  B  296-298  C,  150-151 


—  "  dove  lo  non  mi  vergogno  parlare  con 
loro  e  domandare  della  ragione  delle  loro 
azioni  ". 

—  ''  E  perchè  Dante  dice  che  non  ttx  scienza 
senza  lo  ritenere  lo  inteso  *\ 

—  "  pregoul  che  mi  salviate  qaesta paura  *'. 


•—  "  doue  io  non  mi  uergogno  di  parlare 
con  loro  et  domandarli  della  ragione  deUe 
loro  actloni  **. 

~  "  et  perchè  Dante  dice  che  non  fa  scienza 
sanza  lo  ritenere  lo  hauere  Inteso  ". 

—  **  pregoul  che  mi  solviate  questa  paura  ". 


^  Ediz.  cit.,  vili,  98-100.  —  In  A  la  scrittura  di  mano  di  G.  d.  R.  comincia  alle  parole: 
'  fare  resuscitare  morti  et  essere  creduti  ".  —  Varianti  principali: 


ediz.  —  '*  e  disslvi.  circa  il  mio  venir  costà, 
quello  che  mi  teneva  sospeso  **. 

—  "  A  noi  pare,  fondati  sulla  sapienza  di 
quella.  E  vedete  se  Donato  merita  di  esser 
messo  nel  numero  degli  affezionati  servitori 
deir  illustrissima  casa  de*  Medici  "\ 


—  "voi  pigliate  questa  impresa  con  più 
animo.  E*  si  trova  in  questa  nostra  città 


*  Ediz.  clt.,  TIZI,  100-103. 


Ms.  —  "  et  disivi  circa  al  venir  mio  costà 
quello  che  mi  teneua  sospeso.  Attendo  la  op- 
penione  vostra  et  di  poi ,,  ecc. 

—  "  A  noi  pare,  fondati  in  sulla  sapienza 
di  quella  che  ritrasse  in  prima,  che  una  letr- 
tera  senza  che  ci  sia  chi  ricordi  sia  un  favore 
morto.  Però  noi  giudicavamo  necessario  che 
si  operassi  costi  quando  fussi  possibile,  che 
per  Niccolò  Michelozzi  i  hauessi  questa  com- 
messlone  da  Giuliano  qui  lo  ricordassi  a  Lo- 
renzo, o  per  lettera  che  Juliano  11  scrivessi, 
o  per  lettere  eh'  e'  gli  scrluessi  Piero  Ardin- 
ghelli  In  nome  di  Juliano,  perchè,  ogni  scusa 
che  hauessi,  per  Niccolò  se  li  farebbe  ricor^ 
dare  ne'  debiti  tempi  questa  materia.  Et  perché 
noi  pensiamo  che  a  Piero  Ardinghelli  fussi 
facile  condurre  questa  cosa,  ul  facciamo  in- 
tendere che  uol  ce  lo  affatichiate  dietro  con 
prometterli  che  n'escirà  di  meglio  quello  che 
uoi  giudicherete  bisogni  offerirli,  et  Donato 
uè  ne  farà  honore.  Et  a  questo  non  mancherà 
modo,  perchè  lui  sa  come  la  Mtia  di  Giul«  ha 
tatto  a  fauorire  maestro  Manente  et  qualchuno 
al  tempo  che  GiuP  vuole  che  aleno  servite  ; 
et  cosi  bisogna  eh'  e'  fauori  di  Donato  ria- 
schino  ;  et  se  Piero  uorrà,  credo  si  possa  ha- 
uer  tutto.  Pertanto  a  noi  pare  che  si  usi  que- 
sta medicina  di  Piero,  et  che  tutti  e*  fauori 
che  hanno  a  uenire  uenghino  dalli  8  al  15  di 
gennaio,  per  che  Piero  in  sul  fatto  per  le  ra- 
gioni dette.  Et  che  uoi  sappiate  ogni  cosa  et 
veggiate  se  Donato  merita ,,  ecc. 

—  "uoi  pigliate  questa  impresa  con  più 
animo.  Donato  et  io  non  facciamo  forza  di  af- 
faticharvi  et  rlaffaticharvi  In  questa  cosa,  per- 
chè sapendo  quanto  siate  officioso  amico,  cre- 
diamo richiedendovi  farui  pTe,  et  però  lui  ad 
un  tratto  ut  si  raccomanda  et  scusa,  quando 
pur  bisognassi  ;  et  do  che  ui  si  scriue  vi  si 
dirà  per  nostra  opinione,  ma  sempre  si  ap- 
proueranno  tutti  e*  modi  che  da  noi  saranno 
presi,  come  più  prudenti.  Quelli  quattro  uersi 
che  uoi  scriuete  del  Riccio  nel  principio  deUa 
lettera  di  Donato  noi  li  dicemmo  a  mente  a 
Glouannl  Machiauelli;  et  in  cambio  del  Ma- 
chiauello  et  del  Pera,  ui  adnestammo  Gio: 
Machiauelli.  Lui  ne  ha  fatto  un  cApo  come 
una  cesta;  et  dice  che  non  sa  doue  uoi  haaete 
trottato  che  tocchi,  et  che  uè  ne  vuole  scrl- 
uere  in  ogni  modo.  Et  per  un  tratto  philippo 
et  lo  ne  hauemmo  un  p.  (t)  grande.  Et  si  troaa 
in  questa  nostra  città...  ,. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE. 


637 


—  N.  ifcf.  Fr,  Victoria  Oratori  Romae,  addi  31  di  Gennaio  1514.* 
€  Avea  tentato  il  giovinetto  Arciere  »...  —  ...€  Donato  vi  si  ricorda  etc.  » 

[a  carte  A  156t-lff7t,  B  209-303,  C  151-154 

—  i^T.  ikT.  Mag,^''  Oratori  Flor."^  Franca*  Viatorio  apud  summum 
ponti ficem,  benefactori  suo,  Alli  4  di  Febbraio  1514:  «  io  tomai  hieri  di 
villa  »...  — ...«  mi  sarebbe  grato  me  lo  scrivessi.  Valete  ».* 

[a  carte  A  153t-154t,  B  303-307,  C  154-156 

—  N.  M,  Mag.^"*  Orats*  Flor.*^  Fran."^  Vettorio  apud  summum 
ponti  ficem  stw  Obs.*^  Romae.  Addi  25  di  Febbraio  ;  «  Io  hebbi  una  vostra 
lettera  dell'altra  settimana  »...  —  ...«  cbe  non  fare  et  pentirsi  ».^ 

[a  carte  A  154t-155t,  B  308-312,  C  156-158 
-^  N.  M.  a  Fr.  Vettori,  addi   16  Aprile  1514.  «  Sarà  egli  doppo 
miiranni  cosa  reprehensibile  »...  — ...«  basta  a  uno  o  dna  di  quelli  al- 
tri etc.  »*  [a  carte  A  5-5t,  B  312-316,  C  159-160 


^  Ed.  1813,  vili,  143-146.  Gli  Apografi  del  regesto  di  Giulian  de*  Ricci  offrono  per  questa 
lettera  molte  varianti  dal  testo  edito.  A  prescindere  da  quelle  grafiche,  che  son  moltissime, 
diam  saggio  solo  delle  seguenti: 


ediz.  —  •  .  .  .  senza  quella  qualità  di  vita.  Ir 
mi  dolgo  che  voi .  . .  ecc.  « 


—  *  quel  piacere  ne  areste  voi  se  lo  prova 
Donato  nostro  ». 

—  •  sono  unici  porti  e  refugj  al  mio  legno  » . 

—  •  E  manco  di  due  di  sono  mi  avvenne  » . 

—  ■  Nympha,  precor,  penei  mane  ;  non  Inse- 
quor  hostis 


Ms.  —  >  senza  quella  qualità  di  vita.  Et 
perchè  io  so  quanto  tali  pensieri  vi  dilettino 
et  conoscere  simili  ordini  di  vita,  io  mi  dol- 
go, ecc.  ■ 

—  «  quel  piacere  che  arestl  voi,  se  ne  porta 
Donato  nostro  ». 

—  ••  sono  unici  miei  porti  et  miei  refugli 
ad  el  mio  legno  ». 

—  •  Et  manco  di  dua  sere  sono  mi  av- 
venne >. 

—  ■  Ninpha^precor  petrela  (gic)  mane.  Non 
insequor  hostis 


Sic  aquilam  penna  fùgiunt  trepidante  columbae 
Hostes  quisque  suo»  ••. 

—  •  gli  parrebbe  quelli  noi  medesimi  esser 
leggieri,  incostanti,  volti  a.  cose  vane  •. 

—  ■  E  questo  modo  di  procedere  se  a  qual- 
cuno pare  sia  vituperoso  ». 

—  •  n  duca  Valentino,  Topera  del  quale  lo 
Imiterei  sempre  quando  fossi  principe  nuovo, 
conosciuta  questa  necessità,  fece  monsignore 
....  presidente  in  Romagna*. 

*  Ne*  ms.  la  data  è  •  4  di  febbraio  1513».  Male  pubblicata  neirediz.  1813,  viii,  103-106;  peg- 
giorata ancora  nelle  ristampe.  Varianti  di  maggior  rilievo: 


Sic  aquilam  fugiunt  penna  trepidante  columbae 
Hostes  quaeque  suos  ». 

—  «  gli  parrebbe  quelli  noi. medesimi  essere 
leggieri,  incostanti,  lascivi,  volti  a  cose 
vane  ». 

—  •  se  a  qualcuno  paressi  vituperoso  ». 

—  >  . . .  fece  M.  Rimino  (sic)  presidente». 


ediz.  —  »  gestrire  (It)  il  pane  ». 

—  ■  e  perchè  voi  non  vi  sbigottiate  ». 

—  <•  levate  dunque  I  tasti  et  cavateli  il 
trenn  ». 

»  ediz.  cit.,  vili.  108-110.  Lacune:  —  •  dove 
alloggiava  il  Panzano,  e  quello  intrattenendo... 
gli  riscuote  due  penne  della  coda  ». 

•—  >  se  Io  mise  nel  carnaiuolo  al  dritto  ». 

—  •  Sicché  egli  è  meglio  pensare  come  si 
abbia  a  governare  questo  inganno  . . .  che  en- 
trare per  questa  via  ». 

—  »  e  girandosegli  intomo,  veggendolo  il 
Brancaccio,  tutto  turbato  se  gli  levò  din- 
nanzi. 

—  «  et  non  ne  lasciate  andare  una  iota  ». 


ms.  —  «  gestire  il  pane  »  (dal  latino  ge- 
atio). 

—  a  Et  perchè  voi  vi  sbigottite  ». 

—  >  levate  adunque  1  basti  et  cavateli  il 
freno  ». 

ms.  —  .  . .  •  et  quello  intrattenendo  et  trova- 
togli la  vena  larga  et  più  volte  baciandolo, 
gli  risquottè  dua  penne  della  coda  ». 

--  •>  nel  carnaiuolo  di  drieto  ». 

—  •  . .  .  come  si  abbia  a  ritrovare  questo  in- 
ganno et  che  chi  ha  ricevuto  piacere  da  te, 
ti  ristori,  che  entrare  per  questa  via  ». 

—  >  .  .  .  veggendolo  II  Brancaccio,  tutto  cam- 
biato se  li  levò  dinnanzi  ». 

—  >  et  non  ne  lasciate  andare  una  iota  per 
cosa  del  mondo. 

4  Ed.  Camb.,  vi,  26-28.  La  data  nel  ms.  A  a  questo  luogo  è  de*  dì  i4  d*aprile;  si  cor- 
regge in  fine  del  ft*ammento  copiato  poscia  da  Glulian  de*  Ricci  a  pag.  141t-142.  —  U  Ricci 
dovette  primieramente  trascriver  questa  lettera  nel  suo  regesto  da  una  copia,  dacché  avverte, 


Digitized  by 


Google 


638  APPENDICE. 

—  N.  Id.  if.*»  Orats*  Florent.'**'  Franc,*^  Victorio  apud  summum 
ponti ficem.  —  Addi  10  di  Giugno  1514.  €  Io  ricevei  due  vostre  lettere 
essendo  in  villa  »...  —  ...«  chi  rimette  per  una  penna  mille,  et  goderete. 
Addio  »  *  [a  carte  A  155t-156,  B  316-317,  C  160-161 


§  XXIII. 


Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 


Passarono  infba  questi  tempi  tra  il  Vettori,  et  il  Machiavello  molte 
lettere  appartenenti  a  loro  innamoramenti,  et  a  loro  piacevolezze  et 
burle,  le  quali  non  mi  essendo  capitate  alle  mani,  non  sono  state  da 
me  registrate,  còme  anco  ho  lassato  di  registrare  qualche  parte  delle 
lettere  da  me  copiate,  dove  il  Vettori  tratta  di  sinadll  intrattenimenti, 
et  solo  ho  scritto  quella  parte,  dove  si  tratta  di  stati  et  di  maneggi 
d' importanza,  siccome  ho  fatto  nella  seguente  lettera,  nella  quale  ho 
lasciato  il  principio  et  il  fine,  trattandosi  in  que' luoghi  di  uno  amo- 
razzo del  Vettori,'  et  solamente  ho  scritto  quello  che  egli  risponde  a 
quanto  dal  Machiavello  gli  fa  scritto  in  materia  di  quello  che  andava 
attorno  circa  la  resoluzione  del  re  di  Spagna,  di  guerra  o  d*accordo 
con  quello  di  Francia.  ^ 

—  Fr,  Vettori  a  Niccolò  Machiavelli,  addi  16  di  maggio  1514:  <De 


dopo  r  Intestazione  :  *'  Riscontra  dì  poi  con  l'originale  et  ci  sono  le  diversità  notate  ". — 
Dopo  le  parole  :  *'  da  Napoli  doue  e'  tedeschi  hebbono  prima  ragione  che  gli  spagnuoli  „  aa- 
nota  in  margine  :  "  11  fine  di  questa  copia  non  concorda  con  l'originale  et  si  finisce  di  co- 
piare In  questo,  o.  142  ".  —  Aggiungiamo  però  la  variante,  secondo  risolta  da  questa  prima 
trascrizione  del  Ricci  : 

—  "  Pertanto,  considerato  tutto,  a  me  pare  che  Spagna  non  possa  sopportare  che  Italia 
stia  così,  nò  possa  con  sua  securtA  mutarla.  Quanto  alle  cose  di  1&  da  monti,  gli  conviene, 
a  fare  loro  mutare  uiso,  che  tramuti  la  guerra.  A  questo  gli  bisogna  hauere  questa  auaer^ 
tenza.  che  la  guerra  si  Ileui  da  Francia,  ma  non  11  sospecto  della  guerra;  perchè  ogni  uoita 
che  quel  re  sia  di  1&  da'  monti  senza  guerra  et  senza  sospecto  di  essa,  egli  rimarrà  si  ga- 
gliardo, che  non  potrà  né  tenerlo  né  regolarlo.  Come  questo  si  possa  fare  lo  non  lo  so;  et 
ueggoci  dentro  Infinite  difiBcultà  ;  perchè  a  uolere  far  questo  bisognerebbe  hauere  legato  per 
un  filo  Francia,  imperadore  et  suizzeri,  et  tutti  allentassero,  quando  egli  dicesse:  allenta; 
et  tirassono  quando  e'  dicesse  :  tira.  Hora  se  alcuno  mi  domandasse:  come  credi  tu  che  e*  la 
pigiti  lo  li  risponderei  che  non  lo  sapessi,  et  se  io  mi  immaginassi  qualche  cosa,  che  io  non 
glie  ne  uolessi  dire  ".  —  Indi:  *'  Giuliano  de'  Ricci  a  chi  legge:  La  risposta  fatta  da  Fran- 
cesco Vettori  alla  presente  lettera  è  registrata  in  questo  a  e.  55  infra  le  lettere  del  detto 
Frane.  Vettori  ". 

Altre  varianti: 


ediz.  —  ••  perchè  è  da  credere  che  1  tranelli 
siano  conosciuti,  e  che  gli  abbino  cominciato 
a  generare  fastidio  e  odio  negli  animi  de'  ne- 
mici •  . 

—  -  senza  le  forze  di  quel  re  che  sia  im- 
possibile tenerli  •. 

—  -  ed  lo  ho  a  capitare  loro  alle  mani  con 
nove  fiorini  di  decima  e  quattro  e  mezzo  d'ar- 
bitrio. Io  m'arrabbatto  qua  il  meglio  che  io 
posso  »  ecc. 

1  Ediz.  i813,  vili,  iSO-lSS.  Varianti: 

edlz.  —  •  starommi  dunque  cosi  tra  1  miei  j      cod.  —  ••...  tra  1  miei  pidocchi  •. 
cenci  •.  I 

—  •  De  amore  cestro,  io  mi  ricordo  . . .  •        —•  ...  lo  vi  ricordo  «. 

>  SI  allude  alle  lettere  del  Vettori  conservate  nella  Bibl.  Naz.  fior.,  basta  r,  n.  >6,  <?, 
28,  29.  30,  31,  32,  33.  Le  pubblicò  recentemente  11  ViLLAai,  op.  cit.,  voi.  ii,  pag.  SSSesegg. 
non  tutte  per  Intero. 

*  Ms.  A  ;  M  et  chi  uuole  uedere  quanto  sopra  questo  scrisse  U  MachUiTallo  lagg»  il  di- 
scorso, o,  lettera  la  quale  è  copiata  qui  addrleto  a  carte  sette  ». 


ms.  «perché  è  da  credere  eh' e' suoi  tra- 
nelli Steno  conosciuti,  et  che  gli  habbino  co- 
minciato a  generare  fastidio  et  odio  negli 
animi  degli  amici  et  de*  nimici  «.    ' 

—  •  . . .  Impossibile  tramegli  •. 

—  >  ed  io  ho  a  capitare  loro  alle  mani  con 
noue  fiorini  di  decima  et  quattro  et  mezzo 
d'arbitrio,  che  me  ne  uo  Tanno  in  40  V  et  ne 
ho  90  d'entrata  o  meno.  Io  mi  arrabatto  qua 
il  meglio  che  posso  «. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  '  639 

presuppositi  che  voi  fate  ne  appruovo  qualcuno  in  tutto  »...  —  ...<  che 
credo  non  vegga  l'hora  da  esser  fuori  di  guerra  ».' 

[a  carte  A  54-55t,  B  318-328,*  C  162-166 

—  N.  M.  a  Fr,  Vettori  in  Roma,  ex  Fior,  die  iij  Augusti  1514; 
€  Voi  compare  mio  m'avete  con  più  avvisi  »...  —  ...«  et  in  questo  sempre 
bene  et  piacere.  Valete  ».3  [a  carte  A  156,  B  923-924,  C  166-167 

—  Fr.  YettoH  Spectabili  Viro  N,  di  M,  Bernardo  Machiavelli  in 
Firenze,  addi  3  di  Xbre  1514:  €  Compar  mio  caro  non  vi  maravi- 
gliate »...  —  ...«  quanto  più  presto  tanto  meglio  ».* 

[a  carte  A  1-1 1,  B  328-340,5  C  167-168 

—  N,  Jf.  Fr.*"*  Vettorio  Oratori  Flor."*^  apud  summum  Pontificem. 
Ex  Percussina4  die  Xbris  1514:  «  Mag.c«  Orator.  Presentium  exibitor 
erit  Niccolaus  Tafanus  amicus  noster  »...  —  ...«  soli  michi  Pergama 
restant  ».«  [a  carte  A  156t,  B  340-341,  C  169 

—  N.  M.  a  Fr.  Vettori,  oratore  a  Roma,  addi  20  di  Xbre  1514 
(more  fiorentino)  «  Voi  mi  domandate  qual  partito  dovesse  pigliare  »... 
— ...«  et  non  altrimenti  et....  »  (framm^ento)^ 

[a  carte  A  lt-4t,  B  341-356,  C  169-177 


1  Ed.  Cambiagi,  vi,  2»-3S.  Varianti  e.  s. 
ediz.   •  E  vedo  ch'egli  non  vorrebbe  venire 
a  rottura  con  gli  Svizzeri  ». 

—  >  essendo  egli  lontano  mille  miglia,  ri- 
messe sul  viceré  ». 

—  ••  ma  l'anno  passato  quando  cosi  fece  la 
triegua,  non  dette  egli  un'altra  volta  in  mano 
al  re  di  Francia  Italia  ». 


ms.  —  ■  et  credo  ch'egli  non  vorrebbe  ve- 
nire a  rottura  cogli  Svizzeri  ». 

—  •  .  .  .  rimesse  su  il  viceré  ». 

—  ••  Ma  l'anno  passato  quand'egli  fece  la 
triegua,  non  dette  egli  un  altra  volta  in  mano 
al  re  di  Francia  Italia t  » 


*  A  questo  punto,  é  annotato  nel  ms.  B  che  va  collocata  la  lettera  di  N.  M.  a  Fr. 
Vettori  copiata  in  fine  del  libro,  dopo  V  indice,  a  pag.  923.  —  Nel  ms.  C  è  trascritta  a  questo 
punto,  ed  é  quella  che  immediatamente  segue. 

»  Ed.  1813,  vili,  122-123  —  ■  io  ho  rispon-       ms.  —  ■  lo  ho  riscontro  in  una  creatura 

tro  in  una  ventura  tanto  gentile,  tanto  deli- 

cata,  tanto  nobile,  e  per  natura  e  per  acci- 

dente,  che  io  non  potrei  né  tanto  laudarla,  né 

tanto  amarla,  che  la  non  meritasse  più  ».  ,    .  \ .   «. 

4  Ed.  Cambiagi,  vi,  35-36.  Manca  negli  Apografi  il  brano:  •  A  Donato  mi  raccomandate.... 
m'harà  per  iscusato.  Cristo  ui  guardi  ».  —  Altre  varianti  : 


ediz.  —  >  quaeram  Iterum  te  antiquo  inclu- 
dere ludo  ». 

—  «se  si  unisce  con  Francia  quello  può 
sperare  da  lui  vincendo,  et  quello  può  temere 
dagli  avversari  se  vincano  ». 


ms.  —  >  .  . .  quaeram  iterum  te  veteri  allquo 
includere  ludo  ». 

—  >  se  si  unisce   con   Francia  quello  può 
sperare  da  lui  vincendo,  et  quello  può  temere 
se  perde;  et  quello  che  può  temere  degli  av- 
versari, sendo  unito  con  lui  ». 
6  In  2)  per  errore  la  numerazione  salta  dalla  pag.  329  alla  340. 

*  Ed.  Camb.,  ri.  125-126.  Da  questa  lettera  apparisce  la  relazione  intima  della  famiglia 
Tafani  co'  Machiavelli,  la  quale  si  seguitò  anche  nelle  generazioni  successive,  quando  i  Tafani 
di  Barberino  di  Val  d'Elsa  si  cangiarono  nelle  Api  urbane.  Varianti  e.  s.  : 


ediz.  —  •  quam  ollm  viduam  Joannl  matri- 
monio tradidit  ». 

—  •  exlstlmat  enlm  omnia  Istic  agi  posse, 
ubi  Vicari  US  Christi  degit  ». 

—  •  rogamusque  ut  maritum  lllum  arcessas  • . 

f  Ed.  Camb..  ri,  36-46.  VarianU  e.  s.: 
ediz.  •  perché  se  in  questo  caso  si  unissero 
tutti  gli  Svizzeri  e  che  sleno  con  i  cantoni  i  Gri- 
gioni  e  1  Vallesi,  possono  mettere  insieme  più 
che  settantamila  uomini  per  banda  >. 

—  ••  E  perché  alcuno  spera  o  teme  che  1 
Svlzeri  per  poca  fede  potrebbono  voltarsi  e 
accordarsi  col  re,  e  dare  In  preda  quest'altri. 
Io  non  ne  dubito,  perché  e'  combattono  per 
l'ambizione  loro,  e  se  non  é  ora  una  delle 
troppe  necessità  che  gli  sforzi,  credo  che  sa- 
ranno nella  guerra  fedeli  ". 


mss.  -^  «  quam  olim  cuidam  Joanni  matri- 
monio tradidit  ». 

—  •  exlstlmat  enlm  omnia  istic  agi  facll- 
llme  posse,  ubi,  etc.  • 

—  •<  rogamusque  ut  maritum  lllum  Infldum 
accersaa  ». 

mss.  —  •• . . .  et  che  sieno  con  11  cantoni  I 
Grlgioni  et  i  Vallesi,  possono  mettere  insieme 
più  che  ventimila  uomini  per  banda  ». 

—  "Et  perché  alcuno  spera  o  teme  che  i 
Svlzeri  per  poca  fede  potrebbono  voltarsi  et 
accordarsi  con  il  re  et  dare  In  preda  quest'al- 
tri, di  questo  lo  non  ne  dubito,  perché  e*  com- 
battono bora  per  l'ambltione  loro  et  se  non  é 
bora  una  delle  soprascritte  necessità  che  gli 
sforzi,  credo  che  saranno  nella  guerra  fedeli  *'. 


Digitized  by 


Google 


640  APPENDICE. 

§  XXIV.  Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 

La  lettera  che  seguita  fu  scritta  dal  Machiavello  per  complire  al 
discorso  ^  antecedente  non  li  parendo  in  quello  avere  a  bastanza  dechia- 
rato  la  intention  sua  nel  dannare  la  neutralità. 

—  N,  M,  Mog.^  Oratr  Florent."*^  Franc^  Victorio  aptid  summum 
ponti ficem.  Romae:  «  Poi  che  voi  mi  avete  messo  in  zurlo  ». .  — ...«  in 
mille  modi  resurgere.  Valete  et  mille  volte  a  voi  mi  raccomando, 
die  XX  decembris  1514  ».«        [a  carte  A  142-143,  B  357-362,  C  177-180 

—  N,  M.  a  Giovanni  Vemacci  in  Pera.  Addi  xviij  d* Agosto  1515: 
€  Se  io  non  ti  ho  scritto  per  lo  addietro  »...  —  .,.<  a  qualunque  ti  vuol 
bene  ».»  [a  carte  A  61,  B  362  C  180 

—  N.  M.  a  Gio.  Vemacci  in  Pera,  a  di  19  di  9bre  1515:  €  Io  ti  ho 
scritto  da  4  mesi  in  qua  »...  —  ...<c  de'  portamenti  miei  verso  verso  di  te  ».* 

[a  carte  A  61,  B  363-364,  C  180 

^N,M,a  Gio.  Vemacci  in  Pera,  addi  15  di  Febb.«>  1515-6  :  €  Quanto 

a  me  io  sono  diventato  inutile  a  me  »...  —  ...«  insino  a  qui  :  sono  tuo. 

Cristo  ti  guardi  ».*  [a  carte  A  61,  J?  364,  C  180 

—  N.M.  a  Gio.  Vemacci  in  Pera,  addi  viii  di  Giugno  1517  in  villa. 
€  Come  altra  volta  ti  ho  scritto  »...  — ...«  ancora  che  povera  et  sgra- 
nata ».«  [a  carte  A  61t,  B  364-365,  C  180-181 

—  N.  M.  a  Gio.  Vernacci  in  Pera,  addi  5  di  Genn.»o  1517.  «  Come 
io  ti  ho  detto  altre  volte  »...  — ...«  ch'io  stimi  quanto  te  ».7 

[a  carte  A  61t,  B  365,  C  181 

•  §  XXV.  Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 

In  quattordici  anni  che  il  iTro  Machiavello  stette  a  serviti!  della  Rep.c«> 
dall'anno  1498  al  1512  fu  dalli  suoi  Cittadini  (come  adietro  più  volte 
si  è  detto  et  come  si  mostrerrà  anco  da  qui  innanzi)  adoperato  in  ne- 
gotii  importantissimi  per  inbasciatore,  et  secretarlo  della  sua  Città  ap- 
presso a  re,  appresso  all'imperatore  et  diversi  principi  et  Signori,  come 
anco  appresso  al  Pontefice,  et  a  molti  duchi.  Ma  essendosi  l'anno  1512 
rimutato  lo  stato,  et  la  forma  del  Governo  mediante  la  cacciata  del  So- 
derino,  et  governandosi  la  Città  sotto  li  auspicii  et  secondo  la  volontà 
dell'  lU.mi  Medici,  fu  Niccolò  nro  da  essi  poco  adoperato,  o  perchè  lo  giu- 
dicassero troppo  affettionato  al  governo  popolare,  o  per  qualsivoglia  altra 
cagione,  et  stette  9  o  10  anni  senza  avere  alcuno  negotio  pubblico,  et  in 
questo  tempo  attese  solo  a  suoi  studii,  et  a  scrivere  le  Historie  della 
sua  patria.  Ma  la  fortuna  che  spesse  volte  si  piglia  giuoco  de'  casi  no- 
stri fece,  che  alio  Ilhi^o  Card.^^  de'  Medici  l'anno  1521  venne  voglia  di 

1  Nel  niR.  A:  "a  un  discorso  fatto  che  è  copiato  In  questo  a  e.  4,  5,  6  <•.  Allude  alla 
lettera  del  M.  al  Vettori  In  data  de*  20  die.  1514. 

>  Ed.  Camb..  ti.  46-49. 

s  Ed.  Camb..  vi,  53. 

«  Ed.  Camb.,  vi,  54.  Questa  che  nell'edizioni,  nel  manoscritto  Glullan  de'Ricci,  e  nel 
barberinlano  è  data  come  lettera  intiera,  è  manifestamente  un  flrammento.  o  un  brano  scritto 
in  fondo  ad  altra  lettera  di  persona  della  famiglia  di  Niccolò. 

<  Edlz.  Camb.,  vi,  53.  DI  questa  lettera  nella  Bibl.  Naz.  si  A  TautORrafo,  proveniente 
dall'abate  Vincenzo  Parigi;  e  mentre  le  edizioni,  condotte  sull'apografo  del  Ricci,  terminano 
dove  l'apografo,  nell'originale  è  un  altro  brano  non  breve,  che  termina:  •  Dice  la  Marietta 
che  tu  gli  mandi  delle  agora  buone,  che  quelle  che  tu  le  mandasti,  non  sono  buone.  Tuo  In 
Firenze  N.  M.  •  ~  E  la  data  è  posta  a*  di  29. 

•  Ed.  Camb..  vi,  54-55. 

»  Ed.  Camb.,  vi,  57. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  611 

mandarlo  per  nunzio  o  per  oratore  al  Cap.i®  de' Frati  Minori,  che  all'hora 
si  faceva  in  Carpi,  et  la  cagione  fu  questa.  Pareva  a  molti  frati  di 
queirordine  mossi,  o  dal  zelo  della  religione,  o  dall'amore  della  Patria 
loro,  0  da  qualsivoglia  altro  loro  particulare  rispetto,  che  fosse  bene, 
che  li  Frati  facessono  del  Dominio  Fior.ao  una  provincia  a  parte,  nella 
quale  non  stesse  altro  che  Toscani,  i  quali  erano  quelli  che  desidera- 
vano questa  separazione,  et  fra  gli  altri  il  più  principale  era  uno  fra 
Larione....*  ad  instantia  del  quale  rill.mo  Card.i»  de  Medici,  et  per 
S.  S.ria  gli  Otto  di  Pratica  spedirono  Niccolò  Machiavelli  a  Carpi  a  per- 
suadere a  quelli  padri,  che  si  contentassono  di  fare  qsta  separatone, 
mosti'ando  di  muoversi  acciò,  che  li  loro  Conventi  di  questo  stato  fos- 
sero meglio  governati,'  et  che  quelli  che  vi  stantiavono,  temessero  più 
il  gastigo  se  operavono  male.  Andò  il  Machiavello  con  questa  spedi- 
tione  a  Carpi,  dove  stè  pochi  giorni,  nel  qual  tempo  M.  Fran.co  Guic- 
ciardini, che  era  a  Modana  Governatore  gli  scrisse  certe  lettere  le  quali 
io  copierò  qui  appiè,  et  li  Consoli  dell'arte  della  Lana,  quali  hanno  cura 
della  chiesa  del  Duomo  di  Fir.«»  li  ordinarono  che  procurasse  loro  un 
buon  Predicatore  per  la  Quaresima  venente  ;  lascerò  di  copiare  la  in- 
structione  delli  8  di  pratica,  et  la  lettera  de' Consoli  perchè  le  lettere 
del  Guicciardino,  et  una  scritta  dal  Machiavello  al  Card.i«  de  Medici, 
aggiuntoci  quel  poco,  che  ne  ho  scritto  io  di  sopra,  daranno  piena  no- 
titia  di  questo  fatto.* 

—  M,  Franc.<^o  Guicciardini  in  Modana  aN.M,  a  Carpi  addì  17  di 
maggio  del  1521:  €  buon  giudizio  certo  è  stato  »...  —  ...«  mille  bei  colpi. 
A  voi  mi  raccomando  ».3  [a  carte  A  59t,  B  368,  C  182 

§  XXVI.  Giuliano  de'  Ricci  a  chi  legge. 

Di  Casa  li  heredi  di  M.  Franc.co  Guicciardini  ho  haute  19  lettere 
del  Machiavello  scritte  a  esso  M.  Francesco  :  et  le  3  prime  sono  assai 
licentiose  scritte  in  su  la  burla,  e  nella  legatione  che  hebbe  il  nro  Nic- 
colò a'  frati  delli  zoccoli  et  al  loro  Capitolo  generale  a  Carpi,  et  sono 
risposta  a  lettere  che  gli  scrisse  il  Guicciardino.* 

—  Mag,^""  Dno  Franc.^  de  Guicciardinis  L  U,  Boctori  Mutince,  Re- 
giiq'ue  (sic)  Gubernatori  dignissimo  suo  plurimum  honorando.  N,  M.  in 


1  Lacuna  ne*  mss.  —  Harlone  Sacchetti,  procuratore  generale  deirordine.  Cf.  gli  ArmaUi 
vninorum  di  Lttca  Wadsinoo,  T.  xvi,  pag.  118. 

*  Ms.  A,  pag.  59:  •  Scipione  de*  Ricci  a  ehi  legge.  Nel  Fascio  di  lettere  e  d'Istruzioni 
segnato  di  Lettera  E  a  pag.  25  vi  è  TLstruzione  degli  8  di  pratica  e  un'altra  che  giudico 
essere  del  medesimo  frate  Ilarlone  e  la  seconda  lettera  originale  di  Guicciardini  qui  regi- 
strata " . 

s  Ed.  Camb.,  ri.  57-58.  Gli  editori  lasclan  parecchie  lacune  nella  pubblicazione  di  questa 
lettera  allegando  che,  per  cancellature  fatte  nel  mano.scritto  da  persona  scrupolosa,  alcuni 
passi  eran  fatti  del  tutto  illeggibili.  Noi  11  rechiamo  come  ne  venne  fatto  trovarli  ne' Regesti 
B  e  C,  copiati  per  quanto  sembra,  prima  che  la  persona  scrupolosa  11  cancellasse  in  A: 


ediz.  —  ••  non  altrimenti  che  se  a  Pacchie- 
rotto, mentre  viveva,  fosse  stato  dato  11  ca- 
rico di  trovare  una  bella  e  galante  moglie  a 
un  amico  •. 

—  ••  Se  in  questa  etA  vi  dessi . . .  • 

—  ■  correte  duoi  pericoli,  Tuno  che  quelli . . . 
l'altro  che  quell'aria  da  Carpi  non  vi  faccia 
diventar  bugiardo. 

— •  •  e  se  per  disgrazia  fusto  alloggiato  in 
casa  di  qualche  carpigiano. 

*  Ms.  A:  **  copiato  In  questo,  e.  60  ". 


ms.  C  —  •  non  altrimenti  che  se  a  Pac- 
chierotto mentre  viveva,  fosse  stato  dato  il 
carico  o  a  Otto  Sano  {sic)  di  trovare,  ecc.  « 

—  -  Se  in  questa  et&  vi  dessi  all'anima  •. 

—  •  . . .  l'uno  che  quelli  frati  santi  non  vi 
attacchino  dello  Ipocrlto,  l'altra  che,  ecc. 

—  -  e  se  per  disgrazia  fìiste  alloggiato  In 
qualche  carpigiano  ».  . 


ToMMASiNi  -  Machiavelli.  41 


Digitized  by 


Google 


642 


APPENDICE. 


Carpi  addi  17  di  maggio  1521:  «  io  ero  in  sul  cesso  »...  —  ...«quae  sem- 
per  ut  vult  valeat  ».^  [a  carte  A  163-162t,  B  369-372,  C  183-184 

—  M.  Frane. "^  Guicciardini  a  N.  M.  in  Carpi,  Mutinae  die  18  Mail 
1521  :  «  Quando .  io  leggo  i  vostri  titoli  »...  —  ...«  siete  aspettato;  a  voi 
mi  raccomando  ».*  [a  carte  A  59t,  B  373-374,  C  185 

—  A  M.  FrancJ^  Guicciardini  in  Modena.  N.  M.  orator  prò  Repub.*^ 
FlorJ^adfratresminores,  addì  18  di  maggio  1521:  «Io  vi  so  dire  che 
il  fumo  n'è  ito  sino  al  cielo  »...  —  ...<c  in  saecula  saeculorum  ».3 

[a  carte  A  1621r-163,  B  374-376,  C  185-186 

—  Al  medesimo  N.  M.  addi  19  di  maggio  1521:  «  C.us,  e*  bisogna 
andar  lesto  con  costui  »...  —  ...«  questo  poco  della  esperienza  ».^ 

[a  carte  A  163,  B  376-378,  C  187 


^  Ediz.  Camb.,  vi,  58-61.  —  •  e  tutto  ero 
volto  a  figurarmi  un ... .  a  mio  modo  per  a 
Firenze  ». 


—  -  se  non  coll'opere,    colle  parole  e   coi 
cenni  ». 

—  -  e  lo  vorrei  trovarne  uno  che ..." 

—  «  e  io  ne  vorrei  trovare  uno   più  •  ■   . 


ms.  (barbar,  e  G.  d.  R.  £  e  C.  In  A  le  abrap 
slonl  sembrano  opera  di  Scipione  de'  Ricci, 
del  quale  è  la  nota  marginale  :  "  Lettere  poco 
religiose  e  pie,  dimostrano  11  carattere  del 
Machiavello  ,,).  —  •  a  figurarmi  un  predica- 
tore a  mio  modo  per  a  Firenze  ». 

—  ■  se  non  coiropere,  colle  parole,  se  non 
colle  parole  con  i  cenni  «. 

—  •  . . .  trovarne  uno  che  insegnassi  loro  la 
via  d'andare  a  casa  il  diavolo  (ms.  barb.  del). 

—  •  e  io  ne  vorrei  trovare  uno  più  pazzo 
che  il  Ponzo  (ms.barb.  il  pazzo)  piùversuto  che 
fra  Girolamo,  più  ipocrlto  che  frate  Alberto  «. 

—  •  .  . .  quanto  credito  ha  uno  tristo  che 
sotto  il  mantello  della  religione  si  nasconda 
si  può  fare  sua  (ms.  harh.  pur)  coniettura 
facilmente  quanto  ne  arebbe  un  buono,  che  an- 
dasse in  verità,  et  non  in  simulatione  pe- 
stando i  fanghi  di  S.  Francesco  ». 

—  •  in  che  modo  io  potessi  mettere  inflra 
loro  tanto  Beandolo  che  facessino  o  qui  o  in 
altri  luoghi  alle  zoccolate  « 

ms.   G.  d.  R.  e  barb.    —    «  V.  Sig.   sa  che 
questi  frati  dicono  che  quando  uno  è  confer- 
mato in  gratla,  11  diavolo  non  à  più  potentla 
di  tentarlo,   cosi  io  non  ò  paura   che  questi 
frati  mi  appicchino  lo  Ipocrite,  perchè  Io  credo 
essere  assai  ben  confermato  ». 
—  ••  io  non  dico  mai  quello  che  io  credo  ...        —  «  io  non  dico  mai  quello   che   Io   credo 
e  se  pure*  ei  mi   vien  '  detto   qualche   volta  il    nò  credo  mai  quel  che  dico,  o  se  pure  ei  mi 
vero,  io  lo  nascondo  . . .  che   è   difficile  a  ri-    vien  detto  qualche  volta  il  vero,  lo  lo  nascondo 
trovarlo  ».  tra  tante  bugie  che  è  difficile  a  ritrovarlo  •. 

>  Ediz.  Camb.,  vi,  01-6S.  Il  GuMPisai  trasse  dall'autografo  la  seguente  aggiunta  a  questa 
lettera,  che  nella  edizione  è  data  secondo  la  lezione  di  Giulian  de*  Ricci.  È  notabile  che  nel 
ms.  A,  in  cui  tutto  il  brano  che  segue  fu  omesso,  dopo  le  parole  "  davvantaggio  una  torta  " 
trovasi  una  chiamata,  alla  quale  risponde  la  nota  in  margine  di  man  di  Scipione  de'  Ricci  : 
"  V.  l'originale  ".  —  Questo  conservasi  nella  Bibl.  Naz.  fior.,  Doc.  M.,  b,  v,  n.  210.  11  GuKPiaai 
nella  sua  trascrizione  lesse  "  eapturo,  verità,  <ibguato  "  per  "  captivo,  rarità,  ambiguità  '\ 


—  ••...  quanto  credito  ha  uno  —  che  sotto 
il . . .  si  nasconda,  si  può  fare  sua  coniettura 
facilmente,  quanto  ne  avrebbe  un  buono  che 
andasse'  in  verità  e  non  in  simulazione ...» 


—  >  in  che  modo  io  potessi  mettere  infra 
loi-o  tanto . . .  che  facessino  o  qui  o  in  altri 
luoghi ...» 

—  •  Vostra  Signoria  sa  che 


ediz.  —  -  il  che,  se  non  servirà  ad  altro,  do- 
vrà fkrvi  beccare  una  torta  davvantaggio.  Del 
predicatore  Rovaio  non  mi  maraviglio,  etc.  • 


s  Ed.  Camb.  vi,  62-64.  Variante: 
—  <•  eh'  io  non  so  come  mi  capitare  innanzi 
a  Francesco  Vettori  e  a  Francesco  Strozzi  «. 
*  Ed.  Camb.  vi,  64-65. 


aut.  —  -  11  che  se  non  servirà  ad  altro  do- 
vrà farvi  beccare  domandassera  davvantaggio 
una  torta.  Vi  ricordo  nondimanco  che  messer 
Gismondo  è  captivo  e  uso  alle  chiacchere,  e, 
in  lombardo,  alle  berte;  però  è  da  andare  cau- 
tamente, acciochè  di  pastori  non  diventassimo 
aratori:  io  gli  ho  scritto  con  queste  che  non 
lo  aviso  della  rarità,  perchò  mi  confido  alla 
perspicacia  dello  ingegno  suo  e  che  vi  abbia 
conosciuto.  Cosi  starà  sospeso,  e  se  voi  lo 
tenete  in  ambiguità  col  non  dime  de*  vostri 
maggiori,  concluderà  che  voi  siete  un  uccello. 
e  tutto  è  da  tollerare  pure  che  i  pasti  segui- 
tino all'ordine.  Del  Rovaio  non  mi  maravi- 
glio ecc.  » 

Ms.  —  «...  a  Francesco  Vettori  e  Filippo  . 

Strozzi  -•. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  643 

—  iV.  M.  allo  IlL"^"  Card.^  Giulio  de  Medici  essendo  il  Machiavello 
in  Modana  et  il  Gard.io  in  Firenze,  mandata  a  Franerò  Guicciardini  com- 
miss.no  in  Romagna:  «  Questi  padri  non  avendo  dato  capo  ad  il  loro 
Capitolo»...  —  ...«essere  un  grandissimo  serv.^^  di  quella  alla  quale  etc.  »^ 

[a  carte  A  60-60t,  B  378-383,  C  188-190 

§  XXTII.  Giuliano  de*  Ricci  à  chi  legge. 

Dopo  lo  averli  trattato  dì  una  macchia,  che  gli  haveva  a  fare  pian- 
tare a  Poppìano  di  Valdelsa,  et  di  uno  suo  garzone,  e  dolutosi,  che  quello 
anno  non  si  pigliava  beccafichi  nel  fine  della  lettera  dice: 

€  Ho  atteso  et  attendo  in  Villa  a  scrivere  la  historia  »...  — ...«  nessuno 
si  possa  dolere,  addi  30  di  agosto  1524  >.^ 

[a  carte  A  163t,  B  383-384,  C  190 

—  Allo  spettarle  come  fratello  M.  N.  M.  Jacopo  Sadoleto  segre- 
tario dì  N.  S.:  «  lo  hebbi  la  vostra  de'  24  del  passato  »...  — ...«  et  cosi  mi 
vi  offero  et  raccomando.  Da  Roma  il  di  6  di  luglio  1525  ».3 

[a  carte  A  172t,  jB  384,  C  191 

—  Fr.  Guicciardini  spectaàili  viro  Nicolao  de  Machiavellis.  Faven- 
tiae  XXIX  juliì  1525:  «  Lo  bavere  a  rimandarvi  »...  —  ...«  et  a.  voi  mi 
raccomando  ».*  [a  carte  A  171,  B  385,  C  191 

—  Francesco  Guicciardini  a  N,  M,  Faventiae  7  Augusti  1525:  €  Io 
ho  hauto  la  vostra  de' 3  »...  —  ...«  non  potere  schifare  le,  percosse  ».* 

[a  carte  A  171,  B  385-386,  C  191-192 

—  N.  M.a  M.  Franc.^  Guicciardini  presidente  della  RoMagna  per 
U  pontefice,  addì  17  augusti  1525:  €  Hieri  ebbi  la  vra  »...  —  ...«ma  tor- 
niamo alla  ricetta  per  le  pillole  ».  ^ 

>  A  dichiarazione  e  commento  della  presente  lettera  del  Machiavelli  rechiamo  li  seguente 
passo  dagli  Annales  Minorum  del  Waddiko  :  Toiho  zvi,  pag.  117  —  >  Paulo  post  concesslonem 
harum  litterarum  celebrata  sunt  hoc  anno  sub  festum  Pentecostes  Comitia  Generalia  in  Con- 
ventu  Sancti  Nicolai  provlnciae  Bononiensis,  apud  nobile  oppidum  Carporum  in  Lombardia 
Cispadana  ad  ripam  Seciae  flumlnls,  sumptus  abunde  ministrante  Alberto  pio  Domite  Car- 
pensi.  In  his  Paulus  a  Sonclno  e  Vicario  in  Mlnlstram  Generalem  et  Franclscus  ab  Angelis, 
sive  Quinnonlus  ex  Ministro  provinclae  Angelorum  in  Commlssarlum  Generalem  famlliae  Ul- 
tramontanae  assumpti  sunt.  Procurator  generalts  ordinis  Hilarion  Sacchettus  Florentinus 
provinclae  Tusclae,  Commlssarlus  in  curia  Romana,  prò  familia  Ultramontana  GulUelmas 
Temigon  provlnciae  Brltanniae,  sunt  instituti.  Patres  Ultramontani  noluerunt  hac  vice  ell- 
gere  Deflnitores  generales,  sed  retinere  eos,  qui  in  ultimo  Capltulo  fUerunt  electi  ;  quibus,  ut 
se  concordarent  Cismontani,  etiam  a  suorjum  Deflnitorum  el<»ctlone  abstlnuerunt  •. 

*  Ed.  Camb.,  vi,  66. 

>  Bd.  4813.  vili,  165-166.  L*ediz.  reca  la  data  -  8  di  luglio  n. 

*  Ed.  1813,  VITI,  166.  NeUo  stampato  la  data  è  •  85  lulii  ». 

*  Ediz.  Camb.,  vi,  66. 

•*  Ed.  Camb.,  vi,  67-69.  La  famosa  ricetta  che,  al  dire  del  Vaechi  (Storia  Jìor.,  lib.  iv), 
il  Machiavelli  ebbe  già  da  Giovambattista  Bracci,  uomo  che,  secondo  il  citato  istorico,  •  si 
dilettava  della  medesima  vita  e  costumi  di  Niccolò  «,  mise  gran  campo  a  rumore.  Quelle 
pillole  che  il  Machiavelli  prese  «  senz'altro  medico  o  medicina  volere  »,  furono  da  taluno 
malignamente  reputate  afìrodlsiacha;  altri  le  giudicò  puramente  purgative,  altri  purgative  e 
stimolanti  ad  un  tempo.  A  ogni  modo  il  M.,  mandandone  la  ricetta  al  Guicciardini,  dichiara 
averne  usato  nna  volta  la  settimana,  quando  si  sentiva  grave  II  capo  e  lo  stomaco  ;  e  questo 
mette  a  nudo  tanto  l'intenzione  di  lui,  quanto  quella  del  medico.  Ammoderni  farmacologi 
recheranno  forse  meraviglia  le  altissime  dosi  e  la  trascurata  coefficienza  de' rimedi;  ma  questi 
difetti  nella  terapeutica  di  que' tempi  erano  1  meno  infk-equenti.  Il  Dkltup.  Ettai  sur  le» 
CEuvres  et  la  Doctrine  de  Maefùaoel,  Paris.  1867,  pag.  28,  afferma:  ••  La  formule  des  pUu- 
les,  dltes  de  Machlavel,  a  été  conserve  dans  des  ouvrages  spéclaux  qui  les  donnent  pure- 
ment  et  slmplement  comme  un  spéciflque  contre  les  maux  d'éstomac  •.  —  A  noi  veramente 
non  accadde  trovarne  copia  slmile  in  ricettari  contemporànei;  e  dubiteremmo  assai  che  la 
medesima  fosse  stata  scritta  cosi  come  a  noi  fu  tramandata.  Quel  ectrmcm  deo»,  per  esempio, 
ci  ò  molto  sospetto,  quantunque  siasi  cercato  in  molteplici  guise  d'interpretarlo.  Il  Woi.r. 
ueber  den  Furat  dea  N.  Af.,  Berlin,  18S8,  p.  15,  lo  spiega  per  gummigutta  (Cambogia  gutti) 


Digitized  by 


Google 


644  APPENDICE. 

Recipe . 

Aloe  patico* Dram.  1  V2 

Carman  deos D.      1  — 

Zafferano D.         ^'2 

Mirra  electa    ........     D.         V2 

Brettonica*. D.  V2 

Pinpinella D.         ^U 

Bolo  armenico     .......     D.         ^'2 

[a  carte  A  163t-184,  B  386-389,  C  193-194 

S  XXYIII.  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

Il  Giovio  nelli  elogii  sotto  alla  imagine  del  Machiavello,  tassandolo 
di  maligno,  et  di  poco  religioso  dice  ch*egli  si  mori  per  bavere  preso 
una  medicina  a  sua  fantasia  mediante  la  quale  scherzando  egli  paz- 
zam.^0  con  la  Divinità  si  condusse  alla  morte,  et  poiché  io  veggo  la  ri- 
cetta di  queste  pillole  tanto  da  lui  celebrate  mi  vò  immaginando  che 
in  quelli  tempi  si  potesse  spargere  qualche  falso  remore  di  questa  cosa, 
perchè  in  verità  egli  mori  cristianamente  nel  suo  letto  visitato  da  tutti 
gli  amici,  in  braccio  della  moglie,  et  de' figlioli,  et  io  che  li  sono  ni- 
pote non  ho  mai  inteso  dire  nò  da  Mad.Q^  Marietta  de  Corsini  sua 
moglie,  nò  da  Madonna  Baccia  mia  madre  et  sua  figliuola,  né  da  M.  Ber- 
nardo et  M.  Guido  et  M.  Piero  suoi  figlioli  et  miei  zii  tal  cosa,  et  la 
ho  per  una  vanità,  et  la  compositione  di  quelle  pillole  é  tale,  che  non 
merita  di  essere  da  scrittore  maledico  et  falso  come  è  il  Giovio,  fattoci  un 
commento  sopra,  che  pigliandole  si  voglia  scherzare  con  la  Religione  o 
trattare  con  esse  di  farsi  immortale,  poiché  gli  ingredienti  in  esse  sono 
tutti  di  droghe  et  semplici  ordinarli  et  comunissimi  a  tutti  11  medici, 
et  a  tutti  gli  spetiali  et  per  rendere  al  Giovio  riconpensa  dell'Elogio 
leggasi  il  seguente  epitafi^o  fattoli  da  persona  veridica  et  non  male- 
dica né  bugiarda.^ 

detta  In  antico  anche  gamandra  e  gatta  gamandra;  11  Dkltuf  traduce  addirittura  per 
«  cardamone  •,  ma  senza  alcun  buon  fondamento.  l\  signor  prof.  Scalzi  da  noi  interpellato, 
basandosi  sull'autorità  di  Sbraviomv  (ed.  Venet.  Arrivabene  mdlii,  cap.  cxlii),  opinò  fosse  a 
leggere  earmca  deostruens,  vocabolo  arabo  con  cui  designavasl  Telce.  (Barbea  seu  Carmcit 
arablbus,  tcpwd^  graecis,  ilex  latinls,  elice  Italis).  —  È  anche  probabile  che  11  carman  deo» 
fosse  a  leggere  originalmente  camedrio».  Cf.  Artonii  Musai  Brasatoli  ferraren»i9  medici 
Examen  omnium  simpl.  mcdicament.  quorum  uau»  in  pubblici»  ett  c^fficinù.  Venetlls, 
MSXLV,  pag.  122,  alla  voce  Camedrio»:  —  •  Barbari  adeo  nomina  corrupere,  ut  genitivo  prò 
recto  saepius  utantur,  nam  quemadmodum  stichados  prò  stoechas  a  recentiorlbus  dici  supe- 
rius  adnotavimus,  Ita  chamedrios  prò  chamedrys  dlcunt,  recentiores  medici  f«re  greecam 
vocem  exprlmentes  querculam  minorem  vocant.  Latini  trixaginem,  Ferrarlense  vulgus  cala» 
mandrinam.  Poloni  vlelka  ossanka,  Cretenses  vulgo  camodrt,  a'Neapolltanls  cerquelolo,  Ger- 
manorum  pars  longe,  alll  gamandrlm,  alil  gamanderlim  appellant  etc.  —  n  òo^o  armenico 
è  poi  noto  essere  la  terra  di  Lemno.  —  Segnaliamo  del  resto,  come  più  Importante.  la  seguente 
variante  nel  testo  deUa  lettera: 

ediz.  —  ■  lo  ho  volto  questa  lancia  In  que-  1      ms.  —  •  lo  ho  rotto  questa  lancia  In  que- 
sto modo  ..."  I  sto  modo  -. 

*  C  erroneamente  ■  pratico  ». 

*  Ms.  barberin:  •  bacellonaca  «. 

*  In  margine  6  Indicato  come  autore  de^seguenti  luridi  epigrammi  Alfonso  de' Pazzi.  La 
taccia  che  per  questi  s'appone  al  Giovio  è  espressa  anche  in  altra  Raccolta  di  epigrammi 
nella  Bibl.  Naz.  fior.,  mss.  vii,  9,  271,  pag.  116,  ove,  oltre  11  primo  di  questi,  leggonsl  anche 
i  seguenti,  11  secondo  de*  quali  ebbe  autore  11  Laboa: 

1.  •  Qui  giace  Paol  Giovio  ermafrodito 

Che  vuol  dire  in  volgar  moglie  e  marito  •. 

2.  •  Qui  giace  li  Giovio;  a  si  gran  nome  corra 

Tutto  Io  stuol  di  Sodoma  e  Gomorra  ». 
Tuttavia  il  Giovio  non  fa  sempre  ingiusto  col  M.  —  Nel  Fra{/mentum  trium  dialogorum 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  W5 

Qui  giace  il  Oiovio  pescator  maturo 
Istorico  bugiardo  adulatore 
Prelato  indegno,  et  grande  aff^ntatore, 
Viator  qoal  tu  sii  pasta  sicuro. 

Qui  giace  il  Giovio,  che  col...  compiva 
Con  quelli  accenti,  modi  et  affectione 

Che  fan  le  donne  in  p Oh  gran  poltrone 

Non  so  come  la  terra  sei  pativa  ! 

—  Instructione  breve  a  te  Niccolò  Machiavelli  di  quello  che  hai  a 
fare  in  questa  andata  tua  per  ordine  nostro  a  Venetia  deliberata  per 
Noi  questo  di  xviig  d* Agosto  1525.  <  Gonsules  Artìs  Lanae  et  Gonservatores 
rerum  Fior,  in  Romania:  Noi  useremo  teco  poche  parole  »...  — ...«  per 
tutto  t'accompagni  >A  [a  carte  A  79-79t,  B  390-393,  C  194-195 

—  Filippo  de'Nerli  al  suo  mólto  onorando  da  fratello  m.  N.  M,  in 
Venezia,  di  Firenze  addi  6  di  7bre  1525:  «  Poiché  voi  vi  partisti  di 
qua  »...  -— ...«  riscontrino  bene  e  in  buon  punto  ».' 

[a  carte  A  174-174t,  B  393-397,  C  196-197 

—  N.  M,  a  Francesco  Guicciardini:  «  Io  non  mi  ricordo  mai  di 
V.  S.  »...  — ...«  per  condurci  qui.  Valete.  N.  M,  historico,  comico,  tragico  ».' 

[a  carte  A  165-165t,  B  397-402,  C  198-200 

—  N,  M.  aM.  Francesco  Guicciardini.  Addi  19  di  dicembre  1525 
in  Firenze:  «  Io  ho  differito  a  rispondere  all'ultima  vostra  »...  —  ...€  quello 
si  ò  fatto  sino  a  qui  ».*        [a  carte  A  165t-166,  B  403-405,  C  200-201 

—  Fr.**  Guicciardini  spectabtli  viro  N.  de  M.  uti  firater  honorando. 
Florentiae  —  Faventiae  26  Xbris  1525  :  <c  Io  comincerò  a  rispondervi 
dalla  Commedia  »...  —  ...«  aspettando  risposta  ».^ 

[a  carte  A  172-172t,  B  405-407,  C  201-202 

—  N.  M,  in  Firenze  a  Fr.  Guicciardini,  Siddì  3  di  Gennaio  1525: 
«  Io  credetti  bavere  a  cominciare  »...  —  ...«  ha  da  desiderare  di  conten- 
tarvi ».»  [a  carte  A  166-166t,  B  407-410,  C  203-204 

P.  J.  ep.  Nue.  quos  in  insula  Aenaria  a  elade  nobi»  receptus  eonseripsit  (et.  Tiraboichi, 
St.   della   leti,   it.,    App..  t.  ix.  pag.  96)   coftl  favella  df  lui:  •  Machiavellus  et  rei  milita- 
rls  et  Florentinorum  annalium  vemaculue  scrlptor,  cui  abunde  amoenum   ingenium  superest 
qaum  foi*tunae  desint,  lepidissime  lusit  ad  efflgiem  comoedlae  veteris  Aristophanem  imitatus, 
cujus  etiam  clrcumfertur  Nicia  ridiculus  senex,  qui  susclplendae  prolis  tam  stolide  quam  sinl- 
Btre  cupldus,  a  prurlente  Juvencula  uxore  in  eurruculam  facetissinne  transmutatur  •. 
1  In  A,  non  6  di  roano  di  Giuliano  de*  Ricci.  Varianti  di  qualche  importanza: 
ediz.  —  •>  e  che  si  trovarono  in  tal  fatto  •.  1      ros.  —  •  e  che  si  trovomo  in  sul  fatto  •. 
—  •  perchè  pressiamo  voglia  venire  «.  |      —  -  perchè  provi  anco  voglia  venire  ». 

>  Ed.  1813.  vili.  171-174: 

ms.  —  •  sempre  manca  chi  raccozzi  la 
brigata  perchè  Mancate  voi  ". 

—  "  lo  sono  ancora  qua  et  me  ne  andrò, 
fatto  la  fiera  di  due  o  tre  giorni  aspettai,  a 
Modana  **. 


—  ••  itempre  manca  di ...  la  brigata,  perchè 
mancate  Voi  •. 

—  "  Io  sono  ancora  qua,  e  ne  anderò  fatta 
la  Aera  di  due  o  tre  giorni.  Aspetterò  a  Mo- 
dena **. 

«  Ed.  Camb.,  vi,  71-74. 

*  iid.  Camb.,  vi,  75-76. 
«  Ed.  Camb..  vi,  77-78.  —  «...  un  altro 

conforme  al  poco  ingegno  degli  attori  >. 

--  ■ 'Conosceranno  tutti  meglio  i  mali  della 
pace,  quando  sarA  passata  TopportunitA  di 
fare  la  guerra  «. 

—  "  Però  si  quid  adoersi  acciderit  non 
potranno  dire  che  ci  sia  stata  tolta  la  Si- 
gnoria, ma  che  turpiter  elapsa  iit  de  mar 
nibus  ". 

—  '*  che  non  abbimo  manco  sospeso  i  cer- 
velli che  le  armi  **.  , 

*  Ed.  Camb.,  vi.  78-81.  Seguono  dopo  questa  lettera  negli  Apogrcifl.  cinque  canzoni  da 
dirsi,  runa  innanzi,  le  altre  per  intermezzo  agli  atti  alla  Commedia;  e  son  quelle  notissime 


ms.  —  •  un  altro  conforme  al  poco  ingegno 
lem  auditori  -. 
—  •  conosceremo  tutti,  ecc.  « 


—  '•  Però  »i  quid  adoersi  aeeiderU  non 
;>otreno  "  ecc. 


—  "  che  non  habbiamo  **  ecc. 


Digitized  by 


Google 


616  APPENDICE. 

—  N.  M,  a  M.  Francesco  Guicciardini,  «  Per  essere  io  andato  su- 
bito »...  —  ...«  raccomandomi  ».* 

[a  carte  A  164t,  B  414-417,  C  207-208 

—  N.  M.  a  M.  Francesco  Guicciardini,  addi  15  di  Marzo  1525. 
€  Io  ho  tanto  penato  a  scrivervi  »...  —  .,.«  molto  più  da  pensare,  che 
lo  Imperatore  ».«  [a  carte  A  168-168t,  B  417-423,  C  208-211 

Addì  24  di  Marzo  1525,  scrive  al  Guicciardino,  che  i  popoli  si  ma- 
ravigliavano non  ci  fosse  ancor  nuove  della  liberazione  del  re,  et  che 
li  SpagQuoli  tornavono  verso  Pontriemoli,  dove  non  potendo  stare 
conviene,  o  che  tornino  indietro  senza  proposito,  o  che  venghino  in- 
nanzi. 

—  Filippo  Strozzi  a  N,  M,,  addi  ultimo  di  Marzo  1526  in  Roma  ». 

<  Io  non  vorrei  che  per  niente  pensassi  »...  — ...«  altre  nuove   non 
ho  ».  3  [a  carte  A  172t-173,  B  424-427,  C  212-213 

—  N.  M,  a  M,  Francesco  Guicciardini  addi  4  di  Aprile  1526. 
«  Mag.<:o  et  Maggior  mio  hon.^o,  io  ho  ricevuto  questo  dì  »...  —  ...«  come 
a  quel  greco  con  Annibale.^  Ringraziovi  ». 

[a  carte  A  169,  B  428-430,  C  214-215 

—  N,  Me  a  M.  Francesco  Guicciardini,  addi  17  di  Maggio  1526. 

<  Io  non  vi  ho  scritto  »...  —  ...<  tenga  i  danari,  et  tutte  le  scrit- 
ture ».  5  [a  carte  A  169t,  B  430-432,  C  215-216 

—  Fr.  Guicciardini  a  N.  M.  Romàe  22  May  1526.  «  Harete  visto 
per  la  pubblicatione  del  mtagistrato  »... —  ...«  che  habbia  ad  essere  al 
tutto  fuori  di  tempo  ».«  [a  carte  A  171t,  B  432,  C  216 

—  N,  M.  a  Fr,  Guicciardini.  Addi  2  di  Giugno  1526.  a  Ancor  ch'io 
sappia  che  da  Luigi  vro  »...  —  ...«  usare  tutte,  come  vi  vien  bene  ».^ 

[a  carte  A  170,  B  433,  C  216-217 
-^  N,  M.  a  Fr,  Guicciardini,  addi  2  di  Giugno  1526.  €  Io  non  vi 
ho  scritto  più  giorni  sono  »...  — ...«  che  il  papa  gliene  scriva  ».• 

[a  carte  A  170,  B  434-435,  C  217 

che  si  trovano  premesse  e  Inframmesse  a*  loro  posti  nell'edizioni.  Parrebbe  pertanto,  da  quel 
che  scrive  11  BC.  in  questa  lettera  al  Guicciardini,  che  originariamente  non  ci  fossero  Inter- 
mezzi musicali  alla  Mandrcigola,  e  che  queste  canzoni  le  componesse,  per  la  rappresentazione 
ordinata  sotto  gli  auspici  del  Presidente  e  Commissario  di  Romagna,  espressamente. 
1  Ed.  Camb.,  vi,  69-71.  Varianti: 


ms.  —  •  òcci  solo  questa  dlfterenza  che  se 
si  mandò  allora  un  paiolo  d'accis,  si  è  con- 
vertita queiraccla  in  maccheroni  •. 

—  •  mentre  ch'ella  si  maravigliava  e  ba- 
loccava per  vedere  quello  che  era,  la  Ita  so- 
praggiunta dall'erpice,  che  le  grattò  in  modo 
le  schiene,  che  la  vi  si  pose  la  zampa  più  di 
due  volte  ■. 


edlz.  —  «  òcci  solo  questa  differenza,  che  si 
mandò  allora  un  paiuolo  d'accia,  si  6  conver- 
tita quell'accia  in  maccheroni  •. 

—  •  mentre  che  ella  si  maravigliava  e  ba- 
loccava per  vedere  quello  che  era  lassù,  so- 
praggiunta dall'erpice  che  le  grattò  in  modo 
le  schiene  che  la  vi  pose  la  zampa  più  di  due 
volte  ». 

s  Ed.  Camb.,  vi,  81-85. 

•  Ed.  1813,  vili,  193-196. 

«  S'alhide  a  Formione  peripatetico,  di  cui  Cicerone  {De  Oratore^  lib.  n.  e.  18):  ■  Quid 
enim  aut  arrogantlus  aut  loquacius  fieri  potuit,  quam  Hannlball,  qui  tot  annos  de  imperlo  eam 
populo  romano  omnium  gentium  victore  certasset,  graeeum  hominem,  qui  nunquam  hostem, 
nunquam  castra  vidisset,  nunquam  denique  minlmam  partem  ullius  public!  munerls  attlgisset, 
praerepta  de  re  militari  dare  t  » 

<  Ed.  Camb.,  vi,  87-88. 

•  Ed.  Camb.,  vi,  88-89. 
"*  Ed.  Camb.,  vi,  89-90. 

•  Ed.  Camb-,  ri,  90-91.  Varianti: 


edlz.  —  da  quella  parte  che  è   dalla  parte 
del  Bonciano  a  quella  di  Matteo  Bartoli  ».• 
—  •  dice  che  11  comune  si  varrebbe  di  ot^ 
i  ducati  •. 


ms.  —  ....  a  quella  di  Matteo  BartoU  In 
ftiora  ». 

—  «  dice  che  U  Comune  si  varrebbe  dt  40 
mila  ducati  •. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE,  647 

--  N,  M.  a  Fr.  Guicciardini,  addi  2  di  Giugno  1526.  «  Io  non  ho 
haute  commoditò  »...  —  ,„€  io  ci  harei  dentro  una  grande  speranza  ».* 

[a  carte  A  170t,  B  435-437,  C  218 

—  N.  M.  allo  Imbasciatore  *.  «  Avanti  hieri  ricevemo  la  vostra  »...  — 
...«  in  simile  opera  gagliardamente.  Valete  ». 

[a  carte  A  73-73t,  B  437-439,  C  219 

—  Fr.  Vettori  in  Firenze  a  Niccolò  Machiavelli  nelVexer cito  della 
Lega  sotto  Milano,  addi  5  d'Agosto  1526.  —  €  Non  voglio  parlare  di 
quello  ò  seguito  »»..  —  ...«  a  messer  Francesco  et  a  voi  medesimo  ».3 

[a  carte  A  55t-56.  B  439-442,  C  220-221 

—  Fr,  Vettori  a  N.  M,  neWexercito  della  Lega,  addi  7  d'Agosto 
1526.  «  Hieri  risposi  a  due  vostre  —  (lacuna)  de'  31  del  passato,  hiersera 
poi  (lacuna)  me  ne  iSx  portata  »...  —  ...«  et  sono  tutto  vostro.  Iddio  vi 
guardi  ».*  [a  carte  A  56t-57t,  B  442-449,  C  221-225 

—  Bartolomeo  Cavalcanti  a  N.  M,  in  Campo.  Dì  Firenze  il  di  18 
di  7bre  1526.  «  Io  vi  scrissi  alli  6,  et  vi  mandai  la  lettera  »...  —  ...«  et 
empiervi  un  foglio,  né  altro  ».» 

[a  carte  A  173t,  B  449-451,  C  225^226 

—  Fr,  Guicciardini  a  N.  M.  Placentim  xxx  Octobris  1526.  «  Rebbi 
le  vostre  di  Modana  »...  — ...«  bavere  de'  fatti  suoi,  et  bene  valete  ».« 

[a  carte  A  171t,  B  451-453,  C  226-227 
^  N.  M,  a  M,  Francesco  Guicciardini,  Addi  5  di  Novembre  1526. 
€  Di  Modana  si  scrisse  a  V.  S.  »...  — ...«  ad  una  certa  vittoria  ».7 

[a  carte  A  170t-171,  B  453-466,  C  227-228 

—  Fr,  Guicciardini  a  N.  M,  in  Piacenza,  addi  12  di  Novembre 
1526.  «  Ho  la  vostra  de'  5  »...  — ...«.  la  natura  sua  et  sua  qualità  et 
sono  vostro  ».«  [a  carte  A  172,  B  456-466,  C  228 

—  Instructione  a  te  Niccolo  Machiavelli  deliberata  addi  3  di  Feb- 
braio 1526  dalli  Mag.«  Sig."  Octo  di  Pratica.  «  Tu  ti  condurrai  per 
la  via  più  sicura,  et  in  diligentia  ad  M.  Franerò  Guicciardini  »...  — 
...«  patiranno  doppo  noi  ».*        [a  carte  A  79t-80,  B  456-458,  €  228-229 

i  Ed.  Camb.,  vi,  91-92. 

^  Ed.  1796,  t.  IV,  pag.  388-384.  L'ambasciatora  presso  li  papa  era  allora  Francesco  Vet- 
tori. Cf.  BxjBiMi,  Lettere  al  Varchi,  lett.  x,  pag.  102,  ed.  Milanesi. 

3   Ed.  1813.  voi.  vili,  207-210. 

*  Ed.  1813,  vili,  210-215.  Dall'edizioni  non  è  tenuto  ragione  delle  lacune  che  s*  incon- 
trano neirapografo.  a  caglon  della  cifra.  Giuliano  de*  Ricci,  nel  ma.  A  ne  copiò  un  frammento 
non  decifrato  e  probabilmente  non  esatto,  fra  le  parole:  "  ma  poi  che  l'amico  At  tanto  quanto 
voi  mi  dite...  ''  —  "  et  segua  poi  che  vuole  ";  dappoiché  non  riuscì  Interpretrarlo  con  pa- 
recchie fra  le  chiavi  di  cifre  cognite  alPArchlvio  florentlno.  Un'altra  copia  di  questa  mede- . 
sima  lettera  e  di  altra  pur  del  Vettori  in  data  de*24  d'agosto  1526,  trovasi  nella  Bibl.  Naz. 
di  Firenze  (Doc.  M.,  busta  v,  n.  113,  114).  Questa  recente  è  di  man  del  Holiui,  •  fatta  in  Pa- 
rigi il  15  agosto  1832  •.  —  611  autografi  si  dicono  essere  presso  11  signor  Carlo  Salvi. 

s  Ed.  1813,  vili,  .220-221.  Varianti: 


^  ediz.  —  •  Ha  in  ogni  modo  mi  è  piaciuto 
Msai  che  voi  siate  andato  ...  e  che  voi  avete 
confermato  codesto  esercito  costi,  e  noi  qua 
in  qualche  buona  speranza  di  quella  impresa, 
e  che  1  difetti  di  essa  avrebbe  conosciuto  e 
dimostro  in  maniera  che  più  facilmente  si  sa- 
ranno potuti  ricorregere  e  al  male  che  ne  po- 
I  avvenire  provvedere  e  rimediare  •. 

0  Ed.  Camb.,  vi,  93-94. 
f  Ed.  Camb.,  vi,  94-95. 
**  Ed.  Camb..  vi,  96. 
•  Ed.  Camb.,  v,  437-488. 


m9.  —  •  Ma  in  ogni  modo  mi  è  piaciuto 
assai  che  voi  vi  siate  andato,  giudicando  o 
che  voi  harete  confermato  cotesto  exercito 
costi,  et  noi  qua  In  qualche  buona  speranza 
di  quella  impresa,  o  che  1  difetti  di  essa  harete 
cogniosciuto,  et  dimostro  in  maniera,  che  più 
facilmente  si  saranno  potuti  ricorreggere,  et 
al  male  che  ne  potesse  avvenire  provvedere 
et  rimediare  «. 


Digitized  by 


Google 


648  APPENDICE. 

§  XXEK.  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

Trovandosi  il  Machiavello  a  Milano  fu  da  M.  Franc.co  Guicciar- 
dini mandato  a  Cremona  con  la  Instructione  che  appresso. 

—  «  Due  sono  le  cose  per  le  quali  vi  mando  a  Cremona  »  .^  — 
...«  dando  le  lettere  al  provveditore  ».* 

[a  carte  A  80-80t,  B  458-460,  C  229-230 

§  XXX.  Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 

Le  quattro  lettere  che  seguitano  furono  dal  Machiavello  scritte  al 
medesimo  Vettori  Tanno  1527,  nel  qual  tempo  Niccolò  nostro  si  trovava 
con  M.  Franerò  Guicciardini  nell*esercito  della  Lega  in  Lombardia,  al 
qual  Guicciardini  era  stato  mandato  di  febbraio  1526  dalli  Otto  di 
pratica  per  cose  appartenenti  alla  città,  et  alla  Lega.  Si  vedrà  in 
queste  lettere  il  giudizio  del  Machiavello  et  che  capitale  si  possa  fare 
de'suoi  discorsi  essendo  avvenuto  appunto  quello,  di  che  egli  haueua 
tanta  paura,  mediante  raccordo  fatto  da  papa  Clemente  con  Borbone, 
quale  poi  saccheggiò  il  maggio  del  1527  Roma,  com*è  notissimo.  Di 
questo  exercito  et  di  questo  accordo  parla  Niccolò  Machiavelli  al- 
l'amico suo  che  airbora  si  trovava  in  Firenze,  persona  di  reputazione 
et  accetta  alli  Ill.mi  Medici  come  era  stato  sempre,  et  come  si  mantenne 
ancora  doppo  la  novità  del  1527  et  nel  ritorno  de' Medici  1530*  etc. 

—  N.  M.  in  Furlì  al  Mag/^  Fr,  Vettori  in  Firenze,  addi  5  d'aprile 
1527.  «  Poiché  la  triegua  fu  fatta  a  Roma»...  —  ...<c  vipriego  non  com- 
munichiate  questa  lettera.  Valete  ».3         [a  carte  A  158,  B  461-463,  C  231 

—  N.  M.  in  Furli  a  Fr.  Vettori  in  Firenze,  addì  14  d'Aprile  1527. 

<  Lo  accordo  è  stato  consigliato  »...  — ...«  avviluppare  fra  la  guerra 
et  gli  accordi  ».*  '    [a  carte  A  158t,  B  463-464,  C  232 

•   ^  N.  M.  in  Furli  al  Mag,'>^  Fr.  Vettori,  addi    16  d'Aprile  1527. 

<  Monsignor  della  Motta  è  stato  questo  di  in  Campo  »....  «  alla  guerra 
sola.  Raccomandomi  a  voi  ».5        [a  carte  A  159,  B  464-466,  C  232-233 

—  N.  M.  in  Berzighella  al  Molto  Mag.*^  Fr.  YettoH  in  Firenze, 
addì  18  d'Aprile  1527.  «  E'  si  sono  condotte  queste  genti  » ....  «  a  fare 
più  guerra,  che  noi  non  vorremo  ».« 

[a  carte  A  159-1 59t,  B  466-467,  C  233 

1  Ed.  1813.  VII.  456-458. 

*  Ms.  A  (pag.  I57t)  segue  :  "  La  Commesslone  che  hebbe  il  Machiauello  daUi  Otto  di 
pratica  et  aitra  che  ne  ebbe  dal  Guicclardlno  in  questi  tempi  sono  registrate  in  questo  **. 

S  Ed.  1813,  vili,  288-229. 

*  Ed.  1813,  vili,  229-230.  Variante: 

ediz.  —  "  a  voler  mantenere  questa  pouera  1      ms.  —  **  a  volere  mantenere  cotesta  pouera. 
città  ".  I  citU  ... 

*  Ed.  1813,  vili,  231-232.  Nel  ms.  A  dopo  le  parole:  **  Io  amo  messer  Francesco  Guicciar- 
dini, amo  la  patria  mia  **  segue  un  casso  feroce,  inteso  forse  a  cancellare  irreparabilmente 
un'  espressione  comparativa  che  offendeva  le  orecchie  pie.  Vedendolo,  ci  è  corso  il  pensiero 
all'ardita  lode  che  nel  libro  ni.  f  7  delle  Morie  il  Machiavelli  fa  a  quegli  Otto  di  pratica, 
chiamati  santi  dal  popolo,  i  quali,  guerreggiando  li  pontefice  Gregorio  XI,  avevano  "  sti- 
mato poco  le  censure,  e  le  chiese  de'  beni  loro  spogliate,  e  sforzato  il  clero  a  celebrare  gli 
u£BcI:  tanto  quelli  cittadini  stimavano  allora  più  la  patria  che  l'anima!  "  ^  Ora,  dopo  quel 
casso,  le  edizioni  e  gli  altri  mas.  dettero  freddamente:  "  amo  mesa.  Ffanoesco  Guicciardini, 
amo  la  patria  mia,  et  ul  dico  questo  ".  —  Var.  : 

ediz.  —  -  In  modo  che  se  noi  con  quella  poca 
vita  che  ci  resta,  accorriamo  con  le  forze  della 
lega  che  sono  in  presente  •. 

*  Ed.  1813.  vili,  232-233. 
ediz.  >-  "  come  pare  che  il  legato   di   Bo-  1     Mas.  ~  *'  come  pare  che  il  legato   di   Bo> 

«igna  scriva  e  qui  s'aspetterà  ".  |  logna  scriua  qului  et  qui  s'aspetterà  **. 


Mss.  —  >  in  modo  che  se  '  noi  quella  poca 
vita  che  ci  resta  raccozlamo  con  le  forze  della 
lega  che  sono  In  punto  •. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE,  61« 

—  N,M,e  Francesco  Bandini  a  Fr.  Guicciardini.  Addi  22  di  Maggio 
1527.  €  Rispose  il  Capitano  M.  Andrea  »...  —  ...4c  che  le  cose  sue  sareb- 
bono  in  altro  essere  ».*  [a  carte  A  171,  B  467-468,  C  234 

—  Archiepiscopus  Turritanus*  a  N.  M.  «Egregie  ut  frater  hon.de. 
Sappiendo  per  la  mutua  et  antiqua  benevolentia  mi  parteciperete  vo- 
lentieri delle  vostre  vigilie,  e  presumendo  nel  scrivere  le  cose  gesto 
della  Patria  dal  250  in  qua,  che  fu  principio  di  qualche  forma  della 
libertà,  vi  sia  suto  necessario  trovare  la  successione  di  Carlo  conte  di 
Provenza,  cugino  et  cognato  del  buon  re  Luigi  di  Francia,  il  qual  Carlo 
da  Urbano  4to  et  poi  da  Clemente  4to,  romani  pontefici,  come  campione 
della  chiesa  fu  chiamato  in  Italia,  et  investito  del  regno  di  Napoli,  et 
di  Sicilia,  per  privazione  del  figlio  dello  imperatore  Federigo  secondo, 
del  sangue  et  successione  del  quale  Tultimo  rè  di  Napoli  fu  per  linea 
recta  Ruberto  nato  di  Carlo  cognominato  sciancato,  che  fu  il  primo- 
genito del  prefato  Carlo  T;  truovo  che  questo  Carlo  secondo  ebbe  molti 
figli  legittimi,  et  il  primo  ifu  Carlo  il  quale  regnò  per  lui  in  Napoli  più 
anni,  et  è  chiamato  da  alcuni  scrittori  Carla  terzo,  perchè  Carlo  se- 
condo lo  sciancato,  suo  padre,  in  la  ribellione  et  guerre  fece  Carlo 
primo  air  isola  di-  Cicilia  restò  prigione  del  re  Giaches  d*Araona,  et  lo 
tenne  guardato  in  Spagna  sino  alla  morte  sua;  dipoi  una  figlia,  che 
restò  erede,  si  accordò  seco,  et  lo  liberò  con  patto  non  dovesse  lui,  e 
suoi  successori,  molestare  o  cercare  di  recuperare  più  il  regno  di  Sicilia, 
dimodo  che  tornato  a  Napoli,  et  trovato  tutto  quello  regno  alla  divo- 
zione di  Carlo  terzo  suo  primogenito  lo  congiunse  in  matrimonio  con 
una  regina  d'Ungheria,  et  restata  erede  di  quello  regno,  et  institui 
doppo  lui  Ruberto  secondogenito  et  fratello  di  detto  Carlo  terzo  rè  di 
Ungheria,  et  alli  altri  suoi  figli  dette  stati   et  principati  grandi  nei 


BIss.  —  •  Raggionfttnmo  della  levata  vostra 
<U  questa  mattina:  disse,  etc.  •• 


1  Ud.  Camb.,  v,  474-475.  —  •  Raggionammo 
della  lettera  vostra  di  questa  mattinfi:  disse 
che  tutto  gli  piaceva,  purché  voi  facessi  11  se- 
condo alloggiamento  o  a  Monte  Mari  o  nelle 
vigne  del  Papa  -. 

*  Francesco  di  Tommaso  Mlnerbetti,  persona  >  nobilissima  sì  •,  al  dir  del  Varchi  {Storie 
Jlor.y  II,  2).  •  ma  vana  e  leggiera  molto  >  —  Giovanni  Cambi  ce  lo  presenta  dapprima  prete 
e  •  chalonaco  fiorentino  (Cf.  Delizie  degli  eruditi  toscani,  voi.  xxii,  pag.  30)  e  quindi  arci- 
vescovo nel  reame  di  Napoli,  nostro  clptadino  •  (ibid,  pag.  127).  Ebbe  le  case  a  Santa  Tri- 
nità (Ibid.,  pag.  139).  L'UansLLi,  riponendolo  fraWescovi  aretini,  scrive  di  lui:  ••  Franciscus 
Mlnerbettus  (Thomae'  Minerbettl  et  Bartholomeae  Bernardi  Medices  fllius)  nobills  florentlnùs 
(sacrorum  canonum  doctor,  prothonotarius  Apostolicus)  Turritanus  antea  Archiepiscopus  è 
Sardinia  ad  hanc  translatus  est  anno  1525  die  6  mensis  Martii,  nomenque  Archiepiscopi 
semper  retinuit  >  {Italia  Sacra^  t.  i,  432-82).  Fu  creato  arcivescovo  da  papa  Leone  X  nel  1514; 
trasferito  poi  da  Clemente  settimo  alla  sede  episcopale  d'Arezzo,  Tammlnlstrò  per  inslno 
all'anno  1537.  Morto  nel  1543,  fu  sepolto  In  Santa  Maria  Novella,  nel  monumento  ch'egli 
stesso  aveva  eretto  alla  memoria  del  padre.  Il  Varchi  riportando  un  tratto  di  codardissima 
adulazione,  giudica  perciò  o  che  fosse  uno  degli  strumenti  maneggiati  dal  papa  mediceo,  o 
che  seguisse  la  natura  sua  propria  •  come  la  comune  degli  odierni  prelati,  i  quali  poco  di 
rcpubliche  o  non  republiche  curando  e  non  conoscendo  universalmente  altro  bene,  non  che 
maggiore,  che  le  utilità  proprie  e  le  grandezze  particularl,  come  comandano  Imperiosamente 
a*  minori  di  loro,  cosi  a'  maggiori  di  loro  servilmente  ubbidiscono  •  (Id.  1.  e.)  La  lettera, 
con  cui  egli  si  volge  a  interrogare  II  Machiavelli  storico,  non  à  data  ed  è  inedita.  I  fatti 
a  cui  allude  il  Mlnerbetti  vengon  raccontati  da  Nicolò  nel  lib.  i,  e.  30,  32,  33.  llb.  ni,  cap.  22 
delle  Istorie  Jlorentine,  ove  questi  corregge  le  inesatte  affermazioni  deirarcivescovo,  spe- 
cialmente rispetto  alla  vendita  non  già  di  Prato,  come  quegli  afferma,  ma  di  Arezzo,  fatta 
-  da  quelle  genti  che  per  Lodovico  lo  tenevano  ••.  ossia  dal  Sire  di  CouqI  alla  repubblica; 
occorrendo  precisamente  fira  1  mandatari  destinati  a  condurre  il  trattato  un  Andrea  Mlner- 
betti, che  trova  vasi  allora  nel  Magistrato  de*  Dieci  (Cf.  Ammirato,  Storie  ^oreneme.  llb.  xv). 
Circa  rafQnitd  di  N.  M.  co'  Mlnerbetti,  vedi  più  sopra  a  pag.  195.  Anche  in  una  lettera  di 
Battista  Machiavelli  a  Niccolò  in  Roma  •  die  9  novembris  1503  •,  si  legge:  «  raccomanda* 
temi  al  Mlnerbetto:  vorrei  m'avisassi  se  è  vero  che  il  nostro  arci vescouo  habia  facto  partito, 
o  sia  per  fare,  dello   areluescouado  •  (Bibl.  Naz.  fior.,  Doc.  M.,  busta  in,  n.  20). 


Digitized  by 


Google 


650  APPENDICE. 

reame.'  Et  troverrete  che  due  di  loro  morirono  nella  rotta  di  Monte- 
catini ricevuta  da  Uguccione  da  Faggiuola,  o  vero  ch'erano  nati  de'pre- 

detti  terzi lo  2**  sciancato  .....  et  che  si  trovorno  in  quello  conflicto 

capitani  loro  successione,  o  vero  delli  altri  di  quello  sangue  reale 

restati  in  Italia,  che  non  successone  nel  regno  di  Napoli,  altri  non 
truovo  che  Luigi  principe  di  Taranto,  il  quale  si  tolse  per  moglie  la 
regina  Giovanna  1*  figlia  del  rè  Ruberto  predetto,  il  quale  la  coni  unse 
in  matrimonio  ad  uno  secondogenito  del  sopradetto  Carlo  terzo  rè  d*  Un- 
gheria 0  vero  nipote  suo  cognominato  Andreasso,  perchè  detto  Ruberto 
mancatoli  tutti  gli  altri  figli  maschi  et  femine,  volle  restituire  il  regno 
doppo  lui  alla  successione  di  Carlo  terzo  rè  d' Ungheria,  suo  maggior 
fratello,  et  che  Giovanna  unigenita  sua  parimente  regnasse.  Truovo  che 
questo  Andrea  cognominato  Andreasso  venuto  nel  regno,  alla  copula, 
fu  fatto  morire  da  lei  per  fraudo,  come  innamorata  di  Luigi  suo  cu- 
gino, principe  di  Taranto,  et  del  sangue  reale  medesimo;  il  quale  con 
lei  furono  sempre  amministrati  da  Niccola  Accisguoli,  gran  siniscalco  di 
quel  regno,  et  da  loro  fU  venduto  Prato  al  Comune  di  Firenze.  Nacque 
tanto  sdegno  nel  fratello  primo  del  dettp  Andreasso,  che  alcuni  scrit- 
tori chiamano  Luigi  rè  d'Ungheria,  che  cum  jTianu  forti  venne  al- 
l'acquisto del  regno  di  Napoli,  et  per  forza  d'arme  l'ottenne,  et  la 
regina  Giovanna  col  rè  Luigi  suo  consorte  truovo  che  per  mare  fuggirne 
in  Avignone,  antico  et  naturale  stato  et  contado  del  rè  Carlo  primo 
suo  avo,  et  venduto  quello  alla  sede  apostolica,  che  ancora  lo  possiede, 
chiamata  da  alcuni  regnicoli  fece  una  grossa  armata,  et  con  Luigi  suo 
marito,  venne  a  combattere  con  il  rè  ungherese,  et  per  concordia  re- 
storno pacifici  nel  regno.  Et  Luigi  rè  d' Ungheria,  dicono  gli  scrittori, 
come  alieno  dall'aere  et  costumi  di  Italia,  dove  non  poteva  ritenere  i 
soldati  suoi  ungherì,  impauriti  ancora  da  una  pestilenzia  grande.... 
al  reame.  In  brieve  da  poi  si  mori  il  re  Luigi  marito  suo....  un  altro 
di  vile  condizione,  et  si  reggeva  con  tali  costumi  che,  o  per  quello  o 
per  non  osservare  le  convenzioni  fatte  col  detto  rè  d' Ungheria  Io  pro- 
vocò in  tanto,  che  cede  ogni  sua  ragione  del  regno  di  Napoli  et  di 
Sicilia  in  uno  allievo  suo  chiamato  Carlo,  di  virtù  et  arte  militare  eccel- 
lente, et  nato  di  sangue  reale,  et  successione  sua,  o  vero  di  Carlo  primo 
suo  bisavo,  o  di  Carlo  terzo  suo  padre.  Et  questo  finalmente  desidero 
intendere,  idest  chi  fii  il  padre  et  avo  suo,  perchè  alcuno  scrittore  mo- 
derno non  lo  dice,  ma  lo  chiamano  Carlo  quarto  di  Durazzo,  et  io  ho 
trovate  lettere  sue  scritte  a  nostri  cittadini  che  si  sottoscrive  Carlo  quarto 
rè  di  Napoli,  di  Sicilia  e  di  Gerusalem.  Notate  che  con  le  forze  et  fa- 
vori di  detto  rè  d' Ungheria  costui  venne  in  Italia,  et  fu  incoronato  da 
papa  Urbano  sesto,  et  acquistò  il  reame  per  forza  d'arme,  e  per  pro- 
cesso fece  morire  detta  regina  Giovanna  et  suo  marito,  chiamato  Ot- 
tone, monsignore  di  Brescia,  et  altri  complici  loro.  Dipoi  per  la  morte 
del  re  Luigi  di  Ungheria  fu  chiamato  da' baroni,  et  incoronato  di  quel 
regno,  che  non  aveva  successione  di  maschi  legìttimi,  et  in  brieve  fu 
per  opera  della  regina  vecchia  morto  a  tradimento  in  la  camera  di 
lei,  o  vero  assaltato,  et  che  dipoi  in  breve  spazio  di  tempo  si  morisse, 
et  interim  li  regnicoli  conservorno  il  regno  di  Napoli  e  Ladislao  suo 
figlio  unico,  et  a  Giovanna  seconda»  cognominata  Giovannella,  i  quali 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE,  ft5l 

ftirono  sotto  il  governo  di  lor  madre,  secondo  che  riferisce  alcuno 
scrittore,  per  ingegno  et  prudenzia  della  quale  si  conservorno  i  baroni 
in  fede  di  detto  Ladislao.  Credo  che  come  più  diligente  abbiate  trovato 
chi  fosse  la  madre  di  detto  Ladislao,  et  quello  seguisse  di  Giovanna, 
detta  Giovannella,  sua  sorella,  doppo  la  morte  di  lui. 

Fr.  F.  »J<  Archiepiscopus  Turritanus. 

[a  carte  A  112-1 12t,  B  468-472,"  C  235-238 

§  XXXI.  Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 

Eccovi,  amorevoli  et  giuditiosi  lettori,  un  Campione,  et  un  saggio 
delle  bozze  che  faceva  il  Machiavello  per  scrivere  et  tessere  dipoi  le 
sue  hiatorie.*  Servirà  per  chiarezza  et  intelligentia  delle  lettere  che 
scrisse  alla  repubblica  nelli  tempi  della  creatione  di  Giulio  2°;  servirà 
ancora  per  exemplo  a  chi  si  dilettasse  di  volere  scrivere  le  historie, 
servirà  finalmente  per  bavere  vera  et  particulare  notitia  delle  cose  se- 
guite in  quel  tempo  non  adombrate  nò  orpellate,  come  per  il  più  sono 
le  Istorie.  Nò  si  sdegnino  li  flotti  imitare  questo  autore  nello  scrivere 
delle  Istorie,  et  nel  discorrere,  poiché  l'esperienza  ha  mostro  quanto 
avidamente  fossero  lette  le  cose  sue  et  con  quanto  dilecto  da  ciascuno 
ammirate,  avanti  che  da  Paolo  quarto  fossero  prohibite,  •  la  qual  prohi- 
bizione,  le  ha  dipoi  tanto  più  fatte  desiderare,  quanto,  come  ben  disse 
Horatio,  «  nitimur  in  vetitum,  cupimusque  negata  »,  et  ora  per  beni-* 
GNiTÀ  DE*  SUPERIORI  RITORNERÀ  AL  MONDO,  cho  con  desiderio  grandis- 
simo, l'aspetta  più  bello  che  mai,  tutto  expurgato,  et  netto.  Né  alcuno  mi 
tassi  o  riprenda  eh'  io  duri  fatica  in  registrare  cose  piccole  et  frivole, 
perchè  a  me  non  paiono  di  si  fatta  maniera;  anzi  di  questi  giornali 
ne  tengo  grandissimo  conto.  Potrei  bene  incorrere  nello  errore  che 
incorrono  molti,  credendo  che  a  ciascuno  debbano  piacere  quelle  cose 
che  piacciono  a  loro,  del  che  mi  doverrà  essere  ammessa  la  scusa,  poiché 
lo  errare  con  molti,  non  fu  mai  del  tutto  biasimevole,  né  reprensibile.^ 

§  XXXII.  Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 

Fragmenti,  ricordi  et  giornali  appartenenti  a  Historie,  autore  Nic- 
colò Machiavelli.  Copierannosi  con  quel  maggiore  ordine  che  si  potrà, 
levandoli  da  quadernucci,  et  stracciafogli  di  sua  mano,  inserendoci  tal-- 
volta  qualche  altra  cosa  appartenerUe  all' Historie  di  quei  tempi,  fJo- 
tisi  che  tutte  le  postille,  che  sono  nel  margine  di  fuori*  sono  dell'autore^ 
Tal  tre  del  margine  dì  dentro  vi  si  faranno,  a  maggiore  chiarezza,  da 
me  Giuliano  de'Ricci. 

1  Nel  ma.  A:  "  bollo  registrato  qui  al  luogo  suo  havendolo  egli  fatto  nel  tempo,  che 
stette  in  Roma,  nella  spedltlone  di  sopra  narrata,  serulrà  per  chiarezza  **  ecc.  S*  intende 
bene  che  quest'inciso,  per  includere  un'affermazione  di  cui  il  Ricci  non  poteva  aver  prova 
certa,  fosse  poi  tolta  dall'altro  suo  originale  su  cui  le  copie  B,  C  vennero  condotte. 

s  II  BusiMi  (Lettere  al  VarefU,  ed.  Lem.,  pag.  241)  scriveva  nel  1549  da  Roma:  •  Qui 
sono  state  vietate  e  proibite  a  vendersi  tutte  le  opere  del  nostro  Machiavello,  e  vogllon 
fare  una  scomunica  a  chi  le  tiene  in  casa;  ma  sino  a  qui  nessun  libralo  ne  può  più  vendere 
sotto  gravi  pene.  Dio  aiuti  il  Boccaccio.  Dante  e  Morgante,  e  Burchiello.  Volevano  vietare 
Lucrezio,  ma  il  reverendissimo  Santa  Croce  non  ha  voluto  ••. 

*  Bis.  A:  '*  Lascerò  le  margini  del  libro  larghe  acciò  che  ul  si  possano,  o  da  me  o  da 
altri  fftre  annotationi,  che  servino  per  chiarezza  delio  scritto  dal  Machiavello  brievemente 
o  per  riscontro  de' tempi  ". 

*  Ms.  A  :  "  nella  seconda  piega  del  foglio  '*. 


Digitized  by 


Google 


6j8  appendice. 

Post  mortem  Cosimi.^ 

«  Morto  Cosimo  rimaso  Piero  suo  figliuolo  »...  — ...«  il  re  Federigo 
si  parti  da  Ostia  e  ne  andò  in  Francia  con  5  galere  ». 

[a  carte  A  85-109,  B  476-596,  C  239-298 

—  ^  Addi  14  di  9.bre  «Che  gente  di  Pagolo  Orsino  si  ragunavano 
in  quello  di  Perugia  »...  — ...«  fu  loro  compiaciuto  ». 

[a  carte  A  110-111,  B  596-602,  C  298-302 

—  Seguita  un  disteso  della  passata  di  Carlo  Vili  re  di  Francia 
in  Italia  scritta  dal  Machiavello.  ^ 

€  Papa  Alessandro  volle  che  Alfonso  dessi  »...  —  ...<c  sottosopra  ogni 
cosa  ».^  [a  carte  A  11 1-1  Ut,  B  602-608,  C  302-305 

§  XXXIII.  Giuliano  de*Bicci  a  chi  legge. 

Quello  che  segue  non  è  del  Machiavello. 

—  Il  rè  di  Francia  parti  »...  — ...«  frate  delle  Case  de'  Cini  ». 

[a  carte  A  1 125-1 13t,  B  608-615,  C  305-309 

—  N.M.  1495  da  giugno  a  X.bre.  Giugno  1495.  «  Il  Campo  al  Ponte 
ad  era  »...  —  ...«  come  si  era  disegnato  ».® 

[a  carte  A  113t-115t,  B  615-624,  C  309-314 

1  Pubblicati  nel  voi.  ii  dell'ult.  edlz.  florentlna  delle  Opere  di  N.  M.,  1874.  pag.  217, 
sotto  la  seguente  rubrica:  »  Biblioteca  Nazionale,  Codice  contenente  la  copia  fatta  da 
Roseo  Antonio  Martini  nel  i7S0  dell'apografo  di  Giuliano  de'  Ricci  sugli  autografi  del 
Machiavelli  suo  avolo  :  a  carte  239  »  E  il  volume  procede  da  pag.  Zi7  alla  281.  pubblicando 
dalla  pag.  239  alla  298  del  manoscritto.  Come  apparisce  nel  notamento  premesso  da  Giu- 
liano de'  Ricci,  non  sono  a  confondere  questi  frammenti,  ricordi  e  giornali,  che  furono  pre- 
parazione alla  composizione  delle  Istorie,  con  quelli  che  sono  pretto  lavoro  di  canteUarla. 
A  pag.  219  dello  stampato  leggesi  In  conformità  dell'apografo:  •  Volterra  si  ribellò  per  conto 
delle  cave  del  rame  ciie  le  volevano  pubbliche  e  non  private  >.  Ci  parve  questa  lezione  er- 
ronea, e  giudicammo  forse  da  restituire:  «  Volterra  si  ribellò  per  conto  delle  cave  da^ 
lume  *,  come  senza  dubbio  doveva  leggersi  nell'autografo  del  M«,  giacché,  secondo  quel  che 
effli  medesimo  espone  nelle  Istorie  (lib.  vii,  cap.  29).  fti  a  cagione  d'una  cava  d'allume  che 
Volterra  si  ribellò  e  pati  eccidio;  né  v'ebbe  mai  miniera  di  rame  nel  comune  di  Volterra; 
ma  solo,  e  celebre  per  la  singolarità  del  suo  giacimento,  ve  n'à  nel  territorio  di  Monteca- 
tini in  Val  di  Cecina.  Cf.  anche  Cecina.  Memorie  storiche  della  città  di  Volterra. 

*  Pubblicati  nel  medesimo  voi.  ii,  ediz.  flor..  pag.  156,  non  dall'apografo,  ma  dall'au- 
tografo stesso  del  Machiavelli.  Bibl.  Naz.  di  Firenze  :  Documenti  Machiavelli,  busta  ti. 
n.  72,  pag.  1,  2.  —  A  pag.  158  del  volume,  corrispondente  a  pag.  llOt  del  ms.  ^4  si  legge: 
•  Mandorno  el  conte  Lamberto  a  Pucecchio  >;  l'apografo  à  erroneamente:  ■  aPulignO'. 

»  M».  A:  "  manca  il  principio:  lo  ho  rltrouato  et  é  copiato  in  q.®  tj.  "  —  E  comincia: 
"  mandò  oratori  per  Italia  a  tentare  ".  —  A  pag.  I59t,  peraltro,  annota:  **  Ritorno  a  co- 
piare giornali  et  memorie  appartenenti  a  historie,  estratti  tutti  da  fogli  o  quadernuccl  di 
sua  mano  ;  et  questo  che  seguita  II  primo  è  in  su  un  foglio  sopra  11  quale,  di  mano  del  me- 
do8.<*  Machiauello  è  scritto:  **  Di  Bernardo  Rucellai  ".  E  segue:  "  Papa  Alessandro  uoUo 
che  Alfonso  "  sino  a:  "  ordinò  una  armata  a  Marsilfa  ".  Indi  è  un'altra  nota:  "  Il  resto 
che  .seguita  di  questo  disteso  in  queste  carte  avanti  ". 

*  Ed.  Camb.,  ii,  1-5.  Segue  nell'ultima  ediz.  clt.  a  pag.  77-85,  secondo  l'apografo  di 
Giulian  de'  Ricci. 

*  In  A,  dopo  le  parole  «ma  non  ne  siamo  ancora  certi  •  trovasi  inserita  la  lettera  del- 
l'Arcivescovo turritano,  riferita  negli  altri  apografi  come  al  §  xxx. 

^  Neil 'ediz.  fiorentina  sopraccitata  il  testo  é  pubblicato  secondo  gli  autografi,  contenuti 
nelle  carte  3,  4,  busta  i.  n.  72,  doc.  Machiavelli  (v.  volume  ii,  pag.  160-165).  A  pag.  162  leg- 
gesi: M  BaAtiano  Lotti  si  fuggi  da  Sanminiato  timore  Gallorum,  aiens  non  intraoerunt 
Pistu  sed  Luce  moram  traxere  -.  Gli  apografi  tutti  (compreso  11  Barberinlano  a  pag.  194) 
recano:  •  timore  Oallorum,  oratores  non  intraverunt  Pisas,  eie.  L'autografo,  d'assai  dub- 
bia interpretazione,  sembra  tuttavia  potersi  leggere  a  questo  modo:  •  Bastiano  Lotti  si  ftiggl 
da  SaMlniato  timore  gallorum;  oratores  non  intra  vere  Pisas  sed  Luce  moram  traxere  •.  — 
Com'è  evidente,  il  fatto  di  Bastiano  Lotti  non  à  nulla  di  comune  con  quello  degli  oratori 
rimasti  a  Lucca  e  non  entrati  in  Pisa,  nella  quale  indicazione  è  probabilmente  a  ricono- 
scere un  fatto  degli  oratori  fiorentini;  poiché,  com'è  noto  per  un  appunto  precedente  del 
Machiavelli  medesimo,  di  giugno  1495  >  a' 20  di  el  re  (Carlo  Vili)  entrò  in  Pisa  •.  (>>sl  il 
Memoriale  di  Giovanni  PoaTOVENiai  nélV Areh.  stor.  it.,  voi.  ti,  parte  ii,  serie  i,  pag.  313: 
«  E  ad  20  di  giugno  detto,  «1  re  di  Pranza  entrò  in  Pisa  con  tutta  sua  gente  e  baronia  ». 
—  E  più  oltre,  a  pag.  315:  ••  E  ditto  di  23  di  giugno  ditto,  e'pisani  mandarono  imbascl»* 
lori  drieto  allo  Re  a  Luca  per  intendere  più  fermamente  sua  volontà,  la  quale  s'ha  aver 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE. 


663 


§  XXXIT.  Giuliano  de*Ricci  a  chi  legge. 

Il  di  sopra  è  levato  da  un  foglio,  in  sul  quale  dice  4k  8bre  et  9bre 
sunt  in  scrinio  »  et  per  seguire  Tordine,  che  si  havea  proposto  l'autore 
io  seguiterò  di  copiare  tutto  quello,  che  ò  scritto  a  un  quadernuccio 
lungo,  dove  è  un  disteso  assai  bene  tirato  di  più  di  un  anno  di  tempo, 
et  se  bene  io  sarò  necessitato  dipoi  ritornare  indietro  con  altre  me- 
morie ho  eletto  per  meglio  seguitare  questo  ordine,  che  interromperlo, 
nel  principio  del  qual  quadernuccio  sta  come  appiè. 

—  «  1495  Ottobre,  novembre,  dicembre  1495. 

—  «  Giunto  monsignore  di  Lilla  ne'  borghi  »...  —  ...«  et  diede  loro 
bando  di  rubello  ».i  [a  carte  A  116-li7t,  B  625-636,  C  315-322 

—  «  In  questo  tempo  »...  —  ...«  con  monsignore  di  Gemei  ». 

[a  carte  A  118,  B  636-637,  C  322 

—  Risposta  ad  uno  ambasciadore  del  rè  di  Francia  il  quale  fu" 
monsignore  di  Gimel.*  [a  carte  AI18-118t,  B  637-640,  C  322-324 

—  €  Gennaio  1495.  Ancora  che  nello  scritto  di  sopra  siano  le  cose 
della  cittadella  fatte  di  gennaio. 

—  «  Partiti  che  furono  gli  Orsini  »...  — ...«  in  su  luoghi  de'Montepul- 
cianesi  ogni  cosa  >.3  [a  carte  A  118t-l22t,  B  640-656,  C  324-334 


alla  presenza   dell!   lmbascia.tori    fiorentini  >.  Nel  Memoriale  l'anno  è, 
lo  stile  pisano,  il  1496.  ^—  Altre  varianti  fra  l'edizione  ultima  e  il  testo  dei  mss.  : 


secondo 


ediz.  loc.  cit.,  pag.   163:  —   '•  Scrlpsesi    11 
disegno  di  Montepulciano  *'. 

—  "  Circa  a  4  di  in  lunedi   mattina  in  sul 
tardi  s'applcomo  e'  franzesi  colli  Italiani  ". 

—  •*  per  pigliare Peccioll  e  presono  Fercoli ... 
ed.  pag.  164:  —  "  Richiesesi  el  generale  di 

Llnguadora  la  Signoria  di  sei  mila  ducati  ". 

—  "  si  tirerebbono  tutte  in   sulle   parti   di 
Pisa  e  lasclerebbono  predare  el  contado  ". 

pag.  165:  —  "  se  si  dovessinc  dare  ai  fuo- 
rusciti sanesi  come ad  che 

monsignor  di  Lilla  non  si  accordò  *\ 


mss.  —  **  Scopersesi  il  disegno  di  Monte- 
pulciano ". 

—  **  circa  a  4  di  in  lunedi  mattina  in  sul 
taro  s'appiccorno  e'  francesi  colli  italiani  **. 

—  "  per  pigliare  Peccioli  e  presono  Foscoli  ". 
mss.  —  "  Richiese  "  ecc. 

—  "  si  tirerebbono  tutte  in  su  le  porte  di 
Pisa  et  lascerebbono  predare  el  contado  *\ 

—  "  se  si  douessero  dare  a  fuorusciti  sa- 
nesi con  messer  Perotto,  a  che  monsignor  di 
lilla  non  si  accordò  ". 

^  Pubblicato  nel  voi.  ii,  Opp.  M.,  ediz.  citata,  pag.  85-9S,  linea  38.  Dopo  questo  nell'apo- 
grafo C  a  pag.  382  si  trovano  intercalati  1  seguenti  passi  :  >  In  questo  tempo  giunsono  a  Li- 
vorno otto  o  più  legni  franzesi,  che  andavano  al  soccorso  del  regno  *. 

•  In  questo  tempo  cominciò  Pistoia  a  tumultuare  perchè  Niccolò  del  Gallo  ta  ferito  da 
Bartolomeo  Cellesi  •. 

Indi  continua  come  nella  stampa,  loc.  cit..  a  pag.  166:  •  1495  dicembre.  Piero  VespuccI 
ad  viso  come  si  prese  •...  —  ..."  con  monsignor  di  Gemei  >. 

>  Negli  Estratti  di  lettere,  ediz.  cit..  pag.  138  :  •>  In  questi  tempi  Ai  mandato  dn  Fran- 
cia monsignor  di  Gimel;  e  la  istruzione  sua  era  far  Intendere  a  ognuno,  da  Savoia  inflno  a 
Roma,  che  noi  eravamo  suoi  amici,  e  desiderava  la  salute  nastra,  e  che  era  parato  aiutarci 
eontra  quoseumque;  e  per  comandare  al  Triulzio  ed  alle  altre  genti  d'arme  francesi  d'Italia, 
che  ne*  bisogni  nastri  ci  soccorressono.  Venne  tino  a  Vigevano,  e  non  fu  lasciato  dal  duca 
passare  più  avanti  ".  —  Ora,  l'Apografo  del  Ricci  riproduce  a  questo  luogo,  senza  data, 
quella  lettera  della  Signoria  al  signor  di  Gémei  che  il  Dbsjakdimb  pubblicò  glÀ  nel  voi.  i. 
4pag.  633-35  delle  Négociations  diplomatique»,  colia  data  del  di  5  novembre  1495.  —  Per  quanto 
risgaarda  il  citato  notamente  del  M.  fra  gli  Estratti  di  lettere,  il  Desjardins  aggiunge: 
•  Le  commissaire  du  Roi  se  rendit,  le  10  novembre,  &  Pise,  où  il  fut  arrété,  puis  rélachó 
bientòt  après  (Rif.,  ci.  x,  dist.  vn.  reg.  n.  1).  Le  80  novembre,  MM.  de  Gémei  et  Niccolò 
Alamanni  vinrent  de  nouveau  à  Florence,  de  la  part  du  Roy,  pour  obliger  M.  d'Entragues 
à  obéir....  —  Toutes  les  démarches  furent  Inutiles  >. 

•  Frammenti  pubblicati  già  nella  Camblagiana,  t.  ii,  5-49,  poi  neirultlma  edizione  fioren- 
tina cit.,  pag.  98-103.  A  pag.  103  seguono  brani  che  non  si  trovano  negli  Apografi,  e  vanno 
sino  alia  pag.  166  (lin.  5).  Quindi   ripiglia  :  •  il  re   dei   Romani,    ecc.  ••  sino   alla   pag.   187 


(359  dell'apografo  C).  Varianti 

ed.  ult.,  1.  e,  pag.  99:  —  '*  Leuossl  il  campo 
dalla  Cecina  e  si  posò  di  qua  da  Bientina  ap- 
presso alla  scesa  di  Montecchio  ". 
Pag.  101: 

—  ''  Erano  i  Fiorentini  da  ogni  parte  stretti, 
perchè  e'  pisani  in  quello  tempo  feciono  ogni 
sforzo  per  tórre  loro  il  bastione  di  Stagno,  et 
con  artiglierie  e  genti  ul  vennono  ". 


Mss.  —  "  Leuossl  II  campo  dalla  Cecina  et 
andò  doue  dicono  le  lettere  del  primo  di  ". 


—  "  Erano  e  fiorentini  da  ogni  parte  strett 
perchè  e' sanesi  in  quello  tempo  feciono  ogni 
sforzo  per  torre  loro  11  bastione  di  Stagno  e 
con  artiglierie  e  genti  ul  vennono  '*. 


Digitized  by 


Google 


ed.  ult.,  loc.  elt.,  pag.  i04«  Un*  1  e  12:  — 
"  Sette  lettere  di  Francia  **  ecc. 

—  "  Che  si  Intendino  le  condizioni  che  Voi 
{iresti  nella  lega  dal  Vlnlzlanl  et  non  da  Ml- 
tc.no,  perchè  è  un  caso  '*. 


051  APPENDICE. 

—  «  Il  rè  de  Romani  venne  a  Vigevano  »...  —  ...«  che  non  ne  furono 
cacciati  da'  nostri  ».  [a  carte  A  122t-132t,  B  657-695,  C  334-379 

— Seguitano  Memorie  appartenenti  a  Storie  del  i495  scritte  da  N.  Jf . 

Consultum  summarium  di  non  so  quando  1495:^  <  Si  consultò  in 
su  la  chiesta  delFandata  dell' Alfonsina  a  Piero  de' Medici  »...  —  ...<  su 
una  bandiera  di  San  Marco  ». 

[a  carte  A  138<r-i41,  B  693-706,  C  359-365 

La  congettura  che  potesse  trattarsi  di  Pisani  e  non  di  Sanesl,  ti  Indicata  In  margine 
da  Giuliano  de*  Ricci  colle  seguenti  parole:  "  forse  pisani  "  (ms.  A,  pag.  iSi);  ma  il  testo 
del  frammento,  dal  Ricci  medesimo  copiato  a  tergo  dell'  Istesso  foglio,  e  nell'ediz.  stampato 
Immediatamente  in  seguito  al  passaggio  in  questione  in  cui  si  accennano  l  dubbi  che  il  duca 
d'Urbino  "  non  s'accostasse  col  Sanesl  et  venisse  all'Impresa  del  bastione  "  sembra  deci- 
dere la  lezione  certa. 

1  Com'apparlsce  dal  titolo  e  dal  contesto,  questa  è  una  serie  &*  Eitratti  dal  libri  delle 
Consulte  e  Pratiche,  pubblicate  nell'edizione  precitata  a  pag.  190-195  sino  alle  parole  :  •  et 
Il  marchese  si  aiuti  con  lettere  >  (Cf.  Apografo  C,  a  pag.  364).  Varianti  : 

Ms.  —  "  Lette  lettere  di  Francia  "  ecc. 

—  *'  che  si  mtendlno  le  condizioni  che  Vo 
liarestl  nella  lega  da  1  Vlnizlaai  e  non  da  Mi- 
lano perchè  è  un  ca  . .  o  ". 

Dopo  di  che  segue:  ■  3  di  marzo  1495.  Lette  lettere  di  Lucca,  Flvlzzano  et  altri  luoghi. 
Che  a'  Lucchesi  si  renda  la  preda  et  non  si  dia  loro  salvocondotto  di  grani  •.  Quindi  attacca, 
come  alla  pag.  213  dello  stampato  (edlz.  cit.)  >  Addi  24  d'ottobre  1503.  E'  Franzesl  anda- 
rono a  Campo  a  Rocca  Secca  >...  —  ...>  bandiera  di  "San  Marco  •  (pag.  213-214).  In  mcurglne 
alle  parole  :  «  Niccolò  Machiavelli  giunse  a  Roma  et  con  Roano,  poiché  fu  uscito  di  conciavi, 
non  volse  ratificare  la  condotta,  et  di  prima  non  possette*  è  notato:  •  Questa  è  la  condotta 
fatta  dal  Sor  Gian  Pagolo  Baglioni  della  quale  si  fa  menzione  nell'lstruczlone,  data  al  Ma- 
rblavello  da' X.d,  copiata  di  sopra*. 

Avendo  ritrovato  nell'Arch.  di  Stato  in  Firenze  tra  le  Pergamene  di  provenienza  Ricci 
la  condotta  di  cui  è  parola,  crediamo  non  inutile  darla  In  luce  a  questo  luogo: 

In  Dei  nomine  amen. 

Anno  Incamationis  Domlnice  millesimo  qulngenteslmo  tertio,  Indlctlone  septlma,  die 
vero  vigesima  tertla  octobris  secundum  stilum  et  morem  florentlnorum. 

Universls  et  slngulis  hulus  publicl  Instrumentl  seriem  Inspecturls  pateat  evldenter  et 
notum  sit  qaaliter  magnifici  et  generosi  viri 

Dnus  Franclscus  Laurentli  de  Gualterottis 

Nlcolaus  Alexandrl  de  Machiavellis 

Jacobus  Scolai  de  Giacchia 

Philippus  Johannis  Antella 

Dominlcus  Bernardi  de  Mazzlnghis 

Clemens  Clprlani  de  Ser  Nlgls 

Franciscus  Antonll  Taddei 

Sigismundus  Franciscl  de  Martellls 

Petrus  Brunetti  de  Brunettis 

Marcus  Johannis  de  Baroncinls 
Decemviri  Lltwrtatis  et  Balie  Populls  Fiorentini,  simul  adunati  in  Palatlo  Fiorentino,  vide- 
licet  In  auditorio  quod  est  apud  Salam  malorem  dictl  Palatil:  Advertentes  ad  quandam  con- 
ductam  factam  per  Rev.nm  Dominum  Cardlnalem  Volaterranum  de  strenuis  ac  magntflcis  Do^ 
minis  Johannes  Paulo  et  Gentile  de  Baglionlbus  de  Peruslo  sub  die  ziu*  presentis  mensis 
Octobris  vel  alio  veriorl  die,  prò  ut  constat  publico  Instrumento,  manu  Raymundl  de  Ray- 
mundls  Clerici  Cremonensis  Diocesis,  ac  notarli  publici:  cum  promissione  focta  per  dlctum 
Rev.mnm  Dominum  Volaterranum,  quod  dieta  conducta  ratlflcarl  debeat  per  Rempublleam 
Florentlnam:  unde  hodle  prefatl  Magnifici  Domini  Decemviri,  misso  et  celebrato  Inter  eo6 
solemni  scrutinio,  et  obtento  partito  secundum  ordlnamenta,  vlrtute  auctoritatis  ets  concesse 
per  opportuna  Consilia  Popull  Fiorentini,  omnl  mellori  ipodo  quo  potuerunt  et  possunt.  fec«- 
runt,  constltuerunt  et  ordinaverunt  eorum  Syndicum,  Procuratorem  et  nunptium,  egreglum 
virum  Nicolaum  D.nl  Bernardi  de  Machiavellis.  Cancellarlum  et  offlcialem  Secunde  Caneel- 
larle  Popull  Fiorentini,  specialiter  et  nominatlm  ad  ratlficandum  dictam  conductam  vice  et 
nomine  Communis  Florentie,  et  dicti  eorum  oflQcil  et  magistratus,  et  omnia  In  dieta  con- 
ducta contenta,  et  generaliter  ad  omnia  et  singula  alla  faciendum,  dlcendum,  genindum, 
procurandum  et  exercendum  que  in  predictls  et  circa  predieta,  et  qaollbet  vel  altero  predic- 
torum  necessaria  fuerlnt,  utilla,  et  quomodolibet  oportuna,  que  luris  ordo  et  facti  qualltas 
predictorum  postulant  et  requirunt,  et  que  Ipsimet  Decemviri  constltuentes  facere  possent 
si  Interessent:  dantes  et  concedentes  eidem  Nicolao  omnem  auctorltatem,  potestatem  et  Ba- 
liam  quam  habent  a  Populo  Fiorentino,  ac  plenum,  llberum,  speciale  ac  generale  mandatum, 
cum  piena.  Ubera,  spetiali  ac  generali  administratione  in  predictls  omnibus  et  slngulis  et 
circa  predicta  et  quodllbet  predictorum.  Promictentes  Insuper  et  convenientes  dictl  Domini 
constltuentes  modis  et  nominlbus  quibus  sapra,  mihl  Antonio  Notarlo  Inflrascripto,  presenti, 
et  ut  publlce  persone  rite  ac  legiptime  stipulanti  et  recipienti  vice  et  nomine  omnium  et 
slngulorum  quorum  interest,  Intererlt,  aut  poterit  in  futurum  quomodolibet  interesse,  quod 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  6» 

§  XXXT.  Giultan  de*  Ricci  a  chi  legge. 

La  parte  che  seguita  mi  è  parsa  registrarla  nel  modo,  che  sta 
senza  alterarne  niente,  parendomi  che  la  libertà,  et  brevità  del  dire 
accompagnata  da  un  poco  di  licentia)  solita  in  questo  autore,  gli  apporti 
grazia,  scrivendo  egli  questi  giornali  et  ricordi,  come  gli  dettava  la 
fantasia,  senza  metterci  studio  o  usarci  diligenzia  alcuna. 

—  €  Giulio  per  essere  papa  promesse  Roma  et  toma  »...  — ...«  reca- 
pitulossi  seco  ».*  [a  carte  A  29,  B  706-707,  C  365-366 

—  «  Giovan  Pagolo,  con  licenza  di  Roano  assassinata  Roma  »...  — 
...«  con  dire  che  volevano  rendere  le  terre  al  papa  ».* 

[a  carte  A  29t-30,  B  707-711,  C  366-368 

—  <  15  di  Xbre  1503:  «  In  questo  tempo  Ramazzotto  si  insignori  della 
Rocca  di  Imola,  et  dubita  vasi  non  si  volgesse  a'  Veneziani  ». 

—  Li  effetti  della  convenzione  che  si  ha  a  fare  con  Luciano  Gri- 
maldo,  signore  di  Monaco,  sono  questi  cioè,  ecc. 

[a  carte  A  78t,  B  711-713,  C  368-369 

—  Nature  d* uomini  fiorentini:  et  in  che  luoghi  si  possino  inserire 
le  laudi  loro.^  [a  carte  A  82t-83,  B  713-717,  C  368-371 

—  iV.  M.  Sentenze  diversi  :  «  Li  uomini  che  nelle  republiche  ser^ 
vono  alle  arti  meccaniche  »...  —  ...«  et  non  vogliono  ubbidire  ».* 

[a  carte  A  83t,  B  717-719,  C  371-372 

Populus  omnia  Florentinus,  et  Commune  ipsum  Florentie  ratom,  gratum  flrmumque  habebit 
et  tenebit  et  observablt  omne  id  totum  et  qulcquid  per  dlctum  Nicolaum  actum,  factum, 
dictum  gestumque  fuerit  in  premtssis  omnibus  et  singulis  et  quolibet  vel  altero  eorum,  aut 
etiam  quomodolibet  procuratum  ;  et  contra  nullo  modo  facere  vel  venire  per  se  vel  alium  seu 
alios  aliqua  ratione,  iure,  modo  vel  causa,  de  Iure  vel  de  facto,  sub  ypotheca  et  obbliga- 
tione  dicti  populi  et  Communis  Florentie,  et  bonorum  omnium  eiusdem  presentium  et  futu- 
rorum;  et  sub  omni  iuris  et  facti  renuntiatione  ad  hec  nece^ssaria  pariter  et  oportuna:  ro- 
gante» me  Antonium  Notarium  Inflrascriptum  ut  de  predtctls  omnibus  et  singulis  publicum 
conflcerem  Instrumentum. 

Acta  fuerunt  hec  omnia  et  singula  in  Palatio  Fiorentino,  et  in  Auditorio  supraserlpto, 
presentlbus  ibidem  Ser  Augustine  Matthei  de  Vespuccis  de  Terranova,  et  Blaxlo  Bonae- 
cursll  Blaxil  de  Florentia,  testlbus  ad  suprascripta  omnia  et  singula  vocatis,  habitls  et  rogatls. 

(L.  S.)  Ego  Antonius  olim  Johannis  Antonii  della  Valle,  Imperiali  auctoritate  Notarius 
Judexque  ordinarlus  ac  Notarius  publicus,  CIvIs  et  Secretarius  florentinus,  predictls  omnibus 
et  singulis,  dum  sic  agebantur,  interful,  eaque  rogatus  scribere,  scripsi  et  in  hanc  publicam 
formam  redegl,  slgnumque  meum  apposui  consuetum. 

Nos  Priores  Libertatis  et  Vexillifer  Justltie  Populi  Fiorentini,  singulis  atque  unive'rsis 
in  quos  hec  nostre  littere  inoiderint  facimus  fidem  qualiter  suprascriptus  Ser  Antonius  Jo- 
hannis della  Valle  est  publicus  et  autenticus  notarius  et  matriculatus  in  arte  Judlcum  et 
Notariorum  Civltatis  nostre;  eiusque  scrlpturls  in  iudlclo  et  extra  semper  adhibetur,  et  adhi- 
blta  est  piena  atque  Indubitata  fldes:  in  quorum  omnium  fldem  has  nostras  lltteras  fieri 
mandavlmus.  et  nostro  solito  signo  signarl. 

Ex  Palatio  nostro  Die  xxiy  mensis  Octobris  MDiy. 

(L.   S.)  MARCKLLU8. 

1  Cf.  Ediz.  cit.,  pag.  214,  secondo  gli  Autografi  della  Blbl.  Naz.  di  Firenze.  Doc.  M.,  busta  vi, 
e.  25  e  26.  Nell'Apografo  dove  il  testo  reca:  •  laseioati  menare  il  e....  a'Viniziani  <•  è  no- 
tato in  margine  :  aggirare  •  ;  e  dopo  le  parole  ;  •  recapitulosti  ieco  »  mancano  le  seguenti 
che  si  trovano  Immediatamente  seguitare  neiredlzlone :  •  Mandos$i  Piero  d'Oviedo;  intanto 
don  Michele  era  auto  soaligiato  •. 

*  Cf.  ediz.  citata,  pag.  214-217.  A  pag.  215,  l'edizione  reca:  •  Mesier  Nieeolò  Calbo 
venne  a  Firenze,  ecc.  ■  L'apografo  male;  Afesser  Niccolò  Balbo.  A  pag.  216  •  Feceti  la  in- 
coronazione del  papa.  Roano  menò  seco  messer  Filiberto,  oratore  dall'Imperatore  «  — 

L'apografo:  •  Roano  menò   seco (lacuna)   oratore   dello  Imperatore  «  —  a  pag.  217: 

«  eon  dire  che  volevano  restituire  Faenza  al  papa  ■  —  L'Apografo:  •  che  volevano  rendere 
le  terre  al  papa  ■• 

'  V.  ediz.  Camblagi.  voi.  ii,  pag.  81. 

«  Cf.  ediz.  1796,  t.  Ili,  pag.  322-24  (Sentenze  per  Taddletro  Inedite)  —  Da  questa,  tutte  le 
edizioni  In  seguito  co*  medesimi  errori.  Varianti  di  maggior  rilievo  : 


ediz.  ~  «  Essendo  Licinio  accusato  a 
Traiano  di  parricidio,  Traiano  andò  solo  a 
ronvivere  seco,  dipoi  l'altro  giorno  disse  alla 
presenza  di  chi  lo  aveva  accusato  ;  Ieri  Li- 
cinio mi  poteva  uccidere  ». 


cod.  —  •  Essendo  Licinio  accusato  appresso 
rll  Traiano  di  parricidio,  Traiano  andò  solo 
a  convlvare  seco  ;  dipoi  l'altro  giorno  disse 
Illa  presentia  di  chi  lo  aveva  accusato  ecc.  •• 


Digitized  by 


Google 


656  APPENDICE. 

—  X  M.  della  natura  de*  Francesi:  «  Stimano  tanto  Futile  »...  — 
...«  et  navica  per  perduto  ».^  [a  carte  A  35,  B  720-721,  C  372-373 

§  XXXTI.  Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 

Essendomi  capitato  alle  mani  il  proprio  originale  del  discorsa 
fatto  dal  Machiavello  intorno  alle  cose  dell'Imperatore  et  dell' Ale- 
magna,  che  suole  andare  tra  ritratti  delle  cose  dell'Alemagna  di  questo 
autore,  che  per  il  più  vanno  stampati  dreto  al  libro  del  Principe,  et 
avendolo  trovato  molto  diverso  dallo  stampato,  ho  stimato  di  copiarlo 
tutto  come  sta. 

—  N.  M.  «L'imperatore  fece  di  Giugno  1507  la  Dieta  a  Costanza»... 
— ...«  se  ne  ha  qui  più  vera  notizia,  et  miglior  giudizio,  le  lascerò  in- 
drieto  >.«  [a  carte  A  373-.39t,  B  725,  C  377-385 

§  XXXTII.  Giuliano  de* Ricci  a  chi  legge. 

Lo  infrascritto  ò  uno  discorso  fatto  dal  Machiavello  alla  Sig."*  et 
a'  Dieci,  sopra  le  cose  di  Pisa,  che  ne  manca  la  maggior  parte,  et  quello 
che  è  restato,  è  di  maniera  lacero  et  malconcio,  che  mi  é  bisognato 
metterci  molte  parole  per  conjectura,  che  saranno  punteggiate  sotto.  * 

—  N.  M.  —  €  Che  rihavere  Pisa  sia  necessario  »...  — ...«  questi  tempi 
o  no  ».5  [a  carte  A  21t,  B  741-743,  C  385-387 

§  XXXYin.  Giuliano  de'Ricci.  a  chi  legger 

Disegnò  papa  Clemente  avanti  all'anno  1527  fkre  fortificare  la  città 
dì  Firenze,  et  a  questo  effetto,  sebbene  non  ne  segui  poi  conclusione 


—  «  .  . .  mancano  di  es^er  docili  e  non  vr-        —  •  mancano  di  esser   docili   et  non  vo- 
gliono ubbidire,  e  crescono  di  malizia,  e  sce-     gllono  ubbidire  «. 
roano  di  forze  >. 

1  Seguono  fogli  bianchi  In  B  dalla  pag.  72S  alla  784,  in  C  dalla  pag.  374  alla  376. 

*  È  evidente  per  la  nota  premessa  da  Giullan  de'Ricci  ch'egli  intende  qui  parlare  non 
di  quella  breve  scrittura  che  comparve  in  luce  primieramente  nelKedlz.  Camblagi  (ii,  pag. 
167-168)  col  titolo  di  Dìicorso  dì  JV.  Af.  gopra  le  coie  d'Alemagna  e  aopra  Vimperadorc, 
ma. del  Rapporto  e  dei  Ritratti  pubblicati  già  nelle  edlz.  aldine  (1^0-1546)  e  nella  testina 
(1550).  Ora.  le  varianti  che  s'incontrano  fra  il  testo  delle  edizioni  e  quello  dell'apografo  del 
Ricci,  c'inducono  a  credere  che  probabilmente  per  le  stampe  ebbe  ad  essere  usata  una  copia 
dei  Ritratti  delle  cose  di  Francia  e  d'Alemagna^  differente  da  quella,  che  proviene  dal- 
l'Archivio Mediceo  e  si  conserva  ora  nella  Bibl.  Naz.  fior.  (doc.  M.,  busta  vi.  n.  83).  — 
Certo  al  Ricci,  non  riuscendo  possibile  di  spiegare  quel  che  si  avesse  ad  intendere  pel  ■  fk-a 
bianco  >,  parve  meglio  leggere  o  interpretare  «  foglio  bianco  ••:  ma  anche  le  edizioni  con- 
dotte sugli  autografi,  ad  eccezion  dell'ultima,  caddero  sovente  in  Isvarioni  non  meno  risibili. 
Eccone  esempi: 


Apog.  - 
ridire  ". 


credendo  per  avventura  farli 


apog.  —  «  e  forse  gliene  lU  data  intenzione 
da' suoi  mandati,  o  almeno  con  la  forza  di 
tale  assalto  fare  che  l' imperio  raffermassa  ed 
accrescesse  le  sue  provvisioni  •. 

apog.  —  ■  lasciò  quelli  fanti  al  grido  e  sa 
no  ritornò  in  Svevia,  ecc.  ■ 


Ediz.  —  «  pertanto  l'imperatore  scarso  di 
partiti,  senza  perder  più  tempo,  deliberò  assal- 
tarli, credendo  per  avventura  farli  ridere  >. 

ediz.  —  >  e  forse  gliene  fu  dato  intenzione 
da*  suoi  mandati,  o  almeno  con  la  scusa  di 
tale  assalto  fare  che  l' imperio  affermasse  ed 
accrescesse  le  sue  provvisioni  d'aiuto  ••. 

ediz.  —  >  lasciò  quelli  fanti  al  grido  e  so 
ne  tirò  in  su  via  per  Intender  la  mente  del- 
l' imperio  ■. 

i  Fra  le  postille  marginali  dell'autografo  doveva  essere  la  seguente,  ripetuta  nella  copia 
del  Ricci,  ms.  A,  pag.  38:  **  seroe  di  ginestra  pesta  data  a  bere  con  vin  bianco  sera  et  mat- 
tina a  digiuno,  et  orinerai  ,,.  —  Probabilmente  questa  ricetta  ebbe  ad  essere  consigliata  at 
Machiavelli,  nel  suo  viaggio  in  Germania,  quando  infermò,  come  vien  raccontato  a  pag.  433. 

4  Ms.  A:  •  scritte  con  lettere  grandi  ". 

*  Ed.  Camb.,  t.  ii,  pag.  188-1S9,  termina  colle  parole  :  «  sia  per  recuperarsi  «. 

•  In  margine:  «  Fu  fatto  al  principio  dell'anno  1526.  Veggansi  le  lettere  scritte  al  Guic- 
ciardini •  . 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  657 

alcuna,  ci  fu  mandato,  et  si  chiamarono  di  diversi  luoghi  persone  pra- 
tiche et  intendenti  di  simili  fortìficationi,  in  compagnia  di  alcuno 
de' quali  andò  il  Machiavello  per  intendere  la  oppenione  sua  della  quale 
fece  lo  infrascritto  referto  alla  Signoria,  per  ordine  della  quale  scrisse 
poi  la  seguente  lettera  allo  Imbasciatore  che  per  la  republica  stava 
in  Roma  appresso  S.  S.ti  Potrebbe  anco  essere  che  facesse  questo  ra- 
gionamento doppo  che  li  Medici  furono  cacciati,  essendo  il  Machiavello 
vissuto  sino  alla  fine  di  Luglio  1527.*^ 

—  «  Noi  vedemmo  prima,  cominciandoci  da  monte  Uliveto  »...  — ...«  an- 
cora più  gagliarda  quella  parte  ».* 

[a  carte  A  71-73,  B  744-753,  C  387-392 

§  XXXIX.  Giuliano  de*Ricci  a  chi  légge? 

Sommario  delle  cose  della  città  di  Lucca.  €  La  città  di  Lucca  \ 
divisa  in  tre  parti  »...  — ...«  et  ciò  che  in  esso  sia  di  buono  o  di  reo  ».* 

[a  carte  A  80t-82,  B  754-764,  C  392-398 

§  XL.  Giuliano  de'Ricci  a  chi  legge. 

Cercò  sempre  il  Machiavello  con  ogni  suo  potere  giovare  alla  patria 
sua,  et  al  mondo  tutto  non  solamente  con  li  scritti,  ma  ancora  con  le 
operationi,  et  però  considerando  li  progressi,  che  sempre  havevono  fatto 
le  repubbliche  et  li  principati,  che  per  li  tempi  addrieto  sono  stati  co- 
piosi d'armi  proprie  et  non  hanno  nei  loro  bisogni  havuto  a  servirsi  di 
soldati  mercenarii  né  di  armi  forestiere,  operò  con  Piero  Sederini,  et 
con  gli  altri  che  all'hora  reggevano  Firenze  che  si  ordinasse  in  Toscana 
una  militia  appiè,  atta  a  potersi  difendere  da  qual  si  voglia  assalto,  et 
bisognando  anco  a  offendere,  la  quale  cosa  per  industria  sua  hebbe  ef- 
fetto, et  di  poi  conosciuta  di  grande  utile  si  è  sempre  mantenuta. 
Et  essendone  egli  stato  l'autore  et  il  motore,  fd  dato  carico  a  esso  di 
distendere  la  provvisione  di  ordinare  il  magistrato  che  doveva  bavere 
la  cura  di  tal  militia,  di  creare  leggi,  alle  quali  fossero  sottoposti  li 
detti  soldati,  et  ogni  altra  cosa  appartenente  a  questo,  come  per  le 
scritture,  che  qui  di  sotto  copierò,  evidentemente  si  vedrà,  le  quali 
tutte  sono  levate  dalli  originali  scritti  di  propria  mano  del  detto  Ma- 
chiavello. 

—  Promsione  dell'ordinanza.  —  «  Considerato  i  nostri  magnifici 
et  Excelsi  Signori  come  le  republiche  »...  — ...«  come  per  li  altri  ofl!ìtii 
s'observa  ».»  [a  carte  A  63t-67t,  B  765-783,  C  399-409 

1  Com'è  facile  rilevare,  la  tradizione  del  giorno  preciso  e  del  mese  vero  in  cui  N.  M. 
mori  non  era  giunta  schietta  sino  a  Glulian  de*  Ricci. 
'     s  Ed.  Camb.  1782,  t.  ii,  pag.  414-420. 

*  In  A:  »  Seguono  alcune  cOvSe  di  Niccolò  Machiavelli  da  esso  notate  su  certi  straccla- 
fogli  per  servirsene  ad  inserirle  nelli  suoi  discorsi  et  historie  le  quali  io  copierò  al  meglio 
che  potrò,  sendo  molto  lacere  de  uerbo  ad  uerbum,  et  prima  un  sommarlo  delle  cose  della 
città  di  allora*. 

«  Ed.  Camb.  1782,  t.  ii.  pag.  169-176. 

s  II  testo  che  è  dato  nell'Apografo  Giulian  de*  Ricci  varia  In  molte  parti  da  quello  uffi- 
ciale che  è  nell'Archivio  di  Stato,  e  che  fu  pubblicato  prima  nell'edizione  fiorentina  del  1782 
(voi.  II,  pag.  389-403).  e  poi  nelle  altre  edizioni  fin  qui.  Probabilmente  Giulian  de' Ricci  non 
ebbe  a  sua  disposizione  che  una  prima  copia  di  quella  provvisione,  che  il  Machiavelli  poi 

ToMMAsmi  -  Machiavelli.  ^ 


Digitized  by 


Google 


«58  APPENDICE. 

§  XLL  Giuliano  de' Ricci  a  chi  legge. 

Fu  vinta  la  sopradetta  provvisione  addi  sei  di  dicembre  dei  1506; 
et  nel  1510  poi  fu  fatta  altra  sopra  queste  medesime  ordinanze  de'  fanti 
appiedo,  et  aggiuntovi  cinquecento  cavalli,  et  di  questa,  come  di  quella 
ne  fu  motore,  autore  et  consigliatore  il  medesimo  Machiavello,  di  cui 

ordinò  meglio  e  modificò  in  seguito.  Noi  reputiamo  opportuno  di  render  di  pubblica  ragione 
questo  documento  nella  primitiva  sua  forma,  come  6  dato  dall'apografo,  parendoci  che  il  rag- 
guaglio che  1  lettori  potran  fare 'tra  questa  e  quella  che  Niccolò  gli  diede  in  appresso,  sia 
per  non  tornare  disutile  a  chi  voglia  avvisare  in  tutte  le  più  lievi  sfumature  le  transizioni 
del  pensiero  nel  Segretario  fiorentino: 

—  "  CotMÌdanto  i  nostri  Magnifici  et  Excel«i  Signori,  coma  la  repnbiieha  ai  stati  che  par  Io  addietro  si  sono 
mantenuti  et  acereseiutì,  hanno  avuto  par  loro  primo  fondamento  la  JaatiUa  et  le  armi,  per  poaaera  frenare  li  end- 
diti,  et  difendersi  dalli  inimici,  et  eaeendo  la  repnblica  di  Pirenxe  ben  corroborata  per  quelli  ordini,  che  rignardano 
alla  jaitizia,  et  reggendo  delle  armi  al  tutto  mancarla,  et  giudicando  necoMario  provederri,  per  arere  cQnoaeiato 
con  una  lunga  esperienu,  et  con  loro  maxime  spendio  et  periculo,  quanta  poca  speranza  si  possa  bavere  nelle 
•rmi  esterne,  et  maxime  nelle  fanterie,  et  ricordandosi  de'  tardi  acquisti  et  dello  subite  rovine,  che  sotto  il  gt>- 
Temo  di  quelle  ha  sopportato  la  loro  republica  ;  et  conosciuto  come  le  armi  mercenarie,  sa  sono  assai  et  repnt«ta, 
sono  o  insopportabili  o  sospette:  se  poche  et  senza  reputatione,  sono  di  nessuna  utilità,  et  giudicando  per  tutte 
queste  ragioni,  et  per  li  propri  pericoli,  che  sogliono  fare  gli  uomini  pih  cauti,  essere  bene  armarsi  di  armi  pro- 
prie et  delli  uomini  suoi,  de'  quali  in  un  momento  la  loro  repubUca  si  possa  valere  ;  et  li  possa  i^astigare  erraDdo, 
et  premiare  meritando  ;  et  come  questo  i  facile  a  fare,  essendo  il  dominio  fiorentino  poco  et  forte,  pieno  di  nomini 
et  bene  qualificati  ;  et  ricordandosi  con  quanta  infamia  sia  suto  per  lo  addrieto  il  loro  territorio  dal  ▼alentlao, 
da  YitelJono  et  da  Bartolomeo  d'Alviano  corso,  et  con  pochisBlmo  numero  di  homini  predato,  aeci&  che  per  l'av- 
venire non  sia  ad  alcuno  pih  facile  il  farlo  et  che  si  possa  pih  virtuosamente  difendere  la  loro  republiea,  et  tntte 
le  snbstantle  di  quella,  invocato  prima  il  nome  dello  altissimo  Iddio  et  della  sua  gloriosa  Madre  sempre  Tergine, 
ot  del  precursore  di  Cristo  8.  Giovanni  Batista  avvocato  ed  protectore  del  popolo  fiorentino,  provviddono  et  ordinarono. 

"  Che  per  virtii  della  presente  provvisione  et  doppo  la  sua  finale  conclusione,  quanto  prima  fare  si  potrà, 
si  crei  per  il  Consiglio  maggiore  uno  magistrato  di  9  cittadini  fiorentini,  habill  al  Consiglio,  netti  di  speod^o,  et 
di  età  di  anni  40  fomiti  nel  modo  et  forma  et  con  l'autorità  che  di  sotto  si  dirà. 

"  Tragghinsi  dalle  borse,  a  ciò  deputate  X  olectionarii  per  ogni  ofBei%le  ai  harà  a  fare,  cioi  settanta  citta- 
dini per  l'arti  maggiori  et  30  per  le  minori  per  tutta  la  città,  i  quali  ciascuno  per  il  suo  membro,  et  per  tncU  la 
città  nominino  un  cittadino,  quale  a  ciascuno  dì  «ni  parrà  et  piacerà  pure  che  abbia  le  qualità  soprascritte.  Et 
dipoi  li  settanta  nominati  per  la  maggiore  et  li  venti  per  la  minore  vadiano  a  partito  ad  uno  ad  uno  nel  Consi- 
glio maggiore,  et  distintamente  membro  per  membro,  et  tutti  quelli  che  haranno  vinto  il  partito  per  la  metà  delle 
fava  nere,  et  una  piìi  si  imborsino,  ({uelli  della  maggiora  in  una  borsa  et  quelli  della  minore  in  una  altra,  et  dipoi« 
alla  presenza  de' Signori  et  Collegi,  della  borsa  della  maggiore  se  ne  tragga  sette,  et  di  quelli  della  minore  dna, 
li  quali  cosi  tratti  restino  li  nove  cittadini  eletti  In  detto  magistrato.  Et  li  aleetionarii  di  quelli  che  rlmamimo 
in  detto  magistrato  abbino  per  loro  premio  un  duc«to  d'oro  largo  per  ciascheduno. 

"  Debbino  detti  nove  tratti  coma  di  sopra,  fra  dieci  di  dal  dì  della  tratta  loro,  alla  prasentia  de'  Signori  «i 
Collegi,  udito  prima  una  mossa  dello  Spirito  Santo,  giurare  l'offitio  loro  in  quel  modo  che  giurano  i  Dieci  di  li- 
bertà et  pace. 

"  Stieno  tutti  detti  Nove  quattro  mesi  in  detto  magistrato,  dal  dì  che  haranno  giurato;  et  vacando  infra  il 
tampo  alcuno  di  loro,  si  servi  quel  modo  nel  fare  lo  scambio,  che  si  aervt  neU'offltio  de'  Diaci. 

"  Debbasi  quindici  dì  almanco,  avanti  al  fine  di  detti  quattro  meei  imborsare  tutti  a  nove  detti  Offitiali,  U 
sette  della  maggiore  in  una  borsa,  et  li  due  della  minore  in  una  altra,  ot  al  cospetto  de'  Signori  et  Collegi  tram 
tre  della  borsa  deUa  maggiore,  et  uno  della  borsa  della  minore,  i  quali  così  tratti  finischino  l'offitio  loro  al  fine 
dei  quattro  mesi  ;  et  di  poi  tratti  che  saranno  dotti  ofBtiali,  si  faccino  11  scambi  loro  nel  Consiglio  maggiora,  ne* 
modi  detti  di  sopra;  et  quelli  tre  cittadini  della  maggioro,  et  quello  uno  della  minore  che  saranno  tratti,  piglino 
lo  ofBtio  loro  il  dì  dipoi,  che  sarà  fornito  il  tempo  delli  antecessori  loro,  et  con  li  cinque  rimasti  continuino  nel 
magistrato  quattro  alùi  mesi.  Et  avanti  quindici  dì  almeno  al  fine  di  quattro  meei,  si  faccino  nel  modo  sopra- 
scritto li  scambi  di  quelli  cinque  offitiali,.  che  furono  creati  nel  principio  del  magistrato,  et  piglino  gli  scambi  l'of- 
fitio loro  il  dì  dipoi,  che  saranno  fomiti  i  detti  secondi  quattro  mesi;  et  di  quelli  cinque  che  saranno  stati  otto 
meei  in  magistrato  finisca  l'offitio,  et  cosi  sempre  per  lo  avvenire  si  seguiti  di  quattro  mesi  in  quattro  meai,  di 
fare  gli  scambi  nel  modo  soprascritto  di  quelli  offittall  ohe  saranno  stati  otto  mesi  in  magistrato. 

**  Non  possine  concorrere  con  detto  offitio  de'  Nove  gli  excelsi  Signori,  Tenerabili  Collegi,  Spettabili  Dicd  et 
Otto,  et  in  ogni  altra  cosa  si  osservino  quelli  divieti  et  modi  di  rifiutare  che  si  osserva  nel  magistrato  de' Dicci. 
Et  sia  dato  loro  una  andienza  nel  palazzo  de' Signori,  quali  alli  Signori  parrà,  et  il  grado  et  luogo  loro,  quando 
convengono  1  Magistrati  insieme,  sia  »tatim  doppo  l'ufltio  de' Dieci. 

"  Sabbiano  detti  Nove  un  cancellieri,  con  un  coadiutore,  o  piti,  quali  parranno  alli  Bzcelsi  Signori  et  Nova 
offltiall,  o  alli  due  terzi  di  loro  con  quello  salario  et  emolumento  che  giudicheranno  convenirsi,  et  da  pagani  in 
quel  modo  et  da  quello  camarlingo  che  sono  pagati  li  cancellieri  ordinarli  di  Palazzo. 

"  Non  habbino  detti  Nove  salario  alcuno,  ma  solo  quelle  mancie,  che  ha  al  presente  il  magistrato  do'DtacL 
Habbiano  bene  nove  famigli,  un  eomandatore,  un  tavolaecino,  un  provveditore  da  eleggersi,  et  deputarsi  ciascuno 
di  essi,  come  si  eleggono  et  deputano  quelli  che  servono  il  Magistrato  de' Dieci;  non  possendo  darsi  al  provvedi- 
tore pih  che  otto  fiorini  deposti  di  salario  il  mese,  né  possendo  eleggersi  pih  che  per  uno  anno  oontinuo,  dal  quale 
provveditorato  abbia  poi  divieto  tre  anni,  et  così  non  si  possa  dare  a  famigli  pih  che  un  fiorino  d'oro  il  mesa  p«r 
ciascuno;  i  quali  stieno  tanto  al  servitio  di  detto  ofBtio,  quanto  durerà  l'offitio  di  quelli  offltiali,  che  gli  harà 
eletti  ;  le  quali  spese  da  farsi,  come  sopra  si  dice,  insieme  con  quelle  che  oecorressino  per  11  bisogni  del  Magistrato 
loro,  possine  detti  Nove  stantlare  et  pagare  de'  denari  delle  condannogioni  venissino  loro  in  mano,  come  di  sotto 
■i  dirà,  et  mancando  loro  danari,  ne  sieno  provvisti  In  quel  modo,  et  con  quello  ordine,  ohe  al  presenta  ne  à  pro- 
visto l'offitio  de' Dieci. 

"  Il  titolo  di  questo  magistrato  sia  i  Nove  ofBtiali  dell'ordinanza  et  militia  fiorentina,  et  habbiano  per  segno 
nel  loro  suggello  l'imagine  di  San  Oiovan  batista  con  lettere  intagliate  intorno,  significative  di  quale  ofBtio  sia 
detto  suggello.  Habbiano  detti  offltiali  piena  autorità  et  podestà  di  potere  collocare  nelle  terra  et  luoghi  del  con- 
tado et  distretto  di  Firenze  bandiere,  et  sotto  quelle  scrivere  homini  per  militare  appiedi  qualunque  a  loro  parrà 
et  li  descritti  nelle  cose  criminali  solamente  punire,  et  condannare  in  beni  et  in  persona  «tiam  sino  alla  morte 
inel»»iv9,  come  a  loro  parrà  et  piacerà;  salvo  nondimanco  gli  ordini  et  modi  infrasorìpti,  et  le  deliberasiont  loro 
li  debbano  vincere  almeno  per  le  sei  fave  nere.  Debbino  detti  primi  offltiali  subito  che  haranno  giurato  l'offitio* 
li  quaderni  et  listre  delle  bandiere  inaino  a  questo  dì  ordinate  per  li  Signori  Dieci,  et  fare  detti  quaderni  et  listre 
copiare  da  il  loro  Cancelliere  in  su  un  libro  o  pih,  distinguendo  bandiera  per  bandiera  et  facendo  nota  de'con- 
naatabill,  che  le  hanno  in  governo  et  quelli  o  raffermare  o  permutare  o  di  nuovo  eleggerli,  coma  a  loro  parrà; 
aalvo  le  coA  infrascripta,  et  debbino  bavere  saldi  detti  quaderni  e  listre  tn  dna  mesi,  dal  dì  che  haranno  proso 
l'ufizio  loro.  Et  similmente  debbino  tenere  conto  et  scrivere  in  su  I  libri  distintamente  di  tutti  11  uomini  et  ban< 
diere  che  di  nuovo  scriveranno.  Debbino  tenere  sempre  scritti,  armati  et  ordinati  sotto  le  bandiere  et  al  govMOO 
dai  conneataboli,  che  li  eaercitino  et  raaaognino  fra  nel  contado  et  distretto  di  Firenze  dlael  mila  huomlai  almeno 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  Go'd 

mano  sono  tutti  questi  originali  et  di  questa  seconda  provvisione  non 
registrerò  se  non  il  principio: 

—  Considerato  li  nostri  Mag.c»  et  Exc.»»  Signori  »...  — ...«  et  fermezza 
allo  stato  loro.  Però....  »  : 

[a  carte  A  67t,  B  784,  C  410 

et  qodlo  più  che  loro  crederuino  pouere  tenere  ermati,  Mcondo  l'ebbandantia  o  mancamento  dell!  hnomini,  non 
peeeendo  eeilTere  sotto  una  bandiera,  m  non  hnomini  natii  ottoto  stantiali  in  quella  podesteria  o  capitanato,  dove 
sia  collocata  detta  bandiera.  Et  debbino  detti  primi  offltiali  bavere  adempiuto  il  numero  di  dieci  mila  infra  mÌ 
mesi  dal  Si  che  haranno  giurato  l'oflltio  loro.  Debbino  sempre  tenere  nella  mnnitione  del  palano  de' Signori  oltre 
alle  srmi,  che  saranno  delli  detcripti,  almeno  due  mila  petti  di  ferro,  cinquecento  scoppietti  et  quattro  mila  lanee; 
et  quelli  dapari  che  blsognaseono  per  li  sooppietti  et  per  fare  bandiere,  debba  et  sia  obbligato  il  Camarlingo  del 
monte  per  i 'tempi  esistenti  pagarli  a  qualunque  per  il  loro  offltio  saranno  stantiati,  sotto  pena  di  cinquanta  du- 
cati qualunque  Tolta  non  li  pagasse,  essendo  diliberati  prima  et  sottoscritti  detti  stantiamenti  delli  offltiali  del 
monte  per  loro  partito,  secondo  la  consuetudine. 

'  Debbano  i  detti  ufBtiali  fare  dipignere  in  ogni  bandiera  da  farsi  uno  lione  solamente,  et  del  colore  natu- 
rale,  in  quel  modo  che  al  presente  sta  in  quelle  deputate  per  ordine  de'  Dieci.  Né  possine  m  dette  bandiere,  coet 
fatte  come  da  farsi,  dipignere  né  altra  Aera  ne  altra  arme  o  segno  fnora  dì  detto  lione.  Debbine  solamente  in  ogni 
bandiera  descrivere  quel  numero  li  toecherà  dalla  sua  creatione,  come  è  atto  fino  a  qui.  Debbino  variarle  con  i 
campi,  acciò  che  gli  uomini  che  militino  sotto  quelle  le  riconosehino.  Possino  detti  Offltiali  per  scrivere  huominl, 
come  di  sopra  h  detto,  et  per  rassegnare  et  rivedere  le  mostre,  nel  modo  che  si  dirà  di  setto,  mandare  fiiori  et 
eleggere  loro  Commessarìi  con  salario  al  più  d'  uno  ducato  d'oro  il  dì,  da  pagarsi  nel  modo  che  si  pagano  gli  altri 
Commissarii,  che  si  eleggono  nel  Consiglio  delli  Ottanta,  né  possino  mandarli  fuori  per  più  tempo  che  per  un  mese  ; 
né  haveme  mai  fuora  più  che  tre  per  volta,  a'  quali  Commissarii  possino  dare  quella  medesima  autorità  di  punire 
gli  descritti  in  perdona  solamente  quando  errassono,  ohe  ha  il  Magistrato  loro  ;  et  le  pene  peevniarie  sieno  in  tutto 
riservate  a  detti  Offitiali.  Debbino  tenere  sempre  eonnestaboli  che  rassegnino  tutti  li  huomini  descrìpti,  et  gli  exer- 
citino  secondo  la  militia  et  ordine  de'  Tedeschi,  dando  a  ciascuno  connestabole  in  governo  quelle  bandiere  che 
parrà  loro  conveniente,  non  possendo  dare  ad  alcuno  connestabole  in  governo  manco  di  trecento  huomini  ;  né  pos- 
sino dare  ad  alcuno  connestabole  per  provrisione  più  di  ducati  dodici  d'oro  il  mese,  intendendosi  il  mese  di  80 
di,  con  obbligo  di  tenere  un  tamburino,  che  suoni  al  modo  delli  oltramontani.  Et  debbino  detti  eommestaboli  es- 
sere eletti  da  il  loro  Magistrato  et  confermati  dalli  ezoelsi  Signori,  Venerabili  Collegi  ,et  Consiglio  delli  Ottanta 
in  sufficiente  numero  ragunati,  et  basti  di  ottenere  il  partito  per  la  metà  dello  fave  nere  et  una  più  di  detti  così 
ragnnati,  et  la  provisione  loro  si  paghi  in  quel  modo  si  pagono  gli  altri  soldati  della  repubblica  di  Firenxe,  pre- 
«sdendo  prima  la  deliberaaione  del  loro  Magistrato,  et  sia  obbligato  qualunque  di  detti  eonnestaboli  stare  conti- 
nuamente in  su  luoghi  appresso  le  sue  bandiere,  et  ragunare  gli  huomini  rhe  egli  ha  il  governo  ogni  mese  una 
Tolta,  da  marzo  ineluait*»  ad  septembre,  et  da  ootobre  al  febbraio  inelwtire,  tre  volte  in  tutto,  in  quelli  dì  di 
festa  comandati,  che  delibereranno  detti  Nove,  et  quelli  tutto  il  giorno  tenore'  nelli  ordini  et  in  ezereitie,  et  di- 
poi rassegnare  huomo  per  huomo,  et  dare  notitia  delli  absenti  al  loro  offltio  per  punirli,  come  di  sotto  si  dirà. 

*  Et  in  quelli  giorni  di  festa  che  non  11  ragunerà  insieme,  debba  ciascuno  di  detti  Connestabili  con  l'aiuto 
del  Magistrato  de'  Nove,  commune  per  commune,  o  popolo  per  popolo  fare  loro  fare  qualche  ezereitie  militare,  come 
sarà  giudicato  convenirsi  ;  et  il  Connestabole  sia  obbligato  cavalcare  su  per  li  luoghi   et  rivedere  detti  ezercitli. 

"  Non  si  possa  eleggere  per  Connestabole  o  per  Governatore  di  dette  bandiere,  come  di  sopra  ai  dispone,  al- 
cuno che  sia  natio  di  quel  vicariata,  capitanato  o  podesteria,  donde  foesono  gli  huomini,  che  gli  haveasero  a  essere 
dati  in  governo,  o  che  In  detto  luogo  o  luoghi  bevessi  case  o  possessioni.  Debbino  detti  OffiUali  ogni  anno  in  ea- 
lende  di  novembre,  pigliando  ancora  venti  di  innanii  e  venti  dì  poi,  permutare  tutti  i  Connestabili,  facendo  a  tutti 
mutare  governo  di  bandiera  et  proTincia,  come  a  loro  parrà  et  piacerà.  Et  habbia  divieto  un  connestabole  permu- 
tato due  anni  da  poter  governare  quelle  bandiere,  le  quali  havea  governato  prima,  et  solamente  la  electione  nuova 
de' nuovi  eonnestaboli  debba  essere  approvata  nel  Consiglio  delli  Ottanta,  come  di  sopra  si  dispone,  et  non  altra. 

*  <)nelli  eonnestaboli  che  per  alcuna  cagione  per  alnin  tempo  fossero  cassi  da  detti  Offitiali  non  possine  infra 
tre  anni  dai  di  che  fieno  cassi  militare  in  alcun  luogo  della  republica  di  Firenze.  Debbino  ancora  detti  Offltiali  in 
calendi  di  novembre  et  intra  venti  di  innanzi  et  venti  di  dipoi  rivedere  tutti  li  quaderni  delli  huomini  deeeripti 
et  cancellarne,  et  di  nuovo  riscriverne  in  augmento  et  corroborati one,  et  non  altrimenti,  cancellando  quelli  che 
per  cagioni  legittime  fessone  diventati  inutili,  et  scrivendo  delli  utili;  et  passato  detto  tempo  non  possino  alno- 
mero  delli  descrìpti  né  aggiungere  né  levare  alcuno,  et  le  bandiere  che  fra  lo  anno,  f^orì  del  tempo  detto,  di  nuovo 
ai  serivessino,  si  debbino  saldare  et  fermare  in  termine  di  un  mese,  dal  di  che  haranno  fatto  la  prima  mostra,  tr% 
il  qual  tempo  sia  lecito  cassarne  et  di  nuovo  seriveme;  ma  passato  detto  tempo  non  si  possa  scrivere  né  cassare, 
se  non  al  tempo  che  di  sopra  si  dispone,  salvo  nondimeno  le  cose  infrascritte. 

"  Debbino  ad  ogni  connestabole  eleggere  un  Cancelliere,  che  tenga  conto  dell!  huomini  scritti  sotto  di  lui,  et 
che  sia  natio  di  quelli  luoghi  che  bara  in  governo  detto  Connestabole.  et  da  tutte  le  podesterie  et  luoghi  che  sa» 
ranno  sotto  un  medesimo  connestabole  li  sia  dato  per  suo  salario  nn  ducato  d'oro  il  mese,  tale  che  non  gli  tocchi 
l'anno  più  che  dodici  ducati  d'oro  di  salario.  Debbino  in  ogni  compagnia  descritta  sotto  una  medesima  bandiera 
deputare  capi  di  squadra,  pigliando  quelli  che  giudicheranno  di  miglior  qualità  et  in  quel  modo  che  a  detti  Offl- 
tio parrà,  non  potendo  però  deputare  più  che  dieci  caporali  per  ogni  cento  huomini  deseripti,  come  di  sopra  si  dice. 

'  Debbino  detti  Offlziali  per  rìnovare  gli  huomini  del  Contado  et  distretto  loro  ordinare  che  tutti  i  rectori 
de' popoli  et  sindachi  particolari  de' Comuni,  e  ehi  sotto  altro  nome  bevesse  simile  offltio,  portino  ogni  anno  in 
calendi  di  novembre  sì  magistrato  loro  le  listre  di  tutti  li  huomini,  che  habitano  nei  popolo  o  commune  loro,  che 
siano  d'età  d'anni  quindici  o  più,  sotto  pena  di  due  tratti  di  fiine  almeno,  da  darsi  a  quel  Sindaco  o  a  quel  rectore 
che  ne  avesse  lasciato  alcuno  inasto,  et  di  più  sotto  quella  pena  pecuniaria  che  al  Magistrato  loro  parrà. 

"  Et  per  poter  meglio  evitare  le  fraudi,  debbino  tenere  in  ogni  pieve  o  altra  chiesa  simile  principale,  di 
quelli  luoghi  dove  saranno  huomini  descrìpti  o  dove  di  nuovo  ne  vplessino  scrivere,  uno  tamburo,  il  quale  si  apra 
ogni  dua  mesi  almeno,  per  chi  parrà  a  detti  Offltiali,  et  quelli  vi  fossero  trovati  notificati  possino  essere  scritti 
subito  »tiam  fuori  del  tempo  sopraddetto  di  ealende  di  novembre.  Non  possino  fare  trarre  di  nuovo  et  scriversi 
alcuno  che  passi  la  età  di  cinquanta  anni,  se  non  in  caso  di  necessità;  né  possino  dolll  seripti  fonare  a  militare 
alcuno,  quando  harà  passata  l'età  di  sessanta  anni,  se  non  in  caso  di  necessità,  essendo  questo  caso  di  necessità 
giudicato  per  partito  delli  Ezcelsi  Signori,  spettabili  Collegi  et  per  li  duo  terzi  di  loro.  Et  perché  della  maggior 
parte  di  questi  uomini  non  si  può  trovare  il  tempo  appunto,  sia  rimesso  tale  giuditio  nella  coseientia  et  discre- 
zione di  tali  Offltiali.  Et  quando  alcuno  fosse  scritto  et  che  li  paresse  che  alla  qualità  sua  non  si  convenissi  mi- 
litare a  piedi,  o  gliene  paresse  bavere  altre  giuste  cagioni,  abbia  tempo  un  mese,  dal  dì  ohe  sarà  scritto  a  ricor- 
rere a' piedi  de' Signori  et  Collegi,  et  essendo  approvato  il  suo  ricorso  per  li  duo  terzi  di  loro,  o  più  infra  detto 
mese,  non  possa  di  poi  essere  forzato  né  deecritto  per  soldato  appiè  :  non  potendo  però  andare  a  partito  f^  detto 
tempo  più  che  un  di  et  tre  volte,  avendo  ad  essere  prima  accettato  detto  ricono  per  li  nostri  Ezoelsi  Signori,  si 
per  li  duo  toni  di  loro;  et  quelli  di  chi  sarà  accettato  tal  rieono  non  poesino  militare  con  alcuno  né  per  alcun 
tempo  senza  lieentia  delli  Ezcelsi  Signori,  sotto  pena  del  bando  del  capo  a  ehi  contralTacesse.  Debbino  detti  Offl- 
tiali  mantenere  gli  huomini  descritti  con  le  infrascritte  armi,  cioè  tutti,  per  difesa,  almeno  nn  petto  di  ferro,  et 
per  offesa,  in  ogni  cento  fanti  sia  settanta  lanee  almeno  et  dieci  scoppietti,  et  il  restante  possino  portare  bale- 
stre, spiedi,  rotelle,  targoni  et  spade,  come  meglio  parrà  loro.  Possino  nondimanco  ordinare  tre  o  quattro  bandiere 
al  più,  tutte  di  scoppiottieri.  Debbino  ogni  anno  due  volte,  runa  del  mese  di  febbraio,  l'altra  del  mese  di  settembre» 


Digitized  by 


Google 


660  APPENDICE. 

Essendosi  trovata  nel  fine  del  Codice  in  cui  si  contengono  le  men- 
tovate due  provvisioni  la  seguente  ordinazione,  la  quale  sembra  anzi 
che  no  una  continuazione  della  provvisione  antecedentCì  si  è  giudicato 
convenevole  riporla  in  questo  luogo: 

In  quale  dei  detti  me«i  loro  parrà,  fare  mostre  groaee  di  latte  le  loro  bandiere  in  qnoUi  et  qoanti  luoghi  per  il 
dominio  fiorentino,  «ara  per  loro  deliberato,  non  poesendo  raccozzare  per  mostra  nella  proTincia  di  Toscana  meno 
di  sei  bandiere;  et  debbino  ordinare  ehe  al  luogo  deputato  della  mostra  venghino  gli  uomini  un  di  et  partinsi 
l'altro,  et  a  ciascuna  di  dette  mostre  debba  interrenire  o  loro  Cancelliere  o  loro  Commessario  o  Rettore  de' luoghi» 
a  chi  fosse  dal  loro  Magistrato  commesso.  Il  quale  Commessario  o  deputato,  come  di  sopra,  debba  la  mattina  •«• 
guente,  che  saranno  il  d\  d'avanti  eonvenuti  insieme,  fare  dire  una  messa  solenne  dello  Spirito  Santo,  in  luogo 
che  tutti  i  radunati  l'odino.  Dipoi  la  messa,  il  Deputato  debba  fare  loro  quelle  parole  ehe  in  simile  cerimonia  al 
convengono  ;  di  poi  leggere  loro  quanto  per  loro  si  debba  osservare,  et  dame  loro  solenne  giuramento,  facendo  ad 
uno  ad  uno  toccare  11  libro  de'  Santi  Evangeli.  Et  debbo  leggere  loro,  avanti  il  giuramento,  tutte  quelle  pene  ca- 
pitali, a  che  sono  sottoposti,  «et  di  piìi  leggere  loro  quelli  ammonimenti,  che  saranno  ordinati  da  detti  Offltiali  in 
eonservatione  ot  firmamento  della  unione  et  fede  loro,  aggravando  il  giuramento  con  quelle  parole  obbligatorie 
dell'anima  et  del  corpo,  che  più  si  potranno  trovare  efficaci  ;  et  fatto  questo  si  licentlino,  che  ciascuno  si  ritorni 
alle  case  loro. 

"  Non  poesino  detti  Offitial!  comandare  a  tutte  o  parte  di  dette  bandiere,  o  haomini  descritti  sotto  quella, 
o  ad  alcuno  di  e«ei,  cosa  che  riguardi  ad  alcuna  facilone  di  guerra  o  altra  cosa,  che  con  armi  da  loro  si  haveese 
ad  operare,  fuori  dello  cose  soprascritte.  Ma  sia  riservato  il  comandare  loro  nella  guerra  et  in  ogni  altra  fattione 
alli  spettabili  Dieci  di  libertà  et  pace  :  et  lo  stipendio  et  presso  loro  con  che  si  habbino  a  pagare  operandoli,  n« 
Ita  riservata  l'autorità  a  quelli  Magistrati,  che  inaino  a  qui  hanno  ordinato  li  pagamenti  delli  altri  soldati  appiè 
del  Commune  di  Firenze.  (Questo  inteso,  che  si  debbino  pagare  huomo  per  hnomo  et  non  aluimenti.  Et  di  tutti 
quelli  privilegi i,  ezcmptioni.  immanità,  honorl  et  benefitii  et  di  qualunque  altro  premio  extraordinario  che  ai 
havessino  'a  darò  a  questi  descritti,  o  per  conlrappesare  alla  servita  ehe  gli  hanno  per  essere  deseripti,  o  per  re- 
munerarli di  alcuna  operatione  che  facessino  in  benefitio  pubblico,  così  tutta  una  bandiera  in  comune,  come  in 
particolare  qualunque  huomo  descritto  o  eonneetabole  di  esse,  se  ne  intenda  et  sia  data  autorità  alli  ExceUi  Si* 
gnorì,  Venerabili  Collegi,  Magnifici  Dieci  et  SpetUbili  Nove,  et,  non  essendo  Dieci,  alli  Spettabili  Otto,  et  alli  dn» 
terzi  di  detti  Magistrati  insieme  in  sufficiente  numero  raipinati.  innesto  inteso,  che  per  alcuno  privilegio  non  si 
possa  loro  concedere  auctorità  di  portare  arme  dentro  alla  città  di  Firenze. 

"  Debbasi  adoperare  nella  glierra  al  in  ogni  facilone  dove  si  adoperaasono  questi  descritti  quelli  medesimi 
connestaboli  suti  deputati  per  capi  dell'ordinanza  dalli  Nove  offitiali  ;  i  quali  connestaboli,  *Ham  quando  fossero 
in  facilone  et  in  guerra  si  debbino  permutare  nel  tempo  et  nel  modo  soprascritto.  Poasino  non  di  meno  gli  spet- 
tabili Dieci  ordinare  et  eleggere  capi  di  Colonnelli  come  a  loro  parrà,  i  quali  Capi  non  abbino  divieto  alcuno  ;  ma 
possine  stare  quanto  dura  il  tempo  della  facilone  a  che  saranno  proposti,  o  come  a  dello  Magistrato  de'  Dieci  parrà. 

"  Non  si  possa  ammettere  nà  accettare  scambio  di  alcuno  descritto  o  in  su  le  mostre  o  in  alcuna  farli on«. 
Non  si  poasino  o  lutti  o  parte  di  questi  descritti  come  sopra,  o  con  le  loro  bandiere  o  senza,  da  alcuno  Magistrato 
levare  con  le  armi  dalle  case  loro  per  mandarli  a  fare  alcuna  facilone  di  guerra,  o  ad  alcuna  impresa  senza  il 
partito  delli  Excelsl  Signori  Tenerabili  Collegi,  et  Consiglio  delli  Ottanta;  poesendo  ragunarsi  in  dello  Consiglio 
per  dello  effetto,  o  per  qualunque  altra  deliberatione,  che  per  virtù  della  presente  provisione  s'  havesse  a  fare  in 
dello  Consiglio  delli  Ottanta,  eliandio  11  Magistrato  de' Nove.  Et  basii  vinoere  il  partito  per  la  metà  delle  fare 
nere  et  una  più,  di  tulli  i  predetti  in  sufficiente  numero  ragnnati. 

"  Delle  cose  criminali  che  nasceronno  fra  i  detti  deocrilli,  o  f^a  loro  et  altri  non  deseripti,  quando  loro  non 
fossero  In  facilone  di  guerra,  ne  possano  conoscere  et  punire  i  delti  Nove  «ffittali,  et  qualunque  altro  Magistrato, 
redora  et  Offitiale  che  ne  avesse  autorità,  avendo  luogo  fra  loro  la  prevenxione.  Ma  quando  fossono  in  fadione 
di  guerra,  ne  conoschino  quelli  che  possano  punire  li  altri  soldati,  et  se  pure  durante  tale  faetione  il  loro  delitto 
non  fosse  stalo  punito,  ne  possine  essere  puniti  da'  detti  Nove  Offitiali,  et  da  qualunque  altro  Magistrato  ne  aveese 
autorità,  avendo  fra  loro  luogo  la  provenlione  come  sopra.  Debbasi  punire  di  pena  capitale  et  di  morte  qualunque 
di  delli  de«crilti  fosse  capo  o  principio  nello  faciloni  di  guerra  d'abbandonare  la  bandiera,  et  qualunque  capitano 
di  bandiera  che  traesse  fuori  tale  bandiera  per  alcuna  facilone  privata  o  per  conto  di  alcun  privato  ;  et  qualunque 
«tiam  senza  bandiera  facesse  ragunata  alcuna  di  delli  deseripti  per  conto  di  inimieitie  o  per  conto  di  tenute  di 
beni  o  allnroenli.  in  alcuno  modo  per  alcuna  facilone  privata,  dovendosi  etiandio  con  simil  pena  capitale  o  di 
morte  punire  insino  in  tre  di  delli  deseripti  che  in  tali  ragunato  si  Irovassono.  Et  quando  di  delli  o  altri  exceasl 
ne  fosse  falla  alcuna  querela  o  alcuna  noliflealione  a  detti  Nove  Offitiali,  le  quali  il  loro  Cancelliere  sia  tenuto 
registrare  nel  di  che  le  svanno  date,  debbino  haverla  delli  Ufflliali  giudicata  infra  xx  di  dal  di  della  data  sua. 
Et  pasflAlo  detto  tempo  senza  esseme  dato  judilio,  il  loro  Cancelliere  infra  vtn  di  doppo  delti  xx  immtdiat* 
seguenti,  la  debba  notificare  a'  nostri  Excelsl  Signori  per  metterli  in  Quarantla,  secondo  si  osserva  nelle  caos* 
criminali  delli  Otto  et  de' Conservadori,  et  di  poi  se  ne  debba  seguire  quello  che  per  la  legge  della  qnaraniia  il 
dispone.  Et  il  Cancelliere  che  contraffacesse  si  intende  sottoposto  a  quelle  pene  ehe  in  detta  legge  si  contengono. 
Et  perchè  il  faro  severa  juslitia  ^e'  prodetti  et  simili  exceasi  è  al  tulio  la  vita  et  l'anima  di  questo  ordine,  accioc- 
ché più  facilmente  simili  delitti  po««ano  loro  essere  notificali,  debbano  appiccare  tamburi  in  tutti  que'  luoghi  dentro 
alla  città  di  Firenze,  dove  li  tengano  il  Magistrato  delli  Otto  et  de'  Conservadori  di  legge.  (Qualunque  delli  scritti 
come  di  sopra  non  comparirà  alle  mostro  ordinate  nel  modo  soprascritto,  si  intenda,  ogni  volta  ehe  sarà  trovato 
absente  senza  legittima  cagione,  condannalo  in  soldi  venti.  Et  essendo  un  medesimo  trovato  assente  sei  volte  in 
nn  anno,  cominciando  l'anno  il  di  di  ealende  di  novembre,  diventi  il  peccato  suo  criminale,  et  sia  gasligato  In 
penona,  ad  arbitrio  de'  Nove  Offitiali,  et  nondimaneo  debba  pagare  quello  in  che  lo  condanna  il  non  si  rewcra 
trovato  alla  rassegna.  Et  le  legittime  cagioni  dell'absenlia  siano  quando  sono  malatf,  o  quando  fossono  absenti  con 
licenzia  de'  Nove  offitiali.  Et  tulle  dette  condannagioni  et  qualunque  altra  detti  Offltiali  facessino,  poseino  appli- 
care al  loro  Magistrato  per  le  spese  ordinarie  di  esso,  et  ad  ogni  provveditore  del  loro  Magistrato,  nel  fine  dd- 
l'offitio  suo,  ne  sia  riveduto  il  conto  da' Sindachi  del  Monte;  et  avanzandogli  in  mano,  rimetta  tutto  al  Camar- 
lingo del  Monte. 

"  Et  perchè  questi  nomini  annali  et  scripti  habbino  eafione  di  ubbidire,  et  chi  li  ha  a  punire  possa,  si  proT- 
Tede  che  per  lo  avvenire  si  tenga  continuamente  un  Capitano  di  guardia  del  Contado  et  distretto  di  Firenze  et 
■e  li  dia  almeno  trenta  balestrieri  a  cavallo  et  cinquanta  provigionati,  il  quale  debba  obbedire  alli  Nove  ofBUali 
per  conto  di  detta  ordinanza,  ot  ad  ogni  altro  Magistrato  et  Commessario,  ehe  poteese  comandare  alli  altri  soldati 
delia  republicn  di  Firenze. 

"  Nà  si  possa  eleggere  per  detto  capitano  alcuno  della  città,  contado  ot  distretto  di  Firenze  né  di  terra  |fro- 
pinqua  al  dominio  fiorentino  quaranta  miglia.  Siene  tenuti  et  debbino  delti  Nove  offltiali  osservare  quanto  in 
questa  provisione  si  contiene,  sotto  pena,  qualunque  volta  contraffacessero,  di  venticinque  ducati  d'oro  per  eia- 
•cune  et  per  ciascuna  volta  conlraffacessino  ;  et  ne  siano  sottoposti  a'  Conservadori  di-  legge  ;  et  perchè  non  poe- 
sino allegare  ignoranlia,  sia  tenuto  il  loro  Cancelliere  capitolare  la  presente  legge  in  brievi  effetti,  et  in  un  li- 
bretto tenerla  continuamente  nella  audienza  loro,  sotto  pena  di  essere  ammonito  non  Io  faccende,  et  condannato 
In  cinquanta  ducati  d'oro,  et  ne  sia  sottopoeto  a'  Conservadori  di  legge. 

'  Di  tutte  le  deliberalioni,  ehe  per  virtù  di  questa  legge  si  havessino  a  fare  alla  pretentla  de' Signori  eoli, 
o  con  altri,  ne  sia  rogato  11  primo  Cancelliere  do'  Signori  ;  eccello  di  quelle  ehe  si  avessero  a  rogare  nel  Consiglio 
delli  Ottanta  o  Consiglio  Maggiore,  delle  qnali  sia  rogalo  il  Cancelliere  delle  tratte,  come  per  gli  altri  OCBii  ei 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  661 

—  «  Che  al  magistrato  delli  spettabili  Nove  »...  — ..  «  dal  di  della  data 
querela  o  notificazio;ie  >.*  [a  carte  A ,«  B  784-798,  C  410-418 

§  XLU.  Giuliano  de*Ricci  a  chi  legge. 

Mandaronsi  bandi  fbori  per  tutto  il  contado  et  dominio  sì  per  la 
prima  come  per  la  seconda  provisione  a  fare  notificare  et  bandire  le 
dette  determinationi,  quali  bandi  furono  fatti  dal  Machiavello,  come  si 
può  vedere  per  alcuno  che  ancora  ne  resta  in  essere.  Et  li  che  segui- 
tano sono  due  discorsi  fatti  dal  detto  in  materia  di  dette  ordinanze  o 
loro  capitani;  al  primo  de'quali  manca  la  maggiore  parte  nel  principio, 
et  quello  poco  che  resta  è  tutto  pieno  di  stracci  et  di  rosure  di  topi, 
che  alcune  ne  lascerò  in  bianco,  et  quelle  che  io  acconcerò  per  con- 
iectura  le  scriverò  di  lettere  maiuscole.  ^ 

—  «  Gli  huomini  si  travagliano  volentieri  nelle  cose  »...  — ...«  a  non 
volere  stare,  con  il  più  tristo  facchino  che  vesta  armi  in  Italia  ».'* 

[a  carte  A  68,  B  799-800,  C  419 

§  XLIIL  Giuliano  de*  Ricci. 

Seguita  un  discorso  fatto  dal  Machiavello  a  chi  reggeva  in  quei 

1  Manca  in  A  tanto  questa  parte  ultima  delPannotAzIone  del  Ricci,  quanto  11  documento  che 
segue,  la  cui  lezione  in  B  e  In  C  offre  parimenti  non  poche  varianti  dal  testo  pubblicato;  più 
relative  all'ordine  che  alla  qualità  de'  pensieri.  Tra  quelle  che  non  sono  di  pura  forma  accen- 
niamo le  seguenti.  Dopo  aver  determinato  che  debbansl  descrivere  cinquecento  cavalli  leggeri, 
si  aggiunge  nell'Apografo:  «et  debbino  detti  spettabili  Nove  avere  deputato  e  descritto  il 
numero  insìno  in  150  almeno,  come  di  sopra,  dai  di  della  finale  conclusione  di  questa  a  tutto 
l'anno  1518  prossimo  futuro  «.  E  poco  più  oltre:  «cominciando  l'anno  In  calende  di  novembre 
prossimo  futuro  •,  mentre  l'edizione  reca:  •  cominciando  l'anno  il  di  immediate  seguente  dopo 
la  immediata  conclusione  di  questa  •.  Nella  Provvisione  a  stampa  se  il  provveditore  del 
Nove  non  tiene  diligente  conto  delle  paghe  -de 'descritti,  oltre  l'ammenda  di  cinquanta  fiorini 
d'oro  in  oro,  che  gli  è  comminata,  è  anche  •  ammonito  da  ogni  ufficio  del  comune  opel  co- 
mune di  Firenze  >.  Negli  Apograjl:  •  è  ammonito  per  cinque  anni  da  ogni  offltio  <•.  Mo- 
rendo alcuno  dei  descritti  nell'ordinanza  de'cavalli  in  fazione  di  guerra,  l'erede  di  lui  non  è 
tenuto  a  nulla;  ma  se  muore  fuor  di  fazione,  secondo  gli  Apografi,  l  beni  son  vincolati  e  gli 
eredi  di  lui  son  tenuti  >  a  restituire  tutto  quello  e  quanto  di  che  e'fussi  o  restassi  debitore 
por  conto  della  presta  piamente  <•.  Nell'ediz.  debbono  i  beni  e  gli  eredi  ri>^jonderc  della 
prestanza,  ma  possono  anche  sostituire  subito  uno  scambio,  ••  quale  al  detto  magistrato  parrà 
e  piacerà  >.  —  Se  alcun  descritto  presta  per  più  di  duo  giorni  il  suo  cji vallo,  secondo  il 
ti'sto  degli  Apografi  è  punito  in  due  fiorini  larghi  d'oro  chi  lo  dà,  e  in  dieci  chi  k>  accetta. 
Secondo  l'edizioni,  pel  primo  si  stabilisce  un  fiorino  d'ammenda  e  quattro  pel  secondo.  Pa^ 
rimente,  mentre  nella  Provvisione  a  stampa  si  rimette  ne' Nove  lo  stabilire  pe' condottieri 
•  quel  salario  che  parrà  loro  conveniente  »,  gli  Apografi  indicano  che  11  salario  e  soldo  pei 
medesimi  >  non  possa  eccedere  la  somma  di  fiorini  300  larghi  d'oro,  e  che  quella  de' trom- 
betti non  superi  1  fiorini  50  larghi  d'oro  In  oro  ».  —  Secondo  1  medesimi  Apografi,  la  descri- 
zione si  debbe  fare  ogni  quattro  anni  in  quattro  mesi,  cioè  dal  primo  di  novembre  a  tutto 
il  mese  di  febbraio.  L'edizioni  anno:  •>  ogni  tre  anni  in  tre  mesi  ». 

•  Manca. 

■  Cosi  in  A.  —  In  B  e  C:  "con  punteggiarle  sotto  ". 

*  Tale  è  l' importanza  delle  Idee  espresse  dal  M.  in  questi  Frammenti  che  non  ci  sembra 
inutile  recarli  a  conoscenza  del  lettore,  tanto  più  ch'es.si  valgono  a  comprova  di  quanto  fU 
espasto  da  noi  nell'Opera,  segnatamente  al  capo  iv,  lib.  ii,  pag.  373  e  segg.  :  "  Li  Huomini 
si  trauagliano  volentieri  nelle  cose,  et  maxime  in  quelle  doue  si  veggono  essere  riguardati  et 

stimati,  come  sarebbe  questa.  La  militta  a  cavallo  la per  l'ordinarlo,  et  potrebbesi 

cominciarla  dalle  pendici  del  dominio  con  obbligare  le  comunità  a  tenere  tante  bandiere  a  ca- 
uallo,  come  paresse,  a  chi  Tauesse  a  fare.  Li  huomini  che  comandassono,  per  bora  si  plglie- 
r«*bbe  di  quelli  che  ci  sono,  et  a  poco  a  poco  ne  surgerebbe  dell!  altri,  o  de' vostri  cittadini. 
Et  chi  dicesse:  e' si  farebbono  tiranni,  et  il  contado  armato  non  ci  ubbidire,    poi    et   anco 

l'ordino  delie  fanterie;  rispondo  al  primo:  sanza  reputatione  de'  cittadini 

al  secondo;  che  la  Justitla  et  lo  hauere  per  loro  capo  1  cittadini  li  farebbe  ubbidienti;  perdio 
la  iustitia  fa  obbediente  11  exerclti  interi,  dove  non  è  se  non  arme.  Poi,  chi  pensa  ad  ogni 
inconveniente  che  può  nascere,  non  comincia  mai  cosa  alcuna;  perchè  questa  è  una  maxima; 
che  non  si  cancella  mal  uno  inconveniente,  che  non  se  ne  scoprisse  uno  altro,  et  sempre  si 
plgliono  le  cose  manco  ree  per  buone.  Et  neramente  quando  pure  il  tiranno  venisse,  egli  ò 
manco  male  stare  a  discretlone  de' suoi  che  dell!  esterni,  come  stanno  le  città  prive  del- 
l'armi che  sleno  loro,  come  è  la  vostra.  Et  cosi  fosse  questa  cosa  o  slmile  intesa,  come  ella 
è  necessaria,  a  non  volere  stare  con  il  più  tristo  facchino  che  vesta  armi  in  Italia  *'. 


Digitized  by 


Google 


662  APPENDICE, 

tempi,  qual  condottiere  fosse  bene  che  comandasse  le  fanterie  delFor- 
dinanza;  da  che  si  può  facilmente  considerare'  in  che  concepto  fosse 
il  nostro  Niccolò  in  quelli  anni. 

—  Ragioni  perchè  sarà  bene  fare  capitano  delle  fanterie  il  sig'*  la- 
corno  Sauello.  —  Addi  6  di  Maggio  151 1.  «  Nessuna  cosa  può  disordi- 
nare o  vituperare  »...  —  ...«  gli  altri  ancora  ci  converranno.  Valete  ».* 

[a  carte  A  68t-69,  B  801-804,  C  420-421 

§  XLIY.  Giuliano  de'  Ricci  (a  chi  legge). 

Dalla  lettura  del  sopradecto  discorso  può  ciascuno  molto  bene  con- 
siderare in  quali  cose  fosse  dalla  sua  citta  et  da  i  magistrati  di  essa 
adoperato  il  Machiavello;  et  chi  ne  volesse  maggior  testimonianza, 
legga  lo  infrascritto,  nel  quale  egli  liberamente  riprende  gli  errori 
fatti  dai  Fiorentini  nel  gastigare  i  popoli  della  Valdichìana  che  si  erano 
ribellati  Tanno  1502.  Et  con  uno  esemplo  de'  Romani  del  gastìgo  dato 
ai  popoli  latini  mostra  il  modo  che  si  doveva  tenere.  Et  perchè  questo 
discorso  manca  nel  principio,  et  è  mal  conditionato  non  meno  dell! 
altri,  però  sono  necessitato  per  più  chiara  intelligentia  di  esso  ag- 
giugnerci  qualche  parola  per  coniectura^  che  lo  farò  delle  meno  che. 
potrò,  et  scrivendolo  al  solito  punteggiato  sotto.^ 

—  «  Lucio  Furio  Camillo  dopo  Tavere  vinti  i  popoli  di  Lazio  quale 
più  volte  si  erano  ribeliati  da'  Romani,  tornatosene  a  Roma,  se  ne  entrò 
in  Senato  et  propose  quello  tì^^d^^  al  duca  di  sperare 
d'òppHmervr.r.'"T3^'""                 [a  carte  A  69t-71,  B  805-811,  C  422-425 

§  XLY.  Giuliano  de' Ricci  a  chi  legge. 

Questo  che  seguita  è  il  principio  del  proemio  de' Discorsi  dei  Ma- 
chiavello, che  nel  proemio  stampato  non  si  legge,  et  poco  di  sotto 

*  I  Mss.  danno  II  nome  del  capitano  veneto  ■  Giambattista  Homagglo  «,  e  non  -  Nomagio  « 
come  venne  male  stampato  nelle  edizioni.  Probabilmente  è  ad  ascrivere  Tuna  e  Taltra  le- 
zione a  cattiva  interpretazione  di  copisti  e  di  lettori.  Nicolò  dovette  assai  proliabilmente 
avere  scritto  Giambattista  Caracciolo,  che  fu  realmente  capitano  general^  delle  fanterie  di 
Venezia.  A  maggior  corredo  d'argomenti  per  credere  poi  che  II  mesaer  Iacopo  di  cui  tratta 
nel  suo  Consulto  il  Machiavelli  non  sJa  altri  che  il  SavellI,  come  il  Ricci  qui  scrisse,  ag- 
giungiamo la  citazione  d'  una  lettera  di  esso  Iacopo  SavellI  al  Segretario,  in  cui  si  mostra 
la  stima  che  questo  capitano  faceva  dell'ordinanza  delle  milizie,  il  desiderio  che  aveva  d'en- 
trarvi, la  fiducia  che  nutriva  di  Niccolò  (Blbl.  Naz.,  Doc.  M.,  busta  iv,  n.  49).  La  lettera  è 
datata  ■  ex  castri»  die  30  martil  1509  ",  colla  direzione  •  Nieolao  de  Afaclavellia  aecr.  dì- 
gnias.  auo  amantisàimo  «.  In  questa  11  Savelli  gli  accenna:  >  per  dol  cascioni  Jo  6  da  ca^ 
rezzare  li  capi  delle  fanterie  d'ordinanza  et  fauorirle  et  laudarle.  L'una  perchò  son  d'avviso 
che  lo  meritano,  et  l'altra  che  non  uedo  l'altre  sieno  migliori,  come  s'è  possuto  uedere  per 
un  caso  occurso,  quale  ul  dirrà  a  bocca  Io  mio  cancellieri  "...  —  ...•>  circa  el  desiderio  mio 
che  ne  ragionai  per  sallire  (aie)  d'entrare  In  queste  ordinanze,  non  lo  dissi  se  non  che  prima 
ce  auer  pensato  bene  et  so  in  questo  medesimo  anno  dariame  l'animo  migliorarle  quando 
haaesse  tal  cura  ».  Termina:  •  et  de  quanto  me  farrete  intendere  serrò  secretisslmo  ». 

*  Ms.  A:  •>  scriuendole  al  solito  di  lettere  maiuscole  «. 

*  Ed.  Camb.,  ii.  183-127.  Il  punteggiato  che  dinoto  negli  Apografi  la  scrittura  in  maiuscolo  di 
O.d.R.,  oltre  la  parte  accennato  da  noi  in  principio,  si  riduce  a  questo  altro  Inciso:  "Et  lasciando 
di  'discorrere  quei  timori  che  possete  avere  dai  principi  oltramontoni,  ragioniamo,  ecc.  •  e 
ad  una  parola  :  •  Resta  ora  vedere  •.  Neii'edizioni  il  testo  8uoÌ  terminare  :  •  delia  causa  sua 
buona  parte  della  fortuna  -I  Segue  negli  Apografi  :  •  In  due  modi  può  venire  al  presente 
occasione  al  Duca  di  sperare  di  opprimervi,  etc.  *  Anche  nell* ultima  edizione  [Opp.,  voi.  iii, 
pag.  365)  quest'ultimo  passo  è  soppresso.  VI  si  osservano  di  soprappiù  le  seguenti  varianti 
principali  : 

ed.  —  "  sono  morti  presso  Frida  ed  Astora  mss.  "  sono  morti  appresso  Feda  (lat.  Pc- 

gll  eserciti  inimici  ".  dumj  ed  Astura  gli  exercitl  Inimici  ". 

ed.  —  ''  potere  deliberare  se  il  Lazio  debbn  mss.  —  *"  potere  deliberare  se  Latlo  debba 
mantenersi  o  no,  o  potere  In  perpetuo  assi-  mantenersi  o  no,  et  potere  In  perpetuo  assi- 
curarsene •'.  curar  vene  ". 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  668 

vi  è  un  luogo,  nel  quale  apparisce  diversità  dallo  stampato  allo  ori- 
ginale.^ 

N.  M.  «  Ancora  che  per  la  invida  natura  dell!  huomini  »... — ...«  quanto 
onore  si  attribuisca  alFantichità  »  G,  de*  Ricci.  Et  poco  di  sotto  al  luogo 
suo  riscontra  con  lo  stampato  —  €  nella  quale  la  presente  religione  ha 
condotto  il  mondo  ».<  [a  carte  A  61 1,  B  812-813,  C  426 


§  XLTI.  Giulian  da' Ricci  a  chi  legge. 

A  ciascuno  che  abbia  niente  pratica  de'  costumi  et  modi  della  città 
di  Firenze  è  noto  quanto  in  essa  si  frequentino  le  Compagnie  o  fra- 
tornite  di  huomini  secolari,  i  quali  riducendosi  in  diverbi  oratorii  fatti 
per  la  città,  a  cantar  vespri  et  dir  mattutini,  darsi  la  disciplina  et 
altre  buone  opere,  usano  ancora  in  certi  tempi,  et  la  quaresima  mcucime, 
che  qualcuno  de*  fratelli  exorti  gli  altri  alla  penitentia  et  alle  altre  buone 
opere.  Et  essendo  il  Machiavello  nostro  di  alcune  di  esse,  come  a  per- 
sona più  atta  et  divota  et  religiosa,  infra  le  altre  volte  li  fu  dato 
carico  di  fare  una  domenica  di  quaresima  una  esortazione  alla  peni- 
tentia, et  egli  fece  la  seguente: 

—  ^  T>e  profundis  clamavi  »..  — ...«  è  brieve  sogno  ».  — ^ 

[a  carte  A  73t-74t,  B  814-819,  C  427-430 

§  XLTIL  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge.^ 

Mi  è  capitato  alle  mani  un  discorso  o  dialogo  intorno  alla  nostra 
lingua,  dicono  fatto  dal  medesimo  Niccolò.  Et  se  bene  lo  stile  è  al- 
quanto diverso  dalValtre  cose  sue,  et  io,  in  questi  fragmenti  che  ho 
ritrovati,  non  ho  visto  né  originale,  ne  bozza,  né  parte  alcuna  di  detto 
dialogo,  nondimeno  credo  si  possa  credere  indubitatamente  che  sia 
dello  stesso  Machiavello,  atteso  che  lì  concepti  appariscono  suoi;  che 
per  molti  anni  per  ciascuno  in  mano  di  chi  hoggi  si  truova,  si  tiene 
suo,  et  quello  che  più  di  altro  importa  è  che  Bernardo  Machiavelli, 
figlio  di  detto  Niccolò,  oggi  di  età  di  anni  74,  afferma  ricordarsi  ha  verno 
sentito  ragionare  a  suo  padre^  et  vedutogliene  fra  le  mani  molte 
volte,  lì  dialogo  è  questo  che  seguita: 

—  «  Sempre  che  io  ho  potuto  onorare  la  patria  mia  »... — ...  «  e  tutte 
le  bestemmie  di  Lombardia  ».^ 

[a  carte  A  133-138,  B  820-839,  C  430-442 


1  Quento  principio  del  proemio  manca  infatti  airedlzione  del  Biado  (mdxxxi)  e  alla 
Testina.  È  notevole  che  il  Biado  nel  suo  avviso  «  A  gli  lettori  •  in  fine  de'  discorsi,  scu- 
sandosi dogli  errori  trascorsi  nel  testo  afferma  ciò  procedere  •  dal  non  essere  l'opera  ri- 
veduta, di  che  ne  fa  fede  la  finestra  lasciata  per  il  computo  de  li  tre  Jugeri  et  sette  once, 
à  carta  lxvìJ  •.  Anche  il  ms.  barberiniano  cit.  a  pag.  140  reca  questo  •>  Principio  del  proe- 
mio de' diaconi  dioerao  dallo  stampato  •,  terminando  alle  parole:  •  il  che  se  non  mi  ar- 
recherà laude,  non  mi  doverrebbe  partorire  infamia  •. 

*  Ed.  Camb.,  ni,  5.  Variante: 

ed.  —  "  quelli  che  umanamente  di  queste  mie  1      Ms.  —  *'  quelli  che  umanamente  di  queste 
fatiche  considerassero  ,,  —  altre  edd.:  "  uma-    mie  fatiche  11  fine  considerassero  ". 
namente  queste-  mie  fatiche  **,  ecc.  | 

*  Ed.  Camb  ,  vi,  142-146. 

*  Ms.  i4  :  "  Haueuo  disegnato  d'andare  seguitando  di  copiare  questi  giornaletti  d*hÌ8torie 
del  Machiauello,  quando  mi  è  capitato  '*,  ecc. 

*  Nei  ms.  A,  alle  parole:  "  et  i  siciliani  et  gli  spagnuoli  sarebbono  ancor  loro,  quanto  al 
parlare,  italiani  „  cessa  la  scrittura  d'essere  di  man  del  Ricci.  —Lo  pubblicò  il  Bottarl,  in  Fl- 


Digitized  by 


Google 


664  APPENDICE. 

§  XLYIII.  Giuliano  de*  Ricci  a  chi  legge. 

Il  discorso  che  seguita,  se  bene  io  non  lo  ha  trovato  di  mano  del 
Machiavello,  è  da  persone  pratiche,  intendenti  et  giuditiose  havuto  per 
suo.  Il  che  lo  attesta  Tessere  citato  da  altro  discorso,  che  pochi  anni 
doppo  fu  fatto  in  questa  medesima  materia  da  Alessandro  de'  Pazzi.  Fa 
scritto  questo  dal  Machiavello  o  da  altri  a  papa  Leone  decimo,  doppo 
la  morte  del  magnifico  Lorenzo  de'  Medici,  duca  di  Urbino,  havendo  la 
prefata  Santità  desiderio  di  riformare  et  riordinare  il  Governo  et  lo 
stato  della  sua  città  di  Firenze. 

—  «  La  cagione  perchè  Firenze  »...  —  ..«  abbia  a  desiderare  innova- 
tione  ».  »  [a  carte  A  227t-231,  B  840-860,  C  443-455 

§  XLK.  Giuliano  de'  Ricci  a  chi  legge. 

Il  discorso,  o  parere  che  seguita  fu  da  Alessandro  de'  Pazzi  dato 
a  papa  Clemente  settimo,  nel  quale  citandosi  et  facendosi  mentìone  di 
una  forma  di  repubblica  data  dal  Machiavello  et  biasimandola  come 
nuova,  et  che  troppo  alterasse  gli  ordini  antichi  della  città,  conside- 
rando la  precedente,  pare  che  sì  possa  dire  quella  che  il  Pazzi  biasima 
come  nuova,  et  conseguentemente  che  fosse  fatta  dal  nostro  Machiavello. 

—  «  Alessandro  de'  Pazzi.  Lo  stato'  di  Lorenzo  de'  Medici  »...  — 
...«avessi  mancato».*  [a  carte  A  231t-235t,  B  861-878,  C 456-466 

—  Pier  di  Niccolò  Machiavelli  al  duca  Cosimo  Vanno  i560  in  circa. 
Discorso  attorno  al  modo  di  difendere  e  assicurare  Firenze.^ 

[a  carte  A  176-183,  B  879-893,  C  467-475 

—  Lettera  di  Antonio  Pandolfi  a  Pietro  Machiavelli,  luogotenente 
delle  galere  del  duca  Cosimo  a  Livorno,  in  cui  lo  ragguaglia  di  molte 
turbolenze  e  mutazioni  seguite  nel  regno  di  Moldavia,  nel  tempo  che 
egli  vi  era  stato.  Di  Perugia  il  di  4  febbraro  1564. 

[a  carte  A  183t-187,*  B  893-906,  C  Ì76-484 


renze,  mdccxxx,  coir Fr<ro2ano  del  Varchi,  pag.  448,  Intitolandolo:  ••  Diacoreo  ]  ovvero  |  Dia- 
logo I  sopra  il  nome  |  della  lingua  volgare  |  •.  —  Il  Bottari  dice  questo  scritto  essergli 
stato  comunicato  »  da  un  nobilissimo  nostro  concittadino,  quanto  di  dottrina  altrettanta)  di 
gentilezza  dotato  •  e  rispetto  al  Machiavelli,  di  cui  non  fa  il  nome,  si  esprime  a  questo 
modo:  (pref.  pag.  xxxxix).  «È  questo  dialoghetto  parto  di  scrittore  florentino  giudiziosissimo 
e  di  profonda  e  non  comunale  scienza  corredato  ;  quasi  contemporaneo,  ma  un  poco  più  antico 
del  Varchi,  e  che  nelle  bisogne  di  nostra  repubblica  impiegato  mostrò  colla  prudenza  dell'ado- 
perare e  coiracutezza  de'suol  scritti  chiarissimo  argomento  e  deiraltezza  del  suo  ingegno  e 
della  sagacità  del  senno-suo.  maravlgriloso  in  conoscere  gl'interni  Ani  degli  uomini  ed  in 
saper  volgere  a  suo  piacimento  ambe  le  chiavi  del  cor  loro  ».  — Così  il  cauto  editore  stu- 
diava, pur  facendo  ossequio  all'odio  Imposto  dell'autore,  rendere  anche  un  poco  di  giustizia 
al  vero  ! 

^  Ed.  Londra  1760  sopra  un  cod.  ms.  della  Bibl.  Gaddl.  Il  ms.  fu  comperato  e  recato 
n  Inghilterra  circa  il  1750. 

«  Fu  pubblicato  neìVArch.  storico  it.,  serie  i,  t.  i.  pag.  420-432. 

•  Pubblicato  da  Gaspak  Amco,  In  App.  alla  sua  Vita  di  N.  M.,  pag.  667-674.  Non  ò  di 
mano  del  Ricci  nel  ms.  A  se  non  quella  parte  dell'intestazione  che  è  qui  resa  in  corsivo. 

^  Seguono  nel  ms.  A  carte  bianche  sino  alla  pag.  226. 


Digitized  by 


Google 


III. 

(T.  libro  Mcondo,  Introduzione,  pag.  137). 

Provvisione  per  la  Riforma  della  Cancelleria. 

(R.  Archivio  di  Stato  in  Firenze  —  Consigli  Maggiori,  Prow>iiioni, 
Registri,  voi.  189,  pag.  56t  e  segg.) 

In  Dei  Nomine  Amen. 

Anno  Domini  Nostri  Jesu  Cristi  ab  ejus  salutifera  incarnatione 
MccccLxxxxvij,  Indictione  prima  et  die  xiij  mensis  februarii  in  Con- 
silio malori  Civitatis  Florentie,  mandato  magniflcorum  et  excelsorum 
Dominorum,  Dominorum  Priorum  Libertatis  et  Vexilliferi  justitie  Po- 
puli  Fiorentini  precona  convocatione  Campaneque  sonitu  in  palatio  Po- 
poli Fiorentini  more  solito  congregato,  quorum  Dominorum  et  Vexilli- 
feri justitie  nomina  sunt  ista. 
Nicolaus  Thomasii  Bernardi  De  Antinoris. 
Franeiscus  Filippi  Francisci  Del  Pugliese  -  Pro  Quarterie  Sancti 

Spiritus. 
Franeiscus  Nichelai  Francisci  De  Salvettis. 
Benedictus  Antonii  Leonardi.  l  | 

Dominis  -  Pro  Quarterie  Sancte  Crucis.  f   5- 

Scolarius  Angioli  Scholarii  De  Spinis. 
Alexander  Donati  Nerii  De  Acciaiuolis  -  Pro  Quarterie  Sancte  Marie  l   o 

Novelle.  l  | 

Batista  Pandolfi  domini  Giannozi  de  Pandolfinis. 
Lucas  Antonii  Luce  de  Albìzis  -  Pro  Quarterie  Sancti  Joannis. 
Julianus  Francisci  Alamanni  de  Salviatis  -  Pro  Quarterie  Sancte 

Crucis. 

Ego  Nicholaus  olim  Simonis  Johannis  de  Altovitis  utriusque  Juris 
Doctor  Civis  Florentinus  Offlcialis  et  Cancellarius  Reformationum  con- 
siliorum  Civitatis  Florentie,  in  presentia  de  voluntate  et  mandato  dic- 
torum  dominorum  Priorum  et  Vexilliferi  Justitie  in  diete  Consilio  pre- 
sentium  in  numero  oportuno,  coram  consiliariis  ejusdem  consilii  in 
sufficienti  numero  congregatis,  legi  et  recitavi  infrascriptas  provisiones, 
et  quamlibet  earum  vulgariter  et  distinte  ad  intelligentiam  omnium, 
flrmatas  deliberatas  et  factas  prout  inferius  apparebit,  servatis  so- 
lemnitatibus  opportunis  et  servari  debitis,  et  requisitis  secundum  or- 
dinamenta  Comunis  Florentie,  et  modo  et  forma,  inferius  anotatis,  vi- 
delicet: 

Primo,  provisionem  infrascriptam  super  infrascriptis  omnibus  et 
singulis  examinatam  et  flrmatam  secundum  ordinamenta  et  delibera- 


Digitized  by 


Google 


666  APPENDICE. 

tam  et  factam  per  dictos  dominos  Priores  libertatìs  et  VexìUiferam 
Justitie  et  Gonfalonerios  Societatum  Populi,  et  xjj  bonos  viros  et  con- 
siliarìos  Consilìì  Octuaginta  Yìrorum  secundum  ordinamenta  dicti  Co- 
munis  modo  et  ordine  inferi us  anotatis,  cujus  quidem  provisionis  tener 
talis  est  videlicet. 

Volendo  e  nostri  Magnifici  et  Excelsi  Signori,  Signori  Priori  di  li- 
bertà et  Gonfaloniere  di  Giustitia  del  Popolo  fiorentino  provedere  circa 
el  modo  dello  eleggiere  et  raffermare  e  Cancellieri  et  Coadiutori  delle 
loro  Cancellerie,  con  consiglio  de  loro  venerabili  coUhegi  et  degl'Ottanta 
providono  et  ordinorono: 

Che  per  virtù  della  presente  provisione  le  electioni  che  per  lo 
advenire  s*avessino  affare  degrinfrascripti  Cancellieri  et  coadiutori  si 
faranno  in  questo  modo  et  forma,  cioò: 

Che  la  electione  di  tucti  gì'  infrascripti  Cancellieri  et  Coadiutori 
che  si  havessino  affare  si  faccino  nel  Consiglio  de  richiesti.  Potendo 
per  qualunche  distinto  luogo  per  luogo  ciascheduno  che  in  tal  Consi- 
glio interviene  nominare  uno  per  uno  liberamente,  et  di  quella  qualità 
et  conditione  che  a  lui  parrà  et  piacerà,  non  obstante  alcuna  probi- 
bitione  o  divieto,  e  quali  cosi  nominati  distinto  l'uno  uficio  dall'altro 
si  mandino  a  partito  in  dicto  Consiglio,  et  tutti  quelli  che  haranno  obte- 
nuto  el  partito  per  la  metà  delle  fave  nere  et  una  più,  intendendosi 
che  non  sieno  manche  di  quattro  per  ciascune  uficio,  si  notine  et  si 
tenghine  segreti  sotte  vincule  di  giuramento,  et  dipoi  si  mandino  a 
partito  nel  Consiglio  maggiore  et  quello  che  bara  più  fave  nere  che 
gl'altri  vinto  el  partito  per  la  metà  delle  fave  nere  et  una  più  s'intenda 
electo  in  quello  luogo  per  dove  tassì  stato  nominato  con  divieti  et  sa- 
larii  infrascripti,  legendosi  prima  in  decte  consiglio  tutti  quegli  che 
haranno  per  quello  ufitie  obtenuto  el  partite  acciò  se  ne  possa  fare 
migliore  electione.  Duri  l'uficie  di  qualunche  di  già  electe  «ome  da 
eleggersi  dua  anni  dal  di  della  sua  electione  potendo  alla  fine  di  detti 
dua  anni  ciascuno  electe  come  da  eleggersi  essere  rafferme  almeno 
infìra  une  mese  dalla  fine  del  sue  uficio  in  decte  Censiglo  maggiore 
anno  per  anno  nella  quale  rafferma  sia  necessarie  vincere  el  partito 
per  dua  terzi  dei  presenti  in  tal  Consiglio  le  quali  rafferma  si  possine 
mectere  a  partito  tre  dì,  et  tre  volte  per  di,  e  non  più. 

Tutte  le  cose  che  si  faranno  circa  il  loro  uficio  per  quelli  che 
come  di  sopra  saranno  electi,  et  durante  il  tempo  del  loro  uficio  va- 
glino et  tenghine  et  observinsi  et  habbino  quella  forza  et  vigere  et  a 
quelle  si  presti  indubitata  fede  come  se  fùssino  facte  per  pubblico  no- 
taio matricolato  nell'arte  de  giudici  et  notai  della  ciptà  di  Firenze. 

Habbino  e  decti  Cancellieri  gl'jinfascripti  Coadiutori  e  quali  si  eleg- 
ghine  in  questo  mode,  cioè,  che  detti  Cancellieri  ciascheduno  nomini  e 
sua  Coadiutori,  e  quali  cesi  nominati  si  mandine  a  partito  in  decte 
Consiglio  maggiore,  et  debbine  essere  approvati  per  la  metà  delle  fave 
nere  et  una  più.  Et  nel  medesime  modo  si  eleghi  el  coadiutore  del 
Notaio  de  Signori  el  quale  si  debba  nominare  pe  Signori  che  pe  tempi 
saranno. 

E  luoghi  de  Cancellieri  che  secondo  la  dispositione  della  presente 
leggio  si  haranno  a  elegiere  in  future  in  ogni  caso  di  vacatione,  et 


Digitized  by 


Google 


'  APPENDICE. 


667 


con  gì  infrascritti  coadiutori  et  salari  sono  questi.  El  luogo  del  primo 
Caocellieri  cioè  dove  serviva  messer  Bartholomeo  Schale,  et  babbi  di 
salario  per  ciascuno  anno  fiorini  trecento  trenta,  cioè  fior.  330. 

Habbi  uno  coadiutore  da  eleggiersi  in  luogo  di  vachatione  come 
di  sopra,  con  salario  per  ciascuno  anno  di  fiorini  octanta  cominciando 
a  quello  che  al  presentò  serve,  cioè  fior.  80. 

El  luogo  del  Cancellieri  della  seconda  cancelleria  cioè  dove  ser- 
viva Ser  Antonio  di  Mariano  Muti!,  et  habbi  di  salario  per  ciascuno 
anno  fiorini  Dugento,  cioè  f.  200.  Habbi  dua  Coadiutori  da  eleggiersi 
come  è  decto,  che  il  primo  habbi  di  salario  per  ciascuno  anno  fiorini 
Novantasei,  et  il  secondo  per  ciascuno  anno  fiorini  sessanta.  El  luogo 
del  Cancellieri  delle  Riformazioni,  et  habbi  di  salario  fiorini  Quattrocento 
cinquanta  ciascuno  anno,  cioè  f.  450,  et  habbi  quattro  coadiutori  e  quali 
habbino  di  salario  per  ciascuno  anno  le  infhiscripte  quantità,  cioè  -  El 
primo  Coadiutore  fiorini  settantadua,  cioè  f.  72.  11  secondo  coadiutore 
fiorini  sesanta,  cioè  f.  60;  il  terzo  ed  il  quarto  fiorini  quarantotto  per 
ciascuno,  cioè  f.  48  per  ciascuno.  ^ 

El  luogho  del  Cancellieri  delle  traete  et  habbi  di  salario  fiorini  du- 
gento trenta  f.  230,  habbia  tre  coadiutori  con  gF  infrascripti  salarli 


n 


£'5 


|1 


58,16 


51 


^  Perchè  Ri  abbia  contezza  delle  particolari  persone  che  II  M.  aveva  a  colleghl  e  dipendenti 
nella  cancelleria,  a* cui  nomi  si  accenna  di  frequente  nelle  lettere  famigliari  di  lui  e  del  Bo- 
naccorsi.dal  libri  delle  Deliberazioni  dei  Xot  (Arch.  fior.,  ci.  ziii,  dlst.  S*.  n.  75,  p.  44)  pub- 
blichiamo i  seguenti  stanziamenti: 

A  di  11  di  Dicembre  150S.  ^  o 
Ser  Antonio  di  Giovanni  della  Valle  condotto  dal  Magnifico  officio  dei  Dieci  ^  '^ 
a  servire  nella  loro  Cancelleria  con  Salario  di  Lire  ventiotto  di  grossi  il  mese,  g,  ^ 
Lire  Cinquantasei  di  grossi  per  suo  salario  a  decta  ragione  di  mesi  due  inco- 
minciati et  finiti  come  di  sopra,  vagliene 

Item  a 
Ser  Luca  di  Fabbiano  Fecini  condotto  dal  Magnifico  Officio  de  Dieci  a  servirò 
nella  loro   Cancelleria  con  salario  di  Lire  xxvij  piccioli  il  mese,  Lire  cin- 
quantaquattro piccioli  per  suo  salario  a  decta  ragione  di  mesi  due  incomin- 
ciati et  finiti  come  di  sopra 

Item  a 
Ser  Agostino  di  Mattheo  Vespucci  condotto  dal  Magnifico  officio  de  Dieci  a 
servire  nella  loro  Cancelleria  con  salario  di  Lire  venti  piccioli  il  mese,  Lire 
quaranta  piccioli  per  suo  salario  a  decta  ragione  di  mesi  due  incominciati 

et  finiti  come  di  sopra 

Item  a 
Bartholomeo  di  Rufino  condotto  dal  Magnifico  Officio  de  Dieci  come  il  sopra- 

decto  Ser  Agostino  in  tuoto  et  per  tucto 

Item  a 
Giovanni  di  Francesco   Comandatore  Fiorini  quattro  larghi  di  grossi  per  suo 
servitio  airuscio  della  Audientia  del  Magnifico  Officio  de  Dieci,  di  due  mesi 
a  ragione  di  Fiorini  due  larghi  di  grossi  il  mese,  et  secondo  il  consueto  in- 
cominciati et  finiti,  come  di  sopra 

Item  ad 
Antonio  da  San  Cascitno,  et 

Taddeo,  famigli  del  rotellino  Lire  dodici  piccioli,  cioè  Lire  sei  a  ciascuno  per 
loro  servitio  al  Magnifico  Officio  de  Dieci  di  due  mesi  a  ragione  di  Lire  tre 
il  mese  secondo  il  consueto  incominciati  et  finiti  come  di  sopra.     .... 
Ibid.  (CI.  II,  dlst.  6».  n.  207;  voi.  100,  pag.  81t): 

Famiglia  di  Palagio  che  ha  mancie  dai  Diéci. 
Die  VII  Junii  MDVIIL 
Decemviri  etc.  Deliberomo  che  per  chi  si  appartiene  si  proponghino  davanti  alla  Si' 


40 


40 


12 


Digitized  by 


Google 


668  APPENDICE. 

per  ciascuno  et  ciascuno  anno.  El  prinao  Coadiutore  fiorini  ottanta- 
quattro, f.  84.  El  secondo  fiorini  settantadua,  f.  72.  EU  terzo  fiorini  se- 
xanta,  cioè  f.  60.  El  luogo  de  dua  segretarii  della  Signoria,  cioè  dove 
ha  servito  Ser  Alexandre  Braccesi,  et  babbi  di  salario  per  ciascuno 
anno  fiorini  centone vantadua:   et  dove  ha  servito  Ser  Antonio  della 


gnoria  et  suoi  collegi  gli  stanziamenti  delle  maiicie  solite  darsi  al  uscire  dal  loro  aficio 
alii  infrascritti,  videlicet 

Capitano  de*  Fanti. 

Comandatori. 

Bue  Tavolaccini  che  servono  per  Tordinario. 

Mazieri. 

Guardie  della  porta  del  palazo. 

Guardie  delle  scale,  et  denique  alli  venerabili  Frati  del  suggello  di  palazo 
Mandantes,  etc. 

CI  parve  dare  in  luce  anche  questa  piccola  scrittura  accennata  già  dall'editore  della  De- 
tenzione e  saggio  dei  mss.  Torrigiani  donati  al  R,  Arch.  di  Stato  di  Firenze  (pag.  431) 
e  collocata,  fra  le  carte  d'Incerta  provenienza,  con  quelle  spettanti  all'anno  1495,  per  gli  usi 
cancellereschi  e  le  prescrizioni  che  determina  rispetto  al  prnsente  argomento  : 

Vite 

Brievi  richordi  facti  a  Voi  magnifici  el  Excelsi  Signori  Priori  di  libertà,  et  GonfàUh' 
niere  di  Giustizia  del  Popolo  Fiorentino,  et  per  quegli  che  sono  deputati  al  servigio 
della  Cancelleria: 

Et  primo.  Non  si  può  nò  debbo  scrivere  per  parte  Vostra  M^.  S'.  lettere,  se  prima 
non  si  delibera  almeno  per  sei  di  voi  et  per  sei  fave  nere. 

A  Papa,  Imperadore,  Re  et  Reina  non  si  può  scrìvere  per  parte  della  V*.  M*.  S'.  se 
prima  non  si  delibera  per  Voi  insieme  coi  vostri  honorevoli  collegii. 

Non  si  può  eleggiere  Ambasciadorì  né  fare  lettere  di  credenza,  uè  commissione,  uè 
altre  lettere  che  chommettino  ad  alchuno  che  dicha  o  expongha  alchuna  chosa  per  parte 
della  V^.  M^*.  S'^.  se  prima  non  si  delibera  per  voi  insieme  co*  vostri  honorevoli  collegii 
e  pel  Consiglio  del  Cento. 

Ad  alchuno  Rectore  o  uffitiale  del  nostro  contado  et  distretto  non  si  può  scrivere  né 
commettere  che  chognioscha  di  magior  somma  di  quella  che  allui  e  permessa  secondo 
gli  ordini,  né  contro  a  chi  non  fusse  allui  sottoposto  né  alla  sua  giurisdictione. 

Non  si  può  scrìvere  nò  commettere  ad  alchuno  Rectore  o  uifictiale  del  nostro  contado 
et  distrecto  che  non  avessi  cognitione  di  cose  civili,  che  di  quelle  in  modo  alchuno  ne 
chonoscha. 

Et  similmente  non  si  può  scrivere  né  commettere  ad  alchuno  rectore  o  uffitiale  del 
nostro  contado  et  distrecto  che  non  avesse  congnitione  di  cose  criminali,  che  di  queUe  si 
impacci  0  chonoscha  in  modo  alchuno. 

Ad  alchuno  Rectore  o  ulBctiale  del  nostro  Contado  et  Distretto  non  si  può  scrivere 
che  si  parti  dal  suo  olBctio  per  venire  a  Firenze,  o  andare  altrove,  se  non  si  delibera 
perlla  V^.  M^.  S^.  insieme  con  vostri  honorevoli  collegii,  et  pagando  certa  somma  di  da- 
nari :  Salvo  che  se  fusse  per  i  facti  del  nostro  Commune  :  allora  giurandosi  et  deliberan- 
dosi perlla  V^.  M^^.  S'.  insieme  con  vostri  honorevoli  collegii,  può  venire  sanza  paghare. 

Non  si  può  scrivere  ad  alchuno  Rectore  o  ufflctiale  del  nostro  contado  e  distrecto  che 
finito  0  disposto  el  suo  offlctio,  tomi,  se  pritaa  non  istà  a  syndichato  secondo  gli    ordini. 

Salvicondocti  per  debito  di  singular  persone  non  si  possono  dare  sanza  la  deliberatione 
della  V*.  M*.  S*.  et  de  vostri  honorevoli  collegii. 

Salvicondocti  o  sicurtà  per  Bando  o  condennagioni  non  si  possono  dare  né  concedere 
sanza  la  deliberatione  della  V^.  M^.  S*^.  et  de  vostri  honorevoli  collegii,  o  perlla  Signoria 
sola  per  viu  fave,  et  per  sei  mesi. 

Salvicondocti  e  sicurtà  non  si  possono  dare  a  vostri  rubelli  o  condennati  per  istato, 
se  non  perlla  V^.  M^.  S^.  insieme  con  vostri  honorevoli  collegii  et  per  xxxvj  fave  nere,  o 
veramente  perlla  S^.  V^.  et  Otto  ,  della  Ghuardia  per  xv  fave  nere;  non  però  in  modo 
alchuno  passando  il  tempo  della  V^.  M>.  S\ 

Non  si  può  scrivere  al  Podestà  né  agli  otto  di  Prato  che  monstino  ad  alchuna  per- 
sona, di  qualunche  stato  o  condictione  si  sia,  la  Cintola  della  gloriosa  M^.  Madonna  Sancta 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  669 

Valle  et  babbi  di  salario  f.  100,  cioè  fiorini  Cento.  El  luogo  del  Coa- 
diutore del  Notaio  de  Signori,  et  babbi  di  salario  fiorini  ottantaquattro, 
cioè  f.  84.  E  sopradecti  salarli  si  paghino  di  mese  in  mese  per  il  Ca- 
marlingo delle  graticole  del  monte  sanza  altro  stanziamento  ad  ragione 
di  lire  quattro  di  grossi  per  fiorino  con  le  retentioni  de  danari  nove  per 
lira  et  non  più  né  altrimenti.  E  quali  salarli  non  si  possine  pagare  se  non 
a  cbi  al  tempo  di  tale  pagamento  sarà  necto  di  spechio  come  al  presente 
s'observa.  Possine  quelli  che  come  di  sopra  in  tali  luoghi  fussino  electi 
rifiutare  tale  aficio  infra  quattro  di  dal  di  di  tale  electione  pagando 
fiorino  uno  largo  d'oro  in  oro  per  ciascuno  Cancellieri,  et  fior,  mezo 
d'oro  in  oro  per  ciascuno  coadiutore.  Rabbino  tali  electi  che  accepte- 
ranno  divieto  da  ogni  altro  uficio  drente,  o  fuori  della  ciptà  durante 
el  tempo  di  decto  uficio.  Et  perchè  e  luoghi  d'alcuno  di  decti  cancel- 
lieri et  coadiutori  sono  vachati  qualche  tempo  si  provede  che  per  virtù 
della  presente  tucte  le  cose  facto  o  che  si  faranno  per  tucto  el  pre- 
sente mese  per  quelli  che  erano  in  decti  luoghi  cosi  vachati  circa  l'of- 
ficio loro  veglino  et  tenghino  et  observinsi  inviolabilmente  come  se 
durante  il  loro  uficio  fussino  facto ,  et  cosi  a  decti  tali  si  paghi  il  sa- 
lario consueto  per  decto  tempo  per  quegli  et  in  quel  modo  che  si  pa- 
gava al  tempo  del  loro  uficio  in  tucto  et  per  tucto.  In  quanto  a  qua- 
lunche  altro  effecto  o  luogo  non  compreso  nella  presente  provisione 
rimanghino  ferme  le  logie  che  di  ciò  dispongono. 

Super  qua  quidem  provisione  et  omnibus  et  singulis  in  ea  con- 
tentis  prefati  Magnifici  Domini  Domini  Priores  libertatis  et  vexillifer 
Justitie  Populi  Fiorentini  misso  Inter  se  partito  die  decima  mensis 
Februarii  anni  mcccclxxxxvìj,  indictione  prima  et  obtento  secundum 
ordinamento.  Et  postea  dieta  die  misso  partito  Inter  ipsos  Dominos  et 
coUegia  ad  fabas  nigras  et  albas,  ipsoque  etiam  obtento  secundum  or- 
dinamento. Ac  etiam  facto  partito  per  ipsos  Dominos  quod  dieta  pro- 
visio  posset  proponi  in  Consilio,  absque  eo  quod  teneatur  in  publica 
sala  consilii  per  tres  dies  secundum  ordinamenta.  Et  demum  facta  pro- 
posita  et  misso  partito  Inter  ipsos  Dominos  et  coUegia  et  consilìarios 
dicti  consilii  Octuaginta  virorum  die  xu  dicti  mensis  februarii  et  obtenta 
secundum  ordinamenta  dicti  Comunis  per  -  71  -  fabas  nigras  prò  sic, 
non  obstantibus  -  19  -  fabis  albis  prò  non,  ipsis  tamen  omnibus  et 
singulis  prius  examinatis  deliberatis  ac  firmis  per  spectabiles  auditores, 
videlicet  Jeronimum  Filippi  de  Oricellariis,  Joangualbertum  Antoni  Ja- 
cobi  Angeli,  Jacobum  Bartholomei  de  Gualterottis,  Julianum  Johannis 
de  Marucellis  de  numero  collegiorum  predictorum,  et  Jeronimum  Ado- 
nardi  de  Giachinottis,   Franciscum   Nichelai  de  Alexandris,   Petrum 

Maria  sempre  Tergine  senza  la  diliberatione  della  V^.  M".  S".  et  de  vostri  honorevoli 
collegii  sotto  gravi  pene. 

Al  Chapitano  et  Podestà  di  Pistoia,  et  al  Chapitano  della  montagnia  di  Pistoia  non 
si  può  scrivere  senza  la  diliberatione  della  V^.  M'^.  S^.  et  de  vostri  honorevoli  collegii. 

Per  cose  criminali  non  si  può  scrivere  salvo  chessi  faccia  ragione  secondo  gli  ordini: 
se  già  non  si  deliberasse  perlla  V^.  M^.  S^.  et  honorevoli  collegii,  et  di  poi  infra  gli  otto 
di  per  gli  consigli. 

Molte  altre  cose  potete  et  dovete  fare,  ed  altre  non,  le  quali  al  presente  per  brevità 
et  per  non  tediare  la  V>.  M'.  S".  non  si  dicano  :  ma  al  luogho  et  tempo,  quando  el  chaso 
^chorrerà,  vi  saranno  ogni  volta,  con  fede  et  riverenza  ricordate. 


Digitized  by 


Google 


670  APPENDICE. 

Johannis  de  Covonìbus  de  officio  conservatorum  legum  dicti  comunìs 
ad  hec  examinanda  et  firmanda  secundum  ordinamenta  spectabiles 
deputatos,  eorum  proprio  motu,  et  omni  meliori  modo,  via,  iure  et  forma 
quibus  magis  et  melius  potuerunt,  providerunt,  ordinaverunt  et  deli- 
beraveruntl  quod  dieta  provisio  et  omnia  et  singula  in  ea  contenta 
procedant,  firmentur  et  fiant,  et  firma  et  stabilita  esse  intelligantur  et 
sint  et  observentur  et  observari  et  executioni  mandari  possint  et  de- 
beant  in  omnibus  et  per  omnia  secundum  provisionis  eiusdem  conti- 
nentiam  et  tenorem. 

Qua  provisione  lecta  et  recitata  in  dicto  Consilio  generali  dieta 
die  xiij  mensis  Februarii  ut  supra  dictum  est,  dictus  magnificus  vir 
Lucas  Antonii  de  Albizis  prepositus  ut  supra,  de  voluntate,  Consilio  et 
consensu  suorum  coUegarum  in  dicto  Consilio  presentiuni  in  numero 
opportuno,  proposuit  eam  et  contenta  in  ea  inter  consiliarios  dicti  con- 
silii  et  super  ea  facto  et  observato  in  omnibus  et  per  omnia  secundum 
formam  ordinamentorum  dicti  Gomunis  et  prout  supra  in  prima  pro- 
visione huius  libri  continetur  et  observatum  fuit,  et  super  ea  facto 
partito  ad  fabas  nigras  et  albas  inter  consiliarios  dicti  consilii,  et  datis 
et  recollectis  et  numerabis  fabis,  repertum  fuit -715  -  ex  ipsis  consi- 
li^iis  dédisse  fabas  nigras  prò  sic,  et  ita  secundum  formam  diete  pro- 
visionis  obtentum,  provisum  et  ordìnatum  fuit,  non  obstantibus  reliquis 
-  338  -  ex  ipsis  consiliariis  repertis  dedisse  fabas  albas  in  contrarium 
prò  non. 

Non  obstantibus  in  predictis  vel  àliquo  predictorum  aliquibus  legibus 
statutis  ordinamentis  provisionibus  aut  reformationibus  Consiliorum 
Givitatìs  Florentie  que  et  prout  supra  in  prima  previsione  huius  libri 
continetur  et  scriptum  est. 


Digitized  by 


Google 


IV. 

(▼.  libro  II,  capo  netti mo,  paff.  599) 

Indice  dei  Minutari  e  Registri  originali^  ecc. 

del  Carteggio  della  Repubblica  contenenti  lettere  scritte  di  mano  di 
N.  Machiavelli,^  mentre  fu  segretario  della  2'  Cancelleria  de* Dieci 
e  de*  Nove;  con  la  indicazione  del  numero  complessivo  e  delle  date 
di  esse  lettere  in  ciascun  Minutario  o  Registro. 

(R.  Archivio  di  Suto  di  Firenze). 


Ndm.  d 'ordine 
de' Minutari 
0  Registri 


Date  bstremb 

di  ciascun  Minutario  o  Registro 

secondo  lo  stile  fiorentino 


Numero  comf^bssivo 

delle  lettere  di  mano  del  Machiavelli 

in  ciascun  Minutano  o  Registro 

e  Osservazioni  circa  le  date 


21 

clasBe  X, 

distinzione  3, 

n.  91 

22 
ci.  X,  d.  3,  92 

23 
ci.  X,  d.  3,  93 


Registri  o  Minutasi  dei  Signori  —  II*  Cancelleria 
1499,  3  giugno  — 16  febbraio. 


1499,  16  febbraio  —  1600,  11 
luglio. 

1500, 18  lugUo  —  4  novembre 
e  1501,  20  settembre  —  5 
novembre .  * 


3.  Del  16  e  17  giugno  e  del 
20  lugUo. 


13.  Sono  del  9,  16  e  21  aprile, 
7  e  26  maggio,  3  e  6  giu- 
gno, 13  e  14  luglio. 

48.  Quotidiane  o  quasi,  dal  20 
settembre  1501  al  V  no- 
vembre di  detto  anno.  La 
maggiore  interruzione  è  dal 
.   19  al  25  ottobre  inclusive. 


*  Del  carteggio  cancelleresco  di  N.  M.  furono  pubblicate  primieramente  nel  1760,  colla  data 
di  Londra,  trentanove  lettere  degli  anni  15i0  e  1511.  Opere  inedite  di  N.  M.  —  Il  Fossi  dedicò  nel 
1767  a  lord  Nassau  Clavering  l'edizione  fiorentina,  fatta  nella  stamperia  granducale,  delle  Lettere 
di  N.  M.  che  <r  pubblicano  per  la  prima  volta,  cioè  29  della  commissione  al  duca  Valen- 
tino; 36  di  quella  in  corte  di  Roma  nel  1503;  due  della  commissione  al  re  di  Francia  pure 
nel  1503  ;  la  commissione  a  Giampaolo  Baglioni  e  la  lettera  di  N.  Machiavelli  dairorsaia;  e 
finalmente  trentuno  della  commissione  presso  Giulio  secondo.  —  Queste  due  raccolte  com- 
parvero poi  insieme  riunite  nel  1769  colla  data  di  Cosinopoli,  e  col  titolo  :  Lettere  \  di  \  N. 
M.  I  segretario  Jlorentino  \  a  nome  della  iua  repubblica  |  con  altre  \  scritte  alla  stessa  \ 
dalle  sue  legazioni  |  a  diversi  principi.  Neirediz.  del  1782  le  Commissioni  o  legazioni  ven- 
nero per  la  prima  volta  più  ampiamente  in  luce;  ma  della  pubblicazione  di  queste  terremo  par- 
ticolare ragione  quando,  neir Appendice  del  voi.  II,  daremo  Telenco  degli  autografi  del  M.  da  noi 
consultati  nel  condurre  ^a  presente  Vcta,  e  T  indicazione  deiredlzione  in  cui  prima  comparvero; 
limitandoci  per  ora  a  rimandare  il  lettore  alle  note  apposte  alla  Notizia  analitica  degli  Apo- 
grajl  del  Ricci.  Nò  del  carteggio  ufficiale  e  cancelleresco  >  dietante  N.  M.  •  comparve  più 
nulla  sino  al  1857,  quando  il  Canestrini  diede  alle  stampe,  siccome  saggio,  gli  Scritti  inediti 
di  N.  M.  risguardanti  la  Storia  e  la  Milizia  (1499-1512),  Firenze. 

*  In  Aronte  al  Registro  è  questo  ricordo  :  •  Questo  libro  del  C.  è  per  le  cose  della  guerra 
infra  Dominium,  scripte  per  la  seconda  Cancelleria,  cuius  caput  est  N.  Maclavelins;  qui 
hodie  mittitur  ad  Regem  Francorum  a  Dominatione,  et  Franciscus  della  Casa  itidem,  zviii 
lulii  1500  die  sabbatl  •.  —  A  e.  142,  dopo  una  lettera  del  4  nov.  1500  si  legge  un  altro  ri- 
cordo', e  questo  di  mano  del  M.:  >  Essendo  facti  e  Xci  della  guerra  et  havendo  ripresa  la 
loro  cura  ordinarla,  li  excelsi  Signori  non  scripsono  più,  etc.  •  —  E  a  e.  143,  ancora  di 
mano  del  M.  :  >  Sendo  vacati  e  Dieci  della  guerra  questo  di  zviiii  di  septembre  i501.  Il 
excelsi  Signori  ripresone  la  cura  dello  scrivere  per  le  cose  pertinenti  ad  epsa  guerra  ;  et 
però  si  seguiteranno  le  lettere  et  deltberationl  loro  in  questo  libro  segnato  O,  sendo  gonfa- 
loniere di  iustitia  Luca  di  Maso  dell!  Albltli.  In  nomine  Domini  »,  ecc. 


Digitized  by 


Google 


672 


APPENDICE. 


NUM.  T»'ORDINE 

de'  Minutari 
0  Registri 

Date  estreme 

di  ciascnn  Minutario  o  Registro 

secondo  lo  stile  fiorentino 

NOM.  COMPLESSIVO 

delle  lettere  di  mano  del  Machiavelli 

in  ciascun  Minutario  o  Registro 

e  Osservazioni  circa  le  date 

24 
ci.  x,d.  1,108 

1500,  r  gennaio  —  1501,  31 
luglio. 

17.  Con  le  date:  3,  23  e  27  a- 
prUe,  7,  10,  11,  12,  23  e  27 
maggio,  15  giugno  e  30  lu- 
glio. 

25 
ci.  x,d.  1,110 

1501,  1  agosto  —  1512,  17  ar 
prile.               » 

19.  Con  le  date:  18,  22  agosto. 
1,9,  10,  13,  14,  18  sett.  1501 

26 
ci.  X,  d.  3,  98 

1501,  4  novemljre  '—  1502,  30 
aprile. 

3.  Due  de' 9  (?)  e  una  del  23 
dicembre. 

34 
ci.  x,d.  1,123 

1507,  ?4  aprile  —  26  gennaio 

2.  Del  r4  lugUo. 

38 
cl.x,d.  1,129 

1510, 11  giugno  —  21  dicemb. 

5.  Del  14,  15  e  17  giugno. 

41 
ol.x,d.  1,134 

1511,  24  novembre  —  1512, 
31  maggio. 

1.  Deir  11  febbraio. 

Registri  o  Minutari  dei 

X  DI  Balìa. 

69 
ci.  X,  d.  3,  95 

1500,  2  febbraio  —   1501,   5 
maggfio. 

235.  Sono  quotidiane  o  quasi; 
r  interruzione  più  lunga  è  di 
cinque  giorni,  dall' 11  al  15 
aprile  inclusive. 

70 
ci.  X,  d.3,  90 

71 
ci.  X,  d.  3,  97 

1501.  6  maggio  —  16  settem- 
bre. 

1501,  6  maggio  —  18  settem- 
bre. 

168  \  Qnotidiane-o quasi.  Inter- 

>     ruzioni  più  notabili:  19- 

156  ;     24  giugno,  15-21  luglio. 

72 
ci.  X,  d.3, 101 

73 
ci.  X,  d.3, 100 

1502,  1  luglio  —  31  ottobre. 
1502,  2  luglio  —  31  ottobre. 

108  \  Interruzioni:  16- 19  agosto, 
ì     25  8ettembre-2  ottobre. 
. .  -  (     Le  ultime  sono  del  4  ot- 
^^')    tobre. 

74 
ci.  X,  d.3, 104 

75 
ci.  X,  d.3,  103 

1502,  1  novembre  —  1503,  14 
maggio. 

1502,  2  novembre  —  1503,  15 
maggio. 

125  ^.  Cominciano  col  28  geun. 
Le  interruzioni  princi- 
„„)     pali  sono:  7-14  e  16-20 
^^^     .febbr.,  22  febbr.-3  mar- 
zo e  5-9  marzo. 

76 
ci.  X,  d.3, 108 

77 
ci.  X,  d.3, 107 

1503,  15  maggio  —  6  ottobre. 
1603,  15  maggio  —  7  ottobre. 

250  \ 

^Sole  interruzioni:    18-26 
(    giugno,  15-17  agosto. 

281  / 

78 
ci.  X,  d.3, 109 

1503,  7  ottobre  —  1504,  8  giu- 
gno. 

11 6  interruzioni:  22  ottobre- 
>     29  dicembre,  11  gennaio 

79 
ci.  X,  d.3, 110 

1503,  7  ottobre  —  1504,  9  giu- 
gno. 

129  )     -1^  aprile. 

80 
ci.  X,  d.3, 112 

81 
ci. X,  d.3, 113 

1504, 10  giugno  —  9  dicembre 
1504,  12  giugno  —  9  dicembre 

209  \  Le  interruzioni  più  lunghe 
/     sono:  9-12,  14-16,  21-23 
„Q,  \     luglio,  13-15  agosto,  2-6 
^^M     dicembre. 

Digitized  by 


Google 


APPENDICE, 


673 


NUM.  D*ORT>INB 

de'  Minutari 
0  Registri 


Dats  estreme 

di  ciascun  Minutario  o  Registro 

secondo  Io  stile  fiorentino 


82 
cl.x,d.3,114 

83  ! 
cl.x,d.3,116| 

84  I 
x,d.3,117 


ci 


I 


ol 


ol 


85 
x,d.3,118 

86 
x,d.3,120 


87 
cl.x,d.3,121 


88-89  91-97 
ol.  X,  d.  3,  n.  ^ 

122,  123,1 

*126,*130,129( 

136, 135,  137, 

138 


1504,  10  dicembre  —  1505,14 
agosto. 

1504,  10  dicembre  —  1505,  16 
agosto. 

1505,  15   agosto  —   1506,    9 
giugno. 

1505,  17   agosto  —  1506,    9 
giugno. 

1506,  10  giugno  —  1507,  31  a- 
gosto. 

1506,  11  giugno  —  1507,  31  a^ 
gosto. 


NUM.   COU  FLESSIVO 

delle  lettere  di  mano  del  Machiavelli 

in  ciascun  Minutario  o  Registro 

e  Osservazioni  circa  le  date 


1507,  2  settembre 
settembre 


1513,  5 


285  \ 

/  Sola  interruzione  notevo- 
\    le  dal  16  al  26  luglio. 

270  ;  ^ 


263  \  Interruzioni  più  notevoli: 
21-25  agosto,  10-15  ot- 
tobre, 14-20  gennaio,  29 
gennaio- 12  febbraio,  27 

267  1  febbraio-22  marzo,  7-15 
aprile.  ^ 

126 '^  Interruzione:  23  agosto- 
2  novembre.  Dopo  il  12 
gennaio  se  ne  incontrano 

144  i  due  altre  sole,  una  del  6 
aprile  e  una  del  1 7agOBto 

46,  aventi  le  appresso  date, 
cioè:  1607,  6  e  7  settembre; 
1509,  13,  14,  29  maggio,  13, 
28  giugno,  2  luglio,  5  luglio, 
20  agosto;  1510  (s.  f.)  5  gen- 
naio e  4  febbraio;  1511,  11 
maggio,  20  gfiugno,  12,  15,  17 
e  18  luglio;  9,  11  e  16  agosto; 
10  settembre,  19  novembre, 
22  dicembre,  5,febbraio;  1512, 
21,  26,  27  luglio  e  25  agosto. 


Regibtbi  di  Delibebazioni  dei  Dieci 
contenenti  anche  patenti  e  lettere. 


ci,  n,  d. 
n.  205 


6, 


ci,  II,  d.  6, 
n.  207 

ci.  XIII,  d.  2, 
n.  159 


1502,  1 
gno. 


•lugUo  — 1504,  9  giu- 


1506,  10  dicembre  —  1511,  9 
giugno. 


21  Patenti  e  Lettere  con  queste 
date:  1502,  1*»  settembre,  V 
marzo;  1503, 16,  24  e  31  mag- 
gio, 12  e  28  luglio,  19,  20  e 
24  agosto;  5, 9,  21  settembre; 
1504,  20  aprile  e  21  maggio. 

1  Lettera  del  17  dicembre  1506. 


ReOISTBI  0  MlNUTABI   DE*  NoVE   DELLA  MILIZIA. 


1506,  12  gennaio  —  1507, 
dicembre . 


26  I  216.  Principali  interruzioni: 

1506,  17-31  marzo;  1507,  16 
aprile-4  maggio,  17  giugno-3 
luglio,  11-21,  23-30  luglio,  7- 
28  agosto,  18-27  settembre, 
8  ottobre-2  novembre,  11-19 
novembre .  L'ultima  è  del  7 
dicembre 

*  e.  1, 10  giugno  1507:  ■  Hlc  est  necundus  llber  ex  librls  eodem  tempore  currentlbus  Dnorum 
X,  Biasio  asectis  prò  N.  Malclauello  Inpresentiarum  ipsis  novera  ordlnum  militie  inserviente  •. 

*  C.  1,  Hic  alter  est  ex  binis  libris  Dnorum  X^,  prò  Iris  Infra  dHilim  scribendis,  Biasio  a 
secretis  prò  Male]". 


ToMMASUti  -  Machiavelli. 


43 


Digitized  by 


Google 


674 


APPENDICE. 


NUM.  d'oedinp.  I 
de'  Minutari 
o  Registri      I 


Date  estreme 

di  ciascun  Minutario  o  Registro 

secondo  lo  stile  fiorentino 


Numero  complessivo 

delle  lettere  di  mano  del  Machiavelli 

in  ciascun  Minutario  o  Registro 

e  Osservazioni  circa  le  date 


ci.  xin,  d.  2,j  1509.   16  novembre 
n.  160        I       15  marzo. 


1511, 


ci.  XIII,  d.  2,;  1511,   16  marzo  —  1512, 

n.  161       I       settembre. 


16 


18,  con  queste  date:  1509,  1  e 

15  febbraio;  1510,  18  feb- 
braio e  3  marzo;  1511,  12  e 

16  agosto,  e  13,  24  e  25  gen- 
naio. 

30,  con  le  seguenti  date:  1511, 

17  e  18  marzo,  1512,  2  e  23 
aprile,  18  maggio,  3,  5,  8. 15 
16  e  26  luglio,  6  agosto. 


Digitized  by 


Google 


V. 

(V.  libro  II,  capo  terzo,  pog.  JU). 

Lettera  premessa  al  Decennale} 

(Nazionale  di  Firenze,  classe  xxv,  N.  604  (Strozziano  1322  4-  0) 

Decemnale  —  Agustinus  raatej  N.  V.  uirìs  florentinis  salute. 

So  le  chose  pericholose  sono  deletteuole  ad  richordarsene,  la  me- 
moria de  prosimi  tempi  ui  douerà  esere  grata;*  sendo  suti  quegli  pe- 
ricolosisimi.  Onde  auendoli  Nicholo  Machiauegli  in  uersi  e  con  mirabile 
breuità  descritti,  come  quelo  che  è  desideroso  in  qualche  parte  mo- 
strai'si  grato  de' molti  onori  quali  confesa  hauere  riceuto  da  uoi,  mi 
è  parso  imprimerli  e  fare  questo  suo  dono  più  liberale;  né  uoi  ui  sde- 
gnierete  legere  in  tale  istilo  et  con  tanta  breuità  cose  si  graue  et  di 
tanto  momento,  perche  lui  non  per  altra  cagione  ^  le  ha  redotte  in  uersi 
e  si  breui,  se  non  perchè  uoj  possiate  in  pocho  di  bora  dischorere  can- 
tando tucti  quegli  pericholi  che  in  dieci  ani  piangendo  auete  chorsi 
sarà  anchora  questo  suo  compendio  *  non  per  pagamento,  ma  per  arra  '^ 
di  quelo  debbo;  il  che  più  largamente  e  con  magior  sudore  tutta  uia 
si  batte  nella  sua  fabricha.  E  benché  lui  asegni  questo  a  uoi  e  quello 
a  posteri  e  quali  in  tal  breuità  si  conftinderebono,  non  dimenò  gli  sarà 
grato  che  Tuno  e  l'altro  vi  piaccia,  perchè  spera  quanto  sapore  pren- 
derano  da  uoi  tanto  dapoi  sene  rappresenti  al  gusto  de  nipoti  nostri  :  et 
se  uedrà  questo  aprouarsi,  più  presto  et  con  maggior  fiducia  quello 
uscirà  fuora,  quanto  che  non  si  starà  più  uergognioso  in  chasa. 

Valete. 


1  Questa  lettora  venne  premessa  alla  prima  edlz.  del  Drcmnalr;  e,  per  quanto  alTermano 
Il  Graesse  e  il  Brunet.  fondandosi  sopra  il  Catalogo  della  Biblioteca  pinelliana  (iv,  n.  2299. 
pag.  336).  ad  una  seconda  edizione  sunra  luopro  né  data,  col  titolo  «  Dei  Decennali  primo  e 
^  parte  del  secondo  pubblicati  da  Agostino  di  Matteo  •;  le  quali  sono  d'una  estrema  rarità. 
Tutte  le  altre  edizioni  recano  invece  di  questa  la  nota  lettera  In  latino  e  in  It-aliano  ad  Ala- 
manno Salviati.  Noi  la  trascrivemmo  dal  citato  ms.  strozziano,  né  ci  parve  superfluo  recarla 
a  notizia  del  pubblico. 

■  Nella  scrittura  di  ser  Agostino  VespuccI  occorre  un  costante  raddoppiamento  della 
lettera  t,  che  a  noi  parve  bene  sopprimere  nella  pubblicazione. 

*  Ms.  :  •  cagone  ». 

*  Ms.  :  "  chonpedlo  ". 

*  Ms.  :  «  ara  «. 


Digitized  by 


Google 


VI. 

(Y.  libro  n,  capo  quinto.  pa«.  400). 

Consulte  e  Pratiche  della  repubblica  di  Firenze. 

(Archivio  fiorentino,  voi.  70,  cart.   128  e  seguenti)  ^ 

Die  17  Dicembris  1507.  Furono  dai  S.r  X^idi  nuovo  chiamati  l'in- 
frascritti Cittadini,  et  domandato  parere  se  elli  era  bene  mandare  ad 
Francesco  Vectori  uno  mandato  ad  potere  concludere,  o  veramente  la 
commissione  sola,  cioè  una  lettera  quale  era  designata,  nella  quale 
parti cularmente  se  li  commetteva  come  sì  havessi  a  governare:  Fu 
consigliato  nello  infrascritto  modo,  cioè: 

Messer  Francesco  Pepi  dixe,  *  che  circa  mandare  al  mandato 
li  occorreva  che  sanza  epso  potrebbe  nascere  dilatione  circa  l'apun- 
tare  quando  V  Imperatore  lo  volessi  vedere  :  il  che  non  sarebbe  quando 
Francesco  Fhavessi,  perchè  sendone  ricerco  lo  potrebbe  subito  mo- 
strare senza  bavere  ad  mandare  per  epso:  occorrevali  che  havendosi 
a  deliberare,  si  pubblicherebbe  et  saprebbesi  prima  altrove,  et  tamen 
credeva  fussi  da  prò  vedere  a  quello  che  era  più  dannoso  il  che  era 
la  dilatione  del  concludere,  perchè  potendo  Tlmperadore  fra  uno  mese 
venire,  quando  la  lettera  andassi  sanza  mandato,  et  loro  lo  volessino 
vedere,  vi  anderebbe  uno  15  di  almeno  di  tempo,  et  havendo  Cesare 
ad  venire,  quanto  più  si  differirà  tanto  sarà  peggio,  et  però  mande- 
rebbe con  la  lettera  el  mandato  anchora  non  ci  vedendo  altro  peri- 
culo,  se  non  la  pubblicatione  :  a  che  si  può  allegare  el  consueto  della 
Città:  et  dipoi  dare  el  sachramento  a  chi  l'ha  a  delibei^are  di  tenerlo 
secreto.  Circa  al  mandare  una  boza  di  capituli  per  stipulare  bene, 
crede  sia  ad  proposito  per  fare  la  cosa  con  più  utile,  ma  che  sarebbe 
difficile  per  haversi  ad  ire  in  questa  materia  gradatim,  et  haversiad 
fare  diverse  boze  ^  (secondo  le  ditìcultà  che  di  mano  in  mano  nasce- 
ranno in  simile  trattamento,  le  quali  saranno  ragionevolmente  assai  et 
di  diverse  qualità). 

Mess.  Niccolò  Altoviti  dixe  che  li  pareva  fussi  proposto  ^  dua 
cose:  la  prima  del  mandato:  la  seconda  della  boza  dei  capituli.  Circa 
el  primo  (li)  occorreva  il  medesimo  che  dixe  messer  Francesco  cioè 
che  5  la  lettera  a  ogni  modo  si  accompagni  col  mandato  sperando  che 
Francesco  ^  senza  manco  ne  abbia  ad  essere  ricerco,  et  non  lo  havendo 

^  Collazionato  col  testo   contenuto  nel  cod.  Vat.  ottob.  2759,    pag.    89t  In    cui   il  docu* 
mento  è  riferito  •  die  xv  derembris  1507  •. 

*  Cod.  ott.  •  dixe  che  secondo  el  Judicio  suo  dinìbbe  quello  li  occon-essi;  et  prima  circa 
al  mandare  el  mandato  o  no,  et  questo  perchè  sanza  esso  poteva  nascere  dilatione  •,  ecc. 

*  Quel  che  segue  In  parentesi  mancA  nel  cod.  ottob. 

*  Cod.  ott.  "  ad  proposito  •. 

»  Cod.  ott.  •  che  a  ogni  modo  la  lectcra  ". 

0  Cod.  ott.  -  babbi  ad  esserne  ricerco  ad  ogni  modo  «. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  Cn 

causerebbe  *  dispiacere  con  lungheza  et  danno  della  Città.  Circa  la 
boza  *  che  li  era  necessario  farla,  et  che  la  examinassi  bene  ad  ciò  si 
conducessi  quello  che  si  desidera. 

Mess.  Antonio  Strozi  dixe:  che^  era  della  medesima  opinione  di 
quelli  che  havevano  parlato  perchè  *  come  si  comincierà  ad  stringere 
la  pratica  subito  vorranno  li  Ministri  dello  Imperadore  vedere  che 
auctorità  habbia  Francesco  di  potere  concludere  per  chiarirsi  di  non 
essere  tentati,  et  quando  vedessino  non  lo  hàvessi  farebbe  disordine: 
et  però  havendone  ad  esser  ricerco,  fidandosi  di  Lui  che  maneggi 
queste  cose,  si  può  anchora  fidarli  el  mandato  :  et  però  si  accorda  ^  che 
si  mandi  insieme  con  la  lettera.  Circa  la  boza,  sendo  cosa  che  ri- 
cerca pratica,  li  manderebbe  una  ^  forma  del  modo  havessi  ad  tenere, 
et  quando  si  volessi  avanzare  tempo,  li  manderebbe  bora  la  lettera,  et 
dipoi  fra  pochi  di  detta  forma. 

Mess.  Francesco  Gualterotti  dixe  che  mandare,  o  non  mandare 
di  presente  el  mandato  non  li  pareva  di  molto  momento,  per  essere 
Francesco  prudente  et  che  sempre  l'userà  ad  benefltio  della  Città:  et 
che  quanto  a  lui  non  judicava  necessario  mandarlo  cosi  bora,  perchè 
sempre  in  simili  faccende  si  disputa  la  materia,  dipoi  si  viene  a  man- 
dati, et  che  sendo  la  materia  non  anchora  cominciata,  né  si  vedendo 
dove  habbia  ad  terminare,  non  sa  come  chi  lo  ha  a  deliberare  ^  vi  si 
accordassi  :  et  quando  si  mandassi  et  dipoi  variassi  qualcosa,  el  man* 
dato  non  basterebbe  et  sarebbesi  nelli  medesimi  termini.  Crede  che 
quando  sia  risposto  :  fermiamo  le  cose,  et  la  ratificatione  verrà  quando 
li  Tedeschi  habbino  animo  di  concludere,  che  non  habbia  a  dare  noia 
alcuna.  Concorreci  anchora  el  dubio  del  secreto.  Lo  bavere  a  dare  as- 
sai scripture  a  uno  cavallaro  (che  va  con  mille  pericoli  respecto  allo 
essere  guardati  tutti  passi)  *  et  però  scriverrebbe  ad  Francesco  che 
mandassi  le  conclusioni  in  sulle  quali  se  li  manderebbe  el  mandato 
non  pensando  ci  habbia  ad  correre  tanto  tempo  che  possa  guastare 
volendo,  come  ho  detto,  concludere. 

Mess.  Giovanvictorio  Soderini  dixe:  che  quello  haveva  parlato 
messer  Francesco  Gualterotti  era  secondo  il  gusto  suo,  perchè  fino  ad 
bora  non  si  era  dato  appicco  alcuno,  però  non  credeva*  che  si  ha- 
vessi ad  concludere  (cosi  presto),  et  insomma  per  li  respecti  allegati 
indicava  bastassi  la  commissione  datali  non  pensando  che  la  cosa  si 
habbia  ad  ridurre  in  termini  da  non  la  potere  fare  con  gratia  di  quella 
Maestà. 

Mess,  Matheo   Niccolini  dixe:   che   facendo  el  mandato  si  publi- 


^  Cod.  ott.  •  darebbe  dispiacere  et  genererebbe  lunghezza  con  danno  della  città;  et  circa 
al  modo  del  farlo  respecto  al  segreto  non  sa  se  bisogna  el  consiglio  delti  Ottanta,  et  che 
8i  servi  II  modo  si  usò  nell'altro  ». 

*  Cod.  ott.  •  ludica  sia  necessario  «. 

■  Cod.  ott.  •  essere  della  medesima  «,  ecc. 

^  Cod-  ott.  ••  perche  tra  le  prime  cose,  come  si  bara  a  stringnerc  la  praticha  Tedeschi 
vorranno  uedere  che  autorità  harà  franccscho  •. 

s  Cod.  ott.  •  et  però  s'accorda  uolentierl  che  si  mostri  hauere  fede  In  lui  et  che  se  II 
dia.  Quanto  alla  boza  «,  ecc. 

1  Cod.  ott.  •  la  forma  secondo  hauessi  ad  fare  •,  ecc. 

^  Cod.  ott.  <4  addare  «. 

^  Quel  ch'è  tra  parentesi  manca  nel  cod.  ott. 

*  Cod.  ott.  «non  crede  •. 


Digitized  by 


Google 


678  APPENDICE. 

cherebbe,  il  che  ha  mosso  axi  fare  più  tosto  per  via  di  lettera  *  et 
perchè  la  cosa  non  è  anchora  cominciata,  adheriva  piutosto  a  non  lo 
noandare  che  altrimenti,  sendo  prima  necessario  digestire  la  materia 
et  dipoi  dare  el  mandato. 

Pier an  tomo  Carnesechi  dixe  che  elli  era  stato  judicato  ad  pro- 
posito tractare  questa  cosa  per  raezo  di  Francesco  Vectori  per  non 
si  scoprire,  et  per  fuggire  questo  pericolo  credeva  bastassi  commin- 
ciare  con  la  commissione  che  elli  ha,  pensando  che  quando  dica,  el 
mandato  verrà  ogni  volta  siamo*  daccordo,  habbia  ad  bastare^  ha- 
vendo  quella  Maestà  animo  di  concludere;  et  però  manderebbe  bora  la 
commissione  sola  con  una  boza.  •* 

Bernardo  da  Diacceto  dixe:  che  considerato  quanto  importava 
questa  cosa,  credeva  fussi  bene  pigliare  el  modo  che  dixe  mess. 
Francesco  Gualterotti  come  più  sicuro,  di  mandare  bora  la  lettera  et 
altra  volta  il  mandato. 

Piero  del  Nero  dixe  :  che  la  più  sicura  sarebbe  dare  una  compa- 
gnia a  Francesco  Vectori  che  havessi  notitia  di  questa  cosa:  (tamen 
che  terrebbe  la  via  et  il  modo  ricordato  dal  Gualterotto). 

Guglielmo  de  Pazzi  dixe:  che  chi  haveva  consigliato  Ano  adlhora 
di  dare  commissione  ad  Francesco  Vectori  lo  haveva  fatto  per  fuggire 
il  pericolo  del  differire,  et  che  la  disputa  del  mandare  el  mandato,  o 
nò,  li  pareva  variassi  dalla  conclusione  facta,  ^  perchè  mandando  la 
lettera  ^  sensa  epso  non  si  fuggirà  il  pericolo  detto  ;  però  era  della 
opinione  di  quelli  che  havevano  consigliato  di  mandarlo  con  la  let- 
tera insieme  et  con  la  boza  de  capituli,  le  quali  scripture  si  mandino 
per  tante  vie  che  giunghino  sicure,  accordandosi  ^  di  mandare  qual- 
cuno che  fussi  di  ingegno  et  potessi  aiutare  Francesco  in  questo  ma- 
neggio. 

Giovachino  Guasconi  dixe:  che  credeva  che  chi  concorreva  ad 
dare  danari  allo  Imperadore  lo  facessi  più  per  paura  che  per  amore, 
et  che  bastassi  per  bora  a  Francesco  la  commissione  solamente,  per- 
chè subito  che  saranno  daccordo  si  potrà  inviare  el  mandato,  et  che 
en  (sic)  questa  prima  mossa  questo  doverrà  bastare. 

Lorenzo  Dietesalvi  *  che  era  della  opinione  di  mess.  Francesco 
Pepi  di  mandare  con  la  lettera  il  mandato  perchè  'non  vorrebbe  che 
questo  fussi  causa  di  dilactioni  et  per  consequens  di  disordini. 

Antonio  Canigiani  dixe:  che  fu  concluso  di  commettere  a  Fran- 
cesco et  farli  una  buona  lettera  ad  ciò  si  vedessi  se  quella  Maestà  era 
in  disposictione  di  apuntare,  perchè  quando  non  fussi  (di  tale  animo) 
né  mandato  né  altro  basterebbe;  et  che  volendo  bora  fare  mandato 

^  Cod.  ott.  •  ad  fare  con  lettere  più  tosto  che  con  ambascladori  o  altri  et  essendo  la 
cosn  ancora  «,  ecc. 

■  Cod.  ott.  •  sieno  ». 

*  Cod.  ott.  •  bast<jrà  • . 

*•  Cod.  ott.  ••  et  manderebbe  la  bozza  ad  ogni  modo  -». 

*  Cod.  ott.  «  facta  dua  sere  fa  ». 
*'  Cod.  ott.  «  la  commissione  ». 

''  Cod.  ott.  >  et  confortò  mandare  uno  che  haaessi  ingegno  et  fussi  adluto  ad  francescho 
in  questo  maneggio  ». 

*  Cod.  ott.  -  disse  che  el  primo  dicitore  li  haaeua  molto  satisfacto  ;  che  tenendosi  fticta 
la  conclusione  si  fecie  l'altra  sera,  era  dell'oppinione  medesima  che  ms.  Francescho.  perche 
non  vorrebbe  che  domandandoli  delPautorltà  sua  et  non  la  potendo  mostrare  credessino  di- 
leggiassimo et  ne  nascessi  disordine  ». 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  679 

credeva  fussi  uno  volere  mettere  tempo  im  mezzo,  et  che  quando  si 
contrahe  hanno  prima  le  parti  ad  essere  daccordo,  dipoi  si  monstrano  * 
li  mandati,  et  per  avanzare  tempo  credeva  fussi  bene  mandare  la  let- 
tera sola:  et  dipoi  se  bisognerà  el  mandato,  si  potrà  faplo  et  mandarlo 
subito:  ma  non  sendo  per  bora  appiccata  la  pratica  non  judicava  ne- 
cessario mandarlo. 

Pietro  delti  Atberti  dixe:  che  adheriva  al  parere  de  primi  tre  di- 
citori che  il  mandato  di  presente  si  mandasse  ad  Francesco  con  la 
commissione,  etc.  et  che  li  parrebbe  che  havendosi  ad  tractar  di  da- 
nari, la  cosa  si  mettessi  nelli  Octanta  et  Collegi. 

Pierfrancesco  Tosinghi  dixe  :  che  di  presente  bastava  mandare  la 
lettera  facta,  perchè  havendosi  ad  concludere  crede  ogni  volta  che  dica 
che  el  mandato  sarà  presto,  non  babbi  ad  guastare,  et  lo  manderebbe 
quando  lo  chiedessi  et  non  prima. 

Piero  Lenzi  dixe  :  che  la  conclusione  ultima  fu  facta  per  due  cause  : 
runa  per  avanzar  tempo,  Taltra  per  conto  del  secreto  :  et  la  lettera 
designiata  li  pareva  molto  ad  proposito:  non  li  pareva  anchora  ne- 
cessario el  mandato  non  sapendo  se  Cesare  vuole  convenire,  o  no:  et 
inteso  questo,  si  sarà  sempre  ad  tempo  ad  mandarlo,  et  però  adhe- 
riva a  quelli  che  dicevano  che  per  bora  non  si  mandassi.* 

Giovanni  Ber  ardi  dixe  :  che  si  disputava  se  si  haveva  ad  mandare 
a  Francesco  Vectori  el  mandato,  o  nò:  et  che  poiché  mess.  Francesco 
Pepi  haveva  detto  che  haveva,  ad  esser  generale,  era  suto  et  era  di 
opinione  di  mandarlo:  ma  quando  in  epso  si  havessi  ad  specificare 
cosa  alcuna,  differirebbe  rispecto  al  secreto  con  mandare  di  presente 
la  lettera  disegniata  con  una  forma  di  capìtulì  nel  modo  havessimo  ad 
stare. 

Niccolò  Zati:  che  adheriva  al  mandare  la  lettera  sola  et  differire 
el  mandato;  con  mandarli  una  instructione  et  forma  del  modo  del  con- 
tratto; et  che  a  questo  lo  moveva  el  secreto  perchè  o  generale,  opar- 
ticulare,  a  ogni  modo  si  pubblicherebbe. 

Lorenzo  Morelli  dixe:  che  haveva  sentito  prudentemente  disputare 
la  cosa,  ma  che  si  era  lasciato  indrieto  una  cosa  la  quale  era  che  per 
tractare  questa  cosa  prudentemente  era  da  mandare  (più)  septimane 
fa  li  ambasciadori,  ^  ma  per  vedere  la  cosa  più  chiara  s'era  expectato 
Uno  ad  hoggi,  et  havendosi  ad  expectare  risposte  di  qua  et  di  là,  si 
può  credere  che  havendo  ad  venire  sarebbe  in  Italia;  però  fu*  con- 
cluso scrivere  et  commettere  a  Francesco  per  avanzare  tempo,  et  che 
havendosi  ad  fare  le  minute,  sendo  tre  ragioni  di  compositione,  è  im- 
possibile sieno  cosi  ad  punto;  et  una  minima  cosa  guasta,  et  haven- 
dosi ad  mandare  el  mandato,  anchora  che  si  proponga  generale,  vor- 
ranno sapere  e*  particulari,  et  che  Francesco  era  homo  prudente  et 
da  maneggiare^  la  cosa  con  più  benefitio  potrà:  però  manderebbe 
la  lettera  sola  potendo  presupporre  che  sendo  facta  da  chi  ha  aucto- 

*  Cod.  ott.  >  et  alhora  si  manda  el  mandato  >. 

'  Cod.  ott.  «•  che  per  hora  non  si  mandi  mandato  ;  et  quando  .si  hauessi  pure  ad  man- 
dare, uorrebbe  mandare  uno  che  hauessi  expeiientia  di  simili  cose  >. 
»  Cod.  ott.  •  li  oratori  •. 

*  Cod.  ott.  •  s'è  ■. 

^  Cod.  ott.  -  et  manegferia  ». 


Digitized  by 


Google 


680  APPENDICE. 

rità,  basterà:  et  se  lo  Imperadore  vorrà  concludere,  alhora  basterà 
domandare  la  ratiflcatione,  et  però  volendo  avanzare  tempo  mande- 
rebbe la  lettera  sola. 

Filippo  dell' Antella  dixe  :  che  per  men  male  adheriva  ad  man- 
dare per  hora  la  lettera  sola  per  avanzare  tempo  judicando  che  basti. 

Niccolò  Macchiavelli  *  dixe  :  che  adheriva  con  quelli  che  dicevano 
che  si  mandassi  per  hora  la  lettera  sola  nel  modo  era  disegniata. 

Benedetto  de  Nerli  dixe:  che  per  non  scoprire  questa  materia 
manderebbe  la  lettera  sola,  perchè  se  Cesare  vorrà  convenire  con  la 
Città,  questo  non  doverrà  guastare. 

Filippo  Carducci  :  che  la  maggior  parte  s'accordava  ad  mandare  la 
lettera  sola,  et  che  per  non  deviare  da'  più,  era  della  medesima  opinione. 

Iacopo  Giachi  :  che  manderebbe  ad  ogni  modo  el  mandato  perchè 
credeva  che  questo  havessi  ad  essere  tra'  le  prime  dispute. 

Tommaso  Ginori:  dixe  che  considerato  che  la  cosa  non  expectava 
tempo,  et  che  fare  el  mandato  voleva  tempo  et  portava  periculo  del 
secreto,  però  era  della  opinione  del  Gualterotto,  non  pensando  che 
quando  quella  Maestà  voglia  apuntare  con  la  Città,  che  questo  habbia 
ad  guastare,  o  fare  una  minima  difficoltà. 

Uberto  de  Nobili  dixe:  che  la  lettera  li  satisfaceva  assai,  et  però 
quanto  più  presto  andassi  tanto  più  charo  l'harebbe  sanza  altro  man- 
dato per  hora,  perchè  Francesco  quando  Irene  havessi  el  mandato  pi- 
glerà tempo  a  ogni  modo  ad  ratificare. 

Luigi  della  Stufa  dixe  :  che  la  deliberatione  ultimamente  fatta  U 
piacque  et  che  mandando  per  hora  la  lettera  disegniata  credeva  ha- 
vessi a  dare  un  buono  principio  a  questo  maneggio  et  che  Francesco 
habbia  ad  rescrivcre  subito  indrieto  et  alhora  si  potrà  mandare  el 
mandato  et  ciò  che  altro  bisognerà. 

Luca  di  Maso:  che  sarebbe  suto  di  opinione  di  far  la  cosa  d'un 
pezo,  ma  per  fuggire  el  pericolo  di  non  pubblicare  questa  cosa,  et  per 
fare  manco  male  concorreva  che  per  hora  si  mandassi  la  lettera  sola 
sanza  altro,  et  che  quando  habbino  a  convenire  piglino  tempo  conve- 
niente et  alhora  si  manderà  il  mandato  et  ciò  che  altro  bisognerà. 

Piero  Guicciardini  dixe  :  che  mandare  la  lettera  sànza  mandato 
credeva  havessi  ad  essere  più  secreto  et  più  presto:*  che  erano  due 
cose  da  desiderare  assai  in  questo  tractamento. 

Gherardo  Corsini  dixe  che  li  pareva  che  questo  modo  di  proce- 
dere non  dovessi  dare  tanta  difiScultà  non  si  disputando  se  si  baveva 
ad  convenire  con  Cesare,  o  nò  :  Adheriva  che  per  hora  si  mandassi  la 
lettera  sola  sendo  Francesco  stato  sempre  a  largo  sanza  appiccare 
pratica  et  che  facendo  el  mandato  et  non  si  appuntando  poi  farebbe 
disordine,  et  però  non  lo  manderebbe  per  hora,  non  judicando  che 
habbia  ad  impedire  lo  apuntamento  quando  Cesare  lo  voglia  fare. 

Antonio  Giacomini  dixe:  che  bisogniando  tempo  ad  fare  el  man- 
dato era  della  opinione  del  Gualterotto. 

^  Niccolò  d'Alessandro  Machiavelli. 

•  Cod.  ott.  "  più  presto  et  secreto;  cose  da  desiderarlo  assai.  Queilo  del  mandato,  et 
farlo  nelll  ottanta  et  più,  secondo  Tordinamento  et  consueto  della  città  et  qualunche  si  pi- 
glierà  sarà  commendato  ». 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  681 

Gerardo  Gianfigliazi:  el  medesimo  che  el  Gualterotto. 

Francesco  Pandolfini:  che  T ultima  sera*  si  risolvè  ad  usare  la 
via  di  Francesco  Vectori  piuttosto  che  quella  delli  Ambasciadori  come 
più  presta  e  più  secreta,  *  et  che  stante  questo  fondamento  li  pareva 
facessi  effetto  contrario  el  voler  fare  hora  mandato;  perchè  priverrà 
di  quello  commodo  per  il  quale  fu  concluso  usare  el  mezo  di  France- 
sco: et  perchè  lo  presupponeva  prudente,  quando  bene  havessi  el 
mandato,  credeva  che  lo  offitio  suo,  avanti  fermassi,  frissi  di  darne 
adviso  et  aspectare  la  risposta,  et  però  manderebbe  per  bora  la  let- 
tera disegniata  sanza  altro  :  perchè  credeva  fussi  vano  mandare  boza 
0  altra  forma,  potendo  nascere  assai  difflcultà  ^  (da  fare  variare). 

Lionardo  Salvucci  dixe:  che  approvava  mandare  la  lettera  sola 
sanza  altro  mandato,  et  di  più  che  ricordava  si  mandassi  qualcuno, 
che  fussi  inferiore  a  Francesco,  il  quale  perdendosi  la  lettera  potessi 
riferire  a  bocca. 

Giuliano  Marucelli  dixe:  il  medesimo  che  il  Gualterotto. 

Antonio  di  Saxo:  che  si  mandassi  per  hora  la  lettera  sola. 

Chùnenti  Cerpelloni  dixe:  che  crederebbe  fussi  molto  a  proposito 
che  la  lettera  et  il  mandato  vi  fussi,  tamen  per  le  ragioni  allegate  si 
accordava  fìassi  meglio  per  hora  mandare  la  lettera  sola. 

Giovan  Francesco  Fantoni,  il  medesimo:  che  si  mandi  la  lettera 
sola. 

Bernardo  Neretti:  il  medesimo. 

(Mandovisi  Niccolò  Machiavelli  Cancelliere).  * 


^  Cod.  ott.  ••  ad  queste  sere  ». 

*  Cod.  ott.  "  per  essere  una  via  più  sicura  et  più  presta  >. 

*  Cod.  ott.  u  che  non  si  preveggano  >. 

'*  Questo  appunto  manca  nel  cod.  ottob.  —  Ma  nella  •  Consulta  de'  di  xxx  decemb.  1507  «: 
•  Niccolò  Altoviti  dixe  per  tutti  e'  doctori  el  ringratiava  della  parteclpatione  delli  aduisl  :  et 
che  non  accadeua  dire  altro  di  nuouo  parendo  d'aspectare  lettere  dopo  la  giunta  di  Niccolò 
Machlauelli  •.  —  E  gli  altri  tutti  dissero  il  medesimo.  Nell'occasione  della  pubblicazione  della 
presente  Consulta,  crediamo  avvertire  che  quantunque  C.  Milanesi  nel  Catalogo  dei  mss. 
posseduti  dal  march.  Gino  Capponi,  Firenze, .  Galileiana,  1845,  citi  il  ms.  2109,  contenente 
Deliberazioni  e  Consulte  del  Consiglio  pìccolo,  come  autografo  di  N.  M.,  a  noi  In  Firenze 
non  riusci  saper  nulla  di  questo  codice.  i 


Digitized  by 


Google 


VII. 

(V.  libro  II,  capo  quarto,  pag.  359). 

(A  tergo).  Girihizi  *  cV Ordinanza. 

(Archivio   fiorentino  —  Provenienza   Zanoni). 

Concludo  addunche  che  chi  dice  che  se  ne  tolga  pochi,  non  se  ne 
intende:  et  sohgiugnerò  questo:  voi  havete  scripti  circa  20  mila  fanti: 
voi  li  vorresti  ridurre  o  ad  sei  o  ad  dieci.  Ad  fare  questo  bisogna  fare 
in  uno  de  dua  modi:  o  ridurre  le  bandiere  a  sì  poco  numero  che  le 
faccino  questa  somma,  cassando  Taltre;  o  lasciando  stare  le  bandiere 
sciemare  li  huomini  sotto  di  quelle.  Nel  primo  caso  voi  ojffendete  quelli 
paesi  che  voi  lasciate  indrieto,  et  crederanno  che  voi  li  habbiate  ad 
sospecto;  nel  secondo  caso  voi  offendete  gli  huomini  che  voi  lasciate, 
et  venitevi  ad  fare  tanti  ni  mici  quanti  amici.  Oltra  di  questo,  volendo 
tenere  armati  sei  mila*  huomini  in  tucto  el  paese  vostro,  vi  bisognerà 
mutare  ordine  di  bandiere,  et  torneranno  si  rari,  che  fia  ad  raccorli 
insieme  come  cercare  pe'  funghi.  Dipoi  per  molte  cose  che  fanno  scie- 
mare  li  scripti  altrui  fra  le  mani,  non  sarà  mai  che  voi  vi  vagliate 
della  metà,  de'  dua  terzi  di  loro.  Et  pero  io  dico  che  se  voi  volete  otto 
a  diecimila  fanti  bene  ordinati  et  bene  armati,  vi  è  necessario  tenerne 
in  ordinanza  25  o  30  mila  et  fare  quella  cappata  di  quelli  terzi  ^  et 
quelli  arzanà  che  io  vi  dissi. 

Pure  se  voi  volessi  sciemare  bandiere,  scemerei  queste  dua  ban- 
diere delle  porte:  Sanminiato  et  Poscia  et  Colle,  le  otto  bandiere  che 
sono  in  Romagna  et  le  dua  che  sono  in  Lunigiana,  per  esser  discosto  : 
perchè  io  mi  vorrei  serbare  le  più  propinque,  le  quali  sono  22  ban- 
diere che  occupavono  undici  connestaboli,  et  più  di  -  8  -  mila  fanti. 


^  Lasciamo  questa  parola  in  quella  forma  in  cui  si  trova  nell'autografo,  sembrandoci 
che  a  questa  guisa  meglio  risponda  airetimologia  che  si  dà  alla  più  recente  forma  della 
voce  ghiribizzi;  che  il  Salvimi  deriva  da  giro^  giramento,  e  bizza,  furore,  •  onde  bizzarro 
prima  per  iracondo  e  poi  per  istravagant-e.  Gliiril>izzi,  giri,  cioè  pazzie,  capricci,  fantasie 
stravaganti  ".V.  Tommaseo  e  Bellini,  Vocabolario  della  lingua  it.  —  ìiéìV Apfygrafo  di  Glu- 
lian  de'Ricci,  §  xxi,  si  anno  i  Ghiribizzi  scritti  in  Raugia  a  Pier  Soderini.  Probabilmente 
sull'originale  sarà  stato  scritto  giribizì^  come  a  questo  luogo,  e  il  pietoso  nipote  avrà  rac- 
conciato la  parola  secondo  quell'uso  grammaticale  che  a'suoi  tempi  era  in  voga.  In  ambedue 
questi  casi  mi  sembra  che  il  Machiavelli  dia  alla  voce  italiana  ghiribizzo  quella  significa» 
zione  che  fra  i  Greci  e  I  Latini  aveva  paradoxa. 

«  n  testo:  •  6  -. 

■  Si  allude  allo  Scritto  intorno  aWOrdinansay  che  è  nella  Blbl.Naz.,  Doc,  A/.,  bust«  1". 
n.  73.  —  Cf.  come  questi  Giribizi  sono  fondamento  a  qujtnto  è  dichiarato  dal  M.  neWArtc 
della  guerra,  lib.  i;  ove  Fabrizio  Colonna  risponde  alle  obiezioni  di  Cosimo:  •  perchè  io  ò 
sentito  in  molte  parti  biasimare  l'ordinanza  nostra,  e  massime  quanto  al  numero;  perchè 
molti  dicono  che  se  ne  debbe  tórre  minor  numero,  di  che  se  ne  trarrebbe  questo  flutto,  che 
sarebbono  migliori,  e  meglio  scelti;  non  si  darebbe  tanto  disagio  agli  uomini;  potrebbesl  dar 
loro  qualche  premio,  mediante  il  quale  starebbono  più  contenti,  e  meglio  si  potrebbono  co- 
mandare. Donde  Io  vorrei  intendere  in  questa  parte  l'opinione  vostra,  e  se  voi  amereste  più 
il  numero  grande  che  il  piccolo,  e  quali  modi  t«rreste  ed  eleggerli  nell'uno  e  nell'altro 
numero  >. 


Digitized  by 


Google 


vili. 

(T.  libro  II,  capo  quarto,  pag.  371). 

Mostra  et  resegna  armata 

del  III.'"''  S.***"  duca  de  Urbino  Capilanio  generale  de  la  Sancia  Ecclà 
facta  socio  la  Torre  de  Quinto  die  xxmj  Julii  1505} 

(Archivio   di   stato   in  Roma  —  Diversa    Gentium  Armorum  i505,  pag.  2). 

Lancze  Speczate.  Federico  de  Sancto  AngTo  Caporale.  C*  liar.  col  mer- 

cho  duchale  :  mer  :  ^  la  massella  dricta,  la  morfea  a  lochio  stancho  C.  1 
Bap.ta  de  Angelo  de  Castel  durante.  C.  ba.  mer.  la  Cossa  dextra  col  mar.* 

ducale,  co.-''»  co.  et  ga.  negre,  mer.  la  massella  corno  de  sunr.'x.  stella  in 

fro.  mer.  fra  le  nare  bal.^  detri CI 

Berno  de  narni  da  Castel  durante.  C.  baio  sauro  mer.  la  Cossa  dextra 

cotho  alla  Turchescha,  stella  in  fronte CI 

Justo  de  Chimenti  fiorentino  CM.  baio M.  1 

Philippo  de  piero  dicto  Bergamo.  C  liar.  mos.  ^ CI 

Bianjihino  de  Bern.o  da  gubio.  C  ba.  co.  co.  et  ^ambe  negre,  ste.  infron. 

mte  la  Cossa  dextra • CI 

Simon  de  Jacobo  de  Agubio.  Cba.faczuto.  co.  co.  ga.  negre,  bai.  datri  C  1 
Biello  de  Ant.»  dagubio.  C.  sag.  scuro,  mer.  la  Cossa  dextra  de  mercho 

reale CI 

lobi  de  Fran.co  de  Augubio.  C  liar.  sauro,  mer.  la  Cossa  dextra  ..CI 
Cothone  de  SM  de  Augubio.  C  sag.  ros.  co.  co.  et  ga.  negre  ...CI 
Fran.co  de  Miss.«r  Jacobo  dagubio.  C  liar.  piccola  stella  infro.  ..CI 
Saxo  de  Costanczo  da  Cortona.  C  baio.  co.  co.  et  ga.  negre  mer.  la  Cossa 

et  la  massella  dextra 

Stivai  ino  de  Nicola  da  rezo.  C  liar.  pom CI 

Piero,  de  Jo.  de  la  dozia  danzo.  C  baio  sauro CI 

Jac.o  de  Cost.no  de  Cita  de  Castello.  C  ba.  co.  co.  et  gara,  negre,  ferito  in 

la  groppa  dalla  banda  dextra 

Philippo  de  M.  Bonforte  de  Landriano  milanese.  C  liar.  mos.  ferito  nel 

galone  dextro 

*  Non  ci  sembra  Inutile  porpere  al  lettore  questo  sa{rgio  del  modo  con  cui  solevasl  alle 
rassegne  descrivere  II  cavallo  >  per  peli  e  segni  <•  secondo  che  il  Machiavelli  e  i  citati  docu- 
menti si  esprimono.  Non  avendone  trovati  nell'Archivio  di  Stato  di  Firenze,  ci  parve  trar 
partito  del  Diversa  gentium  armorum  dell'Archivio  romano,  come  scritto  contemporaneo  e 
slmigliante  per  certo  anche  nella  forma  ad  atti  congeneri.  Come  è  chiaro,  nelle  abbreviature 
si  accennano  cavalli  moscati,  lupati,  morfeati,  liar  dì,  rotati,  saginati.  eotti  alla  turehesea. 
—  Il  Caracciolo  nella  sua  Gloria  del  cavallo,  divisa  tn  dieci  libri,  Venezia  1587,  a  pag.  760 
(lib.  iz)  scrive  citando  11  Ruslo:  «  Chi  desidera  la  lunga  sanità  del  suo  cavallo,  si  che  né 
galle,  né  sopro.ssi,  né  spinelle,  né  curbe,  né  furme,  né  spavani  giammai  l'infestino  et  che  con 
maggior  fiducia  si  possa  faticare...  habbia  cura  ch'egli  da  un  perito  maestro  sia  cotto  In 
quelli  luoghi,  dove  cotall  vitii  soglion  nascere  <>. 

*  Cavallo  liardo. 

8  Mercato,  per  •  marchiato  ». 

*  Marchio. 

*  Collo,  coscle  et  gambe. 
'^  Balzano  da  tre.  (f) 

'  Moscato. 


Digitized  by 


Google 


684  APPENDICE. 

Josia  de  luca  da  fermo.  C.  lìar.  ros CI 

Marc»  Anto  de  Raphaele  de  rocha  contrada.  C.  liardo  Coda  longa  in 

Terra CI 

Fran.  de  ludo  vi  co  de  vrbino  C  liar.  sauro,  sag CI 

Guido  Anto  nino  da  S^o  Angelo  in  Vado.  C.  sag.  ros CI 

Federico  de  luca  da  fermo  C  mor.  morf.  el  muso,  stella  in  fronte  .  C  1 
Ludovico  de  Cariceto  de  Urbino.  C.  liar.  mos.  cotto  alla  turchescha  C  1 
Barth.o  de  Georgio  de  bargni.  C  ba.  schiavo,  co.  co.  g.  ne.  ..CI 
Elaineri  de  Johann!  de  Serodo  da  fossambruno.  C  ba.  sauro  cocto  alla 

Tur.  stella  in  fron CI 

Domno  de  Thomaso  da  monte  pulciano.  C  bruno  maltinto  balz.  dal  sini- 
stro drieto CI 

Ludovico  de  roberto  dalla  Pergola.  C  ba.  stel.  infron CI 

Aloyse  de  pier  gentile  dalla  pergola.  C.  mor.  mer.  la  Cessa  dextra  col 

segno  ducale CI 

Gentile  de  Cesano  da  Cagli.  C.  ba.  co.  co.  g.  negre CI 

Stella  de  domenico  de  sancto  Angelo  in  vado.C  sag.  diy  signi  de  foco  alla 

^amba  dextra CI 

Johi  de  franco  de  S.to  Angelo  in  Vado.  C  bru.  maltento:  mer.  in  la  Co. 

dex.  cotto  alla  Tur CI 

Nicolò  de  Bartho  de  fossambruno.  C  br.  mal.  tento CI 

Thomaso  de  Cater.o  dela  Smig.  C.  ba.  stel.  infron CI 

Octa Viano  de  Carlo  castracane.  C  mor.  mer.  lacossa  dex.  drieto.    .    C  1 

Biasio  da  frontino.  C  mor.  mer.  la  co.  dex CI 

Marino  de  Gratioso  da  Montecchio.  C  li.  mor.  la  cos.  dex.  co.  longa.  muso 

negro CI 

Ant.o  de  Jo.  de  S.to  Stepho.  G.  ba.  stel.  infron CI 

Johanbba.  de  Alex.o  da  cagli.  C.  saginato CI 

Buccio  de  Michele  da  Cagli.  C.  liar.  morf.  in  le  nare  vno  signo  de  foco  in  la 

cessa  dex CI 

Paulo  de  Domeniche  da  Arimini.  C  br.  mal  tento  una  ferita  in  la  gola.  C  1 
Jo.  Anto  de  Gabriele  da  Cagli.  C  ba.  mer.  in  la  Cessa  dex.  co.  co.  gambe 

negre CI 

Barella  de  Adam  de  Cantiano.  C  sag.  mer.  in  Cessa  dex.  pel.  bianche  in 

la  testa CI 

Federico  de  martino  Tedesco.  C  b.  stella  infron.  betta  de  foco  in  la  Cessa 

dex CI 

Saccocha  de  miss,  pirro  da  Cagli.  C  sag.  rosso  bai.  del  stanco  drieto.  C  1 
Cecco'  de  Archangelo  da  Cagli.  C.  ba.  saure  sfa.  mer.  la  ce.  dex.  ..CI 
Benedecto  de  Johann!  de  mantua.  C.  ba.  balzano,  el  sinistro  drieto.  ce.  co. 

g.  negre CI 

Aleysi  de  pietre  Anto  da  piasenza.  C  sag.  rosse,  sfa.  bai.  dal  sinistro 

drieto CI 

Mase  de  Nicola  de  Vrbino.  C  sag.  rosso  cotto  alla  Turchesca      ..CI 

Donato  de  Johann!  de  Serazana.  C  liar.  morf. CI 

Franco  de  Alberthe  da  Verena.  C  ba.  bai.  da  f.  sfa. CI 

Marco  de  Menge    da    Mentaleeno.   C   morello    focato    in  la  Cessa 

dextra CI 


Digitized  by 


Google 


IX. 

(T.  libro  Bccondo,  Introduxion*,  pag.  139,  457  e  agg.) 

'  Submissio  Civitatis  Pisarum. 

(Firenze.  Archivio  della  Repubblica.  Novarum  Submiisìonum,  lib.  i,  classe  xi 
dist.  T,  n.  48,  CapUoU;  nam.  mod.  52).^ 

In  Dei  nomine  amen.  Anno  Domini  nostri  Jesu  Ghristi  ab  ipsius 
salutifera  incarnatione  millesimo  quingentesimo  nono  more  fiorentino, 
indici  XII,  et  die  quarta  mensis  Junii.  Actum  in  loco  solite  Residentie 
infrascriptorum  magniflcorum  Dominorum  Decem  Balie,  presentibus  te- 
stibus  ad  infrascripta  omnia  et  singula  vocatis,  habitis  et  rogatis,  vi- 
delicet 

Domino  Tommasio  Domini  Jacobi  Antoni!  de  Buchio  de  Gaeta 

Dno  Hercule  Angeli  de  Salterei lis  de  Ferrarla 

Dno  Obizo  Lodovici  de  Obizis  de  Padua,  et 

Ambrosio  Pacis  de  Ferrarla:  Florentie  commorantibus  ;  et 

Domino  Marcello  Virgilio  primo  Secretarlo  Excelse  Dominationis 
Fiorentine,  et 

Nicolao  Diii  Bernardi  de  Machiavellis  etiam  Secretarlo  Dominationis 
prefate,  et 

Biasio  Bonaccursii,  Philippi  Blasii  Cive  Fiorentino, 

Pateat  omnibus  evidenter,  qualiter  infrascripti  egregii  viri,  vide- 
licet 

Dnus  Franciscus  olim  Federici  de  Lanthe,  Jur.  utr.  Doctor 

Jacobus  olim  Laurentii  de  Ancroia 

Franciscus  quondam  Johannis  de  Torto 

Jacobus  olim  Cristophori  de  Testa,  et 

Ser  Tommas  olim  Meuccii  de  Monte  Magno,  Cives  Pisani,  et 

Matteus  Gaddi  de  Sancto  Prospero 

Antonius  olim  Bartolomei  de  Sauna  de  Mezana* 


*  Flaminio  dal  Boroo  nella  «uà  Raccolta  di  scelti  diplomi  pisani,  Pisa,  1765,  pajr.  406-428, 
pubblicò  questa  capitolazione  secondo  il  testo  pisano  del  notato  Pietro  d'Arrostino  degli  Apo- 
stoli (V.  Bibl.  Naz,,  Doc.  M.,  b.  iv,  n.  130);  noi  non  credemmo  inutile  pubblicarne  11  testo 
fiorentino  di  ser  Francesco  d'Ant.  Ottaviani,  principalmente  perchè  oltre  la  niuna  fedeltà 
nella  grafia  dell'edizione  pisana,  gli  svarioni  che  sfuggirono  alla  perspicacia  del  Dal  Borgo 
rendevano  affatto  indispensabile  una  ristampa  di  questo  importantissimo  documento.  Noi,  ciò 
facendo,  ci  occupammo  di  rilevare  in  nota  le  discrepanze  più  sostanziali  fra  l'edizione  prima 
e  11  testo  fiorentino,  segnando  con  asterisco  le  parole  omesse  nel  testo  pisano.  Questo  fu  pro- 
babilmente prodotto  dal  Dal  Borgo  .sopra  una  copia  fatta  sull'originale  da  Gio.  Sancasciano, 
Dottore  e  Cancelliere  della  cittÀ  di  Pisa  nell'anno  1548;  la  quale  trovasi  in  un  suo  Repertorio 
che  ora  si  conserva  nell'Archivio  pisano.  Del  resto  gli  studiosi  della  storia,  paragonando  la 
pubblicazione  presente  e  quella  del  Dal  Borgo,  giudicheranno  se  non  può  dirsi  che  ora 
soltanto  la  Submissio  cicitatis  Pisarum  comparisca  In  quella  forma  che  è  per  la  scienza 
storica  desiderabile. 

*  Flamirio  dal  Borgo,  Diplomi  pisani,  406:  ••  Bartholomei  del  Zanna  «. 


Digitized  by 


Google 


686  APPENDICE. 

Tommas  Bartolomei  Malasoma  de  Sancto  Justo,  et 

Carolus  Johannis  Bandecha  de  Oratorio,  Comitatus  Pisarum 

Facientes  omnia  et  singula  infrascripta,  ut  et  tanquam  Sindici  et 
Procuratores,  et  siiidicario  et  procuratorio  nomine  comunitatis,  hominum 
et  personarum,  et  totius  populi  Civitatis  Pisarum,  prout  de  eorum  sin- 
dicatu  et  mandato  constare  vidimus  per  *  *  pubblicum  Instrumentum 
manu  mei  Ser  Petri  de  Apostolis  notarii  pubblici  Pisani  infrascripti 
sub  die  vigesima  secunda  mensis  Maii  proxime  preteriti:  Constituti 
personaliter  coram  spectabilibus  viris 

Nicolao  Alexandri  de  Machiavellis, 

Gerardo  Bertoldi  de  Corsinis, 

Laurentio  Mattei  de  Morellis, 

Antonio  Averardi  de  Serristoris, 

Dominico  Bernardi  de  Mazinghis, 

Angelo  Laurentii  de  Carduccis, 

Joliachino  Blasii  de  Guasconibus, 

Zenobio  Bartholomei  del  Zaccheria  et 

Andrea  Johannis  de  Pieris, 
novem  ex  decem  ufflcialibus  Balie  Excelse  Reipublice  et  Populi  Fioren- 
tini, absente  spectabili  viro  Antonio  Nicolai  de  Filicaria  eorum  in  dict4> 
officio  collega,  in  predictis  tamen  novem  integra  et  totali  auctoritate, 
potestate  et  balia  totius  dicti  officii  remanente  et  consistente,  et  per 
absentiam  ipsius  Antoniì  in  nìhilum  diminuta,  dicto  sindicario  et  pro- 
curatorio nomine.  Ad  laudem,  honorem  et  gloriam  Summe  et  Individue  Tri- 
nitatis  humiliter  et  reverenter  petierunt  sese  dicto  nomine  etdictam  Civi- 
tatem  et  Populum  Pisanum  recipi  et  acceptari  in  veros  subditos  obe- 
dientes  et  subiectos  prefate  excelse  Reipubblice  et  Populi  Fiorentini  tan- 
quam veri  et  unici  Domini  diete  Civitatis  et  Populi  Pisani,  et  eius  Terri- 
torii,  Forzie  :  et  districtus  :  et  sic  sponte,  et  ex  certa  eorum  scientia  et 
animo  deliberato,  et  non  per  aliquem  iuris  vel  facti  errorem,  et  omnì  me- 
Mori  modo  quo  potueruni  piene,  libere  et  in  perpetuum,  subiecerunt  et 
submiserunt,  concesserunt  et  trastulerunt  diete,  *  et  in  dictam  exoelsam 
Rempublicam  et  Populum  Florentinum,  et  dictis  et  in  dictos  Magnificos 
Dominos  Decem  Balie  presentes,  et  prò,  et  vice  et  nomine  diete  ex- 
celse Reipublice  et  Populi  Fiorentini  :  citra  tamen  novationem  et  sine 
aliquo  preiudicio  iurium  eidem  excelse  Reipublice  et  Populo  Fiorentino 
in,  de,  vel  supra  dieta  Civitate  Pisarum  et  eius  Fortia  et  districta 
hactenus  quandocumque  et  quomodocumque  ^  acquisitorum,  recipientes 
et  acceptantes  dictam  Civitatem  Pisarum,  et  eius  homines  et  personas 
et  ipsorum  descendentes  et  posteros  in  perpetuum,  et  cum  tote  eius 
populo,  fortilitiis,  iuribus,  jurisdictionibus,  *  auctoritate,  potestate,  do- 
minio, gubernatione,  regimine,  custodia,  mero  et  mixto  imperio  et 
gladii  potestate,  et  aliis  quibuscumque  universaliter,  particulariter  et 
in  solidum,  cum  infrascriptis  tamen  pactis,  capitulis,  benefìciis  *  et  aliis 


^  Le  parole  notate  con  OAt^risco  mancano  nella  edizione  del  Dal  Bokoc 
*  Dal  Borgo:  •dieta». 


»  Ed. 
*  Ed. 
»  Ed. 


*■  quodcumque  «. 
'  luri.sdlctlone  ». 
•  beneflciis,  capitulis  • 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  687 

infra  particulariter,  *  vulgari  tamen  sermone  descriptis  et  adnotatis, 
et  ultro,  citroque  legitime  et  solemniter  inhitis  et  flrmatis.  Quano 
quidem  Civitatem  Pisarum  cum  omnibus  et  singulis  juribus,  Forti- 
litiis  et  pertinentiis  suis  prefati  Sindici  et  procuratores  constituerunt 
sese  dicto  nomine  de  cetero  tenere  et  possidere  prò,  et  vice  et  nomine 
prefate  Excelse  Reipublice  et  Popoli  Fiorentini  donec  diete  Civitatis 
et  jurium  fortilitiorum  ^  et  pertinentiarum  eius  possessionem  acceperit 
corporalem;  quam  ex  nunc  accipiendi,  intrandi  et  prò  ipsa  Excelsa 
Republica  et  Populo  Fiorentino  perpetuo  retinendi  eisdem  Magnificis 
Dominìs  Decem  dictis  nominibus^  licentiam  liberam  et  omnimodam 
dederunt  et  contulerunt:  promittentes  insuper  prefatis  magnificis  Do- 
minis  Decem  presentibus,  et,  ut  supra,  stipulantibus,  recipientibus,  et 
accep  tanti  bus,  perpetuo  fore  devotos,  subditos,  fldeles  et  obedientes 
prefate  Excelse  Reipublice  et  Populo  Fiorentino,*  et  eidem  et  eiusdem  ^ 
Rectoribus,  ofBcialibus  et  Magistratibus  in  cunctis  perj^gendis  fideliter 
obedire,  et  ab  huius  modi  subiectione,  submissione  ed  obedientia  ullo 
unquam  tempore  in  futurum  non  deviare,  nec  aliquam  aliam  Reipu- 
blicam,  comunitatem,  *  populum,  baronem,  dominum,  Regem  vel  Prin- 
cipem  ecclesiasticum  vel  secularem  cujuscumque  gradus,  status  vel  di- 
gnitatis  etiam  supreme  existat,  in  superiorem  recognoscere,  acceptare 
vel  habere. 

Qui  quidem  Magnifici  Domini  Decem  Balie  vice  et  nomine  prefate 
excelse  Reipublice  et  Populi  Fiorentini,  et  prò  ipsa  excelsa  Republica 
et  Populo  Fiorentino,  et  laudem  et  gloriam  omnipotentis  Dei  et  Beati 
Johannis  Baptiste  advocati,  patroni  et  protectoris  diete  excelse  Reipu- 
blice et  Populi  Fiorentini  et  ad  exaltationem  et  augmentum  honoris, 
status  et  libertatis  prefate  Excelse  Reipublice  et  Populi  Fiorentini,  et 
prò  extermi nio  inimicorum  eius,  et  ad  perpetuam  pacem  et  quietem 
diete  Civitatis  et  Populi  Pisani:  supradictam  submissionera,  et  omnia 
et  singula  supradicta,^  citra  tamen  novationem,  et  sine  preiudicio 
aliorum  jurium  ut  supra,  omni  meliori  modo  quo  potuerunt,  recepe- 
runt  et  acceptaverunt,  cum  beneflciis,  immunitatibus,  exemptionibus, 
gratiis,  oneribus,  pactis,  capitulibus,  ^  modis  et  conventionibus  infra- 
scriptis,  de  quibus  cum  supradictis  Sindicis  et  procuratori  bus,  dicto 
nomine,  legitime  et  solemniter  convenerunt,  et  que  sunt  ista,  vulgari 
tamen  sermone: 

Videlicet: 
I.  In  prima  che  ogni  et  qualunque  iniuria  da  dì  9  del  mese  dì 
novembre  1494  al  modo  fiorentino  inclusive  in  qua  per  insino  al  pre- 
sente di,  fatta  da  Cittadini  et  Contadini  Pisani  a  Signori  Fiorentini,  et 
cosi  al  pubblico  come  al  privato,  s*  intenda  essere  et  sia  totalmente 
rimessa,  né  di  quella^  si  possi  in  alcuno  tempo  ricognoscere,  et  ogni 
pena,  tanto  di  ribellione,  hanno  a  condennatione,  quanto  altra  emanata 
da  qualsivoglia  decreto   o  deliberatione  d'epsi   Signori  Fiorentini,   o 

l  Ed.:  -  partloularltatibus  ". 

«  Ed.:  -  fortllitlarum  -. 

8  Ed.:  -  dicto  nomine  -. 

<  Ed.:  •  ejus  «. 

*  Ed.  :  ■  predieta  -. 

'5  Ed.:  -  capltulls  ". 


Digitized  by 


Google 


688  APPENDICE. 

altro  loro  uficiale,  o  magistrato  per  qualunque  causa  si  sia,  o  di  pro- 
vocatione  in  libertà,  o  altra,  insino  al  presente  di,  s' intenda  essere  et 
sia  nulla,  et  in  tutto  irrita  et  cassa.  Nella  quale  remissione  dMniuria 
s' intendine  anchora  essere  et  sieno  compresi  Nofri  del  Moscha,  Gio- 
vanni Ghaetani,  *  Gregorio  Orlandi  et  Tonuccio  di  Dogio  da  Chasciaula, 
et  etiam  tutti  quelli  Cittadini*  o  Contadini*  Pisani  che  per  li  Priori  di 
Pisa  saranno  fra  due  mesi  proximi  futuri  dichiarati  essere  compresi, 
non  passando  el  numero  di  sei  oltre  a  sopradetti.  Non  ostante  che  in- 
nanzi a  Tanno  1494  chaschassino  in  preiudicìo:  et  cosi  s*  intenda  essere 
et  sia  rimesso  ogni  danno,  interesse  et  spesa  per  decti  Signori  Fioren- 
tini patiti  •  0  da  patirsi  per  causa  di  detta  provocatione  et  guerra  in- 
fine a  qui  successa. 

II.  Item  che  la  decta  Città  et  Comunità  di  Pisa  possi  per  Tadve- 
nire  fare  et  deputare  quelli  priori,  o  vero  Anziani,  collegi  et  consiglio, 
quali,  et  come. poteva  innanzi  al  decto  anno  1494,  con  questo  anchora 
che  decti  Priori  durante  il  loro  Uflcio  non  possine  per  alcuno  debito 
Civile,  cosi  publico,  come  privato,  essere  gravati  o  molestati  persona- 
liter^  vel  in  bonis. 

III.  Item  che  a  detti  Pisani  s  intendine  di  nuovo  essere  et  sieno 
concedute  in  perpetuo  quelle  gabèlle,  o  vero  tasse,  le  quali  et  come 
solevano  avere  innanzi  al  decto  anno  1494,  et  etiam  quelli  deschi  da 
becchai  che  innanzi  al  decto  anno  1494  s'appartenevano  al  Comune  di 
Firenze,  maxime  per  supplire  alle  spese  che  occorressino  per  conto  di 
decto  loro  Priorato:  et  inoltre  anchora  s'intenda  essere  et  sia  con- 
cessa a  decti  Cittadini  Pisani  per  tempo  et  termine  d'anni  quindici  pro- 
xime  futuri  la  gabella  o  vero  tassa  del  vino  della  decta  Città  di  Pisa, 
maxime  per  poter  satisfare  a  debiti*  che  dal  decto  anno  1494  inquà« 
la  decta  Città  di  Pisa  havessi  contratto. 

IV.  Item,  atteso  che  la  Comunità  di  Pisa  ha  per  debiti  *  suoi 
alienato  la  gabella  o  vero  tassa  delle  misure  et  del  suggello  con  pacto 
di  poterla  ricomperare  a  suo  beneplacito^  s'intendine  per  da  bora  tali 
alienationi  essersi  potute  farcy  dummodo  nondimeno  che  la  Comunità 
di  Firenze  possi  ricomperarle,  et  cosi  per  da  bora  decti  Sindichi  et 
Procuratori  cedono  a  detti  Signori  Dieci  in  detto  nome  le  ragioni  ad 
dette  Comunità  di  Pisa  competenti,  del  •  potere  ricomperare  tali  tasse 
di  misura  et  suggello. 

V.  Item  per  poter  mantenere  et  ampliare  el  Monte  della  Pietà 
el  quale  detti  Pisani  hanno  incominciato,  s'intenda  essere  et  sia  con- 
cesso a  detti  Pisani  per  tempo  et  termine  d'anni  quindici  proxime  fu- 
turi la  gabella  di  denari  duo  per  Lira,  di  tutto  quello  che  durante  detto 
tempo  si  pagherà  di  ^  gabella  di  tutte  le  mercatantie  *  che  si  mette- 
ranno et  si  sghabelleranno  per  Pisa,  ma  non  di  quelle  che  quivi  si  met- 
teranno per  passo:  et  così  per  quelli  che  durante  detto  tempo  paghe- 

i  Ed.:  >  Galani  •. 
■  Ed.  :  -  patito  -. 

•  Ed.:  «personalmente*. 
«  Ed.:  -  al  debito  «. 

•  Ed.:  •  per  I  debiti  -. 

•  Ed.:  •  di  «. 
'  Ed.:  •  la  ». 

•  Ed.:  >  mercanzia  >. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  689 

ranno  dette  gabelle,  si  debbino  pagliare  di  più  detti  denari  dua  per 
Lira:  dovendosene  per  quelli  a  quali  s'apparterrà  tenere  particolare 
et  diligente  conto,  rimettendosi  almeno  ogni  dua  mesi  a  detti  Pisani  o 
a  chi  per  loro  sarà  a  ciò  deputato,  tutto  quello  che  per  conto  di  detti 
danari  dua  per  Lira  si  sarà  preso.  Et  inoltre  s'intendino  per  ogni  tempo 
advenire  renduti  alla  detta  Comunità  di  Pisa  i  beni,  entrate  et  governo 
della  Misericordia  di  Pisa  nel  modo  et  forma  che  soleva  avere  innanzi 
airanno  1484,*  nel  quale  tempo,  o  poi,   furono  levati  loro.   Dummodo 

*  Ed.:  •»  mille  quattrorentr)  novantaquattro  ». 

Qiiest&  samanxiale  variante  nel  testo  fiorentino  dairedlztone  pisana  del  Dal  Borgo  ci 
fu  cagione  di  ricerche  non  lievi,  per  poter  riuscire  ad  appurare  quale  delle  due  lezioni  fosse 
non  già  la  preferibile  per  cervellotiche  analogie,  ma  la  vera  secondo  I  fatti.  Che  se  il  ma- 
noscritto fiorentino  a  questo  punto  non  fosse  di  una  chiarezza  e  di  una  certezza  indubita- 
bile, se  non  si  fos«e  trattato  d'un  atto  propriamente  autentico  e  In  cui  è  difficile  si  la.scl  In- 
trodurre e  si  conservi  una  s4mile  maniera  d'errore;  facilmente  si  potrebbe  essere  Inclinati 
a  credere  che  il  Dal  Borgo  dovesse  aver  ragione,  recando  Tanno  della  ultima  ribellione  di 
Pisa,  l'anno  In  cui  que**ta  sfuggi  a'  Fiorentini,  il  novantaquattro,  come  il  termine  al  quale 
era  necessario  nlpristinare  Immediatamente  le  cose  tutte,  e  però  anche  l'amministrazione  e 
I  redditi  dell'Opera  della  Misericordia  pisana.  Ma  polche  gli  Statuti  di  Pisa,\\  Breve  pisani 
Comuni»  (v.  t.  Il,  ed.  Bonaini,  pag.  i2.  261  e  segg.)  consideravano  le  coso  di  questa  frater- 
nità con  un'importanza  e  diremmo  quasi,  con  una  passione  e  una  gelosia  tutta  comunale; 
Inculcando  •»  qiod  domus  de  Misericordia  fratrum  penitentie  clvltatis  pisane,  qui  Plnsocull 
nominantur.  sita  in  Cappella  Sancte  Trinitatls  et  alle  domus,  per  Pisanorum  potestatem, 
Capitaneum  et  Antianos  pisani  populi,  defensetur  ab  omni  Iniurla  et  molestia;  et  quod  non 
patiantur  ipsam  domum  et  possessiones  ab  aliquo  vel  aliqulbus  occuparl.  et  occupantes,  de 
facto  et  de  juro  ejcere  -,  ci  venne  In  pensiero  che  potesse  dopo  li  1484,  In  seguito  dell'op- 
pressione fiorentina,  o  un  qualche  illegittimo  occupatore  de'  beni  essere  giunto  a  manomet- 
tere Il  patrimonio  della  pia  fratellanza,  o  una  qualche  deliberazione  del  governo  di  Firenze 
aver  tolto  di  mano  al  potestà,  al  caplt^ino  ed  agli  anziani  l'amministrazione  de'  beni  del- 
l' Opera;  o  che  il  privilegio  di  cui  questa  godeva  sulla  dogana  del  sale  •  quod  posslnt  et 
debeant  habere  a  dovaneriis  dovane  saiis  pisane  clvltatis  singulis  quatuor  menslbus  starlum 
unum  salls  •  le  fosse  stato  dopo  quel  tempo  revocato.  Epperò  era  supponibile  che  al  Pisani 
potesse  pi'emere  davvero  che  le  cose  della  Opera  della  Misericordia  fossero  realmente  re- 
stituite nella  condizione  In  cui  erano  circa  Tanno  1484.  Lo  ricerche  fatto  a  conferma  di 
queste  nostre  ipotesi  nell'Archivio  fiorentino  non  davano  nulla  che  giustiflca.sse  siffatte  con- 
clusioni. Coadiuvati  pertanto  dalla  cortesia  del  signor  prof.  Clemeistb  Lupi,  cui  ci  gode 
l'animo  d'attestare  in  questa  occasione  la  più  viva  riconoscenza,  ci  facemmo  a  proseguire 
le  nostre  Indagini  fra  le  carte  e  le  pergamene  del  R.  Archivio  pisano,  relative  alla  pia  casa 
della  Misericordia.  /  Partiti  e  Deliberazioni  del  comune  di  Pisa  mancano  dall'anno  1471 
al  1487;  e  però  nessun  lume  potemmo  attingere  a  questi;  ma  I  libri  d^entrata  e  d'uscita^ 
le  vacchette,  lo  pergamene  della  detta  confraternita,  ci  dettero  sufficiente  argomento  per 
giudicare  delle  gravi  peripezie  che  le  politiche  lotte  e  le  partigianerie  vili  cagionarono  anche 
allora  agl'istituti  caritatevoli  e  al  patrimonio  de' poveri.  Nel  1455  i  Priori  della  città  di 
Pisa  avevano  dovuto  impetrare  dalla  Signoria  di  Firenze  che  l'amministrazione  della  casa 
di  Pisa  posta  nella  carraia  di  Sant'Egidio  venisse  resa  loro,  a  tenore  delle  riformagloni  e 
degli  ordini  della  casa  medesima;  che  I  redditi  ne  fossero  spesi  secondo  la  volontà  del 
testatori  e  non  Isvolti  ad  altro  fine.  Poi  nel  1481  novamente  supplicarono  che  que' beni 
lessero  ritolti  alle  mani  degli  ingiusti  occupatorl,  che  l'amministrazione  ne  fesse  resa  al 
•  divoti  sudditi  priori  di  Pisa*.  E  nell'ottantadue  finalmente  compaiono  sulle  carte  sei  go- 
vernatori dell'Opera:  tre  fiorentini  e  tre  pisani;  ma  1  fiorentini  ne' verbali  Ae*  Partiti  e  De- 
liberazioni vengon  sempre  Indicati  per  primi,  e  fiorentino  in  quell'anno  medesimo  erane  II 
camerlengo.  Il  notaio  datava  gii  atti  .«econdo  lo  stile  fiorentino  e  pisano  insieme;  ma, 
quel  che  più  monta,  il  conduttore  de'  paschi  e  pasture  di  proprietà  della  Misericordia  •«  poàte 
in  con/Ini  di  Cattelnuooo  con  sue  appartenentie  •  era  Lorenzo  de'  Medici.  Altra  volta 
c'Incontra  essere  Jacob  di  Bartolomeo  de' Petruccl  di  Siena:  cosi  I  faziosi  Imbavagliavano 
la  carità;  e  per  questa  china  le  cose  della  fratellanza  grado  a  grado  precipitarono  finché 
male  rivendicatasi  Pisa  in  libertà  sotto  l'egida  d'uno  straniero,  la  guerra  estrema  In  cui 
consumò  l'ultime  forze  sue  assorbì  anche  i  redditi  dell'Opera  pia;  si  che  nel  libro  dell'En- 
trata di  Jacopo  del  Testa  (15(13-1504,  n.  15,  n.  xxvi)  apertamente  si  afferma  che  la  città 
traeva  l'entrate  sue  principalmente  •»  da' salvacondotti  degli  uomini  di  Casteinuovo  della 
Misericordia",  della  Castellina  e  di  altri  luoghi  pli.  —  Pertanto  se  ne' capitoli  della  pro- 
pria sottomissione,  Pisa  domandò  ed  ottenne  che  le  cose  della  Misericordia  fossero  ri- 
messe in  quella  condizione  In  cui  si  trovavano  l'anno  1184.  è  ceri»  che  non  si  lusingò  di 
rlcondurle  al  tempo  In  cui  erano  nel  loro  stato  più  florido,  ma  che,  avuto  riguardo  all'at- 
tuale sventura,  poteva  considerar  quell'anno  come  un  termine  medio'  fra  II  male  più  pro.ssimo 
e  il  bene  più  remota,  a  guarentirle  dalla  ricaduta  In  una  sorte  peggiore.  A  queste  probabilità 
eravamo  arrivati  raziocinando,  quando  per  ventura  avemmo  anche  nelle  mani  un  documento 
Irrefragabile  per  definire  con  certezza  la  controversia  circa  la  dubbia  data.  Un  apografo  di 
questo  articolo  V  della  capitolazione  di  Pisa  che  trovasi  fra  le  Pergamene  della  Misericordia 
(R.  Arch.  Pls.,  Diplom.  Miser,.  1509.  giugno  4)  di  man  di  Battista  di  Giovanni  da  San  Cas- 
slano  •  civis  pisanus  apostolica  et  Imperiali  auctorltate  Judex  ordlnarlus   et   notarlus   pub- 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  .14 


Digitized  by 


Google 


d90  APPENDICE. 

nondimeno  che  per  detti  Pisani  si  abbia  a  provedere  che  i  detti  de- 
nari dua  per  Lira  si  convertine  in  utilità  del  detto  Monte  della  Pietà, 
et  ^  dette  entrate  della  Misericordia  si  distribuischino  nel  modo  et  forma 
et  in  quelle  cose  che  da  principio  fu  ordinato,  et  non  in  altro  in  al- 
chuno  modo. 

VI.  Item  che  i  Sig."  Fiorentini  non  possine  per  alchuno  tempo 
ad  venire  imporre  nuove  gabelle,  né  le  antique  crescere  in  preiudicio 
d'epsi  Pisani  :  et  che  per  tempo  e  termine  d'anni  dieci  proxime  futuri 
i  decti  Pisani  babbi  no  a  pagare  solamente  la  metà  della  solita  gabella 
delle  grasce,  et  non  più.  Dichiarando  che  sotto  nome  di  grasce  non 
s'intende  la  gabella  del  vino,  farina,  olio  et  bestiame  da  macellare. 

VII.  Item  che  per  lo  advenire  detti  Pisani  habbino  a  pagfaare  al 
Comune  di  Firenze  el  sale  solamente  ad  ragione  di  tre  quattrini  bianchi 
la  libbra  et  non  più. 

Vili.  Item  che  per  ogni  tempo  advenire  i  Signori  Fiorentini  non 
possine  imporre  a  detti  Cittadini  Pisani  alchune  gravezze,  balzelli,  im- 
poste, achatti,  né  alchuna  altra  sorte  d'Angharie  per  quale  si  voglia 
causa  la  quale  escogitar  si  potesse,  ma  ne  siano  detti  Cittadini  Pisani 
totalmente  liberi,  exempti  et  immuni;  et  etiamdio  da  ogni  factione  di 
Comune,  excepto  però  che  dalle  factioni  personali  che  per  conto  della 
guerra  occorressino  *  per  la  difesa  della  detta  Città  di  Pisa.  Né  pos- 
sine essere  costretti  a  tenere,  o  vero  allogiare  soldati  o  gente  d'arme 
nelle  case  delle  loro  proprie  habitationi,  tanto  della  Città  quanto  del 
Contado  dove  familiarmente  habitassino.  Questo  però  dichiarato,  che 
da  venti  anni  proxime  ^  futuri  in  là,  siano  tenuti  detti  Cittadini  Pisani 
a  paghare  ognanno  al  Comune  di  Firenze  la  metà  della  tassa  ch'erano 
obbligati  paghare  l'anno  1494,  ch'era  fiorini  ottocento  d'oro  in  oro  larghi, 
che  si  reduchano  a  fior.  400  d'oro  in  oro  larghi  l'anno.  Dovendo  pa- 
ghare tale  metà,  cioè  F.»  400  d'oro  in  oro  larghi  in  due  paghe  l'anDO, 
cioè  ogni  sei  mesi  fiorini  200  d'oro  in  oro  larghi  al  Camerlingo  del 
Monte  di  detto  Comune  di  Firenze,  sotto  pena  del  quarto  più  di  quello 
che  a  debiti^  tempi  non  si  paghasse:  et  non  ostante  le  cose  predette, 
Siene  tenuti  et  obligati  decti  Cittadini  Pisani  ognianno,  cominciando 
questo  presente  anno,  a  offerire  alla  Chiesa  di  San  Giovanni  di  Firenze, 
per  la  festa  di  detto  Santo  che  é  del  mese  di  giugno  ogni  anno  il  palio 
della  qualità  di  che  et  come  erano  obligati  offerire  innanzi  al  detto 
anno  1494:  et  che  da  ogni  debito  el  quale  decta  Città  di  Pisa  per  conto 
di  *  decto  palio  havesse  infine  al  presente  di  *  contratto,  s' intenda  essere 
et  sia  decta  Città  di  Pisa  al  tutto  libera  et  absoluta. 

IX.  Item,  che  al  Comune  di  Pisa,  Luoghi  Pii,  Arte  et  private  per- 
sone di  qualunque  grado  si  sieno  s'intendine  essere  et  sieno  conser- 
vati, 0  vero  di  nuovo  concessi  tutti  i  loro  privilegii,  ragioni  et  iuris- 
dictioni  le  quali  et  come  havevono  innanzi  al  decto  anno  1494. 

blicus  -,  A  la  data  «  domlnlce  InrarnattontR  anno  millesimo  qulngentesimo  deoimotertlo,  In- 
dlotlonc  prima,  die  vero  quintadecima  mensis  decembris,  stilo  pisano  «.  —  È  pertanto  del- 
l'anno {TA\  e  reca  a  questo  modo  l'Indicazione  dell'anno  controverso:  •  innansi  alCo  anno 
uccccLxxxiliJ  nel  qual  tempo  o  poi  furono  leuati  loro  •,  onde  la  questione  è  risoluta. 

1  Kd.:   •  per  dette  ». 

■  Ed.:  •  accorressero  •». 

•  Ed.:  •  prossimi  •. 

*  Ed.:  -  detti  ». 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  601 

X.  Item,  che  decti  Cittadini  Pisani  possine,  per  *  ogni  tempo  ad- 
venire  nella  decta  Città  di  Pisa  lavorare  et  far  lavorare  quelli  panni 
et  di  quelle  lane,  i  quali  et  delle  quali  possono,  o  potranno  lavorare  e 
far  lavorare  i  Pistoiesi  in  Pistoia,  et  altri  del  Dominio  Fiorentino  nelle 
terre  et  luoghi  loro.  Possine  etiandio  in  decta  Città  di  Pisa  lavorare 
et  tigner*  berrette  di  qualunque  colore;  et  etiam  possino  in  decta  Città 
di  Pisa  fare  et  far  fare  ogni  altra  arte  et  exercrtio,  excepto  che  Drappi 
di  seta  et  .il  *  battiloro.  Dovendosi  anchora  per  i  Signori  Fiorentini  pro- 
vedere, et  cosi  per  *  da  bora  s' intenda  essere  et  sia  prò  veduto  che  da 
due  anni  in  là  nel  contado  di  Pisa  non  si  possi  conciar  choiame  ^  d*al- 
chuna  ragione,  ma  che  il  choiame  ^  si  debba  chonciare  nella  Città  di 
Pisa  come  si  faceva  innanzi  al  decto  anno  1494:  non  si  potendo  ad  al- 
chuno  prohibire  el  fare,  o  far  fare  alchuna  di  decte  arti,  et  questo  ma- 
xime a  fine  che  decta  Città  di  Pisa  sia  benefichata  et  restaurata,  et 
possa  riempirsi  di  Lavoranti  ^  et  habitatori. 

XI.  Item, che  tutti  gli  Statuti,  cosi  della  Città  come  del  Contado 
dì  Pisa  i  quali  si  observavano  *  Tanno  *  1494  *  s' intendine  essere  et  sieno 
di  nuovo  concessi,  confermati  et  approvati,  et  debbinsi  per  ciascuno 
attendere  et  observare  nel  modo  et  forma,  et  come  si  observavano  in- 
nanzi al  mese  di  Novembre  di  detto  anno  1494.  Stando  etiandio  ferma 
l'autorità  et  potestà  cosi  a  detti  Cittadini  come  Contadini  ^  Pisani  di 
potere  fare  nuovi  Statuti  al  loro  beneplacito  e  quali  vaglino  et  obser- 
vare si  debbino  si*  et  poi  che  saranno  stati  aprovati  in  Firenze  se- 
condo gli  ordini  et  Statuti  Fiorentini,  et  non  altrimenti. 

XII.  Item  che  la  decta  Città  et  Popolo  Pisano  debbi  ricevere  et 
acceptare  quelli  Rectori,  Uflciali,  Uficii  et  Magistrati,  i  *  quali,  et  come 
dalla  Excelsa  Repubblica  et  Popolo  Fiorentino  vi  saranno  deputati  et 
ordinati;  el  salario  de  quali  si  debba  paghare  per  la  decta  Excelsa 
Repubblica  et  Popolo  Fiorentino.  Questo  etiam  dichiarato  che  qualunque 
Cittadino  o  Contadino  Pisano  sarà  condannato  ad  mortem  o  in  mu- 
tilation  di  membro,  o  da  lire  trecento  in  su,  possa  appellare  ai  Magni- 
fici et  Excelsi  Signori,  Collegii  et  Dieci  della  Città  di  Firenze:  et  va- 
cando el  Magistrato  de  Dieci,  ai  Signori  et*  Collegii  et  quello  Uflcio  o 
Magistrato  che  in  luogo  di  detti  Dieci  succedessi;  et  non  succedendo 
in  luogho  loro  alchun'altro,  ai  Signori,  Collegii  <^  et  Otto  di  Guardia  o 
di  Balia  di  detta  Città  di  Firenze.  La  quale  appellatione  si  debba  in- 
terporre infra  tre  di  continui  dal  dì  della  data  et  notificata  sententia 
proxime^  futuri:  et  basti  interporre  decta  appellatione  al  Banche  della 
Ragione  dove  tale  sentenza  sarà  stata  data,  et  in  absentiadi  chi  Fharà 
data,  e  nel  palagio  della  solita  residentia  de  Signori  Fiorentini.  Et 
infra  tre  di  continui  dal  di  di  tale  interposta  appellatione  proxime^ 
futuri,  si  debbi  presentare  tale  appellatione,  et  il  libello  appellatorio 
dinanzi  a  detti  giudici  d'appellatione.  Et  quando  non  fussino  colle- 

1  Ed.:  -  In  -. 

*  Ed.:  -  toner  ». 

*  Ed.:  »  corame  •. 

*  Ed.:  «  lavoratori  et  abitanti  «•. 

*  Ed  :  «  contadini  come  cittadini  ". 

**  Il  Dal  Boroo  ripetutamente:  •>  Signori  Collegi  ^. 
'  Ed.:  «  i»ro.sslniI  ". 
**  Ed.:  »  prossimi  •. 


Digitized  by 


Google 


°92  APPENDICE. 

gialmente  ragunati*  basti  che  tale  appellatione  et  libello  si  dia  et 
si  presenti  al  notaio  d*epsi  Excelsi  Signori,  o  suo  coadiutore,  et  che 
epsi  Excelsi  Signori  commettino  la  citazione*  della  parte  adversa 
quando  vi  fussi  ad  contradire  et*  far  quello  che  in  tale  causa  d*ap- 
pellatione  fussi  di  bisogno:  potendo  similmente  epsi  Excelsi  Signori  soli 
acceptare  ogni  scriptura,  et  assegnare  ogni  termine  et  dilatione,  et  fare 
ogni  interlocutoria  che  in  tale  causa  occorressi:  ma  nel  giudichare  et 
terminare  difflnitive  tale  causa  d*appellatione  debbino  detti  Magistrati 
ragunarsi  nel  decto  Palagio  collegialmente  et  in  numeri  sufficienti:  et 
ogni  sententia  o  ^  deliberatione  che  in  tale  causa  d*appellatione  si  darà 
0  si  farà  si  debba  ottenere  almeno  pe'*  due  terzi  delle  fave  nere  di 
detti  Magistrati  che  alla  decisione  di  tale  causa  interverranno,  doven- 
dosi ogni  tale  causa  d'appellatione  decidere  et  terminare  infra  quindici 
di  continui  dal  di  della  presentata  appellatione  et  dato  libello  appella- 
torio proxime^  futuri.  Potendosi  in  tali  cause  procedere,  sententiare,  ^ 
decidere  et  terminare  summarie  et  de  plano,  et  sine  strepitu  et  figura 
iudicii,  et  omni  iuris  et  statutorum  solemnitate  omissa,  et  come  alla 
conscentia  di  chi  bara  a  giudichare  liberamente  parrà  et  piacerà:  et 
tutto  quello  et  quanto,  et  come  in  tali  cause  d*appellatione  sarà  giù- 
dichato,  determinato  et  facto,  vaglia  et  tengha,  et  da  ciaschuno  si  debbi 
inviolabilmente  observare:  et  se  per  detti  Magistrati  infra  detti  quindici  di 
non  si  giudi chassi  cosa  alchuna,  s*  intende  essere  et  sia  quello  che  fussi 
stato  condannato  libero  et  absoluto  dalla  sententia  dalla  quale  si  fussi  appel- 
lato, et  da  ciò  che  in  quella  si  contenessi:  dichiarando  però  che  innanzi 
che  tale  appellatione  et  libello  appellatorio  si  accepti,  si  debbi  dichia- 
rare per  li  Priori  et  Collegii  di  Pisa,  o  per  i  due  terzi  di  loro,  che  quel 
tale  che  volessi  appellare,  possi  appellare  et  non  altrimenti.  Dichia- 
rando anchora  che  in  detti  casi  possi  appellare  non  solamente  il  con- 
dennato,  ma  etiandio  uno  terzo  per  lui,  etiam  se^  fussi  confesso  et  con- 
vincto  ;  et  che  pendente  tale  appellatione,  la  executione  della  prima  sen- 
tentia s'intenda  essere  et  sia  sospesa,  et  fare  non  si  possi. 

XIII.  Item  che  i  Pisani  habitanti  nella  Città  di  Pisa  et  suo  Con- 
tado, et  in  quale  si  voglia  altra  parte  del  mondo,  godine  sicuramente 
i  loro  beni  mobili  et  immobili,  et  di  quelli  possine  disporre*  ad  ogni 
loro  beneplacito:®  et  similiter  possine  stare  et  partire  et  ritornare  ad 
decta  Città  et  Contado  di  Pisa,  tante  volte  quante,  et  come  alloro  parrà 
et  piacerà;  né  se  li  possa  usare  forza  alchuna  in  contrario:  il  che 
etiam  *o  s'intenda  per  quelli  che  al  presente  volessino  partire  di  Pisa 
avanti  lo  ingresso  de' Signori  Fiorentini. 

XIV.  Item  che  tutti  quelli  Pisani  che  si  vorranno  partire  possine 
liberamente  partirsi  e  portarsene  i  loro  beni  mobili;  et  volendo  vendere 
ì  loro  beni  immobili  lo  debbino  dichiarare  infra  due  mesi  proxime  fu- 


1  Ed.: 

•  adunati  -. 

•  Ed.: 

••  le  citazioni  ••. 

•  Ed.: 

•  e  ". 

*  Ed.: 

•  per  -. 

»  Ed. 

-  prossimi  ■. 

«  Ed.: 

•  e  ", 

»  Ed.: 

•  che  ». 

•  Ed.: 

•  dlsponere  ». 

•  Ed.: 

-  piacimento  -. 

10  Ed.: 

•  e  ». 

Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  C93 

turi,  alloro  beneplacito,  alli  Excelsi  Signori  Fiorentini,  o  al  magistrato 
de  Dieci  :  et  in  tal  caso  el  Comune  di  Firenze  sia  oblighato  ad  compe- 
rarli per  pregio  *  honesto  da  dichiararsi  per  due  Cittadini  fiorentini 
da  eleggersi  per  epsi  Pisani,  et  per  uno  Cittadino  et  uno  Contadino 
Pisani,*  al  presente  habitante^  in  Pisa,  da  eleggersi  per  detti  Excelsi 
Signori  Fiorentini,  o  pel  decto  Magistrato  de  Dieci,  o  per  tre  di  detti 
quattro  d'accordo,  et  paghare  el  prezzo  di  tali  beni  infra  sei  mesi  dal 
di  del  fatto  contratto  proxime  *■  futuri,  et  perciò  darne  sicurtà  a  detti 
Pisani  in  uno  o  più  delli  infrascritti  luoghi,  cioè,  Lucha,  Genoa,  Napoli, 
Roma  0  Lione,  o  vero  in  Firenze  per  cittadini  fiorentini  ad  electlone 
d'epsi  Pisani  fino  alla  somma  di  fiorini  quindicimila:  dummodo  che  la 
Città  ^  di  Pisa,  o  altro  idoneo  mallevadore  si  oblighi  legittimamente  alla 
difesa,  et  per  la  difesa  generale  et  evictione  di  detti  beni,  et  che  per 
conto  di  tali  vendite  non  s' babbi  a  paghare  al  Comune  di  Firenze  ga- 
bella alchuna. 

XV.  Item  che  le  vendite,  donationi  et  altre  alienationi  fatte  dal 
Comune  di  Pisa,  et  per  decta  causa  ogni  confiscatione  et  incorpora^ 
tiene  di  *  beni  *  di  qualsivoglia  pubblico  o  privato,  comunità  et  univer- 
sità vagliano  et  tenghino  né  si  possino  per  alchuno  tempo  rompere  o  ^ 
reprobare,  salvo  però  le  cose  infrascritte,  cioè:  che  le  predette  cose 
nel  presente  capitolo  disposte  non  s* intendine  pe  beni,  ne  comprhen- 
dino  e  beni  del  Comune  di  Firenze,  né  di  cittadini  fiorentini,  origine  et 
nativitate,  né  di  loro  subditi,  né  di  quelli  Cittadini  o  Contadini  Pisani 
che  da  quattro  anni  in  qua  havessino  obedito,  o  obedissino  ai  Signori 
fiorentini. 

XVI.  Item  che  i  Cittadini  et  contadini  Pisani  i  quaìi  dall'anno  1494 
in  qua  familiarmente  fussino  habitat!,''  o  al  presente  habitassino  in  Pisa 
o  vi  havessino  le  famiglie  loro:  non  s' intendendo  però  di  quelli  che  al 
presente  obedischano  a  Signori  Fiorentini,  debitori  di  Fiorentini,  origine 
ot  nativitate,  o  di  loro  subditi;  non  s'intendendo  per  subditi  i  Conta- 
dini del  Contado  di  Pisa:  salvo  etiam  quello  ^  che  di  sotto  si  dirà, 
s'intendine  essere  et  sieno  liberi  et  absoluti  da  ogni  et  qualunque  de- 
bito, di  qualunque  somma  in  qualunque  modo,  o  per  qualunque  causa, 
per  denari,  et  per  ogni  et  qualunque  robe  date  o  ricevute  di  qualunque 
sorte  et  in  qualunque  modo,  et  sotto  qualunque  nome  a  epsi  creditori 
appartenessi,^  etiam  se  tale  credito  fusse  ceduto  et  transferito  in  altri, 
0  effettualmente  *<>  ad  altri  si  appartenessi  dall'anno  1490  inclusive  al 
modo  Fiorentino  in  qua,  contratto  et  fatto  in  Pisa,  o  in  altro  luogho  del 
Dominio  Fiorentino.  Et  per  i  debiti  contratti  da  detto  anno  1490  exclu- 
sive  innanzi,  s'intendìno  bavere  et  habbino  detti  Cittadini  et  Contadini 
Pisani  quattro  anni  di  tempo  ad  pagarli,  duranti  i  quali  quattro  anni 


»  Ed.: 

•  a  prezzo  «. 

•*  Ed.: 

-  pisano  ». 

-  Ed.: 

•  abitanti  -. 

*  Ed.: 

"  prossimi  ". 

fi  Ed.: 

■  comunità  «. 

«  Ed.: 

•  né  -. 

•   Kd.: 

>  avessero  familiarmente  abitato  e  fusaero  abitati  «. 

»  Ed.: 

-  quelli  ". 

•  Ed.: 

••  appaitenersi  ». 

»«  Ed.: 

«  efifettivaroente  ■. 

Digitized  by 


Google 


òdi  appendici:  . 

non  possine  per  tali  debiti,  directe  vel  indirecte,  per  modo  alchuno 
essere  personalmente  o  in  beni  molestati  o  inquietati,  et  che  dall'anno  1494 
in  qua,  et  etiam  per  il  decto  tempo  d'anni  quattro  non  possa  essere 
domandato  loro,  per  cagione  di  tali  debiti,  interesse  alcbuno.  Et  che  i 
Fiorentini,  origine  et  nativitate,  et  loro  subditi  debitori  de  detti  Citta- 
dini 0  Contadini  Pisani  per  alchuno  debito  per  qualunque  causa  et  fatto 
qualunque  nome  dal  decto  anno  1490  inclusive  in  qua  *  contratto  et  fatto 
in  Pisa,  o  in  altro  luogho  del  Dominio  Fiorentino,  non  possine  per  yia 
recta  o  indirecta,  né  sotto  alchuno  quesito  colore  essere  convenuti,  o 
per  modo  alchuno  molestati  personalmente  o  in  beni  da  detti  Cittadini 
0  Contadini  Pisani  per  conto  e  causa  di  tali  debiti,  ma  s' intendine  tali 
crediti  di  decti  Cittadini  et  Contadini  Pisani,  totalmente  et  piene  iure 
appartenere,  et  così  appartenghino;  et  le  ragioni  di  quelli  essere,  et 
cosi  Siene  per  da  bora,  cedute  et  transferite  al  Comune  et  nel  Comune 
di  Firenze,  in  modo  che  in  effecto  el  decto  Comune  di  Firenze  possi  tali 
debiti  per  sé  et  ad  sua  utilità  et  commodo  risquotere  et  di  quelli  libe-  , 

ramento  fare  et  disporre  a  sue  piacere,  et*  come  harebbone  potato 
fare  et  disporre  detti  Cittadini  et  Contadini  Pisani  innanzi  alla  presente 
concessione  et  capitulatiene.  Dichiarando  però  che  quando  il  fiorentino 
e  sue  subdito  fusse  in  una  mano  debitore,  et  in  un'altra  creditore,  possi 
per  la  concorrente  quantità  compensare  il  debite  col  credito:  et  con 
questo  anchora  che  tale  concessione  non   s'intenda  per  quello  di  che  | 

decti  Cittadini  e  Contadini  Pisani  fussino  creditori  del  Monte  del  Co-  ' 

mune  di  Firenze  per  cagione  di  dote. 

XVII.  Item  che  ogni  debito  che  havessi  la  Comunità  di  Pisa,  o 
Cittadini  particulari  di  Pisa,  e  *  Contadini  *  al  presente  habitanti  in  Pisa, 
col  Comune  di  Firenze  o  sua  uficii  et  magistrati,  e  la  Comunità  di  Pisa, 
con  Uficii  e  Magistrati  e  altri  Cittadini  particulari  di  Firenze,  *  s'in- 
tenda essere  e  sia  finito  et  casso,  nò  mai  per  alchuno  tempo  se  ne  possi 
cognoscere. 

XVIII.  Item  che  i  Cittadini  et^  Contadini  Pisani  habitanti  al  pre- 
sente, come  di  sopra  in  Pisa,  non  possine  a  Fiorentini,  né  i  Fiorentini  a 
detti  Pisani  al  presente  familiarmente  habitanti  in  Pisa,  in  alchuno 
tempo  demandare  beni  mobili,  né  frutti,  né  altri  preventi  di  beni  im- 
mobili da  di  Nove  del  mese  di  Novembre  1494,  al  modo  Fiorentino,  in 
qua,  hinc  inde  percepti,  occupati  et  presi,  e  altrimenti  pervenuti  alle 
mani  de  predetti,  in  qualunque  modo  si  vegli,  e  con  volontà,  o  contro 
la  volontà  de  Padroni,  et  che  di  tal  cosa  mai  in  alchuno  modo  ricono- 
scer non  si  possa;  non  s'intendendo  però  le  cose  predecte  nel  presente 
Capitolo  disposte  pe^  beni  et  frutti  delle  Chiese  e  altri  Luoghi  PiL 

XIX.  Item  che  la  Comunità  di  Pisa,  né  Pisani  possine  esser  con- 
venuti né  astretti  in  Pisa  né  in  luogho  alchuno  del  Dominio  Fiorentino 
per  causa  di  Comune,  et*  qualunque  altra  che  excogitar  si  potessi,  da 
di  9  di  Novembre  1494  in  qua,  occorsa  da  forestieri  et  Giudei,  né  da 


1  Ed.:  ■  in  qua  inclusive  >. 

«  Ed.:  -  della  cittA  di  Firenze  ». 

»  Ed.:  •  o  ». 

*  Ed.:  "  per  ». 

•  Ed.:  »  o  ». 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  695 

chi  per  privilegio  fussi  stato  *  fatto  Cittadino  Pisano,  civilmente  né  * 
criminalmente:  et  pe  debiti  contratti  innanzi  a  detto  di  nove  di  No- 
vembre s'intendino  bavere  et  habbino  ferie  per  tempo  et  termine  d'anni 
tre  proxime  *  futuri  :  duranti  i  quali  tre  anni  per  tali  debiti  non  pos- 
sino  per  modo  alchuno  essgre  convenuti,  o  molestati  personalmente,  né 
in  beùi. 

XX.3  Item  che  i  beni  immobili  de  Fiorentini  et  loro  subditi,  et  *  e 
beni  immobili  de  Cittadini  et  de  Contadini  Pisani  al  presente  abitanti 
in  Pisa  s' intendino  essere  et  sieno  ipso  iure  restituiti,  et  i  padroni  di 
quelli  s' intendino  essere  et  sieno  rimessi  nel  pristino  termine  nel  quale 
et  come  erano  Tanno  1494  innanzi  a  di  9  del  mese  di  Novembre  di  detto 
anno,  non  obstante  alchuna  conflschatione,  donatione,  vendita,  conces- 
sione o  alienatione  fatta  di  tali  beni  immobili,  le  quali  per  da  bora  ^  s*  in- 
tendino essere  et  sieno  nulle,  irrite,  et  casse  :  intendendosi  solamente  di 
quelle  che  fussino  state  *  fatte  dal  publico  o  a  privati  *  ^  in  contumacia 
del  debitore  o  vero  dello  aversario,  ma  non  di  quelle  che  fussino  state 
fatte  d'accordo  da  privati  o  in  contradictorio  judicio,  cioè  dove  la  parte 
0  suo  legittimo  procuratore  fussi  comparito  et  havessi  contradetto.  Et 
similmente  s'intenda  essere  riservato  il  dominio  et*  quasi*  dominio* 
di  tali  beni  et  le  ragioni  di  quello  a  chi  si  apartenessi  non 'obstante 
tale  restitutione  di  beni  come  di  sopra  facta.  Dichiarando  *  anchora 
che  i  frutti  del  presente  anno  di  detti  Beni  si  appartenghino  a  con- 
duttori di  quelli  per  tutto  el  mese  d'agosto  proxime  futuro,  et  non  più 
in  là.  Con  questo  però  ch'epsi  conductori  habbino  a  paghare  a  padroni 
di  tali  beni  el  quinto  di  tutti  e  grani  et  biade  che  si  ricorranno  per 
tutto  el  mese  d'agosto  proxime  futuro  in  su  tali  beni  o  veramente  la 
rata  dello  afitto  d'epsi  beni  che  fussi  conveniente,  rispetto  al  grano  et 

i  Ed.:  •  o  -. 

*  Ed.:  •  prossimi  •. 

*  Dobbiamo  alla  cortesia  del  signor  cav.  C.  Corvibib&i  la  notizia  della  seguente  perga- 
mena da  lui  osservata  In  Bologna,  relativa  alKartlcoIo  XX  della  presente  capitolazione,  au- 
tanticata  dal  Machiavelli: 

Cofia  di  littora  de  Signori  Dieci  seripta  a  éi  90  di  Giugno  i609  ai  Commi88ar\i  a  Pisa 
cioè  Antonio  da  Filicaja  Alamanno  Salviati  et  Niccolo  Capponi  come  appare  al  libro 
di  loro  littera  segnato  CL  a  carte  4  cujus  tenor  talis  est.  * 

Hier  aera  vi  scriTemo  quanto  ci  occorse  :  questa  mattina  dipoi  sono  stati  al  magistrato 
nostro  li  ambasciatori  di  cotesta  Comunità  et  tutto  se*  composto  et  acconcio  in  buona  forma. 
Et  circa  el  capitulo  XX. "^  non  è  accaduto  fame  altra  declaratione  o  mutarlo  in  parte 
alcuna  -  però  lo  farete  observare  in  quello  modo  che  li  sta,  facendo  mectere  in  possessione 
delle  cose  loro  Maestro  Carlo  da  Vechiano,  Ruberto  di  Giovanni  d* Alberto  et  tutti  li  altri 
simili  che  sono  nel  grado  loro:  questo  inteso  che  dall  una  parte  et  dall  altra  avanti  si 
pigli  la  possessione  rimanghino  d*accordo  de*  miglioramenti  ragionevoli  fussino  stati  facti, 
che  cosi  abbiamo  judicato  esser  conveniente  et  justo  :  et  tanto  farete  exeqaire.  Bene  valete. 
Ex  Palatio  Fiorentino  die  xx.*  Junii  m.d.viiii. 

Passi  fede  per  me  Nicholo   Machiavegli   Segretario  de  nostri  X.  Signori  come  la  so- 
prascripta  lettera  fu  deliberata  e  scripta  alli  prefati  Signori  Commissari  decto  dì  dali  Si- 
gnori dieci  di  libertà  e  pace  della  città  di  Firenze  come  appare  nel  libro  del  loro  Ofltio  in 
quo  in  fidem  me  propria  manu  subscripsi  die  20  maij  1509. 
Decemviri  Ac. 

*  Ed.:  ■  dà  per  ora  •. 

<  Ed.:  «  o  appuntati  •.  (!) 


'  RiMontrata  col  oopiaI«ttcre  orifinale  de'X,  Mgaato  di  n.  99,  a  e.  4t 


Digitized  by 


Google 


696  APPENDICE. 

biade  che  per  quest'anno  per  tutto  el  *  decto  mese  d'agosto  si  saranno 
ricolte  in  su  tali  beni,  ad  dichiaratione  tale  rata  de  li  Uliciali  soprai 
beni  de  Pisani  deputati,  o  d'  *  altro  Magistrato  che  circa  tal  cosa  per  il 
Comune  di  Firenze  se  ne  deputassi.  Con  questo  anchora  che  infra  quin- 
dici dì  proxime  futuri  i  Priori  overo  Anziani  di  Pisa  debbino  per  loro 
partito  dichiarare  la  observantia  di  tale  pagamento  cioè  o  di  bavere 
detti  conductori  a  pagare  el  decto  quinto  o  vero  habbino  bavere  la  rata 
dello  atìtto  da  dichiararsi  come  di  sopra. 

XXI.  Item  che  la  Signoria  di  Firenze  procuri  con  -  ogni  sua  pos- 
sibile diligentia  di  far  che  i  Pisani  habbino  salvocondotto  per  tempo 
d'anni  Cinquanta,  dal  Sommo  Pontefice,  dalla  Maestà  del  Re  di  Francia 
et  dalla  Comunità  di  Siena. 

XXII.  Item  che  i  Religiosi  et  Luoghi  Pii  della  Città  et  contado 
di  Pisa  s' intendine  essere  et  sieno  liberi  et  absoluti  da  ogni  debito  che 
per  conto  dello  Studio,  o  per  conto  di  Decime  havessino  col  Comune 
di  Firenze. 

XXIII.  Item  che  i  Crediti  del  Comune  di  Pisa  fino  a  questo  di, 
tanto  per  gabelle,  quanto  per  altro,  si  appartenghino  alla  detta  Comu- 
nità di  Pisa,  non  s' intendendo  però  de  Contadini  che  al  presente  habi- 
tassino  nella  3  Città  di  Pisa. 

XXIV.  Item  che  quelli  ì  quali  innanzi  all'anno  1494  fussino 
stati  fatti  Cittadini  Pisani,  et  etiam  quelli  che  dal  1494  in  qua  fussino 
stati  fatti  Cittadini  Pisani,  non  passando  però  questi  dal  1494  in  qua 
il  numero  di  quindici  ad  dichiaratione  de  Priori,  o  vero  Antiani  di  Pisa, 
da  farsi  infra  uno  mese  proxime**  futuro,  s'intendine  essere,  et  sieno 
compresi  nel  soprascripto  octavo  Capitolo  che  parla  della  «xemptione 
et  factione,  non  s' intendendo  ^  però  le  cose  nel  presente  capitolo  disposte 
per  li  huomini  delle  Potestarie  di  Cascina,  Vicho  et  Librafatta* 

XXV.  Item  che  e  Cittadini  et  Contadini  Pisani  habbino  tempo  uno 
mese  proxime  futuro  a  sghomberare  et  relaxare  libere  et  expedite  le 
cajse  de  fiorentini  che  sono  in  Pisa. 

XXVI.  Item  che  e  Cittadini  Pisani  possine  per  l'advenire  fare  la 
Dote  in  sul  Monte  del  Comune  di  Firenze  fino  alla  somma  di  fiorini  tre- 
cento larghi  di  grossi,  per  ciascuna  Dote. 

XXVIL  Item  che  tutti  i  prigioni  hinc  inde  si  debbino  relaxare. 

XXVIII.  Item  che  per  ogni  tempo  ad  venire  li  Signori  Fiorentini 
non  possine  imporre  ai  Contadini  delle  Potestarie  di  Cascina,  di  Vicho 
et  di  Librafatta  et*  borghi  et  soborghi  di  Pisa,  e  quali  al  presente 
habitano  o  hanno  "^  loro  famiglie  in  Pisa,  o  sono  fuori  del  Dominio  fio- 
rentino, de  quali  infra  uno  mese  proxime  futuro  ne  debbino  dare  par- 
ticulare  nota  a  Magnifici  et  Excelsi  Signori  Fiorentini,  o  al  Magistrato 
de  Dieci,  alchune  graveze,  balzelli,  imposte,  achatti,  né  alchuna  altra 
sorte  d'angharie  per  quale  si  voglia  causa,  la  quale  excogitare  si  pò- 


1  Ed, 

•  Ed. 

•  Ed. 
«  Ed. 
»  Ed. 
«  Ed. 
»  Ed. 


■  da  •>. 
»  per  ». 
«  In  detta  •>. 

•  pro88Ìmo  *. 

•  s'intendono  ■ 
••  Ri  paf ratta  *. 
»  hanno  le  *. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  697 

tessi,  né  etiam  salario  di  Rectori;  ma  .ne  siano  decti  Contadini  total- 
jnente  liberi,  exerapti  et  immuni,  et  etiandio  da  ogni  factione  di  Co- 
mune, excepto  che  dalle  factioni  personali  che  per  conto  della  guerra 
occorresseno.  Questo  però  dichiarato,  che  da  venti  anni  proxime  futuri 
in  là  sieno  tenuti  ad  concorrere  per  la  rata  loro  al  salario  de  Rectori 
solamente  et  non  ad  altro;  et  etiandio  sieno  tenuti  ognanno,  non  obstante 
le  cose  predette,  cominciando  quésto  presente  anno,  ad  offerire  alla 
Chiesa  di  Sancto  Giovanni  di  Firenze,  per  la  festa  di  decto  Sancto,  che 
è  del  mese  di  Giugno  ogni  anno,  il  palio  o  il  cero  come  erano  obligati 
avanti  l'anno  *  1494:  dichiarando  anchora  che  alla  spesa  di  decto  Palio 
o  vero  cero,  debbino  concorrere  tutti  i  Comuni  che  sono  nel  Pivieri  di 
S.  Casciano  et  S.  Lorenzo  alle  Corte:  dichiarando  che  il  Comune  di  Ri- 
poli per  rad  venire  non  sia  obligato  per  se  proprio  ad  offerire  palio  o 
cero  alchuno,  perchè  detto  Comune  è  defuncto:  et  che  dal  debito  per 
conto  di  decto  palio  o  cero  fino  al  presente  di  contratto  s'intendino 
essere  et  sieno  totalmente  liberi  et  absoluti. 

XXIX.  Item  che  detti  Contadini  debbino  per  Tadvenire  paghare 
il  sale  al  Comune  di  Firenze  solamente  ad  ragione  di  tre  quattrini  bianchi 
la  libbra  et  non  più. 

XXX., Item  che  detti  Contadini  possine  portare  a  vendere  per 
tutto  il  Contado  et  *  Distretto  *  di  Firenze  et  di  Pisa,  et  suo  territorio, 
tutte  le  biade  et  ogni  altra  cosa  che  loro  proprii  richogliessino,  senza 
paghare  alchuna  gabella  excepto  che  alle  porte  *  di  Firenze  et  di  Pisa; 
et  quelle  non  vendendo,  le  possine  ritornare  a  casa  loro  senza  paga- 
mento di  gabella,  come  di  sopra.  Non  s'intendendo  però  di  quelle  tetre 
o  luoghi  che  per  privilegio,  capitoli  o  patti  rischotessino  le  gabelle  per 
loro  et  non  per  il  Comune  di  Firenze,  a  quali  non  s'intenda  per  questo 
capitolo  in  alchuno  modo  pregiudicare. 

•  XXXI.  Item  che  quando  detti  Contadini  dal  detto  Contado  et  Di- 
stretto di  Firenze  et  ^  di  Pisa,  o  loro  territorio  portassino  grasce  alle 
case  loro,  non  siano  obligati  a  paghare  gabella  alchuna,  salvo  nondi- 
meno quello  che  s'è  detto  nel  precedente  capitulo  circa  le  gabelle  delle 
porte*  et  terre  et  luoghi  privilegiati:  il  che  tutto  s'intenda  qui  essere 
ot  sia  repetito. 

XXXII.  Item  che  le  tasse  di  vino  et  macello  di  dette  tre  pote- 
starie  et  borghi  et  soborgfhi  di  Pisa  s' intendine  essere  et  sieno  conce- 
dute per  ogni  tempo  advenire  agli  huomini  di  dette  potestarie;  non^ 
s' intendendo  però  in  tale  concessione  essere  compresa  la  tassa  del  vino 
et  macello  del  Castello  di  Cascina  et  Vicho,  et  della  forteza  et  borghi 
di  Librafatta. 

XXXIII.  Item  che  decti  Contadini  non  siano  obligati  a  paghare 
pigione  alchuna  delle  Case  de  Pisani  pel  tempo  che  di  già  hanno  habi- 
tato  0  per  uno  anno  proxime  futuro  habiteranno:  et  similmente  sieno 
liberi  dalle  pigioni  delle  case  de  Fiorentini  che  fino  al  presente  haves- 


Ed. 
Ed. 
Ed. 
Ed. 


••  Tanno  avanti  II  mille, 
-  aHs  Corta  ».  (!) 

•  o  ". 

•  delle  Corte  ". 


Digitized  by 


Google 


698  APPENDICE. 

sino  habitato:  le  quali  infra  uno  mese  proxime  futuro  debbino  sghom- 
brare  et  lasciare  libere. 

XXXIV.  Item  che  detti  Contadini  non  sieno  obligati  a  pagliare 
cosa  alchuna  per  conto  delle  bestie  che  havessino  haute  in  alluogho  * 
0  altrimenti,  le  quali  si  fussino  morte,  perdute  o  predate  in  questa  guerra, 
cioè  dall'anno  1494  in  qua,  ma  si  ne  intendine  essere  et  siano  total- 
mente liberi.* 

XXXV.  Item  che  detti  contadini  non  siano  obligati  né  possino 
essere  costretti  a  paghare  cosa  alchuna  per  cagione  d'afitti  o  livelli  corsi 
dall'anno  1494,  al  modo  Fiorentino  in  qua,  et  per  non  bavere  paghato 
da  detto  anno  in  quagl'afitti  o  livelli  non  s'intendine  essere,  nò  sieno 
decti*  livelli  richaduti;  non  s'intendendo  però  le  cose  nel  presente  ca- 
pitolo disposte  per  le  Chiese  o  altri  luoghi  Pii. 

XXXVI.  Item  che  tucte  le  possessioni  et  padroni  d'esse  sieno  te- 
nuti ad  concorrere  a  tutte  le  spese  et  opere  che  si  haranno  a  fare  ad 
rimettere  e  fossi  comunali  che  servissino  a  tali  possessioni. 

XXXVII.  Item  che  detti  contadini  possino  tenere  tutte  quelle  be- 
stie che  parrà  loro  di  qualunque  sorte,  dummodo  non  le  tenghino  ne 
luoghi  prohibiti  et  dannosi,  excepto  quelle  che  fussino  per  uso  '  pro- 
prio della  possessione,  le  quali  si  possino  tenere  in  qualunque  luogo. 

XXXVIII.  Item  che  a  detti  contadini  et  loro  comuni  s' intendine 
essere  preservati  tutti  i  loro  confini  et  jurisditioni. 

XXXIX.  Item  che  del  legname  di  qualunque  sorte  lavorato,  il 
quale  metteranno  detti  Contadini  in  Pisa,  non  habbino  a  paghare  di 
gabella  se  non  uno  soldo  per  Lira  della  stima  di  tale  legname. 

XXXX.  Item  che  la  gabella  de  contratti  per  l'advenire  non  s'habbi 
a  pagare  per  detti  Contadini  se  non  ad  ragione  di  danari  otto  per  Lira, 
et  non  altro  augumento. 

XXX XI.  Item  che  detti  Contadini  possino  fare  et  far  fare  t>gni 
arte  nelle  dette  Potestarie,  borghi  et  soborghi,  le  quali  siano  conve- 
nienti a  Contadini  sanza  paghamento  d'alchuna  matricola.  ^ 

XLII.  Item  che  tutte  le  condennagioni  di  danni  dati  che  per  Tad- 
venire  si  faranno  in  dette  Potestarie  s'appartenghino  a  quello  Comune 
dove  sarà  latto  el  danno  ;  et  il  Rectore  che  farà  et  riscoterà  tali  con- 
dennagioni ne  babbi  bavere  soldi  dua  per  Lira. 

XLIII.  Item  che  il  passo  delle  barche  s'appartenga  a  quello  Co- 
mune dove  sono,  non  si  pregiudicando  però  per  questo  ad  alchuno  pri- 
vato che  in  su  tali  passi  havesse  ragione  alchuna,  o  per  se  medesimo 
bavesse  passo  alchuno. 

XLIV.  Item  che  i  paschi  et  pasture  et  jurisdictioni  che  si  ap- 
partenessìno  ad  alchuno  Comune  di  dette  Potestarie  sieno  et  restino 
di  detti  Comuni. 

XLV.  Item,  che  per  lo  advenire  tutti  i  Forestieri  che  verranno 
ad  habitare  familiarmente  in  dette  Potestarie  sieno  obbligati  pagare 
ognanno  soldi  venti,  cioè  soldi  dieci  a  quello  Comune  dove  habiteranno, 
et  soldi  dieci  al  Comune  di  Firenze. 


1  Ed 
»  Ed 
»  Ed. 
*  Ed. 


>  alloggio  •. 

«  liberi  ed  assoluti  • 

"  per  l'uso  ". 

«  della  matricola  ■. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  6W 

XLVI.  Itera  che  nello  Stagno,  Arno,  Serchio  et  Fiume  morto  sia 
lecito  peschare  liberamente  ad  ciascuno  come  gli  parrà  et  piacerà,  cioè 
solamente  per  il  corpo  dello  Stagno,  non  pregiudicando  alle  ragioni  che 
vi  havessino  i  Luoghi  Pii. 

XLVII.  Itera,  atteso  in  che  terraine  si  trovi  per  conto  del  Vitto 
la  Città  et  Contado  di  Pisa  et  la  domanda  fatta  a  parole  per  gli  Am- 
basciadori  di  detta  Città  et  Contado,  promettono  detti  Signori  Dieci 
per  so  venirgli  in  tale  loro  bisogno,  concedere  loro  la  somma  di  dieci- 
mila saccha  di  grano  a  soldi  quindici  lo  Staio,  cioè  a  sopradetti  Con- 
tadini delle  dette  Potestarie  saccha  seimila,  et  a  Cittadini  Pisani  saccha 
quattromila. 

XLVIII.  Itera  che  tutti  i  predetti  Capituli  vaglino  et  tenghino,  et 
Inviolabilmente  si  observino,  non  obstante  qualunque  deliberatione,  de- 
creto, legge  0  reformatione  fatta  in  fino  a  qui,  o  da  farsi  da  Signori 
Fiorentini,  o  loro  Comunità  et  Popolo,  et  qualunque  altro  loro  Magi- 
strato et  Consiglio  sanza  el  consenso  de  Pisani,  alle  quali  cose  s'in- 
tenda per  il  presente  appuntamento  derogato,  anchora  che  maggiore 
et  più  speciale  expressione  et  mentione  fare  si  ricerchassi. 

Que  omnia  et  singula  suprascripta  singulis  referendo,  prefate  partes, 
videlicet,  prefati  Domini  Decora  Balie,  dicto  nomine,  ex  una,  et  pre- 
fati Sindici  et  Procuratores,  dicto  ucraine,  ex  alia,  sibi  invicem  et  vi- 
cissira  legitirae  proraiserunt,  et  ad  delationera  nostrura  Francisci  e  * 
Petri  notariorura  infrascriptorum  juraverunt  ad  Sancta  Dei  Evangelia, 
scripturis  corporaliter  manu  tactis,  perpetuo  flrraa,  irata  et  grata  habere 
et  tenere,  et  bona  fide  observare,  attendere  et  adiraplere,  et  centra 
non  facere,  vel  venire  per  se  vel  aliura  seu  alios,  directe  vel  indirecte, 
aliqua  ratione,  iure,  modo,  vel  causa,  de  iure  vel  de  fttcto,  sub  pena  et 
ad  penam  florenorura  quinquaginta  railliura  auri,  et  in  auro,  largorum 
in  singulis  et  prò  singulis  capitulis,  pactis  et  merabris  presentis  con- 
tractus  seu  actus  et  instruraencti  in  solidum  solerani  stipulatione  pre- 
missa,  et  legitirae  stipulata,  et  sub  refectione  oranium  et  singulorum 
damnoruffl,  interesse  et  expensarura  litis  et  extra.  Ratis  taraen  et  firmis 
seraper  reraanentibus  suprascriptis.  Pro  quibus  omnibus  et  singulis 
suprascriptis  observandis  et  firmis  et  ratis  habendis  et  tenendis,  et  prò 
dieta  pena  solvenda,  si  et  quotiens  *  commissa  fuerit,  obligaverunt 
prefate  partes  dictis  norainibus  sibi  invicera  et  vicissira  sese  dictis 
norainibus  et  dictos  eorura  principales,  videlicet,  prefati  magnifici  Do- 
mini Decera  Balie  obligaverunt  dictis  Sindicis  et  Procuratòribus  pre- 
sentibus,  et  dicto  noraine  recipientibus  et  acceptantibus  dictura  eorura 
officium  et  dictara  Excelsara  Rerapublicam  et  populura  Fiorenti  nura  et 
eius  Cives,  horaines  et  personas,  et  queralibet  eorura  in  solidum  et  in 
totura,  et  eorura  heredes  et  successores,  et  bona  orania  et  singula  pre- 
sentia  et  futura.  Et  prefati  Sindici  et  procuratores  obligaverunt  dictis 
raagnificis  Dorainis  Decera  *  Balie  *  presentibus  et  dicto  nomine  recipien- 
tibus et  acceptantibus  sese  dicto  noraine  et  dictara  Coraunitatera  et 
Populura  Pisanura  et  eius  Cives  horaines  et  personas,  et  queralibet  eorura 
in  solidura,  et  in  totura,  et  eorura  heredes  et  successores,  et  bona  orania  et 

1  Ed  :  -^eto. 

*  Ed.:  •  quotlescumque  •. 


Digitized  by 


Google 


700  APPENDICE. 

singula  presentia  et  futura:  renuntiantes  etiam  partes  predicte  in,  et  prò 
predictis  *  omnibus  et  singulis  exceptioni  non  sic  facte  submissionis, 
concessionis,  obligationis  et  capitulationis,  et  rei  non  sic  gesta,  et  non 
sic  per  omnia  ut  premittitur  celebrati  contractus  seu  actus  et  instru- 
menti, et  exceptioni  doli  mali,  vis,  metus,  fraudis,  conditioni  indebiti, 
sine  causa,  ex  iniusta  causa,  et  quod  metus  causa,  fori  privilegio,  be- 
neficio Epistole  Divi  Adriani,  *  et  nove  seu  novaruna  constitutionis  ^ 
divisionis  excusslonis  et  de  pluribus  reis  debendi,  et  omni  *  et  cui- 
cumque  alii  legum,  juris,  sacrorum  canonum,  et  constitutionum,  et  sta- 
tutorum  quarumcumque  *  et  *  quorumcunque  ^  auxilio,  beneficio  et  favori, 
ac  etiam  ^  iuribus  et  legibus  dicentibus,  seu  in  effectu  disponentibus 
generalem  renumptiationem  non  valere,  seu  non  sufllcère.  Rogantes 
partes  predicte  dictis  nominibus,  nos  Franciscum  de  Aretio  et  Petrum 
de  Pisis  notarios  publicos  infrascriptos,  et  quemlibet  nostrum  in  solidum 
et  in  totum,  quatenus  de  predictis  omnibus  et  singulis  conficeremus,  seu 
alter  nostrum  conficeret  publicum  instrumentum,  unum  '  seu  plura. 

Item  postea  ^  eisdem  anno,  ìndictione  et  die,  et  incontinenti  post 
predicta. 

Magnifici  et  Excelsi  Domini  Domini  Priores  libertatis  et  Vexillifer 
Justitie  perpetuus  Populi  Fiorentini,  quorum  nomina  sunt  ista  videlicet 

Antoni  US  Francisci  Antonii  de  Bencis, 

Franciscus  Pieri  de  Vectoriis, 

Hieroniraus  Guidonis  de  Guardis,  ^ 

Johannes  Jacobi  de  Miniatis, 

Vannes  Cesaris  de  Petruccis, 

Gherardus  Francisci  Antonii  Taddei  et 

Franciscus  Antoni  de  Giraldis;  et 

Petrus  Domini  Tommasii  de  Soderinis,  Vexillifer  justitie  perpetuus. 

Auditis  et  intellectis  omnibus  et  singulis  suprascriptis,  sponte,  et 
ex  certa  eorum  scientia,  ut  et  tamquam  Domini  predicti  prefatis  sin- 
dicis  et  procuratoribus,  dicto  nomine,  presentibus,  recipientibus  et 
acceptantibus,  legitime  promiserunt,  ac  etiam  ad  delationem  nostrum 
Francisci  de  Aretio  et  Petri  de  Pisis  notariorum  publicorum  infra- 
scriptorum,  iuraverunt  ad  Sancta  Dei  Evangelia,  scripturis  corporaliter 
manu  tactis,  predicta  omnia  et  singula  suprascripta  perpetuo  et  invio- 
labiliter  attendere  et  observare  in  omnibus  et  per  omnia,  et  quoad 
omnes  et  omnia  et  singula,  et  prout  et  sicut  supra  in  precedenti  instru- 
mencto  continetur  promissum,  convenctum  et  scriptum  est;  rogantes  *^ 
ac  etiam  mandantes  per  nos  Franciscum  de  Aretio,  et  Petrum  de  Pisis 
Notarios  publicos  infrascriptos,  et  quemlibet  nostrum  in  solidum  et  in 
totum  **  publicum  confici  instrumentum,  unum  seu  plura. 

1  Ed.:  »  dlctls  •. 

«  Ed.:  •  benefìcio,  Epistolae  Divi  Adriani  ». 

3  Ed.:  •  confftitutum  •.  Ms.  pisano:  •  constitutionum  «. 

■*  Ed.:  •  omne  ». 

^  Ed.:  >  et  quallterumque  •. 

»  Ed.:  •  ac  et  -. 

'  Ed.:  •  et  seu  ■• 

•  Ed.:  •  propria  ■. 

*  Ed.:  •  de  Guardiis  •. 

^''  Ed.:  •  rogantes  partes  praedlctae  dictis  nominibus,  Nos,  Franciscum  de  Arretio  ■,  etc. 
^^  Ed.:  >  quatenus  de  praedictis  omnibus  et  singulis  conficeremus  seu  alitar  nostrum  >. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  701 

(L.  S.)  Ego  *  Franciscus  quondam  Octaviani,  Antonii  de  Octavianis 
de  Aretio,  publicus  Imperiali  auctoritate  notarius  et  Judex  ordinarius, 
Civisque  et  notarius  publicus  Florentinus,  nec  non  Scriba  et  Oflìcialis 
reformationum,  Consiliorum  Populi  et  Comunis  Florentie,  suprascripte 
submissioni  Civitatis  Pisarum,  et  suprascripte  capitulationi,  et  aliis  ut 
supra  conventis  et  fìrmatis  inter  suprascriptos  novem  ex  decem  offl- 
ciaiibus  Balie  ex  una,  et  suprascriptos  novem  sindicos  et  procuratores 
pisanos  ex  alia,  et  omnibus  aliis  suprascriptis,  una  cum  predicto  ^ 
egregio  Ser  Petro  de  Appostolis,  qui  de  predictis  etiam  rogatus  ftiit, 
dum  sic  ut  premittitur  agerentur  et  flerent,  una  cum  prenominatis 
testibus  interfui,  et  de  eìs  rogatus  fui,  et  in  hanc  publicam  formam 
redegi:  Aliis  tamen  arduis  negociis  occupatus,  alteri  mihi  fido  tran- 
scribenda  commisi,  et  ideo  in  predictorum  fidem  me  subscripsi,  et 
signum  nomenque  meum  consuetum  apposui  -  Laus  Deo. 
(L.  S.)  Ego  Petrus  olira  Augustini  de  Apostolis,  Civis  Pisanus,  publicus 
Imperiali  Auctoritate  Notarius  et  Judex  ordinarius,  supradictis  omnibus 
et  singulis,  una  cum  suprascripte  spectabili  viro  Ser  Francisco  de 
Aretio  qui  de  predictis  similiter  rogatus  fuit,  dum  sic  ut  premittitur 
agerentur  et  flerent,  una  cum  prenominatis  testibus  interfui,  et  de  eis 
rogatus  fui.  Et  ideo  in  predictorum  fldem  me  subscripsi  et  signura 
nomenque  meum  consuetum  apposui  -  Laus  Deo. 


1  Ed.:  •  Petrus  oUm  Augustini  de  Apostolls  clvIs  PIsanuR  pubbllcus  Imperiali  auctoritate 
Notarius,  et  ludex  Ordinarius  nec  non  cancellarius  Magniflcorum  Anthianorum  et  Vexilllfer 
lustitlae  populi,  et  comunis  pisarum  «. 

■  Ed.:  •  Inflrascrlpto  spectabili  Viro  Francisco  de  Arretio  •. 


Digitized  by 


Google 


X. 

(Y.  libro  II,  capo  testo,  pag.  504). 

Instructio 

de  hiis,  que  agere  et  tractare  debet  prò  nobis  et  nomine  nostro  cum 
magni ficis  nostris  et  sacri  Romani  imperii  fidelibus  dilectis  vexi- 
tiferò  justicie  et  bailia  ciuttatis  nostre  impenalis  Florentie  hona- 
rabilis  fidelis  nobis  dilectus  Pigellus  Portnarius  secnetarius  noster, 

(Archivio  R.  e  I.  di  Corte  e  di  Stato  in  Vienna.  -  Minata  d*  Istruzione  a  Pigolio  Porti- 
nari,  segretario  mandato  dall*  Imperatore  Massimiliano  al  Gonfaloniere  e  alla  Balia 
di  Firenxe). 

Max. 

Imprimis  exhibìtis  literis  nostris  credentialibus  dicet  eis  gratiam 
nostram  caesaream  et  omne  bonum»  declarando  eis  gratiam  et  singula- 
rem  clementiam,  qua  ipsos  coraplectimur,  et  quam  cupidi  sumus  con- 
seruationis  et  etiam  incrementi  status  eorum  et  quod  effectu  compro- 
babimus,  cum  se  occasio  obtulerit 

Etquoniam  scimus  satis  superque  eidem  Yexiiifero  et  bailie  notumet 
prospectum  esse  statura  vniuerse  Italie  et  quanti  procelis  jactetur  vndique, 
adeo  quod  uerisimiliter  magnopere  uerendum  sit  ne  incendium  istorum 
bellorum  ulterius  serpat  et  totam  Italiam  misere  conquaset  et  affligat: 
sicuti  ipsi  bene  prospicere  possunt,  imo  ea  aliter  nos  declarare  non 
intendimus,  nisi  quod  nos  ex  animo  desideramus  compositipnem  et  sta- 
tum  quietum  et  pacificum  Italie,  ad  quod  nos,  quantum  cum  honore 
nostro  poterimus,  adnitemur  ex  toto  corde.  Et  prò  terminandis  hiis 
rebus  compelimur  aliquomodo  vires  fortius  instaurare,  ut  possimus  com- 
pelere  liostes  nostros  ad  rationabilia  et  conuenientia;  et  prò  hac  re 
efflcienda  indigemus  certa  summa  peccuniarum.  Quapropter  instabit 
idem  secretarius  noster  apud  eosdem  vexiliferum  et  bailiam,  quod  velint 
nobis  subuenire  de  L  mil.  ducatorum,  quos  nos  exposcituri  sumus  prò 
quietatione  Italiae  et  eius  bono  statu:  et  id  precipue  cedet  ad  com- 
modum  eiusdem  status  Florentìnorum. 

Vlterius,  quoniamjussu  nostro  et  de  conse[nsu]  '  serenissimi  regis 
Francie  fratris  nostri  ca[rissimi],  instantibus  aliquibus  ex  reverendis- 
simis  [S.  Rom.  Ecclesie]  cardinalibus,  indictum  fuitconcilium  [vniver]sale: 
quod  omnino  prosequi  inteu[dimus]  nec  aliquomodo  a  prosecutione  eius 
desistemus,  cum  videraus  illud  valde  necessarium  prò  vniversa  repu- 
blica  Christiana  illudque  propediem  incipiendum  sit.  Si  idem  vexilifer 
et  bailia  nobis  illa  L  mil.  due.  prebere  in  auxilium  uoluerint,  curabimus 

^  Lacuna  naì  foglio. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  .    703 

ut  dictum  concilium  transferatur  Florentiam  et  ibidem  celebretur,  quod 
erit  ad  maximum  decus  ciuitati  et  ad  maiorem  incrementum,  adeo  quod 
in  longe  maiori  summa  quam  nobis  dabunt  excrescet  ciuitas  et  (in) 
priuato  et  in  publico;  et  ulterius  taliter  agemus  cum  illa  republica, 
quod  gaudebit  in  hoc  nobis  complacuisse  ;  et  hoc  ipsis  idem  secretarius 
noster  persuadebit  et  policebitur. 

Preterea  idem  secretarius  noster  suadebit  omni  bone  modo  quo 
poterit,  ut  eadem  respublica  Fiorentina  ueiit  se  vnire  nobiscum  et  cum 
serenissimo  rege  Francie  consanguineo,  confederato  et  fratre  nostro 
carissimo,  super"  quo  credimus  etiam  ipsos  requisitos  fuisse  ab  eodem 
serenissimo  rege  fratre  nostro  carissimo,  quod  eis  est  futurum  et  ho- 
norabile  et  commodum.  Videns  enim  ex  persi stentia  nostra  in  federe 
cum  eodem  serenissimo  rege  et  corespondentia  nostri  fraterni  amoris, 
quod  tot  potentissimos  impetus  diversorum  hostium  egregie  sustinue- 
rimus  et  tandem  cum  gloria  et  incremento  remansimus:  quod  longe 
etiam  melius  fiet  accedentibus  ipsis  ad  hanc  confederationem  nostram  : 
et  ipsi  fulcìti  tantorum  regum  amicitia  et  federe  conflrmabuntur  et 
augentur  in  dignitate  et  statu. 

Et  quoniam  intelleximus  reverendissimum  dominum  cardinalem 
Volteranum  amicum  nostrum  carissimum  esse  Florentie,  itaque  idem 
secretarius  conueniet  suam  reverendissimam  dominationem  et  visitabit 
eam  nostro  nomine.  Et  quamdiu  ibidem  fuerit,  idem  secretarius  noster 
singulariter  obseruabit  eum  et  omnia  suprascripta  secum  lìbere  sicuti 
cum  singulari  amico  nostro  communicabit,  petendo  ab  eo  in  omnibus 
rebus  nostris  consilium,  fauorem  et  auxilium,  et  omnia  ex  sententia 
eius  exequetur,  rogando  suam  reverendissimam  dominationem,  quod 
uelit  adherere  concilio  per  nos  vna  cum  serenissimo  rege  Francie  fratre 
nostro  carissimo  et  reverendissimìs  dominis  cardinalibus  indicto,  quod 
erit  prò  bono  vniversali  totius  re[ipublice]  Christiane  et  felici  incre» 
mento  sedis  [apostolice]  et  vniversalis  ecclesie. 

Omnia  hec  supradicta  exequetur  sua  [ ]  '  fide,  diligentia  et  dex^ 

tentate.  Ide[m  quoque]  secretarius  noster  continue  nos  ad[ Jnen 

tam  de  hiis  que  efflcere  poterit  quam  de  occurrentiis  Italie.  Et  si  uoti- 
uum  responsum,  sicuti  speramus,  habuerit,  confestim  quando  citius  cum 
totali  resoluta  mente  illius  reipublice  ad  nos  redeat,  ut  omnia  bene  inter 
nos  concludantur  et  corroborentur.  Datum —  — 


^  Lacuna  nel  foglio. 


Digitized  by 


Google 


XI. 

(V.  libro  II,  capo  iiettinio,  pag.  534). 

Breve  di  Papa  Giulio  II  agli  Svizzeri. 

(Bibliot.  Chigi,  rass.  Annali  del  Tizi,  t.  vir,  pag.  123-1). 

Julius  pp.  II  Elvetiis. 

Dilecti  filii  Sai.  et  aplìcam  benedictionem.  Legimus  Iras  vraa  ex 
Lucerna  decimo  quarto  huius  datas  minime  quidem  dignas  que  a  uobis 
ad  Nos  micterentur.  *  Sunt  enim  contumeliose  et  arrogantes.  Scribitis 
namque  in  illis  nos  vigore  lige  inter  uos  et  superiores  uestros  inite, 
suasu  etiam  vener."'  fratrisMathei  Epi  Sedonensis  jex  milia  peditum 
prò  conseruatione  persone  nre  ac  status  nostri  et  api  ice  sedis  flefen- 
sione  ultra  Alpes  in  Italiam  adversus  Mediolanum  misisse;  ibique  prae- 
sentisse  huiusmodi  expeditionem  ad  expugnandum  et  eiciendum  a  par^ 
tibus  Italie  Regem  francoriim  et  Maiestatem  Cesareara  tendere.  De 
quibus  hoc  praesentire  potuistis  nisi  a  gallis  bisce  nimirum  qui  uobis 
passum  transitumque  denegauere,  et  qui  nos  et  aplicam  sedena  in  spi- 
rltualibus  et  temporalibus  per  summam  iniuriam  et  impietatem  oppa- 
gnant.  Nos  prò  defensione  persone  nostre  ac  status  nostri  non  indige- 
bamus  opera  uestra.  Sed  uos  pecunia  nostra  conduximus  et  in  italim 
invocavimus  prò  recuperatione  iurium  et  Urbium  Sancte  Re.  Ecclie 
contra  Alphonsum  Estensem  nostrum  et  Ecclie  ante  diete  Rebellem 
qui  multorum  maximorum  benefìtiorum  a  nobis  et  sede  Àpiica  re- 
ceptorum  immemor  in  nos  superbie  cornua  dirigit,  cum  fautoribus  suis, 
in  quorum  nro  si  est,  ut  certe  est,  Ludovicus  francorum  Rex;  Eius 
enim  fauore,  eius  exercitu  eius  ducibus  manifeste  fouetur  alphonsus, 
uideat  quomodo  christianissimi  nomen  et  principalis  Eclesie  filii  sub- 
stinere  possit.  Nam  in  protectione  eiusdem  Alpbonsi  suscipienda  Ca- 
pitula  Cameracensis  federis  quibus  expresse  cauetur  nequis  federatorum 
subditum  uel  pheudatarium  aliquem  absque  consensu  illius  cuìus  sub- 
ditus  uel  pheudatarius  est  recipere  valeat  uiolauit  Et  multis  preterea 
aliis  in  rebus  nobis  et  sancte  Ro.  ecclie  iniurius  est.  De  Cesarea  ma- 
jestate  absit  non  modo  ut  faciamus  sed  ne  cogitemus  quidem  aliquid 
contra  eam  quam  toto  cordis  affectu  diligimus,  in  qua  fiiialem  caritatem 
et  obseruantiam  erga  nos  et  Sedem  aplicam  recognovimus  recogno- 
scimusque  in  dies.  Quod  nero  uos  hortamini  ut  positis  insidiis,  sic  enim 
scribitis,  pacem  uelimus  facere:  non  solum  ìmprudentes  et  impii  sed 
contumeliosi  estis  ;  qui  summum  pontificem  et  sanctam  Ro.  eccliam  in 

*  Cf.  RA^KB,  Gesch.  der.  rnm.  und.  gr.rm.  \T)U:cr,  pag.  255,  Il  quale  citando  dal  OtttTi. 
l'estratto  rH  questa  lettera  deprlì  Svizzeri  ne  riproduce  la  sentenza:  •  Der  Vater  des  Frledens 
móge  mlt  den  Christen  frledfertlg  und  oline  arge  List  verfahren  «. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  705 

quibns  surama  sincerititis  fldes  in  promissis  fuit,  insidiatores  appellare 
non  ueremini.  Filii  insidiatores  nere  dici  appellarique  possunt  qui  sub 
bonis  et  dulcibus  uerbis  fallacibusque  promissis  nos  circurauenire  que- 
siuerunt  et  querunt  In  eo  etiam  quod  Uos  mediatores  pacis  tractande 
offertis  arrogantes  et  conditionis  uestre  obbliti  uidemini:  cum  honori 
nostro  et  sancte  apostollice  sedis  satisfactura  consultumque  erit  per 
excelse  dignitatis  principes  qui  se  nobis  quottidie  offerunt,  sine  Uobis 
de  pace  tractari  poterit.  Quare  non  debuistis  tam  cito  retrocedere 
neque  expectationem  nram  frustrare  et  Sanctam  Ro.  eccliam  cuius 
stipendiis  adducti  eratis  desercre.  Nam  de  transitu  Uos  scitis  et  Ire 
ure  testantur  quid  promiseritis.  Uerum  quod  illum  nobis  quacumque 
uià  aperiretis,  quamuis  antera  expectationi  nostre,  ut  suprascripsimus, 
non  responderitis.  Persuadere  enim  nobis  non  possumus  quod  condi- 
tionem  aliquo  modo  a  rege  francorum  accepturi  et  contra  scam  Ro: 
eccliam  uestram  et  cunctorum  fidelium  matrem  militaturi  sitis,  vio- 
lando capitula  nobis  communita  et  famam  vestram  posterosque  deni- 
grando. Si  nero  secus  feceritis,  ipsi  Regi  francorum  reconciliabimur 
eumdemque  pariter  et  Cesaream  majestatem  Uobis  infensos,_inimicos 
nosque  etiara  contra  uos  et  fldei  violatores  et  sancte  Ro.  ecclie  deser- 
tores  armis  spiritualibus  et  temporalibus  uteraur.  Sigillaque  uestra  ad 
omnes  regiones  omnesque  ciuitates,  terras,  uicos  hujusmodi  perfldiam 
testantia  tran^mìctemus  ut  uniuersi  singulique  intelligant  uobis  qui 
scam  Ro.  eccliam  et  summum  pontificem  contra  fldem  datam  deserere 
non  erubuistis,  nullam  fldem  habendam  esse,  nullumque  negocium  tuto 
posse  comraicti  ac  perinde  cunctis  nationibus,  principibus,  populis  odiosius 
cum  summa  perpetua  infamia.  Datum  Bononie  sub  anulo  plscatoris  die 
ultima  septembris  M.  D.  X.  Pontiflcatus  nostri  anno  septimo. 


ToMHAsiNi  -  Machiavelli.  45 


Digitized  by 


Google 


XII. 

(T.  libro  II,  capo  Mttimo,  pog.  5(6). 

Descrizione  della  battaglia  di  Ravenna. 

Da  lettera  di  Giovanni  da  Fino,  segretario  del  Duca  di  Ferrara.^ 
(Bibi.  Vatic,  ma.  urb.  490,  pag.  135-87) 

Hora  scriuo  la  presente,  per  non  essere  il  primo  che  ut  faccia  in- 
tendere la  vittoria  nostra,  perche  so  questa  non  sera  dille  prime  che 
gionghi  a  Ferrara,  ma  per  che  habbiate  qualche  più  particulare,  di 
quelli  che  si  diranno  in  publico.  Saperà  adunque  la  Magnificentia  uo- 
stra,  com'allì  viìj  venimmo  a  camparci  a  questa  città,  et  quel  dì  me- 
demo  suso  la  sera  si  principiò  la  batteria  cum  Tartigliaria  grossa,  et 
si  continuò  fino  alle  vijj  hore.  Il  di  viiij.  deliberosse  di  dare  Tas- 
sai to  alla  Terra,  et  armatosi  tutto  il  Campo,  mandate  le  gente  or- 
dinate a  dare  Tassalto,  il  resto  si  puose  in  Campagna  &  in  battaglia 
per  ostare  a  gli  inimici  quando  si  fossano  presentati  per  dar  fauore  alla 
terra,  li  quali  ci  hanno  sempre  costeggiati,  &  alchune  fiate  alloggiati 
uicini  a  noi  a  tre,  0  quatro  miglia,  si  dette  Tassalto  gagliardamente;  ma 
arditamente  anchora  si  diffesano  quei  di  dentro.  Eraui  il  signor  Mar- 
cantonio Colonna  cum  la  compagnia  sua  di  gendarme,  &  cum  mille  doicento 
fanti.  Restorno  molti  ferriti  &  morti  da  Tuna  &  l'altra  parte,  et  forsi  più 
dilli  nostri,  li  quai  fuorno  rebbuttati.  Dilli  nostri  gran  personaggi  fuorno 
ferriti  Monsignor  di  Chiettiglion,  &  monsignor  di  Spin,  mastro  dilla 
Artigliarla,  di  archebuso,  Tuno  nel  braccio,  l'altro  in  una  cosiau  II  S."  Fe- 
derico da  Gonzaga  di  sasso  in  la  testa,  ma  non  hebbe  molto  male.  La 
sera  gli  nemici  uenero  a  loggiar  uicini  a  noi  quatro  miglia,  &  cum 
l'artigliaria  dettene  signale  di  loro  alla  terra.  Pur  alli  x  la  matina  per 
tempo  mandorno  nel  campo  nostro  doi  per  pigliare  assetto,  dimandando 
la  saluezza  loro  &  dilli  soldati,  &  che  in  la  Terra  non  intrassino  sol- 
dati. La  praticha  porto  seco  qualche  tempo,  non  già  per  che  si  gU 
negassino  tai  Capituli.  Tra  questo  mezzo  li  nemici  forsi  aduertiti  di 
gli  andamenti  dilla  Terra  s'accostorno  al  Campo  nostro  in  belle  bat- 
taglie ad  un  miglio  &  mezzo  &  il  campo  nostro  s'armò  &  mossosi  al- 

1  L'autore  della  citata  Vita  di  Francesco  Maria  della  Povere  duca  d'Urbino  la  reca 
in  me7.zo  a  questo  modo.  Dopo  aver  indicato  l'esito  della  l)attaglia  di  Ravenna,  soggiunge: 
-  et  perchè  diuersamente  è  stato  refferito,  io  te  lo  ponerò  qui.  Lettore,  secondo  Taduiso 
dato  in  Ferrara  per  lettera  di  Gioan  da  Fino  alhora  secretario  di  quel  Duca,  che  col  suo 
patrone  ui  si  rltrouò  presente,  levando,  come  fuor  di  proposito,  alchune  poche  parole  come 
per  sua  scusa  di  hauer  tardi  .scritto,  posto  (sic)  nel  principio  della  lettera,  la  qual  seguendo 
cosi  dlceua:  •.—  Questo  Giovanni  da  Fino  trovavasi  al  campo  francese  col  titolo  di  Cancel- 
liere Ducale,  presso  II  cardinal  Legato,  Sanseverino.  I  dispacci  a  lui  diretti  recano  la  scritta: 
••  Spectabili  CanceUario  nostro  Ioanni  de  Fino,  apud  Reoerend.«t  dominum  legatum  in 
castra  Christianissimi  Regis  *.  —  Riconosco  queste  notizie  dalla  cortesia  del  sig.  cav.  C 
FoTTCARo,  sopraintendente  dell'Archivio  di  stato  in  Modena,  ove  passarono  le  carte  degli 
Estensi. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  707 

quanto  con  tra  dì  loro,  lassata  però  una  grossa  banda  di  gente  eontra 
la  Terra,  &  per  guarda  diirartigliaria.  Ma  poi  Tuna  parte  &  l'altra 
stette  cosi  bon  spatio  in  battaglia,  Spagnoli  feceno  uista  uolersi  spinger 
eontra  di  noi,  per  la  qual  cosa  mandosse  a  leuare  dalla  Terra  tutta 
Farti gliaria,  &  fu  condotta  centra  gli  nemici  charicandosi  tutti  li  cha- 
riaggi  del  Campo,  &  stettesi  cosi  in  battaglia  sino  al  tardo.  Erano  presso 
le  xxiij  bore,  li  Spagnoli  alloggiorno,  &  noi  ritornammo  alli  primi  al- 
loggiamenti. Fra  questo  tempo,  quelli  della  Terra,  ne  baueuan  uoltati 
alchuni  falconetti,  &  cominciorno  a  batterne,  di  modo  cbe  questa  ma- 
tina,  delibcrossi  disloggiare  quasi  cum  tutta  la  gente  diirantiguardo, 
pel  gran  danno  che  ne  faceuano  &  retirossi  in  luocho  manche  pericu- 
loso.  Già  si  erano  mandati  li  foreri  a  pigliare  gli  alloggiamenti,  &  le- 
uati  li  charraggi,  fu  dato  all'armi,  per  che  Spagnoli  s'apresentorno 
in  battaglia  alle  frontiere  di  loro  alloggiamenti.  Onde  s'ordinorno  le 
battaglie  nostre,  lassando  centra  la  Terra  ^guarda  sufficiente.  Gli  nemici 
dlloggiauano  a  canto  il  fiume  dalla  banda  di  la,  &  noi  tutti  dal  canto 
di  qua.  Disposte  le  battaglie  &  condutta  tutta  Tartigliaria,  tra  quelle 
si  fece  passare  il  fiume  alle  fanterie  dilFantiguardo,  dreto  Tartigliaria, 
&  poi  la  gendarme  dillo  antiguardo.  Stettesi  così  per  spatio  di  una 
bora.  Spagnoli  cominciorno  a  scharicar  Tartigliaria  centra  li  nostri, 
però  dalli  loro  alloggiamenti,  che  più  in  ante  non  uenero.  Li  nostri 
cum  Fartigliaria  gli  risposano,  &  alhlora  anche  si  feceno  passare  tutte 
le  genti  dilla  battaglia.  Da  Tuna  a  l'altra  parte  il  tirare  dill'artigliarie 
fece  grandissimo  danno.  Li  nostri  s'acostorno  più  a  gli  nemici,  li  quali 
essendo  grauemente  offesi  dalla  nostra  artigliarla,  eh'  il  tirare  di  l'uno 
&  l'altra  banda  durò  più  di  una  bora.  Le  genti  da  cavallo  dil  loro  an- 
tiguardo, per  quanto  refferisce  il  S.°'  Fabricio  disseno  non  uoler  morire 
così  miserabilmente  d'artigliarla,  ma  cum  la  spada  in  mano,  si  allar- 
gorano  alquanto.  Li  fanti  nostri  si  gli  miseno  apresso  &  le  gendarme 
per  fiancho,  in  modo  ch'el  fatto  d'arme  si  strinse  tanto,  ch'è  stato  per 
runa  &  l'altra  parte  cruuentissimo,  &  finalmente  gli  nemici  fuorno  rotti, 
&  perseguitati  più  di  quatro  miglia  cjnm  grande  occisione,  che  si  tiene 
siano  morti  di  tutto  dei  le  parte  delle  persone  da  otto  in  dece  milia. 
Di  ferriti  gli  ne  fonno  infiniti.  El  Viceré  Spagnolo  senza  mai  hauersi 
posto  l'elmo,  per  quanto  dice  il  S.°'  Fabritio,  come  si  principiò  il  fatto 
d'armi  si  retirò  &  andossone  cum  dio.  Il  S.*"'  Fabricio  et  il  marchese 
dalla  Palude  fatti  prigioni  per  il  nostro  Ill.mo  S.'"  il  quale  si  è  portato 
gloriosissimamente.  Pietro  Navarra  fatto  prigione  di  Me^  hettor  Ro- 
mano,* benché  alchuni  Francesi  gli  lo  levassino  di  poi  combattendo  cum 
alchuni  fanti  inimici;  pur  credo  che  la  ragione  lo  souenirà,  si  che  lo 
rehauerà,  per  che  la  causa  si  ha  a  ventillare.  Fu  detto  che  Ramac- 
ciotto  era  morto,  pur  questa  sera  s'afiBrma  chel  fuggi  nil  principio  dil 
menare  dille  mano.  11  Legato  loro  è  preso,  &  bora  è  in  mano  dil  Le- 
gato nostro,  toltogli  lartigliaria  &  li  Charriaggi  &  in  effetto  minati. 
Si  ha  per  indubitato,  che  tra  presi  &  morti  di  loro  siano  più  dilla  mità. 
Erano  bellissime  genti,  cioè  mille  &  cinquecento  homini  d'arme,  & 
fanti  dodici  millia,  che   si  dicano  cose  stupende  dilla  virilità  che  de- 

1  Ettore  Giovenale,  detto  pure  Ettore  romano,  fu  anche  tra  i  combattenti  della  famosa 
dlsllda  di  Barletta. 


Digitized  by 


Google 


708  APPENDICE. 

mostrorno  le  fantarie  spagnole.  Dal  canto  dilli  nostri  :  Li  Lanzicheneche 
&  Taliani;  ma  Gasclioni,  Piccardi  &  Normandi  poltroni  in  cremisino. 
Dilli  nostri  sono  manchati  personaggi  grandi;  prima  lo  111."°  Monsig."  di 
Nemors  che  fu  morto  dalle  fantarie  nemiche,  uolendo  far  fare  testa 
a'  nostri  fanti  che  rinculauano.  Monsig."  dalegra,  Mons."  dilla  Grotta, 
morti  d'artigliarla.  Mons.**'  di  Lautreche  ferrite  periculosamente: 
Mons."  della  Foietta  ferrite,  &  Capitani  a  cauallo,  non  so  dirgli.  Ca- 
pitani a  piedi  sono  morti  Molardo,  Mongiron,  Jacob  Bouet,  et  alchuni 
altri  che  non  ho  il  nome  loro.  Giudicasi  che  costoro  non  habbiano  a 
fare  più  testa  in  alchun  luocho.  Tra  questa  sera  &  domatina,  si  com- 
poneranno  le  cose  di  questa  città.  In  la  Roccha  è  Mr.  Julio  Vitello.  In 
la  Cittadella  il  S.*"'  Marcantonio  Colonna,  qual  pigliarla  assetto.  Non  so 
quello  farà  il  Castellano  dilla  Roccha,  il  quale  quando  deliberasse  di 
stranigiare,  anche  che  la  Roccha  sia  fortissima,  ben  si  chaueràfuora.  Et 
ciò  che. sopra  il  resto  dilla  Impresa  si  deliberarà  alla  giornata  s'in- 
tenderà, &  a  uei  quanto  più  posso  mi  ricommande;  Ex  foelicibus  Ca- 
stris  Regiis  apud  Rauennam,  die.  xj.  aprilis.  in  die  Domioicae  Resu- 
rectionis  1512. 

Postscritta.  Questa  pouera  città  non  si  è  potuta  liberare  dal  saccho, 
ne  ho  dispiacere  grandissimo  per  la  parte  mia.  die.  xg.  aprilis.  1512. 


Digitized  by 


Google 


XIII. 

(V.  libro  II,  capo  settimo,  pag.  &70). 

Morte  di  Pandolfo  Petrucci. 

(Bibl.  Chig.:  Sìgismandi  Titii  Historiarum  Senensiuin.  t.  vii,  autogr.  ann.  mdxii,  pag.  103t). 

Die  autem....  haprilis  cuna  Nicolaus  testeus  eqiies  senensis  vesperi 
precedenti  (sic)  in  aromatariì  taberna  que  e  regione  est  suarum  edium 
fuisset  vulneratus;  quedana  enim  verba  protulerat  que  pandulpho  non 
placnerant,  Bariceli us  illius  domum  petens  ut  vulnus  inspiceret,  noles- 
setque  ibi  Bernardinus  tancredus  adolescens,  jussus  est  inspicere  vo- 
lenti locum  dare;  at  contemptus  ab  eo  Baricellus  paticum  illum  non- 
cupavit  contumeliis  atque  convitiis  invicem  sese  affecere,  intercedentibus 
minis.  Die  haprilis  vigesima  nona  Marianus  cirnensis  quem  captum 
perdixìmus  iuxta  itkiera  publica  senensis  ditionis  loco  qui  Ricorsolum 
nuncupatur  in  crucem  actus  est,  mirantibus  universis.  Hic  enim  gravi 
aspectu  virum  prò  se  ferebat,  ad  urbem  cum  nonariis  reversus  et  per 
iTienia  ingressus  in  castrisque  pretoriis  senensis  fori  inter  ceteros  pe- 
dites  meruit.  Semper  enim  prò  senensibus  militavit  atque  praesidio  fuit 
ex  die  qua  Politianum  adepti  sunt;  nunc  tandem  suspenditur.  Nonnulli 
hanc  fuissc  suspensionis  causam  asserebant,  quia  adversus  pontificem 
pedites  congregabat  in  agro  senensi:  alii  vero  florentinorum  postula- 
tionibus  .fuisse  actum  quia  adversus  illos  multa  fecerat,  Politiano  amisso. 
Nec  defuere  qui  dicerent  Julio  bellantio  *  ex  ergastulis  jam  eruto,  op- 
posito  nomine  petri  marghani  aut  regis  francorum  prò  extorribus  se- 
nensibus pedites  cogere  adversus  urbem  pandulpho  absente,  illumque 
molientem  aliqua  si  ve  in  urbem  si  ve  in  pandulphum,  idque  a  floren- 
tinis  fuisse  revelatum;  et  ad  id  existimandum  coniectura  processerat 
nam  die  haprilis  uigesima  quinta  Nicolaus  Bandini  ex  castello  plebis 
stipendia  florentinorum  faciens  sena  transiverat,  balistarios  quinqua- 
ginta  secum  traliens  et  vexillum  extensum  cum  florentinorum  insi- 
gniis;  Balnea  enim  petebat  in  pandulphi  protectionem.  Quamvis  enim 
francos  romandiola  excessisse  rettulerimus  et  mediolanum  relictis  ur- 
bibus  concessisse,  urbes  tamen  custodibus  uacue  non  remansere,  nec 
fuit  verum  placatos  a  rege  fuisse  elvetios,  quorum  formidlne  magna 
francorum  pars  mediolanum  profecta  est.  Ut  interea  Julius  pontifex 
maximus  initium  lateranensi  concilio  daret  haprilis  ultima  die  Bullate 
ipsius  lictere  in  divi  petri  valvis  appense  pendebant;  quibus  cunctis 
fidelibus  triduanum  ieiunium  indicebatur  in  romana  curia  existentibus 
nec  non  elemosinarum  erogatio  :  illis  quoque  diebus  supplicationes  per 


1  Vepfrasi  qael  che  di  Giulio  BellantI  e  della  Rua  congiura  scrive  II  M&cniAVELLi.  DUeorsi^ 
Ilb.  Ili,   e.  VI. 


Digitized  by 


Google 


710  APPENDICE, 

urbem  lustratam  facte  sunt:  die  invenctionis  sancte  crucis  terminate; 
cuius  precedente  vesperi  pontifex  ad  sanctum  Johannem  lateranum 
quibusdam  cam  patribus  profectus  est,  ibidem  hospitaturus.  Quarta 
subinde  die  Cardinalis  sancii  georgii  missaro  spirìtus  sancii  ad  aram 
primariam  sub  capitibus  decantavit.  Peractis  itaque  divinis  Egidius  vi- 
terbiensis  concionator  ac  generalìs  heremitanorum  luculentam  habuit 
orationem,  qua  completa  religiosam  processionem  incoavere,  que  a  porta 
maiore  ex  latere  edis  egressa,  per  aliam  que  media  est  introgressa 
est.  post  religiosos  atque  presbiteros  celeri  prelati  incedebant  tum  car- 
dinales,  postremo  vero  Pontifex  super  sedem  delatus  super  quo  pal- 
lium  gestabatur.  In  Bcclesie  illius  medio  sepia  fuerant  constituta  ex 
iapidibus  quadrata  quidem  spalium  inter  columnas  occupans  murus  y  bra- 
chiorum  octo  continuala  per  altitudine,  posta  insuper  ad  ingrediendum 
septis  constituta  est,  in  eorum  medio  altare  erectum.  Celebralis  igìtar 
que  in  primordiis  conciliorum  fieri  seleni  et  cantibus  quibusdam  atqae 
letaniis  premissis  concilium  cepil  agi.  Sunt  qui  dicunt  hec  omnia  tertia 
die  maij  que  sancte  crucis  feslivitate  clarebat  fùisse  peracta.  Ipsius 
tamen  mensis  caiendis  que  sabbatum  fui!  cum  apud  senenses  Baricellus 
minas  bernardini  lancredi  formidare  cepisset,  post  Burghesium  pan- 
dulphi  filium  incedebat,  existimans  sese  lutiorem;  ut  autem  ad  poi^ 
ticum  picolomineorum  perveniunt  Tancredi  iv^  fralres  quorum  extra 
matrimonium  natus  unus,  Mechonius  quoque  cristoforì  petri,  tum  filius 
quidam  f^ancisci  quirici,  filius  quoque  Sforzie  pelronis  hannibal  nomine, 
hieronimus  andree  Spannocchii  filius,  Nicolaus  rocchius  atque  alii  non- 
nulli  omnes  juvenes  Baricellum  confodiunt  atque  interimunl  nulla 
Burghesii  ratione  habita,  sed  pedilibus  qui  illum  comitabantur  fugitan- 
tibus,  ipse  vero  in  quasdam  edes  proripiens  se  subtraxit.  Qui  baricel- 
lum inleremere  vespere  diei  in  fiorenlinum  perlligere  agrum.  Julius 
pontifex  per  hos  dies  Burghesium  pandulphi  filium  suis  licteris  acriter 
redarguii.  Post  Illa  que  in  concilio  initiata  fuerant,  pontifex  ad'  san- 
ctum Johannem  lateranum  revertilur  illius  diei  vespere  nec  alia  prò- 
<;essione  premissa  pontifex  una  cum  prelatis  intra  eadem  sepia  se  re- 
cepii. Missa  spirilus  sancii  a  quodam  episcopo  decantata  est,  qua 
peracta  prodire  omnes  foras  exceptis  prelatis  jussere.  Archiepiscopus 
spalatrensis  orationem  habuit,  subinde  vero  antiphone  quedam  atque 
versus  et  hymni  decantate  sunt.  Decreverunt  primum  eam  sanctam 
synodum  laleranensem  legiptime  fuisse  convocatam  et  congregatam 
atque  inchoatam:  locum  lalerani  aptum  aque  idoneum  esse  prò  con- 
cilio. Concilium  vero  pisanum  esse  nullum  et  conciliabulum  vocandum 
cunctaque  in  ilio  gesta  confutanda  et  irritanda.  Concilii  vero  latera^ 
nensis  secundam  sessionem  ad  diem  ma\j  decimam  septimam  publica- 
vere  ut  concilii  pisani'  damnationem  renovarenl  et  cuncla  ordinarie 
irritarent.  Rumoribus  interea  ferri  cepit,  tametsi  pacis  preberetur 
spes  Helvetios  magnis  legionibus  descendere  eaque  de  oaussa  fran- 
cos  dimissis  omnibus  mediolanum  secesslsse.  Julius  autem  ponti- 
fex non  cessat  copias  stipendio  conducere  et  bononiensem  agrum  va- 
slalionibus  afllcere  *  ferebanlque  rome  Regem  hispanie  pontifici  licteras 

^  Ms.:  "  conslllum  pisanum  •. 
«  MS.:  -  affici  -. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  711 

dedìsse,  profecturum  videlicetse  adversus  fì^ncos  magnis  copiis;  lictere 
quoque  Anglie  Regis  in  consistorio  lecte  sunt  die  mercurii,  phedus 
scilicet  inter  pontificem  regem  anglie  regem  hispanie  et  venetos  cele- 
brandnm;  quibus  nuntiis  adimebatur  pacis  spes.  Helvetii  quoque  11- 
cteras  duodecim  muniti  sigillis  ad  pontificem  scripsere,  vitam  prò  ilio, 
uxores  ac  filios  exposituros  pollicentes.  Quibus  perceptis  Ludovicus 
francie  Rex  Cardinali  de  nantes  britoni  signiticavit  :  velie  se  cuncta 
Tacere  que  pontifici  grata  forent.  Verum  Julius  priusquam  oblata  ferret, 
acceptas  licteras  Gardinalis  finalis  ac  nuntii  sui  expectare  decrevit. 
Nuntius  nempe  in  francia  tunc  erai  Veneti  insuper  licteris  suis  de- 
nuntiant  Helvetios  ad  menia  novarie  jam  consistere.  Hec  autem  cir- 
citer  mag  quintadecimam  diem  nobis  fuere  nuntiata.  Die  subinde  maij 
decima  septima  secunda  sessio  Rome  celebrata  est.  In  ea  nempe  Tho- 
mas de  vio  Caietanus  sacre  theologie  professor  totiusque  ordinis  pre- 
dicatorum  generalis  orationem  habuit.  in  ea  sessione  approbauere  ac 
renovanere  damnationem  ac  reprobationem  pisani  concìliabuli,  anulla- 
nere  omnia  et  singula  in  ilio  gesta  et  gerenda  et  super  bis  omnibus 
bnllate  lictere  a  julio  pontifico  emanauere,  die  vigeslma  tertia  mensis 
eiusdem.  Pandulphus  itaque  Petruccius  cum  egritudinìs  sue  causa  in 
balneis  sancti  philippi  plurimos  dìes  egìsset,  asmatica  nam  passione 
laborabat,  qua  plerique  tirannorum  uexari  ^olent,  nimia  cura  atque 
animi  sollecitudine  ac  premente  metu,  minus  convalescebat,  fiebatque 
in  dies  deterior  sanitatis  conditio;  itaque  Senam  reverti  constituit.  Die 
igitur  iovis  a  balneis  discedens,  que  maij  vigesima  fuit,  deferebatur  ad 
urbem.  Verum  die  posterà  cum  ad  castellum  sancti  quirici  pervenisset 
defessus,  cupiens  aliquantulum  quiescere  et  comites  vie  cenitare, 
lectus  in  hospitalis  sancti  quirici  stratus  est  moUis;  et  in  ilio  collocatus, 
in  hec  verba  prorupit:  deo  laus  sit  quum  paululum  quiescam.  Cuncti 
foras  e  cubiculo  prodeuntes  solum  ut  quiescat  obdormiatque  dimictunt 
et  epulaturi  secedunt.  Erat  tunc  diei  veneris  bora  fere  vigesima  tertia 
parvoque  more  curriculo  elapso,  ex  comitibus  quidam  ad  visendum 
hominem,  explorandum  ut  quid  ageret  conversum,  morìentem  reperit 
vocatisque  protinus  ceteris  exanimis  apparuit,  natus  ut  ferebant  anno» 
circìter  sexaginta  tres.  —  Sunt  qui  dicunt  natalium  inspectis  codicibus 
agore  illum  tunc  annos  sexaginta,  menses  quattuor  ac  dies  sex.  Verum 
eisdem  libris  inspectis  comperuimus  nos  illum  baptizatum  fuisse  anno 
salutis  quadringentesimo  quinquagesimo  primo,  februarii  vero  die 
quartadecima  et  Pandulphum  Federicum  fuisse  vocatum;  exegerat 
igitur  vite  sue  annos  sexaginta  unum  menses  tres  et  septem  dies  aut 
octo. 

Die  subinde  sabbati  cadaver  illud  ad  ecclesiam  fratrum  montis 
oliveti  delatum  est  iuxta  menia  senensia,  eàque  die  clause  opificum 
taberne  et  ferie  per  totum  diem  lune  repentine  indicte.  Verum  die 
lune  funus  sumptuosum  curatum.  Octingenta  nam  fnnalia  seu  inhasti- 
libus  cerei  in  ilio  funere  delati  sunt  accensi,  numerante  me,  a  repu- 
bliòa  partim  et  a  petruccia  familia,  partim  vero  ab  oppidis  atque  ca- 
stellis  omnibus,  nec  non  ab  artificibus  collata.  Nam  ad  eam  contributionem 
cives  qui  funus  curabant  praeter  rem  pnblicam  et  familiam  caeteros 
ascripsere.  Vexìlla  quoque  in  eo  funere  delata  sunt  novem  praesertim 


Digitized  by 


Google 


712  APPENDICE. 

sumptu  publico  et  armis  insignita  publicis,  partim  vero  privato  farailie. 
Ductus  ad  sepulchrum  ante  suas  edes  defertup,  ibique  Petrus  Marinus 
fulginas  familiaris  vir  alioquin  doctus  orationem  habuit.  Sociavit  pan- 
dulphum  universa  civitas,  universi  pene  illum  lugere  videbantur,  ta- 
metsi  tirannus  fuisset;  a  civibus  deferebatur  iuvenibus  nudata  ac  di- 
scoperta facie  conspiciebatur  abrasus  et  fucis  illita.  In  divi  Francisci 
ede  depouitur,  nam  calor  erat  ingens,  cunctis  revertcntibus.  Verum  sole 
jam  jam  declinante  universi  illuc  redeunt  et  ad  fratres  capriole  apud 
quos  sepulchrum  constituerat  portatus  tumulatur  in  arcula  conditus. 
Exequie,  quoniam  dcsiderii  templum  incapax  erat,  in  malori  senensi 
ede  celebrate  sunt  die  martis.  Affuere,  sicut  in  funere,  religiosi  omnes 
et  in  eius  laudem  praedicatio.  Non  defUere  qui  in  admirationem  atqae 
stuporem  verterentur  cum  animadverterent  hominem  istum  olim  vi- 
lissimum  ignarum  et  ganeonem  in  tam  magnam  atque  felicera  tiran- 
nidem  fuisse  elevatum,  multorum  denique  occisorem  in  lecto  defun- 
ctum  tantoque  funeris  honore  affectum  et  celebratum.  Erant  insuper 
qui  dicerent  in  vita  et  in  morte  fuisse  miserrimum  quia  tirannice  vi- 
xerat,  et  tandem  in  hospital!  decessisse  non  visus,  ut  verendum  non 
sit  tam  lacinorosum  «  ad  generum  Cereris  »  commigrasse.  Mira  nam 
de  ilio  post  aiiquos  dies  ferri  cepere  non  omnibus  precognita  •  nec  mi- 
iioris  admirationis  quam  ea  fuerunt  que  a  puella  visa  sunt  apud  mon- 
tem  nigrum.  Decessit  nam  ante  triennium  ut  Illa  predixerat.  Verum 
que  rumoribus  spargebatur  referamus  non  odio  viri  qui  nostri  habebat 
aliquam  rationem;  sed  ut  terreantur  ceteri  cives  rem  publicam  se- 
nensem  invadere,  que  virginis  est  marie,  et  tirannice  vivere.  Tirannus 
iste  tandem  mortuus  est  qui  tot  civium  cruore  manus  impias  fedave- 
rat,  partim  publica  animadversione,  partim  satellite  impio  et  scele- 
ratis  ministris.  Ludovicum  Lutium  lautissimum  atque  conspicuum  ci- 
vem,  subinde  Lutium  bellantium  phisicum  acutissimum  et  ingeniq 
perspicacem  in  urbe  florentie  ab  immissis  efferatis  peditibus  occidi  fe- 
cerat.  Giattum  pistoriensem  in  foro  senensi  peditem  et  domus  sue  as- 
seclam  massaiie  urbis  terrigenum  vivum  in  carnarium  xenodochii 
intrudi  maudaverat,  juvenibus  senensibus  ignarum  hominem  illuc  per- 
ducentibus  insidias  non  verentem,  quem  apprensum  brachio  una  huc 
et  illuc  spatiatus  Franciscus  meliorinus  popularis  incidere  in  apertum 
chaos  fecit  incautum  crure  uno  dilapsum,  alio  in  crure  intruso.  Ciattas 
intro  leviter  immissus  super  muro  circa  fauces  baratri  remansit  et 
per  dies  soptem  miseram  vitam  perduxit  singulis  noctibus  gemens 
atque  vociferans  solantibus  xenodochii  incolis.  Nocte  diei  septime  hu- 
milis  et  attenuata  vox  exilis  cum  raucedine  precepta  est  ut  tandem 
deficeret;  verum  morientis  auctoris  scelestis  vox  e  sepulcro  ciamitare 
malori  cum  dedecore  se  non  continuit  Evolutis  igitur  quibusdam  a 
morte  diebus  clamores  nocturni  ex  pandulphi  sepulcro  percipiebantur; 
petebatque  clamans  inde  extra  locum  religiosum  tumulari.  Quam  sano 
rem  Cives  mihi  quidam  notam  fecere;  nam  domi  habebant  mulieres 
parentela  coniunctas.  corbulonibus  adductis  ad  excavandum  illud  corpus, 
et  mulieribus  ^usmodi  fetorem  intollerabilem  quo  pene  fuerant  pro- 
strati querendo  narrantibus. -Ex  agricolis  preterea  quidam  in  nostra 
menia  qui  ad  eam  rem   intervenisse  se  iactabant  nos  itidem  audivi- 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  713 

mus;  franciscusque  bellantius  ex  fratribus  unus  vita  atque  sanctimonia 
poUens,  rogatus  a  nobis  referebat;  nocte  quadam  ex  intimis  pandulphi 
unum  illuc  accessisse  postulasseque  ut  liceret  herum  suum  conspicere 
arcula  soluta,  guardianum  vero  admississe  (sic)  et  inhìbuisse  fratribus 
Ile  descenderent  ad  sepulchrum;  habuisse  illum  caput  preter  solitum 
ingentissiiuum  corbulonem  referre  cives  il  li  aiebant  cuna  fetore  hor- 
ribili  extractum  in  hortum  iuxta  arborem  quemdam,  quam  pirum  di- 
.  cebant,  humavisse,  qui  vero  ministerio  huiusmodi  instabant  infectos 
ac  iDorbidos  fuisse  fetore.  Cives  enim  qui  ea  que  corbulo  aperuerat 
mihi  dixere,  ad  me  reversi  superaddidere  hec:  asseclam  videlicet  atque 
lamiliarem  illum  vere  ad  arculam  pandulphi  accessisse,  vepum  ut  anu- 
lum  a  digito  illius  evellerent,  quia  in  ilio  spiritus  adiuratus  residebat 
et  clamabat  e  religioso  trahi  loco;  quod  nobis  veresimile  (sic)  non  vi- 
detur;  quis  nam  prohibebat  spiritum  illum  inde  recedere;  quod  si  cum 
spiritu  sepeliri  reprobo  pandulphus  passus  est  quid  de  anima  eius  iudi- 
candum  sit  facillime  patet.  Accessit  subinde  ad  nos  Francisca  mulier 
senensis,  Stephani  Ungari  merciarii  uxor,  quam  malignus  spiritus  ac 
demon  corripuerat,  habuisse  quoque  apud  se  spiritum  bonum  referebat 
nobis,  jam  liberata  ac  prudens;  qui  illi  sepesepius  ad  exciendum  malum 
spiritum  ut  nos  accersiret  hortabatur;  cumque  et  alios  fugassem,  ad 
illam  tamen  vocatus  sum  nunquam;  ad  clavum  iesu  christi  perducta 
est  et  liberata,  hec  omnia  nobis  francisca  domi  apud  nos  rettulit;  ad- 
debatque  a  spiritu  malo  in  infernum  se  perductam  et  nocentum  penas 
conspexisse,  pandulphum  vero  agnovisse  ad  mammillas  usque  ignibus 
fiammisquo  demersum.  hanc  huiusmodi  predicare  non  debcre  monuimus, 
nec  discrimen  vite  ob  tirannidem  fllii  Burghesii  misella  incurreret, 
aiebat  se  a  burghesio  accersitam  visa  hec  omnia  narrasse  et  curasse 
minime. 

Hec  si  vera  sunt  nos  ignoramus;  sed  quum  hec  ad  utilitatem  ho- 
minum  sepe  contingere  solent,  sine  cuiusque  odio  nos  retulimus.  In  hoc 
tamen  quam  ingens  benignitas  Regine  misericordie  apparet  que  mo- 
rientem  pandulphum  apud  hospitale  suum  dignata  est  excipere,  quem 
urbem  suam  tirannico  invadentem  et  expoliantem  edem  suam  atque 
xenodochium  tam  celebre  expilantem  et  liguriontem  punire  dissimu- 
lavit  ad  penitentium,  que  non  apparuit  prestolata.  Nuntiantum  per  hos 
dies  est  magni  capitanei  fìliam  ìllio  archiepiscopi  siracusani  nupsisse; 
qui  nepos  est  regis  hispanie  et  estcreatus  princeps  turenti  (sic)  creatusque 
est  regni  neapolis  interrex.  magnus  enim  capitaneus  gubernator  et  ar- 
morum  dux.  —  Nonarii  interea  in  urbe  sena,  decedente  pandulpho, 
inter  se  discordare  cepere,  erantque  discidia  inter  primores.  Igitur 
Burghesìus  et  complices  equites  centum  totidemque  pedites  perusia 
acersivit,  qui  may  die  vigesima  sexta  accessere.  Florentinorum  quoque 
milites  aderant  quamplures.  His  igitur  accedentibus  Senatores  Balie 
congregantur  die  vigesima  octava  ad  quadraginta:  Oratium  balionum 
perusinum  et  pandulphi  olim  generum  cum  trecentis  equis  stipendio 
conducunt.  Suadentibus  insuper  nonnullis  ut  salis  stipendia  rcstitue- 
rentur  decreue[re]  ut  tributa  quas  prestationes  vocant  ulterius  impo- 
nere  phas  non  sit  nec  onera  alia,  fldesque  ìam  multis  exibita  circa 
officia  tribuenda  servetur  quam  que  coUegiorum  atque  ordinum  scrup- 


Digitized  by 


Google 


711  APPENDICE. 

tiniam  (sic)  de  cetero  habeatur  *.  Die  interea  juniì  quarta  Nicolaus  Ma- 
clavellius  orator  a  florentinis  senam  destinatus  est  ad  condolendam 
pandulphì  mortem.  Ad  senatores  ingressas  obtulit  quicquìd  per  florsD* 
tinos  agi  poterai  Die  autem  septima  que  lune  nomen  habebat,  Al- 
phonsus  cardinalis  petruccius  senam  revertitur  circa  vesperum.  die 
vero  mercurii  a  magistrata  atque  senatoribus  bora  vigesima  prima  vi- 
sitatur.  Posterà  tum  die  nuntiatum  est  francos  ex  lombardia  excedere  et 
oppida  defìcere  ad  ìmperatorem;  nam  fedus  cambraicum  Unìebat... 


1  In  margine  a  questo  punto  v'à  un  richiamo:  «•  Hlc  Inserenda  nunt  que  Insequenti  facle 
scrlbuntur  per  folla  trla  •;  ma  di  questa  aggiunta  di  tre  fogli  non  apparisce  traccia  nel  ms. 


Digitized  by 


Google 


XIV. 

(V.  libro  II,  capo  aettimo,  p«f.  575  e  sgg.) 

Lettere  di  Gio.  Vittorio  Soderini  ai  Dieci  di  Balìa 

da  luglio  ad  agosto  i512. 

(Archivio  di  stato  di  Firense,  ci.  x,  dist.  4,  n.  114  e  115  (Alca  110  e  111). 

[Filz.  110.  C.  140].  Magnifici  Domini  Domini  mei  &.  L'ultima  mia 
fu  de  xxij.  del  presente;  mandata  per  le  mani  dello  Oratore  ferrarese, 
la  quale,  perchè  Ai  fact;^  a  sua  instantia  credo  sarà  venuta  salva.  Dipoi 
non  ci  è  stato  altro,  che  per  me  si  intenda,  che  pratichi  assai  fra  lo  Ora- 
tore Hy spano  et  il  Revmo  Gurgense  sanza  fare  conclusione,  che  si  dif- 
ferisce al  parlamento  s' ha  a  fare  con  el  Vice  Re  per  questo  Sig.  Revmo 
Gurgense  ;  et  però  S.  Rma  Signoria  si  doverrà  partire  o  domani  o  Taltro 
al  più  alla  volta  di  Mantova  per  aboccarsi  poi  con  detto  Vice  Re 
et  fermare  quel  sia  da  fare.  Io,  int<ìso  la  partita  di  qui  di  Monsign. 
Revmo  Gurgense,  et  veduta  la  mia  comissione,*  «che  trovato  Gur- 
gense non  vadi  più  a  trovare  Tlraperadore  fori  d'Italia,  fino. non  harò 
altra  comissione  da  V.  S.,  fu'  con  Sua  S.*  et  li  feci  intendere  ero  per 
seguitare  quella  in  caso  se  ne  satisfacessi,  la  quale  monstrò  havere  molto 
grato  lo  sequissi;  et  dixemi  haveva  commisso  mi  fussi  facto  ihtendere 
l'ordine  haveva  dato  al  Sig.  Giovanni  da  Gonzaga,  »  circa  al  prove- 
dere a  questi  Signori  si  trovavano  con  S.  Revma  S.,  et  volevanla  se- 
quitare  per  questo  cammino  alpestre,  frusto,  et  molto  mal  a  agio,  et 
però  mi  rimisse  a  S.S.,  dal  quale  sperava  sarei  bene  accomodato  di 
quello  poco  si  potessi  in  si  sterile  paese,  soggiungnendo  che  apparteneva 
alla  Cesarea  Maestà,  la  quale  lui  rappresentava,  fare  etiam  che  '1  cam- 
mino fussi  sicuro,  et  che  fino  alla  pianura,  et  fino  durano  i  monti  non 
era  da  dubitare.  Nella  pianura  poi  S.  Revma  S.  farebbe  essere  gente  a 
pie  et  a  cavallo,  di  maniera  che  ogni  huomo  sarà  sicurissimo.  Et  mi 
domandò  se  havevo  haute  risposta  di  quanto  scrissi  alle  S.  V.  addi  xviij 
di  luglio  di  sua  intentione:  dicendo  io  di  no,  soggiunse:  andremo  tanto 
vicini,  che  ogni  volta  harete  niente,  sarà  facile  comunicarlo.  Et  doman- 
dando €  io  se  S.  S.  Revma  haveva  da  dirmi  cosa  nessuna  che  apartenessi 
a  casi  della  nostra  Republica,  dixe  di  sì,  recentissime  et  verissime  ex 
intimis  Pontiflcis:  et  questo  è  il  malo  animo  del  Papa  contro  a  quello 
Stato;  et  che  era  da  dubitare  non  li  facessi  contro  qualche  novità.  Vero 
è  che  il  Vice  Re  non  credeva  fussi  per  fare  cosa  alchuna  contro  a  quella 
fino  a  tanto  Sua  R.  S.  non  si  flissi  abochata  con  epso:  et  questo  dice  non 
fa  intendere  per  altro  che  per  afectione  porta  ad  cotesta  Città  acciò  non 

^  Le  parole  chiuse  tra  virgolette  trovansl  nell'originale  scritte  In  cifra. 


Digitized  by 


Google 


716  APPENDICE. 

manchi  rimediare  a*  casi  suoi  in  tempore.  Le  quali  parole  quanto  importino 
V.  S.  per  la  loro  solita  prudentia  considerranno,  et  piglieranno  quelli  ex- 
pedienti  crederanno  sieno  a  beneficio  della  loro  Città  ».  Altro  per  al  pre- 
sente non  mi  occorre,  salvo  raccomandarmi  alle  S.  Vostre.  Domattina, 
piacendo  a  Dio,  partirò  come  è  detto  alla  volta  di  Lombardia. 

;  Data  in  Trento  a  di  xxiiij  di  luglio  L512. 

'  Johannes  Vittorius,  Orator  Flore», 

i  [C.  167].  Magnifici  Dni.  d\  L'ultima  mia  fu  a  xxiiij  del  presente, 

mandata  per  le  mani  del  S.»*  Giovanni  da  Gonzaga  al  Rosso  Ridolphi 
,  a  Mantova,  per  la  quale  significai  alle  S.  V.  che  sequiterei  Mons.  Rmo 

I  Gurgense  che  si  parti  da  Trento  a  xxvj,  e  trovossi  a  Bossolingo  a  xxvij, 

dove  ancora  fumo  noi  altri  tutti  ambasciadori  a  honorare  S.  Revma  S. 
f  la  quale  venne  per  acqua  Ano  a  decto  luogo,  dove  era  ordinato  su  la 

^  campagnia    huomini    d'arme   in   bianche,    benché  alla  tedesca,   circa 

^  cento,  e  certi  cavalli  leggieri,  e  poi  presso  a  Villafranca  furono  circa 

•  mille  Lanzighìnethi,  tutta  bella  gente  ip   ordinanza,  che  havevono  tre 

'  belle  colombrine,  Scoppiettieri  da  GO  in  octanta,  et  dicevano  in  Verona 

'  esserne  altrettanti.  In  quel  mentre  giunse  Simon  cavallaro  con  lettere 

di  V.  S.  de  xxviij  et  xxiiij,  et  perchè  decto  Mons.  Revmo  quei  giorno 
fu  assai  occupato  con  quelle  sue  genti  Tedesche,  non  potetti  bavere 
audientia,  non  obstante  la  ricercassi.  Poi  questa  mattina  partendoci 
noi  drìeto  a  S.  Revma  S.  per  accompagnarlo  a  Mantova,  mi  fé'  innanzi 
dicendo  bavere  da  parlare  a  S.  Revma  S.  per  parte  delle  S.  V.  Rispose, 
mi  udirebbe  per  la  via:  et  cosi  essendo  io  alquanto  discosto  mi  fé 
[  chiamare.  Dimonstrando  io  la  buona  intentione  di  V.  S.  et  di  cotesta 

Ropublica  verso  «  Tlmperadore,  et  come  quelle  erano  desiderose  non 
manchare  in  quello  fussi  loro  possibile   alla  devotione   hanno  verso 
j  quella  Maestà,  niente  di   meno  faceva  loro  grandissima  ditìcultà  nel 

resolversi  circa  quello  s'intendeva  essere  desiderio  dello  Imperadore, 
la  instantia  che  fanno  e  collegati  costi  per  tirare  V.  S.  a  contri- 
buire, etc,  non  sappiendo  se  decto  Imperadore  è  compreso  in  decta 
Lega,  et  sé  quello  si  fa  con  la  Lega  s'intende  facto  con  l' Imperadore 
in  maniera  s'intenda  quella  bavere  satisfacto  a  quella  Maestà  sanza 
riconoscere  altrimenti,  però  desideravono  intendere  da  S.  R.  S.  quello 
se  ne  havessi  a  presupporre.  Sua  S.*  mi  domandò  se  V.  S.  havevono 
anchora  dato  risposta  a  quelli  ne  ricierchavono  costì  le  S.  V.  in  nome 
della  Lega.  Dixi,  credevo  che  no,  et  però  pregavo  Sua  S."  mi  chiarissi 
presto  questo  articulo  acciò  quelle  più  presto  potessimo  vedere  di 
accomodarsi  con  la  voluntà  dello  Imperadore  ».  Al  che  S.  S,  Revma 
dixe  non  volermi  rispondere  allora,  ma  che  o  manderebbe  per  me,  o 
manderebbe  ad  me  per  fare  risposta  a  tal  quesito  delle  S.  V.:  onde  mi 
bisogna  aspectare  essere  chiamato,  né  posso  «  prima  satisfare  »  alle 
S.  V.  «  Andrò  ricordandomi  y>  perché  si  perda  manche  tempo  sia  possibile, 
et  come  prima  potrò  ne  darò  adviso  alle  S.  V.  Io  ricordo  con  reve- 
rentia  a  quelle,  che  nonobstante  Gurgense  si  monstri  afectionato  alla 
vostra  Republica,  sarebbe  bene,  per  quello  intendo,  riconoscerlo  con 
qualche  cortesia,  stimando  fussi  per  potere  giovare  assai  più  non  sa- 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  717 

rebbe  quello  si  spendessi  :  havendo  veduto  per  experientia  mai  volentieri 
li  ultramontani  potersi  conservare  in  amicitia  sanza  simili  mezi  ». 

Lo  Illmo  Marchese  non  venne  incontro  a  docto  Mons.r  Revmo 
per  essere  indisposto,  et,  come  dice,  quartanario,  ma  lo  fece  incontrare 
da  assai  gentili  huomini,  et  lo  ha  alloggiato  in  Castello  ho  norat  issi  ma- 
mente.  Intendesi  hiersera  Lignago  fu  consignato  a  decto  Revmo  Mon- 
signore per  lo  Imperadore,  che  cosi  dicono  essere  stato  di  consenti- 
mento de  Franzcsi  che  vi  crono  drente,  per  ordine  di  Monsignore  della 
Palissa;  et  hanno  voluto  più  presto  Thabbino  costoro  sanza  pagare  altro 
che  ducati  cinquecento,  aitanti  fanti  vi  erano  drente  a  guardia  con 
salvocondotto  etc,  che  venga  nelle  mani  de  Vinitiani,  quali  offerivano 
gran  partiti  a  chi  lo  teneva:  e  questo  «per  mczodel  Sig.  Giovanni  da 
Gonzaga  »,  secondo  mi  ha  riferito,  quale  aggiugne,  di  Peschiera  essere 
qualche  pratica,  et  che  di  Cremona  fu  scoperto  «per  il  (iovernatore 
della  Lega  a  di  proximi,  di  chi  praticava  ch'el  castello  venissi  nelle  mani 
dell' Imperadore:  né  segui  poi  punitione,  salvo  che  di  promettere  non  fa- 
cessi più  simili  coso;  il  che  monstra  sia  dispiaciuto  ad  Gurgense  per- 
chè e  Svizeri  non  habbino  ad  impedire  chi  fa  per  T  Imperadore  ». 

Fu  poi  ad  me  il  Rosso  Ridolphi,  che  haveva  preso  licentia  da 
questo  Illmo  Marchese,  e  femmi  intendere  come  S.  Illma  S.  li  haveva 
decto  «  esserci  nuove  de  ventisei  a'  Proveditori  Vinitiani  erano  iti  col 
Cardinale  Sedunense  et  portatoli  un  breve  della  Santità  del  Papa  che 
lasciassi  ritornarsene  le  gente  Vinitiane,  che  non  erano  di  bisogno  più 
in  quello  loco,  il  che  per  decto  Revmo  non  fu  né  aprovato  né  impro- 
vato ;  et  inoltre  poi  che  si  erano  partite  decte  gente,  il  Governatore  di 
Milano  haveva  scripto  a  decto  Marchese  decto  di  venzei,  doversi  a 
tucti  e  passi  et  acque,  dove  per  il  suo  potessino  tali  gente  capitare, 
levare  ogni  commodità  di  passo.  Et  andando  io  per  farmi  vedere  ad 
Gurgense,  acciò,  volendomi  fare  risposta,  potessi  farlo,  mi  rimisse  a 
domani,  dicendo  mi  significherebbe  quanto  hoccorressi  il  dì  seguente. 
Et  visitando  poi  decto  Illmo  Marchese,  trovai  oltre  al  sopradecto,  an- 
chora  da  parte  di  Gurgense  Sua  S.>a  essere  stata  riscaldata  a  quello  me- 
desimo ad  che  era  suta  da  decto  Governatore  di  Milano  confortato  ». 
Cominciasi  «  assai  a  dubitiire  se  il  Vice  si  accozerà  con  Gurgense,  et 
quasi  si  tiene  per  fermo  a  Mantova;  potrebbe  essere  in  altro  loco,  il  che 
non  si  sa  per  certo,  però  bisogna  indicare  dalli  effecti  ».  Lo  Illmo  Mar- 
chese monstra  nel  volto  mala  dispositione,  et  dixe  non  bavere  dor- 
mito più  notte,  né  piacerli  cosa  che  mangiassi,  et  molto  si  «  offerisce 
alle  S.  V.''  Delle  cose  Franzese  di  là  da  monti  bugie  assai:  pure  per  non 
manchare  di  dire  quello  mi  é  suto  aflrmato,  e*  Svizeri  bavere  rotto  al 
Re  verso  Borgogna, et  bavere  prese  certe  buone  terre:  et  cosi,  qui  si 
fa  il  caso  suo  sia  in  termine  da  non  potere  pensare  alle  cose  d' Italia  ». 
Questa  mattina,  vedendo  non  «  mi  era  facto  intendere  altro,  ne  andai 
a  Corte  per  ricordarmi.  Decto  Mess.  Andrea  mi  dixe  non  si  poteva 
stamani  attendere  a  questa  materia,  perché  Gurgense  era  ristrecto  con 
Io  Spagnolo  per  altri  afari,  et  era  per  starvi  un  pezo:  però  dopo 
mangiare,  di  subito  mandai  il  mio  Cancelliere  a  ricordarmi.  Fecemi  in- 
tendere che  subito  li  andassi  ad  parlare,  perché  poi  non  poteva  attendere 
a  questo:  et  così  feci,  et  mi  dixe  che  Gurgensis  era  occupato  et  vo- 


Digitized  by 


Google 


718  APPENDICE. 

leya  mi  parlassi  lui  :  però  mi  dixe  Tlmperadore  non  essere  compreso  in 
questa  Lega,  et  che  non  ce  ne  era  mandato  in  nessuno  :  et  chi  diceva 
altrimenti  non  diceva  il  vero:  et  che  non  li  pareva  vi  dovessi  chiarire 
con  questa  Lega  fino  A  tanto  che  non  intendessi  vi  fussi  entrato  lai, 
il  quale,  quando  vi  entrassi,  vi  entrerebbe  in  modo  saresti  difesi  da  chi 
vi  volessi  offendere:  et  che,  come  diceva  bavere  mandato  a  potere 
obligare  T  Imperadore  ad  quello  diceva  lo  Hispano  ad  Roma,  non  diceva 
vero  perchè  erano  burle.  Et  per  non  bavere  fornito  tutto  quello  mi 
voleva  dire,  sendo  chiamato,  mi  rimisse  ad  stasera.  Io,  veduto  quanto 
V.  S.  stimano  bavere  presto  qualcosa  da  potersi  risolvere  sopra  la  pro- 
posta factali,  non  ho  voluto  indugiare  più  a  spacciare  questo  cavallaro 
per  non  tenere  quelle  tanto  suspese.  Alle  quali  mi  raccomando. 

Data  in  Mantova  addì  xxviiij  di  luglio  MDxy  et  a  bore  xxig. 

Con  questa  tìa  quella  mandai  per  le  mani  del  Sig.  Giovanni  che 
l'o  trovata  a  Mantova. 

Johannes  Vittorivs  So.  Orator. 

[C.  253.]  Magnifici  et.  Scrissi  alle  S.  V.  quello  mi  occorreva,  et 
essendomi  dato  intentione  questo  S.re  Marchese  spacciava  uno  proprio 
per  costà,  serrai  la  lettera,  quale  per  non  essere  poi  partito,  sarà  con 
questa,  responsiva  a  quella  delle  S.  V.  de  iiij  del  presente,  la  quale  mi 
fu  presentata  per  Giovanfrancesco  di  Antonio  del  Magno,  non  hieri  l'altro 
a  sera,  con  una  allo  lUmo.  Vice  re  «  de  nostri  Signori,  »  quale  si  pre- 
senterà et  farassi  per  me  quanto  mi  commettono  le  S.  V.  Benché  an- 
chora  sua  IH.  S.  si  dica  essere  «  a  Modena:  et  perchè  quello  di 
non  potè'  essere  con  Gurgense,  fuvi  poi  l'altra  mattina  di  buona  bora. 
Et  avanti  Sua  Sig."»  mi  volessi  intendere  fece  chiamare  Mass.  Andrea 
de  Burgus,  et  cosi,  presente  l'uno  e  l'altro,  exposi  quanto  né  coumet- 
tano  le  S.  V.,  con  quelle  più  accomodate  parole  mi  furono  possibili, 
toccante  tucte  quelle  parte  notono  le  S.  V.  nelle  loro  ».  Intesone  «  tucto 
attentamente,  et  Gurgense  solo  toccò  dello  obligo  dello  Imperadore,  che  se 
ne  ricordava  molto  bene,  ma  non  eravamo  ne  termini,  perchè  Sua  Maestà 
rimperadore  non  vuole  innovare  cosa  alcuna  centra  ad  cotesto  governo 
né  epsa  né  altri  de  sua,  anzi  dice  se  ne  contenta  et  se  ne  satisfa,  ma  che  ci 
é  chi  vuole  attentarli  contro  de  potentati  di  Italia,  per  mezo  del  rimettere 
e  Medici  in  pristino  stato,  et  nominò  el  Papa;  onde  S.  M.*^  Cesarea  non 
sendo  obligata  ad  mantenerlo,  in  questo  caso  desiderava  subventione  da 
cotesta  Città  ad  ciò  li  potessi  conservare  il  suo  buono  stato.  Ad  che 
replicai  che  S.»  S.a  Revraa  doveva  bene  considerare  le  parole  dello 
obligo  che  sono  molto  larghe,  quando  l'imperadore  promecte  non  solo 
non  molestare  ullo  unquam  tempore  eh.  presentem  libertatem,  regi- 
men  &.  ma  etiamdio  non  permectere  sia  molestata  &.,  sobto  parole 
molto  piene,  videlicet  directe  vel  indirecte,  nec  sub  aliquo  quesito  co- 
lore &.,  il  perché  pareva  da  dire  etiam  in  tal  caso  S.*  M>  dovessi 
adoperare  in  beneflcio  di  cotesta  Città,  et  circa  le  cose  de  Medici  mon- 
strare  loro  quanto  se  ne  ingannino,  dichiarando  per  che  chagione  non 
ne  debbo  esser  tenuto  conto  alcuno.  Ad  che  menò  il  capo  et  dixe  non 
voleva  questo  fussi  per  resposta,  ma  che  pensarebbono  sopra  quello 
ne  scrivevano  V.  S.  con  li  altri  consiglieri,  et  hoggi  mi  farebbono  chia- 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  7.19 

mare  per  farmene  resolutione.  Et  expectando  io  di  esser  chiamato,  non 
mi  è  stato  dicto  poi  altro  che  nel  partirmene  Mess.  Andrea  de  Bur- 
gos  mi  dixe  :  voi  harete  el  fuoco  ad  casa  in  ogni  modp.  Costoro  vogliono 
expedire  e  casi  di  Ferrara  et  vostri.  Et  domandando  io  come  lascia- 
vono  Vinitiani,  dixe  che  era  perchè  noi  altri  non  ci  volavamo  dichiarare 
et  non  volavamo  suhvenire  Tlmperadore,  et  Tlmperadore  anchora  la- 
scerà ire  le  cose  a  beneficio  di  natura:  voi  volete  vadino  male,  ma 
noi  le  lascereno  andare  male  et  peggio,  et  sarete  cagione  col  non  ci 
adiutare  si  consentirà  loro  ciò  che  vorranno  et  ve  ne  pentirete  ». 

Lo  exercito  Venitiano  si  intende  essere  dove  per  altra  è  detto:  così 
ancora  lo  Spagnuolo  a  confini  di  Modena.  De*  Svizeri  io  non  intendo 
altro. 

Lo  Imperadore  anchora  si  intende  essere  a  Colonia,  né  si  parla  di 
venuta  sua  in  Italia.  Delle  cose  di  Francia  non  si  dice  altro,  salvo  che 
il  Re  Christianissimo  andava  a  Parigi,  che  se  ne.aspecta  più  tosto  in- 
tendere di  costà.  Non  ho  mandato  Giovanfrancesco  cavallaro  attendendo 
«  io  la  risposta  risoluta  di  costoro,  »  et  per  vedere  se  altro  occorressi 
meritassi  spaccio.  Altro  non  mi  accade,  salvo  raccomandarmi  alle  S. 
Vostre,  que  bene  valeant 

Data  Mantuse  septima  die  Augusti  1512. 

Johannes  Vittorius  So.  Orator. 

[C.  278].  Magnifici  4&.  Con  questa  fla  una  de*  X  tenuta  ad  hoggi 
per  difecto  di  chi  sia  venuto  innanzi,  et  la  presente  per  fare  intendere 
ulle  S.  V.  come  essendo  questa  mattina  a  Corte  uno  che  si  mostra 
molto  affectionato  alle  S.  Y.,  et  intende,  a  mio  iudicio,  «  tucto  che  si 
tracta  circa  questa  materia,  mi  dixe  tuctavia  crono  sopra  e  casi  vostri, 
et  non  credeva  troppo  di  buono;  benché  Ghurgense  non  si  era  voluto 
risolvere:  ma  che  noi  presto  vedreno  ci  verrebbe  adesso  cosa  che  ne 
saremo  mal  contenti  :  et  che  volevono  voi  haiutassi  in  queste  imprese 
ghagliardamente,  o  si  mutassi  al  tucto  cotesto  ghoverno;  con  volto 
acceso:  et  che,  se  non  faciavate  questo,  vi  preparassi  presto  et  bene 
a  poter  resistere,  che  sarà  prima  non  crederresti  :  et  che  non  vuole  es- 
serne allegato  per  niente.  Et  dice  che  il  Papa  v'inganna,  et  che  dà 
loro  adviso  di  ciò  che  praticano  le  S.^e  vostre  con  la  parte  di  Sua 
Santità;  et  in  effecto,  conclude,  c'è  dato  parole,  ad  fine  non  si  facci 
resolutione  alcuna  a  beneficio  di  V.  S.  et  si  venghi  a  roctura,  et  faccisi 
quello  si  ordina  tucta  volta  per  stirpare  di  Italia  un  traete  tucte  le  re- 
liquie Franzese;  quali  sono  tenute,  innanzi  all'altre,  lo  stato  presente 
della  Città  di  Firenze  :  et  questo  mi  ha  replicato  più  volte,  et  con  più 
cfilcacia  l'ultima  che  la  prima,  mostrando  sapergliene  male,  né  ci  vo- 
ler essere  traditore:  però  pensassimo  bene  a  casi  nostri  che  ne  ha- 
vavamo  bisognio,  perché  Ghurgense  in  presentia  di  più  S."  di  Lonbardia 
disse  come  haveva  questa  mattina  nuove  della  Magna  che  Maximiliano,^ 
nuovo  Duca  di  Milano  ne  veniva  a  giornate,  et  di  già  il  primo  di  del 
mese  presente  si  era  trovato  a  Maguntia,  et  faceva  conto  con  allegra 
faccia  per  tutto  e  dodici  di  questo  mese  dovessi  essere  in  Aspruch;  e 

1  Sforza. 


Digitized  by 


Google 


720  APPENDICE. 

«  Messere  Andrea  da  Burgo  disse  »  che  lo  Oratore  Francioso  non  era 
suto  anchora  udito  dalla  Cesarea  Maestà:  quale,  poi  intese  la  partita 
di  questo  nuovo  Duca  di  Milano,  s'  era  alterato  assai.  E  Venitioni  si 
dice  con  grosso  exercito  essere  intorno  a  Brescia;  né  si  intende  al  certo 
la  battino;  et  come  per  altra  si  disse,  tutti  e  contadini,  montanini  e 
cittadini  sono  in  loro  favore.  Et  benché  si  sia  detto,  questo  M.  S.  Revmo 
bavere  fatto  intendere  a  chi  é  per  la  S.  di  Vinegia,^non  debbino  ten- 
tar contro  le  cose  apartenente  allo  Imperio,  nondimeno  non  si  vede 
Venitiani  per  questo  se  ne  sieno  tirati  puncto  indrieto.  Il  Vice  Re  ci  s'a- 
specta  domani.  Altro  non  mi  accade  salvo  raccomandarmi  a  V.  S.  quae 
bene  valeanL 

Mantuae  die  x^  Augusti  m.d.x.ij. 

Johannes  Vittorius  Soterinus,  Orator  Reipublice  Floreìitùie. 

[C.  295.]  Magnifici  &.  Iheri  scrissi  alle  S.  V.  per  huonio  mio  a 
posta  di  quanto  era  sequi  to  fino  a  quel  di,  di  che  io  ha  ve  ve  hauto 
notitia;  quale  reputando  essere  giunto  a  salvamento,  non  ne  farò  replica. 
Poi  «  questi  Signori  furono  insieme,  et  per  quello  mi  è  suto  referito, 
prima  sopra  cose  generale,  come  la  Lega  desiderava  che  la  Maestà 
Cesarea  facessi  pace  con  Vinitiani,  e  che  dovessi  Sua  S."a  andare  fino 
ad  Roma  acciò  le  cose  di  Italia  si  potessino  meglio  assettare.  A  che  fu 
risposto  per  Mess.  Andrea  de  Burgo  in  nome  di  Gurgense,  che  quanto 
alla  pace  quella  Maestà  non  era  per  recusarla  ogni  volta  vi  fussi 
rhonore  di  quella,  et  in  che  consiste  ancora  l'utile;  né  era  rimasto  da 
lei  fino  a  quest'hora:  testimonio  chi  se  n*era  trovato  a  Bologna  a  ra- 
gionamenti si  crono  facti  per  Sua  S.  con  il  Papa  sopra  questa  mate- 
ria; et  allo  andare  a  Roma  che  non  era  in  sua  potestà.  E  venendo  il 
nuovo  Duca,  male  si  potrebbe  partire  di  queste  bande.  Quello  che  dipoi 
si  babbi  ragionato,  per  anchora  a  me  non  é  noto  :  Sono  bene  stati  que- 
sta mattina  insieme  per  buono  spatio,  che  il  Vice  Re  a  buon*hora  sali 
alla  stanza  di  Gurgense,  come  anche  fece  hierì,  et  uscendosene,  Gur- 
gensis  accompagnò  detto  Vice  Re  tu  età  la  sala;  al  quale  per  noi  altri 
Ambasciadori  presenti  si  fece  compagnia  fino  alla  sua  stanza,  donde 
fumo  licentiati.  Dipoi  hoggi  questo  di  me  ne  andai  di  nuovo  ad  Corte; 
et  riposandosi  il  Vice  Re,  mi  posi  ad  parlare  con  quello  Ambasciadore 
del  Re  Cattolico  che  è  venuto  da  Venetia  qua,  et  che  si  chiama  Conte 
di  Chariotthe,  il  quale  mi  dixe  a  suo  proposito,  mostrando  essere  per 
biasimare  e  Franzesi,  che  si  era  trovato  quando  Mons.  di  Roano  mer- 
chatantava  colli  oratori  delle  S.  V.  la  rimessa  de  Medici  in  Firenze; 
dicendo,  li  Oratori  di  V.  S.,  perché  non  fussino  rimissi,  ne  offerivono  certa 
quantità,  et  loro,  parendoli  quella  poca,  la  ributtavo  no,  et  chiamavono 
luliano  de  Medici  drente,  et  domandava  quello  lui  farebbe  dare  loro 
per  essere  rimesso  in  casa  sua:  et  trovando  lui  offerirne  molto  più,  di 
nuovo  chiamava  li  ambasciadori  delle  S.  V.  et  cosi  andava  tramando 
fino  conduceva  le  cose  a  suo  proposito.  Ad  che  io  li  risposi  non  bavere 
mai  inteso  tali  cose  né  esser  vere;  perchè  se  si  era  mai  dato  cosa  al- 
cuna al  Cristianissimo,  era  suto  per  altro  effecto,  non  per  conto  de 
Medici;  che  si  è  veduto  per  experientia  la  Città  bavere  poca  paura 
vi  sieno  rimessi.  Dipoi  parlai  col  Vice  Re  et  di  nuovo  li  allarghai  et 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  721 

feci  bene  intendere  la  intentione  delle  S.  V.,  in  modo,  mi  dixe:Amba^ 
sciadore,  io  voglio  mi  crediate  tal  cosa  essersi  practicata  a  Roma  per 
lo  Imbasciadore  di  Roma,  et  non  ne  sono  bene  informato.  Volle  sapere 
quello  che  si  era  domandato  per  l'altra  parte;  ad  che  dicendoli  io,  cose 
insopportabili,  volle  sapere  la  quantità  :  et  raccomandandoli  io  nelle 
cose  da  tractarsi  con  Si  SJ^  la  Città,  monstrando  quanto  fussi  la  fede 
et  devotione  di  quella  verso  il  Cattolico  Re,  S.  S"*  mi  rispose  lo  farebbe. 

Altro  non  mi  accade:  che  lo  exercito  Venitiano  non  si  intende  babbi 
innovato  cosa  alcuna,  nò  di  altronde  ci  è  nuove  che  a  me  sieno  note. 
Raccomandomi  a  V.  S.  qìAC  bene  valeant. 

Mantuae  die  xiiij  Augusti  1512. 

11  Vice  Re  si  stima  non  sia  per  passare  domani  a  partirsi  o  al  più 
l'altra  mattina. 

Johannes  Vittorius  Soterinus,  Orator  Reipubl.  Florent 

[C.  318.]  Magnifici  &.  L'ultima  mia  fu  de  xviiij,  che  sarà  con  questa 
per  difecto  di  chi  l' babbi  portata.  Poi  hiermattina  che  fumo  a  xx 
«  sondo  ad  Corte  secondo  el  donsueto,  Gurgense  fece  intendere  a  me 
et  a  molti  altri  come  La  Dieta  di  Colonia  si  era  resoluta  ad  cosa  non 
si  recordava  dieta  alcuna  bavere  determinato;  et  questo  è  che  ogni 
persona  dello  Imperio,  maschio  o  femina  si  sia,  giovane  o  vechio,  cosi 
ecclesiastica  come  seculare,  debba  subvenire  lo  Imperadore  secondo  la 
sua  taxa;  et  perchè  il  danaio  per  questo  modo  viene  tardi,  si  sono  re- 
soluti che  e  Signori  potenti  debbino  sborsare  tanti  denari  allo  Impera- 
tore che  Sua  Maestà  per  uno  anno  possi  tenere  mille  cavalli  et  tremi- 
lia  fanti  contro  al  Duca  di  Ghelleri,  et  che  quando  havessi  expedita 
prima  quella  factione,  si  possi  valere  di  quelle  gente  per  el  resto  del 
tempo  in  quello  li  parrà.  Così  anchora  di  quello  più  si  trahessi  di  tale 
impositione  facta  a  tucta  la  Magna,  se  ne  possa  servire  ad  suo  pro^ 
posito.  Et  perchè  è  più  difficile  et  di  grande  spesa  congregare  tanti 
Signori  nella  Dieta,  si  è  diputato  octo  Signori  quali  habino  tucta  la  aneto* 
rità  appresso  allo  Imperatore  et  a  tucta  la  Magna,  quali  possine  di- 
sporre sanza  altri  ragionamenti  di  tucto  quello  dispongano  le  Diete;  et 
oltre  ad  questo  si  è  ordinato  anchora  tre  presidenti  con  18  consiglieri 
e  quali  habino  ad  cognoscere  et  decidere  tucte  le  cause  appartenenti 
allo  Imperio.  Et  adgiunse  Sua  Signoria  bavere  concesso  a  quella  Mae- 
stà una  decima  per  tucto  lo  Imperio  :  le  quali  cose  fanno  grandissima 
subventione  a  detto  Imperatore.  Et  stato  si  fu  alquanto  cosi  »,  venne 
rhuomo  «  del  Cardinale  Sedunense,  quale  stette  ad  lungo  parlamento 
cum  Gurgense.  Poi  Mess.  Andrea  de  Burgo  ne  fé  intendere  da  parte 
di  Gurgense,  il  Duca  novello  Maximiliano,  come  per  altre  si  dixe,  es- 
sere giunto  in  Hispruch,  dove  per  esservi  el  morbo  grande,  et  per 
bavere  desiderio  di  trovarsi  nel  suo  Ducato,  non  voleva  stare  più,  et 
che  da  altro  canto  al  Sedunense  non  era  ad  ordine  per  potere  venire 
ad  abboccarsi  di  presente  cum  Gurgense,  ma  bisognava  differissi  qual- 
che dì.  Onde  Gurgense  ha  indicato  per  avanzare  tempo  sia  meglio  lui 
vadia  alla  volta  di  decto  Duca,  per  satisfare  a  quanto  ne  commette  Io 
Imperatore;  et  così  parti  questa  mattina  di  buon' bora,  secondo  dicano, 
per  accompagnare  decto  Duca  di  Milano  nello  Stato  suo.  Non  hanno 

ToMMASiNi  -  Machiavelli.  46 


Digitized  by 


Google 


728  APPENDICE. 

già  conferito  se  verranno  per  questa  via,  o  se  piglieranno  ei  cammino 
per  la  Valle  Voltolina,  volendo  essere  in  questa  entrata  bene  accom- 
pagnati et  con  buona  gente.  Et  domandando  Gurgensis  se  voleva  li  fa- 
cessi compagnia,  dixe  lo  farebbe  intendere  al  S.^  Giovanni;  et  dipoi 
mi  fé  intendere  che  in  effecto  Sua  S.  si  contentava  di  quello  mi  con- 
tentavo io,  0  voglia  aspectare  qui  o  voglia  seguitarlo,  che  li  basterà 
essere  incontrato  alla  volta  di  Milano;  et  facendoli  compagnia,  che  parti 
molto  di  buon'hora  insieme  cum  Foratore  Hispano,  mi  dixe  che  non  sa- 
rebbe contro  al  suo  volere,  quando  mi  venissi  bene,  rimanere;  et  che 
per  nuntii  potrei  intendere,  quello  facessi  di  là  Sua  S.»»  et  accommodarmi 
secondo  ch*achadessi:  et  quando  pure  volessi  seguitarlo,  facessi  motto 
al  S.re  Giovanni  da  Gonzaga,  che  mi  indirizerebbe  dove  io  havessi  ad 
alloggiare.  Et  mess.  Andrea  de  Burgo  mi  mosse  molte  difficulta  in 
questo  cammino,  dicendo  trovarsi  assai  luoghi,  infecti  di  peste,  et  bi- 
sognare andare  cum  poco  trahino  et  pochissimi  servitori,  come  faceva 
lui,  che  haveva  lasciato  qui  quasi  tucti  e  suoi  famigli  et  suoi  carriaggi, 
cum  animo,  quando  saranno  alla  volta  di  Milano,  mandare  innanzi  chi 
li  conduca  là,  adciò  vi  sieno  prima  di  lui.  Io,  atteso  la  commissione 
delle  S.  V.  che  dice:  parlato  harete  cum  Gurgensis  non  passerete  più 
oltre,  ad  trovare  lo  Imperatore  :  et  considerato  el  fermarmi  io  qui  non 
essere  contro  alla  voluntà  di  Gurgense,  come  lui  medesimo  mi  ha  decto, 
et  non  sapendo  altrimenti  questa  gita  dove  fussi  là,  prima  mi  parta 
di  qua  anchora  ho  voluto  V.  S.  intendino  el  successo  della  cosa,  quali 
prego  mi  commettine  quello  debbo  seguire.  Intanto  mi  temporeggerò 
in  questa  Città  fino  che  habi  risposta  da  V.  S.  —  Qua  si  fanno  gran 
parlari  che  questi  Spagnuoli  vengano  contro  alla  vostra  Città  per  rimet- 
tere e  Medici  in  Firenze  per  forza,  et  che  i  Bolognesi  soldano  forte  ad 
questo  effecto;  il  che  meglio  debbano  intendere  le  S.  V.  di  costà.  El  Campo 
Venitiano  si  sta  nella  sua  obsidione,  come  per  altra  si  è  decto,  et  per 
anchora  non  s'intende  habi  piantato  la  artiglieria:  ma  mi  è  bene  stato 
decto  come,  sapendo  TOratore  Veneto  Gurgense  bavere  facto  parlare 
a  quelli  Franzesi  sono  nella  terra,  lo  ha  pregato  per  parte  delle  S.  V. 
vegli  favorire  la  parte  loro,  et  che  Gurgense  li  ha  dato  buone  pa- 
role. » 

Altro  non  mi  accade  se  non  raccomandarmi  alle  S.  V.  que  bene 
valeant, 

Mantue  die  xxj  Augusti  m.d.xij. 

loHANNBS  ViTTORius  SoTKRiNUS,  Or,  Flóren. 

[C.  322].  Magnifici  &.  L'ultima  mia  de'  xvij  et  venne  per  le  mani 
di  Giovanfrancesco  cavallaro  di  V.  S.,  la  quale  reputando  salva  non 
replicherò.  Poi  non  intendo  altro,  saJvochè  il  Duca  di  Milano  novello 
giunse  a  xiiij  in  Aspruch,  né  tal  nuova  ho  intesa  da  €  Gurgense,  benché 
la  mattina  li  sia  davanti,  come  intesi  la  partita  da»  Colonia  et  la  giunta 
sua  a  Maguntia.  Ma  per  la  Corte  si  é  divulgato,  et  «  ce  ne  sono  lettere 
da  quelle  bande;  Gurgense  anchora  non  ha  deliberato  più  verso  una 
parte  che  un'altra.  Aspectasene  la  sua  deliberatione,  quale  doverrà 
essere  secondo  li  advisi  li  saranno  dati.  Et  io  quando  voglia  cosi  Gur> 
gense,  non  avendo  altro  dalle  S.  V.,  andando  quella  più  in  un  luogo  che  in 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  723 

un  altro,  la  sequirò,  et  accadendo  cosa  alcuna  di  momento  ne  darò  notitia 
alle  S.  V.  Credo  però  che  quanto  alla  gita  di  Roma,  innanzi  si  resolva 
farla,  vorrà  molto  bene  prima  sia  fermo  stabilito  et  chiaro  tucto  quello 
si  harà  daffare,  ricordandosi  della  gita  sua  a  Bologna,  che  mi  è  decto 
non  vuole  più  Tintervenga  come  quella  volta.  Del  campo  hispagniuolo 
non  s'intende  altro.  Dicesi  aspecta  il  S.»'  Prospero  con  gente  assai 
appiè  et  ad  cavallo  per  farsi  grossi,  in  modo  e  Vinitiani  si  habbino  ad 
fare  più  piacevoli.  Emmi  decto  Mess.  Antonio  Semenza  essere  ito  verso 
le  parti  del  Lunigiana  per  fare  quelli  Signori  che  hanno  titolo  dallo 
Imperatore  si  componghino  nel  passato,  et  riconoschino  perii  futuro;  che 
dicono,  poi  sono  armati,  non  vogliono  le  cose  vadino  come  sond  ite 
per  il  passato:  il  che  non  piace  allo  oratore  Lucchese  che  si  truova  qui 
venuto  da  pochi  giorni  in  qua,  e  si  è  facto  molto  famigliare  Mess. 
Andrea  de  Burgo,  prima  che  adoperi  Gurgense  in  questi  maneggi.  Il 
Campo  de  Vinitiani,  come  per  altre  ho  decto,  tucta  volta  ingrossa,  et  due 
di  fa  passorono  da  Valeggio  molti  pezi  di  artiglieria  grossa,  et  muni- 
tione,  et  si  stima  ft*a  ij  giorni  pianteranno  le  artiglierie  da  due  bande; 
et  essendo  hiermattina  alla  messa  di  Gurgense  vi  si  adbattè  lo  Ora- 
tore Vinitiano,  qual  dixe  che  la  S.  S."»  si  trovava  intorno  ad  Bre- 
scia mille  huomini  d'arme,  et  ne  faceva  500:  delli  quali  già  ne  ha- 
vevano  200,  et  il  resto  del  continuo  si  accoglieva,  et  vi  havevono 
X  mila  fanti  pagati  et  ne  yolevono  fare  fino  a  14  mila  et  y  mila  ca- 
valli leggieri:  et  vi  si  trovono  25  bocche  di  artiglierie  grosse,  et  che 
vi  era  numero  infinito  di  Bresciani  tra  cittadini,  contadini  et  monta- 
nini, bemchè,  per  quello  s'intende,  non  sono  per  essere  ad  un  gran  pezo 
quanto  lui  ha  decto:  et  mostrandoli  io  harebbono  che, fare  parendo  a 
costoro  voglino  mettere  Verona  in  mezo,  si  lasciò  uscire  di  bocca:  et 
che  hanno  eglino  ad  fare  di  Verona,  che  è  100  cotanti  anni  ne  siamo 
signori  ?  e'  la  vogliono  per  poter  meglio  taglieggiare  e  popoli,  havendo 
una  porta  d'Italia  sempre  aperta.  Onde  possano  considerare  V.  S.  che 
animo  sia  il  loro  in  questi  travagli.  Emmi  decto  non  ci  è  anchora  adviso 
quello  babbi  ad  lare  il  Sodunense,  quanto  ad  venire  ad  parlamento  con 
Gurgense,  ma  che  non  »  può  stare  molto  ad  esserci.  Altro  non  mi  ac- 
cade. Raccomandomi  a  V.  S.  que  bene  valeanL 
Mantuae  die  deoimanona  Augusti  1512. 

loHANNES  ViTTORius  SoTERiNUS,  Or.  ReipubUce  Floren, 

[C.  392.]  Magnifici  &.  L'ultima  mia  fu  de  xxj  del  presente,  per  la 
quale  significai  alle  S.  V.  come  si  era  partito  di  qui  Monsignor  Revmo 
Gurgense  alla  volta  di  Hyspruch,  secondo  dette  voce  per  fare  soggior- 
nare alquanto  Maximiliano,  nuovamente  intitolato  Duca  di  Milano,  et 
introdurlo  poi  in  quel  Ducato,  dandogli  coda  conveniente;  et  come 
S.  Revma.  Signoria  mi  haveva  facto  intendere  €  non  si  curava  li  an- 
dassi drieto,  bastandoli  essere  incontrato  quando  venissi  alla  volta  di 
Milano,  »  il  che  monstrava  dovere  essere  fra  pochi  giorni:  per  la  qual 
causa  io  mi  sono  fermo  in  questo  luogo:  et  per  homo  a  posta  feci 
intendere  a  V.  S.  tutto  il  successo  et  le  pregai  si  degnassino  advisarmi 
come  mi  havessi  a  governare  per  non  uscir  dello  ordine  datomi  da 
quelle  che  <  era  in  effecto,  scontrato  Gurgense,  non  andassi  più  a  tro- 


Digitized  by 


Google 


724  APPENDICE. 

vare  lo  Imperadore  faora  di  Italia,  essendo  possibile  Gurgense  si  exten- 
dessi  fino  dove  si  truova  la  S.  Maestà.  y>  Questa  partita  di  decto  Revmo 
Gurgense  cosi  repentina  et  inpremeditata  alla  volta  di  Hyspruch  ha 
fatto  attoniti  tutti  quelli  sequitavano  decto  Gurgense,  parendo  loro  non 
intendere  bene  la  vera  causa  di  tal  mossa,  né  si  quietando  punto  in  quello 
S.  S.  Revma  n'ha  fatto  intendere,  perchè  non  giudicano  verosimile,  es- 
sendo in  potestà  di  quella  «  fermare  decto  Duca  solamente  con  una  let- 
tera fino  ad  tanto  e'  Svizeri  o  altri  fùssino  ad  ordine  per  farli  coda 
conveniente,  andare  là  in  persona,  cosi  ex  abrupto  Gurgense  per  con- 
durlo in  Italia,  et  perchè  ci  è  chi  va  ghiribizando  la  vera  causa  fussi  non 
li  essere  parso  stare  più  qui  con  reputatione,  essendosi  volto  lo  exercito 
del  Vice  Re  alle  voglie  dello  Imperadore,  et  il  Veneto  alle  proprie  com- 
modità,  et  non  vedere  chi  voglia  adoperarsi  al  presente  alle  voglie 
dello  Imperadore.  »  Considerato  adunque  tutto  secondo  la  solita  loro 
prudentia,  V.  S.  si  degneranno  farmi  intendere  quello  debba  fare,  pa- 
rato a  ubbidire  a  ogni  loro  comandamento.  Intendo  il  Campo  de  Veni- 
tiani  infestare  Brescia  con  le  artiglierie,  et  quelli  di  drente  monstrare 
buono  animo,  in  modo,  questo  Illmo  Signore  Marchese  m*ha  detto  crono 
usciti  fuori  et  appiccatosi  cogli  inimici  da  una  banda,  quali  se  non  fussino 
stati  soccorsi  da  Giovampaulo  *  portavano  periculo  non  bavere  perso 
qualche  pezo  di  artiglierie.  Del  Rev.mo  Gurgense  poi  non  s'è  inteso 
altro,  salvo  che  andava  a  suo  cammino  a  gran  giornata.  Raccomandomi 
a  V.  S.  qual  priego  faccino  rimborsare  Tommaso  mio  figliuolo  di  lire 
octo  per  tante  date  allo  aportatore  delle  de  xxj  che  per  fretta  non  se 
ne  scrisse. 

Ex  Mantua  die  xxig  Augusti  mdxij. 

lOHANNES  VlTTORIUS  SOTERINUS,    OratOT  FlOT. 

[Filza  111,  e.  187.]  Magnifici,  &.  Sarà  con  questa  una  mia  alle  S.  V. 
de  xxiij  tenuta  a  hoggi  per  defecto  di  spaccio.  A  25  di  questo  a  sera  hebbi 
la  di  V.  S.  de  xxy,  quale  è  venuta  a  salvamento  per  cura  dello  apportatore, 
«  che  l'altre  furono  tucte  dissugellate  ad  Parma,  presentendo  con  in- 
tensissimo dolore  quello  si  fa  contro  ad  cotesta  Città,  et  che  io  lo  debba 
notificare  ad  Gurza.  »  11  che  non  potendo  io  fare  a  bocca,  n'havevo 
scripto  al  mio  Cancellieri,  quale  gli  havevo  mandato  drieto  per  po- 
tere meglio  intendere  quel  fussi  da  sperare  di  questa  sua  promessa 
ritornata:  et  perchè  detto  Cancellieri,  veduto  Mons.  Revmo  non  volere 
seco  altre  gente  che  pochi  de  sua,  et  fermare  li  altri  in  Trento,  ex- 
cepto  lo  Hyspano,  se  ne  è  già  tornato,  non  s'è  potuto  mettere  ad  effecto 
quello  li  havevo  scripto.  Però,  volendo  V.  S.  se  ne  usi  altra  diligentia, 
si  farà  quanto  quelle  ne  commetteranno.  Referisce  il  prefato  Can- 
cellieri M.  Revmo.  Gurgense  essere  partito  da  Trento  addi  xxv  del 
presente,  quando  pioveva  bene  forte,  per  essere  la  sera  a  Bolzano  di- 
stante da  Trento  xxxv  miglia,  et  dovere  essere  in  Hispruch  a  xxvii  di 
questo;  et  Mess.  Andrea  Burgos  baveri!  detto  mi  dicessi,  infta  pochi 
giorni  saranno  di  ritorno.  Erasi  detto  a  questi  di  il  Duca  di  Ferrara 
essere  spelagato  a  Triesti:  bora  bora  questo  signore  Marchese  m'ha 

*  Bapllonl. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  725 

fatto  intendere  per  chi  portò  la  alligata  a  quelle  delle  S.  V.  tal  nuova 
essere  verissima.  Et  di  già  le  gente  uscite  di  Ferrara  a  pie  et  a  cavallo 
hanno  ripreso  il  Pulesine,  et  fatto  gran  preda  in  sul  Venetiano.  Qui  ci 
è  uno  certo  Bardellone  qual  dà  nome  far  fanti  per  a  Bologna:  et  si  dice 
Venitiani  trarre  forte  alla  rocca  di  Brescia,  et  haverne  gittate  in  terra 
qualche  poco,  et  niente  di  manche  quelli  di  drente  stare  di  buona  voglia, 
et  non  dubitare  di  essere  sforzati.  La  lettera  di  lanicola-  si  è  usato  di- 
ligentia,  «né  si  è  fatto  buon  servitio.  Altro  non  mi  accade,  salvo  racco- 
mandarmi alle  S.  V.  que  bene  valeant. 

Mantuae  die  xxviij  mdxij. 

Siamo  addi  29.  et  il  «  signor  Giovanni  mi  fa  intendere  come  li  Svi- 
zeri  s'erono  risoluti  voler  favorire  questo  Duca  novello  con  certe  con- 
ditioni  et  modi  »  da  lui  non  bene  anchora  intesi,  et  bavere  lettere  da 
uno  Secretarlo  di  M.  S.  di  Curtia,  *■  per  le  quali  li  è  affermato  detto 
Revmo  ci  sarà  presto,  et  che  non  passerà  a  Hyspruch  et  forse  verrà 
€  seco  il  Duca  per  andare  alla  volta  di  Roma.  »  Delle  cose  di  Brescia 
non  dico  altro,  rimettendomi  a  quello  si  contiene  in  uno  capitolo  sarà  in 
questa,  haute  €  dal  diete  signore  Giovanni.  » 

Siamo  addi  xxx,  et  per  la  via  di  Mess.  Tholomeo,  Cancellieri  di  que- 
sto signore  Marchese,  intendo  il  medesimo  di  Gurgense,  et  come  an- 
drebbe a  Roma  «  ad  ogni  modo,  perchè  intende  il  Papa  li  fa  grande 
offerte  si  per  la  persona  sua  propria,  si  »  etiam  per  il  suo  patrone  ;  et 
che  «  il  Catholico  haveva  scripto  una  lettera  al  Duca  novello,  chiaman- 
dolo Duca  di  Milano  et  confortandolo  ad  essere  di  buono  animo,  et  che 
non  dubiti  perchè  le  forteze  sieno  in  mano  de  Franzesi,  et  che  daranno 
da  fare  tanto  alli  Franzesi  dalla  banda  di  là  che  harà  charo  lassarlo 
godere  il  suo  Ducato  ». 

Questa  ritornata  di  Gurgense  risuona  da  più  bande  ;  che  è  tornato 
uno  fratello  di  Mess.  Andrea  Burgos,  et  dicelo  affermative:  €  non  crede 
già  venga  bora  decto  Duca.  »  Però  parendo  a  V.  S.  che  andandoli  io 
incontro,  o  qui,  ^li  parli  più  in  una  sententìa  che  in  una  altra,  me  lo 
faccino  intendere,  perchè,  nonobstante  babbi  parlato  €  con  Piggello  et 
Giancola,  non  sono  per  uscire  di  commissione.  » 

Harò  charo  V.  S.  si  degnino  advisarmi  se  pure  Mons.  Revmo 
Gurgense  volessi  pigliare  «  la  via  di  Roma,  quello  ne  babbi  a  dire, 
0  fare  Gurgense  »  quale  potrebbe  etiam  venire  per  «  aboccarsi  con 
Sion,  come  già  dice  voler  fare  ».  Qua  sono  tornati  molti  fanti  del  Campo 
Venitiano  per  uno  bando  mandato  da  questo  signore  Marchese,  sotto 
pena  di  rebellione  a  qualumque  suo  sottoposto  non  tornassi  nel  suo 
dominio:  stimasi  per  potersi  valere  delli  huomini  sua  a  sua  bisogni. 

Priego  V.  S.  faccino  rimborsare  costi  Tommaso  mio  figliolo  di  lire 
sei  per  tanti  dati  allo  aportatore  di  queste.  Et  iterum  a  quelle  mi 
raccomando. 

Data  in  Mantova  addi  xxxj  di  Agosto  1512. 

lOHANN.  VlTTORIUS  SOTBRINUS,    Ovator.  FlOT. 

«  Post  scripta  -  Le  Signorie  V.  vogliano  che  io  facci  intendere  ad 
Gurgense  non  essere  ad  proposito  dello  Imperadore  che  quelle  sieno 

^  Monflignore  di  Gurtia,  I]  Gurgense. 


Digitized  by 


Google 


7Ì6  APPENDICE. 

ad  discretione  d'altri,  et  tanto  al  tempo  farò,  ricordando  però  con  re- 
verentia  tal  cosa  non  essere,  o  sanza  ordine  di  qua,  o  sanza  consenso, 
et  che  per  quello  mi  rammemoro,  parlando  altra  volta  col  Burgos  di 
questa  materia,  lui  mi  disse  che  era  al  lor  proposito  eh'  e  Medici  ritor- 
nassino,  che  saranno  (sic)  men  imperiali  ;  et  che  il  denaio  che  havevano  da 
V.  S.  solo  per  una  volta,  quello  Medici  promectevono  hora,  per  una  et 
molte  altre,  inferendo  perpetuità,  che  importa  recognitione  d' imperio, 
quale  sommamente  costoro  appetischano,  come  sarà  difficile  per  questa 
via  persuadere  loro  quello  V.  S.  desiderano,  massime  mentre  sono  in 
speranza  tale  effecto  sia  per  riuscire.  Però  è  bene  adiutarsi  da  sé  et 
per  ogni  via,  che  hanno  facto  et  fanno  sapientissimamente  le  »  S.  V.,  alle 
quali  iterum  mi  raccomando. 


Digitized  by 


Google 


XV. 

(T.  libro  II,  capo  MUtino,  pag.  576) 

Consulte  e  Pratiche  della  repubblica  di  Firenze. 

(Biblioteca  Vaticana  —  Cod.  Ottobon.  2759,  pag.  133  e  sgg.) 

Die  XXV  Julii  1512 

Se  si  haueua  a  dare  quello  domanda  Gurgense  a  Mantoua  per  conto 
dello  Imperatore. 

^  M.  Niccolò  AUoviti  dixe: 

Che  uedendo  quello  scrive  messer  Giovanvictorio  li  pare  che  la 
resolutione  si  vadi  difficultando;  et  quando  fussi  cosi  mal  si  può  deli- 
berare; pure  li  occorreua  dire  che  la  consulta  hauea  duo  parte.  L*una 
quello  scrivea  m.  Giovanvectorio,  l'altra  quello  proponeuano  li  amba" 
del  papa  et  catholico.  Circa  alla  prima  li  occorreua  che  si  tenessi  bene 
disposito  Gurgense  con  qualche  donativo,  perchè  quando  sarà  benivolo 
alla  città,  non  conpatirà  sie  forzata;  et  perchè  non  si  vede  che  lo 
'mperadore  sia  ancora  ben  fermo  con  la  legha;  però  non  si  può  fare 
resolutione  se  è  bene  darli  danari  o  no,  et  crede  sia  bene  andare  in- 
tractenendo  per  uedere  quello  si  fa  colla  lega;  et  quando  eli* interve- 
nissi, con  quella  farebbe  fermo,  fermando  con  quella  ;  non  si  fermando 
con  la  lega  S.»  M^,  albera  si  potrebbe  convenire  seco  ;  et  però  andrebbe 
Jntractenendolo  col  satisfar  a  Gurgense.  Circa  alla  seconda,  che  la  città  è 
per  aderire  con  la  lega  qualunche  uolta  s'intenda  le  cose  ben  ferme; 
et  quando  elli  habbia  ad  contribuire  a  cose  honorevolì  et  con  carico  da 
poterle  sopportare;  et  ui  ricordo  che  aderendo  alla  legasi  facci  gene- 
ralmente con  quella  somma  di  danari  sarà  conveniente,  sanza  uenire 
ad  altri  particulari  che  dessi  no  charico,  come  è  cacciare  lo  ambascia- 
dorè  franzese,  obligarsi  ad  perseguitare  franzesi  di  là  da*  monti  et  in 
lombardia,  sendo  obligati  al  contrario.  Circa  la  somma  del  danaio  an- 
drebbe differendo,  mostrando  la  impossibilità,  tenendo  el  filo  appicato 
fino  a  tanto  si  uedessi  le  cose  loro  ferme  et  da  canto  usare  diligentia 
di  persuadere  a  Ms  Lorenzo  ^  quanto  queste  difficultà  importino  alla  città, 
et  tenerlo  fermo  et  cosi  acquistare  tempo. 

■r-  Ms  Matteo  Nicolini  dixe: 

Che  quello  scrive  ms.  Giovamvectorio  lo  fa  più  dubbio  ;  perchè  si 
vede  che  lo  *mperadore  non  è  ancor  fermo  et  le  cose  della  lega  non 
resolute,  Circa  al  darli  danari,  non  far  nulla  ma  intractenere;  perchè 
hauendo  ad  fermare  con  la  lega  si  harà  a  contribuire  ad  buona  somma; 
non  fermando  con  la  legha  si  potrà  far  quello  sarà  ad  proposito.  Non 

*  Lorenzo  Pucci. 


Digitized  by 


Google 


728  APPENDICE. 

teme  de  Medici  et  indicali  spauentachi  :  non  ne  farebbe  nulla  di  dare 
danari.  Crede  faranno  tanti  spauenti  a  ms.  Giovarnvectorio  che  si  farà 
et  gitterassi  via  tutto,  discorrendo  che  non  (è)  altro  luogo  donde  trarre 
danari.  Circa  la  seconda,  non  vorrebbe  fare  demonstratione  contro  ad 
Francia,  fino  le  cose  di  costoro  sono  in  aria:  quando  le  fussin  ferme 
farebbe  ei  meglo  potessi  per  saluare:  andrebbe  intractenendo  come  è 
decto  coi  fare  intendere  a  Ms.  Lorenzo  quello  dixe  Ms.  Niccolò  Altouiti. 

-r-  Tommaso  Ginori  dixe; 

Che  le  cose  in  questi  principi  non  sono  ferme  et  non  li  pare  con- 
uenire  con  parte  hauendolo  ad  fare  con  tutto,  perchè  si  harebbe  a  far 
due  volte;  et  in  effecto  el  medesimo  che  Ms.  Matteo.  Circa  le  cose  delli 
Imbasciadori  sono  qui,  non  vorrebbe  fare  demonstratione  contro  a 
Francia,  non  vedendo  altro  pericolo  ;  et  in  effecto,  che  la  città  quando 
questi  principi  (fussero)  d'accordo,  havendo  conuentioni  ragionevoli, 
concorrerebbe  con  pacti  convenienti,  ponendo  da  parte  Tobligo  che  do- 
mandone contro  a  franzesi,  per  non  uenire  ad  roctura  con  loro;  et  an- 
drebbe intractenendo,  tanto  succiedessi  *  se  questi  principi  sono  uniti. 
Et  quando  sieno,  conuerrebbe  nel  medesimo  modo  decto  ;  quando  no,  non 
mancherà  modo  a  discostarsene  o  fare  quello  sarà  ad  proposito  della 
città. 

•7^  Alexandro  AcciaiuoU:  el  medesimo  che  chi  ha  parlato  et  maxime 
Ms.  Niccolò  Altoviti. 

7^  Giovanbattista  del  Cittadino:  el  medesimo. 

•7^  Simon  Corsi:  che  farebbe  ogni  cosa  di  farsi  amico  Gurgense 
con  qualche  donativo:  circa  la  seconda  parte  el  medesimo  che  graltri. 

•r-  Iacopo  SaZuiaii  dixe: 

Che  se  non  fussi  el  pericolo  che  sopraste  al)a  città  di  queste  genti 
spagnuole  che  uanno  soggiornando  sarebbe  più  facile  el  risolversi:  pure 
non  è  tale  che  si  discosti  dal  consiglio  dato.  E'  modi  d'asicurarsi  sarebbe 
conuenire  con  questi  principi;  et  potendo  farlo  con  tutti,  farlo  con 
patti  conuenienti  ;  con  lo  Imperatore  solo  non  lo  farebbe,  perchè  non  ui 
può  offendere  se  non  con  le  gente  del  papa  et  catholico;  delle  quali 
ci  uà  tempo  ad  potersene  seruire;  et  però  allui  solo  non  darebbe  da- 
nari, né  al  papa  solo  ancora:  qualche  donativo  non  darebbe  briga:  dalli 
noia  quello  ha  decto  Ms.  Lorenzo  Pucci  che  noi  torniamo  a  drieto  ;  et 
uorrebbe  che  Tintendessino  che  noi  siamo  per  adherire  con  la  lega;  et 
farlo,  potendo,  et  cancellare  questo  nome  dello  essere  noi  franzesi,  per 
il  che  tutti  ci  disegnano  contro  per  questo;  et  in  facto  ne  uorrebbe 
tener  conto  et  in  parole  cancellarlo,  come  è  decto;  et  uorrebbe  chel 
danaio  aconciassi,  ma  fussi  somma  conueniente,  non  facendo  di  quelle 
cose  domandano,  perchè  sarebbono  et  di  carico  et  di  danno  alla  città; 
et  stima  si  contenterebbono  di  quello  fussi  conveniente  sanza  forzami  ad 
altro,  con  lo  hauere  una  protectione. 

7^  Pier  franca  thosinghi  dixe: 

Che  dubita  che  cosi  come  noi  volianno  godere  el  tempo,  così 
ancora  loro  habbino  facto  el  conto  loro  ;  et  potendo  conuenire  con  loro 
lo  farebbe  non  si  scoprendo  contro  a  francia;  persuadendo  loro  che  si 

^  Cosi  nel  ms.  Forse  deve  leggersi:  «si  vedessi». 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  729 

coDtentassino  et  seruirsi  di  noi  con  beneficio  loro  et  sanza  pericolo 
nro.  Circa  la  qualità  del  danaio  concorrerà  con  una  somma  determi- 
nata, pigliandoui  in  protectione,  presupponendo  che  la  lega  sia  come 
dicano  ;  il  che  haranno  a  dimostrare  ;  et  crede  sia  necessario  mostrare 
di  volere  conuenire  con  loro  et  farlo  ne*  casi  decti  di  sopra.  Circa  la 
seconda  non  darebbe  danari  all'  imperadore,  et  terrebbe  contento  Gur- 
gense  con  qualche  donativo. 

7^  Nicolò  Zati:  el  medesimo. 

7^  Gìouambattista  ridolphi  dixe: 

Che  non  è  fermo  cosa  alcuna  tra  questi  della  lega,  et  non  vorrebbe 
mentre  le  cose  stanno  cosi  toccar  qualche  mazzata:  et  vedendo  ch'el 
papa  fa  ógni  cosa  di  farvi  declarare,  penserebbe  diuenire  ad  quelli 
particulari  che  nocessino  manco  alla  città  etiam  che  le  cose  tra  Igro 
non  si  ueghino  ferme,  indicando  questo  sanza  pericolo.  El  uenire  contro  a 
francia,  come  voglano,  è  cosa  uituperosa  et  dannosa  alla  città;  et  crede 
che  mostrando  loro  questo,  sarebbe  facil  cosa  ad  persuadere  di  ritrarneli; 
et  col  dir  loro  se  ci  uogliono  o  per  beneficio  o  per  farci  far  cosa  con  danno, 
0  pericolo  sanza  loro  fructo  :  se  ci  uoglono  per  beneficio  loro,  pensino 
che  si  facci  in  quei  modi  si  può,  et  con  quel  carico  si  può  sopportare; 
facciendo  con  loro  una  lega  a  difesa  delli  stati  comuni;  et  pigliandoui 
loro  in  protectione  con  contribuire  a  una  somma  conveniente,  et  ad 
questo  modo  verrebbe  a  qualche  particulare,  sanza  mostrare  volerli 
tenere  a  cresima  :  et  vedrassi  se  '1  papa  ha  preso  el  morso  co'  denti 
di  farui  declarare  nel  modo  chiede.  Circa  la  cosa  dell'  imperadore  non 
ui  si  spenda  per  bora,  ma  intractenerlo  ;  perchè  diventando  da  deverò 
le  cose  sue,  ad  ogni  modo  bisognerà  farlo  perché  se  la  legha  seguirà, 
bene  quidem;  non  seguendo  l'umori  che  dicono,  questi  altri  principi 
vi  difenderebbono  da  pericoli. 

r^  Benedetto  de'  Nerli:  el  medesimo. 

■r^  Lionardo  Strozzi:  el  medesimo. 

7^  Uberto  de'  Nobili:  el  medesimo  di  Giovambatista  Ridolphi. 

7^  Luca  degli  Albisi  dixe: 

El  medesimo  di  lac.**  Salviati  et  giovanbatista  ridolphi  ;  et  non  da- 
rebbe per  bora  danari  né  allo  Impr©  né  a  Gurgense. 

7^  Piero  Guicciardini  el  medesimo  che  Iacopo  Salviati. 

7^  Gherardo  Corsini: 

el  medesimo  che  Giovambat.*».  Non  si  discosterebbe  però  da  fare 
quajche  donativo  a  Gurgiense. 

7^  Giovambatista  Bartolini: 

Che  con  li  ambasciadori  si  venga  ad  qualche  particulare,  come 
dixe  Giovanbattista  Ridolphi.  Circa  a  Gurgiense  se  lo  farebbe  propitio 
con  qualche  donativo. 

r-  Lamfredino  Lanfredini: 

Él  medesimo  di  Iacopo  Salviati  et  pierfrancescho  Tosinghi:  circa 
a  Gurgense  starebbe  della  oppinione  di  darli,  quando  poca  somma  ba- 
stassi; ma  ogni  somma  no;  perché  se  si  concluderà  con  la  lega,  sarà 
fermo  tutto  ;  hauendo  ad  fare  da  parte  lo  farebbe  con  lui  'ch'à  l'arme 
in  mano,  e  questo  é  Spagna,  che  é  pericolo  presente:  con  quelli  che 
sono  discosto  andrebbe  più  adagio. 


Digitized  by 


Google 


730  APPENDICE. 

7^  Lutozo  naxi:  el  medesimo. 
7^  francescho  ve  e  tori: 

Él  medesimo  che  G.batista  Ridolphi:  circha  a  Gurgense  non  li  da- 
rebbe danari  bora:  perchè  si  concluderà  con   la  legha  et  sarà  fermo 
tutto  :  non  concludendo,  e'  sarà  con  Francia  et  barassi  tempo. 
7^  Giouanni  Ambruogi        l  el  mede- 

7^  Beffardo  Neretti  ì        Simo  che  non  si  dia 

7^  Francescho  del  Zacheria  (        per  bora  a  Gurgense 


(R.  Archivio  di  stato  in  Firenze.  Consulte  e  PratichSj  f.  71, 
classe  II,  dist.  5.  n.  131,  a  e.  673). 

Die  Veneris  de  mane  30  Julii  1512. 

In  Consilio  degli  80  in  sala  inferiore. 

Lecte  più  lettere  venute  di  proximo  da  più  nostri  oratori  et  di 
Firenzuola  et  Mugello  et  altri  luoghi  quivi  circumstanti,  et  alcune  di  Ni- 
colò Machiavelli,  dove  queste  gente  Spagnuole  si  trovano:  et  del  so- 
specto  si  può  avere,  per  essere  vicine  alle  cose  nostre  da  quelle  bande 
di  verso  Bologna,  non  si  gittassino  a  danni  delle  cose  nostre:  fu  adi- 
mandato consiglio  quello  sia  daffare  per  defensione  delle  cose  nostre  e 
non  esser  giunti  imprevisti  :  et  adpresso  circa  la  resolutione  della  con- 
sulta d*  biarsera  se  s'à  (a)  adherire  a  decta  lega  et  contribuire,  o  non 
adberire:  et  quando  si  consigliassi  dovere  adherire,  con  che  pacti  et 
condictioni  et  modi. . 

Antonio  Guidotli^  prò  offitio  Gonfaloneriorum: 

Io  non  mi  estenderò  molto  in  excusare  la  mia  insufflcientia.  Quanto 
alla  risposta  da  farsi  al  Nuntio  Papale,  pare  da  farsi  verbalmente, 
e,  quando  e  si  possa,  apichare  con  questa  legha  la  protectione,  et  cre- 
dono si  possa  fare  con  questo  che  la  fede  promessa  al  Christianisslmo 
si  observi,  et  che  si  servi  la  dignità  della  Cictà  et  avere  la  protec- 
tione loro. 

Quanto  alla  spesa  hanno  altra  volta  expressa,  si  riferiscono  al 
consultato  altra  volta.  Quanto  alla  pendentia  seguita  commendano 
l'Excelse  Signorie  Vostre,  et  di  questi  Spectabili  Dieci  d'  bavere  pro- 
visto in  tucti  que  luoghi  fa  di  bisogno.  Vi  confortano  aseguire  et  loro 
presteranno  favore. 

Alesso  Lapaccini,  prò  officio  XIJ  Virorum: 

Magnifici  Excelsi  Signori:  per  non  tórre  tempo  lascierò  le  ceri- 
monie &  et  referito  quello  sia  la  Intentione  di  qtiegli  mìei  padri  &. 
Quante  volte  hanno  havuto  a  consigliare  sopra  la  proposta  del  Nuntio 
Appostolico,  sempre  sono  stati  d*una  medesima  volontà,  che  la  fede 
promessa  non  si  debba  violare,  etiam  quando  si  potessi  incorrere  pe- 
ricolo: dalla  quale  sententia  non  vogliono  in  alcuno  modo  spiccarsi 
perchè  Tonestà  precede  airutìle,  se  già  la  necessità,  che  non  ha  leggie, 
non  ricerchassi  altro.  Circa  le  cose  occorse  di  breve  laudano  le  Si- 
gnorie Vostre,  et  di  quegli  Spectabili  X*  e  provedimenti  havete  facti, 
et  non  veghono  cose  per  le  quali  per  bora  sia  da  temere,  et  offeri- 
scono per  loro  ogni  favore. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  731 

Tommaso  Gianni,  pel  Quartiere  di  Santo  Spirito: 

E'  m'anno  commesso  referisca  el  parere  loro  circa  el  Nuntio  Pa- 
pale, che  hanno  già  tre  volte  consultato,  che  è  che,  quando  si  fusse 
potuto,  con  questa  lega  convenire  con  salvare  la  fede  promessa  et  la 
dignità  della  Città  et  con  quella  meno  somma  si  potesse.  Circa  le  let- 
tere lecte,  commendano  le  S.  Vostre  ed  di  quelli  Spectabili  X.»  de  pro- 
vedimenti  facti  ;  et  che  quando  in  quel  di  Mugello  si  facessi  uno  com- 
missario, lo  comenderebbono. 

Nicholò  Sacheiti^  pel  Quartiere  di  Santa  Croce: 

M*ànno  mandato  a  referire,  &.  Quanto  alla  parte  del  Nuntio  Ap- 
postolico,  dicono  che  hiarsera  voi  fusti  consiglati,  et  a  quelli  si  refe- 
riscono circa  la  risposta  s'abbi  a  fare.  Quanto  alle  lettere  lette,  com- 
mendano r  Excelse  S.  V/^  et  di  questi  spectabili  X^  de  provedimenti 
facti,  che  pare  loro,  non  si  scoprendo  altro,  bastino. 

Mess.  Baldassarre  Carducci,  pel  Quart.®  di  S.»  Maria  Novella. 

Quegli  miei  padri  vogliono,  ch'i'  referisca:  Et  quanto  alle  lettere 
lecte  comendano  l' Excelse  S.^  V.e  et  di  quegli  spettabili  X.  non  bavere 
ommesso  cosa  alcuna  circa  e  provedimenti  ;  et  nascendo  cosa  alcuna 
di  nuovo,  prò  vedere:  et  parrebbe  loro  di  creare  uno  Comissario  in  que' 
luoghi,  huomo  di  conto. 

Quanto  al  secondo  capitolo,  di  fare  o  non  fare  la  risposta  a  que- 
sti oratori  del  Papa  et  del  Chatholica:  et  èssi  questa  cosa  più  volte  con- 
sultata, et  sono  quegli  miei  padri  stati  conformi  che  quando  si  potessi 
ottenere  da  questa  lega  protectione  della  libertà  nostra,  si  lascereb- 
bono  andare  in  25  et  per  insino  in  30  migliaia  di  fiorini,  et  conforte- 
rebbono  bavere  ad  sé  tucte  queste  consulte,  e  la  prudenza  de  X.  trarne 
la  risposta  s'  abbi  affare  :  Et  quanto  queste  cose  consultate  non  satisfa- 
cessino  sempre  saranno  per  consultare  di  nuovo  et  prestare  a  tucto  favore. 

Messer  Giovanni  Buongirolami  per  San  Giovanni. 

Magnifici  Signori,  due  sono,  circa  l'apuntamento  con  [la]  lega,  in 
opinione  che  la  cosa  si  stesse;  per  non  intendere  questa  lega  et  esser 
quasi  vento.  Tucti  gli  altri  sono  in  questo  che  potendo,  convenire  *  con 
questa  legha,  salvando  sempre  la  fede  et  la  dignità  della  cictà.  Et 
benché  e  modi  possono  esser  molti,  loro  ne  adducano  uno,  cioè  conve- 
nire con  una  quantità  di  danari  e  non  s'obligare  a  mese  per  mese; 
e  la  somma  o  25,  o  30,  o  35  mila,  perchè  tucti  questi  movimenti  are- 
chano  spesa  continua,  et  che  la  somma  sopradecta  sia  meglio  et  con 
più  pace.  Circa  la  guardia  delle  cose  di  Mugello,  credono,  quando  con 
la  lega  si  convengha,  non  bisognerebbe  altro  :  et  parrebbe  loro  per  ogni 
rispecto  si  creassi  uno  Comissario  in  quelle  bande,  di  reputatone,  et 
punire  chi  arecha  le  novelle  non  vere  di  queste  cose  vanno  a  torno. 

Item  per  li  medesimi  delli  80  del  Quartiere  S*^  Maria  Novella,  et 
per  Mess.  Baldassarre  Carducci  relatore  fu  a  più  dichiaratione  del 
parere  loro  decto,  che  la  resolutione  di  quelli  suoi  padri  fu  et  è  quella 
medesima  altra  volta  facta,  cioè  che  potendo  sanza  altra  collìgatione  o 
adhesione  alla  lega,  obtenere  da  quella  protetione  et  manutentione  del 
presente  governo  et  di  noi  fiorentini,  si  concorra  a  pagare  una  somma 
di  25  in  30  mila  Ducati  a  decto  effecto. 

1  Cloe:  •  di  convenire,  potendo  -. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE. 


(Biblioteca  Vaticana,  ms.  Ottobon.  2759). 


'  Die  12  Augusti  1512. 

T^  Ms.  Niccolò  Altouiti  dixe: 

Che  circa  a  dua  casi  si  haueua  a  conslglare  :  prima  circa  le  lectere 
de  Ms.  Giovamuectorio:  secondo,  circa  laciptadella  di  Livorno,  se  era 
da  sfasciarla  o  no  dalla  banda  di  terra.  Circa  le  lectere,  dixe  che  ms.  Gio- 
uamucctorio,  ad  instantia  di  Gursa,  facieua  instantia  sopra  la  cosa  con- 
sigliata più  volte;  circha  ad  che  non  occorreua  mutar  sententia  da 
quello  era  stato  consiglato;  perchè  tutte  le  altre  lettere  lette  et  di 
Roma  et  di  Spagna  mostrauono  douessi  dire  el  medesimo  ;  et  che  si 
stessi  nella  medesima  oppinìone,  considerato  la  disunione  de*  principi; 
et  che  Gurgense  et  li  altri,  udito  Tobligho,  si  erono  quodammodo  ver- 
gognati: et  cominciando  a  dar  danari  allo  imperatore,  tutti  li  altri  ne 
vorrebbono;  il  che  mecterebbe  la  città,  in  uno  pelago  di  non  ne  po- 
tere uscire;  et  conclusine,  considerato  tucto,  et  di  più  la  penuria  che  lo 
imperatore  ha  ogni  di  bisogno  di  danari,  et  le  poche  forze  sua,  non  li 
pare  da  darli  danari  ad  modo  alcuno;  et  scrinerebbe  a  Mes.Giamuec torio 
che  non  andassi  tentando;  essendo  ricerco  lui,  che  stessi  in  sulla  me- 
desima commissione  datali,  da  stare  in  sulFobligo;  che  circa  alle  altre 
cose  si  expecti  di  essere  richiesto  et  allhora  si  deliberi  quello  sia  el 
meglio  per  la  città.  E  circa  alla  ciptadella  di  Liuorno  dixe  che  li  era 
bene  sfasciarla  dalla  banda  di  terra,  fortificando  la  parte  di  verso  el 
mare;  et  quelle  di  fuora,  abbassando  quelle  torre,  con  la  macerie  delle 
quali  si  potrebbe  fare  decto  fortificamento. 

7^  Ms.  Matteo  Niccolini  dixe: 

Circa  el  dar  danari  allo  Imp.^e  era  nella  medesima  sententia  de 
Ms.  Niccolò,  et  che  non  si  parte  dalla  conclusione  factane  altra  volta 
et  che  l'ultima  lettera  di  Ms.  Giouamuectorio  accennano  che  se  ne  ver- 
gognano et  non  uogliono  strignere;  et  a  Ms.  Giouamuectorio  farebbe  la 
medesima  resposta  decta  da  Ms.  Niccolò.  Dixe  che  la  praticha  che 
muoue  el  Catholico,  li  agira  el  ceruello;  et  farebbe  quello  dixe  M.  Ni- 
colò. Pure  provò  con  molte  ragioni  che  lo  stare  neltrale  è  pericoloso; 
et  più  tosto  terrebbe  ataccato  el  filo  col  ps^pa  che  con  altri;  perchè,  a 
questo  modo,  fuggirebbe  la  praticha  con  Spagna;  la  quale  ui  farà  muo- 
uere,  et  non  farete  indignar  el  X^o,  el  quale  ha  più  in  odio  Spagna 
che  ueruno  altro,  et,  sotto  nome  di  tutta  la  lega,  terrebbe  la  praticha  col 
papa  et  riappiccherebbela  seco,  col  dolersi  che  uuole  fauorire  e  Medici; 
et  per  questa  uia  appicherebbe  ragionamenti  di  nuouo.  Di  Livorno  dixe 
non  intendersene. 

-:^  Alexandro  Acciaiuoli  dixe: 

El  medesimo,  excepto  che  non  uorrebbe  rappicare  la  pratica  col 
papa  com  nominare  rebelli:  ma  un  altro  modo. 

7^  Giouambatista  del  Cittadino  dixe: 

El  medesimo,  et  che  rappicherebbe  la  praticha  col  papa  sotto  nome 
della  lega,  non  allegando  Medici,  ma  con  altri  ragionamenti  ;  della  cit- 
tadella de  Liuorno  farebbe  quello  dixe  Ms.  Niccolò. 

-^  Lorenzo  Neroni  dixe: 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  733 

El  medesimo  che  gl'altri  et  si  seguiti  la  pratica  mossa  col  papa, 
andando  più  auanti  con  la  offerta  del  danaio,  bisognando. 

•7^  Pieì'O  delli  Alberti  dixe: 

Circa  le  lettere  di  ms.  Giouamvectorio  et  quello  expose  Ms.  Piggiello, 
dixe  che  era  nella  medesima  oppinione  et  conclusione  facta  altra  uolta  ; 
et  ricordò  che  la  salute  della  città  consisteua  nello  intendersi  col  papa 
et  Spagna;  et  ricordò  che  si  facessi  uno  ambasciatore  ad  Roma  oltre 
a  quello  ui  è  ;  il  che  seruirebbe  ancora  alla  praticha  che  muove  el  Ca- 
tholico  col  suo  oratore  che  è  là. 

7^  Pierfrancesco  Tosinghi  dixe: 

Che  li  dispiaceua  che  raccordo  messo  auanti  dal  papa  et  dal  Ca- 
tholico  non  hauessi  hauto  effecto;  farebbe  ogni  opera  di  rappiccarlo; 
et,  bisognando,  qualcosa  più  di  quello  era  disegnato,  lo  spenderebbe. 
Darebbe  notitia  a  ms.  Giouamuectorio  di  quello  scrive  el  Guicc lardino;* 
ad  ciò  uedessi  se  potessi  ritrarre  cosa  alcuna.  Crede  ch'el  fare  una 
lega  col  Catholico  a  difesa  delli  stati  non  hauessi  ad  offendere  el  Re; 
et  conclusine  potendo  conuenire  con  el  papa  et  catholico  lo  farebbe; 
non  potendo  lo  farebbe  con  uno  solo.  Dello  Imperatore  el  medesimo. 
Della  cittadella  lo  farebbe  uedere  a  qualche  condoctiere  pratiche,  et, 
secondo  e'  consigliassi,  cosi  si  gouernerebbe. 

r-  Piero  Lenzi  dixe: 

Le  lettere  di  Ms.  Giamuectorio,  se  li  risponda  dandoli  la  medesima 
commissione  datali  fino  a  bora,  et  a  Pigiello  farebbe  ancora  la  mede- 
sima resposta.  ludica  molto  ad  proposito  riappiccare  la  pratica  mossa 
da  Roma  a  di  passati  con  quelli  modi  fussino  ad  proposito  et  andarli 
drieto  per  uedere  d'assicurar  la  città.  Circa  a  quello  -scrive  el  Guic- 
ciardino  della  praticha  muove  el  Catholico,  dixe  li  andrebbe  drieto  in 
quel  modo  fussi  ad  proposito  :  et  quando  la  fussi  utile  farla  ;  né  crede 
per  questo  el  X^o  si  hauessi  ad  irare,  et  darebbe  notitia  di  tutto  a 
Ms.  Giouamuectorio.  Circa  la  cittadella  di  Livorno  el  medesimo  dixe  Pier- 
francesco Thosinghi. 

•r^  Nicolò  Zati  dixe: 

Era  nell'oppinione  di  quelli  che  uorrebbono  la  praticha  col  Papa  et 
con  Spagna  hauessi  hauto  effecto;  uorrebbela  rappiccare,  et  bisognando 
spender  qualcosa,  pur  lo  farebbe  ;  et  circa  quello  scriue  Ms.  Giouamuec- 
torio el  medesimo  che  gl'altri  :  circa  le  lectere  del  Guicciardino,  farebbe 
ogni  cosa  di  non  si  spiccare  dal  Catholico,  non  potendo  conuenire  con 
la  lega.  Circha  Liuorno  el  medesimo  ch'el  Tosingo. 

7I  Chimenti  Ser  Nigi: 

El  medesimo  che  li  altri,  et  maxime  circa  la  domanda  di  Gurgense 
che  si  stie  sul  medesimo  che  s'è'  consigliato  fino  ad  bora:  che  la  pra- 
tica di  Roma  si  rappichi,  et  si  tiri  avanti  potendo  con  qualche  somma 
di  danari  più  (potendo).  Andrebbe  drieto  al  ragionamento  mosso  dal 
Guicciardino,  circa  el  conuenire  con  la  M*^  Cathc»  et  darebbe  notitia 
di  tutto  a  Ms.  Giouamuectorio.  Crede  non  si  possa  errare  ad  conuenire 
con  el  Cathco,  non  potendo  conuenire  con  la  lega.  Di  Livorno  se  ne  ri- 
mecte  all'altri; 

*  V.  nella  Legazione  di  Spagna  di  Fr.  Guicciardini,  la  lettera  ai  Dieci  »  da  Burgos, 
18-22  luglio  1512  •>,  fra  le  Opp.  inedite  del  zned.,  t.  vi,  pag.  76  e  sgg. 


Digitized  by 


Google 


734  APPENDICE. 

7^  Giovambatista  Rido(l)fi  dixe: 

Che  lo  exemplo  delli  altri  admonisce  la  ciptà,  uedendo  molti  luoghi 
da  un  dì  a  uno  altro  trouarsi  In  graui  periculi;  et  tanto  più  trovandovi 
sprovisti  ;  et  non  li  pare  il  pericolo  in  che  si  truova  la  città  sia  pon- 
derato come  si  deverebbe:  dolsesi  che  molti  cittadini  de' chiamati  non 
erom  venuti  ;  parli  che  faciendo  el  papa  la  'mpresa  di  Ferrara,  et  ue- 
nendovi  gente  grossa,  che  si  porti  pericolo;  et  per  questo  li  pare  che 
el  tempo  sia  ogni  volta  di  cercare  rimedio  :  et  de'  migliori  stima  el  con- 
uenire  eoa  la  lega,  et  la  lega  chiama  questa  che  dice  el  papa,  et  con- 
uenendo  con  essa,  lo  judicherebbe  abastanza;  rappicherebbe  la  pratica 
col  papa  per  vedere  di  conueuire;  et  potendo  conuenire  lo  farebbe,  et 
ordinerebbe  la  città,  ad  ciò  se  si  cominciassi  la  praticha,  non  si  ha- 
ues^i  a  rompere  con  danno  della  città;  et  uorrebbe  che  ne  fussi  dato 
autorità  a  chi  ha  a  tractare,  ad  ciò  non  si  deliberassi  una  cosa  qui,  et 
poi  non  se  ne  facessi  un'altra  altroue.  El  modo  di  rappicare  la  pratica 
'  col  papa,  non  judica  fuori  di  proposito  farlo  in  su  queste  cose  di  Car- 
fagnana,  col  mostrare  quello  si  è  facto  et  vedere  di  gratificarlo;  etri- 
cordo questo  modo,  quando  non  ci  fussi  de'  migliori,  indicando  ad  pro- 
posito ad  rappicare  e  ragionamenti  mossi  ad  questi  di.  Circa  ad  quello 
scriue  el  Guicciardino,  ricordo  in  prima  tenere  uno  appresso  al  vice  re, 
et  mostrarli  non  sprezzare  quello  muoue  el  Cathco  et  se  non  ci  si  pro- 
cede, è  *  per  conto  di  quello  è  stato  mosso  ad  Roma;  et  ad  questo 
modo  crede  si  farebbe  cosa  grata  al  Cath^o  mostrando  di  stimarlo;  et 
tucto  farebbe  in  modo  che  non  fussi  causa  di  forzami  ad  restringi- 
mento più  che  fdssi  di  bisogno:  circa  l'Impr®  el  medesimo;  perchè  ciò 
che  ui  si  spendessi  di  presente,  sarebbe  perso,  et  con  buone  parole  sta- 
rebbe in  sul  medesimo.  Circa  a  Livorno,  che  quello  ui  si  facci  con  pa- 
rere di  ualenti  huomini. 

7^  Benedecto  de* Nerli  dixe: 

El  medesimo  di  6.  batista,  et  rappicherebbe  la  praticha  di  Roma 
et  manderebbe  uno  o  dua  ambasciadori  oltre  a  quello  ui  è.  Circa  le  cose 
di  Gurgense  el  medesimo. 

r-  Lionardo  Strozzi:  el  medesimo  che  Batista. 

7^  Uberto  de'  Nobili:  El  medesimo  che  è  stato  parlato  per  Gio- 
uambatista  et  che  si  facci  in  modo  che  qui  non  si  concluda  una  cosa 
et  su  un'altra,  et  non  si  mostri  disunione.  ' 

7^  Luca  delli  Albizzi:  El  medesimo  et  si  mandi  uno  al  Uice  rè, 
et  uno  0  due  ad  Roma,  oltre  a  quello  ui  è  di  presente. 

r-  Piero  Guicciardini  dixe: 

El  medesimo  che  li  altri  et  crede  che  la  città  non  sia  per  essere 
lasciata  stare  neltrale,  et  però  non  li  pare  da  expectare,  perchè  sa- 
rebbe con  danno  et  uergogna  ;  et  però  li  pare  da  rappicare  la  pratica 
et  a  Roma  et  col  Ulcere,  in  quelli  modi  fussino  conuenientì,  et  quello 
dixe  Giouambatista  li  piaceua.  Circa  l'Imperatore  el  medesimo,  et  at- 
tenderebbe a  saldare  queste  altre  cose  che  importon  più.  Circa  a  Li- 
uorno  el  medesimo. 

7^  Antonio  da  Filicaia: 

^  II  ms.  erroneamente:  »  et  *>. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  735 

El  medesimo  che  li  altri:  circa  a  Liuorno,  che  s'èl ragionato  più 
volte  di  sfasciarla  dalla  banda  di  dreto;  et  che  hauendo  Liuorno  bi- 
sogno di  più  altre  cose,  crede  che  per  questo  sie  rimaxo  indrieto  el 
mettervi  mano. 

7^  Gherardo  Corsini  dixe: 

El  medesimo,  et  vorrebbe  che  la  città  in  seruitio  suo  hauessi  porto 
un  pò  più  l'orechio  non  fece  a'  ragionamenti  mossi  a'  di  passati  da 
Roma;  ftiggirebbe  con  bone  parole  di  conuenire  con  uno  solo  di  questi 
principi.  Manderebbe  uno  al  Uicerè  et  intracterrebbe  la  pratica  mossa 
dal  Cathco  per  uedere  quello  ui  è  mosso:  rapiccherebbe  la  praticha  di 
Roma,  et  quel  modo  che  introduxe  Giouambatista  ridolphi  11  piace  assai; 
non  è  alieno  di  mandare  nuovi  araba"  ad  Roma,  ma  non  lo  farebbe  bora, 
perchè  pare  uno  gittarsi,  et  farebbe  per  bora  con  quel  che  ui  è,  et  se- 
condo che  la  praticha  andassi,  secondo  si  gouernerebbe  circa  el  man- 
dare. 

7^  Giouambatista  Bartolini  dixe: 

Che  potendo  conuenire  con  la  legha  lo  farebbe  più  uolentieri  che 
con  uno  solo;  rapicherebbe  e' ragionamenti  di  Roma;  circa  allo  Imp^®, 
che  non  si  rompa,  mostrando  el  buono  animo  della  città  et  alsi  Tlm- 
possibilità  sua.  Da  Spagna  non  si  deuierebbe,  sendo  liy  el  timone  di 
questa  barcha,  et  rimessesi  a  quanto  disse  Giovambatista.  Circa  a  Li- 
uorno, quel  medesimo  dixe  Pierfrancescho  Thosinghi. 

7^  Giouanni  Ambruogi: 

El  medesimo,  che  si  facci  accordo  con  la  legha,  et  con  più  si  può 
et  non  con  un  solo. 

7^  Die  XV  Augusti  1512. 

7^  Ms.  Nicolò  Altoviti  dixe: 

Li  occorreua  cauare  delle  lettere  dua  conclusioni:  prima,  la  do- 
gllenza  ^  facta  dallo  oratore  Spano  che  sta  a  Uenetia:  la  seconda  la 
resposta  s'ha  ad  fare  a  Mss.  Giamuectorio.  Et  circa  la  prima  dixe  che 
la  justificatione  era  facile,  non  si  sendo  facto  mai  contro  alla  M*^  del 
suo  re:  crede  sia  facto  per  battere;  et  forse  messo  su  da' Uinetiani,  dove 
è  stato  ;  et  però  hauendo  la  uerità  gram  forza,  sarà  poca  faticha  ad 
purgare  simili  calumnie.  Circa  al  respondere  a  M.  Giouamuectorio  dixe 
che  hanendosi  ad  fare  alira  resolutione  fuori  di  quella  s'è  facta  infine 
ad  qui,  judicaua  fùssi  necessario  ci  fussino  quelli  medesimi  cittadini  ci 
si  ^ono  trouati  sino  ad  bora. 

7^  Ms,  Matteo  Niccolini  dixe: 

Che  sendo  false  le  calumnie  date  et  le  doglienze  facte  da  quello 
oratore,  scrinerebbe  ad  Roma  al  nro  oratore  che  fussi  con  lo  ore  cathco, 
pregandolo  facessi  intendere  a  queir  altro  oratore  la  uerità,  et  che  jus- 
tificassi,  facendone  quella  bona  relatione  che  in  uero  merita  la  cosa; 
Cosi  justiflcherebbe  el  Viceré  per  mezo  di  Ms.  Jo.  Uectorio.  Circa  al  re- 
spondere a  Ms.  Jo.  Uectorio  dixe  che  faceuono  perche  uoi  entrassi  nella 
lega,  non  hauendo  volsuto  convenire  con  particulari,  et  che  mostre- 
rebbe essere  parato  farlo. 

^  Ma.;  "  doglenza  >. 


Digitized  by 


Google 


738  APPENDICE. 

T^  Giouambatista  del  Cittadino: 

El  medesimo,  che  si  giustifichino  le  querele  facte  per  raezo  dello 
ore  cathco  che  è  a  Roma:  circa  la  seconda  parte  che  si  chiamino  quelli 
mancono. 

r-  Simone  Corsi,  el  medesimo. 

r-  Iacopo  Salviate:  Che  le  diligentie  da  farsi  per  justificare  le 
querele  dello  ambasciatore  erono  ad  proposito.  Circa  la  seconda  parte, 
che  li  pare  si  chiamino  quelli  mancorono;  et  di  più  conferire  tucto  con 
chi  ha  autorità  di  deliberare,  hauendosi  ad  ritractare  quello  è  stato 
consigliato  fino  ad  hora. 

7^  Ghuglielmo  de' Pazzi  dixe: 

Che  teneua  poco  conto  delle  querele  di  quello  imbas^o,  che,  uenendo 
da  Uenetia,  parla  con  quello  uento  che  li  é  stato  messo  in  corpo  :  pure 
farebbe  quelle  diligentie  sono  state  ricordate  :  ricordò  mandare  uno  al 
Uicerè.  Circa  alla  seconda  parte,  el  medesimo,  che  hauendosi  ad  mu- 
tare el  consigliato  *  fino  ad  qui,  si  babbi  numero  conueniente. 

7^  Piero  delli  Alberti  dixe: 

El  medesimo,  circa  la  prima  parte;  et  aggiunse  si  facessi  el  me- 
desimo in  Spagna;  circa  la  seconda  parte  el  medesimo:  che  si  chiami 
magior  numero,  hauendosi  ad  ritractare  quello  è  stato  consigliato. 

T^  Chimenti  Ser  Nigi,  el  medesimo  in  tutto  et  per  tutto. 

■r-  Benedecto  de*  Nerij,  el  med"  in  tutto. 

•r-  Carlo  del  Benino: 

El  medesimo,  et  che  si  plachi  Dìo  ad  ciò  ui  illumini  ad  pigliare 
buom  partito,  ricordò  farsi  qualche  amico,  che  pigliassi  la  causa  deUa 
città,  et  di  nuovo  si  rimisse  a  magior  numero. 

7^  Uberto  de'  Nobfli: 

Confermò  el  medesimo  :  et  hauendosi  ad  mutare  quello  è  stato  con- 
sigliato fino  ad  bora  et  si  chiami  magior  numero. 

7^  Luca  di  Macco  degli  Albizi: 

Conforme  el  medesimo  in  tutto  et  per  tutto. 

•r-  Gherardo  Corsini  dixe: 

El  medesimo  che  li  altri  ;  et  ricordò  magior  numero  et  qui  et  al- 
trove. Dipoi  sendo  queste  cose  che  girano  di  magior  momento  che  un 
tempo  fa,  crede  che  a  Mantoua  s' babbi  ad  tractare  tutto  quello  si  babbi 
ad  tractare  piutosto  che  a  Roma  o  altrove*.  Non  però  mancherebbe 
d' intractenere  el  papa:  ricordò  farsi  qualche  amico  che  pigliassi  la 
difesa  della  città  :  crede  che  la  lega  si  uogli  assicurare  et  valere  della 
città,  et  però  crede  sia  da  consultar  bene,  et  judica  più  tosto  sia  da 
conuenire  con  qualche  somma  di  danari,  che  expectare  qualche  buona 
bastonata. 

•r-  Giovanni  Ambruogi  )     .      ^ 

r-  Frane/"  del  Zacherra  ' 

finis.  Deo  gratia. 

1  Ms.:  •  consiglato  >.  —  E  cosi  ne' casi  consimili. 


Digitized  by 


Google 


XVI. 

(T.  libro  II,  capo  Mttimo,  pag.  580). 

Lettere  di  Baldassarre  Carducci^  oratore  fiorentino 

al  Viceré  di  Spagna. 

(Àrch.  di  stato  di  Firenze  -  Lettere  ai  Dieci  di  Balia  da  litgUo  ad  agosto  Ì5i2, 
ci.  X,  dist.  4,  D.  114,  filza  110,  e.  388  e  399). 

[Filza  110.  Gap.  388]  Magnifici  Dni  Dni  mei  observandissimi,  eie. 

Da  Firenzuola  scripsi  questa  mactina  per  la  via  del  Commessario, 
la  quale  stimo  V.  S.  haranno  havute.  In  questo  puncto  che  siamo  circa 
a  bore  xxj  per  non  bavere  havuto  hiersera  da  Firenzuola  alchuna  cer- 
teza  dove  si  trovassi  la  persona  di  questo  Illmo  Signore,  ci  siamo  con- 
feriti a  Appiano,  dove  Sua  Signoria  con  tucto  Texercito  si  truova:  et 
facto  capo  al  Mag.c»  Signor  Antonio  da  Lieva  Maestro  del  Campo,  fumo 
subito  da  quello  introdocti  al  conspetto  del  prefato  SìgJ  Viceré:  et  a- 
presentate  le  lettere  credentiale  de  nostri  excelsi  Signori,  poicbè  S.  Signo- 
ria Tebbe  lette  mi  domandò  se  volevo  audientìa  secreta,  al  quale  risposi, 
cbe  piacendo  a  Sua  Excellentia  mi  sarebbe  gratissimo.  Onde  sua  S.i&  en- 
trata nella  camera  sua,  et  factomi  sedere  appresso,  cominciai  dalla 
excusatione  del  mio  tardare,  poicbè  ero  suto  electo,  rispecto  della  mia 
infermità^  non  senza  dispiacere  di  V.  S.  quale  barebbono  desiderato  el 
mio  partire  più  celere.  Dipoi  exposi  come  V.  S.  et  tucta  la  Città  era 
in  grandissima  admiratione  d* intendere  tanto  preparamento  di  Sua  Excel- 
lentia  contro  a  la  Città,  essendo  certissimi  quelle  mancare  al  tucto  di 
alcuna  conscientia  di  colpa  verso  la  Sua  IH.i»»  Signoria;  di  cbe  faceva 
optimo  testimonio  Tbavere  sempre  sostentato  et  nutrito  Texercito  di  S.  S. 
in  Romagna;  et  dopo  il  conflicto  bavere  con  tanta  carità  ricevute  le  re- 
liquie di  tale  exercito,  et  .quelle  aiutate  et  difese  per  la  devotione  et 
fede  verso  la  Catbolìca  Maiestà:  in  modo  cbe  la  Città  si  persuase 
sempre  cbe  tale  opera  dovessi  essere  perpetuo  monumento,  et  fixo 
nella  memoria  dì  S.  Maiestà.  Et  tanto  più  si  admirava  la  Città  dì  tale 
movimento,  quanto  per  lettere  dello  Oratore  fiorentino  apresso  la  Ca- 
tbolica  Maiestà,  s'era  per  commessione  publica  cominciato  a  tractare 
non  mediocri  principiì  di  perpetua  amicìtia.  Et  per  più  comoda  expe- 
ditione  s'era  per  la  S.  Maestà  dato  ordine  si  tractassi  in  Italia  con 
Sua  IH."»  Signoria  per  bomo  da  deputarsi  per  la  Città;  et  a  tale  effetto 
ero  suto  da  quelle  deputato,  in  modo  non  si  potevono  né  si  possono 
persuadere  V.  S.  cbe  questa  impresa  sia  con  conscientia  di  Sua  Catbo- 
lìca Maiestà,  observantissima  della  fede,  et  maxime  non  essendosi  man- 
cato in  cosa  alcbuna  a  quella:  testimonio  la  composìtione  facta  per  la 
recuperatione  di  Pisa,  et  e  pagamenti  successi  et  da  succedere,  e  quali 

'    ToMMAsiNi  -  Machiavelli.  47 


Digitized  by 


Google 


738  APPENDICE. 

sono  per  adempiersi  a  tempi  debiti,  non  manchando  in  cosa  alchana. 
Né  vedevono  V.  S.  guadagno  alcuno  da  farsi  per  Sua  Catholica  Maiestà 
in  devastare  il  paese,  menare  prigioni  li  homini  et  invadere  cosi  hostil- 
mente  la  Città,  come  è  il  rumore  et  fama  publica,  potendo  fruire  Tami- 
citia  et  benivolentia  di  detta  Città  et  Dominio  suo  senza  alchuna  offen- 
sione  publica  o  privata:  cosa  veramente  conveniente  et  degna  di  Sua 
Catholica  Maiestà,  et  il  contrario  al  tucto  disforme.  Et  però  per  la  iu- 
stitia  della  excusatione  di  V.  S.  dovere  Sua  Excellentia  mutare  el  suo 
Decreto  in  meglio,  et  più  tosto  protegere  et  defendei^e  la  Città  da  chi 
volessi  indebitamente  turbare  il  suo  pacifico  et  quieto  vivere,  et  ridurla 
a  la  solita  tyrannide  exosa  a  Dio  et  a  li  homini  catholici  et  christiani: 
soggiugnendo  non  potere  essere  ascripto  a  colpa  Tessersi  confederati 
et  stati  in  amicitia  con  Franzesi,  perchè  come  sapeva  Sua  Excellentia, 
la  qualità  de  tempi  et  il  desiderio  di  recuperare  le  cose  sue  pativono  tale 
adherentie  et  coUegationi  :  essendoci  etiam  a  tale  effecto  collegati  con 
la  Catholica  Maiestà.  Et  se  bene  si  potessi  accusare  la  Città  di  troppa 
celerità  al  capitulare  di  nuovo  co'  medesimi  Franzesi,  si  poteva  vera- 
mente rispondere,  che  più  tosto  non  paressi  a  Franzesi  che  troppo 
havessimo  indugiato;  et  che  il  timore  della  Giornata  di  Romagna  ci 
havessi  facti  calare,  più  tosto  che  la  volontà;  et  maxime  etiam  essen- 
dosi facta  con  expressé  cautioni  et  protestationi  di  solo  obligarsi  alla 
defensione  di  quelli  Stati  che  havevono  tenuti  e  Franzesi  et  tenevano, 
con  promessione  et  consenso  di  tutti  li  altri  Principi  ne  raccordo  di 
Cambrai.  Né  era  stato  protestato  o  notificato  il  contrario  ;  et  però  noi: 
se  ne  può  Sua  Catholica  Maiestà  i ustamente  dolere:  et  se  ci  fussi  im- 
putato el  non  bavere  mai  voluto  convenire  con  questa  sancta  Lega,  es- 
sendo con  istantia  grande  suti  richiesti  :  nondimeno  dalli  oratori  Appo- 
stolico  et  Hispagnuolo  in  Firenze,  et  ad  Mantova  dal  Revm»  Gurgense 
in  nome  della  Cesarea  Maiestà  non  s'era  fatto  :  perché  le  domande  loro 
crono  non  solamente  diverse,  ma  adverse  et  intollerabile,  et  da  non 
potersi  sopportare.  Et  però  si  cercava  Tamicitia  particulare  della  Ca- 
tholica Maiestà,  sperando  che  mediante  la  sua  naturale  iustitia,  non  do- 
vessimo «essere  da  ciascuno  prò  arbitrio  oppressati  et  taglieggiati. 
Stectemi  Sua  Signoria  con  grande  actentione  a  udire,  et  dipoi  parlò 
in  questa  forma,  se  mi  piaceva  che  Mess.  Cieccho  già  ambasciadore  della 
Chatholica  Maestà  in  Firenze  fussi  presente  alla  sua  risposta:  al  quale, 
piacermi  tucto  che  piaceva  a  sua  S.,  risposi  :  et  cosi,  admessolo,  dixe  : 
Certamente  Mess.  Cieccho  io  non  udi'  mai  alchuno  con  più  piacere  et  sat- 
tisfatione  mia,  quanto  ò  udito  qui  el  Magn.co  Ambasciadore;  et  non  è 
maraviglia  essendo  doctore,  come  siate  ancora  voi  che  sapete  in  fa- 
vore de  vostri  Clienti  fare  capaci  e  indici  delle  loro  ragione.  Nondi- 
meno io  responderò  a  tutte  le  parte  meglio  che  saprò.  Et  prima,  alla 
observantia  della  fede,  et  obbligatione  mutua,  dico  per  il  Catholico 
mio  S.,  non  s'è  mancato  in  parte  alcuna.  Ma  per  la  parte  vostra  s'è 
bene  mancato,  imperochè  essendo  in  pericolo  evidentissimo  dello  Stato 
di  Napoli,  dopo  la  giornata  richiedendo  e  S.  Fiorentini  l'Oratore  del 
mio  Catholico  Re,  delle  gente,  le  dinegasti  ;  et  concedestile  a  Franzesi. 
Hora  e  movimenti  che  si  preparano  contro  alla  Città  vostra  non  gli 
atribuirete  solo  a  la  Catholica  Maiestà,  ma  universalmente  a  tucta  la 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  739 

Lega,  et  maxime  a  la  Santità  del  Papa,  che  cosi  ha  deliberato.  Et  non 
dubiti  la  Città  in  modo  alchuno  di  novità,  di  libertà  o  d'altro,  perchè 
non  è  dMntentione  del  mio  S.  Re,  né  d'altri  della  Lega  di  danmifi- 
care  in  parte  alchuna  la  Città.  Et  in  su  questo  pose  fine  al  suo  parlare. 
Volli  replichare  alle  decte  sue  accusationi  dicendo  a  la  prima  parte  che 
non  s'era  mancato,  con  ciò  sia  cosa  che  la  promessa  et  Tobligo  era  in 
caso  che  fussi  molestato  lo  Stato  di  Napoli,  il  che  mai  si  vide;  impe- 
rochè  e  Franzesi  non  manco  havevono  patito  che  li  Hispagnoli,  et  parve 
loro  assai  ritornarsi  a  Milano.  Onde  parve  conveniente  risposta  alla 
doinanda  delle  gente;  benché  non  gli  fu  molto  capace,  dicendo  :  Volevi 
voi  aspectare  che  fussi  perso.il  Regno?  et  poi  darne  le  gente?  Et  se 
bene  io  replicassi  che  non  si  volsono  mai  e  Franzesi  verso  il  Regno, 
dixe:  Anzi  andorono  inflno  a  Pesaro  a  tale  effecto,  benché  non  bastassi 
loro  l'animo  a  l'impresa.  Et  a  questo  soggiunse  decto  Mess.  Cieccho:  Ione 
richiesi  alhora  el  Gonfaloniere  per  parte  del  S.  Viceré;  et  poiché  m'ebbe 
tenuto  in  parole  et  in  simile  dispute,  mi  rimisse  a  Dieci:  in  modo  che 
io  cognobbi  perdere  tempo,  et  levami  da  partito.  Hora  di  questo  non 
bisogna  parlare  più,  che  già  si  vede  non  havete  excusatione  condegna. 
Quanto  a  la  seconda  parte  dell'essere  questa  impresa  di  tutta  la  Lega, 
et  maxime  del  Papa,  replicai,  la  impresa  essere  iniustissima,  et  senza 
alchuna  probabile  causa,  havendo  sempre  la  Città  consentito  di  non 
volere  essere  la  inquietudine  d'Italia,  ma  concorrere  et  porgere  sub- 
ventione  condegna  et  sopportabile  alle  forze  sue,  come  sa  il  detto  Mess. 
Cieccho,  el  quale  fu  presente  a  tucto,  insieme  con  lo  Oratore  Apposto- 
lieo.  Finalmente  mi  disse,  non  bavere  decte  le  cose  di  sopra  per  ris- 
posta, ma  per  mostrare  che  ancora  che  paressi  che  li  argumenti  et 
excusatione  mie  stringessino,  nondimeno  ricevevono  le  repliche  già  dette. 
Et  perché  la  risposta  voleva  meglio  pensare;  et  questa  sera,  o  domat- 
tina, mi  farebbe  intendere  più  apresso  *■  l'animo  suo.  Et  impose  a  decto 
Mess.  Cieccho. et  a  decto  S.  Antonio  da  Leva  che  vedessino  darmi  al- 
loggiamento più  commodo  si  potessi  :  benché  ci  si  stia  quasi  come  alla 
campagna.  Et  cosi  ci  assegnorono  stanza  apresso  al  decto  S.  Antonio. 
Preso  licentia  da  Sua  Eccellentia  venne  el  prefato  Mess.  Ciocco  con  meco 
alquanto  ;  «  et  racomandandoli  la  Città,  et  pregandolo  volessi  pigliare 
la  protectione  di  epsa,  certificandolo  non  ne  sarebbe  ingrata;  e'  mi  dixe: 
Ambasciadore,  e'  mi  duole  che  quando  io  ricordavo  questo  medesimo 
a  vostri  Signori,  et  maxime  al  Gonfaloniere,  non  gustavono  le  parole 
mie.  Et  io  non  potevo  manchare  di  fede  et  ^dall'officio  mio  et  di  buon 
servo  al  mio  S.  Vice  Re.  Et  non  era  conveniente  che  io  manifestassi 
tali  secreti.  Ma  se  Dio  mi  guardi  e  figliuoli,^  io  amo  la  Città  vostra 
cordialmente,  ma  bene  posso  fare  fede  che  la  Città  non  patirà  di  niente 
né  di  libertà  né  di  guasto  né  depredatione  del  dominio  vostro.  Et  se 
interamente  non  seguiranno  le  cose  a  proposito  d'hora,  o  se  ritorne- 
ranno e  Medici,  torneranno  in  modo  che  la  Cit{à  non  patirà.  »  Vostre 
S.  sono  sapientissime,  et  potranno  intendere  in  che  vogliano  *  babbi  a 
patire,  cioè,  dicendolo  chiaro,  pensano  omnino  remuovere  questo  capo 
publico  per  ritornare  la  Città  a  l'uso  antico.  Questo  mi  confermò  con 

^  Cosi  U  ms.  Forse  •  expresso  •.  —  ^  Cosi  li  ms.  —  '  Ms.:  •  ngliuli  ».  —  «  Ms.:  »  voglano  ". 


Digitized  by 


Google 


740  APPENDICE. 

chiare  parole  detto  S.  Antonio,  dicendo  che  veramente  la  Città  di  Fi- 
renze, et  Popolo  di  quella  era  fedelissimo^  ma  che  decto  Gonfaloniere 
era  bene  el  contrario:  et  cosi  tutti  e  ragionamenti  di  ciascuno  termi- 
norono  in  questo.  Essendo  allo  alloggiamento,  et  scrivendo  la  presente, 
decto  S.  Antonio  mandò  per  me,  et  fu  necessario  andassi  a  cena 
con  Sua  S.,  dove  con  apparato  di  argenti  honorevolmente  fu'  rice- 
vuto, et  inoltre  bisognommi  dormire  quivi,  perchè  allo  allogiamento 
non  havevo  ancora  condocti  e  carriaggi  per  venire  con  più  celerità. 
Et  subito  che  fu'  giunto  al  suo  alloggiamento,  ridendo  mi  disse  :  Non 
fusti  voi  già  a  una  squola  insieme  col  Cardinale  de  Medici?  Risposi: 
Signor  sì;  ma  che  muove  a  questo  la  S.  V.?  Dissemi  essere  stato  con 
Sua  S.,  et  ha  vendo  inteso  la  mia  venuta,  domandandolo  di  me,  et  dÌ7 
cendo,  certamente  io  ho  caro  che  sia  veimto  lui  più  presto  che  altri, 
et  molte  altre  parole  gratissime,  etc:  risposi  a  Sua  S.  che  essendo 
qui  homo  publico,  non  lo  conoscevo,  né  acceptavo  alcuna  sua  cerimo- 
nia; ma  bene  ero  per  oppugnare  et  oppormi  al  suo  illecito  appetito. 
Et  cosi  a  tavola  discorremo,  molte  cose  della  Città,  che  sarebbe 
lungo  il  referirle:  et  in  particulare  mi  domandò  se  c'era  a  Firenze 
quello  Marrano  richo,  accennando  quel  tale  essere  M.>^  Marche  Di- 
parete, affermando  che  li  haveva  facta  certa  villania  a  uno  suo,  et 
che  in  ogni  modo  quel  tale  cercherebbe  di  vendicarsi.  Domandandolo 
io  se  per  me  si  poteva  fare  cosa  alchuna  in  benificio  dello  amico  suo, 
mi  disse  di  no:  che  un  traete  la  cosa  era  paxata.  Ricercomi  etiam 
quanti  homini  d'arme  faceva  la  Città:  Risposi  più  che  xxx  migliaia.  Do- 
mandomi: El  Bataglione  che  fa?  dixi.  Aspecta  le  S.  V.  per  fare  con  quelle 
buona  guerra,  quando  veglino  guerra.  Inoltre  mi  domandò,  come  è  oggi 
populata  Pisa:  dixi  che  di  Pisani  da  guerra  c'era  pochi,  ma  bene  guar- 
data da  gente  d'arme  et  da  fanterie.  Domandomi  se  da  Fiorentini  v'era 
suta  facta  forteza:  Dixi,  di  si  et  fortissima.  Interroga'  la  Sua  Signoria 
quello  intendevono  fare.^  Domani,  dixemi  che  tucto  l'exercito  et  l'ar- 
tiglerie  sarebbono  a  Barberino.  Nò  potè'  fare  che  non  gli  riducessi  a 
memoria  la  venuta  del  Re  Carlo  con  tanto  apparato  bellico,  et  non 
senza  appetito  di  occupare  la  libertà  fiorentina:  et  finalmente  essendo 
con  tucte  le  forze  drente,  non  gli  parve  bavere  facto  poco  quando  si 
parti  salvo:  et  che  pensassino  le  S.  Loro  che  troppo  era  cara  la  li- 
bertà, né  si  conosceva  pericolo  in  difenderla. 

Rispose,  quella  al  presente  essere  in  servitù  havendo  el  Gonfalo- 
niere perpetuo.  Monstrandogli  che  tucte  le  Republiche  d'Italia  di 
qualche  potentia,  tucte  si  reggevano  in  simile  modo,  come  Venetia,  et 
Genova,  procedendo  Sua  Signoria  più  oltre,  et  dicendo:  Come  sta  la  vo- 
stra Città  con  Siena?  havete  voi  cosa  alcuna  di  suo?  et  cosi  di  Luccha? 
risposi,  la  Città  tenere  con  insti  titoli  quanto  altra  Republica,  et  non 
pretendere  d'havere  di  alcuna  delle  prefate  Città  nessuna  cosa  indebi- 
tamente. Tucte  queste 'cose,  Signori  miei,  sarete  contenti  considerare 
con  che  mysterio  sieno  decte,  quasi  intendano  reformare  cotesta  Città 
in  capite  et  membris.  La  S.  del  Duca  di  Traiecto  n'a  facto  intendere  come 
costi  è  suto  ritenuto  uno  suo  servidore  chiamato  Gianfelice,  el  quale 

^  Ed.  Guasti:  ••  quello  intendevono  fare  domani.  Dixemi,  che  tucto  •,  ecc. 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  741 

portava  lettere  alla  sua  mogliera;  *  et  molto  si  doleva  di  tal  cosa.  Pro- 
messigli farne  Intendere  alle  S.  Y.  per  la  lìberatione  di  quello.  Sarà 
bene  investigare  che  cosa  è  questa,  et  fare  che  cessino  tale  querele. 
Sarà  in  questa  inclusa  la  fede  di  mano  del  Secretarlo  del  S.  Vice  Re 
della  mia  apresentatione,  et  prima  audientia  ricevuta.  Alexandre 
del  Nero  per  essere  suto  ritenuto  dal  Cardinale  de  Medici  a  Bologna, 
non  haveva  potuto  bavere  audientia  prima  che  hiersera,  come  appieno 
per  sua  lettera  intenderanno,  V.  S.  Nec  plura,  salvo  che,  posto  fine 
a  Io  scrivere,  mi  fti  referito  questa  nocte  aspectarsi  qui  sei  o  otto  ho- 
mini  del  castello  di  Prato.  Le  cagioni  per  che  si  venghino  non  mi  sono 
note.  Emi  parso  farlo  intendere  a  V.  S.  e  acciochè  essendo  cosi,  pos- 
sine quelle  obviare  a  qualche  disordine  che  di  quivi  potrebbe  nascere. 
Per  la  iniquità  del  tempo  non  s'  è  potuto  spacciare  prima.  Bene  atque 
feliciter  Yestre  valeant  Dominationes  quibus  plurimum  me  commendo 
—  Appiani,  die  23  augusti  m.d.x.ij. 

E.  V.  D.  Servitor  Balthassar  Carduccius 
Orator  floreniinus  apud  Ulustrissimum  Yiceregem.., 

[C.  399].  Magnifici  Dni  Dni  mei  observandissimi,  etc.  Questa  mat- 
tina per  la  via  di  Firenzuola,  per  non  bavere  potuto  prima,  demo 
aviso  a  le  S.  V.  di  quanto  havemo  exequito  con  questo  lUmo  S.  Vice 
Re;  et  dipoi  per  una  breve  lettera  replichai  el  medesimo  effecto;  le 
quali  stimando  essere  pervenute  salve,  non  replicherò  altrimenti:  salvo 
che  la  conclusione  loro  unita  et  ferma  è  che,  stante  fermo  el  presente 
governo  della  Città,  solo  si  faccia  mutationa  del  capo,  come  a  pieno 
haranno  per  le  prealegate  inteso  le  S.  V.  Dipoi  questo  giorno  di  nuovo 
mi  sono  apresentato  dinanzi  al  prefato  S.,  dove  sedeano  con  quello 
el  Conte  di  Sancta  Severina,  homo  grave,  et  apresso  di  quella  di 
molta  extimatione;  et  il  S.  Duca  di  Traiecto,  et  il  S.  Antonio  de  Lieva. 
Et  replicate  le  medesime  cose,  et.  molte  altre,  secondo  la  comodità 
del  tempo,  et  domandato  quello  havessi  a  rispondere  a  V.  S.  si 
venne  in  varii  discorsi,  et  maxime  venne  a  quelli  Signori  in  considera- 
tione,  che  pareva  quodammodo  impossibile  che  stantibus  terminis  si 
potessi  devenire  et  perseverare  in  vera  amicitia  pef  la  Republica 
Fiorentina  con  la  Catholica  Maiestà.  Dicendo  infra  gli  altri  el  prefato 
Conte  di  Sancta  Severina  :  Ditemi,  ambasciadore,  se  el  capo  riconoscie 
el  suo  essere  et  dependentia  dalla  Cristianissima  Maiestate,  come  vo- 
lete voi  che  la  Catholica  Maiestà  possa  mai  acertarsi  et  asicurarsi 
che,  ogni  volta  che  la  occasione  ne  aparissi,  lui  havessi  a  ritornare  alla 
sua  naturale  inclinatione,  et  partirsi  dalla  amicitia  del  Catholico?  exem- 
pliflcando  in  se  medesimo  et  dicendo  :  io  sono  hispagnuolo,  et  in  tutti 
li  accidenti  che  potessino  nascere  contro  al  mio  S.  Re,  ogni  volta  che 
quello  ritornassi  in  suo  stato,  non  saria  possibile  che  io  fusai  altro  che 
hispagnuolo.  Risposigli  :  Signore,  egli  è  una  grande  differentia  tra  Tuno 
et  l'altro  caso  ;  imperochè  essendo  la  S.  V.  del  dominio,  o  per  conto  di 
vasalitio,  o  per  altra  causa  subdito  a  quella  Maiestà,  quando  altrimenti 
facessi,  potresti  essere  accusato  di  infideiità:  il  che  cessa  al  tucto  ne  la 

^  Ms.:  >  moglera  «. 


Digitized  by 


Google 


*ri2  APPESDICE. 

Republica  Fiorentina,  et  in  el  Capo  di  quella.  Imperochè  per  conto 
alcuno,  né  la  Città  né  il  Capo  ha  dependentia  o  spetie  alchuna  di  su- 
biectione  con  quella  Maiestà,  salvo  che  di  tempo  in  tempo  el  vincolo 
della  obligatione  et  colligatione,  et  observantia  di  quello,  el  quale  finito, 
s'intende  finita  ogni  obligatione  et  dependentia,  se  di  nuovo  non  si 
conviene.  Et  come  sa  *  V.  S.,  pe'  tempi  paxati,  la  Republica  Fiorentina, 
quando  si  collegava  con  la  Maiestà  del  Re  Ferrando,  quando  col  Duca 
(li  Milano  et  quando  co'  Vinitiani,  secondo  che  ne  concedevono  le  con- 
ditioni  de'  tempi.  Né  si  poteva  imputare,  né  accusare  la  decta  Re- 
pubblica Fiorentina  però  di  alcuna  infedelità,  se,  finita  una  colligatione, 
ne  inovassi  un'altra.  Cosi  si  può*  probabilmente  arguire  et  rispondere 
che,  essendo  finita  et  terminata  la  colligatione  de  Franzesi  facta  a 
defensione  delli  Stati,  non  ritenendo  loro  hoggi  alchuno  Stato  in  Italia, 
vel  saltim  per  essere  loro  per  non  poterne  ritenere  alchuno,  che  la 
Città  facessi  colligatione  con  la  Catholica  Maiestà,  similmente  ad  tem- 
pus;  soggiugnendo  che  era  falsa  l'opinione  di  chi  diceva  che  detto  Capo 
publico  riconoscessi  in  alcuna  parte  tale  degnità  dalla  Maiestà  del 
Re  di  Franza,  ma  si  bene  dal  Popolo,  imitando  el  Governo  Vinitiano 
circa  el  Consiglio*  Generale  della  Città  et  del  Gonfaloniere  perpetuo, 
mediante  el  quale  d'una  perpetua  fiuctuatione  epa  pervenuta  in  una 
grandissima  tranquillità.  Et  però  desidera  decto  popolo,  et  etiam  la 
plebe  essere  governati  et  recti  in  tal  modo,  et  non  devorati  da  ty ranni. 
Replicò  Sua  S.:  Ditemi,  Ambasciadore,  che  sicurtà  potrebbe  darsi  alla 
Catholica  Maiestà  di  tale  observantia  di  fede,  et  che  a  ogni  vento  la 
Città  non  volgessi  ?  Risposigli  :  Signore,  quando  non  havessi  altra  sicurtà 
quella  Maiestà  che  l'havere  visto  che  per  caso  alcuno,  etiam  perico- 
losissimo della  libertà,  la  Città  non  ha  mai  declinato  della  fede,  ma 
perseverato  secondo  e. termini  della  obligatione,  questo  solo  doverrebbe 
ossero  una  certissima  sicurtà  della  observantia  della  fede  verso  sua  Ca- 
tholica Maiestà;  aggiunto  che  molti  altri  modi  si  potrebbono  adaptare  ad 
effecto  di  tale  sicurtà.  Ma  vedendo  el  proposito  di  loro  S.  essere  fermo 
«li  volere  ire  avanti,  non  era  necessario  descendere  con  loro  a  parti- 
culari.  Ma  quando  volessino  soprasedere  alquanto,  et  meglio  librare 
et  considerare  questa  impresa,  crederrei  non  havessino  a  mancare 
modi  di  asicurargli;  benché  tucta  Italia  sia  testimonio  della  fedeltà 
della  Repubblica  Vostra.  Il  che  Sua  S.  confessò  et  confermò  dicendo, 
che  tutti  quo'  Potentati  di  Italia  a  chi  s'  era  acostata  la  Repubblica  Fio- 
rentina sempre  crono  stati  victorlosi.  Risposi  :  perché  adunque,  S.  miei, 
non  acceptate  quella  Città  in  amicitia  volontariamente  senza  questi  pre- 
paramenti di  forze,  come  fate?  Risposono  tucti  uno  ore:  questa  è  im- 
presa di  tutta  la  Lega.  Et  soggiunse  il  S.  Vice  Re:  Ambasciadore,  io 
vi  iuro  che  non  mi  potrebbe  più  dispiacere  tale  impresa;  ma  per  ub- 
bidire al  mio  S.  Re,  del  quale  sono  servidore,  et  a  tutta  la  Lega, 
della  quale  sono  Capitano  generale,  non  posso  mancare  in  cosa  alpuna 
del  debito  mio.  Ma  bene  posso  promectervi  di  fare  con  tucte  le  forze 
che  la  Città  non  patisca  danno  alcuno  in  publico  et  in  privato.  Et 
benché  el  Duca  di  Traieto  dicessi  :  Ambasciadore,  dite  ciò  che  voi  vo- 

*  Ms  :  ■  la  •.  —  ■  Ma.:  »  Conslglo  ». 


Digitized  by 


Google 


APPESDICE.  713 

lete,  noi  vogliamo  e  Medici  in  Firenze  a  ogni  modo;  et  habbiatemi  per 
iscusato,  perchè  ci  ho  intercesso,  per  essere  la  madre  mia  sorella  di 
M.a  Alfonsina;  nondimeno  que  Signori  mi  dissono:  Non  guardate  alle 
parole  del  S.  Duca,  seguitate  l'opera  vostra.  Mosse  di  nuovo  el  S.  Vice 
Re  :  Perchè,  Ambaseiadore,  non  parlate  con  la  S.  dello  Legato,  el  quale 
è  tanto  gentile,  imìno  è  uno  sancto  ;  et  maxime  che  non  potrebbe  por- 
tarvi più  affectione  che  fa,  et  grandemente  si  rallegrò  della  venuta 
vostra,  dicendo  ch'e  Carducci  erono  stati  sempre  amici  della  Casa  sua  ? 
Risposi  che,  come  a  Cardinale  et  Legato  appostolico,  io  sempre  gli  farei 
reverentia,  et  come  privato  non  mi  ritrarrei  mai  di  non  fare  verso  di 
quello  mio  debito,  et  parlargli:  ma  essendo  in  questo  luogo  persona 
publica,  et  havendolo  in  commessione,  pregavo  Sua  Signoria  mi  per- 
donassi, che  io  non  ero  per  farlo.  Interropti  da  alchuni  tali  ragiona- 
menti, et  acostandomi  io  con  alcuno  di  quelli  asistenti,  mi  fu  in  se- 
creto significato  come  quello  S.  s'era  resoluto  mandare  costa  el  suo 
Auditore  Mess.  Giovanni  Arminundo.  Domandandolo  io  della  causa  del 
suo  andare,  mi  disse:  Non  mi  ricercate  più  oltre,  et  anche  questo  ta- 
cete per  amore  mio.  Non  vorrei  fare  da  me  iudicio  per  non  errare,  ma 
penso  non  possa  volere  altro  tale  venuta,  che  protestare  alla  Città  che 
se  farà  resistenza  a  questo  exercito  non  si  dolga  poi  se  riceverà  danno, 
o  iactura  alchuna.  Vostro  S.  potranno  intenderlo,  perchè  credo  partirà 
domactina,  se  non  prima;  et  è  homo  da  honorarlo,  perchè  governa  questo 
S.  L'exercito  a  poco  a  poco  si  fa  inanzi,  et  in  questo  puncto  passò 
la  Compagnia  di  Don  Ferrando  Castriotto  condoctiere  di  lxx  homini 
d'arme;  et  in  su  questa  passata  di  costui  mi  dixe  Mess.  Cicche: 
Questi  nostri  dicono  non  trovare  riscontro  in  luogo  alchuno,  né  essere 
decto  loro  niente  da  persona;  anzi  che  alcuni  Castelli  de'  vostri  hanno 
promesso  loro  che  ogni  volta  che  vedranno  Texercito,  si  daranno:  et 
che  questi  vostri  Battaglioni  servivono  il  loro  Signore  molto  male.  Et 
più  mi  domandò  se  io  havevo  niente  di  costà  che  nella  Città  fussi 
stato  tumulto.  Dissi  non  bavere  altro,  ma  che  non  credevo,  perchè  la- 
sciai la  Città  molto  unita  al  difendersi;  et  se  le  loro  S.  facevono 
fondamento  ne'  partigiani  de'  Medici,  potrebbono  facilmente  trovarsi 
ingannati,  come  si  sono  trovati  molti  altri  sotto  le  parole  loro.  Do- 
mandandomi del  numero  delle  gente  nostre  da  pie,  et  da  cavallo,  ma- 
gnificale quanto  Thonestà  pativa.  Domandomi  più  di  uno  di  loro  se  la 
Città  haveva  Capitano:  risposi  che  nò,  et  che  la  Città  già  apeti  di 
bavere  alchuni  di  quelli  Prìncipi  del  Reame:  che  potrebbe  essere  fa- 
cilmente che  quando  queste  cose  fùssino  procedute  ordinariamente  et 
non  per  forza,  la  Maestà  Catholica  ne  harebbe  potuto  compiacere 
d'uno  alla  Città.  Non  posso  dare  notitia  particulare  a  V.  S.  della  qua- 
lità di  questo  exercito  perchè  siamo  in  queste  montagne,  et  non  si 
vede  cosa  alcuna  di  loro,  et  tanto  più  quanto  questo  S.  se  lo  manda 
inanzi  alla  sfilata  non  trovando  resistenza.  Benché  domactina  credo 
faranno  testa  a  Barberino,  e  forse  quivi  aspecteranno  il  ritorno  del  pre- 
fato Auditore.  Prato  ricordo  con  ogni  diligentia  et  reverentia  alle 
S.  V.,  perchéqui  se  ne  parla  variamente  in  favore  de'  Medici  :  et  per 
altra  dixi  fu  domandato  della  forteza  di  Pisa.  Benché  non  credo  hab- 
bino  tempo  a  cercare  simili  cose  ;  ma  con  celerità  cercheranno  venire 


Digitized  by 


Google 


744  APPENDICE. 

alla  Città,  sperando  riportarne  danari  et  altre  buone  conditioni;  che  mi 
pareva  vedere  non  tendere  a  altro  per  la  necessità  che  gli  stringe  si 
del  danaio,  et  sì  del  tornare  in  Lombardia  alla  expeditione  dello  Stato 
di  Milano  in  beneficio  di  Maximiliano  Sforza.  Non  mi  occorre  altro 
degno  di  relatione.  Raccomandomi  a  le  S.  V.  quae  bene  valeant.  Già 
posto  fine  a  lo  scrivere,  mi  venne  a  trovare  Mess.  Cieche  già  oratore 
costi;  et  per  parte  di  questo  Ill.mo  S.  mi  significò  come  desiderando 
io  qualche  buona  resolutione  dal  S.  Vice  Re,  non  haveva  potuto  raco- 
zare  insieme  e  S.  Cavalieri  co  quali  e'  si  consiglia,  per  essere  con  le 
gente  in  diversi  luoghi,  et  che  domattina  gli  harebbe  a  sé:  et  che 
quando  la  Città  vostra  si  disponessi  a  fare  qualche  cosa  col  Re  Ca- 
tholico,  che  S.  Maiestà  volentieri  vi  concorrerebbe.  Al  quale  risposi 
che  bavere  ne  Texercito  e  Medici,  et  del  continuo  pignere  giù  le  genti, 
pareva  repugnare  a  quanto  diceva.  Rispose  Mess.  Ciccio:  Il  mio  S. 
lU.roo  non  ha  mai  decto  di  volere  rimettere  e  Medici  in  Firenze,  et  che 
8*el  Cai^dinale  si  trovava  fra  le  gente,  prociedere  da  essere  lui  Legato, 
et  essere  venuto  non  per  altra  causa  se  non  perchè  il  S.  Vice  Re  sia 
nella  sua  Legatione  bene  tractato.  Questa  sera  Pigello  ^  Portinari  rife- 
rice  uno  Mess.  Giovancola  Commessane  della  Cesarea  Maiestà  bavere 
molto  a  di  lungo  parlato  col  Sig.^^  Vice  Re,  et  non  bavere  potuto  indu- 
cerlo a  andare  adagio;  et  che  dice  bavere  data  la  fede  sua  al  Cardi- 
nale de  Medici  di  restituirlo  nella  sua  Città.  Appiani  die  xxiiij  Au- 
gusti M.D.XIJ. 

E.  V.  D.  Servitor  Balthassar  Carduccius, 
Orator  Florentinus  apud  Illmum  Yiceregem  NeapolUanum, 


^  Ms.:  ■  Plngello  ■. 


Digitized  by 


Google 


xvn. 

(T.  Ubro  n,  eapo  MtUmo,  pM<  MS). 

Nota  delle  persone 

cui  fu  fatto  'precetto  di  presentarsi  in  Palazzo,  ne* giorni  23,  24,  26, 
27  agosto,  e  deliberazione  di  rilasciare  i  «  sostenuti  ». 

(Firense,  Archivio  di  Stato,  class,  ii,  dist.  6,  d.  176.  Signori  e  Collegi,  Deliberazioni, 

Registri,  104). 

Die  XXIII,  mensis  augusti  1512. 

Item  dicti  Domini  et  Vezillifer  simul  adunatis  &  servatis  <&  delibera- 
verunt  fieri  preceptum  et  precipi: 

Philippo  Simonis  de  Ridolfis,  quatenus  inft*a  duas  horas  proxime 
futuras  personaliter  compareat  coram  dictis  Dominis  sub  pena  floreno- 
rum  mille  auri  larg.  in  auro,  mandantes  &. 

Die  xxiiìj  mensis  aug.  1512. 

Item  dicti  Domini  simul  adunati  &  servatis  &  deliberaverunt  fieri 
preceptum  et  precipi: 

Zenobio  Johannis  Baptiste  de  Braccis  Givi  fiorentino,  quatenus  bine 
ad  per  totam  horam  xvu^  presentis  diei  debeat  personaliter  se  coram 
dictis  excelsis  Dominis  presentare  sub  pena  florenorum  mille  auri  larg. 
in  auro  applicandorum  ornamentis  eorum  palati!,  in  quam  penam  intel- 
ligatur  incursus  casu  quo  infra  dictum  tempus  non  comparuerit:  et 
utrum  paruerit  stetur  eorum  (sic)  declarationi  quomodocunque  fiende. 

Mandantes  &. 

Item  dicti  Domini  simul  adunati  &  et  servatis  &  deliberaverunt  fieri 
preceptum  et  precipi: 

lobanni  de  Burcis 
Barghino  de  Cocchis  et 

Francisco  del  Giochondo  et  cuilibet  eorum,  quatenus  ipsi  et 
quilibet  ipsorum  personaliter  compareant  coram  prefatis  Magnificis  et 
excelsis  Dominis  bine  ad  horam  xvii"°  presentis  diei  sub  pena  fiorone- 
rum  mille  auri  in  auro  larg.  applicandorum  ornamentis  eorum  palatìi: 
in  quam  penam  intelligantur  non  comparendo  incursi,  ad  declaratio- 
nem  M"""  Dominorum  quandocunque  fiendam. 
Mandantes  &. 

Die  xxvj  mensis  aug.  1512. 

Item  dicti  Domini  simul  adunati  &  et  servatis  &  deliberaverunt  fieri 


Digitized  by 


Google 


746  APPENDICE, 

preceptum  et  precipi  omnibus  infrascriptis  Civibus,  et  cuilibet  eorum, 
videlicet  : 

Piero  de  Guicciardinis 

Bernardo  de  Segnis 

Johanni  Baptìste  de  Braccis 

Michaeli  de  Strozzis 

Danieli  de  Strozzis 

Antonio  de  Gugnis  (sic) 

Bartolo  de  Tedaldis 

Federigo  de  Strozzis 

Nerio  de  Venturis 

Sasso  Antoni!  de  Sassis 

Francisco  de  Girolamis 

Francisco  del  Giochondo 

Bartholomeo  de  Buondelmontis 

Thomasio  del  Bene 

Niccolo  del  Pugliese 

Piero  de  Pancaticis  (sic) 

Johachino  de  Guasconibus  et  j 

Julio  M.i  Menghi.  I 

Omnibus  civibus  flòrentinis,  quatenus  ipsi  et  quilibet  ipsorum  viso 
presente  precepto  et  Bullettirio  personaliter  compareant,  et  quilibet  eorum 
personaliter  compareat  coram  dictis  Magnificis  et  excelsis  Dominis  sub  | 

pena  et  ad  penam  florenor.  Ducentorum  larg.  auri  in  auro  prò  qaolibet 
eorum.  Mandantes  &. 

Die  XX vy™  eiusdem. 

Item  dicti  Domini  simul  adunati  &  et  servatis  servandis  &  delibe- 
raverunt  fieri  preceptum  et  precipi  omnibus  infrascriptis  civibus  videlicet: 
Borghi  no  de  Coccbis 
Bonifatio  de  Ruspolis 
Andree  Pauli  de  Carnesecchis 
Gorsio  de  Adimaribus 
Ser  Bartolomeo  de  Leonibus 
Antonio  Leonis  de  Castellanis 
Ser  Jacopo  Martini 
Angelo  de  Bonis 
Johanni  Baptiste  de  Micceriis 

Cosimo  de  Sassettìs  j 

Benedicto  de  Tornaquincis 
Johanni  Dni  Luce 
Bartolomeo  Francisci  Ritagliatore 
Piero  Johannis  de  Minerbettis 
Matheo  de  Borgannis  (sic) 
Ser  Dominico  de  Boccantis 
Danieli  de  Strozzis 
Bernardo  de  Segnis 

Raphael!  del  Sale  | 

Roberto  de  Riccis 


Digitized  by 


Google 


APPENDICE.  747 

^  Dno  Petro  de  Alamannis 

Bernardo  de  Uguccionibus 

Clementi  Amerigi  del  Grasso 

Heredibus  Pieri  de  Adimaribus 

Carulo  de  Libris 

Paulo  del  Giocondo 

Nicholao  de  Calchagnis 

Francisco  Juliani  de  Carduccis 

Bernardo  de  Bomtempiis 

Johann!  Baptiste  de  Ginannis 

Filio  Marci  della  Palla  et 

Donato  del  Corno  Mercario. 
Quatenus  ipsi  et  quilibet  ipsorum,  viso  presenti  precepto  et  Ballet- 
tino, personaliter  compareant  coram  dictis  magniflcis  et  excelsis  Do- 
minis  sub  pena  et  ad  penam  florenorum  Ducentorum  auri  in  auro  Lar- 
gorum  prò  quolibet  eorum  &  mandantes  &. 

Item  dicti  Domini  &  servatis  &  deliberaverunt  fieri  preceptum  et 
precipi. 

Bonaccursio  de  Cortesis  de  Prato,  quatenus  per  totam  diem  xxviiy''''' 
presentis  mensis  personaliter  compareat  coram  dictis  Dominis  sub  pena 
florenorum  quingentorum  largorum.  Mandantes  &. 
Die  xxviij  eiusdem. 

Item  dicti  Domini  simul  adunati  &  servatis  &  deliberaverunt  fieri 
preceptum  et  precipi: 

Omnibus  eorum  Mazzeriis  quatenus  citent  et  requirant  et  secum  du- 
cant  omnes  et  singulos  illos  Cives  floreutinos  et  alios  personaliter  coram 
dictis  Magniflcis  et  excelsis  Dominis,  prout  eisdem  per  dictos  excelsos 
Dominos  impositum  et  commissum  fùit.  Mandantes  &. 
Die  xxxj^  mensis  augusti  1512. 

Item  dicti  Domini  et  Vexillifer  simul  adunati  &  et  servatis  ser- 
vandis  &  Deliberaverunt:  quod  omnes  et  singuli  qui  reperiantur  de- 
tempti,  et  ut  vulgo  dicltur  «  sostenuti  »  ad  eorum  petitionem  super  sala 
magma  diete  Civitatis  florentie,  dimittantur  et  liberentur,  et  sic  eos  et 
quemlibet  eofum  liberaverunt  et  dimiserunt:  et  mandaverunt  eorum 
custodibus  quatenus  permittant  eos  ire  quo  voluerint  licite  et  impune; 
mandantes  &. 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


ERRORI. 

CORREZIONI. 

Tng.  linea 

7     22 

ABCHITECTUR 

ARCBITECTUS 

19    11 

si  splancò 

si  spalancò. 

27    45 

e  di  Cardano 

di  Cardano 

43  ult. 

maitre 

maitre 

58    47 

OUCCIABDINI 

Guicciardini 

60      S 

dal  Baretti 

dal  Baretti 

86    16 

acque  delPuDO,  si  ritrovasse  una  qual- 

acque dell'una   si   ritrovasse  una 

qual 

che 'ondata  dell'altro. 

che  ondata  dell'altra. 

101    30 

ve  n'  ha  d'altra  natura  ; 

ve  n'à  d'altra  natura; 

105    2-1 

Infatti  negli  uni 

E  invero  negli  uni 

111    21 

pronti  ad  ogni  incitamento 

pronti,  ad  ogni  incitamento 

114      9 

camescialesco 

carnascialesco 

125    21 

Sarzanello,  Librafatta 

Sarzanello,  Ri paf ratta 

179      4 

Niccolo 

Niccolò 

195    32 

Niccolo 

Niccolò 

£01    ult. 

Nógociation 

JWgociationa 

255    32 

dal  codice  urb.  910 

dal  codice  urb.  490. 

266    24 

e  sapendo  quell'uomo 

e  sapendolo 

270    24 

una  colera  cirina 

una  colera  citrina 

278      4 

de  i 

dei 

281    37 

de  VAcc. 

de  l'Ac. 

290    27 

dela 

della 

307     10 

Ma  non  riusci; 

Ma  non  gli  successe. 

316    32 

(505-Ì3ÌS) 

{Ì505'i5i2} 

324      7 

quando  tentò 

quando  provò 

329    31 

in  favorirli; 

in  favorirlo  ; 

377    i9 

assai  solenne 

assai  sostenne 

»      41 

Nìcolaum  Bernardi  lacobi 

Nicolaum  Bernardi  Jacobi  {sic) 

378    13 

e  di  principi 

e  di  principi 

383    39 

Wolker 

Volher 

420    37 

Handnwerk 

Handwerk 

461    25 

EXERiCTV 

EXERCiTV 

482    26 

legittima  sarebbe 

legittima,  sarebbe 

499    22 

(V.m.App.§  XV) 

(V.  in  App.  §  XV) 

503    42 

{Bibl.  der  literar.  der.) 

{liibl.  der  literar.   Ver.) 

Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


INDICE  DEL  VOLUME  PRIMO 


Dedica pag.  v 

Prefazione vii 

Relazione  sul  conferimento  del  premio  stabilito  in  occasione  del 

centenario  di  Niccolò  Machiavelli xxi 

LIBRO  PRIMO. 

Introduzione  —  Del  Machiavellismo 3 

Capo  primo  —  Origine  de' Machiavelli  —  Nascita  di  Niccolò  — 

Educazione  di  lui  —  Qualità  de'  tempi 77 

Capo  secondo  —  Dopo  la  morte  del  Magnifico  —  Estratti  di  letr 
tere  ai  Dieci  di  Balia  —  Canti  carnascialeschi  —  I  Medici 
fuori  di  Firenze  —  I  Francesi  in  Italia 103 

LIBRO  SECONDO. 

Introduzione  —  La  città  e  fi  palazzo 132 

Capo  primo  —  Dopo  la  morte  di  Carlo  ottavo  —  Appunti  storici 
del  Machiavelli  e  Storia  d^ Italia  del  Guicciardini  —  Prime 

commissioni  di  Niccolò  —  Sua  progenie 179 

Capo  secondo  —  Ribellione  della  Val  di  Chiana  —  Il  gonfalo- 
niere di  giustizia  perpetuo  —  I  Borgia  e  il  Machiavelli    .    .    221 

Capo  terzo  —  Il  Machiavelli  e  la  Corte  di  Roma 273 

Capo  quarto  —  Il  Machiavelli  e  la  milizia  fiorentina     ....    341 

Capo  quinto  —  Il  Machiavelli  e  F  Impero 379 

Capo  sesto  —  Caduta  di  Venezia  e  di  Pisa  —  Il  Machiavelli  e 

la  Francia 441 

Capo  settimo  —  I  Medici  e  i  Sederini  —  Caduta  della  libertà 

fiorentina  —  Il  Machiavelli  rimosso  dagli  offici 523 

Aggiunte^ 604 


Digitized  by 


Google 


"750  INDICE. 

APPENDICE. 

I.  Lettere  dello  Sdoppio pag.    613 

II.  Analisi  dell'Apografo  di  Giuliano  de' Ricci  —  Note  pre- 
messe alla  copia  de'mss.  di  Niccolò  Machiavelli  ....    617 

III.  Provvisione  per  la  Riforma  della  Cancelleria 665 

IV.  Indice  dei  Minutari  e  Registri  originali,  ecc.  del  Carteggio 
della  Repubblica  contenenti  lettere  scritte  di  mano  di  N. 
Machiavelli,  mentre  fu  segretario  della  2*  Cancelleria  dei 
Dieci  e  de'  Nove 671 

V.  Lettera  premessa  al  Decennale 675 

VI.  Consulte  e  Pratiche  deUa  repubblica  di  Firenze   ....  67G 

VII.  Giribizi  d'ordinanza 682 

Vili.  Mostra  et  resegna  armata  del  111."°  S.*»'  duca  de  Urbino, 
Capitanio  generale  de  la  Sancta  Eòcla  facta  socto  la  Torre 

,de  Quinto  die  xxviij  Julii  1505 688 

IX.  Submissio  Civitatis  Pisarum     .    .  , .  685 

X.  Istruzione  di  Massimiliano  imp.  a  Pigello   Portinari,  suo 

mandatario  presso  la  Signoria  di  Firenze 702 

XI.  Breve  di  Papa  Giulio  II  agli  Svizzeri 704 

XII.  Descrizione  della  battaglia  di  Ravenna 706 

XIII.  Morte  di  Pandolfo  Petrucci 709 

XIV.  Lettere  di  Gio.  Vittorio  Sederini  ai  Dieci  di  Balla  .    .    .  715 
XV.  Consulte  e  Pratiche  della  repubblica  di  Firenze  ....  727 

XVI.  Lettere  di  Baldassarre  Carducci,  oratore  fiorentino,  al  Vi- 
ceré di  Spagna 737 

XVII.  Nota  delle  persone  cui  fu  fatto  precetto  di  presentarsi  in 
Palazzo,  ne'  giorni  23,  24,  26,  27  agosto,  e  deliberazione  di 
rilasciare  i  «  sostenuti  » 745 . 


FINE   DEL  VOLUME  PRIMO. 


Digitized  by 


Google 


Digitized  by 


Google 


■s 


Digitized  by 


Google 


THE    BORROWER    WILL    BE    CHARCFL» 
THF  COSTOF  OVERDUE  NflTIFICATJON 

^'La?»:®^   '^  ^^'^  RETURNED  TO 

THf^fRlOTRV'  ON  OR  BFFORF  THE  L\ST 


Wl 


W  I  C  F  N  E  P 


iDigitized  by 


Google 


y^  ^- 


*'ri:» 


3^>7fM*^i^  -v 


,■■:*..-