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LA VITA E GLI SCRITTI
DI
NICCOLO MACHIAVELLI
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©
LA VITA E GLI SCEITTI
DI
MCCOLO MACfflAVELLI
NELLA LORO RELAZIONE
COL MACHIAVELLISMO
STORIA EX> ESAME CRITICO
DI
ORESTE TOMMASINI
Nec tpe nee metu.
OPBtA OBI Orrmi IL PREMIO rSOPOSTO DAL COMVSK 01 PIRin» «IL IV CnTBVA&IO
DALLA KASCITA DEL SSOBCTABIO PIOanTTIKO.
Volume I.
ROMA - TORINO - FIRENZE
:eiiim.anno loescher
1883
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^W^-^M-é- X+al.3.^'^5-''
tewM» eouESf iiBnn
Roma, Forzani e C , tipografi del Senato.
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A MIO PADRE VINCENZO
A MIO ZIO PIETRO
CHE DANDOMI CONFORTO ED AGIO A LIBERI STUDII
TRA I DOMESTICI AFFETTI MI CREBBERO
NEL PENSIERO DELLA PATRIA.
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PREFAZIONE
xtj^àvei Tot PpaSù; (óxuv.
Omero, Odissea, vm, 329.
Quando l'Italia celebrava in Firenze il quarto
centenario dalla nascita di Niccolò Machiavelli,
Roma, separata ancora dalla comune patria, a
quella commemorazione partecipava appena col
desiderio; tanto che all'autore della presente opera
venivano allora istigazioni molteplici dagli amici
che insieme con lui solevano meditare e aver cari
gli scritti del Segretario fiorentino, a ciò eh' egli
intorno alla vita di questo si accingesse al lavoro,
pel quale allora dal Comune di Firenze era ban-
dito il concorso. Egli, senza stabilito proposito
di cimentarsi alla prova, si lasciò indurre a tentar
l'argomento ; incominciando, com'era naturale, dal
ricercar due cose: quel che per sin allora si fosse
pensato o detto del Machiavelli; e quel che questi
avesse realmente scritto e voluto scrivere. Cosi,
dalla prima ricerca fu tratto a percorrere e trac-
ciare la storia critica del Machiavellismo, per non
ripetere vanamente, col modestcf e grave compito
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vili PREFAZIOSE,
di continuatore, il novero bibliografico condotto
già con molta ampiezza, ma con diverso criterio,
dall' Artaud e dal Mohl. La seconda ricerca recò
poi con sé l'esame accurato degli autografi e
degli apografi del Machiavelli ^ de' quali un ma-
teriale ricchissimo, non usato in gran parte sin
allora, trova vasi nelle librerie d'Italia e parti-
colarmente di Firenze, a disposizione di tutti.
Eecò con «è il ragguaglio e la collazione fra le
edizioni, generalmente mendose, e i manoscritti ;
da poi che s'era da certo tempo fatta strada la
persuasione che le cose del Segretario fiorentino
fossero state più spesso date fuori come leccornie
da ghiotti, che come cibi vitali e salubri; adoc-
chiando chi ne spacciava piuttosto la bramosìa di
chi era per riceverle e il lucro che ne verrebbe
a lui, che non la capacità e la coscienza di chi
si faceva a prepararne l'imbandigione. Infatti gli
editori della Cambiagiana, ^ che seppero evitare
o dissimulare quella meschinità di mire, fecero
miglior opera, e ne avrebber fatto eccellente, se
avessero potuto godere a loro agio di tutti quei
sussidi e quelle larghezze di libertà che resero
oggi non solo agevole, ma necessaria una pub-
blicazione degli scritti del Machiavelli, condotta
con: metodo di sana critica.
Nel 1852, l'editore delle Opere minori di lui,
nella Collezione Nazionale del Le Mounier, scri-
veva: tt II tempo mi pare alfin giunto di dire... aperta
* Opere di N, M,y MDCOuczxii, a spese di Gaetano Cambiagi in Firenze.
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PREFAZIONE. IX
ed intera la verità — .... — Quella preferenza che
la Crusca già diede alla non ingenua ma sofisti-
cata edizione del 1550, fu, secondo noi, la cagione
per la quale più non possiamo afiidarci a nessuna
quasi delle stampe che dopo quel tempo si fecero,
e che tutte riuscirono ripetizioni o peggioramenti
di quella w.^ — Chi così osservava era il Polidori,
cruscante, che nel 1859 ^ ricevette incarico dal
Governo provvisorio toscano di curare, insieme
coi dotti signori Luigi Passerini e Giuseppe Ca-
nestrini, un'edizione compiuta delle Opere di N.
M. da esser fatta in Firenze a spese dello 8tato.
Il Polidori congetturava di suo capo, a dir vero,
errori e varianti nel Principe, nelle Istorie, nei
Frammenti storici, in quel che dovevasi pubbli-
care delle Opere maggiori ; ma nelle minori che
aveva egli medesimo ridato a luce, ne' Decen-
nali ad esempio, aveva pur lasciato trascorrere
intatti svarioni e lezioni siffatte, da non esser
possibile tal volta il raccapezzarvi né buon senso
né senso. — Nei Decennali poi (ecco quel ch'ei
proponevasi per la nuova edizione afiìdatagli) " nei
Decennali, che da noi si riguardano come un mero
breviario istorico, sarà soltanto da discutere se,
verso il fine di essi, invece di: e quel resto che
tiene Col nome solo il seggio de' Romani, come anno
tutte le edizioni, converrebbe di leggere: e7 resto'
quel che tiene, ecc. ji; nel qual luogo con viensi invece
* POUDOBI, Deffli errori ohe deturpano le edizioni finora esUtenii delle Opp*
di N, M.
' Per decreto in data de* 23 settembre 1859.
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PREFAZIONE.
di lasciare la lezione proprio qual' è e dichiararne
piuttosto, né è cosa difficile, la precisa significa-
zione storica. Ma ben sarebbe stato bisogno che
invece d'argomentare per congettura lezioni ar-
bitrarie, il Polidori, imitando l'esempio del mo-
desto Giampieri, che aveva lavorato due anni a
collazionare coi manoscritti palatini ^ le edizioni
del 1782 e del 1843, si fosse rifatto a manoscritti
autorevoli; e col sussidio, per esempio, del codice
41 laurenziano, plut. xliv, e del magliabechiano
ci. XXV, n. 604, avesse proceduto a ristabilire il vero
testo di quel componimento, il quale per l' indole
popolare e l'efficacia che ebbe e per portar dentro
l'impronta soggettiva del Cancelliere poetante
per entro a' fatti di cui fu contemporaneo, è da
considerar per tutt'altro che di secondaria impor-
tanza. Infatti all'autore di questa Vita del Mor
chiavelliy riuscì solo dopo l'inspezione di quei
manoscritti, spiegare un passaggio del primo De-
cennale; dall'interpretazione del quale gli parve
dipendere non piccola parte del modo d'intendere
e di determinare le relazioni personali, quelle cioè
d' intelletto e di cuore, intercedute fra Niccolò e
Piero Soderini, gonfaloniere a vita.^ E da quella
* I. GiAMPiBBI, Awùo ai futuri editori delle Opere complete di N. ilf., ms.
nella Blbl. Kaz. fior., fondo palatino, cartaceo il, 2, 334, in folio, descritto in
App. TL^W Analisi delVapografo di Giulian de^Rieciy § l. Il Giampieri condusse
il suo lavoro tanto innanzi, ch'ei potè scrÌTere : <l le importantissime legazdoni
al Duca Valentino in Romagna, e la prima alla corte di Francia sarebbero già
in ordine da stamparsi ]». — E non poche delle carte palatine, fedelmente tra-
scritte dal buon Giampieri, cui nessuno rese merito delVopera sua, ci furono
con squisita gentilezza date a studio dal cay. Passerini, prima eh *egli s'accin-
gesse a por mano alla nuova edizione decretata dal Governo provvisorio
toscano.
* V. neiropera, lib. ii, cap. 3, pag. 310.
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PREFAZIONE, XI
consultazione e da quel riscontro gli venne fatto
riconoscere come, sin dal primo sorgere del gon-
falonierato vitalizio, il personaggio politico del
quale il Segretario avrebbe confidato che potesse
riuscire a sostegno della repubblica fiorentina, fu
tutt'altri che il Sederini ; dal Machiavelli servito
con fede e affetto grande, ma da lui non adulato
né altamente reputato mai. In seguito di quella
collazione gli venne fatto ravvisare una di quelle
riposte ironie, un di quei giuochi di pensiero e
di parole, de' quali il Machiavelli è fecondissimo;
per cui sparve il bisogno o di tessere sermoni
alle spalle del Segretario fiorentino o di segnare
come una linea di passaggio artificioso tra le opi-
nioni d'un tempo e quelle d'un altro, manife-
state da Niccolò circa il dabbene, ma men che
grande ed accorto superiore suo. Né questo parve
piccolo vantaggio, dacché il pericolo di sfoggiare
moralità a buon patto, ogni qualvolta trattasi di
fermare un dato ambiguo nella vita o negli scritti
del Machiavelli, non è nien ovvio che increscioso
a' di nostri, in cui si vorrebbe non parer virtuosi
biasimando altrui; ed evitare, quanto è possibile,
lo sdrucciolo, per cui caddero già i critici delle età
precedenti, quello cioè di mettere le idee nostre
o de' nostri tempi dentro a' fatti suoi, in modo da
tramutare o la natura o l' intenzione di quelli.
Per acquistarsi inoltre maggior pratica nella
scrittura e nelle consuetudini grafiche del Ma-
chiavelli, l'autore della presente vita s'accinse a
far minuta collazione fra l'autografo deWArte della
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XII PREFAZIONE.
guerra e le stampe, rilevando le mutate condizioni
del manoscritto, dal tempo in cui vi condusse la
sua edizione il Carbone, a quello in cui egli lo
tolse a studio, secondo che a suo luogo metterà
in chiaro. Parimenti collazionò delle lettere ap-
partenenti alle Legazioni o Commissioni il testo of-
ficiale, quello cioè che conservasi tra le scritte per-
venute ai Dieci o a' Signori nell'Archivio fioren-
tiiio, e l'altro proveniente dalle carte domestiche
del Machiavelli, che Niccolò custodiva nelle sue
scatole o trascriveva ne' quadernucci a registro ;
e che più spesso ci si tramanda negli Apografi
dal regesto del Ricci o in quello barberiniano di
Roma. L'utilità che di questa comparazione gli
derivò non fu lieve ; dacché le mutazioni da Nic-
colò indotte sul primo gitto delle lettere sue, anno
tutt'altro sapore che di rettorico ; avvisandosi in
quelle talvolta la studiosa reticenza suggerita al
Cancelliere da considerazioni più. caute; talvolta
lo svelamento di particolari minuzie, non super-
flue, per avventura, alla conoscenza ed alla dichiar-
razione di fatti più generali/ Era poi da usare
la distinzione medesima tra quel ch'era privato
scritto, disposto ad un fine tutto personale e sog-
gettivo, e quel ch'appariva compito di Cancel-
leria destinato a pubblico uso, rispetto anche agli
Estratti di lettere ai Dieci di balìa ; ad alcuni dei
quali poteva non attribuirsi caratteristica o valore
diverso da quello d'alcuna parte de'Z)tart del Sa-
* YeergaBi Bognatamento la nota a pag. 498-499.
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PREFAZIOITE. XIII
NUDO ; mentre altri invece conveniva saggiar col
riscontro d'altre fonti di storia contemporanea. Se
non che, di tutto questo lavorio preparatorio l'au-
tore mostra il vestigio e lo scheletro neW Analisi
degli Apografi dal Regesto di Giuliano de' Riocij che
aggiunge in appendice, pubblicando insieme i No-
lamenti dal medesimo Giuliano premessi alla tra-
scrizione degli originali di Niccolò Machiavelli;
da poi che giudicò importare non poco che il let-
tore osservasse da sé la descrizione che Giuliano
dà di quegli autografi che ebbe aUe mani ; che di
per sé rilevasse quanta importanza può annettersi
alla tradizione domestica di casa Eicci, circa ai
fatti particolari e all'autenticità di certi scritti del
Segretario ; o quanto in quella potè la tendenza
apologetica, per purgare od attenuare addebiti, op-
posti alla buona fama del Segretario, dal sorgere
del Machiavellismo e dallo sbraitare degli Antima-
chiavelUci.
De' documenti conservati nelle sei buste della
BibHoteca Nazionale di Firenze e nell'Archivio
fiorentino, de' quali si fece uso nel condurre il pre-
sente libro, e degli altri, estratti da altre biblio-
teche od archivi pubblici e privati, oltre la citar-
zione che se ne fa nel corso dell'opera, si terrà
ragione in fine del secondo volume, a libro com-
piuto. Giova peraltro far qui particolar menzione
del manoscritto Vaticano Urbinate 490, che, segna-
tamente pei- le notizie relative ai fatti de' condot-
tieri e del Borgia, gli forni notizie preziose ; del
manoscritto Ottoboniano 2759 che contiene, oltre
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XIV PREFAZIONE.
la Vita di Lorenzo de' Medici per Niccolò Valori,
un registro di Consulte e Pratiche della repubblica
fiorentina, i cui termini estremi vanno dal 23 mag-
gio 1505 a' 15 d'agosto del 1512; e in cui ne à pa^
recchie che mancano allo stesso Archiviò fio-
rentino.
Premesso ciò riguardo a' materiali usati, resta
a dir qualche cosa rispetto al disegno e alla forma
che si divisò dare al lavoro. Certo che pensarlo
diverso, per comprensione, da quel che recava il
programma tracciato egregiamente dal Comitato
promotore delle centenarie onoranze al Machia^
velli, non era possibile; ma quando dal divisa-
mento dovevasi passare all'esecuzione, tanto il cor-
redo scientifico che necessitava, quanto le difiicoltà
che s'affacciavano dal lato dell'arte erano tali da
spaurire dall' impresa. Dacché, com'era evidente,
far la storia del Machiavelli significava rifar la
storia d' Italia de' suoi tempi, mettendola in corre-
lazione con lui, spettatore ed esecutore subordi-
nato ; vagliare ogni giudizio ch'ei ne dà ; notare
come questa gitti riflesso continuo nella mente sua,
e come talvolta, per conversò, ei vi si dibatta repu-
gnando in mezzo ; riconoscere dove il pensiero di
Niccolò muove impregiudicato, o' quando invece
le circostanze lo dominano ; quanto v' à in esso di
originale, o di quanto ei si risenta della corrente
delle letterature volgari, della romana e dell' elle-
nistica, che si contendono il campo;' mettere a
confronto le lettere scritte durante le Commissioniy
a grado a grado che i fatti si svolgevano, lasciando
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PREFAZIONE, XV
spazio alle congetture, e i Bapporti, che n'erano
la conclusione ; erranti talvolta rispetto alle mi-
nuzie cronologiche, ma pieni di significato, per
la geniale impronta politica che il Segretario fio-
rentino inculcava recondito in essi.
Di soprappiù, poiché nel Machiavelli pensatore
sembrano convergere ed accentrarsi gli avveni-
menti generali del tempo ; mentre egli poi, come
politico pratico, partecipa a quelli sempre in una
condizione assai sottomessa e senza volontà sue
proprie ; difficoltà non mediocri parevano sorgere
da questo contrasto riguardo all'ordine e all'effi-
cacia della narrazione ; tanto da ripensare come
pericolo prossimo, come menda difficilmente evita-
bile, quella di che temeva Cornelio Nepote nell'e-
sporre la vita di Pelopida: u vereor ne.... non vitam
ejus enarrare sed historiam videar scribere w. — E
veramente si risicava o d'affogare il personaggio,
di cui era per raccontarsi la vita, entro i tempi in
cui visse ; o di rapjM'esentarlo in una tal condizione
di primato, e, per dir così, in un tal carattere di
protagonista fra gli altri personaggi storici che lo
circondano, quale realmente né gli appartenne, né
conveniva dare a intendere per artificio. Però giudi-
cossi più acconcia via quella d'accoppiare, quanto
si potè, l'ordine logico al cronologico; distinguendo
insieme sin dal principio e coordinando i due periodi
della vita del Machiavelli, cioè il cancelleresco e
operativo, e lo speculativo e filosofico; ed inve-
stigando nell'uno qual fosse e come si formasse
a la lunga esperienza sua delle cose moderne ??, e
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XVI PREFAZIONE,
nell'altro poi, di che qualità e di che estensione
fosse quella « continova lezione delle antiche w,
ch'egli presentava come sua dote e suppellettile
a Lorenzo di Piero de' Medici,
Dopo aver tentato di secondare col fatto le in-
tenzioni accennate, spirato la seconda volta il
termine del concorso, l'A. accompagnava con la
seguente lettera il proprio manoscritto alla Com-
missione giudicatrice:
Onorevole Commissione pel Concorso Machtavelli,
L'Autore del presente scritto intende presentare coU'opera sua il
frutto di cinque anni di studi assidui. Questo tempo che per altri
avrebbe potuto essere suflBciente, volò troppo breve per lui. Egli in-
tende, specialmente per l'ultimo capo del libro secondo, e per tutto
il libro quinto presentarvi più tosto l'ordine delle idee, che la forma
vera e piena che à in animo di dare al proprio lavoro. Per quel capo
del libro secondo vorrebbe sostituire una serie di capitoli, quanti il
titolo di esso ne comprende. Il quinto libro dovrebbe, siccome gli
altri dell'opera, nel capitolo d'introduzione, trattar di ragguagli colle
condizioni generali del tempo. In esso sarebbe a tener discorso delle
condizioni religiose d'Europa e d'Italia per rispetto al Machiavelli.
Anche le ultime Legazioni dovrebbero esser trattate con più largo*
sviluppo di particolari.
L'Autore spera che all'apertura delle schede, l'opera sua avrà
raggiunto questa forma, eh' è ne'suoi desideri e ne' suoi disegni.
Essendosi adoperato a condurre i suoi studi senza preoccupazioni
estrinseche, che ne avrebber disturbato la tranquillità e l'accuratezza,
per questo solo, e non per altri riguardi, assume il motto d' Isabella
d' Ester
« Nec ape nec meiu ».
Roma, 80 dicembre 1876.
La Relazione della Commissione stampata in
seguito informa del resto. All'autore parve per-
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PREFAZIONE. XVII
tanto che col premio conseguito fossegli pure con-
cesso, quasi per diritto di postliminio, rappresentar
per ventura la sua città natale a quella festa della
nazione, in onore del più grande politico italiano,
da cui la servitù de' tempi avevala dapprima
esclusa.
Dato mano a correggere, secondo l'autorevole
e indulgente parere della Commissione, il proprio
lavoro, si proponeva l'autore accrescerne il corredo,
per procurare che veramente rimanesse a men in-
degno ricordo del quarto centenario del Machia-
velli w. Però, malgrado gli spauracchi annunziati
dal Pauli,^ disppnevasi a recarsi alla Thirlstaine
House nel Gloucestershire; ove dice vasi, e si era
scritto anche, esistere nella raccolta venuta dalle
mani di lord Guilford in quelle del Phillipps, una
gran parte di lettere inedite del Machiavelli, can-
celliere; quando la pubbhcazione del Villari so-
pravvenne a dissipare ogni illusione circa a quel
favoleggiato tesoro letterario ; dichiarandosi dal-
l'illustre storico del Savonarola, la cui autorità e
il cui zelo nella ricerca non ammettevano dubbio,
che, ad eccezione di una lettera a senza alcuna im-
portanza w, le altre, segnate spesso appiè di pagina
con le iniziali N. M., appariscono essere della Can-
celleria degli Otto di Pratica, e del tempo in cui ne
fu titolare Niccolò Michelozzi.^ Anche un altro ma-
gnificato autografo del British Museum ebbe a sfii-
* R. PaTTLI, Einige Bem-erhungen iieher die Bibliothek des verstorhenen Svr
Th, PhUlipps^ nel Ne^tes Archiv der OeselUchaft fur altere deutsche Oegehicht"
skimde, Yol. il, fase. 2.
* P. ViLLABi, iV. Jlf. ei suoi tempi, voi. i, prefazione, pag. xviii-ix.
ToMMAsiNi - Machiavelli, 1*
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XVIII PREFAZIONE.
mare per via. ^ Di guisa che l'autore determinossi
a intraprendere senza più indugio la stampa del-
l'opera sua; e ne fu in breve impressa l'introdu-
zione e parte del primo libro, quando, in mezzo a
gravi ansie domestiche, in Livorno, n'andò gran
parte consumata in un incendio, che pur gli di-
strusse inventari di documenti esaminati e com-
mentati, libriccini d'appunti, di noterelle e di ri-
chiami importantissimi e difficilmente rinnovabili.
Ciò malgrado, racquistata calma, assistito con
gentil premura da amici, aiutato con ogni cortesia
dal benemerito Sopraintendente e dagli Officiali
dell'Archivio di Stato in Firenze, tornò al penoso
lavoro; addentellandoli nuovo col vecchio, trava-
gliandosi sopra quaderni e libri abbruciacchiati,
ripescando citazioni, raggranellando note; nel
qual raffiizzonamento, fece, come in mezzo a un
^ Era oitato nel catalogo dei mss. — Interpellato a nome dell'autore per
cortesia del signor oav. prof. Carlo Castellani, prefetto della Biblioteca Vit-
torio Emanuele in Roma, il Thompson, ne scriveva a questo modo :
« British Museura, Dep. of Mss., 14 Nov. 1877.
« Sir, — ^The so called autograph of Machiavelli is a very evident copy, or
forgcry. It begins e Data è V Italia in preda a barbarla j> and ends d le nostre
piaghe sanar non può che il tempo » . —
<r Address : —
Reverendissimo et eccellentissimo *
Domino Pietro Th^^*»» (?)
Roma.
<L The letter is very short,
d I am Sir
<r Tour faithfully
d E. Macoade Thompson.
« • First written exc and thea corrected by e rasure.
« Signor Castellani ».
Ed è certo che le prime e le ultime parole del oosidetto autografo son
piìl che abbastanza per non lasciar dubbio intorno alla falsità della composi-
zione attribuita al M.
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PREFAZIONE. XIX
naufragio, gitto di quanto non gli tornava a dirit-
tura indispensabile; risparmiando al suo libro
conclusioni fermateglisi nella memoria, se le
prove glien'erano sfuggite di mano; sfrondando
l'Appendice de' documenti nel frattempo da altri
pubblicati e con agio e con fretta ; quantunque ei
si fosse precedentemente proposto di non gareg-
giare, dandoli in luce, coUa benemerita Commis-
sione governativa incaricata di attendere alla
nuova pubblicazione delle Opere del Machiavelli,
la quale, senza il Polidori e il Canestrini già prima
morti, orbata in seguito anche del Passerini, diede
principio all'edizione, che, nel corso del libro, si
designa più sovente siccome l'ultima ; e che pur
troppo accenna a rimanere interrotta.
Pertanto, nella massima parte l'autore si limitò
nell'Appendice a corroborare il critico esame con
documenti che giustificassero le affermazioni ; a ri-
pubblicare quelli che erano stati precedentemente
messi fuori con inesattezze non lievi, quando ave-
vano importanza non ristretta alla particolare
persona di Niccolò; o quando meglio aiutassero
a comprendere la mente e i tempi di lui e quelli
di coloro che appresso gli sfigurarono. Così, ad
esempio, il lettore potrà rilevare da per se, che
lunghe ricerche ebbe a costare la rettificazione di
una data nella Submissio civitatis Pisaruniy accomo-
data nel testo edito da Flaminio Dal Borgo per
congettura; e che belle notizie storiche invece usci-
ron fuori nell'occasione di quella rettifica, fatta sui
documenti dell'Archivio della Misericordia di Pisa.
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XX PREFAZIONE.
Ma lasciando ormai che, espostele ragioni della
preparazione, degl' intendimenti e degl' indugi, il
lettore giudichi senza commento l'esecuzione del-
l'opera, conchiude l'A. esprimendo la sua ricono-
scenza più piena a coloro che largheggiarono con
lui di soccorso e di consiglio; de' quali non reca in
mezzo il nome per non parer di coprirsene troppo
gloriosamente ; sentendo che nel tacerlo è il segno
maggiore d'affetto e di rispetto ch'ei può dar loro ;
quantunque non sappia omettere di commemorare
il Canestrini e il Passerini, il cui ricordo divenne
pur troppo un tributo scevro di sospetto, non es-
sendo essi più disgraziatamente fra' vivi. Con-
chiude scusandosi col lettore, se nel percorso del-
l'opera osò rivolgerglisi parlando come in nome e
nel numero dei più; cosa ch'ei non fece né per ar-
roganza nò per simulazione di modestia; ma per-
chè, lasciando quell'io gustoso ai poeti, i quah
v'ànno diritto; opinò che allo storico potesse con-
venirsi dir noi, poi che questi evoca i passati, che
sono i più, e parla con quella voce ch'essi gli danno
e, quand' ei riesce sincero, li travede solo a quel
modo in cui essi si mostrano.
Né sarà alcuno che gli rimproveri di avventu-
rare la pubblicazione del primo volume soltanto,
al quale è per seguitare prontamente il secondo ed
ultimo ; atteso che le ragioni intrinseche del lavoro
lasciano considerare a buon diritto come termine
logico della parte prima quello a cui ora la nar-
razione si arresta.
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KELAZIONE
8d1 conferioiento del premio stabilito in occasione del centenario di lachiaTelli
Qnando si pensò di celebrare il quarto anniversario secolare della
nascita di Nicolò Machiavelli, che occorreva il 3 maggio 1869, e si
costituì a quest'effetto un Comitato promotore, il Consiglio comunale
di Firenze, secondando generosamente il disegno, stanziò 10,000 lire
per la festa; a condizione che almen la metà fosse destinata a premio
per una nuova opera su la vita e gli scritti del Segretario fiorentino.
11 Comitato promotore, ch'era così composto:
Presidente, T. Mamiani, senatore;
Prof. M. Amari, senatore;
Prof. aw. E. Ceiosia;
Prof. M. Coppino, deputato;
Macchi Mauro, deputato;
Prof. A. Messedaglia, deputato;
Prof. A. Vannucci, senatore;
Segretario, prof. E. Contini,
per eseguire quell'ultima parte della deliberazione municipale, prov-
vide a dì 29 aprile 1869 di assegnare un premio di 5000 lire e statuì
pel concorso le norme seguenti:
« Si richiede la storia del Machiavelli, opera in uno o due volumi,
nella quale siano trattate:
« 1** Le idee politiche, religiose e filosofiche e la cultura scien-
tifica e letteraria che Machiavelli trovò nella sua patria.
« 2** I mutamenti ch'egli recò in quelle parti di civiltà, sia con
gli scritti e con la parola, sia nel trattare le pubbliche faccende.
* 3® Come e quanto questo grande intelletto ha partecipato alla
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XXII PREFAZIONE.
liberazione e unificazione dell'Italia ed a' progredimenti della società
europea in generale, infino ai nostri tempi.
« Nel quadro storico del periodo anteriore al Machiavelli saranno
divisate le condizioni della civiltà occidentale, ed in particolare quelle
dell'Italia e della Repubblica fiorentina ; ne si trascurerai* influenza
degli stùdi sull'antichità greca e romana.
« La vita, cavata dalle sorgenti edite e, in quanto si possa, dalle
inedite, dovrà considerare il Machiavelli ne' vari aspetti di statista,
storico, ordinatore di milizie e letterato.
« Nell'esaminare gli effetti delle sue dottrine si toccherà degli
scrittori di nome che le abbiano appuntate o difese; e le vicende
che la fama di tant'uomo ha subite di qua e di là dalle Alpi.
« Chiunque aspiri al premio invierà al presidente del Comitato,
conte Terenzio Mamiani, senatore del Eegno, innanzi l'ultimo di-
cembre 1871, il manoscritto dell'opera sua, con un'epigrafe in prin-
cipio ; e ripeterà questa epigrafe sulla busta di una lettera suggellata
che contenga il proprio nome.
« Il premio sarà vinto da quello scritto che tutti gli esamina-
tori, 0 due contro uno, avranno creduto degno dell'odierna scienza
storica e dell'alto argomento, e migliore di ogni altro scritto, pre-
sentato al concorso.
« Aperta la lettera che conterrà il nome dell'autore, sarà questo
palesato. Si brucieranno le altre lettere ; e ciascuno, compreso il vin-
citore, potrà ripigliare il proprio scritto.
« Nel caso che nessuno sia giudicato degno del premio, si rin-
noverà il concorso, con le stesse norme».
Entro il termine prefisso pervennero al presidente due soli scritti,
con l'epigrafe l'uno: Haòent stia fata libelli; l'altro: Quidquid vult
valde vult; i quali furono giudicati da quei membri del Comitato
che tenner l' invito, fatto più volte a tutti dal presidente. E così il
Comitato, rappresentato da quelli che si trovarono nella sua adu-
nanza del 31 gennaio 1873, e che furono Mamiani, Amari, Ceppino,
Macchi, Vannucci, deliberò di rinnovare il concorso; credendo non
poter concedere il premio né all'uno, ne all'altro degli scritti; se non
che fece menzione onorevole del secondo. Conseguentemente fu riaperto
il concorso, con le medesime condizioni poste il 29 aprile 1869: e
ciò per notificazione del sindaco di Firenze, data il 17 febbraio 1873
e inserita tra gli annunzi della Gazzetta Ufficiale dei 23 dello stesso
mese.
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PREFAZIONE. XXIII
Pria che spirasse il nuovo termine con Tanno 1875, furono reca-
pitati al presidente, conte Mamiani, i tre manoscritti qui appresso
indicati:
l"" Un quaderno di 89 pagine non cartolate, di chiara e larga
scrittura, contraddistinto col motto: Stai sua cuique dies, e diviso
in tre dissertazioni che hanno per titolo : / tempi, la vita e le opere
di Niccolò Machiavelli;
2° Un'opera in tre volumi in quarto, di mezzana grossezza, non
cartolati, che fan tutti insieme 1100 pagine scritte a caratteri minuti
anzi che no, sopra una faccia sola de' fogli. L'epigrafe è:
.... rimossa ogni menzogna,
Tatta tua vision fa manifesta.
(Paradiso, XVII).
co' quattro versi che seguono;
3° Un grosso volume in foglio, di 1380 pagine all' incirca, scritte
di buona mano sopra ambo le facce; comprese nel numero una cin-
quantina di pagine non cartolate. Lunghe citazioni d' interi squarci
e molte note dell'autore si veggono in margine a inchiostro rosso.
Questo volume porta il motto, che già fu d'Isabella d'Este: Nec
spe, nec metu.
Lasciati codesti manoscritti a disposizione dei membri del Comi-
tato gran parte del 1876, in guisa che ciascuno avesse comodo a
studiarli, il Comitato si adunò nel dicembre del medesimo anno,
con intervento di Mamiani, Amari, Coppino, Messedaglia e Vannucci,
e fissata dopo non breve esame la scelta, nominò un relatore; ma
differì la definitiva deliberazione ad altra tornata, afSnchò gli altri
membri avessero agio a prendervi parte.
Kadunato di nuovo il Comitato addì 16 gennaio 1877, con inter-
vento di Mamiani, Amari, Coppino e Macchi, gli è stata comunicata
dal relatore una lettera indirizzata a lui dal Vannucci; il quale,
non potendo ritornare questa volta a Boma, ha messi in iscrìtto i
motivi pei quali conferma il giudizio già dato a favore dell'opera
che ha per epigrafe: Nec spe, nec metu.
Esposte dunque in queste due tornate le idee di ciascuno sul
merito assoluto e relativo dei lavori presentati, il Comitato; ad una-
nimità è venuto nelle conclusioni seguenti:
Lo scritto notato Stat sua cuique dies è lavoro troppo breve; poc
profondo; compendio di fatti notissimi e di idee punto originali
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XXIV PREFAZIONE,
compilato gran parte con le parole di altri scrittori che Fautore
copia e cita.
Sovrasta di gran lunga a codesta dissertazione Topera che ha
per epigrafe i citati versi di Dante. Comincia con diffusa introdu-
zione sui primordi delle umane società; sui sommi capi della Storia
universale da' tempi antichi all'ultimo perìodo del medio evo; sulle
orìgini della letteratura italiana; sul rinascimento degli studi clas-
sici e su i pubblicisti cristiani che fiorirono fino al xv secolo.
Al Comitato questi prolegomeni son parsi lavoro mediocre eccetto
la parte che tratta dei pubblicisti italiani ed in particolare del Patrìzi.
Non si può nella presente relazione seguire per filo e per segno la
biografia ; nella quale i fatti privati del Machiavelli s'intrecciano con
que'. della Bepubblica fiorentina e di altri Stati d'Italia; e il prota-
gonista comparisce, a volta a volta, segretario, negoziatore, isterico,
scrittore politico, autore di commedie ed anco capitano, neirassedìo
di Pisa.
In generale l'autore ama a lavorare sui manoscritti della Biblio-
teca Nazionale e dell'Archivio di Firenze, piuttosto che sui libri
stampati; fa dei sunti, piuttosto che una larga e lucida narrazione;
e però ci svela tanti aneddoti, importanti o no e nomi e date a
giorno a giorno, ì quali giovano di certo a fare la storìa del Machia-
velli, ma non son proprio la storia desiderata. Cammin facendo,
l'autore s'imbatte in qualche men conosciuto ordinamento della
Sepubblica fiorentina e va sino in fondo per illustrarlo. Che se dalla
narrazione ci volgiamo ai giudizi su le azioni e gli scritti del Segre-
tario, troviamo per lo più buona critica; ma Fammirazione del pro-
tagonista abbaglia l'autore in guisa da fargli vedere intendimenti
e qualità che il sommo uomo non ebbe: nò molti sono disposti ad
assentire che il Machiavelli « abbia profetizzati gli svolgimenti della
« società europea, ne che egli, coi suoi concetti suir influenza della
« religione in Boma antica, abbia creata la vita dello stato moderno».
A fronte di queste e di somiglianti esagerazioni, v'ha pur dei giu-
dizi sagaci ; e in tutto il lavoro si manifesta un animo italiano, liberale
e un intelletto informato alla coltura moderna, sciolto da molti pre-
giudizi dei secoli addietro, abituato alle ricerche storiche. La forma
non si può dire nò bella ne brutta; e di certo le ha nociuto quel-
l'uso di tirar giù compendi e parafrasi dei documenti. Insomma l'opera
non e matura.
L'autore dello scritto che ha per epigrafe nec spe, nec metu,
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PREFAZIONE. XXV
avverte preliminarmente che l'ultimo capo del libro II e tutto il
libro y presenta piuttosto Tordine delle idee che la forma vera e
piena che dar s* intende al lavoro. Anche le ultime legazioni del
Machiavelli, dice l'autore, son da esporre con maggiore estensione;
ed ei si propone di trattare largamente le e condizioni religiose del-
l'Europa e dell'Italia al tempo di Machiavelli».
Singolare coincidenza di pensieri! Quest'opera incomincia con
un trattato sul MachiaveUisino, come Than detto di là dai monti;
che ò pure argomento discorso verso la fine dell'opera precedente.
Kè sol ciò: i due autori muovono a un dipresso daiipedesimi prin-
cipi filosofici, morali e politici; amano entrambi l'Italia rigenerata
e onorano il Machiavelli, con osservanza e quasi diremmo culto;
entrambi hanno studiate le opere di lui e le vicende della vita e
dei tempi suoi, nei manoscritti della Nazionale e dell'Archivio di
Firenze, non che nei lavori stampati; ma con questa differenza che
l'uno si attiene più stretto ai documenti; l'altro passeggia in una
biblioteca meglio fornita e in più vasto campo d'idee; possiede molta
erudizione e svariata; gli sono più familiari i classici greci e latini
e gli scrittori moderni, francesi, inglesi e tedeschi dei due ultimi .
secoli e del nostro. Ei padroneggia meglio il subbietto e s'accorge
come cinque anni di lavoro concentrato sull'argomento non gli siano
bastati: co^ afferma nella detta avvertenza, aggiungendo ch'egli
spera di compiere il disegno pria che fosse ultimato il giudizio sul
concorso.
Bieca di ricerche importanti e condotta con grandissima cura
e con critica sana e liberale, la storia del MachiaveUistno e della
fama del Machiavelli serve d'introduzione a tutta l'opera. Senza vagar
tanto lontano, l'autore accenna alle sue fonti, al metodo; e detto
quanto occorre della famiglia e nascita di Machiavelli, si volge alle
condizioni della città: nota come vi si movessero due corrrenti con-
trarie, di opinioni e di costumi, personificate, l'una nel Savonarola,
l'altra in Lorenzo dei Medici : nel quale ambiente passò l'adolescenza
di Niccolò.
Nel secondo libro l'autore cel mostra segretario fedele e ope-
roso; ambasciatore presso varie Corti italiane e straniere, le quali
e i popoli soggetti egli ritrasse, con arte maravigliosa, in brevi parole;
infine ò descritto Machiavelli consigliere del Sederini che non l'in-
tendea, ed avvolto nella rovina del governo repubblicano di Firenze.
La narrazione di questa parte della biografia è condotta col sussidio
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XXVI PREFAZIONE.
delle sorgenti inedite, senza minuzie, ma con opportune escursioni
a diritta e sinistra sui fatti storici, con dissertazioni sopra questo e
quello ordinamento della Eepubblica fiorentina; ed anche, perchè
non dirlo? con qualche digressione che potrebbe parere troppo lirica,
per esempio, sulla vita cosmica e su i destini di Soma. Nel terzo
libro è preso in esame il pensiero filosofico e morale del Segretario
fiorentino. In argomento di tal fatta, la diversità dei principi porta
sempre a quella dei giudizi; onde non tutti i membri della Com-
missione accettano le opinioni dell'autore. Fochi sarebbero disposti
ad assentirgli che Machiavelli : abbia notata la legge del progresso
nell'umanità. Ad altri è parso che l'autore non rilevi abbastanza un
gran merito del Machiavelli: l'intuizione di quelle leggi deirumano
consorzio che in oggi chiamansi filosofia della storia. Piace, ciò non
-ostante, il giudizio delle opere politiche, compresavi l'arte della guerra ;
e il libro IV dove è considerato il Machiavelli scrittore italiano, e
largamente si tratta il movimento letterario di Firenze ai tempi di
lui; il gusto che prevaleva, e come il Segretario, pagatogli un picciol
tributo, seppe resister all'andazzo de' grammatici e dei retori del
secolo ; ond'ei ci die que' suoi portenti di stile originale, seniplice e
vigoroso.
Foco diremo del V libro, dove, come s'è avvertito di sopra, la
narrazione degli ultimi anni del Machiavelli va compiuta col grande
quadro promesso dall'autore. Notevole è bensì il riepilogo dei pregi
di quel Grande, chiamato dall'autore a buon diritto il più strenuo
assertore dell'umana libertà di arbitrio. Ecco le lodi e le mende che
si presentavano al giudizio del Gomitato: alle quali è da aggiun-
gere, da una parte lo stile chiaro e sovente brioso delle narrazioni ;
dall'altra una certa difficoltà nell'esporre ragionamenti filosofici e
talvolta un po' di stanchezza nel dettato. Ma son difetti che agevol-
mente si correggono. Del resto l'opera è frutto di buoni, lunghi e
svarìatissimi studi; contiene molta materia ed ottima anche, a mal-
grado della sua ridondanza; né par che siavi altro scritto pih com-
pleto e sviluppato su le opere e su la vita di Niccolò Machiavelli,
messa a riscontro degli uomini, delle fazioni, degli avvenimenti, delle
istituzioni e delle idee del suo tempo. Grede il Gomitato che questo
bel lavoro, dato a stampa quando l'autore abbia condensate le parti
troppo diffuse e supplito alle altre ch'egli stesso dice mancarvi, rimarrà
degno ricordo del quarto centenario del Machiavelli.
E però il Gomitato, dissuggellata la lettera che racchiude il nome.
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PREFAZIONE. XXVII
proclama vincitore del concorso il signor Oreste Tommasini e gli
assegna il premio.
n Comitato poi, non potendo rimeritare allo stesso modo Topera
che ha per epigrafe i versi di Dante, esprime il desiderio di vedere
pubblicata quella gran parte di essa che contiene la narrazione dei
fatti e che sarebbe proprio un diario di Niccolò Machiavelli.
Terenzio Mamiani, presidente.
Mauro Macchi.
Angelo Messedaglia.
M. Coppino.
M. Amari, relatore per sé e per commissione
del senatore Atto Vannucci.
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LIBRO PRIMO.
TouuASiNi - Machiavelli.
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Introduzione
DEL MACHIA YELLISMO.
• Ma prima che si mostrln queste stelle
Liete verso di te, gir ti conviene
Cercando il mondo sotto nuova pelle •.
(N. Hacbiavklli. L'iuino d*oro, e. iii).
• Tout homme dont le nom devient, A tort ou
& bon droit, Tótiquette d*un système, cesse de
s'appartenlr, et sa biographie indique bien plus
les fortunes diverses du système avec lequel on
Ta Identlfié, que sa propre individualité •.
(E. RéMAN. Averroèt et l'AverroUme).
Coloro che dalla osservazione de' casi della vita anno
raccolto una mediocre esperienza, non sentono maraviglia a
vedere con bizzarro aspetto alternarsi la vicenda di chi so-
vrasta 0 soggiace. Così, dicono, va il mondo. Ma che la stessa
vece di permutazione d'impero, che lo stesso ricambio di ser-
vitù e di comando paia puranco nel mondo delle idee ; che le
parole, naturali soggette e ministre del pensiero, si levin tal-
volta ribelli contro di questo e gli stien ritte contro come ad
ostacolo, e cerchino sottometterlo quasi fatte da più di lui, sa-
rebbe fenomeno da maravigliare; se non fosse che gli uomini
sanno di viver nel regno della parola, come dentro a loro orbita
necessaria, e che ogni regno deve di quando in quando aspet-
tarsi anche le ribellioni. Pertanto si conviene talvolta a chi
vuol giungere alle cose, cominciare dal far questione delle
parole; guardar se queste rendano l'espressione esatta d'un
concetto chiaro, o non sian piuttosto nebbia che piglia corpo
e s'addensa in faccia alle idee come per impedir la mente che
non le penetri, o per acquetarla a edificare senza discutere le
fondamenta. Così chi s'accinge a trattare del Machiavelli trova
che gli capita innanzi il machiavellismo; e per ragione di lo-
gica e d'etimologia è indotto a cercare che relazioni interce-
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4 INTRODUZIONE,
dano fra il vocabolo radicale e il derivato, fra l'uomo e il
sistema che piglia nome da lui. E siccome Tesperienza storica
in simili casi di derivazioni ci consiglia a metterci in sul-
l'avviso, che non di rado tutta la relazione si riduce a una
discrepanza, è naturale che si getti subito nel crogiuolo la
parola machiavellismo, e che se ne saggi il valore.
— 4c II machiavellismo è veramente un nome nato nel
sedicesimo secolo; ^ ma pure vien reputato di tanta amplitudine
che si dilata per tutti i tempi, e regna per tutte le terre, e
parla in tutte le lingue; e raccontano come era già nato e
fatto adulto prima che suo padre nascesse ; e, lui morto, visse
in molta longevità, e vive tuttavia con verisimile speranza
d'immortalità ». —
Cosi ebbe a scrivere il Buonafede; * ed egli stesso, ser
Agatopisto, aggiunge, come la sia vivanda da apprestare in
mille modi e farne mille diversi manicaretti. Che ei ve n'ebbe
uno senza nemmanco il Machiavelli, anzi prima di lui; e vi
1 Maubice Block, Dìctìonnaìre general de la PoUtique^ airarticolo MachiavèUsme di
Babtbblemt Saint-Hilaikb, annota, probabilmente snir autorità del Fbbbabi {Maehiavel
juge dés révolutionSj pag. 97-08): « C*e8t à Bayle (XVII siécle) qn*on attribue la création
de ce mot ». Infatti non si può ripetere dal secolo decimosesto che l'appellativo di nuichia'
veUista e maehiaveUico e il verbo machicmeliser. Cf. D*AuBioiié, le$ TragiqueSf Paris, 1857,
pag. 97:
« Nos rois ont appris à machiaveliser,
Au tempe et à TEsUt leur ame deguiser,
Ploians la piet^ au joog de leor service
Oardans religion pour arme de police ».
ma che non fosse il Bayle primo a foggiare il vocabolo di cui è questione, basti a provarlo
il vederlo citato in un opuscolo uscito a luce in Franckfort per Gio. Giorgio Betlimgen già
nel MDCXxxxvni, intitolato : Enormità \ inaudite \ nuovamente uscite in luce \ contro il
decoro deWapottoUca | Sede Romana \ in duo Ubri \ intitolati | l'uno dell'arrogante potestà
de* papi in diffèsa | delle immunità della chiesa gallicana | etc., in cui a pag. 156 si legge :
« Adunque etiandio secondo il finissimo Macchiavellismo, per apparire, se non per essere
in realtà prencipe religioso, non dee che col beneplacito pontificio ingerirsi negl'Ecclesia»
ttici ».
' Appuro Buonafede: DeWittoria e dell'indole di ogni filosofia, voi. rv, pag. 538. -
Probabilmente egli sulP autorità del Bbuckbe {Historia eritic. phil. t. iv pars altera,
pag. 789-791) citò l'opera di B. Valbntimi: De Machiavellismo medieOy Francf., 1711. -
Cbb. Wbi88 : De MachiaveUitmo rustico - Edzabd : De Machiavellismo pietistico^ e i trat-
tati dell' HoFFMAN : e del Rbihar (Machiavellus ante Maehiavellum, Machiavellus sine
MaeMavello: Maehiavellismus ante Maehiavellum) e quello del Lilibnthal: De Machia-
veVtìamo Utterario, dandoli tutti come cosa notissima. Nel Oelehrten-Lexicon dello Jòcbeb
a noi non venne fatto trovar menzione che del libro del Lilibkthal il cui titolo esatto è :
HiCHABLis Lilibmthalii regioe SocieUUis Beroliniensis Scientiarum et artium socii de Ma-
ehiaveUismo lAtterario sive De perversis quorumdam in republiea literaria inclarescendi
arttbus Dissertatio historico-moraUs^ Konigsberg e Leipzig, 1713. - Nel suo trattato il
Lhjbntbal intende a colpire il « nimium pariter ac praestigiosum in republiea literaria
pnwter merìtum aucupandi studium ». E in quel medesimo cita parecchie altre forme e
maniere di machiavellismo : « Certe non dubitarit Chrìstianus Weisius, sceleratam rustico-
nim politicam et machinationes emei^endi prae alìis susceptas mcushiavellismi rustici
nomine insignire. Quod si pariter Attctor Anonymus qui rationem status medicorum deli-
noavit, eandemqae MachiavelU Medici titulo donavit, etc. E pel machiavellismo medico
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DEL MACHIAVELLISMO. 5
ebbe un machiavellismo letterario ed uno pietistico, ed un ru-
stico ; per guisa che il machiavellismo parve essere della flora
d'ogni zona e degli arnesi d'ogni mestiere.
Noi, senza correr dietro a raccoglier tutti i frutti che,
distendendosi in tanti rami, potè portar questo tronco di parola,
ci faremo a scrutarlo più presso alla radice, e fermeremo di
lui quella definizione, che, fatta l'analisi di tutta la sua esi-
stenza parassita, ci parve meno inesatta e più comprensiva.
Il machiavellismo è, a nostro giudizio, l'opera di coloro che,
venuti dopo del Machiavelli, risguardarono per entro agli scritti
del grande instauratore dell'arte e della scienza politica colla
preoccupazione particolare delle condizioni loro intrinseche; e
avvisando in quelli la dipintura di tutti lor mali, crucci e tra-
vagli; la dipintura, cioè, de' lor propri tempi, più che non il
discorso di tutti i tempi, presero per tal modo l'immagine per
la causa, il banditor della legge per l'autore di essa, e gli
fecero portar tutte le conseguenze dell'equivoco loro. ^
« pseudo-medicorum inclarescendi machmationes sufflcienter detexit ». Parimente il Lilikn-
THAL allude ad un machiavelli»mus theologicus accennando alle lezioni di Conb. Tibubtius
Rango, in cui ai discorre: «de malia artibus, praepostera praxi et clandestinia machina-
tionibus, adeoque de dolis et fraudibus pseudo-theologorum ». Per foggiar poi una specie
di machiavellismo giuridico V autore si richiama a* trattati di A. M. Holtbrmann : De nequi-
Ha advocatorum - Ludov. Praschh : JurisconsuUus verus etperaonatui - Gasp. Zieglbri :
Rabulistica seu de artibus rabulariìSy e D. Fbidb. Obbdesii: De Euremalicis seu straieh
gematibus Juria vulgo von Jurislischen Findchen. A questo modo una specie di machia-
vellismo erotico si potrebbe ravvisare nei libri « de arte amandi » di Ovidio ; \l Balzac
{Physiologie du mariage, meditation, xx, g S) scoperse un « m€u:hiavélisme maritai. » Negli
Advices to hia son, di lord Chestebfield non sarebbe difficile riconoscere un galateo fka-
chiavellico ; e a chi considera le seguenti parole del D'Alembert (Encycl. art. Maehiavel)
non parrà strano che ai possa concepire anche una specie di machiavellUmo storico: — « ce
n'est, peut-étre, pas un mediocre defaut dans nos meilleurs livres politiques, tels que ceux
de Maehiavel et de Bodin, de Montesquieu mème, de voir toujours si évidemment que les
événemens ont du étre tels quMls ont été; c'est une manière de predire le passe, dont on
aper^evrait le fidicule, s'il n'avoit pas été couvert à force d'esprit, de talent et de phi-
losophie ». — Che ne direbbero gli hegeliani? —
1 n Prescott, {Hislory of Ferdinand and Isabella, voi. n, p. 2, e. i, pag. 859) dopo
aver accennato alla coltura degli italiani del secolo decimosesto, superiore a quella dei
contemporanei, aggiunge : « From these and other causes maxims vere graduallj esta-
blished, so monstrous in their nature as to givo the work, -which Arst embodied them in
a regular system, the air of a satire rather than a serious performance, -while the name
of its author has been converted into a by-\7ord of politicai knavery ». Non crediamo che
la derivazione segnata al machiavellismo dall'illustre storico inglese sia accettabile, quando
non si voglia, com'egli è poi costretto a fare, riconoscere un machiavellismo ante Machior-
veUum. - Similmente il Babthblemt Saint-Hilaibe (art. cU.) definì : « Le machiavélìsme
est le sacrifico de tous les principes à un seul^ l'intérét; la violation de toutes les loia de
la morale immolées au succés ». - Il signor Victob Poibbl invece (Essai sur les diseours
de M. Paris, 1869, p. ix in nota) avverte come il Ratneval in una notizia premessa alle sue
Istituzioni del diritto di natura e delle genti, negli ultimi suoi anni s'occupò « d'un commen-
taire sur les Diseours (del M.) dans lequel il jugeait les événements de son epoque d'apn&a
les principes posés par Maehiavel ». - A nostro credere il machiavellismo nacque e visse
precisamente per opera di coloro che ne' secoli precedenti ripeterono l' impresa che in questo
si era proposto il Rayneval, ma senza né l' ingegno né il purgato giudizio di lui, e sema
ragguagliare i propri lor tempi coi principi, ma bensì coi precetti, colle regole spigolato
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6 INTRODUZIONE.
Pertanto, come è nostro proposito nel trattar della vita
del segretario fiorentino, rimetterlo in quella preclara città
sua, in cui s'adagiava tutta la civiltà del secolo, ricollocarlo
dentro a quei tempi ch'egli intendeva e disdegnava, e co' quali,
per dirla con una frase di lui, ei non si riscontrò; cosi, in
questo trattato del machiavellismo, che è a modo di preambolo
della vita di Niccolò andremo per le diverse contrade d' Europa
rintracciando le vestigia che i tempi infelici, che gli consegui-
tarono, lasciarono sulla sua nominanza; i quali tempi, studiosi
di trarselo addentro, sicuri d'averlo acciuffato, di tenerlo alle
mani e ai capelli, di lui nient'altro riuscirono a tórre che Q
nome. Cosi quel nome sonò ingiuria e vilipendio tale, da pro-
vocare la rivendicazione scolpita sulla sua tomba in Santa
Croce. ^
E poi che avremo errato pei meandri oscuri del pregiu-
dizio, ricercheremo della fama del Machiavelli fra l'aure pure
e i quieti campi della scienza, ove, se pur talvolta capita in-
gombro di nebbie e di pruni, lo splendido lavorio della natura
e il sarchio degl'immortali bastano a sfrattar poco appresso i
vapor tristi e l'erbe malefiche. Laonde, se alcun frutto è per
per entro agli scritti del politico fiorentino. Un trattato del Principe del M., postillato dalla
regina Cristina di Svezia» che per cortesia deiramico signor professor Monaci, che lo pos-
siede, ci venne concesso a studio, può mostrare come il machiavellismo sia pullulato natu-
ralmente ai margini degli scritti del Machiavelli. Le note sono apposte tanto al testo, che
è nella traduzione dell'Amelot de la Houssaie (à Amsterdam, chez Henry Wetstein, 1683),
quanto al commento di quest'ultimo; ma non vanno oltre alla pag. 95. A pie della lettera
di dedica del M. è segnata la data 1684; e alla pag. 17, ove nel testo si legge che un potente
straniero entrando in una provincia, i più deboli di quella provincia si uniscono con lui, per
odio che hanno contro il compagno loro più forte, è notato in margine : « cela arriva à la
Suede en Allemagne ». -A pag. 23, dove si dice che i collegati d' Italia temevano gli uni il
papa, gli altri i Veneziani: « qui craint aujourd-hui le pape?» - Dove il M. rimprovera al
cardinal d*Amboise e a' Francesi d*aver troppo accresciuto le forze de' pontefici: * Ils ne
feront pltts cette faute ». (?) - E quando alla pag. 92 si legge che in antico, per abbassare
il papa, gli altri stati si valevano dei baroni romani e delle loro fazioni armate che bastavano
a tenerlo in iscacco, è scritto : « à présent on ne se seri que de lui méme. Si Machiawl
estoit woant, que diroit il à presentì» — V. anche le annotazioni stampate a margine della
traduzione latina de' Discorsi fatta dal Rbifbnberg: N. M. fiorentini toù iroXiTixwraTW
ditcursus ad historiam magni ilUus Livii libri in exposUi, totius reipublicae summam
argute repraesentantes, notis perpetuis et solennibus illustrati. Marpurgi, 1020.
» Erettagli, giusta il progetto del cav. Rimbotti e i conforti di lord Nassau Clavering,
conte di Cowpbb, colla scritta : Tanto nomini nullum par elogium. Un cruscante, il Co-
lombi, ebbe a scriverne : « se non può esservi elogio proporzionato al merito d'un grande
uomo, è dunque inutile iljfarlo, e tutto il genere esornativo, sarà riserbato ai geni mediocri.
Che assurdo I » - Tuttavia l'epigrafe, quando s'abbia riguardo che par fatta per vendicare
Niccolò dall'onta del machiavellismo, si troverà gonfia ma non sproporzionata. Né la è
aliena dal sapore rettorico del secolo decimosesto. In San Marco a Firenze sulla tomba di
Oiovanni Pico della Mirandola si legge :
« Ioannes jacet hic Mirandula; caetera norunt
Et Tagus et Ganges : forsan et Antipodes ».
E il Fontano, nell'elegia in morte del Marnilo : «Nil praeter nomen tumulo ». ~ E Analmente
nel monumento eretto in Romane! convento de' Santi Apostoli a Michelangelo Buonarroti,
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DBL MACHIAVKLLISMO. 7
tornare di questo prologo nostro, egli avrà ad essere doppio:
porre, cioè, in chiaro T indole e TefScacia delle cagioni che
determinarono la prima avversione contro al nome del segre-
tario fiorentino, seguitare le vicende dell*apprezzamento scien-
tifico che delle dottrine di lui fu recato, e per ultimo fissare
il punto donde si convenga a noi pigliar le mosse.
E primieramente chi passa in rassegna tutti i significati
molteplici che col variar de' luoghi e de' tempi si attribuirono
alle voci machiavellismo e machiavellicOy vedrà concorrere e
poco men che conciliarsi in queste, come nell'assoluto dei pan-
teisti, ogni maniera di contradizioni. Per guisa che la per-
sona ideale del Machiavelli, come la riesce foggiata dal ma-
chiavellismo, risulta essere un po' di tutto. Quindi egli è per gli
eretici un consigliatore delle violenze cattoliche, un gesuita;
e pe' gesuiti parimente un eretico, e^ secondo la natura delle
persone colle quali era a discreditare, ora uno sciocco ora
un uomo riboccante delle malizie sataniche. Talvolta anzi è
confuso con Satana stesso, o fatto padre di qualche altro dia-
volo che pigli nome da lui. ^ Tal'altra per quella specie di
figliolanza della preoccupazione dommatica che è il pregiudizio
in memoria del breve tempo che la salma di quel grande fti quivi ospitata : « Michàbi.
Ahoblub : BoNÀBROTZDa : soulptob pictor abcbitbotub : maxima abtificum vrbqubntia :
m BAC BASILICA SS. XII APOST. F. M. C. .* XI CAL. MABT. A. MOLXIV BLATUS B8T : CItAM
croB Plobbktiam translatub : bt in tbmplo S. Crucis bobumd. f. : V. id. mabt. bjusd.
A coBDrrus : tanto nomiki : nullum pab blooium. - V. in qaest* opera 1. nr, e. 3:
L'epitaffio di Nic. Tbgbimi». - Sotto la statua di Marcello Virgilio in Firense nella chiesa
de* Francescani a Monte:
«... hanc statuam plus
Erexit haeres, nescius
Famae futurum, et gloriae
Aut nomen, aut nihil satis ».
B nell'epitaffio che Filippo Strozzi compose per sé stesso, nel caso fosse morto e seppel-
lito in patria, ti Ucebit hoc iemporey leggevasi : « Philippo Strozzae. Satis hoc, caetera
nonmt omnes ». —
1 V. LucoHBSiNi : Sciocchezze di N.M.- Macaulat's Essay on Machiavel, in cui cita
i seguenti versi àeWHudibriU del Butlbb :
« Nick Machiavel had ne' er a trick
Though he gave name to onr old Nick ».
L'Ebbbhabd {N. M. Dm Buch von Wursten, Berlin, 1873) aggiunge che in Baviera si dà
al diavolo il soprannome di Pelznickel; della qual parola la prima parte è corruzione e
accorciamento da Beelzebub; la seconda ha analogia colla voce Nix, farfarello, spiri-
tello, ecc. - È curioso osservare che se il Butler, giuocando colla appellazione del demonio
Nick, credette derivato questo nome dal nostro Niccolò; venne pur la volta che il Mosbb
rivolgendo il pensiero a* suoi tempi, usci ad invocare: *Sanete MachiaveUi, ora prò no^
hit». ' (Cf. Ebbbbabd, 1. e. pag. xxvn) come in una delle recenti commedie italiane s*ode
esclamare a un de* personaggi : « San MacMavellOf mi rcuxornando a tei * (Luioi Mo-
RAiiDi: La Maestrina, atto i, se. vni. Loescher, 1877). Il signor Gaspar Amico racconta
che, avendo visitato la villa a San Casdano che già fti dei Machiavelli, ed ora appartiene
al signor marchese (}eppi Rangoni, attorno alla casetta deperita in cui Niccolò attese a
scrivere II Prineipe, i villani dei dintorni spacciano che lassù dimori il diavolo e che nessun
cristiano ci vuole abitare. (V. Oaspabb Amico : Vita di N. M. Firenze, 187S. pag. 409).
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d INTRODUZIONE.
scientifico, ei sembrò ora un precettore senza scrupoli e senza
morale della politica di conquista e d'oppressione, ora T in-
ventore primo di quella politica nazionale, che la decrepita
Europa chiamò già pazza e malaugurata. E parimente fu prima
abbominato come crudel favoreggiatore della tirannide; poi,
quando la stagione volse propizia agli sfrenamenti popolari e
plebei, s'ebbe in uggia come un becero uscito fuori dalla città
de' Ciompi a portar la fiaccola della rivolta attorno pel mondo.
Cosicché il machiavellismo, che fu parola nata in Francia a
contraddistinguere la parte medicea, messeresca, toscana e ita-
liana; 1 tornò in Italia poco men che allo spirare del secolo
decimottavo a denotare la fazione di coloro che tenevan bor-
done alle teorie scettiche e demagogiche della Francia filo-
sofante; e fu italianismo di là dai monti quel machiavellismo
che volle dir francesismo tra noi.
Ora le incongrue violenze de' fatti sorgono per lo più dalle
contraddizioni delle idee, e il riandare a cercare il come i fatti
s'interpretarono, giova, non di rado a intender puranco come
ei sembrasser causa di certi fenomeni, i quali, a dir vero, furono
di quelli piuttosto seguito che effetto.
Infatti, quasi fosse destino che le due gigantesche istitu-
zioni, che insieme avevano informato ed agitato la società cri-
stiana dell'età di mezzo, avessero anche insieme a dar crollo;
quando già tramontava l'impero, la riforma pure si leva a
sconfiggere la seconda unità violenta che Roma aveva imposto
al mondo: l'unità esteriore della fede, radicata su' ruderi del-
l'antica universalità romana. * Il connubio fatale delle tradizioni
virgiliane e bibliche, che avevano sacrato Roma all'eternità,
si rompeva. Neil' imperatore Massimiliano, in cui la monarchia
austriaca erasi incominciata, il sacro romano impero, nel suo
pristino e ideale significato, spirava, disgregate le sue forze,
voltiglisi a' nemici gli stessi elementi suoi naturali. ^ Un nuovo
spirito pervadeva tutte le contrade d' Europa, il quale, sot-
1 GBMTIZ.Z.BT : AntimaeìUaì>9ly ossia: Diteour» »ur Ib% moyéns de bien gouverner et
maintenir en bonne paix un royaume.... contre N. M. le florentin.
* V. Vatieinum Rev. patriSf d. Mabtimi Lutebi autoria mcmu propria scriptum quod
po9t obitum iptius in bÌbliot?ieca eju» repertum est, Opp., t. i, ed. 1566: « Romana res
mole rait sua, corpus magnum ». —
* Bbicb : ^l^e holy rofnan empire^ cap. xvn, pag. 310 - Come il M. egregiamente giudi-
casse delle condizioni dell* impero, yeggasi ne' Ritratti deUe cote di Lamagna. n Kicxbss
nell'articolo del Preuèaitche lahrbiicher (del giugno 1871) intitolato : Der Patriotiemtu Ma-
chiaveUi% osserva: « Wir dOrfen es beute beklagen dass ein Ansl&nder shon in kuner
Zeit dazu gelangte den Zustand des Reiche*s, yor vierthalbhundert labren so sutreffend su
erkennen, ohne dass die Deutschen etlìchen Nutsen daraus gezogen haben ». —
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DEL MACHIAVELLISMO. 9
traendole alla riverenza dell'antico impero, le sfrenava pure
dall'antica dipendenza dalla romana fede. Il mondo si ricreava
per nuovi impulsi, e nel violento sommuoversi d'ogni zolla si
rifaceva fertile campo al pullulare d' istituzioni novelle. Lutero
scoteva la Germania, Calvino la Francia e la Svizzera, Ar-
rigo Vili si traeva dietro Inghilterra; la Chiesa cattolica,
tratta in agone, si ritemprava delle sue virtù, la coscienza
dell'individuo si fortificava, lo stato era stimolato a ricercar
tutte le sue forze, ad avvisar tutti i suoi diritti, tutti i suoi com-
piti , a tracciarsi confini certi e a difenderli. ^
Gli scrittori tedeschi, soliti a contrapporre gli uomini della
loro riforma religiosa a quelli del nostro filosofico rinascimento,
anche quando trattarono del nostro Machiavelli, gli misero jbl
riscontro Lutero. * Ed è a confessare che quand'anche non sia
alcun ragguaglio possibile fra queste due nature, così diverse,
non solo per propria e individuale disposizione, ma anche per
rappresentare ciascuna di esse le differenti condizioni intellet-
tuali e morali delle lor patrie, tuttavia è impossibQe a chi esa-
mina e discorre la via del pensiero nel secolo decimonono non
farle andar di conserva; che paiono insieme sulla scena del
mondo, provvidenzialmente ordinate a discomporre e struggere
l'edificio medievale, le cui fondamenta nelle diverse loro patrie
poggiavano. Cosi Lutero percuote la chiesa d'Italia, come il
Machiavelli r impero di Germania; e alla segregazione dell'una
daD'altro, tutti e due strenui campioni maravigliosamente com-
battono. Cosi nell'opere del Machiavelli vediam vagheggiata e
presupposta una preparazione religiosa, dopo la quale l'indi-
viduo prende posto nello Stato come membro salubre di questo;
come Lutero, la chiesa, la libertà e le leggi del Cristo dal mon-
dano governo, da' suoi vincoli e dalle sue leggi in tutto parte
e distingue. ^ Il Machiavelli solleva la nazionalità nuova contro
l'antico impero ; Martin Lutero pone contro a' decretali e al-
l'indulgenze prezzolate di Roma, la confessione d'Augusta.
E tuttavia, malgrado questa isterica cospirazione di fini,
che a noi lontani è concesso avvisare, non altrimenti che a' ri-
* Nel trattato de principe protestante ejusq. origine nomine juribus et prcterogaUvU
in Imp. germ., che fa parte àéìVHistoria reformationis deirHANB si dice (pag. 172) : « Prin-
cipem in territorio suo omnia, imo majora posse quam Imperatorem in Imperio ». —
* V. Theodob Mundt: Machiavelli und der Gang der europaischen PoliUhj sec. edi-
zione. Lipsia, 1853, pag. 7 e seguenti.
* LuTEBo: Von weltlicher Oìtriglseit, wie weit man ihr Oehorsam schuldig sey. An
lohann Herzog zu Sachten. - V. anche Bluntschli : Geschichte det- Allgemeinen Staat-
trecht und der PoUtih aeU dem xyi lahrhundert. Mttnchen, 1867, pag. 48-9 e seguenti.
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1 INTRODUZIONE.
guardanti un disteso portico paia l'incontro prospettico delle
parallele; non fu chi a Niccolò nostro, cui si dette dello scis-
matico e del calvinista e del gesuita, desse del luterano mai.
Piuttosto si volle dai libri di lui ripetere lo scisma inglese, ^ il
macello di San Bartolomeo, i crudeli propositi della monarchia
spagnuola e V immanità de' calvinisti di Francia e di Fiandra;
che riconoscer da quelli l'affrancamento da istituzioni decre-
pite e uggiose all'età nuova, e il cominciamento della vita na-
zionale e d'ordini che avessero loro radici incrollabili nelle ne-
cessità dell'umana natura. Che se l'età moderna reca come se-
gnacolo de' suoi progressi l'emancipazione dell' individuo e dello
stato, è cosa certa che quello principalmente per Lutero e questo
pel Macchiavelli l'antica ingenuità e il diritto d'autonoma cus-
todia riconquistarono ; poi che ambedue que' grandi atleti il loro
regno ideale nell'antichità collocarono,, cercando l'uno ritrarre
il mondo a' principi della cristianità evangelica, l'altro all'unione
tollerante e forte della città pagana.
Ciò posto, è natvrale che il primo manipolo de' nemici del
Machiavelli, il primo gruppo di compari del machiavellismo,
si componesse tutto di coloro che la fantastica immobilità del-
l'impero e della chiesa medioevale volevano perpetuata; o di
coloro che invece della violenza e della universalità monar-
chica del cristianesimo ne propugnavano la violenza e l'uni-
versalità repubblicana, come i calvinisti. In generale, fu una
opposizione di politica teologica, alla quale s'associaron poi tutti
quanti coloro ai quali questa opposizione parve ortodossia.
Se non che è ben da tenere a mente che la curia ponti-
ficale non fu già la prima a entrar nell'arringo a' danni di Nic-
colò; che anzi la v'entrò tardi e malgrado il risico di cader
seco stessa in contradizione; però che prima si compiacque di
lui, poi se ne penti. Ma quando lo rilegò fra i condannati, il gen-
tile effluvio del rinascimento, che facea ben intelligibili gli scritti
del Machiavelli, s'era già dileguato; il machiavellismo avea già
sortito i natali fuori d'Italia, e la curia, bersagliata dai dis-
sidenti, avea paura d'esser chiamata machiavellica anch'essa.*
In Francia, nel beato paese in cui le parole corrono più
* V. nel Thealrum crHàeìitatiim haerelieorum nostri tempori8j Antuerpiae, apud Adria-
num Hubert! mdiccii, a pag. 69: « Inquisitionis Anglicanae et facinorum crudelium Ma-
chiavellanorum in Anglia et Hibernia a Calvinistis protestantibua sub ElLsabetha etiamnam
regnante peractoruni, descriptiones ». —
* Grboobio Leti nei Segreti di Stato de i principi dell'Europa, scrisse: «Gli eccle-
siastici che al giorno di hoggi leggono il breviario la mattina, e Machiavello la sera »,
pag. 571. —
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DEL MACHIAVELLISMO. 11
spesso la buona ventura, in seno alle turbolenze della riforma
e della lega, i due vocaboli: machiavellico e machiavellismo
primieramente sbocciarono. E siccome quando si ricerca la pa-
ternità degli equivoci bisogna aspettarsi ogni maniera di con-
traddizioni, cosi ci accade trovare che la bastarda appellazione
fu còiìiata e spacciata da quella fazione, che si chiamò dei
politici ; la qual fazione fra due religioni che litigavano surse
non come una parte intermedia, ma come una terza al litigio.
E se si fosse levata a scuola e avesse posto le fondamenta dello
stato nella civil tolleranza, sarebbe stata un bene vero della
patria. Ma invece si levò come setta, e scindendosi dal re e da
Caterina de' Medici recò una divisione di più. Così che quei po-
litici non furono per allora che i seguaci di Montmorenci, che
favoreggiava il duca d'Alen^on, studiandosi contrapporlo al re
e alla regina ' madre. ^
La regina madre specialmente era oggetto di particolare
avversione, perchè era italiana. E in quelle vicende tristissime
della Francia, in cui i riformati a cagione della comune ribel-
lione dalla fede, affogavano in cuore gli antichi odi contro al-
ringhilterra conquistatrice e le tendeano le braccia; e i cat-
tolici avean l'orecchio a' duri conforti del monarca spagnuolo ;
in quelle vicende tristissime, in cui « una povera donna », come il
prudente Enrico IV chiamò Caterina, lottava sola contro tanti
impulsi al disgregamento, affaticandosi per salvar nella monar-
chia la patria francese; tutto lo stimolo che potesse pungere
ancora il sentimento nazionale, si riduceva all'odio di quella
povera donna, perch'era figlia d'Italia.
Pure, trapiantata in Francia, avea sempre mostrato regale
e francese l'animo ; preso ad usar la favella di quel regno ; ed
è fama che la parlasse leggiadramente; l'arti belle e l'utili
discipline aveva introdotte, ma senza scapito, anzi a bello svi-
luppo dell' indole francese. Ma i natali forestieri, ^ che ai cal-
dissimi nazionali d' Inghilterra non parver difetto in Guglielmo
d' Orango, furono ostacolo come di patria lesa pei Francesi
d'allora contro Caterina de' Medici, come contro Amedeo di Sa-
voia pei disgregati Spagnuoli di questi tempi. I quali difetti era
» Datila: Chterre civiU di Franciay 1. v, 285.
* V. nel RecueU de poésies fì-ancoises (t. ▼, pag. 46 e seguenti) la Comptainte de
France, ISfiS;:
« Veux-tQ sayoir qael est Testat de notre Franco !
Un jeune roy mene par un peuple mal duit,
Mene d*im espagnol, d'an moyne et d*un faux bruit,
Mene par une femme extraitte de Florence ». —
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18 INTRODUZIONE.
inutile ch'ella con isquisita delicatezza di modi, e gli adulatori
di lei con ridicola sequela di fiabe cercassero medicare e cor-
reggere.
Invano e' si provarono dare ad intendere che il popolo fio-
rentino, più che d'inclinazioni, d'origine era francese, e che
più d'ogni fiorentino l'erano i Medici. Invano andavano a ri-
vangare l'ossa di Brenne, che, gran capo d'orde galliche,
scendendo in Italia e in Grecia e nell'Asia, e seco recando tra
il fior de' prodi Bono e Polonio, grandissimi baroni, avesse dato
occasione che questi fondassero in Italia Bononia e Firenze,
chiamate dal loro nome. Invano da quel Polonio, che per avere
operato maraviglie nella Media avrebbesi tolto soprannome di
Medico, si faceva spiccare la generazione de' Medici. Invano si
foggiava di un Everardo dei Medici un conte di Carlomagno,
con lui mosso a guerreggiar Desiderio; invano s'associava al
nome di Goffredo Buglione quello d' un Annemondo Medici, nel
passaggio in Terrasanta del grande crociato: ^ popolo, grandi
e parlamento colpivano la regina col titolo di straniera.
Ascende al trono re Prancesco II ; recansi a Corte i Mont-
morenci per assicurarlo della fedeltà loro e: i Prancesi, gli
dicono, obbediscono volentieri a'ior principi naturali, ma a ma-
lincuore assai a' forestieri,^ Il colpo dell'ultima frase era driz-
zato alla regina madre. E poco più sotto, lo stesso storico Au-
bigné, accennando ai parlamenti, aggiungeva che essi: en-
clinoyent aux droiis naturels, et à ce qui estoit le plus
frangois. » ^
— Re Prancesco muore ; se gli fanno esequie, che paion
màcre ; ed ecco che alla coltre mortuaria s'appiccano motteggi e
satire contro alla madre italiana;^ ed ecco farsi accusa alla
medesima che educasse i figliuoli alle italiane discipline e non
alle tradizioni antiche de' re della Prancia.
Ed ora, quell' italianità per cui Caterina putiva, dovea ri-
^ V. Orazione funebre in morte di Caterina de* Medici, fatta dal signor De Bbdmb,
arcivescovo di Boarges in Brantomb. Memoirei. Vie de la reine mère.
* AuBiGNé: Hist. Univ., liv. 2, eh. xiv: « Entre autres propos il eschappa un chef de
ceste famille de dire quo les Frangais ont à coeur Tobeissance de leurs princes naturels
et à contrecoeur celle des princes étrangers ». - V. anche deirAuBiGNÉ les Trctgiques
(Paris, 1867, pag. 273) in cui alla Jesabel medicea si rimproverano :
« Tes ruses, tes conseils et tos tours florentins » —
V. anche op. cit., pag. 54 sgg. Miséres. —
* AuBiGNÉ : Ibidem.
* AuBiGNÉ: liv. 2, eh. xxiii:
« Ou est maintenant Tanegui du Chastelt
Mais il estoit fran^ois ».
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DEL MACHIAVELLISMO. ' 13
versarsi sulla nominanza del nostro Machiavelli, quasi fosse
fatale che ovunque, e anche dopo la morte, dovesse la casa
de' Medici a lui portare sciagura.
Racconta il de Thou,i che quando Carlo IX invitò Co-
ligny a recarsi a Parigi, per le nozze che precedettero al ma-
cello del San Bartolomeo, V ammiraglio riceveva d' ogni parte
lettere dissuasorie: <che si guardasse bene, poi ch'era fermo
consiglio della regina struggere per qual si fosse maniera i
protestanti: una straniera, e italiana, e nata da sangue di papa,
dotata d'ingegno toscano,, scaltrissima, non poteva non mac-
chinare insidie estreme; guardasse a quale scuola fosse il re
educato: come gli fosse persuaso che non sopportasse altre
religioni nello stato, se non se quella a cui lo stato stesso si
appoggia, secondo la sentenza di Machiavello suo maestro. » — ^
Ed ecco il segretario fiorentino comparir sulla scena, come
propugnatore della civile intolleranza, come conciliatore del
meretricio amplesso fra lo stato e la chiesa e istigatore al-
l'oppression della libertà.
Dopo siffatte premesse, non è da maravigliare s'è' si trova
chi su' suoi omeri gitta il carico dell'attentato alla vita dell'am-
miraglio, anzi delle stragi delle nozze di sangue. Anzi e' dovrà
parerci ben naturale che in cosi fervido ambiente e in mezzo
a tanto accecamento di rabbie, uno fra i calvinisti, de' quali il
sere di Castelnau ^ scriveva che si reputava avessero assai più
ignoranza e passione che religione, sbucasse fuori con un li-
bello in cui tutte e due le qualità dal Castelnau ascritte alla
sua setta, paiono dell'autore, ad ogni foglio, chiarissime.il quale
con ogni maniera di vilipendi e d'oltraggi scagliandosi contro
del Machiavelli, gli gitta accusa d'ogni maniera di mali; e
neppure d'un briciolin di bene vuol fargli merito; anzi se in
> Db Thou: HitL^ I. Ln.
* « . . . id illi persuasum esse, ne aliam religionem, quam eam cui ipsius status innititTir,
fittta MachiaveUi doctoris sui Mntentìam in regno locum habere patiatur : alioqui nonquam
pacatam foro quamdiu in eo duae religiones vigebnnt ». - Da Thou: Hist., lib. lii. Simil-
mente nel Toctin cantre les MassaereurSy pag. 52, è accusata la regina di non fare erudire
i figliuoli nelle sxtcre scritture : « au contraire de quoy la roine a fait instniire ses enfans
ès prècéptes qui estoyent plus propres à un tiran qu*à un roy vertueux, lui faisant faire
lecon, non pas seulement des sots comptes de Perceforest, mais sur tout des traitéz de cest
athèe de Maehiavel^ dont le but a esté plustost d'enseigner le prince à se faire craindre que
aimer, et à regner en grandeur, qu*à bien regner ». - V. anche Bayle : Art. Machiavél. E
recentemente il prof. Db TitéTBRBET : VltaUa au xvi sUcle, y. i, pag. 175, vedendo colhi
immaginazione Caterina de* Medici e i suoi regali figli « itudier Maehiavel » fa gridare agli
onest* uomini: «Nous pouvonsnous atteodre à tout; le roi et la relne-mère consultent leur
mauvais livre ». —
* Castblkau: Memoires, 1. m.
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14 INTRODUZIONE.
lui ne incontra punto, è cosa d'altri, e U Machiavelli che la
tolse, n'è ladro. Del resto ei dichiara di non saper nulla della
persona di lui, se non eh' e* fu segretario fiorentino, della città
de' messeri, della patria della regina medicea. E non pure i
messeri e i medicei, ma gl'italiani tutti e gì' italianeggianti
furon confusi e compresi nel nome di machiavellici in Francia, ^
come in Germania, dove allora non si respirava che contro-
versia teologica, per italiano s'intendeva un seguace delle opi-
nioni tomistiche. * Ed è bella ventura tra le disgrazie di giorni
faziosi, esser da' nemici contraddistinti con appellativi foggiati
dal nome di due fra i più grandi figli, fra i più potenti ingegni di
Italia! —
Ma tuttavia nato l'odio e foggiato il vocabolo, l'abomi-
nazione corse a tal punto che non fu più possibile restar sotto
l'accuse. I machiavellisti eran designati come atei e crudeli
e abbandonati all'ira di Dio. * Fin le persone le più ponderate
e le più eque accoglievano nella mente il pregiudizio e la
parola di moda. E per non dire della gentile novellatrice di
Navarra, della bella regina Margherita,^ che nelle memorie sue,
per dar biasimo al Le Guast, lo chiama « nato a mal fare,
maestro di tirannide e di precetti machiavellisti » ; il Brantóme,
lascivo anche nella sua curiosità e nel suo corruccio, il Bran-
tóme stesso che tanto volentieri anteponeva l'elegante mollezza
italica alla tronfia burbanza spagnuola, che amò Caterina dei
Medici e n'affermò: « che una simile in Francia pel ben della
pace, non sarebbe tornata più », nota a proposito di don Fer-
1 « Car ne sont ce pas MachiaYelistes (ItaUem on Italianisez) qui manient les sceaux
de la Francel » Gbntillbt, 1. c.
* Catharimus: Ad Car. Max. Imp. et Higp. reg. Apologia, 1. ▼, 95 t. riferisce una
lettera di Lutbbo, che comincia: « Pervenit ad me; reverende pater, dialogus ille tane
satis superciliosus et piane totus italicas et toraisticas».
* n Gbntillbt, reca questo violento sonetto, contro a* Machiavellisti:
« Atheistes cruels, marchez vous sur la terre!
Le ciel vous couvre encor! des abysmes l'horreur
Du sang juste espandu Teffrovable terreur
Vos pamcides coeurs tient elle point en serre f
Aux hommes, au gran Dieu, osez vous faire guerre!
Loyauté, pieté, n'ont sur votre fureur
Aucun commandement? 6 mal-heureux erreur
Qui la mort et Tenfer en vos ames enserre!
Qnoy doncques, vous n*avez point des vices scuci?
Et bien, lisez un peu votre proces ici,
Helas, si pour le voir vous avez la lumière.
Et si pour vous guider vous demandiez des yeux,
Nous n'orrions tant tonner et foudroyer des cieux
Colui qui doit bientót vous reduire en poussière ».
* Maboubbits de Valois: Mèmoires, Paris, 1858, pag. 18: « Ce mauvais homme, né
pour mal faire, soudain fascinant son esprit, le remplit de mille tyranniques maximes : quMl
ne(.falloit aimer ni Aer qu'à soy-mesrae ; qu*il ne falloit joindre personne à sa fortune, non
pas mesmo ny frère ny soeur, et autres tels beaux pre<ieptes machiavelistes ». —
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DEL MACHIAVELLISMO. 15
dinando, governatore dello stato di Milano, ch'egli era tal
uomo < qui entendoit bien les> iours de passe passe^ non de
maistre Gonnin, mais de Machiavel ». *
Pertanto la fama di furbo, di tristo, di feroce,* d'ateo, era
assicurata al segretario fiorentino, malvociato e sconosciuto ad un
tempo; ma non bastava; e bisognava dargli del turco per fame
avere orrore e paura. E già lo stesso Gentillet chiama i libri di
lui l'Alcorano dei cortigiani, e il de Thou spiega a sufficienza
la frase di lui e la fa riverberare su Caterina e i messeri. ^
I fiorentini non si rimasero colle mani alla cintola, e cinque
anni dopo la strage degli Ugonotti, comparve in Lione la < difesa
della città di Firenze et dei Fiorentini, contro le calunnie
et maledicentie de' maligni, composta da Paolo Mini fioren^
tino, medico e filosofo » ^, nella quale questi piglia a rivendicare
Tonor de' concittadini non solo contro quelli che gli dicevano
non buoni ad altro che alla caviglia e al graticcio, ma spe-
cialmente contro certi che « per trafiggergli con più aguzzo
e velenoso dente, si sono ingegnati, di far credere al mondo
che siano atheisti: perchè hauendo il Magnifico Niccolò Ma-
chiavegli Gentilhuomo Fiorentino, scritto tra molti altri, un
libro, il cui titolo è il Principe, uno di essi auendo stiza con
i Fiorentini, fondatosi su certe sue conchiusioni, et interpreta-
tele a sua fantasia, le ha ad una ad una riprovate tutte, con-
chiudendo in un certo suo libello diffamatorio, che i Fiorentini
sono atheisti, perchè sono machiavellisti ». —
* Bbamtòmb: Pour ftn, qu'on dehagoule contr'eUs iout ce qu'on voudrUf jamais nov9
n'auront une tette en France si bonne pour la paiw. Mem., 65. - Id. : Vie du marechal
de Britaac.
* Un*acctisa stranissima contro al segretario fiorentino reca in campo TAuBiGNé {le9
Tragiq'oei, pag. 03) :
« Nos savans apprentifs du faux Machiavel
Ont parmi nous seme la peste da dnel ». —
* Ecco il passo del Oentillbt che forse indusse poi il Posssvino a dar del turco al
Machiavelli : « Je ne doute pas que plusieurs gens de cour, qui manient afaires d^estat, et
autres de leur humeur, ne trouvent fort estrange que je parie de ceste fa^n de leur grand
docteur Machiavel, les livres du quél Ton peut à bon droit appeler TAlcoran des Courti-
sans ». - Ecco poi il passo del db Thou che spiega V indole turchesca che si voleva attribuire
a* machiavellici : « Repetitum a biennio consilium quod Bloesis, antequam Navarrae regina
in aulam venisset, initum fuisse ferebatur, de Francia Tnrcici imperii instar sub absoluta
potestate redigenda. Ad id subomatum a Birago cancellarlo et Radesiano cernite Poncetum
quemdam^ qui post varios peregrinationes a pontifico S. Petri torque donatus ob eam caussam
vulgo eques indigitabatnr. Is ad regem, reginam Audinum introductus varia regna se lustrasse
dicebat sed nullam in iis principura plenam potestatem reperisse, praeterquam in Turcico
imperio, in quo penes summum Imperatorem omnium vitae, dignitates et bona sunt ». -
Db Thou; Hist, 1. lvii, an. 1574. Nell'opuscolo: Le Contrassasain (1612) pag. 38: « Ma-
chiavel dresse son prince à la tirannie, perfidie, et athéisme, comme un chacun peut voir
en son livre du prince ». —
* In Lione, appresso Filippo Tinghi, MDLXXvn, pag. 149.
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16 ISTRODUZIONE.
Ma il pregiudizio delle accuse sopravvive alle apologie, ^
e si dimenticò prima il Gentillet, che non il motto di cui fu
autore; anzi parve che si dimenticasse persino T origine del
motto e della persecuzione. Che venne tempo che il cittadino
Guiraudet, fidato nell'irruente libertà che infuriava in Francia
e comprimeva per un momento la curia vaticana, credette veder
disfatto per sempre il covo agli inimici del gran segretario,
e 4c i popoli d'Italia, sclamava, ricorderanno pur sempre qual
altro popolo fu V Ercole le cui frecce trafissero l'avvoltoio, e
ad essi il loro Prometeo liberarono ».^ —
Se non che l'inimicizie della chiesa di Roma non erano
che un riverbero; e i natali e i progressi del machiavellismo
fecer che sempre il Machiavelli si leggesse meno e si condan-
nasse più. Ma il paese dove il machiavellismo ingrossò e di-
ventò corpo tetro e fantastico fu sempre quello in cui era
nato; quello in cui trovò chi l'allevasse con sovrabbondanza
di nutrimento, quello in cui la storia e la critica corrono non
di rado pericolo di divenire soggettive e monocule.
E non vale che intelletti chiarissimi si provassero a rom-
per l'acque ristagnate; che il Montesquieu col suo bel frizzo
affermasse che il machiavellismo era soffocato e morto coll'in-
trodursi delle lettere cambiali; ^ che il Guizot ^ ricordasse come
quello era salito già in trono con Luigi XI, e aveva signo-
reggiato in Ispagna con Ferdinando il Cattolico ^ donde col papa
Borgia, col Valentino e col grande Consalvo ritornò in Italia.
Non valse rammemorar le massime del Doctrinal de Cour,^
^ Eneyelop. D'Albmbbet : Ari. Machiavel : « Il est Tapótre de la polltiquo trompeuse
et malfaisante, appellée de son noni, le Machiavéllisme. Il a eu dea apologistes, mais qui
n*oDt pu réassir à le disculper, ses écrits parlant plus haut qne toutea leara raisona ».
• (Euvres de 3fachiavel par Toussai2<t Guikaudbt, an. vii (1798).
s MoNTBSQUiBU, Esprit des loi», 1. xxii, e. xx.
* GuizoT, Histoire de la cinilisation en Europe, leQ. xi, pag. d69 e seguenti.
* Il Prescott nella sua History of Ferdinand and Isabella (t. in, e. xxvi, pag. 444-5)
reca: « In the first cortes after Isabella's death, at Toro, in 1505, Ferdinand introduced
the practise which has since obtained, of administering an oath of secrecy to the deputles,
as to the prnceedings of the session ; a serious wound to popular repreaentation ». - E
confuta il Capmany, il quale {Practica y EstilOy pag. 232) erra nel descrivere questo fatto
come « un arteficio maquiavelico inventado por la politica alemana ». - Al qual proposito
lo storico inglese ai compiace aggiungere : « The german machiavelism has quite aina enough
in this way to anawer for ». —
• De' migliori ingegni che fossero neiraccademia che tenevasi alla Corte dei duchi di
Borgogna, fu Pibtro Michault, che satireggiò i costumi e le maniere cortigianesche in
un'allegorìa, intitolata Doctrinal de cour, in cui scrisse questi precetti che i francesi
direbbero machiavellici. Pure il Michault mori due anni prima che il Machiavelli nascesse :
« Faites plalsir à chacun et chacune ,
Si vous tenez de cent promesses une,
C'est bien asses; mais prometter toujours». —
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DEL MACHIAVELLISMO. 17
né le sentenze del sere di Gomines; ^ seguitò sempre il ma-
chiavellismo ad andar per le bocche e per le menti di teologi,
di filosofi, di storici, di statisti, d* enciclopedisti e di roman-
zieri;^ l'odio dei Medicei si rinnovò nell'odio de'Napoleonidi:
dal Gentillet al generale Trochu e al Nourrisson le traveg-
gole non caddero; e non fu con poco scapito né degli studi
né della vita. —
Ed ora che dobbiam voltarci a considerare un'altra ma-
niera d'avversari del Machiavelli, la cui animosità era più lo-
gicamente da attendersi, siam lieti di poter consentire col
Cantini, 3 il quale osservò che in Roma, nella Roma papale
e imperiale, a dispetto dell'Indice, che si ostinò sempre nella
proibizione, non mancò mai favore al segretario fiorentino. E
fu in essa che lo Scioppio ne prese le difese, che il cardinale
Stefano Borgia si rallegrò cogli editori del 1782, e che nel 1771
si pubblicò con tutte l'approvazioni «ia mente d'un tcomo di
stato, » che è una composizione ordinata di tutte le sentenze
del grande politico, la quale sola potrebbe bastare a metter freno
potente alle accuse fatte ad occhi aperti o in buona fede.
Inoltre se si considera che il primo impulso alla con-
danna che l'ortodossìa romana sentenziò venne da fuor d' Italia,
1 n Cantò {Storia degV Italianij t. m, e. cxxx, pag. 82) reca in nota i seguenti passi
del CoMiNBS che sanno di machiavellico : « Je veulx desclarer une tromperie ou habilité,
aJDSi qu'on vauldra nommer, car elle fut saigement conduite - lì pourra sembler, au temps
advenir, à cenlx qui verront cecy, qne en ces deux princes (Luigi XI e il duca di Bor-
gogna) n*y eut pas grand fay.... mais quand'on penserà aux autres princes, on trouvera
cenls cy grands, nobles et notables et le notre très saige.... - je cayde estre certain que
cea deux princes y estoient tous deux en intention de tromper chacan son compaignon ». —
« Il Capbpigub {La réforme et la liguSy pag. 153) dice di Caterina : « Elle avait appris
à Véeole Ualienne k ne jamais désespérer de rien ; à faire servir toutes les causes à sa
fortune, à ne tenir aucun compte de la parole humaine ». - E nel primo numero della grar
vissima Revua de* questions hiatoriqìMs (Paris, 1866, pag. 26): « Sous Francois II et
Charles IX, Catherine des Médicis mit en honneur, dans la conduite des affaires, un mar
chiarelique et dangereux système de bascule ». - E il Didbbot (Code de la Nature):
«C'est effectivement sur ces détestables principes que portent les afflreuses maximes du
machiavelisme, selon lesquelles les hommes seroient, à Tegard de leurs souverains, à peu
près ce que les Ilotes étoient chez les Lacédémoniens ». - Com' è palese, per V enciclope-
dista, il machiavellismo non è più ateismo, ma sibbene monarchia sfrenata e tirannica.
Cosi ancora neW AntimachiavéUsme ou refleacions métaphiaiques sur Vauthorili en gene-
ral et sur le pouvoir arbitraire en partieulier, en forme de lettre» addresièet a Mr. L.
Z. B. par Mr. Vabbé de Buquoy, à la Haye ». Chez M. Scheurleer, né del Machiavelli
né del Machiavellismo si tiene espressa parola, ma si suppone che per esso intendasi po-
tere personale e signoria d'arbitrio. E il Noubbisson {Machiavel. Paris, 1875): «Le Ma-
chiavelisme, qui est une corruption humaine, n'est pas moins, à beaucoup d*égards, une
comiption essentiellement italienne». - E più oltre: « Qu'on ne s'y trompe pas! Machia-
velismo, matérialisme,'athéisme sont les termes intégrants d*une seule et méme equation».
- E finalmente, perchò le sentenze deirodiemo filosofo morale non perdano a fronte delle
teiòcchesze del padre Luccheslni; « Machiavel, qui passe pour étre le maitre des fourbes^
est bien davantage, malgré son genie, je ne dirai point, si Ton veut, maitre de sots, mais
le maitre des petite politiques ». ^
* Contini, MachiavelU e U »uo centenario, 1868.
ToMMASiNi - Machiavelli. 3
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18 INTRODUZIONE.
SÌ parrà chiaro che la cooperazione di questa alla formazione
del machiavellismo è assai minore di quel che generalmente
si crede. E sarebbe forse stata anche minore, se, suscitato
l'odio e coniato il vocabolo, quando si volle che gesuita e ma-
chiavellico valessero la stessa ' cosa, non si fosse sentito spa-
vento che tutta la chiesa romana si avesse a chiamare ma-
chiavellica.
Pertanto, per quanto mai grande fosse l'autorità del
cardinal Polo, non bastò sola, in sul principio, a rompere
r ammirazione, con cui gli scritti di Niccolò eran già stati ac-
colti anche dai papi. Né il Machiavelli fu altro pel cardinal
Polo, che un fantasma triste, in cui personificava tutte le scia-
gure della sua patria britanna. Nella quale tornatosi, dopo i
suoi studi platonici d'Italia, e trovatala sconvolta dietro la ri-
forma d'Arrigo Vili, consigliato da Cromwell, uomo nuovo
alla Corte e per la confidenza reale presuntuosissimo, ebbe di-
spetto di quella novità; dispetto di veder tenuto in poco pregio
i suoi studi accademici e di sentir dal Cromwell magnificato
uno scritto di tal uomo per verità moderno, ma pieno d'acume
e d' ingegno, scriptum honiinis moderni quidem sed ingenio-
sissimi et acutissimi, in cui, senza le aeree speculazioni pla-
toniche, si trovavano gettate le vere fondamenta d'una nuova
arte di stato.
E quando poi, dopo lunga curiosità venne a conoscere
che quello scritto era intitolato II principe, e che autore erane
il segretario fiorentino ; inorridì del libro e dell'autore, che al
tutto indegno gli parve di si gentile cittadinanza; e mettendolo
in un fascio col suo abbominato Cromwell,^ riconobbe da lui
la feroce tirannide regale che staccava l'Inghilterra dalle tra-
dizioni avite, e tornò in Italia determinato a sollecitarne la
condanna.
Ma non ebbe a rimanere mediocremente ammirato, all'ac-
corgersi come non pochi, e fra i più delicati e netti de' concit-
tadini di esso, l'avessero in grande stima ed onore, abbattendosi
cosi primo fra gli stranieri nell'accoglienza che trovarono tutti
coloro che si fecero in Italia, e più particolarmente in Toscana,
a lacerare la fama del Machiavelli ;*.i quali s'udiron ripetere
* « Hoc saltein in quo reliqua omnia expriinuntur : ut sub praetextu relìgionis suìs de-
«ideriis et cupiditalibus (princeps) inserviat, in quo uno tota doctrina Machiavelli et
CromwelH continetur », Polo, Apologia, pag. xxxii.
• L'ÀRTAUD (3/. son genie et ses erreurs. Paris, 1833) scrive : « La Toscane tout en-
tiòre, ou mère oi^eilleuse d* un tei fils, ou mère indulgente ne pense pas à le reprouver ».
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DEL MACHIAVELLISMO. 19
che troppo più facile riesce riprovarlo che intenderlo. Tuttavia
il cardinal Polo non era autorità leggera; ed essendo egli uomo
di chiesa purissimo, ed entrato a Padova ed a Venezia nella
società italiana dei letterati teologi, che nell'autorità de*costumi
e nell'afifermazione conciliante di sue dottrine preparava il rin-
giovanimento della virtù cattolica, seppure non riusci a far
pronunciare la condanna, ebbe non piccola parte ad intiepidire
la calda ammirazione di lui e delle sue opere.
E tanto più, in quanto che in Italia, fin da quando il primo
disciogliersi della unità religiosa irritò la mente ai tenaci ddle
tradizioni e li rannodò nella necessità della difesa, si splancò
largo campo a controversie e diatribe di teologanti. E poi che
la corrente delle idee nuove s'avventava con tutta foga ed im-
peto, fu ogni studio ad opporle argini, ad impedire, per dir
così, che sopra maggior letto non traboccasse. E poi che la
fatale disgregazione dal romano centro compievasi, a tutti quei
fatti che Tavean preceduta, ch'erano indizi e si pigliavano per
cause, si cominciò a gridare la croce addosso; e dovunque pa-
resse ombra di dissidio dalla centripeta violenza medievale, ivi
si cominciò a fiutare eresia; e quel giudizio, ch'era retroattivo,
parea giusto. *
Combattere la riforma in Germania importava combattere
anche il rinascimento in Italia; e però se da una parte si fa-
ceva controversia dell'efficacia della grazia divina, dall'altra
le umane discipline e la scienza, che allo splendore ?*iflesso del-
l'antichità avean rinverdito, si detestarono; e neppur come an-
celle delle sacre lettere si volean tollerate, poiché Agar pur
come ancella era stata cacciata di casa. ^ Così il Petrarca e
il Boccacci si ricacciavano tra' libracci da detestare, e il Sa-
vonarola ed il Machiavelli si trovarono appaiati nel novero degli
autori vitandi, l'uno come falso profeta, l'altro come precettore
d'eretici .2 I motivi estrinseci che determinavano la nuova accusa
- E il Oervinus {Histori»^k0 Schriften, 216) : « Es sìnd seine Landsleute, die ihn auch
«pater, wenn nicht mit tiefem l}rtheìl, doch mit richtigerera Takte aDgesehea haben, als
die OermaDen ; und anter diesen sind wieder Leute, die den Zeiten und dar Denkart der-
selben naher standen, wie Bacon, Conrin^y und andre, billiger und verstiindiger gewesen,
als die Spateren, bei denen das Geftihl der Huroa«LUit und Piet&t die Schiirfe der Forscbung
nicht Kuliess ». —
» Bbccatelli. Vita del card. Polo neWEpistolae Card. Poli, voi. v, pag. 385.
* Enarratìon€8j r. p. f. Ambbosti Catharimi Politi, SaneyisìSy archiep. Compsani in
quinque priora capita libri geneseoSj^^Ag. 341. Romae: apud Ant. Bladum, e. a. typgr.,
MDLn. È singolare, ma novello testimonio della sciagura la quale incontra in tempi di faaionì
e di lotte, che nemmeno al cardinal Polo riuscì di conservare intatta la fama dell* indole
sua e rispettata la costanza delle proprie opinioni. V. VEstraUo del processo del Carf%9'
secchi (fra i Monumenti della Società di storia patria, Torino, pag. 801) in cui ò deposto
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20 INTRODUZIONE.
del Caterino erano identici a quelli del Polo; e Tanno 1552
corainciò a volgere del tutto infesto alla riputazione di Niccolò;
poiché circa a questo tempo si cominciò a lamentare che i libri
suoi si vendessero pubblicamente, che dominasser le reggie dei
principi, e corresser per le mani dei popoli ; e precisamente in
quest'anno il Biado, quel Biado stesso che aveva avuto da Cle-
mente VII privilegio per l'edizione delle istorie del Machia-
velli, pubblicava a Remale Controversie del Caterino; il Tor-
rentino a Firenze il trattato de nobilitate Christiana di Geronimo
Osorio; e il libro stesso del Polo, quindici anni innanzi composto,
solo circa a questo tempo si cominciò a pubblicare. ^
E coirOsorio e col Bozio s' introdusse un nuovo rigagnolo,
del quale il machiavellismo s'accrebbe; poi che questi non da fatti
estrinseci furon condotti ad avversare gli scritti del segretario,
ma col pigliarne una proposizione isolata, e con quella sola colo-
rare tutto l'uomo e tutte le opere, dettero agio a foggiarsi tanti
bersagli d' idee sìngole, che si chiamarono tutte il Machiavelli,
e strette insieme, il machiavellismo ; e che non rendevano più
chiara immagine dello scrittore fiorentino, di quel che facciano
d'un paesaggio vastamente inondato, qualche palo o comignolo qua
e là vagamente sporgente dall'acque; e questo nuovo lavorìo teo-
logico accoppiandosi a quel primo impeto della passione francese,
dette ansa e fiato più lungo all' ibrida prole, che volea per forza
arrogarsi la paternità dal nostro grande politico. L' Osorio trattò
il Machiavelli da scrittore impurus atque nefarius, per es-
sergli sembrato dispregiatore del cristianesimo ; * e il Bozio scio-
rinò tre trattati contro di lui, per mettere in voga questi
tre assunti: l'uno, che gl'imperi dipendano dalle vere virtù;
l'altro che la religione cattolica non aveva ammorbidito gli
animi e spogliatili di valore bellico; l'ultimo, ragguagliando
il vecchio e il nuovo stato d' Italia, che questa non si fu mai
più felice d'allora quando soggiacque all'autorità de' ponte-
fici. 3 E qui ci è d'uopo fern^arci a considerare il modo che si
del pio cardinale : « Ma mi pare bene che quel signore sia stato molto infelice nella sua
morte, qaanto al mondo, essendo restato in opinione a Roma di lutherano, et in Alemagna
di papista, et in corte di Fiandra di francese, e in quella di Francia di imperiale, ecc. »
« V. P. P. Vbrgebii, Praefalk> oA R. PoU britanni prò Bccl. unii, dsfenaione. mdly.
Argentorati.
* Jer. Osorii. De NobUUaU ekritHana, 1. ni, Florent. 1552, pag. 46.
* Bozius Th. De Imperio virtuUs, noe imperia pendere a wiria viriutihui non a 9i-
mulatie, 1. ii, oekwrsiM MaeìùaneUum. Coloniae, 1594. - Idem : De robore bellico, din-
tumii et amplia eatholieorum regni», 1. i, adft. M., Coloniae, 1594. - Idem : De Italiae
$tatu antiquo et novo ado. M., 1. it, Coloniae, 1505. - (Noi avemmo innanzi Tedix. romana
apud Guglielmum Facciottum, 1596). - Il Mobl, quantunque trovi nel prete filippino una
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DEL MJiCHIJiVELLISMO, 21
tiene da* combattitori deUe lotte cieche, mosse più per passione
occasionale, che per ragione di scienza.
S'incomincia col trar Tavversario fuori del suo ambiente,
col portarlo fuori del tempo suo e non curarsi di riconoscerne
l'individualità, né della persona né degli scritti; col guastarne
la sintesi, coU'alterarne le proporzioni, con far comparir prin-
cipale quel eh* è accessorio, e nascondere tutto il corpo, mo-
strando un neo. Quindi neppure quel neo si va più a guar-
dare proprio su quel corpo, ne' di questo si va più dirittamente
a smembrare una parte, ma si sta sulla fede di chi Tha già
visto, dissecato e notomizzato; e seguitando a tagliuzzare e
cincischiare la particella messa in giro, se ne fa tanto più
ciancie quant'essa più s'assottiglia. Vedemmo già la ventura
che corse il Machiavelli ne' primi stadi della lotta, lo vedemmo
sempre più mal compreso, quanto più l'ultimo crepuscolo del
rinascimento imbruniva, e i suoi dettami si pigliavano alla spic-
ciolata: ora incomincia ad esser confutato e non più letto. Gli
scritti del Possevino e del Ribadeneira rimangono primi testi-
moni del nuovo metodo. Quegli, colpito, a quanto ne pare, dalla
lettura del libello del Gentillet, né d'altri argomenti giovan-
dosi che di quelli tolti a prestanza dal fanatico calvinista, in-
sieme con altri parecchi scrittori di politica piglia a saettare
il Machiavelli in modo, che del trattato del Principe, che è
breve scritto e d'un sol libro, egli intravide tre libri, pigliando
forse abbaglio coi discorsi intorno alle deche; e, con istraor-
dinaria confidenza si fa a richiamar citazioni in margine del
libro terzo del trattato del Principe- Che se la fretta volesse
addursi a scusa di tanta trascuranza, converrebbe anche inflet-
tere che la fretta dismaga V onestà ad ogni attOy secondo scrisse
Dante; e tanto più la è disonesta e condannabile, quanto si è più
solleciti a' danni altrui. Ma questo siam certi che anche quel
reverendo padre l'avrà riflettuto; a detta del quale, Niccolò fu
organo di Satana, autore pestilenziale, cui se non mancò in-
gegno e acume, fece total difetto la pietà e l'uso della vita;
che se in religione e' fu ateista, fu maomettano in politica. ^
sfacciataggine inandiu nel torcere a suo modo la verità de* fatti, dice pure di queste tre
opere : « dieso BQcher aind denn in ihrer Art hòchst merkwUrdig ». - Il Chbistio giudicò di
essi, che anche pel loro titolo venisser meno alle regole della giusta contradixione : « Haec
ille neque uaquam, quantum scio, falsam virtutem vera meliorem, aut pendere imperiorum
bona a aimulatis virtutibus dixerat, ut agnoscas etiam titulum peccare adversua leges
jastae contraditionis ». Chustxo: De Nic. Mac., 1. i, pag. 31.
i V. AifT02<ii PossBViNx 0 S. J. : /udtctum d» Nua, lohan BoéUno, Ph. Morneo, y.
Machiavello. Romae, Ex. typ. Vaticana, 150S. - Ibi, pag. 188 : « Viden hinc Mahometismnm
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» INTRODUZIONE.
Ed è chiaro che lo fu, perchè in Francia l'opere di lui erano
state chiamate YAlcoran des Courtisans,
Ma se in Francia esso e i messeri erano stati confusi e
maledetti insieme, siccome quelli che pareva istigassero la regina
a non tollerar altra religione che quella in cui lo stato s'ap-
poggia; in Spagna doveva essere sbatacchiato per opposta ca-
gione ed accusato come duce di quei politici che gridavan
pace alle guerre religiose; e accomodatisi già a veder fran-
tumata la violenta unità della fede, promettevano tranquilla
convivenza .civile sotto la fede tollerante e la difesa impar-
ziale dello stato.
E il Ribadeneira, reverendo anch'esso, sollecito d'avventar
nell'animo dell'infante, che avrebbe dovuto succedere nel reame
a Filippo II, tutte quelle fiamme d'ira cattolica che potessero
bastare a consumar l'eresia, scrisse della religione e delle virtù
del principe cristiano, coli' intento di mostrar che que' politici
eran la peste della religione e che e' pigliavan l' imbeccata dal
Machiavelli. ^ Così il pregiudizio teologico politico facea carico
a questo di gettar le fondamenta dello stato odierno, qualità
che taluno dei moderni giuristi poi gli volle negata, come s'ei
nuU'altro avesse saputo intravedere al di là d'Aristotele e della
costituzione dell'antiche repubbliche.
Se non che l'ultima perfezione del machiavellismo, com'ei
venne concepito dai dommatici curiali, occorre in un opuscolo
del Fitzherbert, * nobile sacerdote angle, il quale agli sdegni
già preconcetti contro ai politici e al loro gran maestro, ag-
giunse una sua particolare irritazione pel metodo comparativo
inaugurato da Niccolò nelle discipline politiche. L'aver questi
osato di mettere accanto e a parallelo il santo ré David e Fi-
lippo di Macedonia gli fa scandalo grave, e il Fitzherbert non
palam statui 1 » - Sulle inesattazse del PosseWno fu primo a scrivere Herman Conrino :
Nicolai Machiavelli princeps, Helmestadiì, 1600, pag. 9. - V. anche Christius : De Nicolao
M.y pag. 72,
' Ribadeneira T.: De religione et virtutibus principis ehristiani ckdv. Machiavellum,
1. n, Madrid, 1597 - ejusdem : « De ùmulatione virtutum fugienda ». - Nel primo di questi
trattati (1. i, e. it) leggesi : « Però la diferencia que aj entre los politicos y nosotros es,
que ellos quieren que los principes tengan cuenta con la religion de sus subditos, qual-
queira che sea, falsa ò verdadera; nosotros queremos que conosca que la religion catho-
lica es sola la verdadera, y que à ella sola favorezcan ». - E Podio de* cattolici contro
a* politici doveva essere anche rinfocolato da un brano del citato vaticinium di Lutero:
« Nostri cum a legibus Papae liberi sint, volunt etiam a lege Dei lìberi esse, nihil nisi Po-
litica sequi, sed sic, ut sub illis quoque prò libito sint». —
* Fitzherbert : An sit utilitca in icelere, rei de infelieitate principis MachiavelUei
contro Machiavf^Uum et politicos ^us seetatores. Romae, mdcx. Lo stesso autore ampliò
e tradusse in ingl.'si* l' opera cominciata in latino e l'intitolò- Th. Fitzherbert: The sacond
pari of a treatUe concerniny poliey and religion printed wUh lieehce of super tors^ IdlO.
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DEL MACHIAVELLISMO. «3
si trattiene di chiamamelo empio. ^ E il veder comparire in
scena un nuovo capo d'accusa, darebbe a credere che il zelante
controversista avesse preso conoscenza diretta dell'autore da
lui impugnato; se non che l'elenco delle proJ)osizioni ch'egli
chiama « Jifcichiavelli oc poliiicorum paradoxa » , che mette
in sul principio dell'opera sua, ci libera di leggieri dal rimanere
in questo supposto.
Or ecco i paradossi donde trae sostanza il machiavellismo,
a senso della scuola doramatica : * ^c che l'onestà e l'utilità stanno
ciascuna di per sé, e non hanno che fare una coll'altra - che
lo stato è fatto pe' principi, non i principi per lo stato - che
più debbo a se stesso il principe che alla pubblica cosa - che
quel che è danno dell'universale può esser vantaggio del prin-
cip9 - che v'à saldo e utile potere fuori della virtù - che il
principe debbo essere ottimo o* scelleratissimo - che i tiranni
possono colla crudeltà e scelleraggine conservarsi in istato -
i morti non mordono - odino, purché temano - dividi e impera
- tiranno che rabbonisce non si conserva - la tirannide é fon-
> FiTZHKBBEBT, pog. 180, cap. XIII : « Itaque nimis execranda est, tum nequitia tum
impadentia Machiavelli qui ausus est Davìdem cum Philippe Macedoniae rege parricida,
perfido, periuro, Dee et hominibus exoso atque a suis tandem occiso consociare; an sanctie-
shnu» rex propheta, verum optimi principia exemplar cum sceleratissiroo tyranno, aliquid
commune habere potuit, ut nequissimo Machiavelli principi sceleris exemplo esse possetl »
- Né questa accusa sorprende in un teologo; ma chi non maraviglerà che Federico il
Grande, U quale credeva che, uinanamente parlando, Mosé fosse un uomo « «i peu hahiU
qu'il conduint le penple juif pendant quaranta annèes par un chemin qu'il auroienl
très commodement fait en six ssmainés », facesse al M. rimprovero d'aver appaiato Mosò a
Romolo, a Ciro, a Teseo; e ne lo tacciasse dMrriverente sconsideratezza? (V. Antima'
ehiaveì, eh. vi).
* « Principio late quae dein praecepta sequantur
Digna vide, rivosque impuri respice fontis:
Nempe licet quodcuroque juvat. Non vincula regem
UUa Hgare valent, nec habent perjuria crimen :
Causaque se facilis violandi foederis oifert,
Ficta licet : vario quam obvolvere juris amictu
Conveniet. Si nulla subit, si deficit omnis
Justitiae, jurisque color, neque taedia pacis
Ferre vales, vicina dolis vexare memento
Regna, nec opprobriis dubita proscindere, donec
Arma lacessiti cogantur sumere reges.
Te propriae tlmeant gentes, nomenque tyranni
Laetas ama, nec amore animos vincire labores !
Nexus amicitiae scissa procul exulet aula!
Divide Goncordes animos, sere semina rixae
Perpetoae alternisque alius conatibus obstetl
Quaeris religio quae praestet? Nulla tenenda
Regibus. Est sua cuique deus fortuna: nec auro
NobiliuB tote dominator in aetere numen.
Scilicet haec illa est species et forma politi
Principia
{De Inatitutione principi» LrviNi MBTBBn in eiusdem
Poematuntf 1. xii, Bruxellis. 171^^).
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84 INTRODUZIONE.
data sullo stesso diritto reale e suirautorità delle sante scrit-
ture - il' buon successo de' tiranni è a riferire al caso e non a
divino giudizio - David e Mosè fondarono su molte stragi il
loro impero - parecchi s'appresero alla tirannide impunemente ».
La maggior parte di queste proposizioni sono d'una catti-
veria sciocca e puerile; tuttavia mostrano un lato nuovo del
machiavellismo ; ^ il quale non sarebbe più frutto d'una mente
prescindente e sperimentale, ma cercherebbe appoggio e fon-
damento nella tradizione. In picciol corso d'anni non può un
sistema mostrar più facce, né tollerar più trasformazioni. Che
se papa Paolo IV e il concilio di Trento^ trovaron già la lettura
1 E così può spiegarsi :
«... quel bello
Opuscolo del padre Lucchesini
Odo trattò di e .^ . il Machiavello ».
Ma non fu solo: il padre Gio. Maria Muti dell'ordine de* predicatori nel suo Trono di
Salomone a sia Politica di governo a tutte le nazioni del mondo, dove $' impugna U Ma-
chiavelli, si combatte il duello, si erudiscono i principi nel governo : con altri premurosi
Trattati, ecc. gli dà dell'ateo, falsario, ignorante, sciocco, caparbio e scimunito. - V. Scru-
tinio contro la ragione di Stato, in fine. •> V. anche Mr. Vannozzi : SuppelletUe d'avvocato
politico, ecc., Bologna, 1609. - Cosi il Possevino, il Ribadbnbira, il Qbntillbt. Fbdbbioo
DI Prussia non esitò a scrivere : « Si la mechanceté de Machiavel fait horreur, son rais-
sonnement fait pitie, et il auroit mieux fait d'apprendre à bien raisonner, que d'enseigner
sa politique monstrueuse » {Examen du prince, eh. v). - Il Cantò all'incontro lo trovò
sempre inesorabilmente logico, e glien fece addebito. {Storia degl'Italiani, v. 3, pag. 79).
* Paolo IV, nel 1559. Il Concilio nell'Indice del 1564. Nel 1573 si prese a espurgare
da due nipoti Giulian de' Ricci e Niccolò Machiavelli; e s'intavolarono trattative perchè
ne fosse permessa la ristampa. (V. pref. all'ediz. fior, del 1872, pag. lxvi). Nel I57S le trat-
tative per la revisione, delle opere del segretario paiono incominciate, ma la strage di San
Bartolomeo, l'opuscolo del Gentillet, la voga del machiavellismo furono forse occasione a
interromperle e a non ragionarne più mai. - Sotto al savio e liberale governo di Pietro
Leopoldo in Toscana sì prese a condurre una edizione nuova delle opere del segretario, con-
fortata e aiutata dal vescovo di Pistoia, Scipion de' Ricci, discendente del Machiavelli
stesso ; la Curia per mezzo del nunzio Crivelli cercò opporvisi, ed è pregio dell'opera rife-
rire dalle Memorie del Ricci il brano in cui ragguaglia de' suoi destreggiamenti in questa
occasione :
«... La Commissione (della edizione delle opere) era specialmente appo^ata all'abate
Regìnaldo Tanzini che, non senza l'aiuto dell'abate Bartolomeo Pollini, allora mio segre-
tario, aveva già posto mano alla collezione delle opere. Era pur noto che possedendo io
molti manoscritti del Machiavello, il cui ramo si era estinto in una femmina maritata ad
un mio antenato, il Tanzini aveva tutto il coiAodo di profittarne. Giuliano de' Rìcci, celebre
antiquario e ascendente dell'altro ramo di cui io sono stato l'unico erede, nasceva d'una
figlia di Niccolò; ed essendo stato deputato insieme col canonico Niccolò Machiavelli, suo
cugino, alla rivista delle opere di quell'insigne uomo, molte cose aveva già raccolte e molte
lettere con somma diligenza copiate onde poterle dare alle stampe coU'annuenza di una
Congregazione di cardinali, deputata apposta in Roma.
« Ma questa lunga fatica, non saprei dire per qual cagione, non portò altrimenti quel
felice effetto che ebbe già una non dissimile per il Decamerone di messer <}iovanni Boc-
caccio. Io dunque che, oltre diversi rispett(ibiU Codici, avevo ereditato questa preziosa col-
lezione, di tutto feci parte all'editore, perchè arricchisse la nuova raccolta delle opere di
Niccolò; e dei lavori di Giuliano profittasse per renderla più copiosa e per fare una con-
veniente apologia alla religione di lui, contro coloro che lo condannano senza conoscerlo.
Il nunzio Crivelli, vedendo che il vicario dell'arcivescovo e due preti suoi aderenti, tra i
quali lo stesso suo segretario, avevano la maggiore influenza nell'opera, credè sicuro il
poterla fare abortire fino dal suo principio, impegnando l'arcivescovo a secondare le mire
della sua Corte. Rinnovò le doglianze contro la stampa .del Racine, ed eccitò lo zelo del
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DEL MACHIAVELLISMO. 85
dell'opere del Machiavelli pericolosa e non da tutti, fecero cosa
ragionevole, poiché l'Indice c'era, a confinarcele; e l'avrebbero
fatta pur caritatevole per la fama del gran segretario se questo
sovra tutti avesse valso a impaurir l'animo a quegli ascetici bur-
banzosi, che larghi di zelo tanto, quanto angusti dell'intelletto,
si crédettero abili a leggerle e confutarle. Né la riprovazione
pontificia sarebbe stata così tenace, da non lasciar vivere i libri
del maggior politico del nostro rinascimento, della stessa vita
che concedeva a quelli del Boccacci o dell'Ariosto ; da non la-
sciarli cioè ricomparire, come allor dicevasi, espurgati ; ma il
machiavellismo cominciò a nascere, e l'odio del nome fu sur-
prelato a impedire la pubblicazione di tanti libri che offendevano, secondo lui, la Chiesa e
distru^evano la religione, quantunque in sostanza non s'intendesse che di quei che com-
battevano le false pretensioni della sua Corte.
« L'arcivescovo non si attentò a parlarne meco né col mio segretario. Chiamò a so
Tabate Tansini, ed introdottosi a ragionare della stampa da lui intrapresa delle opere del
Machiavello, lo esortò a desistere da questa idea; e poiché ebbe inteso che la cosa da lui
si faceva d'ordine di Leopoldo, cominciò a distorlo col timore delle censure, trattandosi di
autore dannato.
« Il Tansini lo assicurò di avere tutte le opportune licenze. L'arcivescovo <^e ben ca-
piva essere esso stato da me autorizzato alla lettura di quelle opere, gli disse che tal fa-
coltà non si accordava ad alcuno se non in casi ben rari, e che per sua quiete avrebbe
voluto vederla; intanto lo avvertiva a non aggravarsi in coscienza, proseguendo il lavoro
senza le debite permissioni. Il Tanzini dunque, ripetendogli in voce di avere ogni più ampia
facoltà, si esibì a portai^liene un riscontro in carta. Contento di questo, il prelato con tutta
amorevolezza lo licenziò.
« Era quel giorno di venerdì, ed angustiato il Tanzini per l' impegno preso, mi raccontò
subito il successo per trovare un mezzo di disimpegnarsi con buona maniera dall'arcive-
Bcovo. Io dunque per la posta di Milano scrissi a Roma al conte Girolamo Astori, mio
amico, perché in tutti i modi, e con quella spesa che potea occorrere, mi spedisse due am-
plissime licenze di leggere libri proibiti, e segnatamente il Machiavello, per l'abate Tan-
zini e per il mio segretario, abate Bartolomeo Pollini. Nel martedì della susseguente set-
timana, vale a dire dieci giorni appresso, ricevei da Roma le due licenze nella più ampia
forma, colla tenue spesa di venti lire fiorentine. Portò immediatamente il Tansini, che n'era
richiesto, la sua licenza all'arcivescovo, il quale, sorpreso della facilità e ampiezza del
rescritto di Mamachi, e soddisfatto della parola datagli, si restrinse a esortare il Tanzini
a non assicurarsi di tal licenza nel caso che potesse sospettarsi del vizio di orrezione o
di surrezione ; ma essendosi quello subito licenziato per non entrare in ulteriori discussioni,
Cessò ogni questione su tal proposito.
« Riuscite cosi a vuoto per questa parte le premure dell'arcivescovo, é naturale che
non per questo desistesse il nunzio da tentar nuovi mezzi per servir la sua Corte. Infatti
dopo qualche tempo trovandomi io a trattare di affeirì coU'arcivescovo, mi entrò egli a par-
lare della stampa che si faceva del Machiavello, per cui aveva il nunzio, d'ordine di Roma,
avanzato le sue istanze al sovrano per impedirla, ma inutilmente. Quindi soggiunse che
sopra tutto gli dispiacevi^ il sapere che vi fossero in questo lavoro intrigati dei preti suoi
diocesani. Non si azzardò a nominarli, ed avrebbe pur voluto che io medesimo gliene dessi
un motivo ; ma stetti bene all'erta, e destreggiandomi in buona maniera, feci cadere il di-
scorso sopra la dicitura del Machiavelli, che potea in genere di storia darsi per modello
ad ogni scrittore.
« Egli che all'amena letteratura univa un genio grande di bene scrivere, entrò volen-
tieri a parlare del merito di quell'autore, convenendo ne' giusti elogi che ne faceva mon-
signor Bottari, ed altri da me addottigli. Entrando poi a parlare dei suoi discorsi politici,
di cui faceva molto conto, io gli soggiunsi che il trattato del Principef che era stato il
principale oggetto delle declamazioni contro quell'autore, non era stato da molti inteso ; che
finalmente il Machiavello era morto nella cattolica comunione, e che, come buon cristiano,
era stato munito prima di morire dei sacramenti e quindi datogli in Santa Croce ecclesia-
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26 INTRODUZIONE.
rogato alla paura della cosa. Fino a quel punto il Principe
e i Discorsi s'eran trovati per le mani d'ognuno che la pre-
tendesse a dottore, negli scaffali d'ogni libreriola che la preten-
desse a biblioteca. Del celebre segretario fiorentino si sentenziava
come il don Ferrante dei proméssi sposi, ^ « birbo sì, ma
profondo », ma d'allora in poi si trattò di anatomizzarlo, di bru-
ciarlo in effigie, coi gesuiti d'Ingolstadt,* d'apprestargli il ca-
pestro, col padre Muti, di spiccargli la testa in una col suo
abborrito sistema, come volle il Clemente. ^ Fino a quel punto
il Giovio soltanto, negli Elogia, avea malignato de' fatti di lui;
poi il vescovo di Reggio scriveva piacergli che Niccolò non
fosse nella memoria degli uomini in cattivo concetto; ma dal
Gentillet, in poi, che pur confessò non conoscerlo; la persona
etica sepoltura. M* interruppe bu questo Tarcivescovo parlandomi con qualche trasporto di
una edixione di questo trattato ch*egli aveva assai bella, e di cui faceva gran conto par
essere munita delle note di Amelot. Volle anzi, con suo incomodo, salire alla libreria ch'era
nel piano superiore, e farmi vedere questo libro. Si parlò quindi delle varie edizioni che
ci erano delle opere di quello autore, dei manoscritti che io possedeva, della Congregazione
deputata dei cardinali, e della commissione data a Giuliano de* Ricci e al canonico Niccolò
Machiavelli per pubblicar tutte le opere con pubblica approvazione, appunto come si era
fatto del 'Decamerone del Boccaccio. La conversazione sopra- di ciò andò tanto in lungo
che, fattasi Torà assai tarda, dovei licenziarmi, e cosi il discorso, a istigazione del nunzio,
era stato introdotto per fare abortire nel suo principio la stampa intrapresa, fini colPelogio
dell'autore; e per quanto potei comprendere, l'arcivescovo si trovò assai soddisfatto di es-
sersi per tal modo disimpegnato dalla commissione avuta dal nunzio, a cui, senza compro-
mettersi col Oovemo, potè dire che i tentativi fatti per impedire questa stampa riescivano
inutili ».
1 Manzoni : Promessi Sposiy e. xxvii. - E Grbgorio Lbti, nel Ceremoniale historico e
politico, Àmsterdamo, 16S5, parte iv, lib. ix, pag. 726, volendo preparare la biblioteca di
un ambasciatore « Niccolò Machiavello, dice, di patria fiorentino e di famiglia mediocre
si presenta il primo, e forse ch'ò il primo di cui tanto s'è parlato del mondo ». - Ne racconta
poi molto inesattamente la vita ed agff'iunge : « Compose diverse opere che corrono da per
tutto con massime cosi pericolose che lo fanno stimare lo scorsone della politica, e, quel
ch'è peggio, da quei che meno 1* intendono e che non l'hanno mai letto ». —
' Scioppius. Machiavellica: « . .'. quamvis etiam Innocentium nonum magnae prudentiae
ac virtutis pontificem longe benignius de Machiavello judicasse ac de ix\juria per aliorum
invidlam ei facta suspicatum fuisse, ex Thoraae Bozii indicio cognoverim ». - Nella sua
apologia del M. lo Scioppio sostiene tre assunti : io che una cosa medesima si può in diversi
tempi e permettere e vietare; 29 che ci sono gravi cagioni perchè la chiesa non permetta
la lettura delle opere del M. se non a persone prudenti e pie; 3^ che ci sono buoni argo-
menti perchè la medesima chiesa nel 1531 approvasse que' libri e li lasciasse pubblicare;
e poi gli vietasse. - Oltracciò, per rispetto ai rigori che contro l'opere e la fama del Ma-
chiavelli si esercitarono fuori di Roma con maggior violenza, non sarà fuor di luogo citare
la seguente lettera di Lbonb Allacci: « all'Ill.mo sig. mio P.ne Colendiss.moil sig. D. Oio.
Vintimiglia, Messina. Di Roma gli sette di marzo 1059. - Mi maraviglio della difficoltii per
non dire stranezza di cotesti loro revisori di libri, che vonno essere più stitichi che non
sono questi di Roma« li quali senza fare altra difficoltà hanno data la licenza che la mia
Drammaturgia si potesse stampare. Ma al peggio, quando non volessero che si nominas-
sero gli autori, gli quali essi pretendono che non si debbano nominare, si haverebbe potuto
supplire col principio del nome e del cognome, come a dire N. M. in loco di Niccolò Mi^
chiavelli, P. A. in loco di Piero Aretino, e similmente, se vi è. qualche altro». - (Carte e
lettere dell'ALLAcci nella Vallicelliana mss).
> Cl. Clbmbntb: El Machiaveliamo degoUado por la Christiana SaÒiduria de Espana
y de Austria Alcala, 1637.
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DEL MACHIAVELLISMO, tt
di lui s*acconció in modo da corrispondere airesigenze del ma-
chiavellismo; e non pur la persona, ma» come vedremo in se*
gnito, anche Tefflgie, dovette accomodarsi alle vicende del fan-
tastico sistema.
Frattanto passiamo a considerare un'altra maniera di soc-
corso inattesa, che favori l'ulteriore sviluppo di questo. Non
era gran tempo che dalle latebre della badia di Gorwey in
Westfalia era balzato fuori, risuscitato da Angiolo Arcim-
boldo, Tacito lo storico, folgorante nella sua forma, arguto e
tagliente nello stile, come Niccolò Machiavelli. S'eran ritro-
vati gli Annali di lui, che si credevan perduti, e in quelli la
figura di Tiberio compariva rischiarata di quella luce tetra
che circonda i tiranni; in quegli Annali l'amore del bene e
del retto si spandeva a tratti ironici, e nel dispetto del pre-
sente la libertà s'idoleggiava come una feliòità perduta. Uma-
nisti, filosofi, politici si gettavan su quegli Annali come su
preziosissima riconquista. Che se grande ammirazione riscossero
in sul primo apparire, quest'ammirazione crebbe di mille doppi,
morto Leone X: sotto Paolo III fu immensa, sotto Clemente Vili
parve un delirio; mala cagione di quell'ammirazione non era
più tutta negli scritti di Tacito; sibbene alcuno avea comin-
ciato a guardar dentro a quegli scritti i suoi propri tempi; a
cercarvi la regola, il precetto, la guida pratica, il conto suo.
Il grande istorico formò la delizia dei tiranni e degli uomini
liberi, ^ spaventò chi aveva paura e degli uni e degli altri, e
dette agio alla formazione d'un tacitismo, che fu pari al ma-
chiavellismo e nelle cagioni e nell'origine e negli effetti. Di
modo che Tacito e il Machiavelli corsero la stessa ventura
e s'abbatteron sovente o nell'istessa ammirazione o nel vitu-
pero medesimo. * Che gli è ben luogo a credere che se venne
> Nella Satyre menippée Tacito è chiamato : « L*autheur qui sert aujourd-hui d'Evan-
geliste à plusieurs ». —
* Il padre Rapin Oeuybes, t. ii, pag. SSS, 1725 à la Baie, dopo aver raccomandato a
chi scrìve storie che le non abbiano « cet air guindè de réflexions, qui donne méchante
opinion de colui qui les fait » aggiunge : « G*e8t en quoi Patercolus, Tacite, Machiavel,
Paul love, Davila et la plQpart des Italiens et dea Espagnols sont excessifs ». - Ed a
pag. 289 : « la politique de Tacite n'est point vraye ». - Pag. 319 finalmente esclama di Ta-
cito: «QuMl a gate d'ésprits par la faintaisie d*ótudier la politique qu*il inspire à tant
de gens, et qui est l'étude la plus vaine de toutes! C'est ou tant d'Èspagnols, comme Axh
tonio Perez, et tant d' Italiens comme Machiavel et Ammirato ont ócboué ». Chi l'avesse
detto all'Ammirato, d'esser messo a paio col Machiavelli, e da un gesuita! - Cf. anche
Adrien Baillet, lugement» des savam sur les principaux ouvrageSj t. i, pag. 137. -
O&EGOBio Leti, Li segreti di Stato de i principi dell'Europa, Colonia, 1676, p. 3, pag. 31 :
« Conosco molti di questi scorzoni, quali vestiti con le spoglie di Tacito, di Machiavello e
e di Cardano, non sanno camminare che con inganno e de' prencipi e di loro medesimi e
de* popoli». - V. id. ib., pag. 42. E lo stesso nel Proeesto della CfriUca, pag. 29. ^
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88 INTRODUZIONE.
in tanta voga scriver discorsi e commentari intorno a' civili
ammaestramenti del grande storico del romano imperio, non
fu tanto per solo studio che si faceva di lui, quanto perchè già
esistevano i discorsi sopra le deche di Livio, e coli' occasione
d'uno scrittore si tentava interpretarne e imitarne due. Lo
stesso Amelot de la Houssaye, ^ che come annotazione al libro
del Principe reca parecchi passaggi di Tacito, scrisse che ciò
faceva per una specie di concordanza che incontrava nella
ragion politica dei due autori. ^ E precisamente per questo, con
Tacito e col tacitismo si tenne lo stesso contegno che col ma-
chiavellismo e col Machiavelli.
E se ne piglino a riprova i Ragg%uigli di Parnaso del
Boccalini. Questi, che fu scrittore italiano e libero in mezzo a
un secolo spagnoleggiante e servo, dopo avere ripetuto le tronfie
espressioni con cui lo storico latino fu portato a cielo dai
politicanti, e chiamatolo sommo statista e arcifanfano di tutta
la moderna politica, vero dottor de'prencipi, pedagogo dei
cortigiani, pietra sopraffina di paragone, ^ ecc., pone in bocca
ad Apollo la seguente requisitoria contro di lui, la quale non
è se non copia di quella che avean formulato altri apollinei che
non sedevano in Parnaso, pe* quali Tacito era, « per la dottrina
politica tanto crudele ch'egli insegna, sommamente esoso; con
la quale piuttosto forma crudeli tiranni che prencipi giusti;
sudditi vitiosi che dotati di quella semplice bontà che a' prencipi
tanto facilita il buon governo degli stati, chiaramente veden-
dosi che coi suoi empì precetti i prencipi legittimi converte in
tiranni, i sudditi naturali, che devono essere pecore mansuete (e
si ponga mente a questo ideale di sudditi) trasforma in vitiosis-
sime volpi, e d'animali che la madre natura, con somma pru-
denza, ha creati senza denti e privi di corna, converte in lupi
rapaci e in tori indomabili; gran dottore delle simulazioni,
unico artefice delle tirannidi, nuovo Senofonte di una crudele
ed esecranda Tiberipedia, e vero fabbro del vergognoso mestiere
del ridere, et ingannante, del saper con facilità dir quello che
non si desidera, e nastrare di odiar quello che si ama; pedagogo
mirabile per altrui insegnar la scellerata dottrina di sopprimere
1 Ame^ot de la Houssatb, pref. al Principe.
* . . . par ou Pon verrà que l'on ne sauroit ni approuver ni condamner l*un sans Tautre:
de sort que si Tacite est bon à lire pour ceux qui ont besoin d'apprendre l'art de gouvemer,
Machia vel ne Test guère moins ; Ton enseignant comment les empereurs romains gouver
naient, et Tautre comment il faut gouvemer aujourd* bui ».
» Boccalini : Ragguaglio, xxxvii. - Id. : i2., lxxxvi, Venezia, 1612.
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DEL MACHIAVELLISMO. 29
i concetti del cuor veridico, e df solo parlar colla bocca bugiarda;
architetto delle fallacie, e cosi unico et excellente autore dei
giudici temerari che il più delle volte alle altrui scellerate
attioni ha dato interpretazioni sante, et le sante ha canonizzate
per diaboliche». E più oltre: « La vita che egli ha scritto di
Tiberio, prencipe degno del genio d'un tale historico, fa bisogno
confessare che affatto sia insopportabile, la quale, per singola-
rissimo beneficio del genere humano, ne' più occulti luoghi di
Germania per molti secoli essendo stata ascosa, con pestifera
curiosità da un alemanno, al mondo tutto più fatale del suo
compatriota inventore della mortai bombarda, nel tempo mede-
simo fu cavata fuori, che quella nobilissima provincia cominciò
ad essere appestata dalla scellerata moderna heresia, solo affine
che con prodigio tanto grande, nel tempo istesso che l'ese-
crando Luthero travagliava le cose sacre, Tempio Tacito sov-
vertisse le profane ». —
Donde è facile intendere come l'avversione di Tacito al-
l'impero romano si riguardasse con l'istess' occhio di quella
del Macchiavelli al sacro romano impero; come paressero
tutti e due infetti della medesima eresia politica, come col
Prìncipe temuto del Fiorentino si raffrontasse Voderint dum
metuant di Caligola, come il Fitzherbert inscrivesse addirittura
questo motto fra gli aforismi machiavellici, e il Bernegger ^
nelle questioni miscellanee attorno a Tacito la ripigliasse a
combattere, come fosse del Machiavelli.
Ma v' ha di più. Morto il Boccalini, domandarono i figli di
lui al Senato veneto privilegio per la ristampa dei commentari
che quegli avea fatto agli annali tacitiani, e avendo il Senato
veneto deputato una Commissione che vedesse la cosa e desse
informazioni in proposito, tutti i membri di essa furon contrari
alla pubblicazione, e Donato Morosini, un di loro, cosi sentenziò
nella sua consulta, secondo ne riferisce il Cicogna : ^ ^c E vera-
mente della dottrina di Cornelio Tacito è stato rampollo il Machia-
velli ed altri cattivi autori destruttori d'ogni pubblica virtù, i
quali da questo autore, come nelle semenze è la cagione degli ar-
bori e delle piante, hanno avuto la sua origine et il nascimento ».
1 BBBifBOOBK: Ecc. e. Comelii Taciti Germania et Agricola. QuaestUme» ntiscella'
nea^y md . cxl. Nella questione 207 riprende il M. del motto di Caligola. Nella 20S sostiene
contro di lui essere i danari il nervo della guerra.
* Cicoora: làcrixioni Venete j t, iv, pag. 365. - CoirrK F. Sclopis: Montesquieu et
Maehiavel, egregio articolo inserto nella Revue historique du droit franifai» et étranger,
1860, Paris.
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30 INTRODUZIONE.
Cosicché fu sbagliato l'ordine della parentela, ma il tacitismo
e il machiavellismo furono subito tenuti per congiunti stretti;
bensì fu scambiato il figlio pel padre, e TefiFetto preso in luogo
di causa. Da poi che i tacitisti sono al Machiavelli e a Tacito
quel che i petrarchisti e bombisti al Petrarca e al Bembo,
quel che i poeti di ricetta ai poeti di natura, quel che gli em-
pirici e i cerretani ai fllosoft. Che se qualcosa nocque al Ma-
chiavelli si fu la forma che assunse nella esposizione delle sue
dottrine filosofiche, per cui a' corti di veduta non parvero prin-
cipi che si nascondessero sotto a precetti, sicché si persuasero di
leggieri che la politica, di cui egli era stato rinnovatore, procedesse
innanzi senza cardine fisso, -come una serie d'artifici occasio-
nali, come una congerie di regole slegate e sfrenate. E fu agevole
coniarne e metterne in corso a gente che, così facendo, si dava
importanza di praticar l'accorta politica, accomodando a un fine
qualsiasi non il mezzo logico ed unico, ma quello più spiccio
e che pareva, fra le altre qualità, aver anche del baldanzoso.
Cosicché ne uscirono scritti perversi e sfacciati, e in tal numero
da far torto non solo per la qualità, ma per la quantità loro,
alla natura umana.
Né fu già un resto di pudore, ma tutta codardia e paura
che persuase non pochi di questi, o tacitisti o machiavellisti
eh* e' volessero dirsi , a restare anonimi. E fu giustizia di
destino che privò così della loro nefanda celebrità quelle
animucce deliranti d' Erostrati. Oggi, a scoterne i manoscritti
da' plutei polverosi delle biblioteche, su cui dormono dimenti-
cati, il men fastidio che se ne prova è per la polvere e le ti-
gnuole. E alla schiera di costoro si riducono Lelio Marretti, ^
e il Collodio e l'Oraffi, abate olivetano e teologo del principe
Rinaldo cardinal d'Este, ^ il quale ebbe coraggio di scrivere:
« Chi non sa ingannare non sa essere uomo. CoU'arte si per-
feziona la natura, coli' inganno l'uomo. L'inganno è in terra
come Mercurio in cielo. Tutti, o in bene o in male, ingannano;
ma in un principe é più necessario ciò che in altri é utile».
Ed ecco che specie di commentatori e d'imitatori s'aveano a
scrivere a peccato di Tacito e del Machiavelli. Ma se tal com-
pagnia, che lor s'addossa, é cattiva, al machiavellismo sta per
essere appaiato il gesuitismo.
RicordÀ Politici. Ms. inedito della bibl. imp. di Parigi, e della Magliabecchiaoa di
Firenze. - V. Giuseppe Febea&i : Corso di lezioni sui politici italiani.
■ Ferrari, 1. c.
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DEL MACHIAVELLISMO. 31
Qual siasi precisamente la causa e T indole di questo nuovo
accompagnamento non sarebbe facile definire. Senonchè, facendo
noi la questione storica, non cercheremo già che cosa vera-
mente s'intenda pel gesuitismo, importandoci solo rintracciare
quel che gli altri c'intesero, e il relativo valore ch'ebbe in corso.
In un passaggio àoiVRudibras, vaghissimo poema eroi-
comico del Butler, vendetta dell'umore inglese contro la mu-
soneria puritanesca, capita per prima volta l'accoppio dei due
n€«ni che si strascinarono dietro tant'odio:
This feud by lesuiU invented
By evil counsels is fomented:
There is a machiavelian plot
Tho' ev'ry nare olf&ct ìt not. *
Pare pertanto che le teste tonde d'Inghilterra, non al-
trimenti che i calvinisti di Francia e di Svizzera, confondendo
la costituzione religiosa con quella dello Stato, confondessero
puranco i gesuiti co' machiavellici , accomunando tutti e due
nella massima divide et impera^ ^ che a questi ultimi vedemmo
pure attribuita dall' anglo Fitzherbert. Ora, rilevammo già come
ai tempi del Polo, dai seguitatori dell'antica unità cattolica
non s'avesse per machiavellico che il governo della monarchia
inglese e l'istituzione della Chiesa episcopale britanna; e ve-
drem pòi come contro a questi due principi si schieri relut-
tante ed avverso il puritanesimo, imbevuto, delle dottrine re-
pubblicane del calvinismo continentale.
Laonde è a credere che la comunanza d' interessi prestasse
a puritani e cattolici armi comuni contro il comune avversario,
secondo che apparisce dall'essere stati in comune combattuti
e perseguitati dal clero anglicano. ^ Ma questo, traendo pur
validi fendenti contro a puritani e papisti, si tenne sempre dal
confonderli col Machiavelli e co' machiavellici; che anzi, po-
nendo lui fra gl'italiani prestantissimi che avean commiserato
^ Samuel Butleb: Hudibras, canto i.
* « A deep design in't to divide
The well affected that confide
By setting brother against brother
To claw and curry one anothor».
(Id. ib.)
E NoEL ou Fa.il, seigneur db la IIerissatb nelle sue Oeuvre» facétieuseSj Paris, 1874,
t. I, pag. 823: « Dira tousjours celuy qui parie de TEstat en Machiavélisto, ethomme cor*
rompu, que celuy qui veut estre grand, doit favorìser les proces et petites guerres du
peuple ». —
* « Puritano pa | pisini scu do | ctrinae jesuiticae | aliquot rationi | bus ab Ed | Cara-
pian3 coniprche | nsae et à Joan Du | raeo defensae | confutatio. | Auctore Laurentio Hum-
fredo I Rupetie apud Theoph. Regium, mdlxxxv ».
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38 INTRODUZIONE.
lo scadimento della idea cristiana nelle pratiche della romana
Babilonia, lo ricolloca al suo vero posto, fra gli uomini del
rinascimento, a fianco del Petrarca e di Pico della Mirandola. ^
Né v'era luogo ad alcuna confusione pel clero anglicano
tra machiavellici e gesuiti; però che, quantunque questi fossero
riguardati come una fazione pontificia, la fazione non faceva
paura a coloro che vedeano essersi ridotta tutta li l'antica unità
della fede medievale. ^ Inoltre i primi gesuiti che sbucassero in
Inghilterra furono inglesi, il Person e il Campiano, e tutti e due
educati ad Oxford; inglese era il Garnet; e però, non come
emissari e cospiratori estranei, non come messereschi, o ro-
mani 0 italiani, ma come sudditi turbolenti sì abominarono.
Inoltre il clero anglicano ed i regi non pur tolleravano le
durezze dell'arbitrio reale, ma le giustificavano, considerandole
siccome necessari provvedimenti di principe che volesse discio-
gliere tutti i vincoli della soggezione continentale a terre git-
tate naturalmente libere in mezzo delle onde. Quando poi ebbero
assaggiato il protettorato del Cromwell, più che mai si teniier
saldi a spalleggiare la monarchia, come quei che si pensavano:
sempre meglio un re che un simile protettore. Pertanto non
ebbero a prenderla col segretario fiorentino, nemmeno come
fautore del potere arbitrario e tirannico. E i puritani all'in-
contro sempre più a detestarlo, quando, impancatisi i gesuiti
a scriver di politica, si mostraron favoreggiatori della mo-
narchia. E si gridò subito al machiavellico, quando il Ma-
riana preparò l'educazione d'un re. ^ E quando poi si venne a
scoprire la cospirazione delle polveri, quella che nella storia
inglese è chiamata the gun powder plot, e quando di questa
si gettò la colpa sopra i gesuiti, si pensò pure di coprire gli
autori di quell'orrendo attentato col nome stesso ch'era stato
appiccato in Francia agli istigatori delle stragi ugonotte, e
quei gesuiti furono machiavellici.
Un presbiteriano della Chiesa scozzese, che viveva a tempo
della famosa cospirazione (1605), scagliandosi addosso a' gesuiti,
piglia a combattere anche il nostro Niccolò. Della persona di
quel presbiteriano si sa poco. Egli porta il nome di David
> Puritano papismi etc. : « Et ut alios coroplures et illos prìscos omnes primi saeculi
episcopos romanos praoteream, cnius tandem erat illud: papam tribns potissiraum artibns
crevisse, excomuDicationibus, indulgentis, armis ; an non Nicolai Machiavelli florentinorum
socretarìi? »
. * CAHDBif GuiLL : Rerum angUe. et hibemie. A*maltf«, edix. Elzev., p. 318 : « Religio
enim jam in factionem transierat ».
s Jo. Mariana : De rege et regi» imtitutione. Toledo, 1599.
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DEL MACHIAVELLISMO. 8S
Hume, pari a quel del celebre istorico. Nelle Deliciae poeta-
rum scotorum sono non pochi distici di lui intorno alla con-
giura sopraccennata, e in capo a quei versi egli si intitola
David Eumius Theagrius, Poi gli si ascrivono due libercoli
in lingua francese, nell'uno de' quali e' si segna D, H., De la
compagnia de tous les*vrais chréiiens, ove si dimostra batta-
gliero ardentissimo nel campo de' riformati e implacabile av--
versano de' gesuiti. ^ Finalmente, ilMarchand* cita col nome
di lui un terzo opuscolo latino intitolato: Apologia bollica,
in cui s'esamina l'ingegno del Machiavelli e il costui libro
del Principe; ma lo cita di seconda mano, dalla biblioteca
bodleiana e da quella giurìdica del Lipenio, dichiarando pure
ch'esso non ne vide mai copia, e aggiungendo della vita del-
l'autore queste preziose notizie: on ne connoit aucunemeni,
ni le iemps de sa naissance, ni celui de son éiablissement en
France; et Von n'est pas mieux instruit de celui de sa mori,
E forse fu per qijesto che né l'Artaud, che scrisse del segre-
tario con più scrupolo che sagacia, né il Mohl, ^ che non distinse
il machiavellismo dal Machiavelli, non citarono il libro e non
parlarono dell'autore. E non ne avremmo parlato, né l'avremmo
citato neppur noi, se il Marchand, fabbricandovi sopra certa
maniera di suo commento, non vi ci avesse costretto.
Però che, se volendo diflfondersi a particolareggiar qual-
cosa del suo Hume, avesse tratto partito dai due opuscoli che
di lui conosceva, sarebbe stato nel suo buon diritto; ma invece,
prescindendo da quelli, si volle mettere a ragionar à^W Apologia
basilica^ per trar di cervello e concorrere egli stesso alla forma-
zione del machiavellismo. Infatti egli scrive: « La necessità in
cui quegli (l'Hume) si vide di esaminar le opere del Mariana,
del Ribadeneira, del Bellarmino, del Bonarscio, lo fé' risalire
apparentemente alla fonte principale di tutti costoro ». E qui
annota in margine: c'est-à dire aux écrits de Machiavel>. —
Ed ecco fatto il colpo, e Niccolò tramutato in fonte de* suoi
stessi confutatori, e camuflfato in veste gesuitica.
> Ecco i titoli dei due libercoli : Le Contre Assaain ou Réporne à l'Apologie dea Jé~
9uUe$ faite à la compagnie de» JésttUea par un frère de la compagnie de Jesus de Loyola,
et re^utée par un trèt humbìe serviteur de Jesus Christ de la compagnie de tous les vraia
chretiens. D. H., l'an. icncxn. - L*Assasainat du roy ou maximes du VieU de la monta-
gne Vaticane.
s Prorpbb MABCHAitD : Dictìonnoire Msioriqt^ ou memoire* critiques et lUtéraires. À
la Haye, mdocux, art. Home.
• Aktaud, op. di. MoBL. Die MaehiavelU Litteralur, v. ni della grande opera : Oe-
schichte und LUteratur der StaatawiMenschaftenf pag. 521 e seguenti.
ToMMAsiiif - MachiareUi, *
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34 INTRODUZIONE.
Ma che volea dir questo gesuitismo di lui, però che di questo
non è tanto facile fermare il significato, che non si vegga
ricorrere a due estremi opposti? Per alcuni, cioè, è come dir
monarcomachia ed eccitamento al tirannicidio, perchè il Ma-
riana, interrogato mentre professava teologia in Sicilia se un
re non fedele alla religione potesse uccidersi con veleno sot-
tile, avea risposto che sì ; ^ e il Ribadeneira aveva approvato
il colpo (Ji coltello fitto nel ventre di Enrico III, re di Francia
e di Polonia;* e lo Scribanio e il Bonarscio avean detto che il
papa poteva incoraggiare i Dioni, i Timoleoni e i Filopemeni;
e i confratelli nell'ordine difendevano le teoriche del Mariana;
e il gesuita Guignard ebbe ad essere appiccato a Parigi, per
aver scritto di propria mano che, se non potevasi senza guerra
deporre il Bearnese, era d*uopo guerreggiarlo; se non si poteva
guerreggiarlo, conveniva spegnerlo. Per altri poi, i gesuiti si
tengono in conto di sostenitori acerrimi del diritto regio e adu-
latori e lusingatori della tirannia che li favorisce. ^ E dopo
ciò è chi gli avvisa ancora come propugnatori dell' intolleranza
civile, chi come congiurati a restaurare l'universale monarchia
de'pontefici, chi come una qualità d'uomini di moralità si corrotta
da recar per divisa l'indegna massima : il fine giustifica i mezzi. *
> JoANN» Mabianab ìùspani e socieiata J09u: D^ rege et regis iiutitutione (1. i, e. tu):
« Est quidem majoris virtatis et animi simultatem aperte exercere, palam in hostem
reipublicae irruere, sed non minoris prndentiae, fraudi et insidiis locum captare, qaod sine
motu contingat, minore certe periculo pubblico atque privato ». - Il Mariana può anche
giudicarsi un tacitista, per quel che dice di Tacito nel 1. 8, e. vi: «Confirmatis studiis et
perìtià maiori Tacitus adjungatur, horrida oratione atque spinosa, sed arguta in primis
magnum rerum thesaurum tegens, Consilia principum, artes fraudesque aulae. In aUenit
perieuli» et malig, quoti in speculOf nostrarum rerum imciginem contemplari licebit. tdo-
neus auctor quem nunquam princeps, nunquam aulici deponant de manibus, die noctuque
versent ».
* È da osservare che nella poesia popolare che corse in Francia dopo l'assassinio di
Enrico terso, intitolata le tyrannicide ou mort du tyran^ 1589, {ReeueU de poésies pran-
^oiteSy t. vili, pag. 397) al re vengon poste sul labbro le famigerate massime machiavel-
liche :
« Sur tout, je vous deffens me faire remonstrance
QuMl ne faut pas punir ses subjects par outrance;
J'ay le -contraire advis de long temps estimé.
Un prinee doit tou^ura estre plus craint qu'aymi
Cor on prent à mespris un prinee débonnaire
Et d'un qui se fait craindre on fait tout le contraire». —
* Quando Luigi XIV prese a proteggere il collegio dei gesuiti di Clairmont, la compa-
gnia ordinò che l'arme del re fosse sovrapposta alla porta, e per farle posto, tolsero via
lo stemma gesuitico e la croce ; onde l'epigramma seguente :
« Sustulit hinc Christi, posuitque insigna regis
Impia gens, alium nescit habere deum ».
* Quanto all' intolleranza, il Mariana avea professato : « Paci autem nihil magis adver-
satur qnam si in eadem republica, urbe aut provincia una plures religiones sint ». - Quanto
all'ultimo principio, v. Gioberti: Gesuita moderno, v. £, pag. 601 in nota. Quando in
Italia si celebravano le feste centenarie del nostro grande politico, noi non lo sapevamo,
ma la Gazzetta di Wiirzburg si credette in dovere d'avvisarcelo, non facevamo altro
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DEL MACHIAVELLISMO. 35
E il Machiavelli avrebbe puranco ad esser tutto questo, se non
fosse che un pensiero ci può racconsolare : che come il gesui-
tismo non tocca Gesù, cosi né il machiavellismo dee nuocere
a chi gli die nome.
Ed ora, tornandoci al Marchand, che accattò occasione
àalY Apologia basilica dell' Hume, per dare una sferzata del
suo al nostro fiorentino; quando pur egli avesse voluto trarsi
più decentemente la voglia, avrebbe potuto risicar congetture
e commenti attorno agli altri due libelli del medesimo autore,
in cui Niccolò non viene risparmiato. Un passaggio del Con-
trassassin, per esempio, poteva bastargli; che anzi e' ne trovava
due, che gli potean valere come due capi d'accusa. Il primo
de* quali ce lo presenta nello stesso concetto, in cui lo tolsero
gli arruffati calvinisti di Francia. - « Machiavel dresse son
prince à la iyrannie, perfidie, et athèisme, comme un chacun
peui voir en son livre du prince ». ^ - 11 secondo poi ce lo
offre a dirittura sotto un altro aspetto, gitta un riflesso fan^
tastico sulla persona del segretario, quasi a farlo parere un
cercator di cabale e di magie, un rabbuiator della scienza per
via e modi di setta, appaiandolo con gente d'intenzioni sub-
dole, sospette, occulte.
E cosi lo mette accanto a un Tritemio, e forse non per
altro, se non perchè questi era stato autore di una stegano-
grafia e d'una poligrafia, ^ o scrittura universale cabalistica
in cui s'insegnavan cose di scienza misteriosa e arcana. E
l'accomuna con Enrico Cornelio Agrippa, cui, siccome a Nic-
colò, nocque l'elogio sleale del Giovio e l'animo paradossale
e irrequieto, e l'aver scritto pure lui della filosofia occulta, e
che esaltare un gesuita. (V. B«Uage xur Neuen Wùrjtburgmr Zeitung und Anztiger,
n. 1S4, 1S69). Zum 400 j&hrigen Geburtstag MachtaTelli*8. In essa dicesi : «Triflit ihn hier
mgleich der Vorwurf dass Er in der Politik die Unsittlichkeit und das Unerlaubte in ein
System gebracht hat; es ist eben in dieser Beziehung reiner Jesuit, indem er den Satz
auBspricbt: der Zweck heiligt die Mittel ». - Nel Contrcasassin, le qualità gesuitiche per le
diverse contrade d'Europa son cosi specificate:
« Seductor Sveco, Gallo sicarius: Anglo
Proditor; Imperio explorator: Davus Ibero;
Italo adulator: dixi, teres ore, suitam».
* Contr<us<usin, pag. 38, e seguenti.
* In francese la Poligrafia del Tbitbmio fu tradotta con questo titolo : « La poiygra-
phi» et unweneUe éerUure eabaUstìque de Jean Trithéme, dM$ée en cinq Uvret. Avee
la cìavicule et interprétation »ur le contenu en iceuoc, esqtieU sous divergltés de figures^
énigmei, emòlémea, mota mythologique» et hors d'uaage, alphabets et charactéres souvent.
reiteréz et repetéz, gist la totale intelligence, non seulement de cette cabale et acience
d'occulte écriture, mais aussi l'intelUgenee et l'universelle coMMÌssance de maintes autres
acienees, tanC connues qtte occultes, Traduite du latin par Gabribl db Cou.aiiaB. Pa*
ris, 1561, in-4».
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38 INTRODUZIONE.
sovrattutto dell' incertezza e vanità della scienza; Tessersi
mostrato, come il nostro Machiavelli, alquanto aristotelico e,
in un'età credula e impaziente, inchinevole al contradire,
scettico e freddo. *
Ora, quando con tutti costoro e col vecchio della mon-
tagna, poderoso pe' suoi assassini, prende Y Hume a confondere
il Machiavelli, chiaro è che non intende a pigliarlo sul terreno
della teoria, che non è la fonte del Mariana o del Ribadeneira
ch'egli combatte, ma è il capo settario, l'ordinatore di violenze
occulte, non è più l'uomo o il sistema ch'egli avversa, ma il
mistero. Laonde, a proposito de' gesuiti esclama: - « a scan-
dargliarli nell'intimo, a considerar le loro massime occulte
sotto i colori della fede e della religione cattolica, a vederli
praticare i precetti dell'abate Tritemio, di Cornelio Agrippa,
d' Aladino Arsacide e del Machiavelli fiorentino si scopriranno
persone tutte diverse da quelle che fanno le viste d'essere».*
- E qui s'incomincia a scendere per quel pendio che trasporta
il sottile e gaio cancelliere della repubblica fiorentina giù pei
burroni delle fantasie nere, sino a ricacciarlo entro a' baratri
dell'inferno, a ridurlo un demone, e in forma di diavolo, e col
soprannome di Nick e Pelznickel, farlo raggirare attorno alla
terra. E un buon addentellato, se non per la trasformazione
diabolica a dirittura, almeno per la dannazione di lui nelle
male bolge, si trova già nel cenno biografico del Giovio, che a
questo punto sarebbe proprio un' ironia qualificar come elogio.
Quivi il Giovio lo chiama irrisor et atheos, e di soprappiù
tnops, condizione che non sappiamo, se al vescovo nucerino
potè sembrare più tosto peccato che pena.
Fatto sta che, presa l'imbeccata da lui, i foggiatori del
machiavellismo seguitarono a vociarlo ateo, e quando lo vollero
provar per tale, trassero di fantasia. ^ E cosi, poco appresso,
1 Nel libro : De incmrtìtiAdine et varietate aàentiarum dice : « Sic enim ait in politicis
(Aritttoteles) : oportet principem prae aliis deicolam videri ». E parlando poi di religione :
« Ac tandem omnes istae religionnm leges nnllo alio fundamento incumbunt quam sunrum
inatitutArum placitia: nec aliam insaper certitudinia regulam habent, nisi ipaam creduli-
tatem ». L*opera : De incertUudine sdentiarum fu tradotta in francese con questo titolo :
Déelamalìon iur l'ineertUudey vanite et abus dea scisneet, trctduU en francoi» contente-
fMnt à eeux qui f^équentent les Cours de» Orand» Seigneur$y et qui veulent apprendre
à dieeourir d*une infinite de ehoses contre la eommune opinion, Joan Durand, 15SS, in-8.
* «... à les sonder dans rinterieur, à considerer leurs maximea occnltea aoua les
conleura de la foy et réligion cathollque, à leavoir pratiquer lea pr^ceptea de PabbéTri»
téme, de Comeille Agrìppa, de Haladin Araaoide et de Machiaval florentin etc. on les
prendra pour tout autres gena quMla ne font aemblant d^estre ».
* (Elogia doct. vir. aulhore Paui^ Jovio Novoeomenei, epiteopo nucerino). Basti
per tatti questo passo del Vammozzi: (SuppeUettile d'a/w>. politici, pag. 458): « Si tiene
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DEL MACHIAVELLISMO. 87
presero ansa a spacciarlo ignaro affatto delle buone lettere, e
anzi ignorante a dirittura degli usi della vita. E questa fu buona
messe per le invettive del pergamo; ma c*era ancora di meglio.
Come quella del machiavellismo, cosi l'empietà del Machiavelli
fu scismatica, fu eretica, fu averroistica ^ e turchesca. Della
morte degli eroi machiavellici s'eran contate tragedie ; così si
fecero brutte commedie di quella del Machiavelli. Agonioso, si
disse che gran tormenti della coscienza l'avevano torturato,
ch'egli era stato in grande paura della dannazione eterna; ma
ricordatosi poi che gli spiriti magni, Aristotele, Platone, Ales-
sandro e simiglianti si stavano all'inferno, si accomodò a pre^
ferire l'eternità con questi piuttosto, che non con quella gente
tapina e dappoco che fu fatta santa. ^ Il Bayle reca due ma^
niere di versioni di questa stessa leggenda, l'una dell' Hotoman,
l'altra del padre Binet, e forse tutte e due non lianno altro
ai^icco se non un motto della vita di Castruccio, il bizzarro
principio della novella di Belfagor e quel famigerato epigramma
in morte di Pier Sederini.
E non valse che Niccolò avesse trattato con certo piglio
sprezzante ed epigrammatico anche l' inferno, cacciando tra le
che Noma Pompilio fosse atheista (!) ; et nientedimeiio conoscendo egli, ohe la Base dello
Imperio é la religione, finse d^esser religiosissimo. Di qui cava qnel tristo del Machiavello,
che non è necessaria la religione nel principe ; è ben necessario che finga d'esser religioso.
Articolo dbgno dell* empietà machiavelllstioa ». Tuttavia nn miglior punto di contatto fba
gesuitismo e machiavellismo non può oflHrcelo altri che un gesuita. Il padre Daniel
{HìMt. éte Franee, Paris, 1756, t. xi, pag. 33) scrive : ~ « Une profonde et constante dissi-
molation et la maxime d'aller à ses fine par les voies qui paraissent s'en écarter davantage,
sont deux grands principes du machiavélisme. L'usage renfermé dans de certaines bomes
pourrait n'en étre pas criminel; tout dépend de VappUcation qu'on en fait et de la.qua-
lité des moyens que les princes employent pour cacher leurs vues à leurs ennemis ». - B
coerentemente il D'AnanNSON {MémoireSf t. i, pag 307) : « Le rei (Louis XV) aime mieux
Atre trompé que de tromper. Et ce propoS| dont il pratiquoit le sens à la lettre, a plus
profitó aux affaires que toutes les subtilités de Maehiavel, de Mazarin, ou des Jéauites ». —
^ RéMAN : Op. cit. : « Campanella regarde le Machiavelisme et l'averroisme comme deux
rejetons paralléles de la doctrine d'Aristote ». - Cf. Bbuckbb, t. rv, pag. 472-73, t. v, pag. 111.
- Campakbli«a: Atheismus triumpfuUua, e. xviii: « Iste autem Machiavellus familia quidem
Bobilis, sed bastardus, omnium scientiarum fuit expers et tantummodo astutiam quandam
ex Ustoria rerum hausit humanarum ».
* U Batlb {Dict. 1. e.) a questo proposito : « Il j a des gens qui font le conte d*une
autre manière. Ils prétendent que M. a dit dans quelqun des ses ouvrages qu'il aimeroit
mieux étre envoyé aux enferà après sa mort, que d'aller en paradis; car, ajoutoit-il, je-ne
trouverots au paradis que des mendiants et de pauvres moines et des ermites et des apd-
tres ; mais dans les enfers je vivrois avec les papes, et avec les cardiaaux, et avec les
rois et les princes ». - Y. Hotoman: Epiat.f 99, pag. 139. - E dal padre Binbt (Du salut
d'Origene, pag. 359 e segg.) toglie: «On arrivo a ce détestable point d'honneur; ou ar-
riva Maehiavel sur la fin de se vie: car il eut cotte illusion, peu devant que rendre son
esprit. Il vtt un tas de pauvres gens, comme coquins, deschires, affames contrefaits, fort
mal en ordre, et en asses petit nombre ; on luj dit que c'estoit oenx du paradis, desquels
a estoit oecrit: beali pauperee, quoniam iptorum e$t regnum eoelorum: Ceux ei estans
retires, on fit paroistre un nombre innombrable de personnages pleins de gravite et de
majesté ; on les voyoit comme un senat, ou on traitoit d'affaires d'Bstat, et fort serieuses!
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38 INTRODUZIONE.
facezie di Gastruccio, questa, ch'egli usava dire che la via dello
andare allo inferno era facile, poiché < si andava allo ingiù ed
a chiusi occhi ». D'onde si pareva risultar ch'ei pensasse, esser
cosa più difficile il tenersi ritto e ad occhi aperti in questo
mondo di qua. Ma a' foggiatori del machiavellismo parve meglio
dipingerlo solo spregiatore del paradiso, e farlo morire, se-
condo le due leggende, o da uomo aulico e derisore, che non
vuol saperne del cielo, goduto in compagnia cogli apostoli, coi
mendicanti e gli eremiti e le intelligenze ciuche; e sceglie l'in-
ferno popolato da papi, da cardinali, da furbacci qualificati in
dignità suprema, o da filosofo non credente, che muor col grido
leggendario d'Averroè: « moriatur ardma mea morte philo-
sophorum >. ^ - E poiché, fatto un primo trapasso, è facile
farne un secondo, e più lungo del primo, ecco che non appena
il Machiavelli averroeggia, che subito si fanno a gettargli
in sulle spalle la grave cappa, che avea già pesato su colui,
in cui erasi già personificata l'eterodossìa e l'incredulità me-
dievale. Niccolò diventa cosi per eccellenza l'eterodosso e l'in-
credulo del rinascimento, l'autore del famigerato libercolo
« de irihus impostoribus >, che si vide solo dopo tanti secoli
il entrevit Platon, Seneque, Plntarqae, Tacite ed d'antres de cette qualité. Il demanda qui
estoient ces meuieura-Ià si venerablés; on lui dit que c'estoient les damnés et que c'estoient
dea ames reprouvées du ciel : iapientia huius saeeuli inimica e»t dei. Cela estant passe, on
Iny demanda desquels il vouloit estre. Il respondit qu'il aimoit beaucoup mieux estre en
enfer avec ces grands esprits, pour deviser avec eux des affaires d'estat, que d^estre avec
cette yermine de ces belistres, qu*On luy avoit fait yoir. Et à tant il mounit, et alla voir
comme yont les affaires d*estat de l'autre monde ». Lo Jocnsa uel suo AUgemeineB Oelekìten-
Lexikon, (art. M.) reca un'altra storiella attorno a Niccolò, quando era per ricevere la
estrema unxione : « Soli sich auch bey seinem Ende nicht sum christlichsten bezeiget, und
vielmehr bei dem Empfang der letsten Oelung gesagt haben; fruar illa unctione: iter
enim facientes delinire solent ocreas ». - Il motto della vita di Castruccio che probabilmente
diede origine a queste fiabe è il seguente : « Domandato se, per salvare Tanima, ei pensò
mai di farsi frate, rispose che no; perchè e' gli pareva strano che fra'Lauarone avessi a
ire in paradiso, ed Uguccinne della Faggiuola nello inferno ». L'epigramma, in morte del
Soderini, che va incastonato in tutte le prefazioni e le notizie della vita di Niccolò^ come
esempio de* tratti del bello spirito di lui, si trova in un manoscritto della biblioteca nazio-
nale di Firenze, segnato in catalogo : vii, 9, 271 ; fu inserito fra gli scritti del Segretario
nell'edizione dell'Opere minori di esso, curata dal Polidori. I ghiribizzi scritti per lettera
da Niccolò a Pier Sederini in Ragusa, (cod. O. d. R. € Barò.) posson darci argomento a giu-
dicare dell'autenticità di quell'epigramma, che non à certo, come osservò il Cantò {Storia
dégl'ItaHani, voi. iii, pag. 83) il pregio dell'originalità. Lo citiamo, secondo la lesione del
codice sopraccennato (pag. 115).
« La notte che mori Pier Sederini
L'anima andò dell' inferno alla boccha
Oridò Pluton: che inferno! anima scioccha,
Va su nel limbo fra gli altri bambini ».
Nel Diarium parmense, {Muratori, Rer. it. script., voi. xxii, col. 361) si legge: «die sexte
Jannarii 14S1 dominus Petrus Trottus Alexandrinus, Parmae commissarius summo mane
cassus ab officio recessit, qui dignut ett tid Umbum deseendere cum nihil maU nUve boni
egerit, cuins proclamationes et mandata nuUatenus observabantur ». —
> RAnam: Averroès etc., pag. S96.
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DEL MACHIAVELLISMO, 39
da che se ne parlava e se ne abominava il contenuto inco-
gnito, il titolo eloquente, l'autore sospettato sempre e non tro-
vato mai. Il titolo l'aveva visto il Garasse su' cataloghi della
biblioteca del Gessner; ^ il contenuto si diceva questo: che il
mondo avea avuto tre impostori enormi; Mosè, Gesù e Mao-
metto, due de' quali morti in gloria, e solo Gesù sul patibolo*
Come autori poi ne furono, a diversi intervalli, designati Aver-
roè. Federico II, Pier delle Vigne, Arnaldo da Villanova, il
Boccaccio, Poggio Bracciolini, Pietro Aretino, il Machiavelli,
Simforiano Champier, il Pomponazzi, il Cardano, Bernardino
Ochino, il Servet, Guglielmo Postel, il Campanella, il Muret,
Giordano Bruno, lo Spinoza, V Hobbes, il Yanini. E di soprappiù
s'ebbe a spacciare che il Weckel, celebratissimo stampatore,
per averlo co' suoi torchi dato alla luce, per castigo del cielo
ne fini in estrema miseria; bugie, trovate dalla pietà, che al-
cune volte si riduce a vivere anche di queste; e accettate dalla
buona fede, cui molte volte servono di tutta sapienza.
Chi per primo affermò del favoleggiato libercolo esser
autore il segretario fiorentino od Erasmo, si fu l'olandese che
tradusse in lingua francese: « la rèligion duMédednBrowne ».
Forse a questa opinione dette ansa niente altro che quel metodo
comparativo, del quale s'erano scandolezzati il Fitzherbert e
Federico di Prussia ; ma, nata questa, è naturale che Niccolò
s'avesse per uomo « scelere pollutus omni » ; che si tenesse
« V. Riìnan: 1. e. - Bayle: Dici. Hist., 1. 1, 443 o. - Mbnaoiana, t. rv : Lettre à Mon-
sieur Boucher sur ìe pretendu Uvre des trois Imposteura, pag. 301. In essa è detto dopo
]*eniimerazion de' nomi di coloro, cui il famigerato libercolo fu attribuito : « J*étais surpris
qn'on eùt oublié Machiavel et Rabelais ; mais j'ai depuis trouvé que Rabelais n'avait pas
echapp^ à Decker, et que l'hollandais qui atraduit en Francais le livre de la rèligion duMédecin
Browne, dans ses notes sur le cbapitre 20, outre Machiavel, note encore Erasme ». - Un
esemplare d*un libro stampato col titolo : De tribus impostoribus, an. mdiic, conservasi nella
reale biblioteca di Dresda. Di questa edizione conoscevansi tre uniche copie. Nell'anno 1845
il Wbllbb lo ripubblicò con traduzione tedesca. - Nel 1861 comparve a Parigi nel testo
latino, collazionato sull'esemplare del duca de la Valliére, che ora trovasi alla biblioteca
imperiale ; accompagnato da una notizia filologica e bibliografica di Filomneste Junior
(ChJBTAvo Brunbt). - Una traduzione italiana fu pubblicata nella Biblioteca Rara del Daelli
a Milano ; e si conosce anche una traduzione spagnuola stampata nel 1883 colla data di
Londra: Tratado de ìoi tres impostores trad. al castellano y aumentado con notas muy
euriùsas. - Recentemente (1876) il Wbllbb ne dette una nuova edizione ad Heilbronn. coi
tipi deirHenninger, illustrandola con una nuova prefazione. - A noi parve d'indagare nel
far lettura di questo trattatello quali motivi potessero specularsi per averlo attribuito al
Machiavelli ; nò ci abbattemmo in tutto il libro ad alcuna opinione che in qualche modo
potesse trovare appicco con quelle del segretario fiorentino, se non forse queste sentenze :
<pag. 16> * Caeterum de priori ratione soUicitus, quis in principali religionis Christianae
sede, Italia, tot libertinos, et ut quid gravius dicam, tot atheos latore credat, et si credi-
derit, qui dicat, consensum omnium gnntium esse, Deum esse ; eum colendum essef Scilicet
quia saniores saltem id dicuntl » - (Cf. Machiavelli; Discorsi, 1. i, e. xii). - (p. 20) « Vi
enim Mahomet, vi et Moses Palaeslinam subjugavit uterque magnis miraculis instructus ».
- (Cf. M. a proposito del profeta armato nel Principe, e. vi).
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40 INTRODUZIONE.
in conto di cuoco idiota e malvagio, che prepara a' principi
dolciumi da tornar mortiferi; ^ e che prima di farlo passare
a diavolo, si voglia imbestiare, e diventi « porcus etpecus >. *
E il pover uomo che, da vivo, aveva creduto provvedere ai
casi suoi, accettando di coprirsi della pelle d'asino, e di rag-
ghiare sotto quella forma finché le stelle si fosser dimostre più
benigne e miti, non prevedeva le metamorfosi più dure, che
gli sarebbe stato forza sopportare da morto. Il nome suo era
divenuto « segnacolo in vessillo » ; quel vessillo non si sapea
chi l'alzasse, ma c'era gran gente che credeva di vederlo
in mano a* nemici propri, e voleva abbatterlo. Fu fatta guerra
al segnacolo, tormentato quel nome in tutte le forme. L'eti-
mologia de' mali chiavelli non soccorreva più; però fu di-
laniato e messo in tritoli da false etimologie greche o la-
tine. '
Né coU'avvicinarsi a tempi più recenti e più oculati il
machiavellismo cessa d'esistere, d'appassionare e di far velo
alla critica e alla conoscenza storica dell'opere e della vita di
Niccolò. I tempi nuovi recano pregiudizi nuovi e in questi si
tramutano i vecchi, e il machiavellismo ch'era nato con quelli,
cresciuto con quelli e n'era stato in certa guisa lo specchio,
mutò riflessi e. seguitò. Fin qui era stato anglicanismo, calvi-
nismo, ateismo, tacitismo, gesuitismo, gallicismo,'* averroismo: fu
* Thomas Gàmpanellàb Sttl. : Atheitmut triumphatus: « Coquas est Machiavellas,
parat epulas mortiferas, sed dulces principibus tarrae; pueris doctrinaet virtute; accnsat
prophetas et religiosos, medicos animorom, quiapocula amara etyictum durum propinant:
hi explodnntur a corde eonim ; remanet Machiavellus exitialis illis et statai eorum ». - E
di soprappiù lo svillaneggia come cuoco idiota^ « quoniam putat hominem proprio tanUuQ
arbitrato res humanas regere •.
t E più oltre : « Machiavellus est porcus et pecus. qui decemit cras edere et lavari et
nescit quod pastor aliud de ilio disposuerit ».
* Nomine qui viclor populi, calamoque tjranni
Norma fuit, posthac fabula plebis erit.
« Graeca etymologia Nicolai, ab eximio Impngnatore pessumdati, distichon Theodori Pan«
gali. Trovasi nel Saggio della Seiocahexza di Niccolò MachiawUi, pag. 16.
Contemptor superum, maculoH nomine notus
Veueris Btruscus scurra, sophtsta loquax,
Arte mala, populi Harpyas saevosc). tyrannos
Instituit, pestis maxima Christiadum.
È di L. ScRiBONiDS Spintbb.. belga. Trovasi nel : « Vindiciae \ cantra \ tyraaimo» | dve | d«
principit in pò | pulum populiq. in | prinoipem legittima potcatatc Stbphano Junio Bbuto
Celu auctore. (Hubertus Languet). Francofurti, Mocvin. Veggasi a compenso repigranma
di Giovanni Daurat, Eì; rh* MaxMuéXXcu oj^wtgì irai^elav. premesso alla tradusione
francese del Principe di Guolislmo Cappbl: e riportato dairABTAUO (op. cit. voi. d,
pag. 297) e parimente Tepigramma del Vacca (pag. 300) e del Latomo (pag. 303). - Sotto
il ritratto del Machiavelli, edis. Opp. deli'Uaia (17S0) leggevasi:
« Supremum per te naota est prudentia culmen
Ulterius nec quo progreaiatur habet».
« Vedi il citato opuscolo: Enormità inatidite nuovamente uicite in luce contro il
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DEL MACHIAVELLISMO, 41
quel che i fatti furono e gli odi vollero; fu la politica, Tetero-
dossia, l'incredulità, la tirannide. Indarno avean già i messeri
di Firenze replicato al Polo, che il Machiavelli, qualcosa in
favore della libertà Tavea preparata; la libertà era morta,
dunque Niccolò non doveva aver fatto niente per quella. Indarno
^Matteo Toscano aveva affermato che Niccolò dirizzò i tiranni
flagellatori della patria a tanto estremo di perfidia, che n'aves-
sero a provocar l'ira di Dio; que' tiranni avean prosperato,
quindi il Machiavelli non era stato loro nemico; invano Alberigo
Gentili Tavea chiamato lodatore e affermatore acerrimo della
democratia: ^ la democratia non aveva puranco gravemente
turbato i sonni ad alcuno; quindi né il Machiavelli era stato
un democratico, né democratici i machiavellisti. I trattatisti
di scienza politica sperano occupati generalmente del principe,
come se questo fosse il solo soggetto politico. Raro chi si fosse
levato a discutere la bontà del principato, chi dell'autorità di
questo cercasse i confini. Si fiutavan le tracce d'alcuno di sif-
fatti limitatori della potestà somma nel secolo decimoquarto e
decimosesto, e, Marsilio Mainardino ^ e il Salomonio si riguar-
daron come capi lontani d'una setta, che pareva restia alle
condizioni dei tempi, e la si chiamò dei monarcomachi. A questa
parvero appartenere il Buchanan, Uberto Languet, il grande
Milton e il Mariana; e perfin che i fatti non vennero a dar
qualche corpo all'opinion di costoro, i monarcomachi furon te-
nuti per oppositori diretti e tenaci del machiavellismo. ^
éteoro delTapostoUea sede twMna. Francfort, per Gio. aiorgio-Betlingon, 1649, pag. 10,
100, 118, 131, 155, ecc.
1 Alb. Qbmtilib: Ve ìegationibuit 1. in, e. xx.
* Il Bbuckeb {Hist. phil., t. IV, pan altera) cita Marsilio Mainardino, a* tempi di Lodo^
vico il bavaro, come uno dei monarcomachi. Se di Ini è il tratuto Defensor pacis, pubbli-
cato a Prancoforte nel 15QS, e difeso dal Saepi (Venetia, appresso Roberto Meietti, 1606),
l'autore sarebbe meglio a riguardare come nn impugnator dell' uni versai monarchia ponti-
ficia a favore della principesca e laica.
• Bbuckeb: 1. e, pag. 103: « Ut enim plus insto tribui a Machiavello principum potè-
stati plerique conqueruntur, ita monarcomachi imperio illimitato maximopere infensi principis
auctoritati plus insto detrahunt ». - Id. ib. : « Intelligitur autem ex dictis contrariam prorsus
Machiavellismo esse monarcomachiam etiam simulatam, adeoque contrariis principiis uti,
•t revera omnem regum principumve majestatem, quam ille malia artibus extollit, pessimis
rationibus atque mediis evertere ». — Pertanto i tumulti della Fronda passarono senxa
tentare di puntellarsi con massime machiavelliche, ansi nimicando il Machiavelli. Nel-
VAgréable récit de ce qui s'est paese aux demières harricades de Paris descrUes en vers
^rlesque», Paris, 1649 (pubbUcaU anche nel Courriers de la Fronde, Paris, 1857) si legge.
« Machiavel, grand politique,
Qui des cours avalt la pratioue,
Dans son damnable art de regner
Ne Va su que trop enseigner.
Toutes ces faveurs apparentes
Sont des marques trés-évidentes
Du venia cache Ut dessous. » ~
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42 INTRODUZIONE.
Oltracciò, perchè que' fatti potessero cagionar mutamenta,
doveano svolgersi su quel suolo dove il machiavellismo avea
pullulato da principio e corso la ventura. Pertanto s'eran potute
compiere le rivoluzioni scozzesi senza che a' liberi montanari si
desse mai nome di machiavellici; il capo di re Carlo li era
caduto sul patibolo, senza che ninno avesse pensato mai di
dare del machiavellico al Cromwell e ai regicidi. La scissione
fisica dal continente e la morale divisione dalla fede, faceva che
i continentali torcessero naturalmente gli occhi dall'Inghil-
terra. Appena i filosofi le gittavano qualche sguardo da va-
gheggini; ma i filosofi rinchiudevano le idee ne' libri, e queste
parea che da' libri non dovessero uscire.
Ma ecco la filosofia del secolo decimottavo inalberarsi fuor
delle scuole, come stendardo di popolo, e a quel popolo che nulla
era, mettere in capo che doveva esser tutto; che l'uomo era
fatto da natura libero e dalla mala civiltà, servo e bruto: che
legge non era che l'espressione della volontà popolare; e re,
l'esecutore dei decreti del popolo; che l'arti regie e tiranniche
erano a deludere e combattere: queste arti da essere apprese dal
Machiavelli, il cui libro del Principe era il libro de' repub-
blicani, satira mortale de' tiranni e della corte di Roma, che
n'avea proibito gli scritti, perchè in quella e' l'avea ritratta. E
fu un inneggiare al Machiavelli repubblicano, a quel Machia-
velli ch'aveva impugnato la massima che chi fonda sul popolo,
fonda sul fango; che non aveva sin allora incontrato lettori,
se non leggieri o corrotti; al Machiavelli incresciuto altrui,
come a' ladri gì' inventori delle lanterne. E la nuova interpre-
tazione delle dottrine del segretario, scoperse un'altra faccia
del machiavellismo, finora rimasa incognita.
Qui lasciam volentieri la parola a uno spiritoso scrit-
tore italiano, che, accomodando l'ingegno al paradosso, volle
parlar del Machiavelli e riusci invece a scrivere egregia-
mente del nuovo machiavellismo. Per lui il Machiavelli in-
comincia a nascere dopo morto, ^ dopo il 1527; lo mette a
fronte di tutti gli avvenimenti susseguiti e lo ritrova come il
nocciuolo di tutti; anzi trova nel Machiavelli l'antimachiavello
1 Gius. Fbrrari : Corèo sugli scrittori politici italiani. Milano, 1862, leg. ix^ x, xi. -
« Il nostro Machiavelli adunque nasce dopo il 1527, dopo chiusa la sua tomba ; egli sorge
dopo incoronato Carlo V a Bologna; e se a quest'epoca tutti lasciano il concetto dell'unità
geografica troppo gradito alla Spagna, le sue idee si svolgono sotto dimensioni gigantesche
e da lui stesso ignorate, immezzo alla gran lotta europea tra il pontefice e Lutero, tra
r alta e la bassa Oermania, tra Carlo IX e Coligny, tra i Tudor e gli Scozzesi, tra la
Danimarca e gli Svedesi, tra i cattolici e i protestanti di tutte le nazioni » (pag. 370-71).
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DEL MACHIAVELLISMO. 43
de' tempi in cui visse; e più di leggieri lo fa profeta dei fatti
che gli susseguitarono, che storico di quelli che gli passarono
sott'occhio; e destituto d'ogni principio, com'ei lo vuole, lo col-
loca a maestro e precettore di quella età in cui parve che i
principi s'andassero a ripescare; tanto eran caduti a fondo !
« Dall' ottantanove in poi, scrive il Ferrari, ^ i principi
s' impadroniscono degli avvenimenti, e direbbesi che il Machia-
velli detti anche le parole degli uomini, che compaiono sulla
scena della rivoluzione. Il popolo esordisce colla dichiarazione
de' diritti dell'uomo; il nobile e il sacerdote si credou dappiù che
uomini; quindi e' si spossessa nobiltà e clero. - Il grido: guerra
ai castelli e pace alle capanne, risuona per tutta Francia; la
rivoluzione fonda colonie. - Gli uomini del Machiavelli piuttosto
la morte de' loro parenti scordano, che la perdita de' loro beni;
però le cospirazioni aristocratiche irrompono furiose e indoma-
bili. Si rassegnerà il re a non esser nulla più che cittadino?
- È contro la natura umana, dice il Machiavelli, ch'uom sì ras-
segni a cader di si alto; ed ecco re, nobiltà, clero tutto rischiare
per difendersi, ecco chiamar lo straniero, ecco questo scendere
su Parigi. - Per vincere una simile opposizione, prosegue il Ma-
chiavelli, non v'ha che il ferro; l'indignazione della Francia ob-
bedisce al Machiavelli; quindi le giornate di settembre. - Danton
guarda in faccia il suo delitto, e lo compie. - Per liberare la
Francia, grida Marat, bisogna abbattere cinquecentomila teste :
Ghalier chiede si trafiggano ventimila lionesi. Lansell vuol che
tutti siano carnefici. Tutti ripetono: che la nostra memoria pe-
risca, ma sia salva la patria; e questo è il detto del Machia-
velli: bisogna che la patria sia salva o con gloria o con in-
famia. .- Aprasi Marat: si tratta, e' dice, della salute del popolo;
innanzi a questa legge suprema,tutte l'altre debbon tacere; per
salvare la patria tutti i mez2i son buoni, tutti i mezzi son
giusti^ tutti son meritori. - E s'apra il Machiavelli: « che la pa-
tria si debbe difendere o con' ignominia o con gloria, e che in
qualunque modo è ben difesa ». E tutta la rivoluzione si svolge,
secondo il. dilemma del Machiavelli. - Ad ogni stadio l'alter-
nativa tra monarchia e repubblica s'appresenta; ora, giusta il
1 Gius. Fbbbabi : Machiavél juge de$ révolutions de notre temp». Paris; 1849. In qne*
scoperà Tautore considera il Machiavelli fuori della sua individualità storica, fuori de' suoi
propri tempi, e noi riguarda che nel machiavellismo : « Fante d'un principe, Machiavél a
èie ùnprèvoyant dans les affaires biens que clairvoyant dans rh3rpothése, aveugle en histoire
bien que prophéte à son insù, aveugle sur les causes, bien qu*observateur incomparable
dea effects, impuissant dans Taction, bien que maitre de tous les faits accomplis ».
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44 INTRODUZIONE.
Machiavelli, e' si conviene essere o repubblicano o tiranno : se si
vuole il buon successo, non e* è via di mezzo; uopo è deter-
minazione e ardire ; e gli uomini della rivoluzione non cessano
di ripeterlo. - Si vuol audacia, esclama Danton, e poi audacia,
e poi audacia ancora. - Il re non sa essere ne cittadino né ti-
ranno, e cade: la Gironda tergiversa, e sdrucciola nel sangue:
Danton esita egli pure alla sua volta, e la sua testa cade; la
rivoluzione sola va sempre diritta e la repubblica trionfa. - Il
passaggio dalla monarchia alla repubblica, avea detto il Ma-
chiavelli, altro non è che il passaggio dall' inegualità all'egua-
lità piena, dalla corruzione alla probità, e questa idea signo-
reggia tutti gli uomini della rivoluzione. - « Non abbiamo altri
nemici, afferma il Saint Just, se non i ricchi ed i viziosi: bi-
sogna fare una città nuova, bisogna fare intendere che il go-
verno rivoluzionario non è che il passaggio dal male al bene,
dalla corruzione alla probità, dalle cattive massime alle mas-
sime oneste; non dubitate, tutto quel che vi circonda dee
finire, perchè tutto quel che vi circonda è ingiusto ». - Quale
è la conclusione dell' uomo che domanda egualità e virtù, im-
mezzo ai frantumi della monarchia? Io concludo, dice il Ma-
' chiavelli, che chi vuol fare una repubblica, laddove e' sia molti
gentiluomini, non vi riuscirà se prima tutti i gentiluomini non
spenga. Quindi i giorni del terrore. - La forma greco-romana
del Machiavelli si manifesta colla repubblica; la Francia si
chiama la patria, l'antico tu ricomparisce; la salute pubblica
dello stato antico appresta il suo comitato. - Giusta il desiderio
del Machiavelli, si contrappone al cattolicismo la religione della
patria. - Non basta, dice Chalier, d'avere spento il tiranno dei
corpi, bisogna abbattere il tiranno dell'anime. - Il Cristo è cac-
ciato di trono. - Fouché dice che il repubblicano non ha altro
dio che le patria: il popolo francese non riconosce altro domma,
fuori di quello della sua sovranità e onnipotenza. Ecco il voto
del Machiavelli compiuto, l'umiltà sbandita, i santi, gli eroi
dell'abnegazione e del cielo, cedono il posto ai capitani, ai !•«-
gislatori, agli eroi della terra ; e, per meglio alla terra attac-
carsi, si dichiara non esser altro la morte che un eterno dor-
mire. - E qui, il Machiavelli è oltrepassato (!): egli avea d'uopo
d'una fiaba religiosa: senza Dio ninna virtù, ninna legge im-
mortale, niun amor civico; la corruzione straripa, l'individuo
si riman senza freno. - E qui si presenta Robespierre. - Per
lui la morte è il principio dell'immortalità, il dio della patria è
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DEL MACHIAVELLISMO. 45
lo stesso dio dell'universo. L'ateismo è dottrina da prelati, da re.
Robespierre dà alla Francia la religion naturale. - « Imita Mosè,
il Machiavelli gli grida, scanna i tuoi nemici ». - Robespierre
r imita, e affretta il supplizio di tutti i nemici suoi : esso spinge
alla tomba Luigi XVI, la Gironda, il dantonismo e l'heber-
tismo. - La religione V ispira e gì' indica le categorie de' so-
spetti, esige l'ecatombe della corruzione, e l'indignazione mo-
rale della Francia s'accorda colla coscienza di Robespierre,
per riprodurre fatalmente i macelli di Mosè. - Robespierre ot-
tiene il buon successo, ma per mantenerlo, e' deve obbedire al
Machiavelli sino al fine. Armati, dice il Machiavelli al nuovo
profeta, poi che, quando non si crederà più alla tua virtù, po-
trai farti credere per la tua forza. Robespierre non s'arma, e
già gli resistono: si spaccia ch'ei voglia pontificare, che inventò
dio, però che dio è il tiranno supremo. Il momento dell'audacia
è giunto: ardisci, gli gridano da tutte parti, e Robespierre
non ardisce nulla. La reazione della clemenza lo minaccia, e,
giusta il Machiavelli, quando una reazione irresistibile si ap-
palesa, convien farsene capo. Robespierre pensa alla clemenza
e, nell'apprestare il tribunale rivoluzionario, raddoppia il ter-
rore. Colpisci presto i tuoi nemici, gli grida il Machiavelli, fini-
scili d'un colpo, e non allungare i supplizi. E Robespierre
allunga i supplizi e gli raddoppia. — Non minacciare alcuno, il
Machiavelli gli dice, quando si tratti di grandi giustizie, più
dannoso è minacciare che colpire. Robespierre minaccia tutta
la convenzione e non la colpisce; gli è uopo d'uno straordi-
nario, ed egli esita: alcuni giorni dopo, quando l'odio tra-
bocca, quando la convenzione lo accusa, quando la prigione
il rigetta, gli eventi gì' impongono uno straordinario per sua
difesa; Robespierre esita ancora: come se e' fosse l'esempio
dell' uomo irresoluto del Machiavelli, non segna che per metà
il suo nome appiè d'un proclama degli insorti; e prima di
terminare, la legge lo coglie. Robespierre volea morire come
un uomo degli antichi tempi, perchè la legge fosse rispettata;
e, per colpa della sua indecisione, la fama, a suo riguardo, si
restò incerta, quando lo vide, in mezzo a una sommossa, mu-
tilato da un colpo di pistola, quasi non sapendo se gli sia ve-
nuta meno una insurrezione dittatoria, un'obbedienza eroica,
ovvero un semplice suicidio ». —
Quando il Burchiello, barbiere di calimala, accoppiava
poetando « lingue tedesche e occhi di giudeo », trovò chi gli
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46 INTRODUZIONE.
desse dello spiritoso, chi del pazzo e chi dell* oscuro; e trovò
pure chi s'attentò d'interpretarlo e di scoprire una qualche
relazione fra le idee de' suoi sonetti spensierate e disparatis-
sime, come accade in chi ostenta il gergo. Non minor fatica di
que' bizzarri interpreti, e non meno stento ebbe probabilmente a
durare il Ferrari, quando si risicò, ora piegando un pochino
le idee verso i fatti, ora torcendo un poco i fatti verso le idee,
a portare a galla il machiavellismo della rivoluzione francese.
Se non che chi conosce la storia di questa e gli scritti del
Segretario, troverà il nuovo ragguagliatore assai spiritoso e
assai facile, ma forse, e anche senza forse, troppo facile. Però
che nulla impedisce che quella rivoluzione che egli chiama e
prova machiavellistica, altri la chiami e provi cristiana, es-
senzialmente cristiana, seguitando l'istessa ragion di critica
del Ferrari. ^ Il Cristo, infatti, non era egli venuto al mondo
per redimere, liberare, aflFratellare l'umana generazione? E la
rivoluzione francese scoppia al grido dell' egualità, della libertà
e della fratellanza: la rivoluzione uccide e incendia; e il Cristo
avea detto : io non son venuto a recar la pace, ma la guerra.
Il Cristo avea detto: chi non è con me è centro me; e chi
non è con noi, è contro noi, ripeteva Robespierre. Che monta
che la rivoluzione rovesci gli altari e spenga il clero? Que' che
si scacciavano erano i profanatori del tempio, que' che si spe-
gnevano i farisei; che importa che sotto le vòlte di Nostra
Donna, in luogo della Vergine s' esalti la dea ragione, perso-
nificata nella persuasiva avvenenza corporea della Memoro?
La ragione non è poi che il logos, il verbo, la mente eterna,
che era in principio. Finalmente Desmoulins, tratto innanzi al
tribunale, che cosa risponde a' giudici che lo domandano del-
l'età sua? ch'egli à « Vage du sans-culotte Jesus Christ
lorsqu'il mourut >. *
Se non che con questo bel modo d'argomentare, non si
sa a che non s'arriva; se alcuno fra gli sbracati popolari di
1 Chi si facesse a percorrere la Storia della Otterrà dell'indipendenza degli Stati
Uniti di America, scritta da Caklo Botta con tanto artificio di rettorica e con tanto ac-
catto di forme dalla prosa italiana del cinquecento, facilmente sarebbe tratto a riconoscere
rinflaenza degli aforismi del Machiavelli sulla mente dello scrittore, laddove, a cagion
di esempio, si parla dell'ostinazione messa nei popoli dall'ardor religioso (libro v op. cit.)
0 del (òrto degl* inglesi « d'aver cimentata tutta la fortuna con una parte delle forze ».
(L. VI, Cf. Machiavelli, Discorsi, 1. i e xxiii) o dei nervi della guerra « che sono gli uo-
mini, le armi e la pecunia » (ibid, 1. vi, Cf. Machiavelli, Discorsi, 1. ii, e. x) - e cosi se
n'avrebber molti altri esempi. - Questo libro del Botta può in certo modo parere il mar
chiavellismo della guerra d'America.
* Thibbs : Histoire de la repubUque fìran^aise, t. ii, pag. j28. Bruxelles, 1844.
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DEL MACHIAVELLISMO. 47
Francia potè pur pensare un momento che Gesù fosse dalla
sua, ninno reputò mai che il magistero di tutto queirarru£So
fosse a riconoscere dal Machiavelli. Anzi Robespierre, volendo
proporre alla convenzione un tema grave, degno della società,
profittevole allo spirito pubblico, porta la discussione sui vizi
e i delitti del governo inglese; e, questo governo, dice, sotto
alcune apparenze di libertà, cela un principio di dispotismo e
di machiavellismo atróce. ^ Il machiavellismo dunque non aveva
per quei repubblicani cangiato ne significazione, né caratteri-
stiche. E tuttavia il pregiudizio scientifico, che avea tenuto bor-
done al pregiudizio volgare, questa volta gli passò innanzi e
registrò per primo l'indole nuova che aveva assunto il vecchio
sistema; e mentre vedemmo che nel Brucker si poneva una
certa opposizione tra machiavellici e monarcomachi, sorge il
Buonafede a toglierla del tutto e a dichiarar come « a torto
alcuni reputassero che del machiavellismo, tanto favorevole ai
tiranni, non potesse mai sorgere la furiosa generazione de' com-
battitori de' tiranni », e così pensando « non conobbero la varia
e intera indole del mostro irreligioso, violento, sedizioso, in-
gannatore, vigliacco; ne sepper discemere che i principi di
forza e utilità sono comuni al grande e al piccolo, al principe
e al suddito; e che quando ancora fosse il mostro, cosi come
lo definirono a talento; quel favore istesso esprimeva il ritratto
della crudele signoria e della pesante schiavitù, e incitava gli
schiavi miseri a libertà e a vendetta; né avvertirono che il
machiavellismo, ingrandito poi dai susseguenti sistemi d' inte-
resse, di licenza, di forza, di voluttà, di natura, d' antideismo,
appianava sicuramente la strada alla conculcazione di ogni vera
legge e di qualunque sovranità ». *
Ma alla furiosa rivoluzione succede l'impero, ed ecco il
machiavellismo gettar via i nuovi panni e il berretto frigio e
riassumer tutte l'antiche sembianze e il piglio aulico; tanto
più che niun altro personaggio storico meglio del grande Im-
peratore, e per grandezza d'animo smisurata e per maravi-
gliosa fortuna e per occasione acconcissima, pare incarnar
degnamente la terribile concezione del principe del Machia-
> « Ce gouvernement atroce cache, dit-il, sous quelques apparences de libérté, un prìn-
cipe de déspotisme et de machiavélisme atroce; il faut le dénoncer à son propre peuple,
et répondre à ees calomnies en pronvant ses vices d'organisation et ses forfaits ». Parole
testuali, riferite dal Thibbs, 1. e, t. ir, p. 11.
* Buonafede: DeUa restaurazione di ogni filoso fia, 1. e. Bruckkb: De emendanda
phU. eiitili, g X.
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48 INTRODUZIONE,
velli; Napoleone, principe nuovo d'una civiltà rinnovellata.
Napoleone, eroico condottiero d'armi nazionali, riordinatore di
popoli, costitutore di nuove leggi, maneggiatore imperterrito di
straordinari; Napoleone, che trattava Tacito da romanziere e
Gibbon da brontolone, ma faceva lettura frequente dell'opere
del segretario fiorentino, e diceva che gli scritti di lui erano
gli unici che si potessero leggere, e li voleva compagni a'suoi
viaggi e alle sue fazioni, e non ne nascose mai l'ammirazione,
ed, avvedutissimo, gli pose accanto allo Spirito delle leggi del
Montesquieu, e le fanfaluche metafìsiche del Rousseau cacciò
in bando. Epperò, i foggiatori del machiavellismo napoleonico
s' accapigliarono furiosamente, quale coli' antica stizza del 6en-
tillet abominando il Gran Còrso per tutte le stragi durate,
quale, siccome eroico sostenitore d'una società vacillante, alle
stelle risollevandolo. ^
Fuor della Francia il Mundt pigliò a cercare il machia-
vellismo de'Napoleonidi; e il ritorno storico alla irrequietezza
civile, che, a cagione della democratia male oppressa e valida
perturbava l' Italia nel secolo decimosesto riconobbe nella
Francia scompigliata e potente del secolo decimottavo; nella
relazione della dinastia còrsa con questa avvisò quella stessa
analogia che tra la spagnuola famiglia de' Borgia e l'Italia
d'allora. *
Ma l'Italia del secolo decimonono, risveglia allo squillo
delle trombe e al rimbombo de' cannoni del Bonaparte, e di-
sperata di ritrovare per qualche via l' unità sua nazionale, co-
minciò per primo segno d'agitazione intima a tórre in mano
il machiavellismo per suo proprio conto, recando una crudele
ingiuria alla storia per accarezzar la politica. Il Machiavelli,
dissero, era un ghibellino; ^ il grido: fuori i barbari, era grido
guelfo; e siccome i barbari, gli stranieri, ci stavano maladet-
* M. Mazàrbs: De Machiavèl et de l'infiuence de sa doctrine sur les opinions, . les
moeurs, et la polUique de la France pendant la revolution. Paris, 1811, 8^. Cf. Notice
hiographique et lUteraire sur M. Antoine Alexandre Barbier, ex-administrateur des bi-
bliothéques du roi, ete. par M. Louis Barbibb file ainé. Paris, janvier 1827, iii-8o. - Cf.
Abtaud. Machiavelf son genie ^ et s«8 erreurs^ t. ii, pag. 458-69-60. V. ManuscrU trouvé
dan» la carrosae de Bonaparte, après la bataiUe de Mont Saint-Jean. Le i8 juin Ì8i5.
Paris, 1816, in-8o.
" THBonoR Mundt; Machiavelli und der Gang der EuropiUschen Politik. cap. 82.
Machiavelismu^ und Napoleonismus. Leipzig. 1853, sweite vermehrte Ausgabe. « Der
Napoleonismus, der in seinem eigentlichen Wesen nicht Anderes als der militairisch oi^a-
nisirte Machiavellismus ist, hat den letseren ohne Zweifel lu den gl&nxendsten Erfolgen in
der neueren Geschichte erhoben, und ihn erst auf der HÒhe seines Systems gekrònt (p.221).
> Balbo : Vita di Dante, 1. ii e xvii : « Qhibellino può dirsi essenzialmente MachiaTelli,
nemico dei papi, quanto Dante ».
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DEL MACHIAVELLISMO. 49
tamente fitti in casa, e per cacciameli era necessario rompere
l'alleanza che si era stretta fra la chiesa e loro; s'incominciò
a voler persuadere alla Chiesa che c'era del suo vantaggio
nel nostro diritto, e. che quand'essa si fosse fatta capo a ri-
cacciar gli Austriaci dentro a' loro confini e a sconfiggere i
rimasugli ghibellini dell'impero tedesco, l'Italia sarebbe stata
tutta una parte e tutta parte di chiesa.
Questi erano i propositi de' neoguelfi, e non dovette essere
piccola difficoltà la loro, e presso i principi e presso i popoli,
ad esser creduti. Però che primo cardine da spezzare per poter
mettere V Italia in cuore alla chiesa, e la chiesa fra le carezze
degli Italiani era l'antica tradizione, dantesca prima, poi ma-
chiavellesca davvero: che la chiesa di Roma era la pietra fa-
tale tra le labbra delle ferite d' Italia la quale impediva che
queste risanassero mai. Scalzare l'autorità del Machiavelli fu
dunque necessario assunto de' neoguelfi; e questi vi si accin-
sero con quella virtù e quell'animo che poteva esser proprio
di ciascun di essi; il Balbo francamente contradicendosi,* il Gio-
berti politicando, il Manzoni criticando e pregiando l'avversario
suo, il Cantù male interpretandolo e dispregiandolo insieme.
Ma questo travestimento da ghibellino pel machiavellismo
fu breve, perchè fu occasionale, e l'occasione passò presto, e gli
stessi illustri che si acconciavano a guelfi sapevano troppo guar-
darsi « da quella falsa critica che nasce d'un sentimento di quel-
l'amor di patria, che », come il Manzoni ebbe a scrivere, « si
diflFonde sul passato e nell'avvenire, e fa trovare negli eventi
> V. Cesare Balbo : Meditazioni storiche^ pag. 16 - Leti, dipolit. e lett. pag. 413 e pre-
ced. - Gioberti: Primato, t. ii, pag. 64 - Manzoni, Opere (ediz. 1829) t. ii, pag. 24 - Cantò :
Storia univers., yol. v, pag. 1^ e seg. Id. Storia degli Italiani, pag. 80 e seg., e. cxxx.
Id. Storia degli eretici d'Italia, voi. i, (pag. 193): « Per fare T Italia, il Machiavelli ricor^
reva, al soUtOj agli stranieri; non accorgendosi come i papi fossero la sola potenza che
▼alesse a salvarne 1* indipendenza, desiderava che i Francesi gli umiliassero, sollevando
i baroni contro di essi, in modo che o gì* insultassero, come sotto Filippo il bello, o li
chiudessero in Castel Sant'Angelo ». E qui toma bene osservare come il Mazzini (Op., voi.
Yu, p. 175) risguardasse il Machiavelli siccome un prenunciatore deirunità d'Italia, quan-
tunque poi (voi. IX, p. 333) non ne ritraesse con fedeltà gì* intendimenti quando affermò che
il Segretario fiorentino ebbe « per debito di coscienza protestato egli pure colla congiura »,
• ne considerasse le dottrine come un impaccio e un ostacolo alla liberazione della patria per
▼ia deirazione popolare e repubblicana. « Non manca ai nostri né il desiderio, né la capa-
cità, pè Tardire; e sono, per numero, potenti quanto basta a raggiunger due volte 1* in-
tento; ma due difetti che sembrano contradirsi e nondimeno scendono dalla stessa sor-
gente, ne inceppano finora l'attività. La nostra educazione s'è compiuta per opera della
lunga tirannide e del materialismo, su Machiavelli. La grande ombra di quell'illustre stende
tuttora su noi il velo di quell'analisi Jissolvitrice, che comincia colla scienza e finisce colla
negazione e collo sconforto; e la scienza quale possiamo attingerla a quella sorgente, sì
traduce negl'intelletti mediocri, che sono i più, in una meschina abitudine di piccolo cal-
colo, contraria ad ogni magnanima impresa », ecc. (id. ibid., pag. 332).
Tomi ASINI - Machiavelli. 5
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50 INTRODUZIONE .
compiuti e immutabili, negli eventi futuri e lontani, de' quali
non sappiamo altro di certo se non che noi non ne saremo te-
stimoni, un interesse non della stessa vivacità, ma dello stesso
genere di quello che si trova negli eventi contemporanei. » —
Che se il Gioberti nel Primato avea fatto biasimo al Sarpi
e al Machiavelli d'aver considerato il papato come un fuor
d'opera della civiltà italiana, anzi come un impedimento, per
non dire un flagello;^ e con potenza di dialettica si era stu-
diato dare ad intendere agli Italiani che il papato avrebbe po-
tuto voltarsi in loro gloria nazionale ; e al papato, ch'esso avrebbe
potuto ripigliar vigoria di civiltà, correggendosi; poscia nella
sua quasi profetica e maravigliosa opera del Rinnovamento
civile,^ 0 fatto esperto dagli avvenimenti, o lieto del frutto
che quel suo libro del Primato avea maturo, dando adeguato
impulso a novelli destini, che, grazie a Dio, furono lietamente
compiuti, svolse considerazioni che spiegarono tutta la storia
del pensiero di quel grande statista, e agi' Italiani novamente
insegnarono la verace via, che era il ritorno alla tradizione
dantesca e machiavellesca. Così che l'ispirazione che voltava i
recenti guelfi a enfiare un papa, tentandolo a cacciarsi sulla via
d'una civile e religiosa rigenerazione, era in fondo la stessa,
che mosse già nel secolo decimosesto il gran Segretario ad ac-
caparrare e guadagnare all'Italia un figlio e un nipote di papa.
E se il grande filosofo piemontese, che fu vate e corego del
rinnovamento italiano, non dubitò di imbrandire la tradizione e
il magistero del Machiavelli, quel magistero non fu di precetti,
ma di principi; non fu pregiudizio, ma fu sapienza vera e
virtù; non fu scherma coll'occasione, ma dirittura d'intenti e
naturale giustizia. Anzi in quest' ultim' opera in cui l'idea gio-
bertiana si riassume e si spiega in tutta la sua pienezza, in
quest' ultim'opera in cui il decrepito machiavellismo parrebbe
naturalmente invitato a farla da vecchio mestierante ^ e dettare
consigli d'artifici e prorompere in tutte le forme per cui tra-
passò crescendo; in quest' ultim'opera invece il machiavellismo
muore, e si rimane stecchito e disfatto sotto la luce irra-
» Gioberti: Primato, voi. 2, pag. 61, ed. Losanna 1846.
" Gioberti: Rinnovamento chfUe, t. 2, pag. 38, ed. Parigi 1851.
» Cf. Niccolò Machiavelli nel suo Principe, ossia il machiavellismo dei poUtici del
nostro secolo, per l'avv. Andrea Anqblini. Milano, 1869. In esso l'autore non si rattieno
dairaifermare : « le dottrine politiche del M. altamente disonorare ancora quelle che pra-
ticamente Bon d'ogni di nel nostro secolo ». - Giovanni Fusinato, N. M. in ordine alle
Rivoluzioni e alla ricostituzione d'Italia {Rivista europea 1874, fase, giugno e agosto).
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DEL MACHIAVELLISMO. 51
diante della scienza maestosa e S3rena. Sulla salma guasta e
sconcia di quel pregiudìzio pare finalmente lo sguardo giocon-
dato del segretario di Firenze trionfalmente appuntarsi, lieto
che, dopo esser andato per tanto volgere di secoli cercando il
mondo sotto nuova pellet finalmente le stelle si addimostrarono
benigne a lui e alla sua patria diletta; e a questa l'antica gran-
dezza, e a lui l'antico suo essere fu dato rintracciare e ri-
prendere.
Sì; perchè ormai, soddisfatta la passione per cui morirono
i nostri grandi, per cui pugnarono i nostri forti; acquetate nella
società civile le inimicizie settarie, è da credere che il pregiu-
dizio che si copri col nome del politico fiorentino, sia per sempre
domo nella nostra penisola; e questo fatto fortunato e felice
si volle celebrare nel centenario quarto della nascita del Ma-
chiavelli, quando tutto quel che di più eletto e di più gen-
tile è in Italia peregrinava, come per ammenda della lunga
accusa, ad ogni luogo che quel gran Fiorentino aveva illu-
strato colla sua persona; e si fissavano epigrafi alla casa in cui
visse, alla villetta de' pressi di San Casciano, dove soflFri e cdln-
pose; e negli orti Rucellai si rompevano i lunghi silenzi da
una voce grata all' Italia, ^ che fra que' marmi e quelle piante
ripeteva benedicendo il nome del Consideratore di Livio. Le
scene si rallietarono ancora dell'ingegno comico del traduttore
déìTAndria, le biblioteche ne ponevano in mostra gli auto-
> Machiavelli: Asino d'oro; 1. e. neirepigrafe di questo capitolo.
• Atto Vannucci : Nel quarto centenario della nascita di Niccolò Machiavelli, discorto
letto negli Orti oricellarii il 3 maggio i869. Firenze, tip. Le Monnier. Vedi anche: Ma'
chiavelli e U suo centenario per Efisio Contini. Firenze, 186S. - Pel quarto centenario
di N. M.j discorso di Luigi Mebcantini. Palermo, 1869. Vivacissima prosa, quantunque
non presenti idee peregrine. - Il pensiero italiano di N. J/., per Luioi Mancini. Fano, 1869. -
Prose e versi pel quarto centenario di N. M., d'alcuni studenti dell'Università di Padova.
Padova, 1869. - Cansone letta nell'Accademia de' Concordi di Rovigo dal prof. Filippo Mie-
CHINI nell'occasione del quarto centenario di N. M. Rovigo. 1869. - Gloria postuma di
N. M. Terzine di Luisa Obacb-Bartolini, composte pel 26 luglio 1863. Pistoia, 1869. - Per
U quarto centenario di N. M. Carme di Alfonso Linquiti. Palermo, 1869. - Ottave im-
provvisate a MHano il giorno i3 febbraio i860 dalla signora Giannina Milli. - Discorso
del prof. Angelo Ronzi nel IV centenario dalla nascita di N. M. Rovigo, 1869. - (Fran-
cesco Palebmo) : N. M. e il suo centenario. Firenze, 1869. - Ob quartum sceculare fé-
stum Nicolai Machiavelli. V. Nonas Majas Florentiae celebratum Carmen Fé. Diontsii
Blancabdii. Il quale carme si chiude conseguenti versi, che citiamo, però che esprimono
ridea che informò la mente di tutti gritaliani nella celebrazione delle feste machiavel-
lesche:
« Interea celebrat dum te studiosa Juventus,
Dumque tuos Itali cineres venerantur in arca
Nomen et aetemum laeto clamore salutant,
Oaude, Nicolae; tenet sua praemia virtus;
Semper honos, nomenque tuum, laudesque manebunt ».
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58 INTRODUZIONE.
grafi, come a venerazione; le edizioni, come a gloria: carmi e
commenti alle idee del Cancelliere fiorentino, del grande iste-
rico, pioveano d'ogni parte. Tutta quella festa, tutto quel giubilo,
tutta quella patria commozione voleva dire che il machiavel-
lismo, quel mostro che avea deste tante paure, tante furie,
tanti malintesi, si reputava in Italia del tutto • spento e irresu-
scitabile, perchè forza di circostanze estrinseche, che lo ri-
creasse, non potea qui più attendersi; perchè l'amore del vero
e del bene infiammando gli animi soddisfatti, doveva spingerci a
raddomandare all'istoria il primo procedimento e la serie dei
progressi di quel pregiudizio fatale e metterci sull'avviso per
l'avvenire.
Ma il machiavellismo, spento in Italia, potrà credersi can-
cellato per sempre dalla faccia della terra, o non seguiterà a
strascinar la vita in Francia co'napoleonidi, a campeggiar coi
carlisti nella Spagna, a scambiarsi col bismarkismo in Prussia,^
' Bollman: Vertheidigung de* Maeì\iaì30lismu8. Quedlinburg, 185S. - Quest'opera,
scrìtta cou disegno non esclusivamente teoretico, ma colla pratica mira d'eccitare la Prussia
a porsi a capo dell'unità germanica, conchiude : che a questo non avrebbe potuto riuscire
né il partito liberale impotente, né la democratia incapace di governare, ma solo un prìn-
cipe armato e forte. « Ma un tale armato rìformatore dovrà possedere, scrìve il Bollmann,
quelle qualità che sviluppai nel corso di queste mie ricerche attorno al Machiavellismo.
E* dovrà seguire nelle reiasioni della costituxione intema dello Stato i progressi della mo-
rale civile, e nello relazioni della politica estera i dettami della morale politica ; egli avrà
sacro, come il grande statista italiano insegna, il bene del popolo ; ma contro allo stra-
niero non conoscerà né dolcezza, né crudeltà, né fede, né spergiuro, né onore, né vergognai
ma solo unità, grandezza, indipendenza della patria. Pertanto un tal principe dovrà vincere
ogni maniera d'impedimenti, dovrà esser grande, possente, irresistibile. Quando apparirai
tu, re dell'avvenire?... » Il libro era edito nel milleottocentocinquantotto. Un'altra maniera
d'accenno ad un maphiavellismo tedesco austriaco imperiale, in opposizione alle tendenze
francesi, potrebbe osservarsi in un opuscolo citato dal Grabsse nel suo Trésor de livres
rares et précieux (t. vii, pag. 417), e intitolato : Machiavelisticher Hocus-Pocus^ oder star
tistischea Taschen-^aukel und Narren-Spiel, von dem Jean Polagischen Taused KunsUer
Mon*. Courtiaan, aU eine poUtiteh-franzosische Raillerie à la mode auf dem fooo-
nirlichen Schimpfs Theatro enutlieh agirei undaatyritch belaeìiet, eie., damit die Maulauf-
aperrenden kitzlichen Gechen etvoas zu lachen, kriegen^ eie , gedruekl im Schal0ahre der
narrischen Welt. 1672, in-18. ~- Una copia di questo rarissimo libro, che trovasi nella bi-
blioteca di Berlino, reca nell'interno della legatura la seguente annotazione: Libri fuluris
nundinis prodituri, cioè a Francoforte nel catalogo di Natale del 1876. Contiene del resto
una satira amara, ma non molto spiritosa, delle condizioni politiche e civili della Germania
d'allora. La composizione sa del grottesco e arieggia lo stile delle satire del Fiscba&t
(HuUrieh EUopoacleroa Reznem). Bersaglia la moda e i forestierumi, lamenta le guerre
presenti e la disunione intema dell'Impero tedesco ; esclama ai consiglieri imperìali : « Lasset
auch die Kugel (il globulo, una delle insegne dell' Impero) kein Spiel, sondem ein FUrbild
der Reichs-Wohlfahrt sein. Bildet in unserem hochsten Haupte die Universal Monar-
chie nicht durch eine falB'*he Brille fUr!» ~- E per dar indizio del modo di rappicco fra
le idee dell'autore e il machiavellismo, rechiamo il passo seguente : « Reichthum ist besser ala
Armuth; welche letztere doch durch die subtile Maehiavellische Statisterei gewiss kommt».
Nel 1875 comparve a Napoli un opuscolo intitolato : Hegel e MachiaceUi, ouia la Germania
e l'Italia neUa presente lotta religiotaj pensieri d'un giovine. In essa l'autore combatte
la moderna idea dello Stato. « Vedremo, egli scrive, la parte astratu, teorica, speculativa
di questa idolatrìa negli insegnamenti di uno fra i più celebri filosofi alemanni, troveremo
la parte pratica di essa nei consigli dati al suo Principe dal secretarlo della repubblica.
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DEL MA GHIA VELLISMO. 53
in Russia col nullismo, col radicalismo in Svizzera, o con quale
altra sia mai più strana e nova setta? Se i progressi della
critica e l'amor del vero bastassero a tenere più facilmente gli
uomini nella ragione del giusto, sarebbe a credere che alle cose
si potesse cominciare oramai ad attribuire il proprio loro nome,
e che non si facesse più tanto a fidanza coi poco analitici; di guisa
che, cognita la vita, ben esplorate l'opere del Machiavelli,
senz'animo né d'oppugnatori a ogni costo, né d'apologisti per
proposito, la verità intorno a lui potesse e dirsi e credersi, senza
mestieri d'armeggiar più oltre coU'equivoco, che è arma vile,
come il pugnale, e pericolosa a chi l' impugna del pari che a
chi ne riceve i colpi e a chi le presta il fodero.
Tuttavia é d'uopo confessare che, a chi non sappia guar-
darsi dal considerare gli scritti del nostro politico fiorentino
come un ricettario, come una serie di precetti schierati in bel-
fiorentina; e, senza sofisticare inutilmente sugli intendimenti che ebbe il Machiavelli (!),
. dovremo riconoscere che i snoi precetti farono seguiti e praticati dagli nomini politici ita
liant a danno del pontefice e della Chiesa cattolica, non altrimenti che le teorie di Hegel
sono dai politici dell' Impero germanico rivolte allo stesso scopo e tradotta nella realtà ».
B non à guari uno scrittore di versi in vernacolo romanesco, scriveva:
y « Ce vo machiavellistmo, fratello,
Pe' abbatene der papa la potenza ».
(Marini, Cento sonetti, son. 19).
In Francia, dagli uomini di tranquillo giudizio, presto si giunse a discemere quel che
nella presente costituzione politica d* Italia era portato dall' idea trasfusa dentro agli scritti
del Machiavelli, vale a dire l'esercito nazionale rinnovellato, un re militare e amatore della
patria, l'unione volontaria delle provincie sotto il principato d'un solo, l'abbassamento della
potestà politica de' pontefici. - Cf. Charles db Rémusat (Notes d'un voyage en Italie, nella
Revue des deuac mondes, luglio 1861, 29 fase), il quale cita in favore della tradizione uni-
taria in Italia «trois hommes qu'on peut en croire sur l'Italie, et qui ne jugeaient point
en po^tes lyrìqnes les affaires du monde, Macbiavel; Napoléon et Rossi ». Paul Dbltuv
(Essai sur Machiavelf Paris, 1867) similmente opina: « En un mot, si l'Europe démocra-
tique se constitue conformément à ses veritables intéréts et aux données de la justice, elle
sera constitue selon des principes émis par Machiavel » (pag. 513). Victor Poirbl, nel-
V Essai sur les discours de Mctchiavel avee les considérations de Ouiceiardini, Parigi, 1869,
aggiunge : « Par la persistance des Italiens de tous les partis à réclamer Rome pour ca-
pitalOj on reconnait qu'ils s'inspirent des doctrines de Machiavel ». Tuttavia le intempe-
ranze de' partigiani sanno petrificare oltr'Alpe il cadavere del machiavellismo. Il Nourisson,
nelle osservazioni in seguito alla Memoria dei signor Arminoaud, La Maison de Savoie et
les Archives de Turin (Cf. Compte-rendus des séances de l'Académie de sciences mor. et
poUtiq.)f dopo avere segnalato, a proposito del libro del Lamaemora (Un po' più di luce, ecc.)
•e la politique du Piémont qui en méme temps et de toutes mains négocie avec la Prusse,
avec la Franco, avec l'Àutriche, se montrant prét à tout, pourvu quo le succès suive, et
traitant la paix de Villafranca de trahison », trova « la politique de la Franco enivrée,
endormie, étouffée entro les cajoleries ou les ofiVes fallacieuses d'une diplomatie machiaveU
Uque et les incitations d'une presse aveuglée ou venale ». Un abate, T. E. (ex-aumoniér
dans l'armée auxiliaire), in un opuscolo intitolato La main de l'homme et le doigt de Dieu
dans les malheurs de la France (Paris, 1871), potè scrivere: « La revolution modérée, habile,
sagace, machiavelUque, diaboliquement sage^ a été vaincue et confondue par la justice di-
vine dans la personne et dans le Oouvernement de Napoléon III». Forse era col pensiero
a questo machiavellismo quando il generale Trochu accusava della caduta della Francia
la carruptìon Ualienne. E questo voleva dire sapersi guardare in sono.
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54 INTRODUZIONE.
l'ordine, ma senza dipendenza scientifica; a chi non li pigli tutti
insieme, non li riponga in armonia con tutto il rinascimento,
non sarà facile evitare lo sdrucciolo e afferrare del Machia-
velli qualcosa più in là del nome, come già fecer tanti altri. Ed
è indubitato che pel falso metodo di procedere del pregiudizio
volgare, donde trasse origine il machiavellismo, sorse il pre-
giudizio scientifico, che gli fé' trarre lunghi giorni e prosperi,
e gli die, come diceva il Buonafede, speranza d' iìnmortalità. Di
questo pregiudizio scientifico nacquero gli aniimachiavelli} dei
quali, conosciuto il falso punto di vista da cui si spiccarono, e
il consentimento universale a trovarli fuor di logica, non ci
brighiamo qui di tenere troppo particolare ragione.
Di questo pregiudizio nacquero pure quelle inclinazioni a
1 n libro del Gentillet nella versione tedesca fu primieramente intitolato : AntirMa'
chiavellus, das ist Regenlenltunst und Filrstenspiegel.... verteutachl durch Georg. Ni-
GBiNus GiESSENSis. Màmpelgardt, sec. ediz., 1583. - BarlaeusC: Dissertationes de bono
principe, adversus N. M. suasorias, quas lihris suis de principe, Republica aliisque in-
sparsit. Amst., 1633. - Philippi Honorii: Thesaurus polUicus, 1617. Francofurti, pag. 527.
« Trattato nel quale si oppugna et confuta la ignominosa opinione di Machiavello, il quale
non si è vergognato dire esser lecito ad un prencipe mancar di parola, ecc. » - L'Allacci,
nelle Apes urbanci^ (Roma, 1633, pag. 80), cita un discorso inedito di Decio Memmolo, se-
gretario di papa Paolo V « contro i fautori del Machiavello ». - Cf. Isaaci Schoocr, philos.
pracl. prof. pubb. ordin. et histor. natur. extraordin. h. t. universitalis (Viadrinae) re-
ctoris Disquisitiones historico-poUticcte XXV ad N. M. libr. VII historiae florentinae quas
pubblice in auditorio majori tractavit die x et seq. mài an. m.dc.lxxvi. Francofurti ad
Oderam, literis Christophori Zeitleri, 1676. Combatte in queste anche il libro del principe
(disq. i, xi) e assegna al machiavellismo un aforismo nuovo : « Subditos simpliciter esse
propter magistratus. - Questi trattati furono sconosciuti al Mohl e alPARTAun. - Pi-
CHLRR S. : Earamen breve decadis dogmatum pseudo-polUicorunCM. N. - Fbustking T. H:
De Achitophelismo N M. schediasma. - Wbiss Oh. : Machiavellus in ili. Augustei calheé^a
oratoria exhibendus. Leucop., 1670. - Ch. Peller : Politicus sceìeratus impugnatus : i. e.
Compendium politices nomtm sub schemate « hominis politici » editum illustratum. No-
rimb., 1698. - Poi le tre opere: 1. Antimachiavel, ou essai de critique sur le Prince de
Machiavel, pubi, par monsieur de Voltaire, à la Haye, 1740, presso van Duren; che è il
primo saggio dello scritto di Federico, con alcuni cangiamenti del filosofo francese. 2. Un'altra
edizione sotto lo stesso titolo, pubblicata nell'anno istesso con maggiori variazioni di man
del Voltaire. 3. Réfutation du Prince de M., ultimo rimpasto di Federico istesso, non
contento dell'acconciatura fatta dal Voltaire al suo originale. Nella collezione delle opere
di lui trovasi impressa nel tomo viii. Manca del secondo capitolo che andò perduto nel ms.
Di questo libro giudicò il Mohl : « Von einer eigentlichen Widerlegung Machiavelli's ist
aber dabei eigentlich gar keine Rede, vielmehr ist die ganze Arbeit dea Prinzens ein grosses
Missverstandniss ». - V. Machiavel und Antimachiavell. del Trbndblbmbubg, nei Mo-
natsberichte der Konigl. Proeuss. Aìtademie der Wissenschaften. Berlin, Januar, 1855. -
Nella Correspondance du Prince royal de Prusse et de M. de Voltaire (Oeuvres com-
plètes de Voltaire, Paris 1829, t. iv) si ragiona del Machiavelli e dell' Antimachiavello
nelle lett. 50, 54, 56 (nella quale scrive a Federico : «s'il daigne écrire contre Machiavel,
ce sera ApoUon qui écrasera le serpent Pithon.) 84, 88, 01, 92,94, 97, 99, 99, 100, 103, 104,
105, 107, 103, UO, 111, 112, 113, 114 (e in questa il filosofo francese osserva: « quelque-
fois Machiavel se retranche dans un terrain, et votre altesse rojale le bat dans un
autre » ). Nella lettera 115 Federigo, vedendo il padre suo presso a morte, lamenta di do-
versi trasportare dai suoi ozi studiosi in un terrMio :
« Scabreux, raboteux, difficile.
De machiavelUime infecté ».
V. Anche le lett. 116, 117, 118, 120, 121, 122 — Nella « Correspondance de Voltaire avec
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DEL MACHIAVELLISMO, 55
ravvicinare e confondere quel che parve sistema del Machia-
velli con sistemi o con opinioni d'antichi filosofi o scrittori,
che si avevano in uggia e sospetto': così Niccolò taciteggiò
scrivendo, morendo averroeggiò, paganeggiò con tutta la sa-
pienza gentilesca, anzi, a detta d'Enrico Estienne, si portò in
seno l'anima di Potino istessa.^
I nostri tempi meglio solleciti a ben comprendere che a
stabilire pronunciati, spinsero nell'arrfngo elettissimi ingegni,
i quali ravvisando nel Segretario fiorentino tutta l'importanza
d'un singolare fenomeno intellettuale e morale, si provarono
con mille industrie e modi di porgerne, a forza d'ipotesi, la
spiegazione probabile. Ma quel che finora ne risultò fu una ca-
tena non interrotta di studi, un prendere e un riprendere cia-
Itroide Prusse *\eit. 5, 6, 7,8, 10, 11, 14, 80,22, 23,24, 25, 26, 28, 32, 92, 119, 122: — V. Réfie-
xiontsur VAntimachiavel de i740 par l'abbé de Saint-Pierre. Questi accetta le opinioni di
Federico di Prussia, ma non quella per cui accusa i Francesi di leggerezza e mobilità, alla
quale risponde : « Le roi de Prusse a nommé quelque part aimable la nation francése, mais
5*il en blàme Tincostance dans ses gouts, c*est quMl ne prend pas garde qu'une partie des
graces et des agrémans de cotte Nation consiste dans cette mobilité et catte légéreté qui
fait qua Ton trouve tant de joliea personnes dans une seule ». - Bouillé : Cotnmentaires
politiques et historiques sur le traile du Prince de Machiavel, et sur l*Anti-Machiavel
de Frederic IL Paris, 1827. - Poi ancora Throdor Bernhardt : 3/. '$ Buch vom Fursten
und Friederichs des grossen Anlimachiavelli. Braunschweig, 18&Ì; il quale reca nella que-
stione critica ma^ior luce del Mohl; distingue le dottrine del M. dal machiavellismo, e
non ammette che il grande politico nostro debba ritenersi prescindente dalla legge morale :
« Von einer Trennung des Sittlichen und Religiosen kann also nicht die Rede sein; es handelt
sìch fUr uns vielmehr nur darum, einem jedem, unbeschadet des inneren Zusammen hanges
beider seine eigenthUmliche Sphàre zu wahren ». - Fra gli antimachiavellici sarebbero per-
tanto a ridurre tutti quelli che errarono per lo stosso capo accennato dal Voltaire : Tabate
Pleoby : Riflexìons sur les oeuvres de M. nel Droit public de France^ Paris, 1769; il Ma-
ziRBSf op. cit.; il St. Hilaire: PolUique d'Aristote, traduite en francais; il Morkllst:
Mélange de lUtérature, Paris, 1818, t. iv, pag. 3i6. - Il Raumbr: Ueber die geschichtliche
Entwickelung der Begriffe, Recht, Staat und Politik. - Kaltenrorn .• Die Vorlanfer dès
Hugo Grotius. Leipzig, 1848, pag. 112. - Rathbrt; Influence de l'Italie sur les lettres fran-
caises depuis le XIII siécle jusqu'au regne de Louis X/r, Paris 1853 in cui (pag. 129-150)
si tratta del Macchiavallismo. Nourisson: op. cit. - Per l'antimachiavellismo vedi anche
i capitoli x-xni del libro anonimo Observations générales sur les intérAts présenls des puis-
sances. Leipzig, 1738. Secondo il Quérard {Dictionnaire des anonymes) ne sarebbe autore
F. A. Chevrier.
» Hbnr. Stbphani, Principum Monitrix Musa, Basilea, 1590, asma viri, pag. 252.
« Nefanda visus est tibi loqui
Photinua ille Aegyptius, quum diceret
Sceptris perire vim suam, ai sceptrìfer
Velit esse justus, esse si pius velit :
At laudet aliquis qui Machiavelista sit.
Et Inter illos laurea dignissimus
Habeatur ille qui loquatur talia.
Nec miror, ipso nam Machiavelus fuit
Photinus alter; quodque volvo pectore
Expectorare si mihi concaditur
Hujus animam migrasse Photini reor
In corpus illius; fribuenda si sopho
Samio fides est sic meare in corpora
Alia animas; mora a suis quas solverit » ecc.
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56 INTRODUZIONE.
scuno le idee degli altri dal Bodin al Lipsie, dal Peller allo
Scioppio, dal Matter, che lo ragguaglia e lo fa concorde col
Pomponazzi, allo Sclopis che, appaiandolo col Montesquieu,
aiuta a riconoscere l'uomo di scienza in colui che parea solo
uom di pratica e d'arte ; dal Leo, che gli niega che mai si pro-
ponesse la liberazione dell'Italia dai barbari, al Bluntschli, al
Trendelenburg, al Gervinus, al Ranke, al Vannucci, al Ma-
caulay, al Zambelli, al Giambelli, al Manzoni, al Mancini, a
tutti i moderni che glielo provano, seguitando sempre a cor-
reggere e rettificare l'uno il giudizio dell'altro; ^ tanto che il
* Tra i difensori del M. s'accampano : Oiusto Lipsio : PolilicoruiA^ libri vi. - Bacone :
De augumento scient.y vii, 2. - Jac. Frid. KEiMxnìijHistoria universali» atheismiet atfieorutn
falso suspectorum. Hildesìae 11^5, cap. rv, pag. 353 e seg. - Wicquefobt : L'ambassadeur et
ses fonclionSj i, 1. - àmblot db la Houssaye, nella pref. alla traduz. del PtHncipe. - Morhof:
Polyhialor, v. i, 10. - Jacobi: Werìte^ voi. n, p. 334. - l\ Conte Radicati: Discours moraux,
historiques et politiques. - Rayne^al: InslUulions du droit de la nature et des gens.
Paris, 1833, voi. ii, pag. 175. - Rousseau: Conlract social^ e. 6, 1. iii. - Alfieri: Del Prin-
cipe e delle lettere. - M. Ridolfi: Pensieri intorno allo scopo di N. M. nel libro il Prin-
cipe - Zibardini: Italia letteraria ed artistica. Parigi, 1S50, p. 314. -Ebbling: N. di Ber-
nardo Machiavelli' s politisches System zum erstenmal dargeslellt und biographisch^
literarisch und ìtritisch begrundet. 2^ ediz. Berlino 1856. - Buhle: Geschichte der Phi-
losophie, voi. Il, pag. 929 e seg. - Baldelli: Elogio di N. M. - Corrado Perriconb, Su
N. M. Considerazioni. Siracusa, 1871. - Splendidamente a difesa delle opere del Segretario,
e a confutazione del Machiavellismo, scrisse I. F. Christius: De N. Machiavello^ libri
tres, Lips. et Halae, 1734. - G. Cap^el: nella dedica al Bertrand della traduzione del
Principe. - Gaspare Schopp : Paedia polilices sive suppetiae logicae scriptoribus politicis
latae. Romae, 1623. Lo Scioppio prese a scrivere la sua Machiavellica nel 1618. V. nel*
l'Appendice, al n. 1, le lettere e gli estratti di lettere dello Scioppio a Giov. Fabbb
da Bamberga, dalle quali è palese il fine che lo Scioppio propone vasi alla sua apologia,
e r aiuto , che domandava per questa al segretario dell'accademia de* Lincei. - Conring
Herman : N. M. Princeps cum animadversionibus politicis ^ accedit Vita Castrucci et
Dux Valentinus. - Drbux du Radier. Nella sua traduzione della vita di Castruccio. Lo
Jocher, neW Allgemeines Qelehrten-LexiHon (art. Machiavellus) cita fra le opere di lui:
Epistolam apologeticam prò se et scriptis suis, la quale, insieme ad un altro scritto attri-
buito al M. medesimo, fu stampata in Haag nel 1726. Quest'apologia ci venne fatto di trovar
manoscritta fra le carte dell'ALj^ACCi nella Biblioteca Vallicelliana (voi. xxxvi). Essa è
intitolata : Confutatio accusalionum Machiavello datarum ab ipso Machiavello composita,
ut patet ex pagina signata ubi dicit « postremis bisce meis verbis, et quoniam apographum
operis non erat integrum, reperto ab Allatio autographo, manu sua integrum exemplum red-
didit ». - Questo titolo è erroneo, come erronee tutte le notizie accumulatevi. Lo scritto non
è autografo del Machiavelli, né potrebbe essere, trattandovisi di persone e di cose che,
lui vivo, non furono. Né potè l'Allacci pertanto usar altro autografo a completare l'apo-
grafo manchevole ; sibbene dalla pag. 17 alla 39 (linea 8) di questa apologia tutto é scrit-
tura di mano dell* Allacci, ed anche le citazioni dal greco inserte alla pag. 13 son per certo
della mano di lui. Tanto che noi inclineremmo a credere che tutta questa apologia, la
pregevolissima sopra quante altre ne esistano del M., e la più acuta e sottile, sia pretta
composizione del dotto bibliotecario da Scio, il quale sotto quelle false indicazioni causò
i pericoli della difesa assunta, e trovò anche modo di sfuggire alla responsabilità dell'in-
ganno, scrivendo dopo Taccusa contro il nostro politico, al capo xviii «ejus confutatio sub
persona Machiavelli ». - Basti a saggio dell'ottima critica di questo scritto recar in mezzo
le seguenti parole intomo al libro del Principe: « Intolerabilis igitur est accusatorum
ineorum calumnia, cum quae ego manifeste novo principi praescripsi, iis me quemcumqae
principem-imbuere velie clamitant ». - L'Artaud non ebbe notizia di questo manoscritto;
dell'edizione fattane ad Haag, e citata dallo Jocher, né egli né il Mohl 'ragguagliano,
né ne tengon parola il Brunbt, il Quérard e i recenti bibliografi, né a noi riuscì accertare
che esista. - Oltre l'apologia dello Scioppio, nota 1' Artaud quella manoscritta della Bi-
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DEL MACHIA VELLISMO. 57
Mohl, dopo aver percorso tutte le opinioni cui detter luogo i
gravi problemi di filosofia morale, naturale e politica messi in
campo dagli scritti di Niccolò, trova esser buona mortificazione
all'intelletto degli uomini e all'acume della loro critica che
solo adesso, dopo molti e molti anni; solo adesso, dopo secoli
d'errori tra mezze verità e spropositi e falsità intere, siasi giunti
ad avvisare quale sia il punto vero di veduta e l'unico ban-
dolo possibile per provarsi a sciogliere un enigma, che sarebbe
stato degno della sfinge d' Edipo. E il vero punto di vista con-
sisteva, secondo il Mohl, nel pigliare tutti insieme gli scritti
hhothéque du roi, n. 7109, in-folio, che attribuisce al Naudì (V. op. cit., cap. xltiii). -
Da una scheda del Bandini alla Marucelllana {Oputeola et memorabilia ab anno 1740
ad 1769) rilevammo : « Un'altra apologia scritta da Pietro Pietri, danzicano, assicura di
aver letto Ant. Magliabecchi nelle sue schede in vni lett. M. che era del dottor Adamo
Luciano di Rotenano ». - Avvocato del M. volle farsi I'Abtaud, e ordinai^li processo e
sommario; ma, malgrado molte minuzie nelle osservazioni, fu male informato e non bene
accorto nell'opera sua. A proposito del suo Machiavelf son genie et sea erreurs, Paris, 1833,
il MoBL esclamò : « Gott bewahare leden vor einfKltigen Freunden ». V. anche attorno al-
l'opera citata la recensione del Orbvinus : Oesammelte hhtorische Schriften. Leipzig, 1839,
pag. 557. - Tra gli autori di paralleli fra Machiavelli e altri scrittori vedi Venedet : Ma-
ckiavel, Montesquieu, Rousseau, voi. i, Berlin, 1850. II Venedet crede il M. d'assai ri-
stretta intelligenza; scopo del libro del Principe gli sembra la misera questua d'un im-
piego. - Federico Sclopis: Montesquieu et Machiavel (Revue histor. du droit francai»,
Paris, 1856, pag. 15 e seguenti). In questo breve saggio il chiarissimo autore osserva che
Niccolò seppe penetrare tutti i segreti politici del suo tempo, e che Montesquieu, meglio
di lui, ebbe presagio dell'avvenire. Il Macaulat, nel suo bellissimo saggio sopra M., scrive:
« Machiavelli erra only because his experìence, acquired in a very peculiar state of so-
ciety, could not always . enable him to calculate the eifeet of institutions differing from
those of which he had observed the operation. Montesquieu errs, because he has a fine
thing to say, and is resolved to say it », ecc. - Il Mattbr (Histoire des doctrines morales
et politiques des trois dernières siècles, t. i, pag. 30 e 31) mette accanto il Pomponazzi e il
Machiavelli, e giudica che cosi l'uno emancipò la filosofia come l'altro la politica. - Il
Pebbi, nella Revue des Cours littéraires de la France et de l'étranger, 89 juillet 1865 « Ari-
Uote et Machiavel », osserva che « l'un fonde ou du moins organise la science politique sur de
nouvelles bases, l'autre se sert d'une science faite pour composer un art nouveau ». - Del-
l'opinione che il M. nel libro del Principe tentasse una satira, furono : il Brukeb: Historia cri-
tica philosophiae, voi. iv, 2, pag. 790 e seg. ; Robinbt: Pref. al Diclionnaire universel des
Sciences morales, économiques; Lrrminier: Philosophie du droit; Gohoby : nella Vita di I^. Jf.,
premessa alla traduzione del Principe (Parigi, 1571), lo suppone una satira della politica di
Carlo V. Grossolano errore di cronologia e di critica. - Giudicano che la polìtica del M. pre-
scìnda dalla morale il Wolp : Ueber den Fursten des N. M. Berlin, 181^; il Fbanck A. : Notice
sur M, [Séances et travaux de VAcadémie des scences mor. etpolit., 1855, v. xxvi, p. 27-63);
Ma>'ciki P. S: M.e la sua 'dottrina politica. Torino, 1852. - Blui^tschli: Oeschichte des Stad-
trechts und der PolUih, capo i. Lo ripigliano di errori storici il D'Albmbebt, 1. e; il Febbabx,
1. e. ; il Manzoni, 1. e. ; il Gibson, 1. e. ; I'Ammibato (v. lib. ni, e. v). Contro gli appunti del Man-
zoni piglia a difènderlo il Giambelli : Saggio critico e filosofico intorno a N. M. Torino, 1867,
estratto dal giornale « {{ Oerdil. » - Al saggio del Macaulay risponde il saggio del prof. Zam-
BBLLi, premesso all'ediz. fior, del Principe e dei Discorsi. 1843, I^e Mounier. Vedi anche
Hume: Essays and treatises. London, 1748, p. 20-91, voi. i; p. 441-262, voi. ii. - Secondo
le opinioni filosofiche, fu riguardato il Machiavelli per epicureo dal Campanella, dal Bbukbb,
dal Buonafede (opere cit.); per ateo dal Moller. Atheismus devictus, e. ii, p. 16, dal
Bayle. Dict. philos, dal Raynaud in Erotem. de bonis et malis libris, p. 27, dal Buddeo,
de Ateismo, e. i, 8 24, p. 132, dal Vanini neìV Amphitheatrum aeternae provid Exercit. vi,
p. 35 et seg. che l'appaia col Pomponazzi; per spinozista dal RrrrBB {Geschichte der
neueren Philosophie, lib. i, cap. in) e dall'autore dell'articolo Machiavelli und der Qedanhe
der Allgemeinen Wehrpfiicht nel Deutsche Monatshefte, 1876 (voi. vii, fase. &>, p. 424-25).
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58 INTRODUZIONE.
del Segretario, nel ragguagliarli e comporli tra loro in ma-
niera, da ricostruire la storia della mente che li pensò e li
formò. Ma, fatto pur tutto questo, poteva egli dirsi d'essere
n Fbrbi^ nella Nuova Antologia (30 settembre 1873), scrive di lui : « Al certo io non credo
errare affermando, e non mi par difficile di provarlo, che sei sono i fondatori del metodo spe-
rimentale nella scienza della natura e dello spirito ; due ne' tempi antichi, Ippocrate, cioè, ed
Aristotele; due nella Rinascenza, il Vinci ed il Machiavelli; due ne* tempi moderni, Ga-
lileo e Bacone ». Per naturalista lo designa il Twbstbn, Machiavelj traduit avec autoriza-
tion par Dibtz {Revue des cours littéraires^ 186S, n. 32) : « Semblable aux philosophes nar
turalistes de l'Italie ou à Bacon, il bàtit son syst^me sur des principes qui ne sont qu'à lui,
et cela d'après les règie» des sciences exactea » (pag. 519). - Il pregiudizio clericale.de' tempi
nostri, come vedemmo, lo ragguagliò anche all'Hegel. Il Castelnau (nella P/itto«oj)Wtf po-
silivey anno x, luglio-agosto 1877), considerando la Faune politique et Machiavelf ce lo dà per
positivista. - Come pagano lo indicarono lo Schlegel: Geschichte deralten und neuen Litt^
ratur; il Fichte : Ueber M. al$ Schriftsteller und Stellen aus seinen Schriften (opp.,v. xi);
il Fbappobti; Sugli intendimenti di N. M. nello scrivere il principe, Vicenza, 1856, ^ ediz.,
che scrisse (pag. 46) : « il Machiavelli sembra un'anima pagana gettata per caso attraverso
i secoli cristiani. - Il Gioda : Machiavelli e le sue opere. Firenze, 1874; il Tedeschi, che nel
suo articolo Machiavelli e la critica storica (V. Rivista Europea, 1874, p. 302-307) lo fa pa-
gano cristianeggiante. Lo Schopenhauer (Zur Rechtslehre und Politikj a. 259, § 125) con-
siglia ai popoli conquistatori che velano le loro ruberie con pretesti, alfermando di levar l'armi
ciascuno per la propria difesa : « statt aber die Sache mit òlfentlichen, officiellen LUgen za
bescbònigen, die fast noch mehr, alse jene selbst, empòren, soUten sie sich frech und frei,
auf die Lehre des Machiavelli berufen. » E aggiunge che il princìpio machiavellico de'con-
quistatori, opposto a quello che regola la morale fra singoli individui, debba sonare : « qnod
tibi fieri non vis, id alteri tu feceris. » - Escludono che il M. abbia caldeggiato l'unità d'Italia
e sia istitutore della politica nazionale: Gaspare Amico, La vita di N M., commentario storico-
critico. Firenze, 1875; il Fauerlein, Zur M. Froge nella. Historische Zeitschrifl, voi. xix, 1868;
Diomede Lojacono, La filosofia della storia nel M. Napoli, 1878. - Risguardarono più parti-
colarmente il Segretario fiorentino come diplomatico : il Prescott {History of Ferdinand and
Isabella, p. ii, e. i, p. 257), il quale afferma che le swe legazioni possono risguardarsi « as the
inost complete manual of diplomacy a&it existed at the beginning of the sixteenth century».-
Emilb Gebhart, L'honnèteté diplomalique de N. M. (Séances et travaux de VAcad. des
seiences mor. et polii. Février 1877, 2o fase.) - E. Heidbnheimer, M. 's erste rómische Lega-
tion, ein Beitrag zur Beleuchtung seiner gesandschaftlichen Thatigkeit. Darrostad, 1878.-
Lo considerarono come scrittore d'economia politica : il Pecchio, Storia della economia fìoU-
tica in Italia, Introd. ; il Knibss, M., als VolksunrthschaftlicherSchriftsteller nella Zeitschrift
fùr die gesammte Staat»wissenschaft. Tiibingen, 1852, 2 e 3 fascicolo. - E più particolarmente
come storico e come politico : lo Star Numan, Diatribe acad. in N. M. opusculum del Prin-
cipe. Traj. ad Rh., 1833. - Rbbbbro, Introd. alla versione del Principe - voi. 2», pag. 302. -
Buchholz F., Ueber N. M. 's Fursten, nella Monatschrift. fur Deutschland. Berlin, 1823,
Rankb L., Zur Kritik der neuerer Geschitschreiber. Leipzig, 1824; con un'appendice attorno
al M. assai accurata. -GtERvnivs,Zur Florentinische historiographie.^ìenj 1871. Come perito
d'arte militare: il Maffbi, Verona illustrata, p. ni, e. v, p. 118; il Mariki, Biblioteca di
fortificazione, pag. 58; I'Algarotti, Opere, voi. v ; il Promis, Dell'arte dell'ingegnere e del-
l'artigliere in Italia, pag. 59 e seg. Tolsero solo ad esaminare le Considerazioni intomo aUa
deche di Livio, il Gucciardini, {Opp. inedite, voi. i, Firenze, 1857), V. Poibel, Essai sur
les discours de Machiavel avec les considerations de Guicciardini, Paris, 1869, G. Ricci,
Osservaz. sui discorsi di N. M. Sopra la prima Deca de T. Livio, Civitanova, Marche, 1876,
il quale scrisse prima di saper che esistessero le considerazioni del Guicciardini. - Dal
lato filologico particolarmente l'esaminano il Bonghi : Perchè la letteratura italiana non
sia popolare in Italia, lez. xxii ; il quale lo trova ottimo fra gli scrittori. Per converso
l'autore anonimo dell'opuscolo intitolato Fragment de Vexamen du Prince de 3/., où il
est traile des confidens, ministres et consHllers particuliers des princes. Paris, 1622 (il
MoHL, secondo l'opinione del Grabssb, crede abbia avuto nome De-Hérault) lo trova scrit-
tore oscuro, contorto, contraddittorio. V. Machiavelli e le lettere greche, pel prof. Trian-
TAFiLLis, Venezia, 1875, e poscia lo Studio sulla vita di Castruccio Castracani del mede-
simo autore, pubblicato nelV Archivio veneto (tom. x, 1875, pag. 177-192); e finalmente i suoi
Nuovi studi Su N. M. « Il Principe », Venezia, 1878; ne' quali opuscoli il prof. Triantafillis
assevera che il M. non solo trasse di prima mano dal greco, da Isocrate, cioè, da Polibio, da
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DEL MACHIAVELLISMO. 50
arrivati a fermare qualcosa di determinato, di preciso, di certo
circa l'entità storica e filosofica del nostro Niccolò? era possi-
bile che quel primo pregiudizio scientifico originato dal ma-
Diodoro Siculo e soprattutto dalle raccolte bisantine, e dal Porflrogenito in ispecie, idee ed
eaempi per gli scritti suoi, ma soventi volte tradusse, e quasi quasi a parola, tanto che
persino la bella esortazione a liberar V Italia da* barbari che conchiude il libro del Prit^
ci}M, gli sembra imitazione pur quella, e da Isocrate, della perorazione deirorazione a Filippo.
It* AUgBmeine Zeilung (1878, n. 188, 189) pesò con grande giustezza le asserzioni del Tbun-
TAFiLLis e ridusse a* suoi veri termini 1* importanza della questione, giudicando: « Ueberall
wo es sich um Àeusserlichkeiten handelt ist der Neugrieche im Recht, aber seine Schluss^
folgerungen werden durch die Vorgefasstheit seiner Meinungen oft getrUbt». - Nelle relazioni
domestiche il M. fu difeso dal Giampiebi, N. M. e Marietta Corsini nei monumenli del
giardino Puccini. - L'Amico cita un opuscolo del Maini : N. M. in Carpi, che non ci fu
reperibile - Trattati generali che riguardano particolarmente in alcuna maniera il Segre-
tario fiorentino: Wblckbr, Staatslearicon, art. moral, voi. ix, sec. ediz. - Roscoe, Th€
Ufe and pontificate of Leo X, voi. 29 ^ p. 291. London, 1872. - Raumbr, 1. c. - Hoffman, OFu-
tre», Paris, v. ix, p. 201-209. - Hallam, Lilterature of Europe. Paris, voi. i, p. 316. -
ScHLBOEL Fr., Geschichte der alten und nenen Literatur. - Blachby R. History of politicai
literature - Nonvelles de la rep. des lettres. Janvier 1697, p. 99. - Sismondi, Hiitoire de la
Uttérature du midi de l'Europe, Paris, 1813, voi. n, 222-230. - Qinouéné, Histoire littéraire
d'Italie^ voi. viii, p. 1-184. - Romaonosi, DelV indole e fattori dall'incivilimento, parie n,
8 3. - QuiNÉT, Bévolutions d'Italie, ii. 1. Paris, 1851, p. 94-157. - VorlaendbbF. Geschichte
der philosophischen Moral Rechls-und Staatalehre der Englander und Franzosen mit
Emtchluss Machiavelli'». Marburg, 1855, p. 88-135. - Tiraboscui, Storia della Ietterai, ital.y
t, vii, par. 2, p..580. - Emiliani Giudici, Storia della letteratura «ai., lez. xi, p. 14-40. -
Sbttbmbbini, Lezioni di letteratura italiana, 1875, voi. ii, p. 133-148. - Db Sanctis, Storia
deUa letteratura it., 1873, p. 63-125. - Rbumont, Storia della diplomazia in Italia. -
Hn«BiCHS H., F. W. Enticichelungsgeschichte des Konigsthums. Leipzig, 1852. - Dohm Oh.
W., Denkuìurdigheiten meiner Zeit voi. iv, p. 89-113. - Fblb I., Ueber die Entwichelung
und der Einflusa der politischen Theorien. Insbruck, 1854. - Dantibb, L'Italie, Études
historiquesj Paris 1873. -Burckhardt. Die Cultur der Renaissance in Italien, Leipzig.
1S69, p. 78. - Symonds : Renaissance in Italy, The age of the despots, p. 238 e seguenti.
- BbUKTSCHLi: Geschichte des Allgemeinen Statsrechts und der PoUtik. Monaco, 1867 (6-15).
- Eduard Wiss, Aus der Kulturgeschichte von Florenz. Berlin, 18T7, p. 110 e seguenti.
Nella quale opera l'autore, dipingendo Niccolò come un « tragischen charakter, eine zwiesp&l-
tige, halb Faustische, halbe Mephistische Natur », dà prova di comprender poco di Faust
e punto del Machiavelli. - W. Windblband, die Geschichte der neueren Philosophie in
ihrem Zusammenhang mit der allgemeinen Cultur und den besonderen Wissenschaften.
Leipzig, 1878, p. 31-32. - 0. Schirrbn, Ueber Machiavelli, Rede beim Antritt des Rectorats
an den k&n. UniversUàt tu Kiel, Kiel, 1878.
Scrissero la vita del M.: Paolo Giovio, Elogio. - Varillas A., Histoire secrèle de la
maison de Medicis. - Nbgbi, Istoria degli scrittori fiorenlini. - Giuliano db' Ricci, prio-
rato, quartiere di S. Spirito, p. 166, parte edita dal Bandini (Collectio vet. aliquot monum.)
Bayle, dict art. Machiavel • Sysceìlcb C. L., Vitae et scripta magnorum Icltorum, voi. m.
p. 72-92 «iV. Machiavellus. Ictus, Duci Borgiae a literis secretioribus, reip. Fiorentina^ histo-
riographusatquesecretarius.-CBBisr. I. F., DeN. M., libri tres. Lipsiae, 1731.-Nbori, ^crtf-
tori fiorentini, p. 426. - A. M. Bandini. Collectio vet. aliquot monum. Arroti, 1752, p. xxviii
e seg. - Baldelli. Elogio di N. M. - Serie d'elogi e ritratti d'uomini illustri toscani. V. Plu-
tarco italiano: Vite d'eccellenti italiani, per Fr. Lomonaco, t. i, Lugano, 1836. - Pbriés, in-
nanzi alla sua versione francese delle opere del M., voi. i, i-xlvi: Biographie universelle,
voi. XXVI, p. 49-62. - Foscolo, Della patria, della vita^ degli scritti e della fama di N. M.,
commentari storico-crìtici, v. ii, Prose letterarie. Firenze, 1850. - G. B. Niccolini, innanzi a
parecchie edizioni delle opere del M., brevi cenni che concludono, contro il Roscob che avea
negato che Niccolò fosse un uomo di genio, rispondendo con un sorriso; come il Bboolio
( Vita di Federico II, t. ii, 1. ix, cap. n, p. 356) contro il CARLTLB,che con un piglio da Dryaa-
dMtt avea gittate là l'autore del Principe come: «this little N. M. and his perverse little hook »
e qualificatolo per autore che si legge solo « by compulsion » (Carltlb, History of Fre-
deric II of Prussia, lib. x, e. vi, t. v). - K. Frbnzbl, Dichter und Frauen, t. ii, 72-138.
Hannover, 1860, il quale celebra Niccolò « als unter der miichtigen Geister der italischen
Erde der machigste ». - Prof. I. Macun, N. M, als Dichter, HistorxKer und Staatsmann. Graz,
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60 INTRODUZIONE.
chiaTellismo non influisse per nulla verso la dirittura critica
che la scienza sincera mirava a prendere nel disaminare il
pensiero del Machiavelli ? quell'Aristotele, queir Alessandro
d'Afrodisia, quell'Averroe, quel Tacito, quella civiltà pagana
che avevano dato ombra ed appicco al pregiudizio agguerrito,
era possibile che non adombrassero per nulla il campo della
ricerca spassionata e metodica, e non la costringessero per lo
meno a ventilare dubbi, a rinnovare riscontri, affermazioni,
che prima erano state frutto di livore o di paura ? era possi-
bile che non conducessero -ad ipotesi per cui, con certe scap-
patoie dell'ingegno, si procurasse di salvar l'intelletto senza
offendere il sentimento pregiudicato? e poi, l'ambiente scien-
tifico e letterario d'ogni secolo non seduce esso medesimo
tanto da menare gli uomini a ricercare ne' tempi addietro i
trova che Tidea di nazionalità, diffusa dall' Hbrhbr, dalla rivoluzione di Francia e indi-
rettamente da Napoleone molto giovò a far meglio intendere le dottrine del politico italiano.
- Abtaud, op. cit. - Reumont, Zur Charakteristih M. 's, nei Blatter fur lUterarische Un-
terhaltung, 1850, p. E35. - Vanndcci, op. cit. - Gbbvinds, op. cit. - Ra.nkb, op. cit. - Mundt,
Machiavelli und der Gang der EuropaeUcher Politik. - Gioda, Machiavelli e le 8ue opere.
- LouANDBB Ch., N. M. Studio biografico e critico premesso alla ristampa della versione
delle opere di lui, fatta dal Periés. Paris, 1S72. - Eberhard àlf.. Prefazione alla tradu-
zione del Principe. Berlin, 1873, i-xxviii. -Gir. Coììgetìo, Saggi letterali: Machiavelli sto-
ricOf p. 61-78. Lecce, 1872. - Nodrisson, Machiavel. Paris, 1875. - Ciampi Ignazio, N. M.
V. Nuova Antologia, 1874. - Méskard P., Machiavel (V. Journal dei D^bats, 4 giugno 1875).
- Etienne L., Une autobiographie de M. (nella Revue des deux mondes^ io nov. 1873). -
José Silvestre Ribriro, Machiavel^ estudio litterario, moral e politico j nella rivista 0 In-
ttituto. Coìmbra, 1877. - Gaspar Amico, La vita di N. M. Commentari storico-critici cor-
redati da documenti editi ed inediti. Firenze, 1875. - F. Nitti, M. nella vita e nelle doU
trine, con l'aiuto di documenti e carteggi inediti, voi. i, il più coscienzioso studio che
sia comparso in Italia sopra tale argomento. V. la recensione nella Revue historique^
250, 252, 255. Jenaer Literatur Zeitung, 17 novembre 1877, voi. iv, luglio 1877, id. nella
Hiitoriàche Zeitschriftj voi. 3, 8 luglio 1877 e neW Allgemeine Zeitung ^ 1877, n, 248. -
Pasquale Villari, N. M. e i $uoi tempi illuitrati con nu<yci documenti. Firenze, 1877,
voi. I (V. recensioni neW Allgemeine Zeitung, 1877, n. 248 e seguenti. - A. Trezza, StitdX
criticiy p. 277. - Athenaeum 2596, recensione di A. De Gubernatis - Hillbbrand Karl,
Profile. Berlin, 1878, voi. iv della raccolta Zeiten, V'ólker und Menschen). Trattarono della
bibliografia machiavellesca il Baldblli, Efogio cit., TArtaud, op. cit., voi. ii, cap. xlvii-l,
il MoHL {Geschichte und Literatur der Staatswissen&chaften, voi. in, p. 521-501. Questi
ultimi due furono accuratissimi; ma l'uno tenne il solo ordine cronologico, Taltro preferì
l'ordine logico, fu nel suo esame meglio comprensivo, men vago e severamente scientifico. -
Motti singolari intorno a Machiavelli: Varchi {Ist. fior., lib. iv) « Era il Machiavello degno
che la natura gli avesse o minore ingegno o miglior mente conceduto ». - Rousseau {Contr.
aoclalj III, e. vi) « En feignant de donner des le^ons aux rois, il en a donne aux peuples ».
- Madame Ortense Allart (Hist. de Florence. Paris, 1843, lib. v, e. ni) « La patrie, la
morale, le droit, le pouvoir, la justice, le genre humain manquaient à M. plus qu*il ne
leur manquait lui-mème». - Perrens (Vie de Savonarola, lib. in e. ix) « Il avait Tésprit
plus grand que l'ame ». - DELécLUZE {Florence et ses vicissitudea. Paris, 1837, p. 196 e se-
guenti) «M... habile diplomate, plutdtque grand politique ».... « Timpartialité tonte savante
de M. révolte la pensée». - Gino Capponi {Storia di Firenze, voi. in, cap. vn ) ove re-
gistra i motti del BusiNi, del Varchi, del Cerretani, che a Niccolò die il soprannome di
mannerino aggiunge: « pare a me sempre che il M. conoscesse gli uomini meglio che
l'uomo « De Sanctis (op. cit ) « Niccolò non è filosofo della natura, è filosofo dell'uomo ».
- Eduard Viss {Au8 der Kulturgeschichte von Florenz. Berlin, 1877, p. 112) « Er hatte
keine Spur von tieferer Menschenkenntnis » (!)
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i
DEL MACHIAVELLISMO. ftl
precursori, gì' iniziatori di quelle idee, di quelle teoriche ch'essi
accarezzano e combattono nel tempo loro ? E così il nostro Nic-
colò fu egli un prescindente per necessità, come vuole il Mancini,
o, come accenna il Macaulay, un politico che trae la sua teoria
dalla sua pratica? fu egli un pretto aristotelico, o un de' fon-
datori del metodo sperimentale, come vuole il Ferri; o un se-
guitatore d'Alessandro d'Afrodisia, come accenna il Nourisson,
o un pagano come vollero lo Schlegel e il Fichte, o un pes-
simista a modo dello Schopenhauer, o un naturalista a detta del
Twesten, o giusta il Castelnau un inizisCtore del positivismo filo-
sofico? La questione non si risolve mai se rimane soggettiva,
e noi, nell'accingerci a proporre un'altra soluzione, temiamo
forte di non mettere in campo che un'opinione di più; alla
quale non ci vorremmo permettere di dare sfogo, se non ci
paresse disinteressata e sincera.
Pertanto, alternando all'esame dell'opere di Niccolò la
narrazione della sua vita, ricostruendo, come ci sarà possibile,
pe'dati estrinseci, la storia intima del pensiero, la condizione
psicologica del Segretario fiorentino, che fu tra le più singo-
lari manifestazioni del rinascimento italiano, ci proponiamo di
ricollocar lui nel suo vero ambiente, in mezzo agli uomini e alle
cose che lo circondarono e gli toccarono l'animo e gli eccita-
rono la mente; affrontando la verità, secondo che la ci parve, senza
zelo d'oppugnatori, senza quella malattia di mestiere, quella
febbre ammiratoria, che il Macaulay ^ spiritosamente scrisse
pigliare a' biografi, a' traduttori e agli editori; e, come male at-
taccaticcio, qualificò in Inghilterra per la lues boswelliana.
Se non che, non ci dissimuliamo le difficoltà gravi che si
stanno contro a questo nostro proposito. E certamente, se
r appoggio di privati documenti giova spesso a completa dichia-
razione di pubblici fatti, e facilita non poco la compilazione
di storie generali, use a trarre argomento da fonti molteplici e
abbondevoli; questo appoggio diventa presso che indispensabile,
quando si piglia a narrare la vita singolare d'un individuo, che,
essendo più specchio che parte dei pubblici negozi, serba pur
sempre recondite molte parti dell'animo, aperte solo al riguardo
domestico e amico, da questo moderate, per questo commosse.
E se questa necessità si sente per ogni persona, la cui vita
corre piana e cheta sopra un sentiero non intricato da muta-
» Macaulat'8, EssayB, voi. ii, p. 221. On William Pitt, earl of Chatham,
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# INTRODUZIONE.
raeTii;i^ in tempi facili, non agitati da traversie, per ischermir
le quali si sia af?tretti a cangiare quasi natura; quando siamo
a trattare del Machiavelli, la cui qualità di vita si biforca a
mozzo, e ci costringe a riguardar come scrittore di conside-
razioni, come uomo di teoriche colui, che per la metà prece-
dente del vivere ci si ap presentò come uomo operativo, pratico e
appositamente fatto per Fazione; quando le stesse speculazioni
sue fanno testimonianza de' grandi rivolgimenti che occorsero
nel suo pensiero, ne' suoi affetti, nelle sue speranze; il soccorso
del maggior numero di documenti intimi che ci rendessero conto
©inatto de' motivi, delle cause, delle occasioni di que' mutamenti,
che ci dessero una mediocre certezza de' fatti suoi, sarebbe indi-
spensabile per poter confortare con qualcosa d'autorevole le
ipotesi cui talvolta si è costretti ricorrere per dichiarare le
vicende di4 segreto pensiero di lui. E tanto più questo aiuto ci
parve desiderabile, in quanto che ci venne fatto d'accorgerci
come dei pi^ecedenti biografi di lui, quelli che pure avessero
voluto rifarsi a qualche fonte accessibile avevano dato, senza
consapevolezza, nelle secche del machiavellismo, attingendo
incompleta e pregiudicata informazione non di rado a notizie
viziate non dalla calunnia ma dallo studio apologetico; a quelle
per esempio, del priorista di Giuliano de' Ricci, nipote del Ma-
chiavelli; alle noie che quegli medesimo avea premesso alla
trascrizione delle carte rimastegli dell'avo, con affetto grande,
ma con preoccupazione non lieve de' pregiudizi che s'andavano
moltiplicando e aggrovigliando circa alla reputazione del suo
antico congiunto.
11 falso elogio del vescovo di Nocera aveva non meno ir-
ritalo r animo de'neuiìci di Niccolò che della famiglia dei
Machiavelli. A questa era divenuto naturale l'odio del Giovio;
e Giulian de' Ricci lo sfoga senza pietà e procura la vendetta
domestica, rompendo contro del Giovio in epigrammi furiosi e
indecenti;^ né omette occasione di contrastare alle asserzioni
di lui quando gli capita. Se non che, come è naturale in si-
mili casi, contrasta troppo, difende troppo; e non contento di
purgar Niccolò della taccia d'ateo, s'industria di soprappiù
argomentare la religiosità e la vita pia e devota di esso; e
ne' ghiribizzi a Pier Soderini in Ragusa vuol mostrarcelo di-
spettoso del buon gonfaloniere perpetuo, finito in tanta sven-
^ V, Appcndìcq. AmalUl ttei codk^ Giulian de' Riccia § xxviii. Ibid., § xix, xxr, xxviii,
31 KX, XLVl.
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DEL MACHIAVELLISMO. 63
tura; e anche pervia deiramicizia del Vettori, tende a provarlo
fedele e affezionato alla casata dei Medici; merito che, go-
vernanti i Medici, doveva premere al buon Giuliano che non
meno della pietà verso Dio gli fosse riconosciuto. E forse fu
per seguitare quest'assunto del nipote del Machiavelli che il
più diffuso tra i biografi di questo, TArtaud, ebbe ad affer-
mare di Niccolò che, malgrado l'avversione da lui concepita
per Piero, egli ne' suoi anni primi dovette aver caro il nome
e l'autorità de' Medici..^
Inoltre l'andazzo grammatico e letterario de' contempo-
ranei potè indurre non di rado il Ricci ad abbandonare la
fedeltà scrupolosa nella trascrizione e il buon giudizio nel-
r accettazione delle opere che copiava. Se il soccorso de' con-
fronti cogli autografi non ce ne desse contezza, la confessione
sua stessa basterebbe a metterci in sull'avviso. Da poi che,
dove nelle carte eh' egli à alle mani incontra del logoro o del
rosicchiato, dichiara schietto eh' egli accomoda per conieiiura;
che racconcia le parole nelle desinenze e secondo le regole
della lingua dove l'ortografia gli par che non vada; e pur di
collocare il suo avo almeno fra gli ortodossi in grammatica,
si piega ad affibbiargli il dialogo intorno alla lingua, a quella
benedetta lingua che gli Italiani usavano e non sapevano come
chiamare. ^ Oggi dell' apografo di Giulian de' Ricci, smarritosi
r originale, non ci rimangono che le due copie esistenti nella
biblioteca nazionale di Firenze, ma di mano non troppo antica,
n codice barberiniano di Roma apparisce essere copia tratta dagli
autografi stessi cui ebbe il Ricci ad attingere, ma per essere
scrittura del secolo decimosesto, forse è meglio autorevole.
Se non che i numerosi documenti dell' archivio di Stato fioren-
tino e le carte autografe che dai Ricci passarono alla biblio-
teca palatina (e sono in diverse occasioni, tanto quelli che queste,
ora troppo, ora poco per un biografo) possono servire di guida
a scevrare quel che intorno al grande politico fiorentino è, se
non a credere, almeno a discredere, dopo tanta adulterazione
che si fece della persona storica di lui, sì nel campo della
scienza che in quello dell'arte.
E diciamo anche nel campo dell'arte. Però che il pregiu-
dizio che s'era intitolato dal nome di lui, nel distendere la sua
vitalità parassita, era pur riuscito a ravviluppargli la persona,
* Cf. Artaud, Machiavelj son genie €t sea erreurs, t. i, pag.7. Id.31.
* V. in Appendice V Analisi del codice Giulian de' Ricci.
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61 INTRODUZIONE.
a cancellargli l'effigie sua schietta per surrogargliene altra
posticcia, la quale ne* cangiamenti d'aspetto del machiavellismo,
e nell'accordo della preoccupazione scientifica con quello, s'andò
per sua natura elastica o malleabile trasfigurando. E non era
ovvio? pure a' giorni nostri un biografo del Machiavelli, il
Frenzel, * dopo essersi alquanto sbizzarrito in fantasie attorno
alle sembianze di Niccolò, quali le son date, a quel che sembra,
dal ritratto del Titi, non indugia a concludere: tal volto, qual
vita. Ora, che maraviglia che a quel tempo in cui l'arte della
fisonomia si pigliava in Italia ad esaltare siccome « quella che
dimostra all'improvviso dall'aspetto del volto, senza altra espe-
rienza, come celeste oracolo e divina arte, o qualsivoglia altro
velocissimo modo di indovinare, quali scellerati scacciare, e
quai honorati abbracciar devi », ^ che maraviglia che allora
l'effigie del Machiavelli s'andasse coniando secondo pareva ri-
spondere al brutto ideale del machiavellismo? E veramente
avvenne che, secondando il procedere di questo, ora s'ebbe ad
adattare all'aspetto epicureo d'un godente dalla chioma pro-
lissa, ora tolse il piglio tristo e maligno del manutengolo di
Satana, dalle cui scritture fumiga la dannazione eternale ed
esce puzzo d'inferno; ora prese il garbo spagnuolo e l'anda-
tura cortigianesca dei tacitisti.
Il Della Porta, nel suo Saggio comparato della fisonomia,
aveva offerto buon'esca a chi volesse fare il ritratto machia-
vellico del Machiavelli. Egli aveva insegnato il sillogismo fiso-
nomonico: dal naso sproporzionato d'Angelo Poliziano aveva
dedotto l'ingegno pungente e invidioso di lui; ^ dagli occhi
cavi in dentro e dal guardo viperino di Cesare Borgia, « peste
del suo secolo » messo a rimpetto di Tamerlano, la crudeltà del-
l'animo di quello. ^ Ora dalla memoria del duca Cesare a quella
del Machiavelli, che aveva osato farsene celebratore, c'era un
1 « Wenn man die Bilder imd Stataen dieses Mannes betrachtet, glaubt man die Ahnang
eines solchen tragischen Todes aui diesem ernsten, olivenfarbigen, bei aller Sch&rfe des
Blicks undder ZUge doch leidenden Gesicht 2u lesen; Lippen und Augenkennen den Genuss
des Lebens vielleicht allzu gut, aber der Ernst der Stira, der finstere Schatten um dem
Mund scheinen sie LUgen zu strafen — Eine Mischung von Sinnlichkeit und grttbelnden Oe-
danken; man denkt an das Fostmahl Belsazar's und die gottliche in Flammen schreibend
Iland. So das Antlitz, so auch das Leben ». Frenzel, Dichter und Frauen, volume ii,
pag. 74.
> Gio. Battista della Porta> Della fisonomia dell' huomOf libri sei, in Napoli, udcx,
proemio.
• Id., ìb., e. XXXI.
* Id , ib., pag. 92. - Immanuel Kant, SchrifUn zur Anthropologie und Padagogik.
Leipzig, 1839. A pag. 330, ove tratU « von der Leitung der Natur «ur Physionomik », egli
chiama i disegni recati dal Posta « Caricaturzeichnungen ».
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DEL MACHIAVELLISMO. 66
piccolo trapasso a compiere; e il Della Porta noi compiè, ma
offerse V occasione a chi il volesse. Tanto che chi oggi ancora,
per esempio, ragguaglia TeflSgie che è opera di Sante di
Tito, incisa dal Ruhierre, ^ con una testolina che nel libro del
Della Porta è messa a rimpetto d' un musino di gatto, * resta
maravigliato della somiglianza di esse; e nel legger Taforismo
che è scrìtto sotto a quella testolina, s*è quasi tentati a lasciar
correre le idee tutte a un punto, e a supporre quasi che fu
in forza d'un sillogismo fisonomonico che la pittura del Titi .
si battezzò pel ritratto del Machiavelli.
Queir aforìsmo dice cosi : - « Le guancie molto delicate di-
mostrano malignità et astutia (Polemone, ma Adamanto ci ag-
gionge invidia). Io gli rassomiglierei alle gatte ed alle scimie,
perchè hanno guancie assai delicate e picciole, . e son ladre
piene di astutie, e di tradimenti di nascosto e son maligni et
astuti». - Ma prescindendo da ciò, v'à egli buona ragione per
credere che il ritratto di Sante di Tito ci rappresenti proprio le
forme e il volto del segretario fiorentino? Sante di Tito nacque
undici anni da poi che Niccolò era morto: dunque ei non potè
attingere per certo ali* originale: altri ritratti del Machiavelli si
spacciano opera del Bronzino (n. 1502 m. 1572), o d'Andrea del
Sarto (n. 1488 m. 1530), ma il Vasari di questo fatto nelle vite
de' citali artefici non dice proprio nulla. E benché quésto sia un
argomento n^egativo, pure à più forza che non paia, quando si con-
sidera ch'egli non tace, per esempio, come Andrea ritraesse di
naturale un commesso de' monaci di Vallombrosa, come andasse
di soppiatto a dipingere immagini di ribelli al palazzo del po-
destà, per non acquistarsi, come Andrea del Castagno, il sopran-
nome d' Andrea degli Impiccati ; quando ci registra che Francesco
Guicciardini fu il Bugiardini che l'effigiò o che Piero di Cosimo
ritrasse Ceserò Borgia. Ora, se il Machiavelli non aveva a quel
tempo la sua celebrità come politico, tuttavia come autore delle
storie e compositore di commedie celebratissime non poteva esser
passato sotto silenzio, e non avrebbe certo omesso il Vasari di
ragguagliarci dell'artefice che ci avesse tramandato le sembianze
di lui. E se anche il Vasari, come non è probabile, avesse ta-
ciuto*, non avrebbe per certo fatto lo stesso Giulian de' Ricci,
nipote di Niccolò, che con tanta industria d'affetto raccolse
quanto poteva tornare ad onore e memoria dell'avo, che ci
1 Abtadd, op. cit., t. I.
• Della Posta, ibid., pag. 803.
ToMMAsiRi - AfachiacclU. ^
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66 INTRODUZIONE.
raccapezzò particolari notizie della vita di esso, che intorno
agli scritti di lui s' affaticò con tante indagini e non disse verbo
ne delle forme di lui, né d* alcun simulacro o busto che se ne
custodisse in famiglia. E Ristoro Machiavelli nelle sue Ricor-
danze 1 mantiene lo stesso silenzio. Se non che poi che negli
uomini Tamor della certezza delle cose cresce e si scalda in
ragione diretta della distanza da esse e della difficoltà delle
prove, vedemmo in tempi a noi meno remoti l'gisseveranzae la
fede non vagliare argomenti e in una non piccola varietà di
immagini vagheggiare quella vera del Machiavelli. Che se
r opera di prudenti si esercitava in escludere T autenticità d'al-
cuna, e' n' era subito un' altra in pronto per surrogarsi a quella.
Se i dotti ravvisavano un principe di casa Medici in qualche spac-
ciato ritratto di Niccolò; se i critici ripugnavano al vieto cri-
terio che aveva fatto riconoscere l'autore del Principe e delle
Istorie in ogni busto d'uomo che recasse le caratteristiche più
o men rilevate del tipo tosco e avesse un libro alle mani, (il
Principe o le Istorie) donde lo scrittore potesse andare di-
versamente famoso, assecondando il procedere del machiavel-
lismo; sopraggiunse la boria o forse l'amore di famiglia a in-
torbidare un poco più la questione.
E quando vennero i tempi gloriosi di Pietro Leopoldo,
quando l' ammirazione, fatta balda, credette non aver parole che
bastassero a elogio del Machiavelli; allora l'immagine fatta
ritrarre da un quadro del canonico Corso e di Roberto Ricci
parve autorevole ed ebbe credito; poi il busto di Niccolò fruttò
persecuzioni al vescovo di Pistoia, * discendente di Giuliano dei
* Mss. della Manicelliana-.
* SciPioNK dk' Ricci. Memorie, parte n, voi. 2, p. 134, ed. Le Monnier. — « La nuda e
semplice narrativa del fatto basterà a fare svanire ogni idea di delitto nel secondo adde-
bito riguardante il Busto del Machiavello. Possedendo la mia famiglia per titolo ereditario
e di parentela molte cose riguardanti queir illustre letterato, e specialmente alcuni ritratti
in pittura, e il di lui busto ricavato dalla maschera, frequente è il caso che forestieri o
pittori abbiano la curiosità di vederlo o di farne trar copia; e i rami incisi sotto il go-
verno deiraugusto Leopoldo e del presente granduca sono per lo più ricavati da quei ri-
tratti. Un mio conoscente mi* prevenne della richiesta che mi si voleva fare di formarne
un nuovo busto su quello che si possiede nella famiglia. Temendo che questo potesse gua-
starsi, e di più che io dovessi molte volte essere in trattative con chi venisse a prenderlo
per cavarne modello e riportarlo, non senza pericolo di entrare in discussioni per loro stesse
e per la natura delle persone che vi si potessero interessare a me affatto estranee, giu-
dicai di più facile disimpegno il dare a detto mio conoscente altro busto moderno in gesso,
il quale tolto già da grandi anni dalla mia libreria, mi sovvenni che restava negletto in
una soffitta di casa. Non mi passò neppure per la mente che il dare questo gesso potesse
incontrare la disapprovazione di veruno, mentre, come ho accennato, molte sono state fi-
nora le richieste di fame la copia, occorsemi negli anni passati, essendosi varie volte vo-
luto il ritratto di questo letterato fiorentino, a cui, per dare un esempio solo, ò stato mo-
dernamente eretto un pubblico mausoleo nel tempio di Santa Croce. Altre volte, avanti
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DSL MACHIAVELLISMO. 67
Ricci, che in un busto di terra cotta colorito reputava posse-
dere per titolo ereditario da' Machiavelli le forme iconiche del
segretario fiorentino tratte dalla maschera stessa di lui. Cosi
anche il fervido amore de' discendenti dovè pregiudicare un
pochino la verità per rispetto all'avo. Del resto quella ma-
schera si volle ritrovata nel , vacuo d' un muro, nella casa
d'Oltrarno dove il Machiavelli mori. E come lo stabile, cosi
anche il cimelio pareva della famiglia Arcangeli; ma l'antico
proprietario della casa accampò pretensioni ; e il tesoro litigioso
fu cosi deposto nella Galleria degli Uffizi, presso alla Direzione
dove tuttor si conserva. E la fortuna che pareva molt^, venne
così ad esser troppa; che di maschere se n'ebber due; ed una
terza ebbe a metterne in campo il Kirkup, tratta da un busto
comperato da un rivenditor d'anticaglie, esposta nelle mostre
solenni del celebrato centenario machiavellesco. Ora chi non
diffida del soverchio favore della fortuna, della luce subita che
dopo secoli d' oscurità vuol far»ì chiara e perenne, può tenersi
pago di quésto modo di ritrovamento della effigie iconica del
cancellier -fiorentino; ^ ma ad altri potrà bastare senza troppo
sforzo di fede che la bella figura ideale di quell'arguto genio
politico parli alla mente degl'Italiani, così come fa nelle forme
della bellissima statua del Bartolini, che s'annicchia nel por-
r invasione dei Francesi, avevo dato comodo di far copie in casa; ma, in qaesta occasione
concedendo qaesta cattiva copia di gesso combinai e di conservare il busto in terracotta e
di evitare ogni altra trattativa in qnei momenti con chiunque fosse per interessarsi in questo
affare. Ecco come la calunnia ha potuto convertire in tossico il miele e far comparire che
io volessi farmi onore presso il governo francese con un regalo, mentre tutte le mie idee
furono solo rivolte a non aver che fare con alcuno, che avesse eccitato la richiesta della copia
in questione. A me non fu detto altro se non che si voleva ornare la sala di un'accademia
letteraria con i busti dei più celebri letterati toscani, e fra questi con quello del Machiavello.
La denominazione di Club o Circoli, che ora mi si accenna, mi arriva affatto nuova, tanto
più che mi pare che i pubblici fogli dessero notizia che il governo francese non permetteva,
si fatte adunanze. Vero si è che, qualunque sia l*uso che siasi fatto di questa co^ia di
gesso, io non sono più in alcun conto responsabile dopo che me ne fui disfatto ».
> Fra i documenti relativi alle « Maschere dsl Machiavelli » contenuti in una filza senca
numero presso la Direzione della R. Galleria degli Uffizi, si trova la copia di un Atto, in
data de* 22 dicembre 1853, col quale Zanobi Zucchini, Ferdinando Rondoni, Emilia Rondoni
e Luisa Batini, stati già pigionali, dall'anno IS40 al IfUS, al secondo piano della casa in
via Guicciardini, n. 1754, dichiarano: che le maschere di Niccolò Machiavelli, nascoste nel-
rannadio sotto l'atrio della suddetta casa, vi furono ritrovate dal signor Cosimo Vannini,
pigionale al primo piano, in occasione di avere aperto quell'armadio per depositarvi del
vino. L'apertura dell'armadio fu fatta in giorno di domenica, nella stagione estiva. l\ Van-
nini abitava quella casa dal novembre 1S41. La maschera del signor Kibkup poi Ai tratta
da un busto in terracotta colorato, cui il signor Kirkup istesso lavò il colore, parendogli
che quella pittura deturpasse l'effigie, lì busto, da noi osservato in Livorno presso il cor-
tese possessore, ci parve identico ad altro busto ancora colorato, in terracotta, che si con-
serva presso la Socibt\ Colombabia in Firenze, e che non è certamente un portento del-
l'arte. Al volto si giudicherebbe ritrarre le sembianze d'un uomo giunto a più provetta età
che non pervenne il Machiavelli, e più ipocondriaco di quel che questi paia, pur conget-
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68 INTRODUZIONE.
tico degli Uffizi; ne' cui tratti il carattere generale del tipo
tosco s'accoppia a tante sottili particolarità che c'inclinano ad
ascrivere a quel volto la patria istessa e il retaggio del pen-
luraa^^olo da tutta T ironia de* suoi pensieri. Forse questa terracotta fu fatta per esser
collocata in alto, e probabilmente in qualche nicchia, a giudicare dall'inclinazione del volto,
lìalla ruvidezza deiresecozìone, dalla negligenza soprattutto della parte posteriore della
tigurik Sul colore rimane visibile qualche traccia di gesso, la quale lascia supporre che
prtibiibUmente anche di questo basto siasi cavata alcuna paasch'era. Finalmente un terzo
busto in terracotta, proprietà della famiglia Ricci, e però custodito in Firenze nella casa
dfllliL signora marchesa Piccolbllis, che n'è Tultima erede, ci fu concesso d'osservare
p«r cortesia della degnissima gentildonna, cui ci è grato affermare in questa occasione la
nostra riconoscenza. Su questo busto ebbe ad ispirarsi il Bartolini nell* ideare la statua del
porticQ degli Uttizi; e benché danneggiato dal tempo, lascia congetturare una maggior bontà
d^escL-iisione delle terrecotte soprindicate, e non si allontana molto dal tipo del ritratto pub-
blicato nQ^Mondi del Doni (Vinegia, Marcolini, 1552) e negli Elogia del Oiovio (pag. 106,
«d^f. ^4^1 Pema). Sembra pertanto che una prima fase nella serie de' ritratti del Machia-
veli i HÌa ad avvisare in queste immagini di terracotta, le quali potranno o non potranno
randflrd le sembianze di Niccolò, ma al certo sono immuni da' preconcetti del machiavel-
lismo. Di queste forse derivò l'immagine in pittura, attribuita ad Andrea del Sarto, che è
nella galleria Doria di Roma, quantunque in questa pittura il capo di Niccolò sia coperto
da tina foggia di berretto, che s'incontra pure nel ritratto dei Mondi del Doni e in quello
cl^gli Elogia del Oiovio. Donde traesse credito il ritratto del Titi non sappiamo. Ne pub-
blicò la stupenda incisione del Ruhierre I'Abtaud (ilfac/iiavffl, 9on genie, ses erreurt,
voi. ]) ■ ma nelle sembianze dateci dal Titi il Machiavelli apparisce assai giovane e di-
verso da quel che appaia da' busti. Nell'Annale IV della Società colombaria, a carte 236, si
legge! «Adunanza del 30 novembre 1733. L'Invogliato fa sapere come ha^ acquistato un
ritratto di Niccolò Machiavelli in asse, alto braccia 1 ^/s, figura di giovane di 20 anni in
cLrcd '. L'Invogliato era l'eruditissimo Dombnico Maria Manni; e il ritratto sarà stato
ijucllo di Sante di Titol II Follini, nella sua /cono^ra/la, mss. della Biblioteca Nazionale
di Firenze, registra solo i seguenti dodici ritratti del Machiavelli :
« 1. Ritratto in legno sul frontespizio dell'ediz. prima detta Testina delle sue opere. 1550,
Pietro Aubert, 49.
2 Ritratto medesimo, trovasi pure ani frontespizi delle edizioni posteriori che contraf-
fanno questa prima, le quali lo hanno ripetuto nei frontespizi particolari delle opere rac-
colte^ dove la primario ha soltanto sul frontespizio primo.
3. Ritratto simile a quello della detta edizione in legno sta nei Mondi del Doni, Vi-
n^t^gsfl, Marcolini, 1552, 4», fog. 93 retto.
4. Ritratto in rame in-4, ove notansi gli autori: Santi di Tito dt'pin., F. Qregori tool.
Sta cai tomo i delle opere in-4. Firenze, Cambiagi, 1782, innanzi alla vita. Il medesimo si
trova in alcuni esemplari di questa stessa vita, tirati a parte dell'edizione medesima.
5. Ritratto in rame in-4 con c*fra B dell' incisore Jan. Theodorus de Bry, e lettere in-
lotno : Nicola}ts Machiavellus Fiorentini^. Sta nella Bibliotheea Chalcographica. Jan. Ja-
cob! lì^issardi, tomo i. Francofurti, 1650, segnatura v, es. 4, vedi Sadoleto.
^, Ritratto in rame, in-8, ove notansi gli autori Ang. Bronzino ^inx., Ang. Em. Lapi
del. et Bculps., Raph. Morghen direx. Sta nel tomo i delle opere (Firenze), 1796, in-3, senza
luogo.
7. Ritratto in rame ove notansi cosi gli autori: Pietro Ermini disegnò, Ang. Emilio
Lapi ine. Nel tomo i dell'edizione delle opere: Italia, 1813 (Firenze, Piatti).
!j. Ritratto in fame in profilo, in-12, nel voi. i delle sue opere in-12. Italia, 1819. L'au-
tore ivi è cosi notato : Lasinio figlio dip. e ine.
% Ritratto in rame : sembra preso da quello notato sopra dalla Chalcographica Biblio-
theea del Boissardo, autore S. V. E. se. (V. Divizio Agnolo). Esiste nella p. i dei Canti
camascialeschi. Cosmopoli, 1750, pag. 190.
10. Ritratto in rame, in-f. Da un quadro del can. Corso e Ruberto fratelli Ricci : I Zocehi
del C. Faucci se, unito all'elogio di esso (di Marco Lastri). Allegrini, uomini illustri to-
sRAni, V. IV, ritratto xn.
11. Ritratto in rame in contomo, in-12, che forse è preso dal n. 9 dei Canti camascia-
leRcb], citato dal Boissardo: N. pinxit, Landon direx. Alla vita è sottoscritto L e. Landon
GakriH, t. viii, v. Mabillon.
IS. Ritratto in rame con leggenda Niccolò Machiavellus historicus fior. Fbbbbbx (Pauli),
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Góogle
DEL MACHIAVELLISMO. 69
siero di Dante ; e paiono rivelare nel marmo l'animo del grande
politico del rinascimento, profeta d' Italia.
E quando poi si contempla la colonna, attorno a cui si at-
Theatrum Virorum eruditione clarorum, tab. 67, ritratto 11, p. 1415. Vita a pag. 1440,
V. Freherus (Paulus) ».
Fin qui il Pollini. D'un altro ritratto del Machiavelli fa menzione Ugo Foscolo in una
lettera scritta da Milano ai 14 gennaio 1S08 al celebre incisore Francesco Rosaspina, pub-
blicata recentemente dal Baretti in Torino (1878). Sembra che il Rosaspina stesso avesse
condotto r incisione. Tra i ritratti palesemente falsi è a riporre quello, citato per 6o dal
Pollini, inciso dal Morghen; quello del Freher {Theatri virorum eruditione clarorum
iomus posterior. Norimbergae, mdclxxxviii, p. 1435, n. 67) che piuttosto sembra avere
somiglianza col ritratto d'Arrigo Vili, quale ci è dato nelle « Imagines virorum vel ob
bonam vel ob malam famam celebrium », di cui avemmo alle mani un esemplare nella
biblioteca Angelica di Roma. È a notare che in questa collezione non comparisce il ritratto
del Machiavelli, come pure non s'incontra nelle Icones sine Imagines vivae lelteris ci. vi-
rorum Itattaej Graeciae, Oermaniae^ Galliae, Angliae^ Ungariae per Nicolaum Rkusnerum.
Baslleae, cmoxic.
Il medesimo tipo dato dal Freher s' incontra anche nel Boissard, Btblioth. illustrium
virorum. Francof., 1650, p. 174, e anche in questa Niccolò è celebrato come historicus.
Id. in Landon : Galerie hislorique des hommes les plus célèbres de toutes les nations, 12.
Paris, 1805, voi. v, p. 26, e in Bellchambers : A biographical diciionary, etc. London, 1837,
voi. 3, n. 18.
Un'effigie di Niccolò, che è del secolo decimosesto, e che pare condotta sine ira et
studio, senza che v'abbiano ragioni per ritenerla autorevole, è in un vaghissimo niello
della collezione Cicognara (V. Le premier siede de la calcographie ou catalogue raisonné
des estampes du cabinet du feu M. le comte Léopold Cicognara, avec une appendice sur
les nielles du méme cabinet. Venice, 1837, app. xiv, n. 70) : « portrait de m. largeur et
hauteur, un ponce. Ce beau portrait est en buste, la tòte vue de profll, découverte et tournée
vers la gauche. Aux deux còtes on Ut, de haut en bas, le nom Niccolò Machiavelli. Il pa-
rait que lorsque ce portrait fut executé M. avait environ quarante ans. Son image est
d'autant plus rare et précieuse, que les persecutions auxquelles il fut en bute méme après
sa mort, semblaient devoir porter la destruction de tout ce qui retraoait ses traits, si on ne
pouvait détniire aussi ses ouvrages. Ce niello est ench&ssé dans une tabatière en or ci-
soie, de 2 pouces et 4 lign. de diamètre, dont les deux faces sont couvertes en nacre ».
Il tipo del busto nel museo Nazionale fiorentino comparve nel 1873 a capo della ver-
sione del Principe dall' Eberhart « nach einer originai Buste des Berliner Museums».
Ma dell'originalità e autorità di quello non n'era nulla, e nulla se ne credeva presso la
Direzione del museo medesimo, da cui il s'gnor dottor Helbig ebbe la bontà d'assumere
informazione a nostra preghiera.
Del barocco busto che trovasi alla Gallerìa degli Uffizi, nel corridoio che mena alle
stanze della Direzione, è superfluo tener parola. Non à molto, nelle sale dell'Accademia
delle Belle Arti in Firenze fu anche esposto il ritratto di un uomo barbato, avente fra le
roani un libro, sulla costola del quale leggevasi : Niccolò Machiavelli. Il quadro era di mon-
signor Alessandro del Magno: si dava per opera di Andrea del Sarto, e pel più sincero
ritratto del grande politico; non fu chi credesse né all'una cosa né all'altra. — Per gen-
tilezza del signor cav. Corvisieri ci fu comunicata una medaglia in bronzo appartenente
alla collezione Bonamini Pepoli, in cui è un altro ritratto di Niccolò, colla scritta in-
tomo « Nicolaus Macchiavellius » e nel rovescio un roveto con una serpe che leva alta la
testa. Il ritratto ha la chioma prolissa, il naso molto aquilino e il berretto sul capo. —
J/unico documento storico che abbia autorità e ci dia un qualche lieve accenno circa al
fisico del Machiavelli è una lettera a lui diretta da Manetta de' Ricci sua moglie, il cui
autografo, che fu già del Tempi, ora si conserva nella Laurenziana. Di questa si ha una
copia fatta dal Montani fra le Carte diverse nella busta vi de' documenti relativi al M.,
bibl. Naz. fior. La pubblicò il Oiampieri (op. citata).
Come il Machiavellismo trovasse un ritratto che rendesse l'orrore ideale concepito pel
Machiavelli, veggasi in Artadd, op. cit., t. ii, p. 404, in nota. D'altro ritratto consimile
di Niccolò, che trovasi pure nella Biblioth^que du Roi, ecco la descrizione che dà I'Artaoo
medesimo : « Cette figure est une vraie caricature. Ce sont plutot les traits d'un malheu-
renx qui va au supplice. Une afiì^use horripilation leur donne un caractère effrayant. La
boucbe est ouverte. La main tient un livre ; c'est sans contredit un portrait inventé ».
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70 INTRODUZIONE,
torcigliano come serpe gli stemmi dei tirannelli d'Italia, quando
si contempla la colonna su cui poggia il libro del Principe,
^v ripensano le lacrime e le ferite della patria nostra, di cui
egli senti già il dolore e speculò il rimedio, si che la coscienza
italiana non meno che la critica storica trova di che compia-
ct?rsene. Ma a idealeggiare la persona storica di Niccolò Tarte
non pensò che assai recentemente, e per compenso agli sfregi
che un' altra, arte gli avea già fatti, in causa del machiavel-
lismo. Infatti nel secolo decimosesto gli artisti d' Italia non
s'occuparono del Machiavelli; fuori d* Italia lo vituperarono, e
.seguitò a questo modo fin presso ai di nostri. RafiFael Santi ef-
figiava nelle sale Vaticane Dante e Astorre Baglioni, il Casti-
i^lione, il Beazzano, il Perugino, i fortunati contemporanei; il
Buonarroti cacciava nel suo giudizio universale i prelatucci
uggiosi, Giulio romano ritraeva le sembianze del nano buffone
(li Clemente .VII; ma ne in olimpo, né in paradiso, ne in
inferno era posto allora pel Machiavelli; quando poi la via del-
l'immortalità onesta gli è contesa, la falsa immagine di lui va
condannata alle fiamme.^ E su* teatri d'Inghilterra, lo Shak-
speare dal nome di lui proverbia chi dondola e perde con fur-
berie le persone, e il Calderon lo taccia d'ignorante e di stolto
au' teatri di Spagna ;2 la musa monitrix d'Enrico Stefano sver-
1 Qaspar Scioppius, MachiaveUicorum pars posterior « Jesuitae Ingolstadienses magai
In Qermania nominis, imaginem eius in conclone frequentissima anno 1615 concremanint,
hoc addito elogio sive titulo : quoniam fuerit homo vafer, ac subdolus diabolicanim cogi-
laiìonum faber optimus, cacodaemonis auxiliator ». — E qui cade in acconcio, dalla lei-
ìQrx 122 del Voltaire a Federigo di Prussia (ed. cit. p. 430), recare un brano della visiono
notturna. descritta a quel monarca dal filosofo piacentiere, il quale racconta che alla vista
iliilla Verità
« Le Florentin Machiavel,
Voyant cette fille du ciel,
S*en retouma tout au plus vite
Àu fond du manoir infemal,
Accompagno d*un cardinal
D'un ministre et d'un vieux jésuite ».
Anche I'àddison nel Tatler (voi. iii, N. 123, pag. 95, Continuation of the X3Ìsion jof the
Three Roads of Life) rappresenta la statua del Machiavelli sopra un sentiero che mena
al tempio della Vanità « pointing out the way with an extended Anger like a Mercury ».
« Cf. Shakspbarb, Merry wivei of Windsor ^ atto 3®, se. i: « Peace, I say! bear mine
ni:ist of the Garter. Am I politici am I subtle? am I a Machiavell shall I lose my doctorl
no: he gives me the potions and the motions. Shall I lose my parsonl my priest? my sir
Tliighl no; he gives me the proverbs and the noverbs, etc E nella prima parte di Enrico VI,
{^%Xo v, se. 4) « Alencon! that notorius Machiavel! » con aperto anacronismo, trattandosi
dulia Pulcella d'Orleans (1431). Similmente nella parte iii (atto ni, se. 2):
« ril play the orator as well as Nestor:
Deceive more slily than Ulysses could;
And like a Sinon take another Troy:
I can add colours to the chameléon ;
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DEL MACHIAVELLISMO. 71
gogna Firenze per aver dato i natali a un simile mostro ; ^ poi
dal pergamo l'abomina il Lucchesini; e ne' tempi moderni,
quando il romanzo divien la forma più popolare di letteratura,
il machiavellismo fa capolino anche in quello. La legazione
al Valentino diviene gran parte del racconto inglese intito-
lato Cesare Borgia,^ La descrizione della peste del Macchia-
velli, imitata dall' Ademollo, e l'avventura amorosa di Niccolò
colla Barbara cantatrice formano un episodio della Marieita
de' Ricci; il Guerrazzi incomincia il suo racconto dell' ^4^-
sedio di Firenze con una scena declamatoria in cui il nostro
Niccolò muore sentenziando ; il Bulwer ^ ci rappresenta nel per-
sonaggio di Riccabocca l'effetto vero e schietto delle dottrine
del Machiavelli nell'animo de'recenti esuli italiani, che fuggendo
la servitù della patria, si recavano tra gli stranieri a stentar la
vita e a camparla con gravi travagli, nell'amore operoso della
Change shapes with Proteus, for advantages;
And set the murd'rous Machiavel to school.
Can I do thìs, and cannot get a crownY »
n Caldbbom allude per certo al Machiavelli e ai precetti di lui sul segreto delle
congiure, quando scrive nell*Amar despues de la muerle. Jornada secunda:
« Quanto ignora, quanto y erra
el que dize que un secreto
peligra en tres que le sepan,
qu*pn trenta mil no peligra
conio a todos les convenga».
1 Hbnb. Stephani. Musa monitriXf loc. cit.> p. 252 e seguenti.
« De Te quod ante dixeram, Florentia
Libet iterare nunc Machiavelo super,
Magister ille cai decus Florentia
Magnum est at ipse dedecus Florentiae,
Amo Te, amavi iam puer, Florentia.
Tu civitatum (post Neapolim tamen)
Oratissima omnium Ausones quas incolunt,
Mihi fuisti, sed volo, Florentia,
Verum fateri (namque mos est hic meus
Fateri amico vera, amicae et cuilibet
Eadem fateri) gratior fores mihi
Si non et ìmpio Machiavelo solum
Natale (namque confìteris hoc) fores.
Cur alvus illum matris extulit forasi
Cur potius illa mensium novem domus
Etiam sepulcrum facta non est impiol
Cur solìs unquam fuit ei visum jubar,
Quem vidit ille seculo solum suo
Scholas tyronnis aperuisse, non modo
Quicunque erant tunc, posteris sed omnibus?
Cur mlnuo crimeo? occupandae nam fuit
Magister ille plurimis tyrannidis » etc.
" Dell'autore dei Whitefriars.
* V. Bulwbb's, My Novel. - Guebbazzi, op. cit. e. i. - Ademollo, Marietta ds* Rieci,
con note di L. Pab8Bri»i, p. 115.
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n INTRODUZIONE.
libertà b nella fiducia del bene. Dall'invettive assurde del
Meyer, dello Stefano e del de Laprade, ^ dalla musa adulatoria
* LiviNt MisTEHii, Z>0 InstUutione prineipiSf p. 183. Poematunif lib. xii. Bnixellis, 1727,
ia-lS< AccAatD at r<!ttoricunii del Meteb crediamo debbasi collocare la seguente declamaxione
del Db LAPnAbE, il quale, quando non avesse abbastanza torti agli occhi d*un italiano,
dovrebbe rispnniieE'a ai Francesi del suo troppo fervore per la Pulcella e della sua poca
memoria di Liitgl Xl, del suo rapimento pe' soldati di Gastelfidardo e del suo oblio per quelli
dì MagflDta^ del tt'inerarìo e indecente baratto fra le virtù di Baiardo, morte da un pezio,
a lo infaconds e ciHpìratrici mene dei Lamoricière :
Uhe statue a Machiatkl. Ci
fo9.i peapl«t eo rcoaiMant, t'adore daat an homm«
Il prfiad de toa héros le oom dont il m nomme;
CotDcae ta propre Ima^e, Il aatied «ar l'aaiel
Oli ioa Leonida* oa aon Oaillaame Teli;
BiiiLi let traila de l'Idole il Mot qa'il ra reTl^re.
Or ca broiise le Ja^e et le peint mleox qa'aa llrre;
Bva arrtt est fcraré daoa PoeuTre da loalpteur:
Sa liberti reaaemble à eoa liberatear.
Ch»s aoai. Francai*, lea fila de la chevalerle,
L'Qfl renarne, une Tierge a fonde la patrie;
Br>a àme j reeaacite à 1* beare da danger,
^ntì. Aom est le défl qa'on lance 4 l'étranger;
Cai- la race dea Franca, qae toot calTaire attlre,
8' Iti me et ae reconnait dana Jeanne la martjre.
T^i^l, tu cholaia poar Dieu le foarbe florentin,
Tu l'aaaieda aur le Mail d*an empire latin,
Italie 1 Et Toilà qa'a peine indépendanta,
Ah mépria de Colomb, de RapbaVl, de Dante....
<jUAnd ta peux éroquer an viaitear da del,
Ta itane Hberté a'eprend de Machtavel 1
¥,t e'ett nona, peaple frane de coear et de parole,
Qui foarniaaona le bronse à cette infime idolel
Boldital donnona ancor da Bang e da metal;
11 fmat à la atatae an digne piedoatal ;
il faat qu'arec l'image iuaugurant le calte,
€hacan dea baa-reliefa nona jette aon inaulte :
Ekalptear, écrlres-là, d'un dolgt reconnaiuantt
Et Cutelfldardo trempé de notre aang,
Ett ftoar pajer d'un eoap aea Hareura débonnalrec,
T/ Italie appelant dea Francala : mercenalreal
Iiijbnes da bronse encorel afln qu'en plein soleil
t'autre face da «ode alt aon tableau pareli:
Alai piede da mSme Diea, c*eat une ville en fèto,
Naplea, de tout renant la docile oonquéte,
Qiil prodigae lea fleura et depouille aon aein, \
four parer le tombeau d'an Immonde aaiasaln.
A'ollà done le grand homme et lea grandea hiatolres
QuMIt graTent aur ce bronse iiau de noe rictoireal
Nrji Ala, tombéa poar Toaa, dea Frangala par railUers,
Engraiaaent Toa gaereta da sang dea cbeTaliers,
Fcfur qa'aa premier aoleil Totre terre agrandie
Ba épaiaaea molaaona germe la perfidie,
Xl. nnuB montre, aa parjure emmanchant le polgnardi
HachiaTeL... da tombeau retiré par Bajardl
BiPuflVires-Toaa qa*on diae, aaz piede d*an tei aneltre:
u L^ Italie eat fldèle auz lenona de ce maitre! »
Et fta'effrajant Thonnear, aoat ce maaque perrerSf
Tja Joune indépendanee attriate TuniTera f
Tinn 1 la liberté, raéme en ses Joura de delire,
lìmam le livre da Prènce a refùaé de lire.
T/astuce et le menaonge et tona cea tìU mojens
EniTMidrent dea Césara, Jamala dea citojena.
CpicbB, Italie, un front qui conae<lle le crime!
Q«t art impur forgea la chaìne qui t'opprime.
^ QÉ m tenrint qua la Toscane, en s'onissant aa Piémont, a vote rArecUon d'ane mtos à lUchitTel.
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DEL MACHIAVELLISMO. 73
del Voltaire lo splendor delle liriche del Byron, de' versi
deU'Hayley, deirAlfieri, del Mamiani, dal Carducci lo riven-
Montr* tM Raphai el t«« Allghlérisl
Ya, Tal o« n'eit pu trop de tona eei noma chérli
Ponr efflMer dM ooaara, oh la colèra aboude,
La listo da* tjraa* qne tu donna* aa monda.
Caeha-la Machiarel I alon nona oubllerona
Qne lai fianca de ta lonre ont porte la* Nérona.
Ne nona rappelle paa, Tloilla Iqjare Impania,
Qua notra aol aaigna sona ton affreaz genie;
Qn*a novaf Oanloia brojéa aoaa ea pled maliUaaiit
Tn nona fla de Céaar Téxècrable préaent.
▲ tea llbérateura, — quitto dMngratltude, —
Tn donna*, par aTanee, aasaa de eerrttnda ;
AaacB dMmpurea maina auront apprla chea tol
Le Jen dea fiiux aarmenta et le brla de la loi.
Ce broaae oh. Machiavel par tea aoina doli roTlTra
Inritera laa roia à pratiquer aon lirre ;
Tu raa ainaj, fìinèato à uoa dérnlera paranta,
Tenir de alicle en aiuole école de tjrana.
Et tu Tenz que la Franca anz fila de eetto éeole
▲▼eo aon propre glaire ouTre le Capi ola.
Tn Teuz que noua alliona, le Celto et le Oermaln,
▲ tea oenfli de Tautour rendre leur nld romaint
▲hi dana l'eau du bapttme, au nom du DIen fait hommef
L'Europa a pu nojer a*a hainea contre Rome;
L'nalrera, affranchi dea préteura arroganta,
Laiaaa deboat eea mura fondéa par dea brlgandi.
Maia le Oauloia rainqueur, le Sazon et Tlbire
N'j aonffHront paa pi uà Augnate que Tibèra.
L*honneur, qui ne veut ploa courir de tela haaards,
▲ donni Home au Chriat ponr la prendre au Céaara.
Laiaaea aur lea Sept Monta, dana Torage qui gronde,
La orolz qui roua aauva dea Tangeancea du monde;
Bone n'eat pina a vena; — reapectea le aalnt Ueul
Par un don de la Franca elle appartient à Dieu.
Jamala aa Yatican, abrlti de noa glalTea,
On ne Terra trfiner la Prine« ou aea éUTea;
Tant qn'à truTera noa dcuila et noa deatlna errante
Nona garderona an moina notre Tieuz nom de Franca.
En raln tout a'aaaombrit et le doute nona ronge ;
Nona aTona en horrenr l*a«tnce et le menaonge,
Et lea fourbea, chea noua, dana laura tramea aurpria,
Succombent ieraaéa aoua la poida du méprla;
Machiarel j Terrait, debout aur une place,
Noa enfknta de aept ana lui eracher à la fkee.
La mae 6to, chea uoua, leur preatige anz rainquaura;
Le aueoéa ebloult, mala ne prend paa lea coeura.
Noa coeura aont avec eenz qu*on trompe ou qu'on opprima ;
Tu le aaia, Toubller, Itolle, eat un crime !
Tu aaia qui relcTa tea bleaaia à genouz.
Lea Taincua de NoTare, o& aeraient-ila aana nona?
D'antrea Taincua plua chera, d*autrea pina noblea armaa,
▲ppaUant at^ourd'hui, noa lauriera et noa larmea.
I>e aombraa MachiaTela, qui flrappaient a coup aftr,
Ont rerai per roa maina notre aang le pina pur;
Et, ai Tantique honnenr n*eat paa aourd dana notre Ama,
Ce aang cria à Jamaia contre Tidole infima.
Dreaaea-la eependantl Noua, d'uno ferme volz,
Bendona gioire à noa morta eonehéa aur leur paToia;
Dai^a l'or et dana Tairain gravuna, d'une main fière,
Ton nom, 6 Plmodaal la tien, Lamorlclèrel
Tol qui, fait à juger oaa haaarda d'un coup d'oail,
Oflrala plua qne ta rie à ce Pontile en deuil.
Yal plua d'un noble émale, arrivé Jnaqu'au IkSto
T'enrle, au fond du eoenr, cetta iUuatre défhlto.
Ta panz oroira une rolz qui n'a Jamala flatté
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74
INTRODUZIONE.
dicano. * Fu ancora chi recentemente e con dubbia ventura si
proTÓ foggiar di Niccolò un personaggio drammatico e attegiarlo
O fth*fl ir'oit «Tae tol qa'iUlt 1* Ubcrii;
Tu «ali comMi» nn U «trlT Ic^l qui iOanTrt» pnnr ollt,
I>leu ««TA de tuoi 114 (lani u iJ^tlrr naijTcMct
Et l«nr daulfle (t^n^Urdt Qntr« ten idmIdi reintiT
Hoqtr^, ì qui vt\3.t bleu Tu^liTi ob ii^tit Inuffe auIiIìUl^»
Po.if mot, podltj prr^nl tur m«t Alp» btutalaeit
JgiiarA Amm trlEìuni/aiit roli, (IqI CHpHiiltiet|
UbE^ Ad^éniGut 4pri» de lo ut nob^e r^ver»,
J'tìffi'B L dfl teli Tklitcui l^«a?finil pnr J* mM Tsn.
Dhii* mna It^r^, immiti, peu ■uurl^nx dn pUlre^
Jc b'IatrdYtt uà uom paU'Ant tlU p^truE^m ;
Bl lei Ji?tar«itl du JoUr ont unitala mA Tflir,
Jli MTjgut luet h] Aprii id^j'IIIkìil dJAM luoii boliu
Mkli feu MUrrl lortir partsnL ItHut 1« Tiihgf«f
Si Ec I>Li3a ^UB Jb pon i:)«iUHaJ4 uti tATTioE^uÉg^i
Bl je put*, tln Mal jiDur à ["o^uvrn qu'EI bdait^
PDrt4>r man grtAn i\t ublé ou moq bloc 4« (^r^niU
Ah t tBudli qa'4 itei yeus, drefipU^ commo ime Enjar«,
C« broD<« lUllBu ftii un dira du p«rj!in,
Que d«> Tieni dralt» l'Earof^e ét^^tit Iff cEfcif furtÉÌ,
Qu^on a^ktrptkEe à liLton» lar le bieti «■■ 1« mul,
Qne le mouda paUiT^ cnmnte «i| uti tDiiUTtl* lougc^
LftEt*« trAncr lE hAut 1b f^urtM et le luetLiougp,
NdtLri, lei inldAU 4u ClirUlf noui, Evi Franei, rt^etntoDoiil
Cai ^«irtue BL cei drc^Eti ì;u1 noa» dD]v«ut Ec^uri uomi:
La flerté d'uue Eibre e loj«le p^ralfl^
La ruTt pr&mple L alenar de tanjc uil chsr IfmboleT
Et ì'JtadBSe d'un COrur, lani rr^praclii^ e1 ilUI« fl«Tt
QuJ aa craLhtt ttE-biiq, que U nbmw in eìaì.
Dmtit QUI ctiutv iti4]inriP4 c^mma le fen dsi templAfl,
De noi i.'jegi dt^Eutf rBllUitionB l« exemplci;
Leur flAnamc ea ctiBRiem mE^le fniAr^li rnmpaut*
FfOniptri 4 nouil> bl lucer comme nte wEtl «firpeuta;
Et lei kaluei clBlri^ii da tc*yfr doraefttque
H«70Illl«ruilt, Bl«rÌT iur 1b r Etnee publEiloe.
Lo lq3[<? et IL'AT«rEce et lei BordEde* ppnrp
JfErout pì-OÉf à genouT, Bq-deT^nt dw tr«tdp«Un;
La lumE^TB eutrein Aahw cflt Empun lEàiEkEE*
Db nnlret tru^Eìitou* et d^Ejfnublei irBadAls.
iur IVrt da HtuLUTel «t u [IItEuEìA
Qn'EI tijuilTe a.n iimiI, njron d'atdeute probità,
L'éeliEr d'uà ^nd renard, lauB plun da »ortEEèi;at
£t tie brouMfi hiJcux RiitdrB codine In neìg^i *
%i DQiLfi r<tidoiit> etiStr^ épraii^^i par oe r<u,
L^Butel v^ Dal E'Mol^e un T^rilmbls DE e a,
Duh Hit impk d'iitK>r4f et de 14 iIahì tioM villei,
Poi^gp poar rutidftTTieat à qoi Tertue ?{Tf]e4
ITq PuTtr qui réiEifle 4 Cfl tainpP ■nbomBuri
Et aBctiouB l'eppeler da ioù tEaiLI Qum; l'eov^ncUB*
^ H4TLBT. An J?*3a^ on Nisiory^ ep. n, t. ISO - Alfieri, Po$tie twri*, »oii- 3tL -Ma-
M3ANI, Pipp*i>, p. 31^ - CAftUuccij La Cfioctf di Satioja - Io. i^afitf, p. S38 - Br^off, ChUd4
Harold, e. ir, p. 51-55 ^
* Ta Santa Crocce' s holj preci nel 3 Iih
Asbfl» vhkb mako it ha1ÌÉr, diist which Is
E'^en in itself an iiniri'^rUility ;
Thotigh there w^m nnihìng ^ave t]i(i pMt, and Xh'm^
T i(T partJcle of th^>!*e KiEbliinitie!)
Whkh ha ve relaiisVi m chuos! - here ropoa^ '
At4|j^fjli>% Alfleri's b(>nii!S, and hty,
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DEL MACHIAVELLISMO. 75
in sulle scene. 1 Dell'oblio dell'arte figurata nel decimosesto
secolo il nostro si provò a compensarlo ; ^ quando il pennello
magistrale del Kaulbach, in uno de'grandi a£freschi nell'aula
della scalea del museo di Berlino lo collocò al suo vero posto
e nella compagnia che gli si spetta; non nell'Olimpo, o nel-
l'Accademia, ma a fianco del Poliziano, d'Erasmo e di Colombo,
dello Shakspeare e di Hans Sachs^ dove si stanno il Gutem-
berg e il Copernico, dove frate Lutero leva alto il vangelo,
spalancato a fugare le glosse e i decretali; dove i nuovi prin-
cipi nazionali anno smesso ogni preoccupazione dell' impero ; in
mezzo al cuore del rinascimento.
1 Dk Oobinbao, Renai»aanc9y sch^es dramaliquei. Paris, 1877. - Il Gobinbau, senza
offesa soverchia della realtà storica, fa del M. un osservatore disserente col Vettori, col
Buonarroti, co'politici fiorentini del tempo suo. Lo fa anche assistere alPassassinio de*ba-
roni a Sinigaglia, in fine della commissione di lui presso al duca Cesare. Riesci a non of-
fendere interamente il pensiero storico, ma non potò dare al persona^io alcuna efficacia
drammatica, qualità che reputiamo sarebbe più che diificile attribuire al Machiavelli, quando
non si voglia correr rischio di renderne piuttosto la maschera che l'ideale. V. Francesco
Valori et Savonarola, ou la papauté au XV siècle. Firenze, 1869 par le baron Stock.
* Non pochi episodi della vita del M. fornirono argomento d'opere di pittura ai moderni.
Citiamo: il quadro e l'incisione del Faruffini, rappresentante Niccolò a colloquio col duca
Valentino, stampata dal Del&tre a Parigi. Il Bazzoli, nell' « ingresso di Carlo Vili in Fi-
renze », effigiò anche la figura di lui come in disputa con alcuni frati di San Domenico, n
Obakdi Io ritrasse nel carcere, intento a meditare il libro « De Principatibus ».
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Capo Primo
ORIOINB DE' MACHIA VELLI — NASCITA DI NICCOLÒ — EDUCAZIONE DI LUI
QUALITÀ DE* TEMPI.
• né per noblltA, né per uomini, né per
ricchezze Inferiori si giudicano - E chi vo-
lerne la famiglia nostra e quella de' Pazzi Ju$ta
lance per pendere, se In ogni altra cosa pari
ci giudicasse, in liberalità e virtù d'animo molto
superiori ci giudicherà. - Maclatbi.lokvm fa-
MILIA ••.
(Machiavelli N., Leti. fam. I).
• perch' egr Importa assai che un gio-
vanetto dal teneri anni cornine' a sentir dire
bene o male d'una cosa; perchè conviene che
di necessità ne faccia impressione, e da quella
poi regoli II modo di procedere In tutti 1 tempi
della vita sua >.
(Maciuavblli, DUeorsì. L. Ili, cxlvi).
In Firenze, in una casa del quartiere d* Oltrarno, ^ Tam-
mirazione de' posteri fissò una scritta che rammemora come in
quella casa conducesse la vita Niccolò Machiavelli. Egli era
> Nella via Ouicciardini, n. comune odierno 10, antico 1754. La scrìtta è la seguente:
« Casa ove visse
Niccolò Machiavelli
B VI morì il 22 GIUGNO 1527
DI ANNI 58, mesi 8 E GIORNI 19 ».
In occasione del quarto centenario della sua nascita fu apposta e consacrata popo-
larmente questa altra epigrafe:
« A Niccolò Machiavelli
dell'unità nazionale
precorritore audace e indovino
E d'armi proprie e non avventizie
PRIMO istitutore E MAESTRO
L'ITALIA UNA ED ARMATA
POSE
IL 3 MAGGIO IS09
QUARTO DI LUI CENTENARIO ».
Per un documento pubblicato da Gaspare Amico (La vita di N. M. Firanse, 1874), ap-
parisce, che Niccolò nascesse in una casa del popolo di Santa Trinità, avendosi per uà
estratto del libro de' battesimi dell'Opera di S. Maria del Fiore: « A di 4 di detto (maggio
1409),. Niccolò, Piero et Michele di m. Bernardo Machiavelli, p. di S. Trinità, naque a di 3,
a hore 4, battezzato a' di 4 »r — Il padre Idelfonso {DelHie degli eruditi toscani, t. vni,
JHmottraxione genealogica dell* albero dalia nobile famiglia de* Nelli, p. xxiii), dics il
nostro Niccolò venuto in luce da Bartolomea Nelli a' di 24 di novembre 1470 e cita « Oa-
bellone, A. 110 o 126 a 120 (1423) ». — Non è più possibile riandare a* registri del Oabel-
lene, che non si trovano nell'Archivio florentino, e probabilmente non gli vide neppure il
padre Idelfonso, il quale su documenti originali, come è cognito, lavorò poco.
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7è CAPO PRIMO. [i.
nato a* dì 3 di maggio, deiranno 1469. Il padre suo, d'antica
casata, che recava Tarme de* mali chiavelli, ebbe nome Ber-
nardo; la madre Bartolomea di Alessandro Nelli, vedova di
Niccolò Benizi. Di essa trovasi che fu donna di senno e di buon
intelletto ; le si attribuì vena poetica, si disse avesse composte
laudi sacre; le quali poiché non è chi asserisca aver vedute,
potrebbe credersi che, per riflesso della fama del figliuolo e
come per trovar preparazione dei pregi di questo, le si cer-
casse tardi un poco di gloriuzza o di virtù, come a quei tempi
intendevasì.
Poiché è vero che ella visse in un secolo in cui non fu-
rono poche donne eccellenti per valore di mente e d'animo;
ma oltre che di costoro ci rimaser Topere, è a tener ragione di
certa tendenza contemporanea a raccattar ne' parenti non pur la
cagione, ma il presagio della grandezza di coloro, che giunsero
a splendida meta letteraria o civile. La gentildonna che era
stata madre all' Alighieri aveva avuto visione del glorioso al-
loro che doveva essere" onore e desiderio al figliuolo: la madre
di Giovanni de' Medici si voleva che fosse stata per sogno istrutta
dell'altezza cui questi, eletto pontefice, ebbe a poggiare. Gian-
nozzo Manetti che dalle sacre carte e dalle profane storie, in-
cominciando da Ecuba, avea raccolto tutta l'esperienza tradi-
zionale intorno alla reale significazione dei sogni, ne avea dif-
fuso con grande autorità la fantàstica osservazione. ^
Che se Niccolò dalla madre ereditò animo sottile e inchi-
nevole a' buoni studi, dal padre doveva derivargli nobiltà di
sangue e antichità di prosapia, fino a ricongiungerlo al mar-
chese Ugo, che signoreggiò Toscana dalla metà del secolo nono.
Che pretensioni di nobiltà ci fossero nella casata de' Ma-
chiavelli ce lo prova ampiamente la lettera dettata da Niccolò
in nome di tutta la Maclavellorum familia:^ I suoi antichi
» Jaicmoctii MAiapiTi, Vita Nicolai V,lib. i; in Muratori, R«r. U. teript., X. ra, p. 2. 911.
■ Il Nardi Dbi {Monografia ttorica e statitttca del comune di MontetpertoU, pag. 82)
dà per erronea Topinione ripetuta generalmente che i Machiavelli sieno stati feudatari e
signori di Montespertoli, imperocché, nell'epoca in cui divennero eredi dell'antica famiglia
magnatizia, non esisteva più in quel comune signoria feudale. « Godevano però nella loro
qualità di eredi degli antichi castellani di alcuni diritti sulla piassa di Montespertoli, re-
sidui deirantico dominio feudale, come, per esempio, della privativa del peso e misura pub-
blica e di alcuni omaggi di cera dagli abitanti del paese. Forse ai memoria di cotesti diritti
ì signori Machiavelli apposero il proprio stemma sulla gola dell'antico posso della piassa
del mercato, come può vedersi anche attualmente ». — In un manoscritto della Biblioteca
Nazionale, segnato VIIT, Var,, 1402, pag. 119, è ima lettera di Totto Machiavelli a Fr. di
Piero del Nero, in Firenze, in data de* 22 dicembre da Pisa, nella quale si mostra ancora
qualche reiasione di essa famiglia col comune di Montespertoli, come apparisce dal seguente
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primo] MACLAVELLORUM FAMILIA. 19
avrebbero avuto la signoria di Montespertoli; la repubblica,
insofiferente delle servitù, baronali, gli avrebbe domi e ridotti
in città.| Se non che della nobiltà, ^ che 1* Italiani antichi chia-/
mavano gentilezza, furono due maniere: Tuna di feudo, che|
presto nell'astiosa operosità delle repubbliche mercantili scom-|
parve; l'altra repubblicana e popolare, nata cioè dal civile!
consenso, dall'ossequio per alti meriti verso la patria e per;
dovizie onoratamente nella città con industrie acquistate. È gen- [
iilezza dovunque è virtude, sosteneva il popolo, e le castella [
andaron compre o rase; e solo si ricevettero nel governo e negli i
uf3ci popolari quei nobili che, dimenticata la loro prosapia,
tramutarono il nomeJ In Firenze s'ebbero cosi da' Tornaquinci
i Popoleschi e *i Giachinotti ; da' Cavalcanti i Malatesti e i
Ciampoli; e le vestigia delle signorie castellane e de' feudi non
tornava conto accamparle.
Ora, se in un tempo in cui i nobili erano esclusi dalle
magistrature, i Machiavelli poteron vantarsi di annoverare nella
loro casata cinquanta priori e dodici gonfalonieri, se nel mille-
duecento ottantatre Boninsegna, che fu degli antichi loro e
collegato d'interessi co' Bardi, mercatanti ricchissimi, fu priore
delle arti, appena un anno dopo che questo magistrato era
stato istituito, questo è prova che i Machiavelli erano avuti
in Firenze siccome Popolani spettabili, popolani grassi, e che
le pretensioni a nobiltà qastellana non s'accamparono da loro
per fino che la repubblica non fu morta.
Furono bensì di parte guelfa, e quando questa soggiacque
a Montaperti, nel milleduecento sessanta, essi uscirono di Fi-
inciso: « Io vi adnisai quanto havevo facto della faccenda di Niccholò: di poi al venirne
qui ad Montespertoli a trovare il notaio del Podestà per fare un nostro mandamento al
lavoratore dei figliuoli d'Orsino ceràjuolo che non entrassi più in quello della chiesa ».
— L'arme de' Machiavelli è una croce d'argento in campo azzurro; la croce ha quattro
chiovi o chiavelli agli angoli, ed uno al centro. Il Borghini (Discorso dell'arme delle far
miglie fiorentine, Opp. ed. Milano, t. lu, pag. 14S) reputa che i Machiavelli abbiano col-
Tandar del tempo assunto i chiovi nella loro arme, per renderla, come usan dire gli araldici,
cantante, a somiglianza di quella de'Malespini, de* Bordoni, dell'Agli, ecc., che con emblemi
corrispondenti significarono il nome della casata loro. E fa questa congettura de* Machia-
velli: « veggendosi alcune loro arme antiche senza que* chiodi ». — Fra i documenti re-
lativi al Machiavelli nella Bibl. Naz. di Firenze (busta iv, n. 42) è una lettera di Niccolò
d'Alessandro Machiavelli a Niccolò M. di Bernardo commissario in Pisa, in data dei di
9 giugno 1509, che reca nel sigillo la croce coi chiodi. — Quanto alla ortografìa del nome
de' Machiavelli, è da notare che il nostro Niccolò sottoscrive più comunemente Malclavellus,
e in italiano Machiacegli; la famiglia usa ordinariamente MachiavegU o JUachiaveUi
(V. Dog. M., Bibl. naz., busta v, 21, 2S, 37, 46). Biaoio Bonaccobsi scrive Maelavello e
MalelaveUo (Doc. M., busta i, 2, 3, 4, busta v, 23). Il Quicciabdini : Machiavello. Altri:
Matchiaoelo, Malchlavello (b. ni, 14), Macravello (b. iv, 113, 114), Mal Chiaveli {iv, 77).
1 Cf. BoKACCOBso DA MoNTEMAQNo, Questio de nobilitate ad ili. principem Guidanto--
Mum Montis feretrH comitem.
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80 CAPO PRIMO. • [libro
ren^e né vi tornarono se non co' loro partigiani. Un Alessandro
Machiavelli, fuggito insieme col padre da Bologna, stanco delle
fazioni che l'avevano agitato, si ritrasse in solitudine a con-
templare la miseria di una vita, che si perdeva in contrasti
eflSmeri, espiò le colpe, e, morendo in Terra Santa, voce di po-
polo e sanzione di chiesa l' alzarono tra' beati. Nel tumulto
de' Ciompi (1378) un Guido Machiavelli, che era già stato dei
priori delle arti, fu tra i sessantaquattro cavalieri che la plebe
fece, e che il Comune armò poi, dopoché il popolo minuto ebbe
voluto si dimettessero. E quando la libertà, amata da' Fiorentini
più con violenza che con fede, cominciò a vacillare sotto le
ricchezze e la prudente ambizione de' Medici, non mancò alla
famiglia de' Machiavelli chi si facesse a sostenerla animoso, e
per lei desse la vita.
Ebbe lo stesso Niccolò a raccontarci nelle sue istorie di
messer Girolamo Machiavelli, che, riassunto lo stato da Luca
Pitti e da Cosimo, fu privo d'ogni onore e confinato ; poi, rotti
i confini, dichiarato ribelle.
Allora a quei mezzi, cui tutti i fuorusciti sogliono appi-
gliarsi, si rivolse egli pure ; corse Italia sollecitando i principi
a levarsi contro la patria; ma tradito e posto in mano agli
oppressori della libertà, questi lo gittarono in carcere, d'onde
non usci vivo. Ciò accadde circa undici anni prima che il nostro
Niccolò venisse alla luce. Cosi egli poteva noverar tra' suoi
antenati un santo della chiesa e un martire della libertà
della patria.
Se non che il compianto di questa generosa vittima non
dovea nella famiglia di Bernardo rompere fuori delle dome-
stiche pareti, né eccedere que' limiti che la prudenza segnava
a un cittadino che non voleva andar travolto nel turbine delle
parti, che era giureconsulto e tesoriere della Marca, e che di
tali offici dovea sostentar la famiglia. Inoltre era facile a Ber-
nardo intendere che il contrastare al giogo de' Medici, adattatosi
sempre più forte sul collo a Firenze, era tanto inopportuna
opera e vana, quanto per contrario nello schietto ed affettuoso
conversare domestico era naturale e giusto che tra i Machia-
velli non mai cadesse la memoria dell'onesto ed oppressato
congiunto.
Ora, sarebbe desiderabile che d' un uomo che in fresca età
riuscì a diventare prudente tutte minutamente si conoscessero
quelle cagioni che grado a grado gli modificarono l'animo.
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primo] qualità DE' TEMPI, eil
per sapere quanto ei dovette a buon seme di natura, quanto
a solerzia d'educazione, quanto a forza di condizioni esterne;
che sono le tre cagioni dalle quali ogni mente d'uomo piglia
forma ed impronta. Avvisare ne' moti primi del fanciullesco
raziocinio la naturale disposizione della mente di Niccolò ; stu-
diare la prima adolescenza di lui in guisa da rintracciare le
cause che svolsero le facoltà sue; che lo condussero per gradi
a quella logica e imperterrita ponderazione, per cui fu ammi-
ratissimo da contemporanei e da posteri; ritrovare le prime
vibrazioni di quell'armonia di cuore e d'intelletto, che in lui
si contemprarono in guisa da non conceder voce all'uno senza
il simultaneo concordare dell'altro; riuscirebbe per noi d'utilità
forse non minore che il seguire le fila delle politiche vicende
in cui fu involto, e il ricercare negli scritti di lui il suo spi-
rito adulto.
Se non che tanto vantaggio non credo avrebbe saputo altri
apprestarci che non fosse stato egli stesso; ed egli, fatto per
veder più le cose che le persone, o meglio, per veder le per-
sone in relazione co' fini delle cose; più d'ogni altra persona
obliò la sua propria, e fu restio a farne benché minimi cenni,
« perchè di sé e de' suoi gli sarebbe stato carico a ragionare » . ^
A noi dunque non resta se non, percorrendo le civili e poli-
tiche condizioni della patria, che circondarono i primi anni di
lui e concorsero, per dir cosi, a foggiargli V indole, ricondurre
alla prima semenza i frutti dell'età sua matura, rintracciare
le cagioni che confortarono quella sua disposizione costante di
rifarsi a' principi e alle cagioni de' fatti, riandare gli studi che
pose per acquietare le ansie della sua mente ricercatrice, e
ravvisare le necessità tristi e ferree de' tempi suoi; delle quali,
se mai queste parvero infettarlo, ei si riscosse preparando mi-
glioramento ai tempi che dopo lui seguitarono.
Certo è che se mai furono tempi acconci a improntare le
fantasie giovanili di varie e contrastanti immagini, furon proprio
quelli in cui, scomparso il debole e malaticcio Piero de'Medici,
che visse coperto sempre della gloria del padre, Lorenzo e
Giuliano cominciavano insieme a levarsi nella città mercantesca
e gaudente; in cui la libertà civile, come una fiammella che è
per ispegnersi, non dava luce che per guizzo e per attentati;
in cui s'alternavano spettacoli di sangue e d'orrore colla mostra
la più splendida d'una vita colta e lieta.
i Machiavelli, Arte della guerra^ lib. vii.
ToMMASiKi - Machiavelli. 7
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S2 CAPO PRIMO. [libro
« . . . . I giovani, più sciolti che Tusitato in vestire, in con-
< viti, in altre simili lascivie oltremodo spendevano, ed essendo
« oziosi, in giuochi ed in femine il tempo e le sostanze con-
« suolavano; e gli studi loro erano apparire col vestire splen-
« didi, e col parlare sagaci ed astuti, e quello che più destra-
« mente mordea gli altri era più savio, e da più stimato».*
A questo, dalla frugalità antica, era venuta l'Italia; da
quella frugalità idealeggiata non men da' poeti che da' cronisti;
-quando le donne sapevano venir dallo specchio senza il viso
dipinto, e parco il desinare, e l'arredo delle case era sem-
plice. ^ Gittatesi ne' commerci e nelle lontane mercatanzie, le
nostre vivaci repubblìchette s'erano fatte ricche. Ma se gli
-agi del viver morbido e gli affinati diletti, congiunti ad uno
squisito gusto della forma e ad eleganza gentile, davano va-
ghezza all'aspetto esteriore di esse, la vita cittadinesca per
contrario s'andava guastando, e le discipline severe e forti, che
fanno la difesa d'ogni umana società, miseramelite scadevano.
Di patrie milizie, d'amore della pubblica cosa, di sacrifici
di singoli alla libertà comune, più non era parola. A' danarosi
e a' condottieri di bande, che facevano tutte le guerre di quel
tempo, era venuta nelle mani ogni potenza in Italia. Con di-
vèrso modo, ma con egual corruttela maggioreggiando, tutte
le arti loro volgevano ad assicurare il principato che si erano
procacciato, e a collegarsi per difesa scambievole o a di-
struggersi per paura. Cosi Milano non agli Sforza, e Fi-
renze non aveva potuto contrastare a' Medici. D'altronde la
corruzione, che tutte le membra della società avea penetrato,
presentava un aspetto si leggiadro e lucido da non isgomentar
facilmente chi in quell'ambiente vivesse ravvolto. A chi era
fatto incapace della severa ragion della legge, pareva, disco-
1 Machiavelli, Istorie, lib. vii, § 2S. Cf. Burkardt, Renaiss^mcej pag. 291 e segg. Il Bau-
DRiLLART, Hisloife du luxe prive et public, t. in. pag. 208-9, dopo aver tradotto verbal-
mente le parole del M. domanda: «L'illustre florentìn n'exagére-t'-il pas la portée de
cette visite de Sforza?» poiché è noto come il M. risguardò la venuta in Firenze di Ga-
leazzo Sforza come un nuovo fomite alle pompo private e agli sperperi nella città fioren-
tina. Ma l'essersi promulgata nuova legge suntuaria e più rigorosa, prova abbastanza
che il male esistente già prima di quella venuta, erasi dopo quella aggravato ; e il Bau-
drillart medesimo è tratto a riconoscerlo. Tristamente vero poi quel che di quei tempi an-
nota lo scrittore francese, op. cit., pag. 194 : * Eorcudent alii spirantia mollius aerei, etc.
hes termos de l'oracle doivent étre renversi^s. L'Italie ne peut plus parler de domi-
nation. .. - ce scóptre des arts, que Virgile décernait à d'autres, il lui appartieni désor-
raais sans conteste... -» gloria cedutale assai meno volentieri che non paia. Venga, ciò
malgrado, il giorno che con sentimento antico possa Tltalia ripetere: «nec fuit opprobrio
facta sine arte casa ! »
" Cf. Dante, Pur., xv, 97 e seg. Ricobaldi, His'.. impp. in Muratori, A^r. U script,
t. IX, pag. 128. De rudi Ilaliae atatu.
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ramo] QUALITÀ DE* TEMPI. 83
standosene, d* avvicinarsi a più comoda ragion di natura ; e a
quelle osservanze nelle quali è la malleveria degli ordini du-
raturi, si faceva succedere l'arbitrato della coscienza, prona
a persuadere l'utile. Ma, come dicemmo, l'involucro lucente
di tanto guasto abbagliava la vista a chi viveva alla giornata
e provocava ne' forestieri la meraviglia per la elegante vita
d'Italia.
Conseguenza naturale di una condizione di vita in cui il
bello soventi volte si collega al tristo e la virtù alla goffag-
gine è lo smarrimento della coscienza pubblica, si che non
meno si dubita del parere che dell'essere. Tiranni e popolo
si trovano a fronte senza diffidenza, senza sentimento di peri-
colo, senza ribrezzo ; gli uni non si credono prepotenti ; l'altro
non si sente oppresso. Cosi in Firenze a Luca Pitti, finché le
cose gli furono in favore e parve che egli avesse alle mani
lo stato, si traeva la moltitudine, lo ricopriva di doni; tanto
che egli s' accinse a edificare da privato quel palazzo sublime
che fu serbato poi a dimora di re. « E il popolo, senza gelosia,
l'aiutava a quella opera, e, chi non poteva di donativi, l'ac-
comodava di personali servigi. Oltre a questo, tutti gli sban-
diti e qualunque altro avesse commesso omicidio o fuito o altra
cosa perchè egli temesse pubblica penitenzia, purché e' fosse*
persona a quella edificazione utile, dentro a quelli edifizi si-
curo si rifuggiva ». ^ E perchè tanto favore di popolo l'ab-
bandonasse, si convenne che questo s'accorgesse come era chi
meglio di quello sapea soprastargli. E Cosimo, la cui grande
arte era in lasciar cadere le poma mature, si piacque guardare
in solitudine schernito quel competitore che erasi provato le-
vare le case sue più alto delle medicee, e coli' adottare l' insegna
di una bombarda avea mostro la pretesa di scaraventare esso
in aria le palle de' Medici. Se non che l' arbitro più astuto seppe
meglio addormentare gli animi, e il popolo, che non s'accorgeva
del giuoco, lo chiamò padre della patria, come ei fu morto.
A questo inganno della coscienza popolare parve non ri-
spondesse meno una singolarissima illusione di coscienza negli
iniziatori della tirannide ; di guisa che essi stessi bramosi del-
l'accrescimento della patria tanto, quanto vogliosi della si-
gnoria, pareva non credessero alla patria poter giovare meglio,
« Machiavelli, Istorie, lib. vii. — V. il sonetto pubblicato dal Mai, Spicilegium ro'
fnanuw, t. i, pag. 684.
« Di Luca Pitti ho visto la muraglia ».
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84 CAPO PRIMO. [lobo
che tutta recandosela nelle mani e togliendole la libertà. Anzi,
come se il bene della città stesse nella casata loro, aspetta-
vano che quella dovesse andar loro a picchiare alle porte e
gettarsi loro tutta nel grembo. Cosi aborrendo da vistosi straor-
dinari, che erano i mezzi con cui tutti gli altri principi nuovi
s'erano impossessati del governo, Cosimo lasciò andare dileg-
giato e tra' pazzi quel Matteo Bartoli, gonfaloniere di giustizia,
che, ripugnanti i Signori, voleva adunar parlamento per far
nuova balia e metter la pubblica cosa in lui e ne' grandi; e
Lorenzo al figlino! suo Piero, quando lo spediva a Roma ad
appresentarsi a papa Innocenzo, rammentava che esso altro
non era, né dovea credersi, che un semplica cittadino di Fi-
renze. Così congiunto, in certa guisa, l'amor proprio di sé con
quello del pubblico bene, seguiva il più bizzarro contrasto,
per cui chi nelle intenzioni non sopportava eguali, si faceva
riguardo a spiccarsi poi del tutto dall'eguaglianza civile.
Similmente, quando è pur certo che i Medici erano in
Firenze fautori del viver molle, de' giuochi, delle pompe, e di
ogni delicatezza; Lorenzo si fa' pure autore di nuove leggi in-
frenatrici del lusso, per cui le famiglie mediocri fosser tenute
basse; e Lippe Brandolini ne lo celebrò. La religione già da
gran tempo fievole, cadeva; tempi, conventi e monasteri sor-
gevano ; le cappelle più vaghe di Santa Croce, de' Servi, degli
Àngioli, di San Miniato dispiegavano tutta la leggiadria delle
loro pitture e la bellezza de'paramenti. Cosimo aveva edificato
San Lorenzo, Santa Verdiana, San Marco, ignaro che dalle
mura di quest' ultimo chiostro avrebbe tonato una voce fatale
alla posterità sua. Ma egli, questo edificatore di chiese, soleva
ripetere che gli stati non si tengono coi paternostri. Lorenzo,
inventore de' canti carnascialeschi, compose laudi spirituali così,
come l'Ambrogini (il Poliziano), rotto ad ogni brutta lascivia,
cantò della Vergine: e al pari di questo, dopo un'ode divota,
sapeva intessere epigrammi degni della musa pedica. E la
prece divota della fraternità, il baccanale de' godenti, il raumi-
liare la coscienza e il discioglierla colla fatalità spensierata,
in un uomo istesso, in un'istessa compagnia s'alternavano nella
più singolare vicenda. Il bene si credeva compensato dal male:
quello non si ostentava, ma questo non lasciava rimorsi; e giu-
stificavasi il cozzo di pensieri centradittorì e la opposizione fra
pensieri ed opere col non credere nulla alieno da sé che fosse
proprio dell'umana fralezza.
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PBnio QUALITÀ DE* TEMPI. 85
Nasceva però che ogni uomo, per. generoso d'indole che
ei fosse, non curandosi di non- lasciar appiglio al motteggiare
e alla mordacità delle celie, queste spicciavan fuori acute,
piene d'irritazione e di scandali. Epigrammi o terzetti vitupe-
rosi appiccavansi alle porte de* cittadini, anche i più rispetta-
bili e onesti. Seguitava che il timor del ridicolo, che presso
taluni potea più che quel della morte e della vergogna, al-
lontanava non poche persone dall'attendere alla pubblica cosa,
dal comparire in quelle qualità pubbliche che l'esponessero
allo sguardo e a' morsi della malignità. Che se le persone con-
trapponevano scherno a scherno e dileggio a dileggio, i crucci,
i rovelli di un vivere astioso erano loro degno compenso; ma
gli aflFetti nobili volti in ridicolo, il costume deriso, le grandi
azioni rimpiccinite, non avute in onore, interpretate per secondi
fini, troppo crudelmente smussavano l'animo a' giovani, facili
per provvidenza di natura ad accendersi all'esempio di fatti
lodati, al desiderio di onori promessi; e questo era tal male
per chi dovea crescere in quell'ambiente, che non era possi-
bile compenso o rimedio. Di questo crudele motteggiare entrato
in dispetto talora Lorenzo istesso, nell'animo di cui la virtù
sonnecchiava accanto al vizio, s'era fatto a imprecar pianto
e dolori ai maledici. Nelle mascherate de' carri e trionfi, gli
aveva esso pure a sua volta colpiti col ridicolo:
L* altrui bene hanno in dispetto
or invidiosi e le cicale, >
le importune cicale, il cui periodico strillo non incontrò mai
in Italia la blanda accoglienza che trovò sotto il bel cielo di
> Le cicale facevano nella Firenze d'allora la parte riservata nelle città odierne ai
giornali pettegoli : inventare e diffondere malediche voci. Il Mìnchia vklli {Lett. fam. XI) al
Vettori scriveva nel 1512: « Dite a Filippo che Niccolò degli Agli lo trombetta per tutta
Firenze, e non so donde nasca.... e pure ieri mi trovò, ed aveva una lista in mano, dove
erano notate tutte le cicale di Firenze, e mi disse che le andava soldando che dicessin
male di Filippo, per vendicassi ». Nella Collezione de* trionfi e canti eamascialeKhi^ a
e. 565 è un canto che le abomina, e le vuol fuori:
« Fuor cicale in malora, fuor cicale,
Noi non vi vogliam dare più andienza.
Abbiate pazienza,
L'ha ire a modo nostro: fuor cicale.
Da poco in qua s'è sparso questo seme
Che tien già tanto quanto gira il sole;
Ognun resta in paura, ognun le teme,
Ognun se ne lamenta, ognun si duole.
Senza far più parole,
Sia poi quel che si vuole.
Per non aver compagne si bestiale
L*ha ire a modo nostro: f^or cicale ».
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80 CAPO PRIMO. [l
Grecia, dove neppure a questi striduli animaluzzi mancò una
immagine gentile che li nobilitasse; dove trovarono grazia,
come sotto sole più caldo, nella fantasia del sovrano poeta.
Giova frattanto avvertire* come il Machiavelli créscesse
in una società da due opposte correnti determinata: cristianeg-
giante l'una, macera, aborrente d'ogni splendore di vita, po-
vera, gittatasi da cieca sulle deboli e rare tracce della libertà
già scomparsa; l'altra godente, splendida, oculata, ricca, ri-
trosa a credere, gijidiziosa in destreggiare. L'influsso di queste
due fiumane diverse, che s* incontravano per le fiorentine con-
trade, trasportò per buona pezza uomini e cose, e avendo le
due correnti comune il letto, non succedeva di esse quel che
Omero racconta del Titaresio e del Peneo, che l'uno si git-
tava sull'altro senza mischiar mai onde; anzi accadeva fre-
quente che quelle si compenetrassero, e che in fondo alle
pure ma poco sapide acque dell' uno, si ritrovasse una qualche
ondata dell'altro; e fosse pure chi la reputasse scolo dello Stige.[
Il fervoroso ed austero Savonarola determinava l'una di
queste correnti, la più calda, la più schiva. L'altra faceva
capo all'elegantissimo Lorenzo, ed era la lasciva, la vivace;
che non si mostrava peritosa d'invadere a quando a quando
per un pochino l'alveo dell'altra. Cosi Lorenzo e il Poliziano,
che erano alla cima del vivere morbido e raffinato, si trassero
alcuna volta a salmodiare co' penitenti ; come vedremo più tardi
il nostro Niccolò uscire dalla divota congrega, ove caldeggiò
in discorsi di carità cristiana, e trapassare in brev*ora nella
più matta e spensierata compagnia di piacere, la quale aspetti
lui per ismascellar dalle risa, alla lettura de' bizzarri capitoli
« fatti per tórre il dispetto alle cose dispettose e aggiunger
piacere alle piacevoli ». Queste erano le condizioni ordinarie
della vita morale che accompagnarono Niccolò sin dall' età
prima, e che poterono senza forse più sull'indole sua che le
laudi sacre composte dalla madre di lui; ora cercheremo di
quelle straordinarie che da civili mutamenti furono condotte.
Nell'anno istesso che egli era nato, pacificatosi il papa
colla repubblica, e rabbassate le sue pretensioni sul ducato
d'Urbino, mancò Piero de' Medici; e Tommaso Sederini, cit-
tadino reputatissimo cui questi aveva raccomandato caldamente
Lorenzo e Giuliano, suoi figliuoli, fu autore che in essi passasse
l'autorità dello stato. Il vano tentativo che Bernardo de' Nardi
fece con pochi fuorusciti per sollevare Prato e rimettersi in
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PBIMO] QUALITÀ VE' TEMPI. 87
Firenze, fu sì poca cosa da non alterare la pace della repub-
blica. L'impresa contro Volterra ribellata, fatta ad interesse
forse, e certo a' conforti di Lorenzo, fu pur essa ben presto
espedita. Rinnovatasi poi la balia, cioè ripreso in mano il go-
verno, e riformate le imborsazioni degli uffici tutte a vantaggio
della fazione de* Medici, o sia fatti incapaci degli uffizi i non
partigiani, si visse poi per parecchi anni in tranquillità e quiete ;
durante i quali Milano, Ferrara, Firenze, Roma ostentarono
quanto di grandigie e di pompe poteva agguagliare l'antica cor-
ruttela imperiale. Ma se colle mollezze, e colle pompe imitate
dagli antichi era chi cullava il sonno del popolo neghittoso e
fantastico, l'inno di Armodio e d'Aristogitone, le laudi di Bruto
e di Cassio, quelle degli eroi di Plutarco uscivano fuori dai
dotti volumi a rinfocolare nell'animo ardito degli studiosi vi-
vaci il furore sacro della libertà. Giovenale, come profeta, li
confortava col vaticinio che la morte de' tiranni è morte secca;
tanta cupidigia di gloriosa immortalità li pigliava allo svol-
gere di que' volumi, che Roma, Milano, Firenze non manca-
rono di fervidi cospiratori, spronali dall'esempio delle antiche
celebrate congiure; ed affilati nelle biblioteche i pugnali, ne
uscirono fervorosi e forti a colpire tiranni.
Ma Stefano Porcari, che avea tentato spegnere la civile
signoria dei papi, erane stato impiccato al torrione di Castel
Sant'Angelo:^ Girolamo Olgiato, riuscito a toglier di mezzo
Galeazzo Sforza, dinanzi al (erro del carnefice si confortò nel
pensiero che la memoria del suo fatto sarebbe durata eterna ;
e a Firenze Jacopo figliuolo del Poggio, rapito all'adescamento
degli antichi esempi, si condusse a partecipare alle mene
de' Pazzi, nemici a' Medici, spalleggiati dall'ambizione di papa
Sisto, che ordinato segreto accordo per trucidare Lorenzo e
Giuliano, per ismuovere il popolo e adonestare la violenza,
gridarono il nome di libertà; ma i Pazzi la libertà non l'ama-
vano, né li moveva altro a cospirare contro a' Medici se non
gelosia di grado nella città e vendetta d'ingiurie ricevute e
argomentate. Egli è pur vero tuttavia che Lorenzo pai*ea vo-
lerne troppo contro questa famiglia ^ per ricchezze e per nobiltà
allora di tutte le altre famiglie fiorentine splendidissima ». ^
> Fra le carte del Machia vblli (Bibl. nas., busta vi, 6) è una copia di lettera ne la
quale è deteritta la congiura di M. Stefano Porchari di Roma^ addX iO gennaio i452
(stUe fiorentino).
* Machiavelli : Ittorie^ lib. viii, e. 2. — V. anche Eitratti di lettere a'dieci di BàAa,
pag. 281, ed. Firenze, 1874 « La cagione delli odi! trai* Pani et Medici ».
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88 CAPO PRIMO.
L'eredità di Giovanni Borromei che in questa famiglia
doveva discendere, poiché la costui figlia era moglie a Gio-
vanni Pazzi, fu ingiustamente sviata in un nipote del Borro-
mei in forza di una legge promossa da' Medici « che le donne
non redassino » ; donde ne' Pazzi nacque ira feroce. D'altronde
questi, osteggiati in Firenze, viveano* a lloma in gran favore.
Quivi la tesoreria del papa, tolta di mano a' ministri de' Me-
dici, erasi concessa a quelli; de' quali Francesco usava col
conte Girolamo Riario, onnipotente nipote del papa, assai fa-
migliarmente. Il conte si credeva in odio a Lorenzo Medici;
cominciarono costoro a tener proposito di mutar lo stato di
Firenze per racquistare l'uno la sicurtà, l'altro la patria: il
che voleva dire spegnere Lorenzo e Giuliano.
Noi non ci faremo a riandare l' ordito di questa famosa
cospirazione. 11 Machiavelli, giunto a matura età, ce ne die
nelle sue Istorie difi'usa narrazione, ne' Discorsi amplio e si-
curo giudizio; ^ l'Ammirato si tenne, come sempre, sull'orme
del segretario fiorentino, che a quando a quando si piace ri-
prendere d'inesattezza senza avvertirci mai di quando e' lo
copia; r Ambrogini ce ne declamò come un famigliare de' Me-
dici poteva. Nostro intento è solo accennare agli efietti che. la
cospirazione recò nel popolo, alla commozione che forse potè
produrre nell'animo di Niccolò, non ancora bilustre, quando
al fatto atroce si accompagnò più atroce la vendetta. Certo è
che s'egli fu testimonio de' colpi micidiali, feriti a tradimento
sotto le volte auguste di Santa Maria del Fiore ; s'egli si trovò
fanciullo alle strida che ruppero il silenzio de' devoti, la solennità
del sagrificio, il suono raumiliante dell'organo, le preci della
messa; se in quel parapiglia di fuggenti e d'assalitori vide gli
altari bagnarsi di sangue, e osservò come tiranni e amatori
della libertà non guardavano la chiesa e la fede che come
luogo e mezzo opportuno e ad opprimere e a sorprendere
oppressori, l'indole del giovanetto se ne dovè risentire. Poi
quando la vendetta di Lorenzo, per l'uccisione dell'infelice
fratello, parve spietata, e piena di stragi; quando i corpi di
Jacopo di messer Poggio, dell'arcivescovo de' Pazzi penzola-
rono appiccati fuor di palazzo, e Francesco fu trascinato a
morire per le vie, e tutta s'annientò quella casata infelice,
^ È notabile che negli Estratti di lèttere, fatti dal M., secondo che si hanno dal Codice
Oinlian de* Ricci, della cospirasione de*Paxzi si scrive: «Non si scoperse mai questa con-
giura, ancora che la fosse in molti, il che mostra la poca grasia di Lorenzo ». — V. Ma-
CBiATBLLi, Opp. ed. uh., vol. 2, pag. 2S1.
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PBiMoJ ^ QUALITÀ DB' TEMPI. 9»
Niccolò dovè preparare quella conclusione che scrìsse nell' età
sua matura; che cioè: « di simili congiure contro a più capi,
se ne debbo astenere ciascuno; perchè non si fa bene né a
sé, nò alla patria, né ad alcuno: anzi quelli che rimangono,
diventano più insopportabili e più acerbi ». ^
L' irritato pontefice, dolente che il fatto fosse mal riuscito,
che i Fiorentini ritenessero in palazzo il cardinal Raffaello, che
avessero appiccato T arcivescovo, e trattato i preti come cit-
tadini, fulminò contro loro l'interdetto, e s'accinse colle armi
a combatterli, e ad accozzar contro loro nemici quanti potesse.
E da quest'ora non tornarono più in pace i principi d'Italia
se non quando vennero i Turchi a pigliare Otranto, e collo
spavento persuasero l'utile concordia, la quale la morte del
papa fermò.
Tuttavia in Firenze dalla congiura in poi ogni tranquil-
lità di vivere era sbandita: l'animo di Lorenzo s'era fatto
aspro ; l'adagio della fazione medicea s'affermava arditamente :
essere necessario ogni cinque anni ripigliare lo Stato; « e chia-
mavano ripigliare lo Stato, mettere quel terrore e quella paura
negli uomini, che vi avevano messo nel pigliarlo, avendo in
quel tempo battuti quelli che avevano secondo quel modo di
vivere, male operato ». * A Lorenzo fu data guardia che gli
assicurasse la persona: il papa odiava lui, per lui solo ebbe
guerra la repubblica. Egli, collegato indarno col duca di Mi-
lano e co' Veneziani, che gli davan parole quando e' solleci-
tava soccorsi, prevenne il malcontento dei cittadini, i quali
jnormoravano che per lui privato dovesse la repubblica por-
tare i danni e le spese della guerra; e andatone al re Fer-
dinando, che stava pel papa, 'e gli era nemico, gli si pose nelle
mani e tanto potè astutamente coli' eloquenza sua, che se lo
volse ad amico, se lo avvinse per alleanza, e congegnò tal-
mente le forze degli stati italiani che, finché egli visse, si
tennero bilanciati fra loro e non ebbero bisogno d'invocare
parziale sicurezza o preponderanza di forze straniere.
Fu lamento di tutti gli storici, degl' italiani, e de' fore-
stieri, che ei troppo breve tempo vivesse, e che con lui ca-
desse quell'ariificio ingegnoso con cui egli, abile schermitore,
avea saputo scongiurare la guerra e trattenere la pace. ^
i M., Diaconi, m, e. ti.
' M., Diàcorti, 1. Ili, e. I.
* Pure nftl 1487 Aldobbandino Guidoni scriveva di lui : « Da un amico iotendo che in
casa Sua Mag.^ dice parole da disperato e dice aver desiderio andare sei mesi in loco
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90 CAPO PRIMO.
Ma egli trattenne i mali più che non li sanasse; e il
profondo sénno pratico della casa Medici nella fortuna grande
di lui non si considerò abbastanza di quanto andasse scemo. Tut-
tavia ben seppe ravvisarlo alcuno de' più sottili contemporanei
suoi e coraggiosamente glielo ricantò sul viso. « L' avolo tuo
superò i nobili e i potenti ; tuo padre e' provvidi et sapienti ;
tu hai vinti i Pazzi: ora hai a fare con gli arrabbiati ». ^
Così messer Niccolò Giugni; e Lorenzo voltò tutti gli sforzi
suoi a combattere gli arrabbiati, rafforzando la casa sua di
quanti appoggi poteva.
Le cose d'Italia sembravano piane: composta la guerra di
Napoli, riconciliatosi il re co' baroni ; papa Innocenzo Vili
aborrente da imprese pericolose; Lorenzo congiuntoglisi di pa-
rentado, dando una figliuola sua, Maddalena, in moglie a
Franc3schetto Cibo, nipote di quello. Se non che a Roma il papa
non era tutto; v'erano i baroni potentissimi; e Lorenzo s'in-
dustriò accattivarsi anche il favore d'una fazione romana, quello
della parte Orsina, dando in moglie a Piero suo primogenito
la figliuola del cav. orsino, Alfonsina. Inoltre, quando gli altri
principi non volevano intendere che il papato, signoria elet-
tiva, potesse dare nobiltà a una casata, tanto da sollevar l'ori-
gine di essa al cielo, e quivi circondarla di tutti gli splendori
che l'adulazione prepara e la fede conferma; quando quelli
andavano mendicando lo stipite delle famiglie in Dardani, in
Antenori, in Fabì Massimi, in Camilli, in altri nomi illustri di
Grecia o di Roma; egli, lo scaltro Lorenzo, prevedendo quasi
per intuito l'altezza cui poggerebbe in breve il papato politico,
fra i principati nuovi il più fortunato, avea sollecitato con
ogni studio da papa Innocenzo, e ottenuto che il suo secondo-
genito, Giovanni, fosse in età di tredici anni tratto alla di-
gnità del cardinalato.* Messolo ben innanzi sulla via, il resto
ove non senta nominare le cose d'Italia. E non potria credere V. Ecc.», secondo queiraraico,
quanto ha mostrato Sua Mag.i» essere allegro de la vittoria del re di Francia, con dire
apertamente che ancora spera vedere esso re di Francia signore di tntta Italia — ... Iddio
sia quello che gli metta in cuore far bene ». Cf. Carteggio del duca Ercole d'Este, nei Do-
cumenti della Società di Storia patria di Modenay t. i, pag. 294.
^ Machiavelli, Eitratli dal Codice G. d. R., Opp. ed. ult., voi. 2, pag. 2S3.
* Negli Estratti citati dal Cod. Qiulian de* Ricci, si legge: « Giovanni di Lorenzo de* Me-
dici di 13 anni fu fatto cardinale, fuori d' ogni volontà del Collegio : vollono che penasse
3 anni a portare il cappello et a venire in Concistoro ». Nel carteggio di, Aldovrandino
Guidoni col duca Ercole d'Este, ecc. {Documenti di storia patria della prov. di Modena,
t. 1, pag. 299-312), si trova a questo riguardo : « A di 9 marzo 1489. La bolla del figliuolo
del M. Lorenzo è sottoscritta da tutti li cardinali e mercoledì prossimo si crede si pubbli-
cherà cogli altri». E da lettera de* 17 dicembre: « egli farà cavare di consentimento
di tutto il Collegio de* cardinali una bolla, la quale chiarirà il figliuolo cardinale quando
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Pinco] QUALITÀ. DE' TEMPI. 91
l'avrebbe saputo fare da sé. In Firenze avea acconciata una
delle sue figliuole con Piero Ridolfi, l'altra con Jacopo Sal-
viati; restava da provvedere a Giuliano, suo terzo figliuolo.
Le sostanze paterne erano state, sperperate da ministri ; il cre-
dito della famiglia ne parve in pericolo; a questo ei rimediò
col denaro pubblico. Era un'infamia; ma Cosimo avea tanto
profuso delle sue proprie sostanze a prò del Comune, che a
Lorenzo il prendere non sembrava altro che un ripigliare. Il
signor Ludovico, che governava in Milano pel giovinetto ni-
pote infermiccio, avea gli occhi su Genova : Genova sulle for-
tezze fiorentine: ma Venezia gli avea su Milano, sulla Lom-
bardia, sul Ferrarese: queste ambizioni contrastandosi pare-
vano elidersi. ^ Lorenzo affaticato, percosso da dolori acerbis-
simi, chiede serenità e conforto nell'ombrìe di Careggi agli
studi e a' consigli dell' Ambrogini e di Pico della Mirandola.
Ma vede la morte venirgli incontro; e sollecitato dall'amore
di provvedere a' suoi figliuoli e a Firenze, dalla brama di do-*
mare con carezze quegli arrabbiati che non poteva combat-
tere, fece un passo calcolato per amicarseli, e mandò a cer-
care del frate Savonarola, che era stato origine e capo della
parte loro.
Questi era nato in Ferrara nel 1452 d'onesti e agiati pa-
renti. Disgustato della mondana vanezza, e convinto che pure
a questo mondo si sarebbe potuto vivere più a modo di Dio
in compagnia della libertà e della virtù, non appena entrato
nella religione di san Domenico prese a darsi alla predica-
zione, per la quale pareva aver sortito da natura disposizioni
mirabili. San Geminiano, Brescia, le città lombarde, Genova,
avean sentito per bocca sua certe visioni, certi annunzi di gravi
sventure che la Provvidenza preparava all'Italia, dopo le quali
i popoli uscirebbero liberi de' mali principi, e la Chiesa rinno-
vellata e purificata.
verrà ad easero in età idonea al detto cappello ». — Il Rbumokt {F^renso de* Medici, il
Magnifico f Leipzig, 1874, t. 2, pag. 490) giudica : « es liegt auf der Hand der Papst schfimte
aich. In den schlimmsten Zeiten der Kirche war kein Kind Cardinal geworden. Drei lahre
lang solite die Ernennung geheim bleiben ; Excommanication den tretfen, der sie verdffen-
tlichte ».
1 II CoMiNES, Mémoireé, 1. y, pag. 3S8. à la Haye, 18S2, descrive a questo modo la con-
dizione politica d'Italia: « Àux princes d* Italie (dont la pluspart possedent lenrs terrea,
tans tiltre, B*il ne leur est donne au Ciel, et de cela ne pouvons si non deviner) leaquela
dominent aaaez cruellement et violentement sur leurs peuples, quant à leura deniera ; Dieu
leur a donne pour opposite les villea de pommunanté, qui aont audit paya d*ltalie : comme
Ventae, Florence, Oennea, quelquefoia Bonlogne, Siene, Pise, Lucquea et autrea; leaquellea,
en pluaieura choaea aont opposites anx aeigneura, etlea aelgneurs à ellea; chacun a Toeil
que aon compagnon ne s'accroiaae ».
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92 CAPO PRIMO. [UBBO
Mandato a Firenze, s'accorse che quella città vaghissima,
piena di un popolo vivace e pronto a muoyersi, era buon nido
per lui. L'oculato Lorenzo vide il pericolo e, interpretando
il zelo del frate per ambizione di chiercuto, giudicò di po-
tergli chiuder la bocca co' benefici. Ma quegli eletto nel lu-
glio del 1491 priore di San Marco, neppur volle, secondando
la consuetudine invalsa nel convento, andare come nuovo priore
a far visita a' Medici.
Lorenzo comprese che questo frate demagogo non gli era
suddito; che gli sarebbe potuto tornare ad inciampo. Ma per
fin eh' ei viveva non era uomo d'aver paura di demagoghi: sa-
peva egli bene discreditarli. Se non che, presso a mancare, e
dubitoso per Piero suo figliuolo, risolse tentare di farlo ve-
nire a sé, chiamandolo non a confessore, non a testimonio del
suo ultimo spiro, come vollero il Burlamacchi e Giovan Fran-
cesco Pico, biografi del frate, ma probabilmente a confortatore
che il benedicesse con una benedizione che fosse malleveria
d'acquiescenza al predominio del suo Piero. ^
Tuttavia l'artificio di lui cadde nel vuoto; che quando il
frate onestamente tenace propose al moribondo di rendere i
denari mal tolti al monte delle fanciulle, e di ridare al po-
polo la libertà, Lorenzo si lasciò benedire da lui, ma comprese
che non era coscienza guadagnabile. Raccomandò a Piero che
stesse bene attento nelle onoranze del suo funere a non dar
segno che paresse eccedere il grado di comun cittadino; e quando
parve acconciarsi ad aspettare la morte, sopportando con ras-
segnazione il male e con calma i medici, che non risparmiavano
prove d'alleviargli, come pretendevano, le sofferenze; uno fra
questi e celeberrimo, Pietro Leoni, il dì appresso dalla morte
di quel comune cittadino, fu trovato morto in fondo a un pozzo
nella villa de' Martelli a San Gervasio, dinanzi alla porta a
Pinti. Fu per cenno di Lorenzo o di Piero? fu per zelo di
cortigiani ó per invidia di rivali ? ^ Nulla ci è dato conoscere
di certo circa alla cagione e all'autore di sì orribile fattoi
* A questo modo »i concilierebbe forse il racconto de* frateschi, accettato dal Mbtbb
(QeicMchte Savonarola't, pag. 52) e dal Villabi {La vita di Gir. Savonarola, v. i, pag. 130)
colla versione della Cronica del Cbbrbtani (lib. in) e colle argute osservazioni del Rbu-
MOMT {Lorenzo*» letzte Stunden, nell*Àppendice . pag. 590 e seguenti, voi. ii del suo Lo^
renzo il Magnifico, Leipsig, 1874), il quale nota V inverosimigliansa della narrasiooe fra*
tesca, e quantunque non paia accettare per genuine e sicure le scritture attribuite al
Burlamacchi e al Pico, non vuole non aver riguardo alla tradisione del fatto rimasta co-
stante nel chiostro di San Marco.
* Cf. Rbomont (Lorenzo de' Medici. Lorenso*s letate Stunden, Àpp. citata). Niccolò, fra
i suoi Ettralii di Lettere ai Dieci, ci offire un lieve cenno della cagione probabile di questo triste
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o] MARCELLO VIRGILIO. 08
Demetrio Galcondila, l'illustre rifugiato d* Atene, che ri-
vale dell' Ambrogini aveva di fresco lasciato Firenze e da Lu-
dovico Sforza invitato a Milano, quivi dottamente insegnava
greco e francamente giudicava delle miserie italiane; in una
lettera a Marcello Virgilio, il quale ben accetto a' Medici, erasi
ingegnato scusare il fatto atroce, ne esprimeva il dolore della
sventura e l'orror de' sospetti. Marcello professava nel liceo :,
fiorentino lettere latine e greche. Egli, avuto allora in onore •
grandissimo presso tutti gli studiosi, riguardato come miracolo l
di erudizione, ascoltato volentieri per la sua naturale facondia,
ignorava forse che era suo fato provvidenziale starsi dinanzi
del Machiavelli, per dir cosi, come fiore davanti ad ape, per
dar succo e nutrimento ad una mente maravigliosamente at-
tiva, ma poco paziente forse delle inquisizioni de' grammatici,
cosi piccole e cosi gravi. Marcello era ignaro di quel suo of-
ficio, dal quale pure dovea venirgli più grande onore che dalle
opere proprie, poiché forse è per lui che la potenza dell'in-
gegno del Machiavelli si dispiegò tale quale i posteri di questo,
più che non i contemporanei, l'ebbero ad ammirare.
Pertanto, dopo aver considerato le condizioni civili e po-
litiche che formarono l'ambiente in cui Niccolò crebbe, ci è dato
finalmente a questo punto abbatterci in una causa prossima,
che potè operare direttamente a educare e svolgere l'animo e
l'intelletto di lui. E veramente una degna amicizia in gioventù
è cagione non lieve di perfezione educativa. Ma sino a qual
fatto: « Ammalò Lorenjto. I predicatori mÌDacciavano. Cascò a di 5 d'aprile la sxMtta in sa
Ift terrazza della cupola. Lorenzo era medicato da maestro Piero Lioni spoletano e da
ottesQro Giorgio Ciprio; erano discordi. Mandossi a Milano per maestro La2zero di Dattilo;
fecelo morto : il che indegnò gli animi contro a maestro Piero Lioni. Mori Lorenzo addi
Caprile: fu per esser morto maestro Piero Lioni: andqnne a San Cervagio con Cosimo
Itvtelli; la mattina fu trovato in un pozzo ». ~ Il sospetto che Pietro Leoni potesse essere
*t^ spinto da istigazioni del duca di Milano ad avvelenare Lorenzo, nacque forse dalle
rekzioDi ch'egli ebbe con. Ludovico. Vedi a tal proposito una lettera d'ErCoIe d'Està
ad Aldobrandino Guidoni, in data de' 31 agosto 1437, di Ferrara, nel Carteggio cit., t. t,
àt'Documenti di storia patria, Modena, pag. 290. — Il Sannazzaro compose una elegia
italiana sulla morte del celebre medico spoletino, di cui ci giunse meglio la notizia della
fama e della sventura che non delle opere. Cosicché quel che se ne sa è quel che il Ficino
oe lasciò scritto, cioò che egli potè congiungere le opinioni platoniche colle aristoteliche
*<ini platonica peripateticis praeclarissime junxlt {De Immort. anim.f 1. vi. e. i), e quel
die il Giovio aggiunse, cioè che ei fu il primo quasi a riporre in gran concetto Galeno, e
che, sdegnando le impure astruserie arabiche, si rifece a' fonti greci (Cf. Tiraboschi,
St. d. 1. it.,' VI, pag. 304). Il Skusi, nel suo Saggio di documenti ttoriei tratti dall'or-
eAteio del Comune di Spoleto, n. 96, pubblica un breve di papa Paolo III per cui vien posto
in sodo che Pietro Leoni lasciò opere di medicina scritte di sua mano, che Vespasiano Leoni,
nipote di lui, intendeva di far pubblicare insieme al libro De timpUeibut del Niccoli, il-
lastre medico fiorentino. Il catalogo delle opere di Ini, che fu spacciato esistere nella bi-
Uieteca Vaticana, fu, secondo il parere del Marini, una delle tante falslflcasioni d'Alfonso
CeccareUi.
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94 CAPO PRIMO. [UBBO
grado corse amicizia tra Niccolò e Marcello Virgilio ? Che im-
portanza ebbe la relazione che passò tra loro, prima che stes-
sero insieme in cancelleria ?
/ Ed ecco, che dopo aver rinvenuto un uomo, che fu per
I certo potente sulla mente e la vita di Niccolò; ci troviam di
.' nuovo gittati in mezzo alle ombre delle congetture. Che questi
gli fosse a dirittura discepolo, come molti biografi vollero, ^ non
si può ammettere, però che Marcello, nato nel 1464, non era
che d'un lustro d'età maggiore del Machiayelli; né degli scritti
che ci rimangono di lui, indirizzati a Niccolò, n' è alcuno che
faccia menzione o accenno di studi d'umanità da loro coltivati
in comune, o che abbia relazione alle discipline accademiche,
0 metta in chiaro sentimenti di riconoscenza e di affetto, quali
sarebbero naturalmente interceduti fra insegnante e discepolo,
fra persone che hanno propositi o vagheggiamenti simili, o
comunanza intellettuale di studi.
Ed invece, se alcuno scritto del Virgilio ci è pervenuto
che riguardi il Machiavelli, questo non esce per nulla dai li-
miti d'una relazione tepida, cagionata dall'uso o dalla neces-
sità, più che da famigliarità cordiale.
E nemmanco toccò loro somiglianza di vicende, dappoiché
quando i Medici rientrarono in Firenze nel 1512, trovarono
messer Marcello in officio e ve lo lasciarono, il povero Nic-
colò invece fu sbalzato dal suo posto e perseguitato. E questo
vuol dire che nelle inclinazioni politiche, nell'amor operoso
della libertà, nell'avversione alla tirannide, nella relazione
della loro vita, non si tenevano né per inseparabili, né per so-
miglianti.
Né caduto, l'uno nella disgrazia, é memoria che l'altro
gli- soccorresse in particolar maniera; né quando messer Mar-
cello venne a morire, Niccolò celebrò con solenne rimpianto
la perdita del traduttore di Dioscoride.
Però è a ritenere, che questi non tanto valesse a piegare
l'animo o segnar la dirittura all'intelletto del Machiavelli,
quanto a presentargli facile nutrimento all'ingegno, stando come
un libro aperto a sua posta, come un albero sovraccarico di
bellissime poma, ad aspettar la mano che ne cogliesse e ne
traesse utilità intera.
Marcello di Virgilio, della famiglia Adriani, nato in Fi-
1 V. Serie di ritratti e d'elogi d'illuslH Toscani, t. iii. — Bandxnx Ancu Mar., CW-
lectio vet. aliquol monum., Arreti i752.
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tpRnio] MARCELLO VIRGILIO. 95
renze, era assai riguardato per la spettabile casata sua. Cri-
stoforo Landino e TAmbroginì aveva avuto a maestri; né fu
chi più di costoro confortasse il rinascere degli antichi studi
e il progresso delle italiane lettere. Le « Questioni Camaldo-
lensi», il commento alla Divina Commedia di quello; VAm^bra,
le poesie latine e greche, le epistole, le stanze, Y Orfeo di
questo, ne stanno a monumento perpetuo. Sotto al loro magi-
stero Marcello acquistò gran perizia delle lingue classiche, gran
possesso dell'arte rettorica; qualità che, aggiunta alla sua di-
sposizione naturale ad aver facile eloquio, gli fece guadagnar
fama di uomo il più eloquente de' tempi suoi presso coloro
ch'eran usi a pigliare i rettoricumi pronti per eloquenza. Chia-
mato ben presto a leggere nello studio fiorentino, fu poco dopo
la cacciata de' Medici assunto a segretario della repubblica in
luogo dello Scala. ^
Al di primo del giugno nell'anno istesso, quando fu dato
in ringhiera pubblicamente a Paolo Vitelli il baston del co-
mando, egli tenne l'orazione solenne « circa ad bore 25, puncto
-così dagli astrologi datosi».^ Delle sue orazioni inaugurali,
tenute nello studio, ce ne rimangon parecchie, e ci provano
più che a sufficienza come in lui si continuasse identica e tras-
missibile la facoltà declamatoria di chi l'avea preceduto. ^ La
rettorica gli par bella e pregevole, non solo per sé stessa,
ma perchè nelle democratie questa soprattutto si schiera a fa-
vore della libertà ed à precipua avversione contro ogni macchia
di vizio; dalle quali parole apparisce che questa orazione fu
tenuta a questo modo perchè fuggiti i tiranni, e la libertà ir-
rompendo furiosamente, persuadeva nuovi tropi a coloro che
sfruttavano le parole.^
> Parenti, Storie, Mss. bibl. naz. : « Febbraio 1498. In cambio di m. Bartolomeo Scala,
primario nostro cancelliere, più mesi sono mortosi, le cui lettere erano approvatissime, ri-
mase eletto di più favore nel Consiglio grande Marcello di m. Vergilio. giovane d'anni 36,
bene litterato in greco et latino : il quale in studi di humanità qni pubblicamente leggeva ».
* Parenti, ib. Questa orazione trovasi manoscritta nella bibl. Laurenziana, pi. xc,
sup. XXXIX. pag. 17.
* Mss. bibL Laurenziana, pi. xc, snp. 39. V. l'orazione < iVt7 arfmtrari » quella «S'opra
Democrito ed Eraclito, quella « de puerperio et ohstetricio Socratii ». — Fra queste l'ora-
zione *nil admirari» meglio s'affaceva alla tempra della mente di Niccolò, del quale
recentemente il De Sanctis ebbe a scrivere, e non sappiamo se per relazione d'idee a
questa orazione dì messer Marcello : « Il suo motto è nil admirari». Storia della let-
teratura it.j t, IT, pag. 84.
* «Nihil tamen meo judìcio tantopere laudandum in eo, nec pluris a vobis hoc tempore
faciendum quam quod praecìpuam habet in democratiis adversus omnem labem veluti an-
tipatiam quandam prò libertate ; prò qua et si omnibus hoc tempora elaborandum sit ut,
quam nuper.erexistis (ut Pindarus dicebat) fulgentem libertatis crepidinem eam adhuc
■altius tollentes servetis acternam ».
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96 CAPO PRIMO. [libro
Poi quando sotto papa Giulio guerreggiatore, e Piero So-
derini debole e capriccioso, Marcello comincia a perder la fi-
ducia che lo Stato fiorentino retto a quel modo possa durare;
s'accomoda a considerar la città come in uno stato di peri-
colosa gestazione e a desiderare Tostetricia d*un Socrate che
le faccia facile il parto; e sospira, non si sa se per Tltalia o
per Firenze, un Dione che liberi Siracusa dalla tirannide, o al-
cuno che con migliori leggi ed istituti fondi la città cretese. ^
I tempi ingrossano, lo stato popolare è rovesciato, ma
messer Marcello, cancelliere della prima cancelleria, rimane
ritto. I Medici non toccano il platonico, non toccano l'eloquente,
che non era della lor tattica andare a stuzzicare i vespai e
incitare le invettive dei retori. Del resto Marcello sapeva quel
che sapientissimamente aveva detto il divino Platone, che-
l'uomo è un animale che va soggetto a passaggi precipitosi
nelle sue elezioni, e che à facili le mutazioni ad ogni par-
tito : « animai qiwd habei praecipites electionis transitus et
faciles ad omnia muiationes».^ Però, oltre quella pel Vitelli,
ci occorre trovare anche un'altra orazione di lui in lode
della milizia, recitata pubblicamente quando era il giovane
Lorenzo de' Medici cui si consegnavano in Firenze le militari
insegne. E questo anche vuol dire che quella rettorica che gli
era sembrata necessaria al governo democratico, non gli sem-
brava meno indispensabile sotto un governo di prepotenza e
una signoria d'arbitrio. Della qual cosa non gli facciamo ap-
punto per confonderlo coi tergiversanti d'ognitempo; che anzi
ci piace riconoscere come allora, quando ancora l'autorità
d'un classico pesava più che non l'essenza di un fatto; se il
piegar degli uomini alle mutabili contingenze accadeva, un
^ Marcello Virgilio, Cod. Laur. citato. « O sapientem rattonem, o felicem aetatem,
0 sanctum obstetriciuin, o dìviDam puerporium, quod mortai itatem hanc nostrani ad anti-
quam divinitatein et memoriam pulchritudinis ejus multo labore studioque produxit. Cui si
similem habuisset haec aetas didicissent religionis principes sanctius deum colere et san-
ctioribus exemplis meliores mores nos docerent; neque imperium, quod inane est, armis
et humana caede afiectarent : nec simulata virtute, f'alsis exemplis etmetu inferorum quos
ipsi non timent, docerent alios religionem. Didicissent reges ipsi justius etiam bella exer-
cere: cives prò privata ire frugalius, prò pubblica honestius laborare.... - Inveniretur
passim Dion aliquis qui Syracusas a Tyrannide liberaret et qui cretensera civitatem me-
lioribuB fundaret legibus et institutis».
• V. Cod. cit., Oratio habita in principio lectionis cujus iitulus « nil admirari ». —
Nella quale si legge ancora : « Sed huius novationis veniam mihi facile a vobis spero, re-
petentibus animo indesinentem rerum omnium mutationem et necessariam in nostris aniniis
mobilitatem ; in quibus hi praecipue laudandi sunt qui, urgente necessitate aliqua maioro
aut occasione suadente, volnntatem suam rebus, non eas suae voluntati submittere conat»
sunt». — Chi non osserva in queste parole il germe della massima del M. che si con-
viene « riscontrare il modo del procedere proprio contempi? »
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PKiMo] MARCELLO VIRGILIO. 07
filosofo poteva credere di giustificare l'instabilità delle sue pa-
role e della sua condotta civile con una sentenza antica, con
la quale si pareva argomentare la necessità che il mondo an-
dasse a quel modo.
La traduzione e il commento di Dioscoride, che Marcello
dedicò a papa Leone, gli valse favore grandissimo di quel
pontefice, che sapeva tanto bene chi tornava conto proteggere.
L'edizione di questa comparve a Basilea nel 1518, ^ e precisa-
mente presso a quel tempo 1* infelice umanista fu per esser
colpito da grave disgrazia; che, partendosi di città per recarsi
alla campagna, caduto assai malamente di cavallo, ne rimase
offeso alla parte sinistra del corpo, ed ebbe quasi a perderne
un occhio. ^ Cosi della sua gloria e della benevolenza papale
ebbe a godere poco, da poi che, invitato a recarsi a Roma,
quando era per accingersi al viaggio, soprappreso da infermità,
usci di vita.
Un siffatto uomo, più innamorato delle parole che delle
cose, e anche ne' suoi innamoramenti tepido e formale, poteva
> Nel Codice magliabecchiano, ci. vin, palch. 10, n. 1442, si ha pure una tradiuione
fatta da Marcello Virgilio deirorasione di Demostene irzpi tx; irapaTcpio^sta;, ch'egli in-
titola de mala legalione. Il Codice è autografo, ma manchevole; la traduzione inedita.;
ma se n' à poco oltre ali* introdotta elegia di Solone ; terminando colle parole : « nonne
▼idetis quam clarum, o viri Athenienses, et conspicuum exemplum miseri fuerunt Olyn-
thii, qui propter nullam... » Di questa traduzione non si à notizia, nel catalogo delle
opere di Marcello Virgilio, dato dal Gallktti, Istoria degli Scrittori fiorentini., Firenze,
1850, p. 4Se segg. Air incontro egli e il Mosbni {Bibliografia storico-rag ionala della To-
scana, t. I, pag. 18) accennano ad una orazione in morte di Giuliano de* Medici, duca di
Nemours, esistente nelle Miscellanee Cod. 50, manoscritto dell'abate Corso de* Ricci, che
probabilmente è l'unica delle altre orazioni attribuite a Marcello Virgilio che possa esser
sna, oltre quelle in morte del Rinuccini e del Ficino. A noi non fu possibile di rintracciarla;
bensì esaminammo quella in funere Petri Medices (Cod. magliab. 115, ci. 38 a e. 195) la
quale, non sappiamo come, dal diligentissimo Morbni potè facilmente ascriversi a Marcello
Virgilio. Gravi dubbi sulle possibilità che questi, cancelliere della prima cancelleria della
repubblica, potesse mai far l'elogio funebre di Piero de* Medici, figliuolo del Magniiico,
avrebbero potuto destarglisi dal sapere questo morto esule e nemico a Firenze, sepolto lon-
tano dalla patria, ove nessuno mai riportò le sue ossa. Inoltre, nel frammento d'orazione
che si legge nel Codice citato, la cui scrittura è per verità non punto facile a percorrersi,
occorrono passaggi che bastano a recar la certezza del contrario. Citiamo i seguenti: « Ite,
mortales; fidite annis, virtute, splendore, gratia, totque fortunae et animi bonis. Petrus
Medices maximi Cosmi magnus filius, serenissimi Ferdinandi I frater, quem vegeta florentem
aetate, magnanimitate, magniilcentia, prudontia clarum, auri patris et fratrie splendore fulr
gentem summis prìncipibus gratum saepe vìdimus, adlocnti, admirati sumus, immatura morte
praerepttts Aulam, civitatem, Hetruriam, Hispanias luctu et lachrimis opplevit ». E più
oltre: « ...sed in excolenda gloria cui se uni devovit, non potuit cessare, atque patria re-
lieta excelsum Hispaniaram theatrum adiit, aulam Philippi secundi petiit, ex qua tanquam
ex corde omnes fere moventur spiritus quibus orbis terrarum vitam hauriebat vitalem, re-
gebat atque gubernabat ». È evidente che qui si parla di Piero, figliuolo di Cosimo gran-
duca, che l'orazione ebbe a scriversi nel 1601; che pertanto è opera di Marcello di Giam-
battista Adriani, detto il giovane, e non punto di Marcello Virgilio.
* V. Lettera di M. Virgilio a Oiovan Mainardi, medico ferrarese , in BANDiifi, 1. o. —
V. anche Valbbiano, De liti, infelicitate.
ToMMASiNX - Machiavelli. 8
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06 CAPO PRIMO. . [LiBEO
più facilmente esser preso da Niccolò per un buon sacco di
dottrina che per un amico ; più facilmente frugato che abbrac-
ciato. Nell'orazione ch'esso tenne: De puerperio et obste-
tricio Socratis, s'incontra un passaggio che spiega a. mara-
viglia la condizione che tenne di fronte al Machiavelli nostro;
che veramente ei si fu di coloro che, o per esperienza lunga,
0 per erudizione ricevuta da altri, standosi a fianco di quelli
che sono per dare in luce frutti di virtù e sapienza, giovano
i parti della mente umana, del qual travaglio e studio non è
altro al mondo che più sappia divino. ^ Ed oggi, di questa
assistenza preziosa e forse involontaria, gli ridonda più gloria
assai che del suo Dioscoride tradotto, dell'orazione letta quando
il gran lume platonico del Ficino si spense, e d'ogni altro
onore accademico.
Da lui adunque deve Niccolò probabilmente ripetere di aver
sorbito • quotidianamente non poco succo di coltura classica,
l'ambrosia vera degli studi latini e greci; ^ con lui, discepolo
del Landino, ebbe comune l'ammirazione di Dante, del quale
dovette essere, fin dall'età prima, appassionatissimo. Tuttavia
ci vien meno qualunque fondamento storico per poter con cer-
tezza stabilire il segno della sua prima coltura e il monu-
mento primo della sua vita letteraria o filosofica. Fu chi
suppose che V Allocuzione ad un magistrato, pubblicata la
prima volta dal Poggiali, ^ per parere piuttosto un esercizio ret-
torico che altro, fosse a riguardare come de' primi componi-
menti della giovinezza di Niccolò. E l'Artaud sopra tutti sbiz-
zarri in commenti intorno a questa allocuzione, e dove rilevò
acutezza d'osservazioni, prime rivelazioni d'un genio potente,
dove audacia di motteggi, troppa audacia per un ragazzo; dove
un preludio della gaiezza del Machiavelli novellatore, dove
^ « Qai aut longa remm exporìentia aut eruditione ab aliis accepta parturientibns vir-
tatem et sapientiam adsint et puerperium mentis humanae adiuvent : quo labore atudioqae
Dihil est in hamanis diviniùs >. Marc. Virgilio : Oratio de puerperio et obatetricio So-
cratis. Ms. Laorensiano citato. Questa orazione fu tenuta da messer Marcello nel decimo-
settimo anno del ano insegnamento. Ora, poiché Filippo Giunta nella dedicatoria che fa
all'Adriani del MutarcOt edito da lui nel 1517, lo dice « professore d'eloquenza in Firenxe
da ben venti anni, > segue che l'orazione citata debba ascriversi all'anno 1514, e che circa
il 1497 sia a credere che messer Marcello cominciasse a leggere nello studio fiorentino.
* La questione se il Machiavelli sapesse o non sapesse di greco, tòma vano agitarla
qui. Positivamente Niccolò conosceva della lingua greca l'alfabeto, avendo per lettere
greche distinto i segni jde' battaglioni nel manoscritto autografo dell'Arto della guerra^ nel
dorso d'una tavola del quale si trovano anche distinte le lettere greche secondo la loro
qualità grammaticale. Ma questa notizia è poco conforto a chi volesse farlo passare a dirit-
tura per un ellenista.
» Nell'ediz. dell'opere del M. Filadelfia, 1797, voi. vi, pag. 377-3S0. Come opera giova-
nile di Niccolò fu data nella prof, all'ediz. fior, del 1826.
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o] PRIMI SCRITTI DI NICCOLO, «►
ripetizioni e negligenze di stile. Ora, il manoscritto autografo
di questa allocuzione, che, insieme co' preziosi frammenti del-
l'Arte della guerra, è nella sezione magliabecchiana della
Biblioteca Nazionale di Firenze, ^ ci pone in condizione certa
di rimandare ad altra età della rita di Niccolò siflTatto com-
ponimento; che del resto, anche per congetture ragionevoli,
non si potrebbe attribuir mai all'età prima di lui. Infatti, a
chi il considera, non può non parere come sia una mente ma-
tura che, rivolgendosi a esortare persone autorevoli, si fa mo-
desta per proposito; una mente che sa già come le repubbliche
e i regni crescono e si disfanno, quali sono le qifalità deside-
rabili a mantenere gli Stati; cpme uno sprazzo d'ironia pud
a volte rendersi anche accettabile a chi lo sopporta; tutte cose
che sono da più che da molto giovani. Ma oltracciò chi à
pratica della scrittura del Machiavelli e sa come la può distin-
guersi, per gradate modificazioni, in due periodi; l'un dei quali
termina fra il 1500 e il 1501, che può chiamarsi l'anno di
transizione; e l'altro che va da questo insino agli ultimi anni di
sua vita, non esita ad ascrivere cotesta scrittura di Niccolò al se-
condo periodo. Probabilmente egli la scrisse quando era in uffi-
cio di cancelliere, ed altri forse la recitò ; che l'orazione solita
tenersi a' nuovi priori, in ringhiera o sotto la loggia, la recitava
il potestà, 0, in sua vece, alcuno de' collaterali o giudici, o il
capitano del popolo. * Inoltre la consuetudine determinava anche
in certo modo la forma di cotesto orazioni ; e le dovevano re-
care certo corredo di citazioni e di gravi sentenze d'antichi
filosofi e dottori. Un ellenista, a proposito della giustizia che
se ne va dalla terra, non avrebbe pretermessa un'acconcia ci-
1 Bibl. Naz., sex. Magliab., banco A 5, p. I, n. 14.
Diamo le segnenti notizie delle correzioni chp occorrono nell* autografo, come quelle che
non ci parvero inutili per la questione cronologica :
Ediz. « e benché Vinesperienza mi sia
grande ».
Ediz. :
« Non posso nondimanco fare che io non
abbia a dispiacere di essere ridotto a parlare
di quelle cose che io non ho notizia, nò veggo
altro rimedio a sodisfare a me e a voi che es-
sere brevissimo, acciocché nel parlar poco
faccia meno errori e manco v* infastidisca. »
Àut. corretto da ignoranza.
Aut. corretto da «
chMo non mi dolga della sorte, la quale mi
ha condotto in termine che mi bisognava o
non ubbidendo incorrere nella disgrazia dei
miei signori, o ubbidendo con poca satisfa-
zione mia e vostra di quelle cose che io non
ho alcuna notizia ragionare. »
* Tommaso Fobti, Foro fiorentino, ovvero degli uffizi e magi$trati della città di Fi-
renze. Ms. Ottobon. 27S1, nella bibl. Vaticana : « Oli sermoni che da decti ufflziali eran fatt
tendevano in lode de'signori priori, corroborati colla sacra scrittura, sentenze di santi dot-
tori, con punti legali ». — V. a proposito dell'opera del Forti quel che scrive il Morenx,
Bibliografia storica della Toscana, t. 1, pag. 390.
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100 CAPO PRIMO. [l
tazione d'Esiodo. ^ Niccolò allude a un'immagine di Virgilio;
reca in mezzo i versi « aurei e divini di Dante nostro », re-
lativi alla leggenda di Traiano
il cui valore
MosM Oregorio alla sua gran vittoria
e dalla grande venerazione, che in quest'incontro dimostra
per TAlighieri, ci dà argomento a discredere ch'egli mai scri-
vesse quell'irriverente discorso intorno alla lingua da pedan-
tuccio uggioso, che con insufficienti ragioni gli si volle attribuire.
L'altro scritto, che da alcuni si vorrebbe recare all'età giovanile
di Niccolò, sarebbe un frammento di traduzione AqW Historia
persecutionis vandalicae ài Vittore Vitense.* Ma ragioni intrin-
seche che persuadano questa opinione non vi sono, e le estrin-
seche stanno contro; che precisamente l'osservazione paleo-
grafica induce a collocare anche questa fra le scritture del
secondo periodo. Inoltre il contesto medesimo della traduzione
mostra più negligenza che incertezza ed inesperienza, che sa-
rebbero mende caratteristiche e tollerabili dell'età prima. L'Ar-
taud, 3 a proposito della lettera ad un prelato romano sul pos-
sesso del patronato della pieve di Fagna, che Niccolò reclamava
contro a' Pazzi in nome di tutta la Maclamllorum familia,
tratto in errore dall'aver condotto i suoi studi non su ma-
noscritti, ma sopra una cattiva edizione, legge un habet per
un habeat, e ne conclude che la piccola scorrezione dimostra
come a questo tempo per Niccolò rimaneva ancora qualche
progresso a fare in grammatica. Altri invece, come lo Zeller
e il Dantier^ lo danno già per consumato filologo ed uma-
> Esiodo, Ep^a xal r.as'pai, 222-227. — Viboilio. Georg. ^ lib. ii, 473-4.
* Fu pubblicata dal Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, doc. in, p. 531-53S.
Avevala già*data in luce il Palermo nel suo opuscolo Niccolò Machiavelli e il suo cento'
nariOt con una sua versione non mai pubblicala. Firenze, 1869, tip. Bencini. Si trova
autografa fra lo carte del Machiavelli, busta 1, n. 73.
s Abtaud, op. cit., cap: ii, p. 30 e seguenti. Che la lettera del Machiavelli, scrìtta
a nome della sua casata intera, fosse diretta al « cardinale perusino » Giovanni Lopez, provò
già il NiTTi [Machiavelli nella vita e nelle dottrine y 1. 1, pag. 39} con documenti tratti dal-
TArchivio di Stato di Firenze. In questa lettera, in cui Niccolò difende contro le pretensioni
de' Pazzi il diritto di patronato spettante alla sua famiglia nella pieve di Fagna, si fa men-
zione d'un *messer Francesco R vostro famigliare ».(V. Doc. M., busta i, n. 57, Bibl. Naz.
fiorentina). Ora, non è improbabile che questo reverendo messer Francesco fosse un con-
giunto di Niccolò, da poi che nei registri di camera di papa Niccolò V, all'anno 1450 occor-
rono stanziamenti di « due. XXVpaghati a Francesco Malchiavelli scripiore » (Archivio
di Stato in Roma, registri di camera, anno cit.) Questi fu figliuolo a Filippo Machiavelli,
morto a Perugia nel 1466, e fratello ad Alessandro donde nacque quel Niccolò che fu cu-
gino e contemporaneo al nostro. Come i Pazzi, anche dopo la cacciata de' Medici, segui-
tassero a molestare i Machiavelli pel possesso della pieve di Fagna, v. Estratti di lettere,
Bibl. Naz., Doc. M., busta vi, n. 72, e. Ì5 e 16, M. Opp. ed ult. v. 2, pag. 186.
« Zeller, Italie et Renaissance. Paris, 1869, a. 1492. — Dantibb^ L'ItaUa. Études
historiques.
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PRIMI STUDI. 101
nista; ma, come dicemmo, non pure mancano argomenti a con-
validare queste affermazioni, ma ne fanno difetto anche quelli
che occorrerebbero a constatare i gradati procedimenti del-
l'educazione sua.
Solo una congettura non ci parve improbabile, ed è questa :
Quando Niccolò è sugli ultimi della vita, scrive amorosa-
mente da Imola al suo caro figliuolo Guido : « Dura fatica a
imparare le lettere e la musica, che vedi quanto onore fa a
me un poco di virtù che io ò ».i E Guido, di rimando: « Co-
mincierò questa pasqua, quando Baccia fia guarita, a sonare
e cantare, e fare contrapuìito a tre ». * Le lettere e la mu-
sica dovettero pertanto essere probabilmente studio simultaneo
anche della giovinezza di Niccolò; che se in quelle non sap-
piamo certo ove giungesse, di questa egli dovette conoscersi,
e perchè la tradizione aneddotica cel racconta, e per poter
lui vantare la virtù sua al figliuolo. Ed è a credere ch'ei
fosse cantore non solo a liuto, ma a libro,^ Probabilmente
le musiche de' suoi canti carnascialeschi, degl'intermezzi delle
sue commedie, delle sue serenate bastò a trovar di per se.
Chi l'ammaestrasse non sappiamo; ma più tardi, quando egli
è mandato in Germania all'imperatore, nel soffermarsi che
fa a Costanza una mezza giornata, va a parlare* «con Arrigo
compositore, che à donna costi ».^ Quest'Arrigo compositore è
quel che gì' Italiani chiamavano Arrigo Tedesco, Enrico Isaac,
fiammingo, il quale visse in Firenze onoratissimo a' tempi di
Lorenzo de' Medici, e condusse le melodie pe' canti carnascia-
leschi e per alcune canzoni di lui, e gli compose ancora le
musiche per la rappresentazione di San Giovanni e Paolo. ^
1 Leu. fam. lxxxi, ed. Parenti, 1843.
s Bibl. Naz, doc. M, ^asta v, n. 21.'
* Il KiBSBWBTTER, Schicksole und Beschafenheit des weltlichen Gesange» vom fruhen
MUtelaUer bis su der Erfindung. des drammatischen Sti/leSf Lipsia, 1841, assevera con una
sicurezza di cui non appaiono gli argomenti, che fra i cantori a liuto e a libro era in Italia
a quei tempi una separazione costante: « beide Classen waren g&nzlich von einander ges-
chieden, und es schien unmòglich dass die gelehrten Musiker jemals zur Melodie sich herab-
lassen, oder dieselbe zu sich erheben, und in derselben wohl gar einen vesentlichen
Theil der Musik erkennen wUrden ». — Nel caso nostro il Machiavelli apparisce istrutto
nel contrapunto ; e la tradizione, come vedremo più oltre, ce lo rappresenta ancora cantore
a liuto.
* Machiavelli, Legazione all'Imperatore, lett. ii.
* PiBTRo ÀABON, Libri tres de InstUtHione harmonica interprete Io. Antonio Fla-
minio, Foro Cornelite. Bononiae, 1516, lib. ni, ex. — Ambros, Geschichte der Mudk,
ì. m. p. 330 e seg., Breslavia, 1863. L' Ambros afferma che il manoscritto della musica
per la rappresentazione di S. Oiovanni e Paolo, opera dell* Isaac, si trova all'Università
di Oxford. Noi facemmo ricerca quanto potemmo di questo prezioso Codice, del quale nò
la cortese sollecitudine del signor Macrat, né deirOusBLT né del Verb Bayne riuscirono
a scavar notizia.
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102 CAPO PRIMO. Lldbo pbimo]
E non solo come maestro di cappella in San Giovanni e isti-
tutore de' figliuoli di Lorenzo, ma anche come commissario del-
l'imperatore Massimiliano, pel quale incarico se gli corrispon-
devano centocinquanta fiorini all'anno, questi godette in Fi-
renze grande autorità e reputazione. ^ È probabile che Niccolò,
che non aveva espresso incarico in quella commissione d'ab-
boccarsi con l'Isaac, lo rivedesse o come antico amico e mae-
stro, o come uomo ben accetto nell'aula imperiale. Del resto,
anche prescindendo dall'Isaac, se si raccapezza la tradizione
che la Bartolomea Nelli, madre di Niccolò, componeva laudi
spirituali, la musica, non come una delle discipline del trivio
0 del quadrivio, ma come virtù ci parrà già ben domestica
nelle case de' Machiavelli. Poiché a quel tempo non s'inten-
deva lirica senza canto, come bene osserva il Kiesewetter; e
il Boiardo alla corte degli Este cantava il suo Orlando in-
namorato, e il Pulci, a' conviti di Lorenzo de' Medici, il suo
Morganie maggiore « secondo la maniera degli antichi rapsodi » ;
e il Poliziano e il Ficino a quel cantare partecipavano.
Frattanto noi siam giunti presso al ventesimoterzo anno
della vita di Niccolò, accennando agli avvenimenti esteriori
che poterono Commuovergli l'animo, alle condizioni morali che
concorsero a formagli l' indole, alla qualità dell' istituzione sua.
Dotato d'un intelletto che gli correva facile alla comparazione,
ragguagliava l'educazione ideale nella quale era stato cresciuto
e la tristizia delle pratiche umane, che gli era parsa all' in-
torno; d'onde gli nasceva un'inclinazione dell'animo all'ironia,^
di cui ebbe poi nella vita a mostrarsi maestro; ragguagliava
le età antiche e i suoi propri tempi, e questi non scindeva,
come per un abisso incolmabile, da quelle; ma il culto dell'an-
tichità classica disposava coU'ammirazione dell'elemento vol-
gare e italico; non perdeva di vista la vita per iscrutare un
codice; leggeva Tito Livio e guatava Firenze, e forse quando
nello storico padovano incontrava detto di Manlio Capitolino :
« vir fUsi in libera cimiate nattis esset memorabilis », pen-
sava che di Lorenzo de' Medici, del Magnifico, ch'egli aveva
visto morto, si poteva forse dire altrettanto.
^Ambbos, Geachichte der Musik, 1. e.
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Capo Secondo
DOPO LA MORTE DEL MAjGNIFICO
ESTRATTI DI LETTERE AI DIECI DI BALÌA — CANTI CARNASCIALESCHI
1 MEDICI FUORI DI FIRENZE — I FRANCESI IN ITALIA.
Des FlorantlnB m'esbaya
Et de leur ftouvernement;
Jusqu'ycy la fleur de Uh
Ont servy réveremment.
A8teure-cy vrayement
Servent de bel parler cault;
Maintenant le sena leur fault.
iProphéeìc du Roy Citarle» Vili, par maitre
GOILLOCOB BoUROBLOia.)
> quelli tempi, i quali, per la morte del
magnifico Lorenzo de* Medici, feciono mutare
forma all'Italia •
(Machiavblli, Dedicatoria delle Storie).
Fin qui, interpretando gli accenni che il Machiavelli fece
nell'opere della sua mente adulta, ci prorammo congetturare
le modificazioni che neir indole sua natia poterono indursi dalle
condizioni civili e dalle interne vicende di Firenze. Vedemmoi
in una parola, di quali determinazioni V istituzione sua prima
ebbe ad esser passiva. Ora ci tocca misurare la portata di
quei medesimi fatti, il valore di quelle medesime condizioni
air infuori di Firenze e d'Italia. Se gl'Italiani per via de' loro
commerci s' erano fatti ricchi, ciò non era stato senza invidia.
« E al presente che con persona non anno guerra, (scrive
de' Francesi il Casa a Piero de' Medici) pensono e ragionono
0 sopra drappi di seta che vengono di Italia in questo Reame,
0 sopra il gran danaio che esce di questo paese per Roma, o
sopra i cambi de' Fiorentiai. » ^ Se la casa de' Medici nella
città avea grandeggiato, non tanto lo doveva alle arti sottili
con cui si avea procacciato il primato e il governo del po-
polo, quanto a un sistema d'amistanze efficaci che l'aveva in-
teressata co' potenti prossimi e fatta a' concittadini invincibile.
Già fin dai tempi di Cosimo gli stretti vincoli cogli Sforza di
Milano e co' Reali di Francia per tenere in iscacco i Vene-
ziani, il papa e i re di Napoli, erano stati il fondamento della
^ Dbsjardins, Négoeiationa éUplomaHqu^s de la France avec la Totcan: Francesco
deUa Cas* à Pierre de Médicis, pag. 249.
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10^ CAPO SECONDO. [libbo
prepotenza medicea; ogni allontanamento da questo sistema or-
dinato per mire comuni, aveva segniate un pericolo per la lord
famiglia e per la città. La stessa congiura de' Pazzi era stata
condotta per isconcertare quell'alleanze : ^ il rompersi di quel-
la accordo dovea recare in Italia la caduta degli Sforzeschi e
dei Medici, il dilagare dell' invasione francese. A questo punto
non è inutile ricercare le prime note che fra i pubblici av-
venimenti segna il giudizio di Niccolò già vicino a dar frutto,
la parte ch'egli incomincia a rappresentare nella città faziosa,
che sarà il suo ambiente politico.
Già nuove persone e nuove fortune sorgono e cozzano sotto
gli sguardi di lui ; né egli s'aspetta a giudicarle che la piccola
orbita della vita sua s' abbia a intersecare con quelle. Pur tut-
tavia le osserva con acutezza ; e il sentimento de' tempi in che
vive gli s'impronta così forte nell'animo, che egli à modo di ri-
velarcelo ancor vergine e fresco negli Estratti di lettere ai
Dieci di balia, fatti per comporre le Istorie.
Che degli Estratti di lui, che s' incominciano post mortem
Cosimi e vanno per insino al dicembre dell'anno 1503, è du-
plice l'indole; quantunque gli editori fin qui li pubblicassero
senza scevrare molto logicamente gli uni dagli altri. Dap-
poiché alcuni sono opera comune del Machiavelli, di Biagio Bo-
nacce rsi, d'Agostino di Terranova; e, quantunque anche questi,
paiano compilati sotto la direzione di Niccolò, dell'umore del
quale alcuna volta trapela qualche sentore; tuttavia essi non
sono che il sommario prammatico dei documenti da' quali tras-
sero orìgine; la notizia delle lettere che furono lette nelle
adunanze de' Dieci o nelle pratiche, il registro di quelle che
vennero scritte per ordine de' Dieci o de' Signori ; sono cioè
un pretto e puro lavoro degli ufficiali della cancelleria. Ma
ve n'ha d'altra natura;^ ve n'à di quelli in cui di leggieri
s' avvisa come al transunto secco e forte de' documenti s'ag-
1 Cf. Négoeiations diplomaUqtie» de la France avec la Toscane, documents recueUlis
par G. Canestbini et ptibliés par A. Dbsjabdinb, Paris 1859, pag. 169 e segg. Kbbvtn de
Lettsnhovb, Lettre» et négodations de Philippe de Commynes. Bruxelles 1867-74. Busbb Die
Beziehungen der Mediceer.tu Frankreich wahrend der laìire 1434-1494, Lipsia 1879.
pag. 108.
* Non sappiamo perchò nelPedizione Passerini-Milanesi riproducendoli (M. Opp., v. ii,
pag. 189-156) gli editori siansi appellati alPedisione fiorentina del 1843, quando quelli com->
parvero prima nelPed igiene fiorentina del Cambiagi, 1788, pag. 50-80). Suirautenticità e
qualità d'essi estratti v. Morbmi, BibUogr. tioricfHragionata della Toscana, X. ii, pag. 3.
— (>iuLiAHo DB* Ricci ne copiò nel suo codice con buon discernimento, registrando quelli
che furono condotti per la composizione delle Istorie (cf. Apografo^ pag. 364 segg.) e la-
sciando gli altri che furono pretto lavoro cancelleresco. I moderni editori, seguitando solo
l'ordine cronologico, pregiudicarono l'ordine logico.
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PRIMO J GLI ESTRATTI DI LETTERE, lOB
giunge la reminiscenza personale, il potente colore che non
s'attinge alle lettere, ma vien dalla mente e dalla memoria;
sì ' cli*ei si vede chiaro che non è già uno specchio indifferente
che riflette gli uomini e gli avvenimenti, ma un occhio vivo
che guarda e giudica e dà rilievo secondo che 1* intelletto ap-
prende e discerne. E questi estratti appunto son quelli che
Giuliano de* Ricci registrò nel suo apografo, quasi fosse sola
o migliore testimonianza del pensiero del Machiavelli in mezzo
agli avvenimenti cui accenna. E le note di Giuliano e quelle
del compilatore dell'apografo barberiniano ci avvertono,, come
questi li trovassero notati in quadernucci, e come quelli an-
dassero per insino all'anno 1515, cioè oltre al tempo che Nic-
colò rimase in cancelleria. Da ciò, e dal trovarsi negli apografi
frammischiati a' distesi o frammenti storici, apparisce chiaro
che quei sunti furon l'opera non del segretario, ma dell' iste-
rico, e che furon lavoro preparatorio al proseguimento delle
istorie fiorentine; del quale i frammenti e le nature d' uo-
mini fiorentini, preparati per essere inserti a luoghi acconci,
ci sono saggio e reliquia.
Pertanto la duplice qualità degli Estratti che si pubbli-
cano tra le opere del Machiavelli ne pare manifestissima; e
risulta non tanto dalla diversità del fine cui furon diretti,
quanto dalla differenza originale del pensiero che li condusse.
Infatti negli uni non si registra fatto, per particolare e mi-
nuto che sia, che non risulti da documento di cancelleria o da
relazione d' ufficiale pubblico ; negli altri la personale infor-
mazione di Niccolò s' incontra spessissimo, ed è morale commento
de' tempi.
— « In Firenze il popolo chiamava i Franzesi, et quelli
che governavano non li volevano. — Non si trovava in Firenze
chi prestasse un soldo ; fra Girolamo faceva fare digiuni, pro-
cessioni, limosine et gridava che si perdonasse; pure fu im-
piccato addi 12 di decembre Antonio di Bernardo di Miniato. » —
Ora, a questa ultima parte epigrammatica della mente di
Niccolò con cui egli accompagna gli avvenimenti pubblici, ci
pare non inopportuno di dare qualche rilievo ; sembrandoci con-
veniente, quando ancora non ci è concesso veder lui nell'anione,
e quando ci è pur forza tener proposito de' casi generali di
Firenze e d' Italia, che per que' motti, come per isprazzi di luce,
ne venga rischiarata la condizione soggettiva del pensiero di
lui. Pertanto co' suoi Estratti e frammerUi il Machiavelli potrà,
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I
100 CAPO SECONDO. [t
sotto un certo punto di vista, servirci di fonte storica; e contem-
poraneamente dal^ ragguaglio dell'altre fonti storiche ci verrà
commentato e dichiarato.
In Italia del resto, dopo la morte del Magnifico, si stava
in paurosa attesa di calamità. Predicatori, astrologi, uomini di
lettere e di filosofia concorrevano ne' timori de* popoli. Non
cadeva fulmine che non s'avesse più per mal presagio, che per
disgrazia; ^ morto Lorenzo s'era spezzata la bilancia d'Italia;
il naufragio alla navicella di Pietro, lo scompiglio alla pace
dei pQpoIi era minacciato dal mancare di papa Innocenzo ottavo;
spenti il Poliziano, il Barbaro, il Menila pareva s'avesse ad
estinguer la face del bel vivere umano e della buona coltura.
E in tutto questo non era tanto rettorìca, quanto paura vera.
Fraticelli gridavano dal pergamo come energumeni; tanto che
la pleiade loro riusciva quasi ad affogare la singolarità del Sa-
vonarola. Firenze, Venezia, Roma ebbero i loro frati agita-
tori, i quali contemplando imperturbati una società che non
reggeva, se non perchè non era chi le desse crollo, non aveano
bisogno né di molta virtù né di molto acume per andar gri-
dando fra la gente che la vita civile mancava dalle fondamenta,
e che i flagelli sarebbero venuti. Che quando entrarono ne' par-
ticolari de' flagelli, quando vollero mostrar di sapere per filo e
per segno gli avvenimenti futuri, risicarono profezie e visioni
che, 0 non fu chi s'accorse mai che s'avverassero, o ci vollero
secoli a compierle.* « E vi dico, o Romani, cosi secondo l'Infes-
sura, poco prima (1491) avea sclamato al popolo un uomo di
> Machiavelli, Estratti (1492) « Ammalò Lorenzo.... i predicatori minacciavano. Cascò
addi 5 d'aprile la saetta in su la terrazza della cupola >. E Dbmbtrio Calcokdila, a Mar-
cello Virgilio, a* di quattro di maggio, scriveva : « nam et ictus fulminis, tam horrendus in
Templum civitatis praecipuum et cum tanta mina, staporem ingentem injecit, ac magnam
quid portendere visum est, et mors magnifici Laurentii viri hac nostra tempestate ciarla-
simi et in omni re elegantissimi, non mediocrem mihi dolorem adtulit ». V. Ang. Maria
Bamdini, Colleetio vet. aliquot. monum, etc., Arretii, mdcclii, pag. 22 e segg. — V. anche
Pabbnti, Storie (mss. Bibl. Nazionale), novembre 1494. « Cosi in brevissimo tempo tre sin-
gulari uomini mancomo, Ermolao Barbaro, Angelo Poliziano e Gio. Pico della Mirandola;
un quarto si aggiungeva, Giorgio Menila, uomo negli studi d'umanità degnissimo, il quale
a Milano sua vita terminò, per la qualcosa coniettura si fece che all'Italia gravissimi
mali soprastavano, da che tanto singolari uomini, et di si prestante ingegno in al breve
tempo tutti mancati erano ».
* Annali del Malipibro, pag. 372 (Archivio storico ital., serie i, t. vn, p. i). La prò-
fegia che correva tra U popolo, fatta da più di trenta anni.
« Gf^lomm levitas Germanos justificabit....
Papa cito montar: Caesar regnabit ubique
Sub quo tnnc vana cessabit gloria cleri ».
V. Id. ibid., pag. 317. Visto qiMm vidi ego servulus Christi, fìrater JnnoeenHu* or-
éinis praedicatorum, teribenda Angeli jussu. iNFBtsuRA, in Bccaed, t. n, 19».
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no] DOPO LA MORTB DSL MAGNIFICO. 107
vile nazione, che in abito di mendicante, con una piccola croce
di legno nelle mani, sorgeva a predicare per le piazze; « e vi
dico, o Romani, che in questo anno piangerete assai, e vi piom-
berà sopra la tribolazione, per 1* uccisioni e il sangue, perchè
molti morranno di voi in quest'anno..., i cittadini potenti occul-
teranno il fromento ; i poveri e le famiglie insorgeranno, e fa-
ranno impeto contro di voi e sarà gran guai. E nell'anno se-
guente le tribolazioni si stenderanno suir Italia ; e in esso Fi-
renze e Milano e tutte le altre città perderanno la libertà e
andranno sotto l'altrui dominio; i Veneti saranno spogliati di
quanto posseggono entro terra ; e nell'anno terzo, il sacerdote
si troverà senza dominio temporale, e. allora sarà angelico il
pastore che avrà cura solo della vita dell'anima e delle cose
spirituali ». — Dalla qual profezia, per prima cosa risulta, come
ignorantissimo fosse il profeta della condizione delle città ita-
liane, a quel tempo in cui la perdita della libertà per Milano
e per Firenze non poteva esser più una minaccia; quanto poi
ci volle perchè i fatti di quel terzo anno si avverassero, gì' Ita-
liani lo sanno, e lo sanno appena.
A Firenze frattanto, morto il Magnifico, fu un concorrere
d'oratori d'ogni nazione e d'ogni corte, a condolersi della per-
dita di tanto uomo e raccomandar Piero figliuolo di lui, < an-
chora che fussi superfluo perchè le opere o li meriti della fe-
lice memoria del padre et le optime parti che^si conoscono in
lui porgevano certa speranza che la città per lui sarebbe in
grandissima parte reintegrata della iactura et perdita facta. » ^
— Così scrivevano gli Otto di pratica a Pierfilippo Pandolfini,
che allora trovavasi a Roma ambasciadore presso il papa. Ma
gli storici non portarono egual giudizio di lui.
Il Guicciardini, * il Nerli, il Nardi e l'Ammirato ce lo di-
pinsero assai disdegnoso e facile all'ira, inclinato ai piaceri e
alle donne; neghittoso nelle cose di Stato, per abbandonarsi
agli esercizi del corpo, a' giuochi della palla, del pugno e del
calcio, ne' quali giungeva a pretenziosa eccellenza ; inclinato a
comporre versi italiani all' improvviso, e a gareggiare poetando,
cosi che, quantunque intollerante d'ogni celia che potesse pa-
rergli una punzecchiatura, era facile inghiottire, talvolta, anche
una villania scagliatagli contro in talune di siffatte gare di
^ Otto di pratica. Carteggio retpofuive. A Pierfilippo Pandolfini, tzii, c. SOS.
> OuicciABDiici, Storia d'Italia, 1 — Nardi, làtorie di Firenze, i, Idbm, Vita di Antonio
Giaeomini — Nbbli, Commentari, lib. 3, pag. 58 — Ammibato, St. di Firenze, lib. xxti.
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lOS VAPO SECONDO. [l
rime. Lorenzo e Giovanni figliuoli di Pier Francesco Medici,
aspreggiò, e la cagione non è ben .nota. Via chi rattribul a
dispetto della popolarità che questi due fratelli aflFettavano; chi
a gelosia per accordi eh' essi tenevano col re di Francia; chi
a stizza per rivalità d'amori. Fatto sta ch'egli disconobbe le
necessità politiche che ereditava dal padre, staccandosi dagli
Sforza e da Francia ; disconobbe le utilità che Lorenzo avea
preparate a suo sostegno, maltrattando suo fratello Giovanni;
il quale era costretto a esortarlo : ^ facciamo per l'amore d' iddio
che noi ci diamo riputatione l'uno all'altro; facciamo che paia
che tu babbi uno cardinale a tuo modo ed a'tui propositi, et
io te con cotesto stato a' miei. — Quando io babbi a fare
a tuo modo in ogni cosa et tu non a mio in nessuna, la cosa
non ne potrà star bene. Forse che tu dirai: quando io fussi in
discordia teco, che ne sarebbe per noi? rispondo : non altro se
non una tua infamia, perchè quando si vedrà la causa di tal
discordia essere tutta da te, ancora la colpa sarà tutta tua. » ^ —
Frattanto i tempi che seguitavano procellosi e gonfi, lo travolsero
giovane nella loro ruina, e a noi non è dato indagare se altri,
meglio ch'esso non fece, avrebbe potuto *a questi resistere. ^
L'orizzonte che erasi di già conturbato al mancar di Lo-
renzo, ora accennava a vieppiù intorbidarsi, che la salute di
papa Innocenzo destava gravi timori. 11 papa inoltre avea
fatto ultimamente investitura del reame di Napoli nel duca di
Calabria e principe di Capua, ch'era venuto a supplicarlo in
Roma; e quando i cardinali ebbero firmato in concistoro la
bolla d'investitura, gli oratori francesi, in ijome del loro Cri-
stianissimo re, sursero in mezzo a levar proteste, non inten-
dendo, che per quell'atto, si avesse a pregiudicare alle ragioni
che questi accampava su quel regno, retaggio degli Angioini.
Ma il papa ben presto roso da' suoi malori, ne venne
presso che in fin di vita ; non fu ristoro di vigoria che non si
tentasse per sostenerlo. L' Infessura conta, che un ebreo, ch'e-
ragli medico, tentò puranco trasfondergli nelle vene il sangue
di tre giovanetti, che nella vana operazione spirarono: eran
> Archivio fiorentino f Med. f. 14, e. 296, a' di 21 d'agosto 1402. — Busbr; op. cU.
pag. 533 e seguenti.
* Il Machiavelli lo stritola con un periodo : « Piero mpoM sue favole, et ch4 volwa
stare cU mexzo et essere intatto da tanti mali che si apparecchiavano». Cf. Diateto della
passata di Carlo VlIIy ne' frammenti storici (Cod. Giulian de' Ricci, pag. 303-305. Cod.
Barb., pag. 183 e segg.) In tutti e due i Codici la narrazione autentica va sino alle parole:
« a Firenze andava sottosopra ogni cosa ». Dopo queste è notato da Giulian de* Ricci:
« Quel che segue non ò del Machiavello ».
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PWMO] CONCLAVE ly ALESSANDRO SESTO, 1(»
costati un ducato ciascuno. Tuttavia, di questi particolari non
ci offre notizia il Valori nelle sue lettere agli Otto in cui
racconta, che il papa di poco altro nutricasi che di latte di
donna. Addi 17 di luglio e' scriveva: « hoggi tutti i cardinali
sono stati a palazzo et hanno portato il ferro della lancia
ch'era nello studio dello papa in San Pietro: vicitorno lor si-
gnorie prima il papa, a' quali sua santità usò molto tenere et
buone parole in raccomandare la chiesa et chi rimaneva di lui :
Appresso notificò al Collegio come si trovava 48 mila ducati,
de* quali domandò di gratia li fusse licito distribuirlo ne* suoi;
il Collegio lo consentì molto liberamente, et cosi ha distri-
buito e* predetti danari nel signor Francesco, figliuoli di ma-
donna Teodorina et altri suoi nepoti et parenti, et una buona
somma deputati per la sepoltura sua ». ^ Morto il papa, si adunò
tosto il conclave: competitori e non pochi, e forti ciascuno di
singolare e diverso appoggio, armeggiavano fra i cardinali per
essere eletti: Ascanio il fratello di Ludovico Sforza che reg-
geva Lombardia, Roderigo Borgia lo scaltro e danaroso vice-
cancellario, Lorenzo Cibo, Raffaello Riario e Giuliano della
Rovere ligure, tenace 'di tempra, amatore del popolo. Vinse
chi coir animo dissimulatore sapeva rassicurare i sospetti, e
coU'oro accaparrarsi le voci venali.
Epigrammi, diari, tradizioni storiche ci attestano che Ro-
derico Borgia mandò le sue mule cariche d*oro alle case di
Ascanio Sforza; * e il Valori afferma: che < Monsignore Ascanio
è stato quello che solo ha facto venire con arte non pichola
il pontificato in costui ». Cosi quegli venne ìcreato papa addi 11
d' agosto, in giórno di sabato e di buon mattino ; ^ prese nome
d'Alessandro; e subito i lodatori con quel nome giocarono, pa-
ragonandolo al Macedone, cui il nuovo papa, a detta loro, an-
dava innanzi, quanto ad un uomo un dio: ille vir, iste deus;
i Archivio fiorentino. Otto dì pratica. Carteggio responsive, viii, pag. 329.
> Cf. M. {Estratti di lettere, cod. Oiulian de* Ricci) « Mori papa Innocenxio addi 84 lu>
glio nel 02. Creossi papa Alessandro sesto, Roderigo Valenziano ex domo Borgia Calisli
nepos; fu fatto per simonia; dette a tutti i cardinali doni, e massime ad Ascanio, euiits
opera fuU pontifeac ». Cominbs, Mémoires, lib. vii, pag. 469 : « le dit Ascaigne en avoit
estè le principal roarchand, qui avoit tout guide et en eut grand argent». — IIBbosch,
Papst Julius II und die Oriindung des Kirchenstaates, cap. in, pag. 50, nota che tutti
i particolari attorno al conclave di Alessandro VI si hanno in questo estratto del Machia-
velli, le cui parole attorno a un solo punto gli sembrano men che esatte. Infatti a Giuliano
della Rovere è da ascrivere l'aver guadagnato al Borgia la voce di Maffeo Oherardi, pa-
triarca di Venezia, cai il Senato veneto appoggiava colla superbia solita di quella repubblica.
è chiaro che VestraUo del Machiavelli si fonda sulla corrispondenza di Filippo Valori.
* Infbssuba, Diario.
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no CAPO SECONDO. [libto
che se maggiore per dignità, non eragli per probità minore; e
poi, a promettersi di lui il maggior bene che si potesse: tor-
nare Tetà d oro, i bei regni di Saturno e la giustizia.
Veramente, un po' di giustizia cominciò a ricondurla.^ Su-
bito che fu creato pontefice, ebbe notizia come dal di della
morte d'Innocenzo alla sua creazione, cioè, in meno di venti
giorni erano accadute più di duecento e venti uccisioni.* Egli
pertanto ordinò visitatori delle prigioni, commissari che ascol-
tassero le querele della città ; ed esso stesso per far ragione,
dava a maschi e femmine ne' martedì udienza pubblica. Né era
impresa agevole fare allora da prìncipe negli stati della chiesa;
ch'essi erano a tale, che un uomo destreggiatore poteva bastare
a governarli ; un uomo che, visto il fine, non indietreggiasse dal
proposito, non rompesse negli ostacoli, non si sgomentasse dei
mezzi: o il principato ecclesiastico moriva o si voleva dargli
nuova vigoria di vita con sangue vivo.
A Roma i papi non erano bene signori: li spaurivano
la fazione orsina o la colonnese. Già quando papa Innocenzo
aveva levate co' ribellati baroni le bandiere contro al re di
Napoli, .ebbe sentito che ceppi alla mano de' pontefici fossero
i vicari delle città della chiesa, pronti ad ogni incitamento,
voltarsi nemici: di guisa che i Baglioni a loro placito, mossi
da' Fiorentini, ribellarono Perugia; e Fuligno, Spoleto, Monte-
falco, Assisi la seguitarono. Co' Baglioni congiuntosi il Gatto,
rivoltavano Viterbo; di città di Castello disponevano i Vitelli;
e i vicari delle città di Romanità reluttavano spesso a pa-
gare il censo di che s'erano alla chiesa obbligati, presti a con-
dursi sempre agli stipendi d' altri principi, senza neppure ec-
cettuare di non esser tenuti a servirgli contro la chiesa, e ri-
cevendo obbligazione da loro di difenderli anche contro 1' auto-
rità e l'armi de' pontefici. ^ Da quei principi essi erano, ricevuti
cupidamente, perchè quelli potessero valersi delle armi e dell'op-
portunità degli stati loro; e per impedire che la potenza de'pon-
tefici troppo non si accrescesse. Come i da Polenta, i Malatesta,
gli OrdelaflS, i Manfredi e i Bentivoglio avean tenute le città
^ Inpessuba, « lustitiam mirabili modo Tacere coepit ». E Fàusto Maddalbno de' Capo
J>i FEKRO, epigrammista dell'Accademia e parassita della Curia, cantò {cod. Vat.^ 3351) :
« Hercule Alexander major; Cacas ùnus ab ilio
Caesus; ab hoc plures fata tulere Caci ».
■ V. BuRCARDo, Diario.
* GuiccuRDiNi, Istoria d'Italia.
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PBiMo] LA FAMIGLIA BORGIA. Ili
romagnole in signoria, e i Veneziani insidiatele. Così, dove i
papi supponevano possessi, trovavano agguati. Schiantare i vi-
cari adunque, tirannelli piccini e grave oppressione alle plebi,
doveva esser opera d' uomo che volesse risuscitare veramente
in quella confusione uno stato. Ma quest'uomo non avrebbe
mai potuto essere un pontefice, che quella spada e quell'arte che
gli faceva mestieri. Cristo non gliele metteva nelle mani. Toc-
cava dunque scegliere fra il parere uomo dappoco e buon papa,
0 l'essere forte e astuto principe, ma tristo pontefice. Di questa
contradizione che il civil principato indusse nella* persona del
supremo sacerdote, già aveva fatto accenno un epigramma del
Poliziano, ^ e Roderigo Borgia, che il pontificato lo avea compro,
non lasciava dubbio qual parte intendeva prescegliere.
Né gli mancavano fidati che l'opera sua con ogni studio cal-
deggiassero e l'aiutassero del volere, del braccio e del senno. Ro-
derigo Borgia aveva sua famiglia; egli da Vanezza Catani * che
eragli da cardinale stata amanza, da tre mariti onestata, avea
ottenuto figliuoli, de' quali, mortogli don Fedro in Ispagna,-'
quand'egli era tuttor cardinale, gli vivevano Cesare, Giovanni,
JufFrè e Lucrezia.'* Cesare, il maggiore, che sì trovava allo
studio della ragion canonica a Pisa, quando udì il padre scelto
a pontefice, subito volò a Roma a presentarglisi. Papa Cibo lo
avea fatto già protonotario, e preconizzatolo vescovo di Pam-
plona; Alessandro lo fece arcivescovo del suo arcivescovado
di Valenza.
Non già che costui, eh' era nato a cingersi la spada,
troppo s' andasse- torcendo alla religione; che egli, ben com-
1 PoLiziiiHO, Opp. sopra Paolo II e Sisto IV. Distico:
'A^X^epcùc à'foS'c; nKÙ>js( irprè, àXXà xaxò; oòi;,
vuv ^'à'yod'b; (baro; q)ci>;, xaxò; à^itpcù;.
* V. Sul nome della Vanoxza, v. Qbbgobovius : Geschichte der Sladt Rom, voi. vii,
in nota, alla pag. 315.
» V. Mariana (26, e. ii).
* Un al^o figlinolo per nome Giovanni, morto Tomonimo che fu duca di Gandia, sembra
nascesse al papa nel 1497 dopo i di 14 del giugno. S'incontrano, che risguardan questo
figliuolo, due bolle di legittimazione, datate di un medesimo giorno, fatte con tutte le so-
lennità cancelleresche, nella prima dello quali il fanciullo è legittimato per nato del duca
Cesare, e quanto al suo difetto degnatali è sentenziato: « Si uUo unquam tempore forsan
dubitari et tibi opponi contingeret te forsan dictum defectum de alio quam duce prefato
pati quem «tiam quocumque modo et quacumque alia persona ecclesiastica vel seculari
etiam cuiuscumque dignitatis et excellentie mundane vel Ecclesiastice etiam supreme,
etiam tali quod de illa spetialis specifica et ex pressa mentio habenda, illaque omnino spe-
ciali nota digna foret, alioquin presentium total iter periret efiectus, illum patiaris vel pati
dici po8ses;.ad omne dubiiìm submovendum ac oavillationes evitandas quietique tue con-
sulendnm eisdem motu scientia auctoritate et potestatis plenitudine haberi yolumus quo
pienissime et sufficienter expresso eam vim, eumdemque vigorem et effectum omnem con-
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118 CAPO SECONDO. [lidbo
presa la sua natura e l'opportunità de' tempi, gettava il pal-
lio per l'armatura, e questa per quello, secondo era duopo;
e posto l'animo, a fecondare colla scaltrezza sua la fortuna
paterna, usci capitano, principe, e quasi che sollevatore d' I-
talia. Alto della persona ed .aitante, ^ tenace d'animo, potente
dello sguardo a persuader benevolenza e dissimulare gl'intenti,
dopo non molto tempo a Roma si proverbiava che il Papa
non faceva mai quello che diceva, e il Valentino non diceva
mai quello che faceva. Dell'ambizione del fratello duca di
Gandia, che dava ombra alla sua, presto fu liberato. Un di
si seppe, che quegli di notte era stato scannato, e travolto poi
nelle acque del Tevere. Alla sorella Lucrezia, Cesare faceva
strangolare il marito duca di Bisceglie, di sangue aragonese,
anche a malgrado del papa.^ Don Juffré, principe di Squil-
lace, sposato giovinetto 'alla figliuola d'Alfonso d'Aragona, se-
condo che la veneta relazione con grande efficacia si esprime,
< gli calzava gli sproni ». Ben tosto, lo, temeva il papa stesso,
quando il sangue di Perotto di Gandes, svenatogli dal duca
sotto il manto pontificale, ove erasi rifugiato, ebbe a chiaz-
zargli il viso. Del resto tale indole era in Cesare, quale si
sequi et sortiri tibique soffragari debere ac si dictiis defectus qaicumque' fuerit et esse
dici posset alius specifice et pienissime expressus fuisset, ipsasque praesentes ad probandum
etiam pienissime defectum predictura quomodocunque et andecumque proveniat ut pre-
fertur in iudicio et extra, ac alias ubilibet etiam pienissime suificere, nec ad id' probationis
alterius adminiculum requiri ». Nell'altra bolla poi è detto : « Cum autem tu defectum pre-
dictum non de prefato duce sed de Nobis et dieta muliere patiaris, quod bono respectu, in
litteris predictis specifico exprimere noluimus, etc. » Ambedue questi documenti proven-
gono dairarchivio di Stato di Modena. (Cf. Orbgobovius, Lucrezia Borgia, tKich Urkundsn
iifid Correipondenxen ihrer eigenen Zeit. Anhang, pag.. 76-85). Du9 altri documenti che si
riferiscono a questo Giovanni de* Bolgia domicellum romanunij e rinvestono delle terree
d^' diritti di Giulio Cesare da Varano (doc. in), e insieme con Roderigo Borgia d'Aragona
duca di Bisceglie, figliuolo alla Lucrezia, in tertio vel circa atatum auarum annis consti'
tutis (doc. Il), del Castel Bassano, della tenuta dì Norma, di Ninfa, di Cisterna, ecc., pub-
blicò il cav. Amadio Ronchim dagli archivi parmensi. Cf. Atti e Memorie delle Deputa-
zioni di storia patria dell' Emilia. Nuova serie, voi. i, Modena, 1877. ~ Dispacti d'An-
tonio Qiusliniani, voi. ii, 91. — Cittadella cav. Luigi Napolbonb: Saggio dÀ albero ge-
nealogico e di memorie sulla famiglia Borgia j Torino, 1872, pag. 46-49.
^ La vita che di lui scrisse il Tommasi (Gregorio Leti), dedicata a Vigorìa della
Rovere, è tutta fiabe. Questi descrive il Valentino deforme del corpo, lo fa minore
d*anni al duca di Gandia, erra nel nome della madre, ecc., mentre le relazioni degli am-
basciadori veneti ce lo danno « bellissimo di corpo, grande, ben fatto e meglio del re For-
randino ». V. Alberi, Relazioni, ecc., serie ii, voi. iii. — Il papa stesso, nella Bolla in
cui concede al figliuol suo il vicariato delle terre di Romagna, cosi ragiona dei meriti di
lui: « Ad personam tuam quamplurimis meritis pollentem singularibus virtutibus ac aliis
multiplicium gratiarum muneribus Altissimus insìgnivit, tuamqne devotionem et pràeclaram
fidem, quam in nos et eandem geris Ecclesiam, grata quoque et accepta servìtta, quae
Nobis et praodictae Ecclesiae hactenus impendisti et continuo sollicitis studiis impendere
non desistis, grandia quoque eVlaudabilia prudentiae tuae merita debitum respectum
habentes, etc. » — Cf. anche Alvisi, Cesare Borgia^ Imola, 1878, pag. 105 e seguenti.
* Circa a\V Estratto del Machiavelli, relativo all' uccisione del duca di Candia, v6di il
giusto commento fattone dall' Alvisi, op. cit., pag. 45.
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primo] canti carnascialeschi. 113
voleva per gli uomini e le cose che gli stavano a fronte : regalis-
simo e prodigo co' venali ; coi nemici aperti, crudele ; co' segreti,
simulatore; forte e magnifico davanti al popolo che l'ammi-
rava ucciditore di tori, cui negli steccati del Vaticano spic-
cava d'un colpo di giannetta la testa. Accanto a Djem, fratello
del Sultano, prigioniero presso il papa, cavalcava in abito tur-
chesco. Capacissimo d'ogni condizione di vita, nella malva-
gità sua era incapace di far male vano; e questo, in mezzo
alla imprudente malizia de' contemporanei, lo faceva non vile.
Ciascuno poi, o che il lodasse o che gli facesse biasimo, con-
veniva in un pensiero: questo duca sarà, se vive, uno dei
primi capitani d'Italia. ^
Ora, contro a tanta potenza si levava un doppio ordine
di nemici: l'uno, di coloro che in buona fede scorgevano tra-
volto in basso l'apostolato, bruttata la dignità del pontefice di
tanta simonia, e sinceramente lamentavano i pericoli «che per
tanta corruzione correvano gli ordini ecclesiastici; l'altro, di
coloro che aveano visto il Borgia salire al faldistoro, cui
essi agognavano; stringere in pugno quella potenza, che essi
avevano ambito ; alzar quello i suoi congiunti, invece che essi
i loro. Inoltre gli Orsini e i Colonna, divisi fin qui di fazione,
di pretensioni e d'interessi, ora un comune pericolo ricon-
giungeva ; che il Borgia non era papa da stare a computare fra
loro, in quali braccia e' s'avesse a gittare; vedevano invece
che si trattava d'essere soffocati tutti fra le braccia di lui.
Ma di questi avversari, quelli che in Alessandro nimicavano
il principe si stringevano in sospetto e guardavansi attorno in
cerca di esterna difesa. Coloro poi che per zelo della chiesa
cristiana avversavano il pastore si poco cristianeggiante, si li-
mitavano co' loro lamenti a chiamare tempi migliori e provvidi
castighi di Dio. Contro a questi terrori ascetici, che minaccia-
vano il diluvio delle molte acque e il coltello aflBlato dell' ira
eterna, e che tuttavia non bastavano a far che la paura pi-
gliasse il posto della virtù, Niccolò Machiavelli in mezzo alle
piacevolezze delle carreggiate carnevalesche, recava un bar-
lume del leggiadro spirito di Lorenzo. Che non dubitiamo ascri-
vere a questa prima epoca della sua vita certi canti di carne-
sciali che sanno della lascivia elegante del Medici, e sem-
brano un po' troppo imitativi della maniera di quello, come
* Reiasione veneta di Paolo Cappello.
Touv A8IKI - Machiavelli. ^
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114 CAPO SECONDO. [lhibo
sarebbe il canto d'uomini che vendono le pine o quel de' ciur-
madori, i quali hanno tante parole trattose, come direbbe» il
Lasca, quanto quel de' calzolai, de' cialdonai, de' berricocolai,
di Lorenzo. Se non che non era Niccolò uomo che in qualsia
ordine di cose e di idee potesse starsi alla imitazione; non era
uomo da non speculare l'utilità possibile e pronta d'ogni fatto;
né gli pareva utilità più bella che la politica o cittadinesca: e
a questa vuol che anche l'esilaramento e la baldoria servano.
^ Quindi è che in seguito il canto carnescialesco di lui si tras-
^ , forma e piglia un' impronta singolare, un carattere spiccatis-
simo da tutti gli altri componimenti dello stesso genere, di cui
Firenze ebbe tanta copia. E non più i venditori della città mer-
cantesca gli daranno pretesto o soggetto alle rappresentazioni
e alle celie ; né sarà il godente de' trivi che si compiace delle
indecenze semicoperte dalla maschera; ^ ma l'uomo che si
fa specchio della condizione morale de' suoi concittadini, scissi,
opposti, litiganti non tanto per la potenza nello stato, quanto
per r influenza del cielo e dell' inferno. Però ei chiamerà dia-
voli 0 spiriti beati a trascorrere giù per le vie di Firenze,
lasciando incerti libertini o piagnoni, non già di quel ch'e' siano,
ma di qual di loro si burlino; sorprendendoli colla perfetta
conoscenza che anno delle faccende del mondo. E tra la prima
maniera di siffatti componimenti e la seconda ^ sta, a nostro
credere, come a segnare uno stadio intermedio il canto d'a-
manti disperati e di dame, nel quale la leggerezza epicurea
si affronta in certo modo coir elemento ascetico, e dal cozzo
d'entrambi, come appunto dall'urto di frateschi e di medicei
^ V. nella Novellaia fiorentina dell* Imbriani, p. 48, le «oc» de* venditori ambulanti
fiorentini, che piene di malizie e di sali originarono forse questa maniera di componimenti.
* Ascriviamo alla seconda maniera il canto degli Spirili beati e quello dei romitìy che
debbonsi pure assegnare agli ultimi anni della vita di Niccolò. Nel primo, infatti, in cui
si dice giusta Pira di Dio
e lo sdegno
Poiché vede il suo regno
Mancaro a poco a poco, e la sua gregge
Se pel nuovo pastor non si corregge,
Tant*è grande la sete
Di guastar quel paese
Che a tutto il mondo die le leggi in pria.
Che voi non v'accorgete
Che le vostre contese
Agi* inimici vostri aprìn la via.
Il signor di Turchia
Aguzza Tarmi, e tutto par che avvampi
Per inondare i vostri dolci campi.
si hanno due chiare allusioni alla recente elezione del cardinal Oiulio de* Medici a pon-
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PBIMO]
CANTI CARNASCIALESCHI.
US
insieme, trae fuori una scintilla d' un ridicolo nuovo ed ini
mitato.
Ma per ora, per questa prima parte della vita di Niccolò
ci preme avvisare com'egli si astenga dal mostrarsi parteggia
tore. « Fu in questi ultimi tempi un gran diluvio d'acqua ini
Lombardia », registra egli ne' suoi estratti, « i predicatori mi-j
nacciavano » — « — i predicatori di nuovo gridavano »,i
ma non è né a quel diluvio d'acque né a queste profezie tristi
d'ascetici ch'egli allude co'suoi canti carnascialeschi. La sua
vita corre modesta e guardinga di non accattare la mala animo-
sità d'alcuno; egli studia i tempi e li vede ingrossare e ag-
grovigliarsi per guisa da attendersene immediati i tramutamenti
preparati da cause si lunghe, presentiti anche dai meno accorti.
tofice (19 novembre 1523) e alle dichiarazioni fatte da lui, terminate le solennità della
incoronazione, di voler concordare ì principi cristiani contro la potenza di Solimano, che
Aveva già occupato Rodi. li'altro canto àe'Romitif venuti giù a Firenze dagli alti gioghi
d*A pennino,
« Imperocché ogni astrologo e indovino
V*han tutti sbigottiti
Che un tempo orrendo e strano
Minaccia ad ogni terra
Peste, diluvio e guerra
Fulgor, tempeste, iremuoti e rovine,
Come se già del mondo fosse il fine.
E voglion soprattutto cho le stelle
Inflnssin con tant* acque
Che '1 mondo tutto quanto si ricopra, »
▼a senza dubbio attribuito al carnevale dell'anno susseguente (1524), e il presente pas-
saggio, tolto al Priorista di Giovanni del Nbro (Bibl. Vat., codice ott. 3099), ne fa prova
e commento. « Nota come parecchi anni sono fu pronunziato per mol^ astrologi de* primi
si trouauano nell'Italia come Panno 1524 avena a essere un grandissimo diluvio d'acqua
per molti pianeti s'accozauano insieme, che tutti mostrauano piove; per modo che alcuno
predicatore de* frati conventuali l'avevano detto in pergamo, e i frati osservanti di San Do-
menico se ne facevano beffe; che procedevano come cristiani e diceuano che, ancora che
tali segni mostrassino gran piove, che l'erano molto stelle et pianeti, che loro non hanno
«cognizione. Ora, entrando nell'anno 1524 dissono detti astrologi che del mese di febbraio 1523
(1524 St. com.) a' di 5, 7 e 9 aueuano ad essere gran diluvi d'acque e venti terribili e tuoni
e saette e tremoti, e, come piacque a Dio, che ogni cosa governa per dimostrarli infedeli
e bugiardi, fu detto mese di febbraio 1524 tanto grazioso e mai non piovve, che io scrit-
tore di 50 anni, che io mi recordo, e per detto di molti altri antichi, non andò mai il più
bel tempo di tal mese ; per modo che a Bologna fu uno di detti astrologi che arse tutti i
suoi libri che trattauano di dette astrologie, veggendosi rimanere tanto svergognato, di
non esser riuscito alla minima parte di quello aviano detto; e fucci de'monaci che pareano
ben regolati che feciono provvedimento di farine e missonle in poggio, stimando che e'mu-
lini avessero a disfarsi, e alsì alcuni saui di questo mondo: molti altri lo credeuano, ma
faceuano come fanno della morte, che confessono avere a morire, ma non fanno poi l'opere
corrispondenti alla morte. Cosi faceuano costoro e lo credeuano, ma non faceuano prov-
vedimenti di vettovaglie, perchè era fede morta ».
1 Estratti di lettere dell'apografo di Giuliano de' Ricci Machiavelli, Opp., ediz. Pas-
serini, Tol. n, pag. 233, 239, 240. Tutti questi appunti storici del Machiavelli non anno il
carattere di scritto propriamente contemporaneo a' fatti che accennano e sembrano piut-
tosto ricordi che estratti.
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116 CAPO SECONDO. [libeo
— « Addi 25 di febbraio ^ (1494) morì il re Ferrando di
Napoli e successe il re Alfonso ch'era suo figliolo ». — Cosi
men che esattamente gli estratti di lettere. Era il regno di
Napoli feudo della chiesa; i papi che l'avevano alle spalle, ben
voleano tenersene sicuri; e per la formola del giuraménto, fche
nella solennità della coronazione imponevano ai re, questi ve-
niano ad accettar condizioni per le quali erano quasi segre-
gati dal resto d'Europa. In quell'estremo lembo d'Italia i papi
non volevano che vassalli. A costoro non doveva importare
né del re de' Romani, né de' signori di Lombardia, né doveano
intromettersi del governo della città di Benevento, né delle
terre della chiesa, ovunque fossero; né di Spoleto, né di Città
di Castello, né di Bologna; né de' beni della chiesa poteano
per qualsivoglia titolo acquistare, né mantenere in quelli po-
desteria 0 capitaneria, o notaria. ^ Essi non erano che ligi dei
pontefici, a raffrenare la prepotenza dei quali a quei re non
restava che un'arma: trar dalla loro la parte orsina o la co-
lonnese, che contendendo signoreggiavano Roma, e potevano,
quando che fosse, colle loro forze stringere il papa e fargli il
trono mal sicuro. Però aveano usato i re di Napoli ad alcuna
di queste fazioni tender sempre buon esca, nella speranza della
quale l'una di esse tenesse sempre dalla parte loro. Ambedue
queste casate avevano i beni su i confini dello stato vicino al
regno : quindi il contado dì Tagliacozzo, eh' era presso a' beni
d'ambedue, fu spessissimo loro proposto a premio, spessissimo
ebbero a litigarlo e strapparselo a vicenda. Morto papa In-
nocenzo Vili, Franceschetto Cibo avea venduto a Virginio
Orsino, ch'era tutto del re di Napoli, le castella d'Anguillara
e di Cervetri, senza che il pontefice ne fosse interpellato; la
qual cosa cagionò che Alessandro entrato in sospetto del re,
cercasse maniera, col precipizio di lui, d'assicurarsene. Fer-
rando vide il pericolo, e, con quanto studio potè, s'affrettò ri-
conciliarsi il pontefice, persuadendo a Virginio che venisse a
patti. Dopo lunghe indugie si concluse accordo tra il papa e
la casa Orsina ; ma Alessandro non era uomo da confidarsi mai
* Quest* avvenimento, ordinato cronolof^icaraente secondo lo stile fiorentino, si registra
negli Estratti di lettere sotto Tanno 1493. La morte del re Ferrando, secondo il Caracciolo
{De Ferdinando eittsq. posteri» in Muratori Rer. it. script., t. xxii, col. 116) e il Summontb
(Istoria di Napoli, t. in, pag. 539), accadde non già nel febbraio, come scrive il Machia*
velli, ma a* di 25 di gennaio dell* istesso anno « a bore sedici ». Sulla tomba di lai, che é
a Napoli in San Domenico Maggiore, sta scritto : Fbrdinandos primus araookus rbx pa-
CIFICUS OBIIT A. D. 1494.
* V. BURCHAROO in ECCARD, vol. Il, 2033.
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primo] frammenti STORICI. 117
più del re; di quel re che, manifestamente, quando ei fu eletto,
aveva lamentato l'elezione di lui come quella che non sarebbe
stata a pace d'Italia; e re Ferrando passava per sottilissimo
uomo di stato. Inoltre, alla gran brama, che avea papa Borgia
di far grandi i suoi figli, non si eran mostrati troppo compia-
centi gli Aragonesi; e quantunque si trovassero in tali strette
da dover comperare l'amicizia del papa a qual sia prezzo, poiché
s'alzava già per loro di lontano una triste nube, pure alla pro-
posta che al figliuolo del papa Don Jufiré fosse data sposa la
figliuola d'Alfonso, la quale gli recasse il principato di Squil-
lace e il contado di Coriata in dote, quegli s'era dimostro
assai malvogliente in sul principio ; e l'orgoglio de' Borgia n'era
stato ferito non vanamente. ^
Quando più tardi il matrimonio fu concluso, l'avida am-
bizione d'Alessandro s'acquetò, ma la ferita del suo amor pro-
prio non fu salda. S'aggiunse che, morto Ferrando, Alfonso sa-
liva al trono senza il retaggio del senno paterno, e quella
tempesta che quegli avea saputo trattenere, questi faceva in
modo di tirarsela sul capo. Egli avea maritato a Giovanni
Galeazzo, signore di Lombardia, Isabella,.^ sua figliuola; e
questi, vissuto sotto la tutela di Ludovico Sforza, ch'oragli zio,
veniva da lui a dirittura allontanato dal governo, maltrattato,
e di piano, e di cheto, spoglio di tutte le ragioni che sul do-
minio esercitava. Di tanta ingiustizia, spesso Isabella aveva
fatto richiamo al padre, e questi sollecitato il re Ferrando
a soccorso del genero; ma Ferrando non erasi mai lasciato
strascinare nell'impresa perigliosissima; anzi, conosciuta la
mente di Ludovico capace di rovesciare il mondo co' suoi gar-
bugli purché un'ambizione gli si appagasse, aveva procurato
dileguarne i sospetti, e in tutto soddisfargli. 3 Ma Ludovico
non si quetò: guardossi attorno: si vide a fronte i Veneziani,
1 A questo rifiuto attrìbaisce il M. ne' Frammenti storici la cagione per cui Alessandro
chiamò il re di Francia in Italia.
* ìie^Frammenti storici del Machia vblli questa è chiamata Ippolita, facendo confu-
sione colla minor figliuola d* Isabella, morta nel 1501. Gf. Malipiebo, Annali veneti, pag. 310:
« La causa ch*el re Carlo ottavo de Pranza, zovene de 24 anni viene in Italia, è che '1 re
Ferando de Napoli ha dà una fla de Alfonso so fio per mogier a Zuan Galeazzo duca de
Milan, stando in tutela de Lodovico Sforza so barba ».
* Bene a ragione osserva il Rbumont {Arch. storico, terza serìe^ t. xiv, Rassegna bibliO'
grafica del Codice Aragonese pubblicato dai Trincbbra, pag. 414) : « Il Machiavelli (Fram-
menti storici) scrìvendo che Ferrante disegnava fare il divorzio tra Gian Galeazzo Sforza
e Isabella d'Aragona e dare la fanciulla a Lodovico, dimenticava che « la fanciulla » aveva
tre figK e che il Moro era marito di Beatrice d*Este. » Oltracciò non sappiamo donde potesse
trarre la strana notizia.
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I
118 CAPO SECONDO. [jJBEa
gittatisi, contro quél che la natura del loro stato portava, a
far conquiste sul continente. Da un fianco gli stava Firenze
malsicura deiramicizia sua: più lungo il pontefice guadagna-
bile da chi gli satollava la famiglia ingorda; e poi gli Ara-
gonesi nemici, e bisognosi a qualunque costo dell'aiuto papale.
Parve però a Ludovico, per prima cosa, doversi accertare
dell' amistanze dubbie, il che s'avvisò fare con mezzucci, che
a lui parevano sottigliezze d'ingegno acuto.
Non appena papa Alessandro fu esaltato al trono ponti-
ficale, ch'egli cominciò a mettere innanzi come sarebbe stato
bella prova dell'italiche forze collegate, che invece di mandar
ciascuno da sua parte ambasciatori, che prestassero l'obbe-
dienza al papà, si facesse un sol corpo d'ambasceria in Roma,
e fosse composto de' principalissimi uomini d'ogni governo, dei
quali un^solo avesse a pigliar la parola; e si desse così al pon-
tefice argomento delle compatte forze d' Italia. La precedenza
degli oratori avrebbe avuto luogo secondo l'ordine : prima quel
del reame di Napoli, che avrebbe tenuta l'orazione, poi un
milanese, poi un fiorentino, e in ultimo un ferrarese. Il partito
parve in sulle prime accettevole e s'approvò; ma quel che la
ragione di stato . aveva lasciato accogliere, lo stornarono poi
pretenzioncelle e puntigli di subordinati.
Gentile Becchi da Urbino, vescovo di Arezzo, cui si aspettava
far l'orazione se l'ambasceria fiorentina fosse andata da sola,
vide di mala voglia che l'adito di mostrar l'eloquenza sua
cosi gli fosse chiuso: Piero de' Medici non si contentava che
della magnificenza della sua comitiva non potesse far sì leg-
giadra mostra, come sarebbe per accadere quando la splendi-
dezza dell'altrui non l'adombrasse. ^
Però i Fiorentini procurarono che artificiosamente si persua-
desse il re di Napoli a contrariare il consiglio di Ludovico; di
che quegli li compiacque facilmente, ponendo innanzi pretesti,
e allegando: sarebbe stato più piacevole al papa che a lui ne an-
dassero parecchie ambascerie con singolare sfoggio di pompa,
che non una sola, in un sol tempo, la quale potesse sembrare
diminuzione più che unione della solennità.
^ Guicciardini, 1^, Ammirato, xxvi.Vedi nelle Négociationè iiplomatiques delaFrance
avee la Toscane, pag. 317-965, la legazione di Gentile Becchi e di Pier Sederini, che ò va-
levole a dare idea sufficiente della grande capacità politica del vescovo d'Arezzo : « Uomo
dì cui i contemporanei ammirarono il 8aj[>er dire e il saper fare », cosi ebbe sapientemente
a giudicare di lui il Guasti {Arch. $tor., seconda serie, t. xiv, p. ii. pag. 35) : « Noi de-
ploreremo che la gratitudine gì* imponesse talora uffici inconvenienti a un cittadino di liberà
città, per non dire a un sacerdote costituito in dignità tale ».
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r
o] CARLO OTTAVO. 119
S' irritò Ludovico del rifiuto, non sospettando le cause pic-
cine che l'avevano prodotto; e spingendosi a trarre di questo
fatto conseguenze inadequate, si volse con ogni studio a mac-
chinare la perdita di coloro di cui sentiva tinlore. Adescò
con mal considerata ambizione un potente straniero a piom-
bare sulla debole Italia, a ciò che nella ruina degli altri prin-
cipi sorreggesse lui solo. Di tanta colpa non fu storico che
non l'abominasse; ma tuttavia se vogliamo scevrar del nostro
giudizio l'irritamento che le sventure della patria ci produ-
cono naturalmente nell'animo ; se vogliamo collocare lo Sforza
nella luce che gli spetta entro a' tempi in cui visse, dovremo
ammettere ch'esso non fu più reo de' contemporanei suoi, nei
quali l'amore della nazione taceva in guisa che, non che irri-
tarsi, appena si ridestava all' insulto degli stranieri. ^
Sul trono di Francia stavasi Carlo ottavo, ventiquattrenne,
uscito dalla prudente tutela di Anna di Beaujeu; brutto della
persona, di deboli voglie, fantastico, più proclive a dar corpo
all'ombre che a ponderare i partiti; vago d'imprese ch'aves-
sero sembiante di cavalleresche, neghittoso all' utili. 11 padre
di lui, che aveva cerco d' allacciare le disperse provincie fran-
cesi in unità salda di reame, gli avea tramandato buoni am-
maestramenti nell'arte di stato: ma egli, indocile, gittava vo-
lentieri lo sguardo oltre alle Alpi. L'opera di Ludovico XI era
calda e pareva fosse d' uopo di chi la lasciasse maturare ; . ma
Carlo, la mente del padre e quella della tutrice sua non V in-
tendeva ; e spiccatosi dagli antichi consigliatori, che avvisavano
nella conquista de' Paesi Bassi doversi cercar piuttosto l'ag-
grandimento e la quiete di Francia, sognava il bel cielo e le
belle marine di Napoli; traeva di carcere il cugino principe
d' Orleans^ quello che a lui pupillo era stato ribelle, per met-
terselo a' fianchi come consigliere ed amico ; e il Comines,
> A ragione scrìve il Busbr {Die Beziehung&n der MeéUceer zu Franlseiehf pag. 237) :
« E non doveva il sentimento del popolo francese essere anche più inasprito dalla condotta
degli oratori italiani ì Quando un ambasciatore perseguitava l'altro e palesemente e in se-
greto, rappresentando tutta l'Italia come una terra aperta alle voglie di Francia; quando
il settentrione tradiva il meszogiomo e il mezzogiorno il settentrione alla Corte del mo-
narca francese ; non doveva crescere nel popolo naturale l'opinione che fosse necessario
r intervento e la conquista in Italia ì » Traduciamo queste severe parole perchè tutti gli
Italiani possano ripensare utilmente ai tempi tristi e immoralissimi della patria disunita;
quando il cardinale Ascanio Sforsa irrideva a que' tantoHi ftancesi che invocati a discen-
dere non venivano; e tutti i vilissimi potenti si barattavano la colpa di quell'invito, acca-
gionandone, secondo private mire, chi gli Sforza, chi il cardinale di S. Pietro in Vincoli,
chi il papa, chi il duca di Ferrara. Cf. Busbb, op. cit., pag. 240 e seg. Malipiero, Annali
veneti ueìVArch. stor., vii, p. i, pag. 319. Machiavelli, Frammenti storici, Opp., edizione
Passerini, pag. 77 e seguenti.
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120 CAPO SECONDO. [libro
Tantico mediatore della casa de' Medici, T ammiraglio Gran-
ville, il d'Esquerdes lasciava inonorati da parte. Metteva poi
tutta la sua mente e la fede nel senescalco di Beaucaire, Ste-
fano de Vers; in Guglielmo Brigonnet, vescovo di San Malo,
che reggeva le finanze del regno, e in altra gente cupida e
leggiera.
A costoro r Italia pareva distesa innanzi come preda certa;
e poi che lo Sforza avea invitato il re, gli esuli di Napoli nemici
agli Aragonesi gli faceano, come sogliono i fuorusciti, l'impresa
lievissima, che ad espedirla la voglia bastava. Quando poi,
crucciatosi con papa Alessandro, Giuliano della Rovere, cardi-
nale di San Pietro in Vincoli, cercò in Francia sicurezza
d'asilo e strumento di vendetta contro de'Borgia, la mente vana
del giovane re fu tutta accesa. Il cardinale che era in tutta
Italia potentissimo, 1 eh' avea con Roderigo Borgia gareggiato
del pontificato, che se T era visto fuggir di mano, quando ei
già se lo sentiva nelle vene, contro gli scandali del suo rivale
e della famiglia di lui vociava irrequieto. Eppure, se la ele-
zione del pontefice fosse stata libera e in quello fosse caduta
la scelta in cui rifulgeva maggiore la santità della vita, non
il della Rovere sarebbe stato l'eletto. ^ Ed ora, fuggitosi dal
castello d'Ostia ove s'era stretto, ed afibrzato contro papa
Alessandro, era venuto accanto al re giovinetto e gli rinfoco-
lava l'animo nel proposito del passaggio in Italia, afiaccian-
dogli ch'esso, eh' avea il nome e la fede di Carlo Magno, ^ ne
avrebbe pur la grandezza guadagnata, se, occupata Roma, pur-
gasse la chiesa con salubre riforma, provocasse un concilio per
1 n Machiavelli annota negli Estratti come venendo a Roma Federigo d'Aragona, tì-
^liiidlo del re, « in su questo fece sospetto al papa perchè usava e onorava più San Piero
a V incula di lui, tale che il papa se ne andò in castello ».
3 « Il reverendissimo San Clemente Savoino, da Torino, ama molto la Signoria nostra
tid è^ di vita molto esemplare : saria stato papa, se si avesse fatto il papa senza forze ».
Ah^iiRit Relaz. venete, serie ii, voi. ni.
■ Anche Alessandro sesto nélV ammonitoria della scomunica contro al re accenna alla
comune allusione : « Optamus namque ut Carolum illum magnum, antecessorem tuum, hujus
Ranciae sedis obsequentissimum fìlium ita operibus sicut nomine referas ». I Fiorentini poi
non avevano mai cessato di risguardare i re di Francia come successori del « gloriosissimo
Carlo Magno » che aveva riedificato la loro città, distrutta prima da Totila e dagli Unni, dan-
daLtt anche nuovo nome. Cf. la Commissione de* Dieci di Batta ad Agnolo Acciaiuoli, am-
basciatore in Francia, riferita dal Desjabdins, op. cit., pag. 64. E la bozza del discorso
del vescovo d'Arezzo che il Desjardins medesimo reca a pag. 335 e seguenti dell'op. cit.:
■■ CUmant id menia a Carolo Magno restituta, clamant aedes pubblica, clamant fora, eia-
mant tempia tuis armis insignita, clamant denìque lapides ipsi, tacentibus nobis. Non na-
scitur Florentie puer, qui sculta in corde suo tua lilia non habeat; nunquam summus ille
ntster magistratus aditur quin prò Corona MajestAtis tue juretur. Primaria Civitatis nostre
familia in gentem Tue Majestatis adscita est ».
^
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puMo] CARLO OTTAVO, 121
deporre il sacrilego papa, e poi da Napoli s'avventasse a di-
struggere la prepotente e barbara signoria degli Osmani. In-
citaménti che l'astuto ligure non poteva gittare in terreno
più acconcio; che la fantasticheria dell'animo di Carlo gli fa-
cea davvero piuttosto aver gli occhi a gli eroi della leggenda
che alla severa pagina della storia patema.
Inoltre tutto disponevasi a rappresentare Carlo Magno
come un ideale imitabile a quel re voglioloso. Come quegli, ei
si trovava chiamato a passare in Italia; e, come già a quello,
ora a lui un uomo della chiesa correva incontro ad aprirgli le
Alpi serrate indarno dalla natura. Sul libro di preghiere che
in Italia ei portò seco, fu rinvenuta, scritta in francese, una
orazione che si diceva essere già stata di Carlo Magno e che
il Malipiero ci die tradotta letteralmente. È la preghiera d'un
buon vassallo che presta omaggio a Dio de' beni naturali, spi-
rituali e temporali onde questi si piacque concedergli investi-
tura: « et in segno et recognition, vi pago con questo piccol
tributo la matina, et la sera». ^ Come non fosse abbastanza
che i profeti d'Italia sperassero nella invasione straniera, quasi
che quel gastigo di Dio funestissimo potesse esser salubre al
popolo corrotto, le loro voci trovavano eco malaugurato in Fran-
cia. Giovanni Michiel profeta umilissimo, secondo che e' si
chiama, e mendicante, andava spargendo nel popolo le visioni
sue della prosperità del re Cristianissimo, del rinnovamento del
secolo, della riconquista di Gerusalemme: Carlo sarebbe stato
signore e dominatore di tutti i dominanti : * egli avrebbe ricu-
perata dalle mani di Mohammed la città santa, « tutti i suoi
nemici sarebbero come fieno e tutta la loro gloria e cavalleria
come flore di fieno ». Quel che i profeti annunziavano, quel che
i cavalieri anelavano, lo cantarono anche i poeti ; e ormai non
era altro proposito nel popolo, che delle grandi battaglie che
Carlo avrebbe guadagnato:
— « CharU$ fera si grand hataUles
Qu' il conquerra Ui ItaiUea;
En Jèrutalam entrerà
Et tnont OUvet monterà >. —
Restava che il re dicesse: « Andiamo adunque dove ci chiama
« la gloria della guerra, la discordia de' popoli e gli aiuti degli
1 V: Malipibso, Annali, nell'Archivio storico it., serie i, voi. vii, parte i, pag. 393.
* PiLoBOBSUt, Campagne et buUetins de la grande armée d'Italie command'ie par
Charles Vili d'aprèa dea documenta rarea ou inèdita, pag. 431.
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128 CAPO SECONDO. [libeo
< amici, > come il Machiavelli rettoricamente gli fa dire; ma
v'era pure una parte del popolo francese che poetava senza
rettorica e che sentiva la verità. ^
La città di Firenze avea avuto sempre inclinazioni fran-
cesi a cagione della parte guelfa e de' commerci cui attendeva,
e i prudenti credevano naturaln^ente che Piero de' Medici sa-
rebbesi tenuto di certo dalla parte del re di Francia, i cui
gigli per recente privilegio s'erano annestati all'arme de' Me-
dici. « E già mi par di veder Piero, scriveva il Pontano, far
« pensiero che il banco de' Medici habbia da esser la tavola
« in la quale se conteno tutti li dinari, che saranno mandati
« da Francia in Italia, e che li panni della prestantia habbiano
« da uscire dal fundico suo ». ^ — Eppure non era cosi : Piero
voleva stare di mezzo: rammentava quanto la inimicizia dei
reali di Napoli fosse stata funesta al padre suo, del quale due
esempi gli stavano più particolarmente nell'animo: l'uno che,
postosi nelle mani de' nimici quasi che prigioniero, quando era
ridotto alle strette, seppe con sue belle parole tornarseli amici,
e volgerli tutti dalla sua con fiducia quasi d'amicizia antica;
l'altro che quegli reputò salvaguardia della potenza de' Me-
dici quando fossero incerti delle inclinazioni del pontefice
ch'essi tenessero le loro forze congiunte a quelle del reame
di Napoli. Ninno più incerto del Borgia ; quindi a Piero pareva
indispensabile dilungandosi da Francia, unirsi col re Alfonso.
Ma Piero non era Lorenzo.^ E il legato di Carlo, che era venuto
a domandare il passaggio a' Fiorentini, poiché al tragitto s'era
scelta da Francia la via di terra e di Toscana, era trattenuto
in parole, e s'accorgeva come nel popolo fiorentino fossero altre
' Cf. Machiavelli, Disteso del passaggio di Carlo ottavo, tra' frammenti storici. —
Nel Recueil de poésies firancoises des XV et XVI siècles, t. viii, pag. 74, si leggp la Com-
plainte de Franco pel passaggio di re Carlo in Italia:
« Plourez, petis poupars,
Vos pères soni espars,
Sur Rommains et Lombars
Par le mons de Savoyo ».
• Fontano, Lettere. V. Tallarigo, Giovanni Pontano e i suoi tempi, pag. 214.
• Il generale de' Servi da Bologna scriveva a Piero nel seguente tenore: « M. Piero
henefactore et patrono mio. Chorao quello che sono certo eh' io vi posso parlare a fidanza,
dico quelo medesimo che altra volta ve ho decto : che alla generosa casa de' Medici sono
duo chose comuni : le gote e lo tribulatione, e in nela persona vostra mi pare che le tribù-
latione precedono per la comune sententia che da più se dice che de questi casi tutta la
mina viene a voi e in voi se ha finire, e tutto il mondo e chi in publico e chi in secreto
ne minaza.... — non solo deviata dal ordinario de la cita, ma dale vestigia paterne, perchè
la immortale memoria del M. Lorenzo 'uele sue tribulatione se agliuto assai o almeno di-
mostro de agliutarsi con il re de Francia al tempo de Lorenzo, la città stette ferma:
Dico, che Piero non ò Lorenzo ». Arch. fior, med., f. 100, e. 175. Bcsbb, op. cit., pag. 533.
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PBIMO] FIRENZE E FRANCIA. 123
intenzioni che in Piero.i II popolo agitato dal Savonarola, do-
minato dagli avanzi dello spirito guelfo, riscaldato dalla tradi-
zione che la città, distrutta da Totila, fosse stata da Carlo Magno
riedificata, benevolo de' Francesi, in mezzo a cui tanti concittadini
esercitavano le banche e i commerci, * era addirittura rivolto
a favorire il re Carlo, e non occultava per nulla le sue spon-
tanee inclinazioni a quel partito, a cui Piero accennava non
volersi piegare. E il legato insisteva e teneva a calcolo quella
separazione d'intenti che scindeva Firenze e i Medici. Stretto
fra l'uscio e il muro, Piero titubava quando titubare era inu-
tile : mandò, oratori a re Carlo, Guidantonio Vespucci e Piero
Capponi, perchè seguitassero a trattenere il re in parole. Ma
il Capponi intanto avvertiva sottomano il re di quel che fosse
a fare per rivoltare Firenze contro il Medici: ^ cacciare i
Fiorentini dal reame, bandire i mercatanti i e bastava, perchè
ferita l'utilità del popolo, questo si mettesse tosto a rumore.
Col Capponi avevano intelligenza due cugini del Medici, fl-
> BusEB, Die Beziehungen der Mediceer zu Frankreich, pag. 324. %
* Ecco i nomi de'mercanti fiorentini residenti in Lione, che si trovano in un memoriale
diretto al tesoriere Robertet:
« Les marchans florentins manans et habitans de Lyon frequentans les foires d'icelle
et leor faict et trahin de marchandise, changes, vantes, affaires ainsi que ont acoustumez
long temps ya, supplient au Roy que son bon plaisir soit leur octroyé isaufconduit general
pour demeurer seurement leurs personnes et biens tant au d. Lyon que es pays subyects
an d. seig. pour pouvoir aller, venir, user, traffiquer et frequenter leurs affaires seurement
comme bons subyects et serviteurs du dit seigneur et que à l'occasion des emoxions de
guerre qui sont de present Ton ne leur fasse tant à leurs personnes que biens aucun des-
tourbier ou empeschement. Ainsi qu*il a pleu au Roy en ordonner dernierement a Autun.
« S'ensuivent les noms et sumoms des dits marchans florentins qu* il fault qu* ils soient
nommez au dit saufconduit.
« Prémierement :
- Robert Albisse (Albiszi) - Thomas Guadaigne (Guadagni) et compagnons - Robert
et Guillaume Naay (Nasi) et compagnons - Berthelemy Painchaty (Panciatichi) et com-
pagnons - Heritiers d*Aleman et Baptiste Salviaty et compagnons - Jehan et Heritiers de
Léonard Bertholin (Bartolini) et compagnons - Nicolas del Bene et compagnons > Francois
et Léonard Manelly (Mannelli) et compagnons - Anthoine et Pierre Anthoine Gondy et
compagnons - Laurens et Philippe Strossy (Strozzi) - Pierre Bigny (Bini) et compagnons
- Heritiers de Pierre Dei et compagnons - Camille Anthinory (Antinori) et compagnons -
Albisse, Delbene et Zenobi Ginory et compagnons - Heritiers de Martin Martini et Julien
Reibdlphy (Ridolfi) et compagnons - Zenobi Martini et compagnons - André Cerbini et
Heritiers de Loys Anthinory et compagnons - Jean Manelly et compagnons - Aldobrandini
Infangaty (Infangati) et compagnons - Francois Pithy (Pitti) et compagnons - Bernard
Pourhonni (Burroni) et ses frères - Charles Marocelli (Marucelli) et compagnons - An-
thoine Bethon (Bottoni) - Léonard Thedaldy et Gaspard Douchy (Ducei) et compagnons -
Jerosme de Nobili - Charles Dei - Aparde (?) Lothini (Lettini) - Léonard Sally (Sali o
Sassi o forse Pazzi) - Estienne Dubeguyn et compagnons (forse del Benino) - Mathée An-
thinory - Antoine Mellini - Bertholomée Salviati ». Molini, Documenti di itùria Ualicyna,
n. xLviii bis, pag. 102.
* OoMiNBS, Mémoires, lib. vii, e. v. Il Guasti, a proposito dciralfermazione del signor di
CoMiiws per rispetto al Capponi, annota: « I consiglieri del re tentarono di corrompere il
Capponi, ed il Capponi da buon fiorentino gli cuculiò » {Arch, stor., xiv, p. ii, pag. 45, se-
conda serie).
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124 CAPO SECONDO. [libro
gliuoli di Pierfrancesco. Costoro che avevano sempre affettato
le parti popolari, ed eransi sovente bisticciati con Piero, ora
eh' egli si teneva dagli Aragonesi, mandavano segretamente a
confortare il re di Francia che venisse pure tranquillo ; la
città sarebbegli stata devota e fedele. E Carlo ottavo ben di-
sposto dell'animo verso di essi, onorò Giovanni, l'uno de' fra-
telli, del titolo di suo maggiordomo. ^
Viene ad Asti ; quivi inferma, ma risana in breve : lo Sforza
gli va incontro, e con adulatrici parole ricupera l'animo e il
favore di lui; procedendo a Pavia, lo conduce a visitare il
misero duca Giovanni Galeazzo, che languiva malato; poi lo
mette innanzi per la via di Toscana. Quando egli fu a Piacenza,
seppe che Galeazzo era morto « e fu opinione che morisse di
< veleno come un cane >. ^ Era questione di chi nel ducato
4ovea succedere. Rimasto un figliuoletto di lui, se questo fosse
stato riconosciuto. Isabella d' Aragona sua madre sarebbe stata
reggente. E questo non potea garbare ne al re, né al duca
d'Orleans, che sul ducato di Milano vantavan ragioni; le quali
ae allora non parca prudente affacciare, non voleva neppure
pregiudicare coli' ombra d'una successione ratificata. E Ludo-
vico che fiutò le pretensioni altrui e l'occasione sua, volato
a Milano, si proclamò duca: « et fusi la conclusionj comme
plusieurs disoieni, purquoy il nous avoit faii passer les
inonis ».^ Ma da questo momento egli sapeva che al re ed
al duca d'Orleans gli conveniva voltare il dosso per sempre.
Frattanto, com'essi avanzavano, era necessario che in Fi-
renze si pigliasse . partito, e colà, invece, si nicchiava ancora:
una forza prepotente si faceva loro sul capo, ed essi non ave-
vano il buon senno di concedere pronti e spontanei quel che
non avrebbero potuto ricusare costretti. Piero era volto sempre
coir animo al re d'Aragona, il quale gli avrebbe voluto già
donare Ostuni o la contea di Cajazzo, ch'era de'Sanseverini, ^
e farlo di mercatante, barone. Se non ch'egli cui si conve-
niva dissimulare la signoria, aveva con prudenza supplicato il
re che non gli desse titoli ; ma ora anche la dissimulata signo-
ria, gli finiva; ed erano i suoi cugini a raderne le fondamenta.
Essi, corsi a Piacenza all' incontro di Carlo ottavo, lo aveano
1 Nabdi, Storia di Firenze, lib ì°, pag. 32.
• Machiavelli, Frammenti storici, pag. 80.
» CoMiNES. Mémoirei, 1. vii, c. 6.
* Lettera di Piero de' Medici a Dionigi Facci, Archivio storico, prima serie, i, 343.
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PWMO] / MEDICI FUORI DI FIRENZE. 125
attizzato ad entrar dentro a' confini di Toscana; che allora
Firenze, la quale non potea più reggere il peso di Piero, si
sarebbe sbracciata per la parte di Francia. E quando il re vi
entrò per le montagne di Parma, e distrusse Fivizzano, ca-
stello de' Fiorentini in Lunigiana, e v' ammazzò tutto il presidio,
Firenze andò in subbuglio, e Piero de' Medici fuori di senno.
Egli, che non aveva ereditato nulla della virtù paterna, pretese
ereditarne gli espedienti ; e come quegli, trovatosi alle strette,
andandosi a mettere nelle mani di re Ferrando, se l'amicò;
egli cosi, partendo subitamente pel campo di re Carlo, suppose
di poterne riguadagnare il favore e l'aiuto. Ma « Traho ad
immolandum » scriveva egli da Empoli al Bibbiena; « non sono
il primo infermo che si conduce alla extrema unctione senza
conoscersi mortale ». ^ Appresentatosi a Carlo « se gli pose gi-
nocchione innanzi », scrive pieno di sdegno il Machiavelli contro
lui che avviliva la patria; ^ « escusandosi ed in fine offerendogli
sé e la sua città ». E la città prese sospetto: spacciò subito
prima sette, poi altri cinque oratori a ossequiare il re. Carlo
fu cortese a Piero ; intendeva domandargli l'occupazione delle
fortezze di Pisa e di Livorno durante la guerra: e Piero gli
ofiri non solo queste, ma Sarzana, Sarzanello, Librafratta e
Mutrone: in somma dette quel che neppure si domandava; e
i castellani che quelle fortezze tenevano, le consegnarono solo
per r autorità di Piero, senza neppure attendere lettere, e con-
trassegni della Signoria.
Tanto eccesso di leggerezza vile, tanto obbllo d'ogni ri-
spetto agli ordini della città, tanta negligenza della patria
commossero Firenze, la sollevarono. Invano Piero si confidò
di potervi tornare, appoggiato alle bande mercenarie e al favor
degli Orsini. Le porte di palazzo gli furono chiuse sul viso:
invitato ad entrar pel portello e solo, si smagò e non volle:
la gente lo minacciava col volto, co' gesti, colle becche dei
capucci, i fanciulli co' sassi: tornò alle sue case impaurito:
lasciò che il fratello Giovanni, cardinale, ne uscisse; ma que-
sti non trovò né riverenza coli' abito ecclesiastico, né fautori
colle parole, né co' denari plebaglia che lo seguitasse. Per la
via di San Gallo, ove i Medici avevano avuto sempre parti-
giani, non trovarono chi per loro si rivoltasse. Sgomenti, s' ab-
^ Dbsjardins, op. cit., pag. 539, 590.
« Machiavelli, Frammenti storici.
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1«J CAPO SECONDO. [libro
bandonarono : era forza cedere il campo : la campana grossa di
palazzo sonava a martello e il popolo s'andava armando: quella
campana chiamava fuor del suo chiostro il frate Savonarola
coir onda de' suoi seguitatori e segnava a Piero e a' Medici
l'ora dell'esilio. Gentile Becchi più d'un anno prima glielo
aveva predetto : « Vanne a questa volta il tutto, Piero mio ; o
resterete la più bella cosa d' Italia o la più brutta >. ^ — Esso
usci dalla porta San Gallo e il cardinale, camuffato sotto un saio
di francescano, lo segui a Bologna.
Frattanto la libertà rinata luceva negli occhi di tutti;
la servitù sessantenne s'era alla fine scossa; i fuorusciti rien-
travano, la casata de' Pazzi ritrovava la patria; i Neroni Die-
tisalvi con essa. S'abbattevano i segni dell'ingiurie servili. ^
I figliuoli di Pierfrancesco Medici sulle loro case ponevano
la croce rossa in campo bianco, arme del popolo, gittando via
lo scudo e il nome degli odiati congiunti. , Ma la gioia della
libertà fu presto rotta dall'incursione straniefa: il re di Francia
s'avanzava per Pisa, e quella città che Firenze da tant'anni
tenevasi ancella, quella città la sicurezza del cui possesso orale
vitale, sotto l'usbergo di re Carlo si ribellava alla signoria
fiorentina e scacciavane i commissari. Questa ribellione fu il
principio fatale di nuove inimicizie fra gì' Italiani, la cagione
dell'isolamento di Firenze dall'altre forze della penisola, d'uno
sperpero infinito di valore, di danari, di prudenza, di sagrificì.
Ma in breve Carlo ottavo, festeggiato da' mercatanti, acclamato
da' profeti, celebrato dal clero, faceva il suo ingresso nella bella
città d' Arno. Era il novello Carlo Magno che entrava goffo a
cavallo, sguardando superbo cogli occhi azzurri la moltitudine
assiepata. Aveva sulla coscia appuntato il bastone del comando,
con certa balda significanza che i Fiorentini non intendevano a
che accennasse; disteso dentro la staffa il piede, che le scar-
pette di velluto nero gli facevano come d' un bue. Poi quando
mostrò le intenzioni, minacciando al popolo di far dare fiato alle
trombe, Pier Capponi lo spaurì col promettergli di far dare
nelle campane; in quelle campane che avevano teste posto in
fuga Piero de' Medici e che re Carlo dubitava non fossero
dello stesso gitto di quelle del Vespro di Sicilia.
* Desjabdins, Négociations diplomatiques^ ecc., pag. 340.
• M., Estratti: « Fecionsi la notte le guardie. Fu preso Antonio di Bernardo, sor Gio-
vanni delle Riformagioni, ser Simone da Staggia, ser Lorenzo di Dogana, e ser Ceccone^
cancellieri e gente ribalda. Saccheggiorono le case dei soprascritti, et quelle dei Medici.
Nota che in tante moltitudine non fu morto se non un birre ».
V
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primo] I FRANCESI IN ITALIA. Vii
Un quadro moderno all'Accademia delle belle arti in Fi-
renze, rappresenta l'ingresso del Cristianissimo vanitoso nella
città, dal borgo di San Frediano.^ In mezzo alla ressa dei plau-
denti che spargon l'aria d'incensi e di fiori, a lato ai dome-
nicani racconsolati è una figura d'uomo che medita e dif-
fida: quell'uomo è il Machiavelli, che in que' giorni, in cui
neppur v'era cancelliere in palazzo, segnava il brutto ricordo
di quel re forestiero : « le querele che da ogni parte venivono
per li mali portamenti de' francesi >. * Parecchi anni appresso
appuntava ivdk gli estratti suoi: « vennono e franzesi a noia ». ^
E finalmente nella Clizia, ricordando i gentiluomini francesi
che alloggiarono in Firenze, aggiunse : « quelli che ci furono
messi in casa ci feciono infiniti mali ».^ Ed ecco l'ambiente
politico in cui Niccolò sarà condotto a muoversi: questi vili
principi, queste deboli repubbliche erano i governi d'Italia al-
lora; interessati, intimiditi, ingiuriati tutti dagli stranieri.
1 Guillaume de Villeneufvab, Historia belli Italici sub Carolo Vili rege in Mabtbkb
e DuBAKD, Thiuaurui novut anecàotorum, t. in, pag. 1506 : « Par la terre et seigQourie de
Flonrence, la où il feist la plus belle entrée en armes tant de gens de cheval que de gens
de pie, qui jamais fut faite aux Italies.... »
* Machiavelli : Appunti storici, 1494, a* xvii di, autografi nella Biblioteca Nazionale
di Firense: doc. Mac, busta vi, n. 72, carte, 1, 2. Cf. TìéiV Archivio storico^ nuova serie,
t. xrv, p. II, pag. 57, il cenno che dà il Guasti del Libercultui litterarum que scripte sunt
é a nona die novembri» i494 usque ad diem 4 lanuarii quo tempore rex Oallorum Fio-
rentie erat et locus hic Cancellario carebat.
* Machiavelli: Estratti di lettere, ed. ult., pag. 246.
* Machiavelli: Clizia, atto i, se. i. E il Comines, Mimoires, 1. vii, cap. 6: «le peuple
nous aduovoit comme saincts, estiinans en nous tonte foy et bonté; mais ce propos ne leur
dura gueres, tant pour nostre desordre et pillerie. qu*aussi les ennemi preschoient le peuple
en tout quartiers, nous chargeans de prendre femraes à force et Tai^ent et autres biens,
ou nous le pouvion# trouver. De plus grand cas ne nous pouvoient-ils charger en Italie ;
car ils sont jaloux et avaricieux plus qu'autres. Quant aux femmes ils mentoient, mais du
demeurant il en estait quelque chose ».
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LIBRO SECONDO.
Com' e* vede 11 suo ftanguo e* suol sudori
E che '1 suo viver ben servendo stanco
Con Ingiuria e calunnia si ristori.
(MAcniAVELLi. Capitolo della
• ingratitudine . v, 37-39).
Fast rQhrend ersrhelnt uns in Geist wle Ma-
chlavel in seinen « Legazioni " mangelhaft Ins-
trulrt, ItOmmerilch ausgestattet , als unterge-
ordneter Agent behandelt, verliert Er niemals
seinen frelen, hohen Beobaclitungsgeist und seine
Lust des anschaulichen Berlchtens.
(Boulàjldt: RenaisBanee, pag. 78).
The > legazioni • or oiTlrlal correspondence
of Machiavelli, while statloned at the dlfferent
European courts, may be regardcd as the com-
plete manual of dlplomacy as It existed at the
beginning of the sixteenth century.
(P&B8C0TT. Hittory o/ Ferdinand and
Isabella^ parte 2", cap. 1°, p. 257).
ToMMASiKi - MacMavelU. 10
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Introduzione
LA CITTÀ E IL PALAZZO.
■ . . . nacque ... un proverbio che diceva : co*
fstoro hanno uno animo in piazza, ed uno in
palazzo •.
(N. Macìiiavii.li, DiÈConi, 1. 1^, e. xlvii).
■ Vedevasi accadere questo, che ogni Signorìa
saliva In palagio in favore del popolo, poi In
spailo dt poco tempo si volgeva a fìavore dei
grandi. In maniera che né il popolo si fidava
della Sri*, né le Sri« haueuano credito col po-
polo • .
(Parbmti, Utorie nut. ad ann. 1499).
L'età prima e preparatoria, quella della educazione del
Machiavelli, passa, come vedemmo, non cognita per fatti certi;
la probabile condizione intellettuale di lui si riassume per con-
getture. Seguita immediatamente la seconda età, tutta operativa
e pratica; e questa ce lo mette in piena luce subito, presentan-l
docelo talvolta come strumento, più o meno subordinato ne'po-
litici congegni della repubblica, talvolta come la mano, talvolta
come l'anima. dello stato. Ne si può dir che manchino docu-
menti per constatare quanta e quale fosse l'opera di lui ne' quat-
tordici anni incirca, ch'egli spese in servigio della città sua. Ma
quei documenti rischiarano meglio la persona che l'uomo, meglio
il segretario che Niccolò; e a' giorni nostri non si è ancora ben
determinata la condizione sua vera nella cancelleria fiorentina.
Il Capponi 1 scrisse ch'egli ebbe piuttosto commissioni che
uffici; che fu segretario solo del magistrato dei Dieci; che però
n^n era a confondere cogli altri segretari o cancellieri della
Signoria, i quali tenevano il filo delle faccende e col mutar
dei magistrati non mutavano. Ed in questa affermazione dello
storico di Firenze è del vero e del men che vero; e chi prese
a contradirlo, capitò nella stessa sorte, di dir, cioè, cose in
* Gino Capponi, Storia di Firenze, lib. vi, cap. 7.
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182. INTRODUZIONE, ' [libw>
parte vere e in parte no; però che, aflfermandosi ch'ei fu ad
un tempo segretario dei Dieci e cancelliere della seconda can-
celleria del comune, e che questo ufficio ei lo tenne di continuo
per infino che alla ritornata de' Medici non ne fu casso, s'af-
fermò il vero; ma non è già che l'ufficio suo fosse perpetuo^
quantunque non mutasse ogni due mesi col mutarsi de' magi-
strati. Parimenti, è verissimo che molti degli affari dei Dieci
si spedivano nella seconda cancelleria del comune; ma non
già phe fosse tutta una cosa la seconda cancelleria e quella
dei Dieci, o che questa, in seguito alla particolare qualità dei
tempi e a'continui intricamenti politici e diplomatici di Firenze,
vincesse d'importanza l'altra e assorbisse tutto il pensiero e
l'opera del Machiavelli.
Pertanto non sarà inutile per ben intendere molte delle par-
ticolari condizioni della vita cancelleresca di Niccolò, farci a
tratteggiar prima l'ambiente di piazza e di palazzo in cui s'ebbe
ad agitare; descrivere cioè l'andamento amministrativo della
cancelleria, gli ordinamenti politici della città ;^ donde verrà a
gittarsi non poco lume su gli offici che quegli compiè, sul modo
che tenne nel condurli, sulle cause per cui egli, piuttosto che
non altri, fu a quelli deputato, e sulla ventura che ebbe a se-
guitargliene.
L'ambiente di piazza e di palazzo dicemmo, e non senza
ragione; però che quella e questo non di rado facevano a'cozzi
e il popolo ne proverbiava; e a chi attendeva a pubblico ufficio
non si voleva prudenza mediocre ad evitare la diffidenza del-
l'uno 0 dell'altra. Da questa prudenza studiosamente osser-
vata nasceva che le persone pubbliche fossero tratte a nascon-
dere nella loro qualità officiale i sentimenti e le opinioni perso-
nali ed intime; e che tutto dietro di quella riparassero l'uomo,
sospettato, esplorato, bersagliato costantemente dalle fazioni.
Pertanto c'incontra di non poter raccogliere neppur ora
tutto l'animo di Niccolò dagli scritti che gli uscivano di mano
nel tempo che il riguardo cancelleresco l'obbligava a silenzi,
a reticenze, ad affermazioni necessitate. Anzi ci capiterà pa-
recchie volte d'abbatterci a rilevanti diversità di giudizi, fra
lui, organo del pensiero governativo, cauto ed attento a non
parer di compromettere, parlando per suo proprio sentimento, la
opinione officiale; e lui scrittore civile, lontano dagli impieghi^
libero d'ogni ragione estrinseca di convenienza, non d'altro
sollecito che della verità delle cose e della salute d'Italia.
^
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[SECONDO LA CITTÀ E IL PALAZZO. 133
In palazzo, per tutto il tempo che i Medici aveano tenuto
la città nella loro balìa, non si erano accolti che strumenti
della potenza e dell' insidie loro. Tutto avean quelli saputo vol-
gere a ordigno: giustizia, finanza, amministrazione di luoghi
pìi, cancelleria, camerlengato del monte, tutto. La furia de' par-
lamenti serviva per adonestare con suffragio di popolo tutti
gl'intacchi fatti all'antica costituzione repubblicana, tutti i modi
illegali con cui i partigiani governavano; quel che rimaneva poi
delle leggi antiche, si torceva con sottigliezze. Passava per re-
gola di diritto: che fossero a giudicare gli amici con favore, i ne-
mici con rigore; ^ per canone di vita civile: che la canaglia, ve-
stita de' panni di grana di San Martino, potesse salire agli stalli
dei nobili;^ per accorgimento potitico: che fossero a usar le
gravezze in luogo di pugnali, cioè che coli* imposta progressiva
0 decima scalata, e coll'arbitrio della sovrimposta di ricchezza
mobile si potesse impoverire e mettere a terra le famiglie degli
avversari; e che a queste si avessero a ritenere le paghe de' monti,
ossia a non corrispondere gl'interessi del debito pubblico.
Sotto Lorenzo de' Medici la decima scalata avea raggiunto
l'enorme importo di 378,000 fiorini, la maggior somma d'im-
posta diretta che mai avessero pagato i Fiorentini; e nel 1494,
alla cacciata di Piero dalla città, toccava già pel secondo
anno i fiorini .90,000. ^ Ora, non appena Piero e il cardinale
erano stati dichiarati ribelli, che al popolo prese furore de' ri-
pristinamenti degli ordini, delle giustizie, dello scemamento
d'imposte; sete delle vendette. E per quanto fosse^chi ratte-
nesse o impacciasse il troppo correre su tutte queste vie, il
proposito delle riforme occupò tutti : riforma della città e della
cancelleria: si giurò di non più far parlamenti; si volle ov-
viare al pericolo d'aver mai più cancellieri nominati a mano,
come dicevasi. Contro alle persone non si fu violenti troppo;
quelli che senza coscienza e senza limiti avevano servito d'ar-
meggi alla tirannide furon colpiti insieme con una medesima
infamia: « cancellieri e gente ribalda».^ Ma le leggi orga-
niche, tanto per la costituzione dello stato, quanto per quella
degli uffici cancellereschi s'indugiaron parecchio, come portava
* Fb. GtncciABDiNi : Reggimento ài Firenze, lib i.
* Id., ib.
s Gius. Canestrini, La scienza e Varie di Staio desunta dagli atti ufficiali della Rep.
fiorentina e de* Medici. Firenze, 1862, cap. ni.
* Machiavelli, Estratti di lettere^ 1. e.
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134 INTRODUZIONE. [libro
e la natura delle cose e la diversità delle inclinazioni de' cit-
tadini.
I venti accoppiatori, eletti in principio a rinnovare le im-
borsazioni, ossia a rifar le liste de' capaci de' pubblici offici, e
a studiare una nuova forma di governo; per le loro ritrosie
aristocratiche, per le mene di Paolo Antonio Sederini e per
la passione democratica eccitata dal Savonarola furon costretti
a rinunziare all'incarico; e la legge fondamentale di riforma-
zione della città, sancita a' di 23 del dicembre (1494) apri a
tutti i cittadini benefiziati ^ le porte del Consiglio grande.
Se non che, non era il semplice rispetto del censo che
dava l'abilità al gran Consiglio; si richiedeva anche l'età di
ventinove anni e l'esperienza pratica o tradizionale della pub-
blica cosa ; bisognava cioè essere stati veduti o seduti * in al-
cuno dei tre maggiori offici della città, o avere tal beneficio
dagli antenati in linea retta, senza risalire oltre a' bisavoli;
quantunque fosse lasciato adito aperto anche ai non veduti,
che in numero di sessanta potessero, coiranno 1497, esser fatti
capaci di quella assemblea; e a ventiquattro giovani, d'età non
minore d'anni ventiquattro, fosse dato di poter essere squitti-,
nati come se fossero d'anni ventinove, a ciò che non mancasse
< Fra le postillo marginali autografe delle istorie del Pitti si legge: « Cittadino bene-
fixiato è quello, il quale, o il padre o l'avolo, ha ottenuto uno dei tre maggiori offizii della
città, cioè o de' signori, o de' gonfalonieri di compagnia, o dei dodici dei buoni uomini, o
veramente veduto stato fussine » (Cf. Archivio storico iteti., prima serie, voi. i, pag. 20ò).
— I benefiziati erano propriamente detti dal benefizio che godevano dal Monte per le pre-
stanze versate in quello, quando le prestanze erano fruttifere. V. Paonini, La decimaj
lìb. I, e. V.
* I cittadini benefiziati si distinguevano in veduti e seduti. V. Donato Oiannotti, La
repubblica fiorentina, lib. ii, e. vii, il quale dimostra come questa distinzione introdotta
da principio per saggio provvedimento, fu poi maneggiata dki Medici come artificio di ti-
rannide. ChÀ primieramente nella città, essendo tempo in cui una pestilenza mieteva e i
cittadini, abbandonando ogni ufficio, fuggivano; si pensò di trovare una misura che li
costringesse a non disertare la vita civile; fu però sancito che sarebbero stati incapaci
de* tre maggiori ulfic! della repubblica i figliuoli e i nipoti di quelli che non sedessero allora
in palazzo a disimpegnare i pubblici incarichi, essendo tratti dalle borse ; o almeno non si
presentassero in ringhiera nel giorno che i nuovi magistrati erano solennemente istallati.
Pertanto il significato delle parole sopracitate viene chiarito di leggieri, quando si toglie
la reticenza del diverso luogo, che è sottinteso, cioè: seduti in palazzo, veduti in ringhiera.
Pertanto nella Novella XXXVIII del Sbrmim, ed. Vigo, pag. 435, si legge:
« Sopra della ringhiera oramai veggio
U* sempre si de' dire il ben comuno
Nun andavvi nessuno,
Salvo che presentati a farli danno ».
Secondo il Forti {Foro fiorentino^ dal ms. ottob. 27S4) dicevasi poi visto in palazzo quello
ch'era stato imborsato ad uno degli offizl maggiori, come pure dicevasi visto alla parte,
chi era stato imborsato per gli offizi de' capitani di parte. Giudichiamo superfluo ragionare
qui degli statuali e degli aggravezzati, nelle quali categorie si comprendevano tutti quei
cittadini che non erano benefiziati.
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arcoNDo] LA CITTA E IL PALAZZO. 135
né ^stimolo alla virtù, né rispetto all'intelligenze presto ma-
ture.
Oltre al Consiglio grande, veniva dalla novella costituzione
instituito una specie di senato, composto di ottanta cittadini,
d'età non minore dei quaranta anni, i quali eletti di sei in sei
mesi e senza divieto di rielezione, erano i naturali consiglieri
della Signoria e dei magistrati. Questi, insieme co' Dieci di Li-
bertà, coll'officio degli accoppiatori e con alcuni onorevoli cit-
tadini secondo l'opportunità chiamati, formavano il Consiglio
dei Richiesti.^
Com' è ben facile accorgersi, la novella forma dello stato
fiorentino mostrava arieggiar quella della repubblica veneta;^
ma l'andazzo popolaresco volle troppo allargare il gran con-
siglio; e diffidando degli ottimati non tollerò che i Richiesti
stessero un anno in officio, come i Pregadi stavano a Venezia.
Del resto il corso degli affari andava cosi: la creazione
dei magistrati e degli officiali interni ed esterni, le delibera-
zioni relative alla guerra o alla pace, le imposizioni, le pro-
poste di leggi approvate prima dai Signori e Collegi, discusse
poi nel Consiglio degli Ottanta, si presentavano da ultimo nel
Consiglio grande, dove venivano definitivamente approvate o
respinte.
Com' è chiaro a chiunque osservi, il popolo poteva troppo
e poteva poco, e il governo ne usciva debole e infermiccio.
Da poi che il deliberar della guerra o della pace popolar-
mente conduceva a partiti più di ventura che di buon senno;
e la naturale avversione a' tributi rendeva estremamente diffi-
cile ottenere dal consiglio grande una provvisione di danari che
non arrivasse tarda e scarsa; faceva poi impossibile a dirittura
ottenere uno stanziamento segreto e condurre un affare per
modo che non fosse snocciolato prima innanzi alla moltitudine.
Quando poi all' incertezza della cosa pubblica si -pensò di
1 Secondo Testratto della provvisione di riforma della città e dello stato fiorentino,
dato dal Caioìstbini (Opp. vneàUe di Fr. GuiceiardÀni, voi. n, pag. 231), parrebbe che il
Consiglio dei Richiesti e quel degli Ottanta fossero una medesima cosa. Ma i libri delle
CoMuUe e pratiche dèlia rsp. fior, del 1500-1501 (Arch. fior., classe n, distins. 5, n. 182,
pag. 332) ci conducono ad altra sentensa. Quivi, per esempio, si legge: « A di 28 aprile 1501.
Nella sala vecchia del Consiglio alla presensa del Consiglio delli 80 e di circa XXti ri-
chiesti, Piero di M. Tommaso Soderini gonf. di just, dixe etc. » — Questi libri di Praiiche
e CannUie, che sono a risguardare come i processi verbali delle assemblee civili di quel
tempo, tornano d* utilità incomparabile per la storia e per la notizia particolare degli or-
dini amministrativi di Firense.
s V. neir Archivio veneto, t. vin, pag. 79, il bel giudizio dato dal Cipolla, Fra Qiro-
ìamo Sawmarola e la cotìUuxions vet^ta.
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136 INTRODUZIONE. [libto
portar rimedio, eleggendo a vita il gonfaloniere di giustizia,
(anche questo ad imitazione del duce perpetuo di Venezia),
1* autorità di lui venne praticamente a sopraffare la Signoria e
i Consigli; per quella riverenza naturale che gli veniva dal-
l'esser lui la sola persona che non mutasse in palazzo; per
quell'uso sottile d'artifici e di mezzucci che costituiscono la
tattica parlamentare, e ch'erano in mano sua. Inoltre sembra
che, assicuratosi il favore del Consiglio grande, il gonfaloniere
perpetuo sapesse schermirsi un po' troppo dagli Ottanta. In
iìatti il Guicciardini, standosi legato in Ispagna nel 1512, scri-
veva astiosamente della signoria fiorentina: « piglia consiglio
negli Ottanta; quando, di quello e secondo li pare »... - ... « e
se bene i magistrati si fanno in consiglio, pure anche la signo-
ria qualche volta in certi casi, offici e commissioni, elegge
qualche cancelliere e notaio di magistrati, cne non è anche
di poco momento ».
Può essere che queste parole non esprimano che l'ambi-
zione torbida e non soddisfatta d'un egoista intelligentissimo;
ma, ad ogni modo, un qualche fondamento di verità doveva es-
serci, e nel procedere del nostro esame c'incontrerà di sor-
prendere veramente qualche minuto schermo del Sederini co'di-
versi congegni della costituzione repubblicana, fatto sotto l'egida
del favor popolare. E dalle parole medesime del Guicciardini
ci par chiaro che nemmen la legge di riformazione delle can-
cellerie, la quale si deliberò su' primi dell'anno 1498, bastò
ad arrestare i sospetti de' meticolosi o le dicerie de' malevoli,
usi a designare in certi commissari eletti o ne' segretari pre-
feriti gli arcani strumenti dell'autorità soverchiante.
Partitisi i Medici di Firenze, fu rimosso tosto insieme con
altri cancellieri lo Scala, al quale era affidata la prima cancel-
leria. Poi la necessità delle cose e la migliore estimazione della
persona fecero ch'ei fosse rieletto e che per insino al 1497 re-
stasse in quell'ufficio, quand'ei venne a morte. La legge, che
poco appresso fu deliberata per la elezione de' cancellieri e
coadiutori, stabiliva che questa elezione avesse a farsi per modo
indiretto, dal Consiglio maggiore, cui spettava votare su quattro
nomi già squittinati nel Consiglio de' Richiesti. Inoltre stabQiva
il numero dei cancellieri e de' coadiutori da nominare; ad essi
limitava il salario; determinava il tempo durante il quale re-
stavano in officio, il termine entro il quale potevano rinunciare
a questo.
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^ SBCOICDO] LA CITTÀ E IL PALAZZO. 187
Nella stessa provvisione troviamo accettata e sanzionata
la distinzione tra la prima e la seconda cancelleria, ^ senza
che vengano distinte le attribuzioni dell'una e dell'altra, né
accennate le loro relazioni vicendevoli. Par certo, dall'ispe-
zione de' registri, che la seconda cancelleria trattasse più parti-
colarmente gli affari intemi del dominio; pertanto avendo un
cumulo materialmente più vasto di cose a disbrigare, al can-
celliere della seconda cancelleria erano assegnati due coadiu^
tori, mentre quel deUa prima non ne aveva che un solo; se non
che la ragione de' loro salari stabiliva, se non il grado della
loro accidentale importanza, quello della loro personale subor-
dinazione nell'ufficio.
Inoltre ad essi, al cancelliere delle riformazioni, a quello
^ Vedi nairAppeDdice la Promisiané éU, Riforma deUa Canceììaria. — Circa alle in-
combenxe de'cancellieri, vedi gli SUUuta populi et Comminw Florentiae, Friburgo, 1783,
apnd Michaelem Klnch, traci, i, lib. v, t. ii, pag. 099; « de offitio notarii et scribae do^
fnmorum priorum ». Negli stessi sUtuti, a pag. 7QS, è detto : «« Et teneatur, et debeat
notarìus et scriba praedtcti babere unum libmm in quo scribere debeat per se vel eins
coadiutorem omnia et singnla ordinamenta, quae Derent per praefatos dominos et coUegia
vai -vigore coinscamque baliae eisdem qnomodolibet competentis, ut sic semper et de fa-
cili reperìri possint, qui debeat remanere penes eius successorem, in quo etiam successor
scribere possit et debeat ordinamenta 'praedicta ». È probabile che oltre alla trascrisione
degli ordinamenta si praticasse per consuetudine di far estratti di documenti e reiasione
degli avvenimenti contemporanei, nella quale occupazione si addestrassero probabilmente
coloro che si preparavano a diventare poi coadiutori. Pertanto nelle Hiatorie fiorentine di
PiBEo BoNiNSEGNi, lib. II, pag. 314, occorre di trovar notato fra. le spese del Cornane del-
Tanno 133S: « Al notaio che registra i fatti del Comune 1. 100 ». Che per fermo le can-
cellerie de' Comuni liberi s'ebbero a costituire con qualche rispetto d'analogia all'antica
cancelleria imperiale, e le attribusioni dei cancellante dei referendarii e dei notarii, quelle
del magister memoriae, del magister epistolarum, del magister libellornm si cumularono
probabilmente nel capo della cancelleria comunale. Secondo questa analogia si costituirono
le cancellerie degli antichi stati germanici e quella del regno di Francia (Cf. Notitia imp.
occid.y ed. Boxino, pag. 60. — Cl. Salmasii, De secretariis dissertano, in Sallbnorb,
Novus thesauriM antiquitatum romanarum, t. ii, pag. 662 e seg. — Sickbl, Lehre von
den Urkunden der ersten Karolinger, Wien, 1867, pkg. 72). — Qual maraviglia che questo
accadesse anche in Italia? >- Cosi, era debito del notaio fiorentino « in arte dictaminis
eapert^tó » scrìvere tutte le lettere a nome del Comune agli ambasciadori ; « quando essi
tornavano doveva ricevere e registrare i rapporti delle loro ambascerie, datogli prima il
giuramento che quello avessero fatto con ogni puntualità. Si apparteneva alla sua carica
far la fede e attestati di cittadinanxa e di nobiltà e l'attestazione di chi era stato notaio
e di che luogo. Scriveva ancora per esso Comune tutte le cose che fossero state di bisogno
e faceva generalmente tutto quello quanto per debito era tenuto ». Cosi il Forti, Foro
fiorentino (dal Cod. ottob. 8784, cap. 36). — Ora è ben naturale che la necessità condu-
cesse a distinguere presto in due sezioni diverse la cancelleria,' e la distinzione più logica
avrebbe recato che l^xna di quelle attendesse solo al disbrigo degli aifari intemi del do-
minio e l'altra a quello degli estemi ; ma la responsabilità concentrata in un solo cancel-
liere menava naturalmente a pregiudicare in fatto non di rado questa distinzione. Neil' Ar-
chino fiorentino i registri di lèttere della seconda cancelleria cominciano coiranno 1441,
sebbene vi sia poi una lacuna dal 1446 al 1469 incinsi vamente. Nei primi anni (1441 e se-
guenti), quando cioè era cancelliere Leonardo Bmni, sembra che di fatto alla seconda can-
cellerìa fosse preposto .un ser Giovanni Guiducci. Nel 1470 si trova rìsiedere in quell'uf-
ficio ser Antonio di Mariano Muzzi. Gli succede nel 1475, a quanto pare, ser Niccolò di
Michele di Feo Dini; to/na nel 1400 ser Antonio Muzzi; nel 1495 v'ò ser Francesco Gaddi;
comincia nel 1499 il Machiavelli.
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188 INTRODUZIONE. [l
delle tratte, a' loro coadiutori, al coadiutore del notaio dei
Signori, a' due segretari della Signoria i salari venivano pa-
gati di mese in mese, senza altro apposito stanziamento dal Ga-
merlingo delle graticole del Monte. Pertanto è solo ne' qua-
derni di cassa di costui che s'incontrano appunti di pagamenti
all'Adriani; mentre, all' infuori dei libri del Monte, i molte-
plici stanziamenti a favore del Machiavelli, quelli pel Bonac-
corsi 0 per Agostino da Terranova accadon sempre in seguito
di qualche particolare commissione loro affidata, e non mai pel
consueto ufficio di lui o per la loro coadiutoria.
Ciò posto, diamo un'occhiata alla condizione del Machia-
velli, quale la dovette essere per forza della sua elezione e in
conseguenza della provvisione predetta. In forza della sua ele-
zione, a' di 15 del giugno 1498, egli venne preferito in Con-
siglio maggiore a Francesco de' Gaddi, a Ser Andrea Ro-
muli, a Francesco di Ser Baroni, eh' erano stati con lui
squittinati nel consiglio de' Richiesti, per succedere nel luogo
di Alessandro Braccesi. Ora il Braccesi, insieme col della Valle,
era stato* bensì de' segretari della Signoria; ma non il can-
celliere della cancelleria seconda; nel qual luogo, come la
provvisione ci avverte, serviva ser Antonio di Mariano Muzzi.
Inoltre, circa a un mese dopo, a' 14 di luglio, i Signori coman-
dano a Niccolò che sotto pena della loro indignazione e per
insino a tutto il mese d'agosto prossimo stia anche a' servigi
dei Dieci: ^ ne' quali offici venne mantenuto in seguito. È però
luogo a credere che la condizione del Machiavelli come capo
della seconda cancelleria fosse più di fatto che di diritto; che
egli succedesse nel luogo ^i ser Antonio Muzzi non per es-
sere stato nominato successore a quello, ma per avere eserci-
tato quelle stesse funzioni, che dopo del Muzzi aveva disimpe-
gnate ser Francesco Gaddi; senza che di quest'ultimo la prov-
visione di riforma tenesse ragione come di cancelliere della
seconda cancelleria.
Parimenti è luogo a credere che, per essere stato pre-
scelto a successore del Braccesi, come uno dei segretari della
Signoria, fosse poi destinato dalla Signoria a servigio dei Dieci.
Pertanto, lo ripetiamo, in questi offici di Niccolò occorre piut-
tosto una surrogazione di fatto che una elezione di diritto ; e
> V. le deliberazioni relative a queste dae nomine neirArch. di Stato in Firence (Delib.
dei signori e collegi del 1497-98, a e. 79) pubblicate dal Passbuni nella ptefaiione al toI. i
deiropp. del M., edi2. ultima, pag. lix-lx.
k.
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secondo] la città e il PALAZZO. 139
questa qualità, e le precarie commessene, e le condotte occasio-
nali a tempo della istituzione delle milizie, cagionarono quella
molteplicità e confusione di titoli che s' incontra nelle lettere
a lui dirette per tutto il tempo che servi la repubblica, ^ e che
rimase poi fra gli storici quando cercarono di determinare la
precisa natura deiroflScio di lui nell'amministrazione fiorentina.
Inoltre la provvisione di riforma lasciava libero a ciasche-
duno che interveniva nel Consiglio dei Richiesti di dare il
proprio voto a persona « di quella qualità et conditione che a
lui pareva e piaceva non ostante alcuna proibizione o divieto ».
E questo significa anzitutto ch'era il favore, cioè le fave nere,
che decidevano dell'elezione; e che a tener della legge ba-
stava essere eletto per essere eleggibile. Quindi è ben vero che
i candidati non avevano timore che contro loro s'affacciasse
pretesto d'incapacità legale; ma è pur vero che dell'uflScio loro
non erano mai sicuri, dovendo dopo due anni andar sottoposti
alla riconferma del maggior Consiglio, e poi esser raffermi di
anno in anno e con un numero tale di suffragi da non rendere
incerto il favore della maggioranza assoluta verso di loro. Per-
tanto quando le mene dei malevoli di Niccolò per ottonerò
ch'egli sia privato dei suoi incarichi, secondo il disposto d'an-
tiche leggi che l'avrebber reso incapace ad offici pubblici, git-
tano in campo un divieto, fondato sopra una misteriosa condi-
zione di fatto del padre suo;^ il Bonaccorsi riesce ad allon-
tanar la tempesta dal capo dell'amico, producendo la leggo
della riformazione, benché gli avversari cercassero stiracchiarla
per mille versi e darle interpretazioni sinistre.
Ma quel che sopra tutto dovea riescir difficile, in tanto
arruffio di parti che agitava Firenze, era il tenersi conciliati
a forza d* imparzialità, di segretezza, di prudenza i diversi par-
titi politici ne' quali si divideva il Consiglio, tanto da non es-
sere abbandonato a' tempi delle rafferme. E questo riusciva
anche più difficile, quando non era che il raccostarsi occasio-
> Dalla cancelleria gli si dà più regolarmente il titolo di « seeretario et mandatario
fior. » — Roberto Acciaioli lo intitola « secretarlo de Ili exc'eUi signori » (busta iv, doc. M.,
n. 50). — Alessandro Nasi scrive « N. d. M. secr. fior, praecipuo » (ibid., iv, 57). E tutt«
queste intitolazioni e le speciali, secondo la qualità delle commesserie e delle funzioni che
esercita, vengono a quando a quando o esagerate dall'adulazione o diminuite dalla negli-
genza 0 dalla fretta degli scriventi. Nella Submissio civitatis Piearum, che rechiamo in
appendice, s' incontra il nome del Machiavelli subito dopo quello di Marcello Virgilio « primo
seeretario excelse Dominationis Fiorentine », e quivi viene indicato come « etiam secre-
torio D. prefate ».
* Vedi più oltre, al capo sesto il testo della Lettera di Biaoio Bomaccobsi, e T inter-
pretazione datane da noi.
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140 INTRODUZIONE. [lmbo
naie delle fazioni che componeva le maggioranze delFassemblea*
Niccolò tra i bigi non aveva molti fautori; Marcello Virgilio li
accarezzava. Le inclinazioni personali del Machiavelli lo fa-
cevano meglio accetto ai compagnacci; a coloro cioè a' quali
non garbava quanto di fratesco era nel reggimento libero, in-
trodotto pe* conforti del Savonarola. Di essi erano in Consiglio
circa a centocinquanta, e secondo che nota il Pitti, ' • « vi da-
vano, gran tracollo ai partiti ». Co* piagnoni poteva avere ud
appicco che, seppure non gli guadagnava appoggio, almeno
sospendeva le malvoglienze, per mezzo di Niccolò d'Alessandro
Machiavelli, suo cugino e seguitatore ardente del frate.* A
conciliarsi la grazia e la fede degli ottimati mettea cura e
industria grandissima, e quando gli capita occasione d'accapar-
rarsi un Albizi, un Salviati, un Sederini, un Vettori, ei non
lascia sfuggirsela, aborrendo pur sempre da modi lusinghieri e
bassezze cortigianesche. ^
Alle occupazioni molteplici dell'ufficio suo mal potremmo
assegnare un limite, o tracciare i gradi dell'importanza per cui
si accrebbero, o il punto da cui s' incominciarono. Dappoi che
non è verosimile che, senza alcun tirocinio, ei fosse destinato
di balzo alle maggiori faccende. Si racconta del signore d'Ar-
genson, ministro di Luigi decimoquinto, che avesse avvezzi gli
impiegati suol a fare estratti di lettere per riferirne con brevità
a' consigli.'* Probabilmente già da pi-ima la Signoria di Firenze
aveva voluto lo stesso dai suoi cancellieri ; ed era precisamente
quest'ufficio che gli scaltriva a' più gravi maneggi della cosa
pubblica e rendeva possibile a' mutabili priori l'assumere rapi-
damente il filo degli afiari avviati. E vedemmo già come il Ma-
chiavelli ne compilò e come invigilò che i coadiutori ne compi-
lassero. E ^mentiris, Biasio annota egli in margine a' tran-
sunti del Bonaccorsi, quando questi nel cavare il succo dei
* Pitti, Storia di Firenze, 1. i, pag.5l.
* Nella « Lista de' sottcscripti in favore de frale Teronimo Savonarola » occorrono : Nic-
colò de Lixandro Malchiauelli e Lisandro de Niccolò Mnlchianellì. Cf. Arch. stor. lomb.,
t. I, 1S71. — Portigli, Nuovi documenti iul Savonarola, pag. 342-313.
* BiBL. NAZ., doc. Machiavelli, iv, 104, lettera di Biagio Buonaccorsi a N. M. « .... et
poi io fo delle cose che non fareste voi, et pure sono necessarie; perchè tutti li huomini
vogliono essere ricognosciuti et honorati et pregati, ancorché le cose sieno chiare, et pare
conveniente che chi serve ne sia ringratiato et pregato prima et ripregato ; ad che quanto
voi siete apto, lo lascio judicare ad voi ».
* et. Flassan, Hiitoire g'nàrale de la diplomatie frat^aise: « (M. d'Àrgenson) avait
habitué ses employé à faire des extraits de toutes les dépéches et offlces, ce qui lui 8er>
vait à rapporter sommairement au conseil les affaires qui meritaient moins de dìscussion ».
V. anche la Guide diplomatique del Martbns, pag. 32.
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8BOONDO] LA CITTÀ E IL PALAZZO. 141
documenti non è esattissimo. ^ Lo vedrem poi talora assistere
alle Pratiche^ alle Consulte, alle Disamine e distenderne i ver-
bali ; * attendere alle minute bisogne della cancelleria, dar prova
della fede e della industre sottigliezza sua ad ogni atto ; guardarsi
che nulla s' interpreti nella sua condotta, che paia accennare ad
altro da quel ohe come pubblico officiale gli si appartiene.
Chi considerasse il solo suo lavoro neir interno della can-
celleria avrebbe occasione d'ammirar la grande e sottile ope-
rosità di lui ; 8 ma ben presto i Signori l'adoperano nelle commes-
sene, lo inviano come mandatario presso a' potenti, cui non
sì conveniva o non si voleva mandare oratori; o lo inviano a
preparare la strada a questi, o lo metton loro a' jBanchi per-
chè tracci il sentiero e non paia; insinui il partito e non ne
pretenda il merito; dlscerna (Juel che questi non veggono;
penetri dove questi non vanno, sia come l'anima che move il
corpo e s'accontenta di rimanere invisibile.
Per questi modi egli acquistò tal gloria al suo titolo mo-
desto di segretario, che altri poi a titolo più pomposo non
seppe. 4 E quando andò straordinariamente oratore fu meno
pel rispetto della nobile casata di Machiavelli, meno per la
rara intelligenza e per la fede sua che per la necessità dello
stato e per la straordinaria condizione della repubblica, ch'ei
fu mandato con quel grado.
' Quale poi fosse o l' ideale eh' ei si propose della persona
del segretario, o la conclusione a cui venne per la esperienza
fattA di quell'ufficio; ci convien raccoglierlo dalle considera-
zioni eh' ei ne scrisse poscia che ne fu allontanato, e quand'egli
accenna non senza compiacimento la fatica pericolosa e diffi-
cile che in quello ebbe a durare.
Ei non dissimula esser cosa certissima, che coloro « che
consigliano una" repubblica e quelli che consigliano un prin-
* BiBL. NAZ-, doc. MachiaTelli, busta i, 83. V. edis. ultima delle opere, voi. ni, pag. 43.
* Oltre la Consulta w debba farai l'impresa di Cascina, che trovasi fra i Documenti
Machiavelli nella Bibl. Naz., basta i, n. 71, si hanno nell'Archivio di Stato in Firenze, di
mano del Machiavelli fra le Consulte e Pratiche, voi. C7, mod., il verbale della Consulta
« die XV octobris 1499 » pag. 131t.-135; altro ^ die xvin decembris 99 *, ibid., pag. 17dt-177.
B nel medesimo libro, da pag. 18S sino alla 183 inclt^sive, occorrono sette minute di let-
tere inserte di mano del M. medesimo.
» Vedi nell'Appendice V Elenco degli autografi di N. M., che si conservano nell'Ar-
chivio di Stato.
* n Nrm, MachiaveÙi studiato nella vita e nelle dottrine, pag. 54-55, in nota, rilevò
egregiamente la importanza del M. nelle diverse commissioni diplomatiche, e il valore ef-
fettivo che i mandatari della Repubblica avevano per rispetto agli oratori nel secolo de*
cimosesto.
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l« INTRODUZIONE. [lbbo
cipe sono posti intra queste angustie, che se non consigliano
le cose che paiono loro utili o per la città o per il principe,
senza rispetto, ei mancano dell' ulBcio loro; se le consigliano
egli entrano nel pericolo della vita e dello stato; essendo
tutti gli uomini in questo ciechi, di giudicare i buoni e cattivi
consigli dal fine ». ^ E pensando in che modo fosse a sfuggire
0 quell'infamia o questo pericolo, e fatto scòrto, forse dopo suo
danno, dell'opportunità della massima, ei deve convincersi che
altra via non e' è se non < pigliar le cose moderatamente, e
non ne prendere alcuna per sua impresa, e dire l'opinione sua
senza passione, e senza passione con modestia difenderla; in
modo che se la città o il principe la segue, che la segua vo-
lontario e non paia che vi venga tirato dall'importunità altrui.
^ « Quando tu faccia così, conclude Niccolò, non è ragionevole
che un principe ed un popolo del tuo consiglio ti voglia male, non
essendo seguito contro alla voglia di molti; perchè quivi si porta
pericolo dove molti hanno contraddetto, i quali poi nell'infe-
lice fine concorrono a farti rovinare. E se in questo caso si
manca di qualche gloria, che si acquista nell'esser solo contro
molti a consigliare una cosa, quando ella sortisce buon fine,
ci sono al rincontro due beni: il primo di mancare del peri-
colo ; il secondo, che se tu consigli una cosa modestamente, e
per la contradizione il tuo consiglio non sia preso, e per il
consiglio d* altrui ne seguiti qualche rovina, ne risulta a te
grandissima gloria. E benché la gloria che s'acquista de' mali
che abbia la tua città o il tuo principe non si possa godere,
nondimeno è da tenerne qualche conto ». ^
Ma avrà egli Q Macchiavelli serbato sempre quell'equani-
mità gelida nel consigliare, ch'esso raccomanda? avrà egli sa-
puto schivare il pericolo che viene dal sostenere un partito
con calore, egli il restitutore delle milizie comunali, egli il
contradittore di certi aforismi e di certe pratiche che pare-
vano tutto lo stillato degli accorgimenti de' politicanti di pa-
lazzo, tutto il senno del popolo baloccato? o non era per la
esperimentata ragion de' contrari ch*ei si faceva tardi a spe-
culare quale è la via di non riuscire a' propri danni per chi
consiglia principi o popoli ? fin dove arrivò la prudenza fredda
del cancelliere o dove la vinse l'ardore del cittadino, la con-
* Machiavelli, Discorsi, lib. ni, cap. 35.
* Machiavelli, loc. cit.
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«BCOiCDoJ LA CITTÀ E IL PALAZZO. 14S
sapevolezza del proprio genio politico, reccltamento deiranimo
alla vista de* pericoli della patria?
Anzi tutto egli si trovava a fronte un ricettario invec-
chiato di massime tradizionali, di cui s'afforzavano allora gli
uomini di governo e dal quale traevano nelle cangiati condi-
zioni de* tempi la ragione di decidere senz'altro esame: — Toro
essere il nerbo delle guerre ^ — la cavalleria giovar nelle bat-
taglie più che i fanti ^ — esser Pistoia a tener colle parti, Pisa
colle fortezze 3 — fondare sul fango chi fonda sul popolo* —
convenirsi godere i benefici del tempo. ^
1 Machiavblli, JHteorti, lib. n, cap. x. — Questa mMsimA, a dir yero, è piuttosto a
risgaardare come denyazione della coltura classica che del pregiudizio mercantesco. (Gf.
CicBBOMB, PhiUppica, ▼, § 8: « Prìmum nenros belli, pecuniam intpitam, qua nunc eget;
deinde equitatum, quantum velit ». E Tucidide, lib. vi 34: « XJgxiévt 'yàp xal àp^pov
irXtìaTcv xsxmvrai, o^iv on mXep/v< xoù raXXa iuitcpcl ». Scipione Obmtilb nelle sue
Ditputationes iUtutres the de Jurs p^bUeo popuU romani, nel Th$$aur. antiquU. roman.
9t groéc. del Polsho, t. i. 1138, reca i seguenti parerga militaria, che sanno proprio d*an-
tiiDachiavellisroo : « I. Non esse peditatus, quam equitatus majorem rationem habendam,
eamque ad rem perperam vulgo atque a pmdentissimis Yiris obijci instituta Romana. —
II. Vere a Q. Curtio et aliis dictum: Nervos belli pecuniam esse; yerius a Muoiano: belli
cìtìIìs. — in. Arces et propugnacula adversus hostes extrui, utilissimum ; neqne aliud sen-
■isaa Romanos, centra quam scriptor callidissimus putat... — IV. Oermanos non tam
disciplina militari a Romanis superatos fuisse, quam genere pugnae, genere armorum ». —
A noi, per verità, non successe di ritrovare in Quinto Curzio la sentensa che a lui e ad altri
attribuisce Scipione Gentile. Bensi vi leggemmo qualcosa che suona il contrario, e lo citiamo
dalla traduzione di Candido Dbcbmbbio, ch*era già a stampa nel 1478, lib. nr: « Le ghuerre
col ferro et jaon colPoro, con gli huomini et non cogli edifici! delle città fare si sogliono ».
Se non che tutto questo prova una cosa: che il Gentile, nel comporre que*suoi Parerga,
non ebbe dinanzi Quinto Curzio, ma invece tenne sott'occhlo i Discorsi del Machiavelli, che
non volle nominare ; quantunque per la crt&^ione si fidasse interamente alPautorità di lui.
Infatti questi, che sentiva come la massima che i danari sono il nervo della guerra, de-
rivava da autorità di classici sfruttate da pedanti, non ricordando precisamente ove quel
tasto si leggesse, scrive inesattamente : « La quale sentenza è detta da Quinto Curzio nella
guerra che fu intra Antipatro macedone e il re Spartano; dove narra che per difetto di
danari il re di Sparta fu necessitato azzuffarsi, e fu rotto ; che s^i differiva la zuffa pochi
giorni, veniva la nuova in Grecia della morte d* Alessandro, donde e*sarebbe rimaso vin-
citore senza combattere. Ma mancandogli i danari e dubitando che lo esercito suo per di-
fetto di quelli non lo abbandonasse, fu constrettp tentare la fortuna della zuffa; talchò
Quinto Curzio per questa cagione afferma, i danari essere il nervo della guerra ». — Ora
Quinto Curzio non afferma nulla di tutto questo; della guerra fra Antipatro e Aglde, fra
Macedoni e Spartani, tratU nel libro vi, in principio (Cf. De rebiM gesti» Alea^andri Magni,
loc. cit.); e nò quivi né altrove si dice nulla di quanto il Machiavelli asserisce (Cf. Ma-
CHU VELLI, Diàcorsi, lib. n, cap. x). Nelle Hore di ricrecUione di L. GqcciABDiNi, pag. 198,
si accenna a* danari come nervo della guerra; e quivi Taforismo, composto in modo più
rasionale e meglio conforme alla sentenza da noi recata di Tucidide, si attribuisce a Gian
Giacomo Trivulzio.
> Machiavelli, Discorsi, lib. n, cap. xviii.
« Machiavelli, Discorsi, lib. ni, cap. xxvn. E relativamente al tenere Pistoia colle
parti, in una lettera scrìtta da Niccolò a nome dei Priori e del Gonfaloniere « ex palatio
die i^ junii mcccccj » ai Commissari fiorentini, si legge: « La ragione vi s*ò detta di sopra,
che è non ci parere tempo a fare disperare alcuna di cotesto parti. Voi siete prudenti, nò
qui manca chi intenda le cose di costà; e fu sempre mai giudicato utile el tenere la cosa
bilanciata fra loro ; e se mai fu, si giudica al presente, ecc. » — V. Tedizione Passerini-
Milanesi, Opp. di M., t. m, pag. 324.
^ Machia VBLU, Principe, ix.
» V. Machuvblli, Discorsi, i, 88, n, 15. — Guicciabdihi, Ricordi poUHei e civUi, lxxix
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144 INTRODUZIONE. [libbo
A petto di queste fredde regole, che avevatio la preten-
sione di far trapassare l'opportunità in consuetudine e di sur-
rogare col precetto cieco la sopra weglianza continua dell'in-
telletto su i fatti, s'apriva il cuore del popolo, richiamato in
un subit» potentemente alla vita politica, per opera del Savo-
narola. E dal popolo uscivano pensieri pieni di affetto, ma non
punto respettivi della necessità giornaliera; pensieri diritti, ma
non buoni a far computo degli ostacoli grossi che stavano op-
posti; pensieri che avrebbero rinnovellato tutti gli ordini in
un momento, come se la parte vecchia non istesse sotto; come
se con quella non si avesse ad addentellare il nuovo, se quella
non si avesse o a tramutare o a radere. Oltre a ciò, i con-
fini dello stato,""come non gli intendeva il frate, cosi non li
conosceva il popolo ; e molti cercavano con proposte e con sup-
plicazioni di provvisioni e di leggi, ricondurre colla violenza nella
città la virtù e l'amore del bene comune. Veggasene a riprova
la Riforma sancia et pretiosa fatta da Domenico- di Roberto di
Ser Mainardo Cocchi. ^ Questo libriccino prezioso davvero e
— NsRLi, Commentari^ lib. ▼, il quale scrive del Soderini : « Non seppe mai esser prìn-
cipe né cattivo nò buono, e credette troppo colla pazienza, godendo, come si dice, U be-
neficio del tempo, superare tutte le difficoltà che se gli opponevano, etc. ». Dalla più su-
perficiale ispezione delle Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina apparisce per ogni
verso come cosifTatta massima fosse fitta e radicata nell'animo e nell'ossa de'cittadini. Dal
Codice Ottoboniano 2759 della Bibl. Vaticana, che contiene non piccola parte delle Con-
mite di questi tempi, togliamo a comprova i seguenti estratti:
« Cod. ott. 2750. Consulte e pratiche. Consulta a di nxx di luglio, pag. 57. M. An-
tonio Strozzi Che non si ritirerebbe per ancora né con Francia né con nessuno ; et circa
al mandare 1* imbasciadori (a Massimiliano) che soprasedrebbe (sic) per valersi del bene-
ficio del tempo et in tanto tenerli a ordine che pure quando il bisogno venissi non si habbìa
a tardare ».
E più sotto, pag. 58: « Luca di Maxo {degli Albizi): idem adintare el beneficio del
tempo col mandare uno ad Milano ».
Pag. 60. Consulta sei,... settembre 1507. Pierfranc. Tosinghi dixe: Che circa le cose
di Francia godeva il beneficio del tempo.
Pag. 62 t. Lorenzo Neroni el medesimo che M. Francescho Pepi ; et tanto più sendosi
sempre consigliato di godere el beneficio del tempo et tanto più bora havendo ordinato
d* intendere, ricordò el farsi amici.
Antonio Canigiani el medesimo
Giovanni Pitti
Giovanni Corsi
Tommaso Tosinghi ' ^^ rnedenìmo.
Filippo della Antella .
Pag. 65. Bernardo Nasi dixe :
« Che la cosa s'era ben consigliata; et in efl'ecto el beneficio del tempo é util cosa et
confirmò in tutto al decto del Oualterotto ».
Lo stesso per la Consulta die xxi octobrìs 1507. pag. 79 tergo, die xiii nov. 1507. M. Fr.
Gualterotti: « et potendosi errare a mandare et non mandare, nelle cose dubbie ò manco
pericolo godere al beneficio del tempo ». — V. ne'Detti e fatti di Lud. Ooicciabdikx, Ve-
nezia, 4571, Torigine del detto « godere il beneficio del tempo ».
* La citiamo da una copia che ne possediamo, in-8. Il Mobeni, BibUogr. cit.j dubita so
questa edizione in-8 e quella ^n-4 dell* istess'anno contengano la medesima opera del Gecchi,
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«ECONDoJ • LA CITTÀ E IL PALAZZO. 145
rarissimo, può a buon diritto considerarsi come il programma
di tutte l'aspirazioni popolari di quel tempo. Scritto con una
semplicità e una fede grandissima, va, senza torcere e come
una spada, dove vuol colpire : — <i Di ciò che fai raguarda al
fine » — , scrive ser Domenico, e vuole: stabilita guardia e difesa
alla libertà e alla vita comune, « imperò sapete che ghuasta
più uno manovale, che non rachoncierebano ciento maestri > — ;
accresciuto il Consiglio grande, perchè non si dica, come a Ve-
nezia: «chi à reggiménto, paghi»; e tutti pagheranno volen-
tieri la loro decima, partecipando al governo. E qiielli « che
anno fatto bottega dello stato, faranno bottega di lana o di seta
o d'altre mercatanzie e faranno buone le gabbelle e daranno
le spese al popolo ». S'istituisca un Consiglio piccolo che tratti
gli affari che restino sotto all'importare di seicento lire. « Non
si muti gravezza, non si metta arbitrio ; s' imponga una decima
l'anno anche ai preti e d'accordo con loro. — «S'ànno a guardare
e' loro beni come e' nostri... e loro non anno spesa di figliuoli
e noi si ». — Si limitino le doti alle fanciulle ; si proibisca
far doni; libero chi vuole edificare e senza imposizione di tasse:
un magistrato nuovo sopravvegli che i debitori paghino esatti;
un sindacato di dottori forestieri sindachi tutti gli oflSzi di Fi-
renze e guardi che le leggi si osservino. Si allarghi lo studio
fiorentino, i giudei si scaccino, i colpevoli contro al buon co-
stume si opprimano con pene; si scrivano ed esercitino milizie
paesane nella città, nel contado e nel territorio di Firenze:
< e non aremo a fidare di forestieri che come egli anno presi "
e' nostri danari, rendono l'arme anno accattate per far la mo-
stra, e assai se ne vanno con dio. Vedete a che modo possiamo
esser difesi, e vedete quanti danari si sono gittati via, per non
essere buono ordine: e cosi interverrebbe per l'ay venire se non
pigliate quest'ordine buono. I nostri danari non gli avranno
e' forestieri! » — Così il popolo, i generosi del popolo, che vedono
spesso il segno dove si deve andare, ma non sanno mai la strada
e se questa riforma sia tutt'una cosa coll'opera di lui intitolata Pì'OTvedigioni e léggi da
ouervarsi dalkt Repubblica fiorentina, per Francesco di Di9w di Iacopo, 1496. Nella nostra
copia il titolo ò supplito con ms. al modo seguente: « Riforma sancta kt pbbtiosa lia
fatta Domenico di Ruberto di ser Mainardo Cecchi per chonservazione della città di Fi-
renze pel ben comune e questo el buono et vero lume et tesoro dognuno et della città
et farà hoservare la giustizia et buon (joverno & notate bene hogni cosa che questa è la
uera et buona uia a venire presto in gran felicità gniuno et. et. Et dipoi in brieve tempo
tutta italia. et tutto l'universo mondo per che impareranno da questa et. et. » Dalla de-
scrizione del contenuto nell'ediz. in-4, osservata dal Moreni, rileviamo che questo è identico
affatto a quello della nostra edii. in-8 che quegli non vide.
ToMMA8I^-I - MachtatelU. U
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.116 INTRODUZIONE. [tiBEo
che a quello conduce, né punto voglion credere che la distanza
abbia ad essere lunga. Se non che quando questi non* vanno
errati nel far giudizio delle generalità, tocca all'uomo di stato
il preparare e l'acconciare i particolari e far che s'accordino
Taspirazioni popolari e i processi del governo, la politica
della città e quella del palazzo. ^ E noi vedrem Niccolò co-
raggiosamente accingersi all'opra e, attingendo ispirazione dal
popolo e conforto dagli antichi statuti della città, preparare
la più grande e salutifera riforma dello statò moderno, resti-
taire le milizie paesane siccome* la naturale e la più eflScace
«Ielle difese, la migliore malleveria per l'ordine civile.
Ma al disotto del popolo operoso e inesperto c'è il volgo
bestiale e ritroso; e il pregiudizio volgare pareva a quando
a quando levarsi anche sopra il capo de' burbanzosi pramma-
tici e alla ponderata azione dell'uomo di stato aggiungere osta-
coli nuovi e formidabili. — « Né Dieci, né danari non fan pei
nostri pari > ^ — ricantavano i monelli per le vie di Firenze,
quando il popolo smunto delle sostanze e del sangue dal re
(li Francia, da Massimiliano, dal duca di Milano, da' Vene-
ziani, dalle condotte, dai mercenari, dall'assedio di Pisa, dalla
ribellione d'Arezzo e Val di Chiana, dalle minaccio del Valen-
tino e de' Medici, non volea più né guerra né tasse, e cancel-
lando i Dieci che amministravano la guerra, credeva d'aver
tolto di mezzo la guerra. Povero popolo! pensava senza dubbio
allora il Cancelliere de' Dieci; povero popolo, che non si capacita
che la cagione del male é la febbre e non il medico ; ma tut-
tavia aspettò altra stagione per annotare « come in diversi po-
poli spesso si veggono intervenire i medesimi accidenti », e
come vedendo anche il popolo di Roma nascere una guerra
dall'altra e non poter mai riposarsi « la prese coi consoli e non
coU'ambizione dei vicini », e pensarono per questo che fosse ne-
cessario « o levar via i consoli, o regolare in modo la loro po-
destà eh' e' non avessino autorità sopra il popolo né fuori, né
in casa ». —
Parimenti, quando i Fiorentini mettevano tutti, i loro sforzi
a ridurre Pisa nuovamente in servaggio, ^ e sopportavano tra-
• V. MAcmAVBLLi, Discorsi, 1. ii, e. xltiii.
• Machiavelli, Discorsi, i, 171. — Guicciabdxni, Storia di Firenze, cap. xix.
« « Pisa dà a vivere a tutta la Toscaba e fa frutti per anni cinque », scriveva il Fo-
«CABi nella sua Ambasceria, riferita dal Sanuto (V. Arch. slor. ital., serie 1», t. vn, p. ii,
pag. 946).
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«KCONDo] LA CITTA E IL PALAZZO. 147
versie, torti, spese d'ogni maniera per riuscire a questo scopo,
e i Pisani si appigliavano a' ferri infocati pur di non rica-
dere sotto al giogo di quelli; Niccolò coll'ordinamento delle
milizie, co' preparativi della guerra, colle trattative dirette e
indirette fece per mare e per terra onde procurare il ria-
<5quisto di quell'erpicate consumata città; ma ad altra età della
vita soltanto scrisse parole, che sapessero di compassione per
quell'infelice repubblica, e solo allora pronunciò questa sen-
tenza, quando non gli poteva esser rimproverata come incongrua
e inofficiosa: « di tutte le servitù dure, quella è durissima che
ti sottomette a una repubblica; Tuna, perchè la è più durabile
-e meno si può sperare d'uscirne; l'altra perchè il fine della
repubblica è snervare e indebolire, per accrescere il corpo
suo, tutti gli altri corpi ».}
Chi avesse manifestamente compassionato Pisa, correva
allora troppo gran pericolo, e Niccolò si tacque; quantunque
da prudente sentisse che pigliar cura di governare città con
violenza, « massime quelle che fussino consuete a viver libere,
è una cosa difficile e faticosa », ^
Ma il popolo non voleva solò il fine a suo modo; anche
i mezzi dovevano essier quelli che più gli piacessero : Pisa do-
veva pigliarsi per assalto e non per fame. E non solò ai
partiti, ma alle avversioni e alle simpatie popolari, cosi spesso
e repentinamente mutabili, era un gran guaio contrastare. -
Né pericolava meno chi si sbracciasse per le cose di chi
vezzeggiasse uomini. Dappoiché oggi erano i frateschi al go-
verno: domani i medicei: posdomani altri ottimati che non fos-
sero ne pel frate né per le palle. Bernardo del Nero, Niccolò
Ridolfi, Lorenzo Tornabuoni erano stati de' Signori, e lasciarono
pochi mesi dopo il capo sotto la scure; Francesco Valori, l'anima
del popolo, ebbe pur egli le case assediate dalla bordaglia; che,
mortagli la moglie, trucidò anche lui sulla pubblica via; il Sa-
vonarola riforma oggi la città e intrattiene il re di Francia,
domani brucia appiccato e maledetto a un palo di piazza. E
Paolo Vitelli?..... questi e la sua disavventura ci porgon più
chiara occasione di considerare la cautela con cui Niccolò cer-
^ Machiavelli, Discorsi, lib. ii, 2.
* Il Parenti, {Storie, ras. anno 1500, del mese di luglio) ci racconta invece la sorte
<che toccò a chi fu roen prudente del Segretario : « Giovan Francesco di messer Poggio
lìracclolini, canonica del .duomo, accusato da' Frateschi d'aver detto che i Pisani avean
ragione di voler conservarsi in libertit, fu, confinato per cinque anni». —
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148 IXTRODUZirjyp:. [libro
cava di salvare la sua qualità officiale, col pieno soffocamento
dell'opinione e del sentimento individuale; anzi un documento
nel quale, secondo eh' è proprietà del pensiero di Niccolò, la
ragione di decidere di un singolo caso è tratta da una norma
precettiva che, partendo dall'intima' natura delle cose, com-
prenda il maggior numero de' casi consimili, ci è indizio forse
che al Machiavelli non mancò né necessità di porre altrui sot-
tocchio ch'ei conosceva quale esser dovesse la sua condotta
di cancelliere, ne occasione di procurar forse ch'altri con ca-
lunnie non gli nocesse.
Ma un pochino di dichiarazione a questo proposito non sarà
fuor di luogo.
Tutti sanno che dopo la battaglia di San Regolo, e la
sconfitta che Pisani e Veneziani dettero a' Fiorentini, quando
le fanterie di questi furono sgominate dalla loro cavalleria
ributtata, (e Ciriaco dal Borgo, che vi si trovò, ne contò egli
medesimo i particolari al Machiavelli) per rimediare ai 'danni
si pensò di condurre un capitano, reputatissimo sopra tutti gli
altri in Italia, Paolo Vitelli con Vitellozzo fratel suo, i quali
avrebbero dovuto racquistar Pisa poco men che in un batter
d'occhio.
S'aspettava molto da loro; s'aspettava presto: costavano
cari: coloro ch'erano stati cagione de' precedenti errori 'gli'
astiavano; il conte Ranuccio da Marciano, ch'era stato già go-
vernatore del campo, rimaneva con questo stesso titolo subordi-
nato al Vitelli: questi generalissimo, e con maggior paga: dis-
uguaglianze e contatti pericolosi.
Eguagliar le paghe prima di tutto procacciò il conte:
Paolo proteggere l'autorità propria ; quegli afforzarsi de' popo-
lani; questi de' nobili. Dalla dualità nell'esercito n'uscì la di-
visione nello Stato : ^ a PaolOj mandato in Casentino contro i
Veneziani e Piero de' Medici, non si voleva riconoscer neppur
la lode d'averli saputo, ridurre a mal partito in Bibbiena :
piuttosto s'esaltava un abate Basilio dell'ordine di Camal-
doli,* che per verità aveva contribuito non poco jad accendere'
♦
» Guicciardini: Storia di Firenze, e. IS. — Macmiavblli : Discorsi, lib. ii, e. xvi. —
Ranke, Historisch-biographische Studien, pag. 32S.
' Dell'abate Basilio scrive il Machiavelli negli Estratti di lettere (ed. Passorini-Mi-
lanes', voi. n, pag. 149): « Camaldoli lo difese Tabate Basilio, cuius fuit summa maniis
in bello et amor et fides in patriam ». — G di lui ragiona Agostino Vespucci in una sua
lettera da Bologna a N. M. « a' di xxviij dicèmbre 1503 : L'abate Baxylio facto novite-'^
maestro di casa del nro Rev.»» Vulterrano si raccomanda ad Voi et congratulatur libi
de nova militia ». (Bibl. Naz., doc. M., busta.iv, n. 93.
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%&KCOKDo] ZA CITTX E IL PALAZZO. 149
i villani del paese alla resistenza, aveva dati i primi urti e
i>'era trovato a tutto.
Ma Paolo co' popolani non poteva trovar grazia : i no-
bili erano per lui: i Medici cercavano adescarlo, procurando
con ogni industria ch'ei mordesse all'amo loro; egli disgustato
del procedei-e della Signoria, ma repugnante a tradire, si di-
vincolava dalle carezze pallesche e venete, accampando diffi-
coltà e pretese; ^ ma la natura, i modi, il grado di gentiluomo
gli tornavano fatali presso la repubblica e lo facevan sospetto.
Gli si dava colpa di non aver spinto innanzi con maggior sol-
lecitudine l'assedio di Bibbiena, nel cuore del ' verno e in luoghi
montuosi ed aspri ; e più, gli si apponeva d'aver lasciato uscire
da quella il duca di Urbino gravemente malato per ritrarsi nel
ducato suo.
Il Vitelli allegava d'averlo fatto, benché senza saputa dei
Dieci, con intesa del commissario Ricasoli, e per impedire che,
morto il duca, i Veneziani non gli occupassero lo Stato: ma
non bastava. Quando poi entrò nel popolo la furia di sforzare
Pisa colle armi," mandato Paolo a campo a Cascina, in pocliis-
.simi giorni l'espugnò. Ma nemmeno questa vittoria gli valse
buon nome; però che, 'preso in Cascina prigioniero Rinieri della
Sassetla, il quale stando a' soldi de' Fiorentini era poi pas-
sato ai Pisani occultamente, e intimando la Signoria a Paolo
* Il dociimento trovato dal Brosch (v. V Historìsche Zeitschrift xxxviii, 165), neir Archi-
vio di Venezia non ci pare sufficiente a provare il tradimento del Vitelli, consistendo quello
in nna lettera di risposta del Consiglio dei Dieci ad una proposta di Pietro de' Medici. In
lineila lettera i Dieci dichiarano : « Nut hauer grandemente desidero et desiderare el.ritomo
uostro et dei fradelli uostri nella patria, si come per experentia habiamo dimostrato et tu-
tavia dimostrarne. Et però quando el M.co Paulo sia per far fare questo effecto, Nui siamo
per vederlo tanto più volentiera, quanto dir so possi et maxime essendo accompagnato cum
la compositione dele cose pisane, si come ne hauete proposto ». (Àrch. di Stato veneto.
Delib. Cojis- X." Misti, n. 27, an. M95-9S pag. 212t. e segg.) — I Veneziani pertanto, pure
Hpalleggiando Pietro de* Medici, non nascondono il dubbio che Paolo « sia per fare questo
effecto ». E aggiungono : « diremo anche questo altro particulare per stringersi più ala
conclusione, che stipendio del prefato M.co Paulo ne pareria conveniente dover esser quello
ne ha dechiarato nostra M.tia lui al predente hauer cum fiorentini, zoè ducati xLmila, de If
quali Nui contrìbuisamo la portione nostra ». — Quel che risulta chiaro dal citato docu-
mento è: che Piero cospirava davvero contro la patria coi Veneziani; che sollecitava il Vi-
telli a passare a'apldi suoi; che il Vitelli, maltrattato dalla fazione democratica in Firenze,
vanamente accarezzato da* nobili, quando la condotta gli fosse venuta meno, forse si sa-
rebbe acconcio assoldi de* Veneziani e di Piero. Ma manca la certezza dell'intesa fra
Piero e lui, anzi nel documento s*accenna a difficoltà ch'ei possa opporre all'accordo. Manca
a dirittura il prezzo del* tradimento, giacché oifrendoglisi da coloro lo stesso stipendio che
avaa già dai fiorentini, egli avrebbe mutato padrone ma non ottenuto lucro; manca di so-
prappiù la notizia di qualunque fatto di cui possa essdre certamente accagionato ; rimane
il sospetto soltantb senza riprove ; tutto quello, cioè, su cui fondarono la loro condanna
i fiorentini allora, ed ebbero ad esserne gravemente biasimati da chi giudicava senza pre-
concetti e senza studio di parte.
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150 INTRODUZIONE. [libho
che lo mandasse per -essere esaminato subito a Firenze, dove
il popolo avrebbe sfogato in lui il risentimento e la rabbia;
Paolo, che intendeva come per quello l'esame non volea dir che
tortura, è come poi gli avrebbero tagliato certo la testa; non
volle essere bargello d'un soldato da bene e valente, secondo
che scrive il Guicciardini, e lo lasciò sfuggire. ^
Laonde contro il Vitelli sdegni più forti. Perchè l'avrebbe
egli lasciato sfuggire, se delle disamine di colui non avesse
avuto paura? Dunque Rinieri della Sassetta era suo complice:
dunque Paolo, cospirava contro la città che si disanguava a
empierlo d'oro e soddisfargli richieste infinite.
Su lui dunque tutte l'ire covavano e aspettavano il. mo^
mento a prorompere. Vada a Pisa, le faccia il male che può,
la pigli. Nel 1497 la Signoria lo aveva domandato d'un pa-
rere per riaverla, ora non cerca più pareri, ma la rivuole
da lui.
All'ultimo di luglio 1499 e' vi si pone coll'esercito a campo :
il sospetto sul capitano si lancia co' proiettili. * A' dieci d'agosto
s'occupa Sta-in-pace, rocca forte di quella città; di che l Pi-
sani sbigottiscono in guisa da perder ogni speranza, da credere
d'aver già l'armi de' Fiorentini dentro le vie. Chi può calarsi
giù dalle mura, si fugge a Lucca; parea che l'ultima ora del-
l'eroica repubblica fosse sonata; ma i Fiorentini, ignari del
perturbamento de' nemici, non preparati a dar battaglia, non
seguitano la vittoria.
Il capitano non ha saputo afferrar l'occasione ; là guerra
che avrebbe potuto esser chiusa in un subito, chi sa per quanto
tempo ancora e con quanto disagio si protrae: i Pisani s'ac-
corgono della freddezza degli assalitori e tornano ai ripari, e
impediscono che per la via di Sta-in-pace si possa entrar nella
terra.
^ Guicciardini, l e, capo xix, pag. 204.
> In alcune delle palle bronzine tirate dalle artiglierìe fiorentine dentro la fortena
erano impresse e leggibili queste parole « scritte con lettere moderne », come racconta
Tanonimo autore pisano della Guerra del Cinquecento:
« Ex quo nec Florentinorum clementia spem veniae, nec tot Vitelliorum militares vii^
lutes metum captfvitatis inj icore vobis hactenus potuorunt, experiemini modo quam aspe»
rlora futura sint ultima primis ».
Furono fatte molte risposte, le quali per brevità pretermitterò, contentandomi soluni
di questa nostra, videlicet:
« Petant veniam peccatores : nos prò patrìa juste sancteque pugnamus. Ars Vitelliorum
militaris non captivitatem, sed libertatem nobis ut hactenus est allatura ». Archivio sto-
rico, prima serie, voi. v, p. ii, pag. 387. — V. nel luogo citato anche il Memoriale dì Por-
TovBNERX, pag. 342 e seguenti.
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BBG02CD0] LA CITTÀ E IL PALAZZO. 151
Di soprappiù T intemperie e Tacque cominciano a gua-
stare, dilagare, «battere il campo: l'aria corrotta ad ammalo-
rare i soldati : febbri pestilenziali recano sterminio nelle file,
mietono connestabìli e commissari : Piero Corsini ne muore: è
repitaffio suo: QUI giace fisa. ^ Francesco Gherardi e Paolan-
tonio Soderini mandati in sua vece, in pochi giorni ammalano;
e Luigi della Stufa e Pierantonio Bandini lo stesso; e simil-
mente Piero Vespucci mandatovi appresso : tutti morirono.
Pisa, gridavano i Fiorentini, « è la sepoltura, dell* avere,
dell'onore e della vita nostra; tutto per causa del traditore
capitano».^ Contro il quale la cieca animosità tanto poteva che,
mentre prima lo facevano. di parte francese, caduto Ludovico
Sforza, Io sospettavano della parte duchesca.
Quando poi Paolo, che avea sempre atteso a batter le
mura e aprirle colle bombarde, visto che l'esercito gli sce-
mava ogni giorno e nuovi fanti da Lucca erano entrati in
Pisa, levò il campo disperando della vittoria, fu tanta, indigna-
zione universale che non potè più restare sopra se stessa, * e
determinossi prorompere.
Se qualcosa c'era che potesse anche meglia rinfocolare e
in qualche parte, forse, giustificare quell'ire era il credito di
.Anton Giacomini colla Signoria e col popolo, il quale aveva
con Paolo Vitelli ruggine antica, ^ e vagheggiatore della mi-
lizia comunale e patria, mal soffriva le pratiche e le consue-
tudini d'uomini di guerra professionali e prezzolati.
Fatto sta che attorno a Paolo s'era cominciato a fare il"
vuoto e il silenzio, aspettandosi il momento di coglierlo sicuro.
A di sei di settembre i Dieci scrìvevano lettere piene di ma-
lumore concentrato e freddo, (le lettere erano di mano del
Machiavelli) significando « si cedesse alla voglia di codesti
signori circa il ritrarre il campo >. ^ Per codesti signori in-
tendevano U capitano e Vitellozzo, fratel di lui; — « circa al
provvedere nel resto, fra due o tre dì manderemo costì nuovi
1 GfJienra del Cinquecento, deirAnonimo;^. e, pag. 379. ^
s Parknti, Istorie, (settembre 1499).
* n Pitti, autore della VUa di Antonio Giacomini, scrive a questo proposito : « Fra
i quali (commissari) non parve a proposito mandare Antonio Giacomini, si per sedere egli
allora de' Signori, magistrato supremo della nostra 'città, si ancora per la poca benevo-
lensa ch'era tra lui e il Vitelli ». Archivio storico, iv, p. n, pag. 124. E Giovanni del Nbbo,
Priorista (ms. ottob. 3098, pag. 523), dice il Giacomini « uomo popolano e spicciolato e non
di molta riputasione appresso a gli uomini grandi, ma di credito e fede grande inverso il
popolo e mai non volle il popolo fidarsi d'altri che di lui in tale impresa del guasto, ecc. »
* U., Seritti inediti, Firense, 1857, pag. 77.
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152 INTRODUZlOyE. [l
commissari bene istruiti e informati di nostra intenzione, acciò
possine disporre tutto secondo la nostra volontà ».
I due commissari erano Antonio Canigiani e Braccio Mar-
telli, i quali con Bernardo Rucellai, con Filippo Buondel-
montj, con Luca degli Albizi, ristrettisi insieme al gonfaloniere
Guasconi, a Francesco, Guiducci e Niccolò d'Alessandro Ma-
chiavelli, ch'erano de' Signori, prepararono il colpo. Si forti-
ficasse Cascina: s'intimasse a'Cascinesi da 14 anni in su, che
se fra tre giorni dal bando non si presentassero, al magistrato
fiorentino, fossero dichiarati ribelli e i loro beni confiscati. E
questo, perchè la maggior parte de' Cascinesi erano a soldo nel
campo o col Vitelli. ^ Si volea levargli quel presidio attorno,
e col tenerlo corto a danari, sbandargli le soldatesche. Poi,
invitato lui a recarsi in Cascina, sarebbe rimasto facilmente
fra gli artigli delja loro vendetta.
Frattanto a Luigi XII di Francia, che la morte di Carlo Vili
avea fatto contento del regno e della moglie di lui, ^ tutti i
signori, le comunità, i potenti, i condottieri ragguardevoli, ec-
cetto re Federigo, mandavano ambasciatori.
Paolo Vrtelli partecipò a' commissari come intendeva an-
cora egli mandare a lui messer Corrado, suo cancelliere. I Dieci,
sempre per mano del Machiavelli, ne rispondevano al Cani-
giani e al Martelli: « Quanto all'andata di messer Corrado a
Milano, sarete col capitano e commenderetelo della partecipa-
zione fatta ; e mostreretegli come di tale mandata noi ne siamo
contentissimi, come coloro che abbiamo desiderato sempre e
desideriamo ogni suo onore e riputazione, e massime appresso
la cristianissima maestà, della quale noi siamo osservantissimi»
ma vogliamo bene che gli abbi questo rispetto di non mandare
messer Currado o altro mandiate suo in tempo che vi sia avanti
li oratori nostri, che partiranno fra due dì. A che sua signoria
doverrà restare paziente, importando questo all'onore nostro,
e a lei non pregiudicando in alcuna cosa ». ^
Questo si scriveva a' di diciannove di settembre. Sei giorni
dopo il coadiutore del Machiavelli riscriveva in nome de' Dieci :
— « Noi desideriamo più che la vita che si rechi a fine quello,
che si ragionò con Girolamo Pilli (de capiendo capitaneo ge-
nerali); e però vi confortiamo ed esortiamo a non perdere al-
^ Machiavelli, Scritti inediti - Spedisione contro Pisa - 1490, pag. 80 e seguenti.
» V. Machiavelli, Decennale I, v. 187-188.
* M., Scritti inediti, ocliz. Canestrini - Spedizione contro Pisa - pag. W-93.
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secondo] la CITtX e il PALAZZO. ' 153
cuna occasione per riavere l'onore della patria nel cospetto
di tutta Italia ; e però fate presto, presto, presto quello dovete
fare ».
I subdoli temevano della presenza del re di Francia e
del credito che il Vitelli potesse avere presso di quello; però
voleano spacciar la cosa subito; e pochi giorni dopo infatti la
recano a compimetìto. Il conte Rinuccio si teneva malato in
Cascina, e Paolo Vitelli chiamato artificiosamente a consulta,
senza .dubitare d' insidie, va a Cascina, e per gentilezza a vi-
sitare il Marciano. Il conte era consapevole della trama; ^ e non
gli fremè l'animo di perdere a. tradimento un collega, un guer-
riero. Paolo fu preso; Vitellozzo che era al proprio padiglione,
potè, avvisato, scampare. L'infelice capitano il dì appresso,
a circa tre ore di notte, ben guardato, fu messo in Firenze.
« Cosi condottolo in palagio dove l'aspettavano e' Signori, Col-
legi, Otto et alquanti cittadini, caldo caldo l'hebbono alla pre-
senza et a parole il cominciorono a examinare. Esso qualificava
gagliardamente senza alcuno timore tutte le interrogazioni contra
fatteli ». — « Hebbe in più volte tredici tratti di fune, di poi
el dado, et ultimamente l'acqua per bocca, et mai niente con-
fessò » — « parea che a un sacco si dessi la tortura ^ ». — Cosi
il Parenti, che delle circostanze che accompagnarono il giu-
dizio di lui dà le notizie più particolari.
Inoltre si cercarono tutte le lettere e scritture sue. Cer-
bone da Castello, cancelliere di lui, e Cherubino dal Borgo,
suo soldato, ebbero pur essi la corda; ma dagli scritti non si
cavava nulla che il facesse parere colpevole o dubbio-; nulla
confessarono i tormentati.
Tuttavia la colpa vi dovea essere e si dovea trovare; il
gonfaloniere Guasconi e i Dieci cosi l'intendevano. Se Paolo non
dava né parole né gemiti in mezzo ai tormenti, era perchè
avea fortezza di natura; se fra le sue carte non si trovavano di
quelle che lo compromettessero, era perchè ei doveva averle
ben trafugate o distrutte; se Cherubino e Cerbone non con-
fessavano, era perchè egli non conferiva i suoi segreti con
loro; Paolo doveva esser reo. Ma non tutti della Signoria e
della Pratica ricusavano vedere che contro di lui non si ave-
vano prove ; cosi che alcuni entravano in timore di colpire un
» Parkxti, Istorie ms
» Pabknti, Istorie mtt. Guicciardixi, 1. c.^ pag. 210.
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154 INTRODUZIONE. [UBBO
innocente ; altri nel dispetto di non trovare il reo; e del di-
spetto loro si facevano un'arma di più, anzi una ragione; ^
tanto è vero che l'opere che cominciano codarde finiscono
spesso crudeli.
Jacopo Pandolfini, ch'era congiunto del conte Rinuccio
e nemico al Vitelli, pronunziò Vexpedit ut moriatur. La turba
del popolo, accalcata sulla bocca di palazzo, gridava fiera e
forte : impicca. ^ La Signoria speculò sulla paura : si sen-
tenziò che chi non voleva che il capitano morisse, andasse a
parlare, altrimenti s' intendesse tacitamente consentire. « Sta-
tosi alquanto cosi, nessuno della Pratica si mosse » ^ A questo
punto lascerem seguitare il racconto dalla cronaca: « E il
fatto fu che ai fautori del capitano, benché molti ve ne fussi,
non bastò l'animo con viva voce difenderlo. 11 perchè la Si-
gnoria, licenziata la Pratica, con fortissimi gravamenti, ri-
tenne e* Collegi e li Octo, e quali di nuovo examinarono decto
capitano, et non molto traeteli di bocca, deliberarono che mo-
rissi ; onde factolo confessare et comunicare, su nella medesima
sala di sopra tagliare li feciono la testa, la quale el mani-
goldo mostrò al popolo ragunato in piazza » — «.... morì con
grandissimo animo et della morte timore alcuno non mostrò,
sputando (secondo che chi era presente riferi) che mai havea
truffato il popolo fiorentino- ».
Del resto questa morte data per espediente ebbero i Fio-
rentini a pagarla cara: Vitellozzo era sfuggito alle loro mani
e si volgeva con ogni sforzo a vendicare il fratello, accor-
rendo dovunque fossero nemici di Firenze. E vedrem quanto
travaglio e dispendio seppe cagionare alla città; alla quale di
quella uccisione venne infamia grandissima.
Al re di Francia dovettero mandare a scusarsi del fatto:
i Veneziani, come non fossero quelli che avevano ucciso il Car-
magnola, sbraitarono di quella barbarie; gli epigrammisti sfo-
garono la loro passione in distici e in terzetti : i Pisani,
pronti a cogliere* ogni occasione di nuocere a' nemici scon-
^ Parenti, Istorie ms. « Si consigliò che chi non era da pigliare non era da lasciare ;
che si considerassino li scandoli che potrebbono nascere se lui si lasciassi ; sempre 'sarebbe
capitalissimo inimico di questa città, nò mai posare la lascierebbe ; T^onore nostro essere
ricuperato se lui si ammazzassi; et dove per suo mezzo eravamo ruinati in ogni danno e
vilipendio, hora resurgeremo in reputatone et mostreremo a tutto il mondo che degenerati
non eravamo da i nostri antichi; né ci mancava animo né prudenzia a governare il nostro •
Imperio ». *
» Parenti, \. e.
» Parenti, 1. c.
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«BCOKDO] LA CITTÀ E IL PALAZZO. 155
fortavano gli assedianti, esclamando ai militi e condottieri :
« Voi, illustrissimi signori Taliani, che per le virtù militari
meritate il bastone (intendevano il comando), considerar pos-
sete che merito e glqria da Fiorentini aspettar dovete. Specchia-
tevi nello exceliente capitano signor Paolo Vitelli, e di poi,
parendovi, militate sotto loro ingratissimo vessillo ».*
Or eccoci al punto di scandagliar in questo triste dranuna
l'animo del Machiavelli; e di mettere T intimo pensiero di lui
a rimpetto dell'esterna condotta sua come cancelliere della
repubblica. Vedemmo già come nell'istruzione del processo e
nella cattura del Vitelli egli avesse ad essere interprete della
furia, esecutore della voglia de' suoi signori. Probabilmente
assistè alle disamine, alle consulte per la condanna di Paolo,
probabilmente alla uccisione di lui. Fra i deboli difensori e
gli accusatori violentissimi doveva esser pericolo il non mo-
strarsi dell'opinione più forte e, o Niccolò corse probabilmente
questo pericolo, o ebbe ad esser posto nella stretta necessita
di purgarsi del dubbio.
Quando pubblicò il suo primo Decennale stando ancora
nel suo officio di cancelliere, alluse al supplizio di Paolo, senza
allontanarsi dalla linea di condotta che la sua condizione offi-
ciale determinava, senza mettersi in opposizione d'apprezza-
menti coU'operato del governo. ^
^ Cf. Parenti, Ist. ms. In Firenze s'appose un temale sarcastico sotto la figura del
Vitelli, eh* era parodia del : veni, vidi, vici di Cesare :
« Paolo son, che venni, vidi e finsi
di dar Pisa a Marzocco ed esaltarlo,
ma quel di gloria e me di fama estinsi ».
Il Giovio, per contrario, reca il seguente epigramma d'Anton Francesco Ranieri:
« Urbis ut ingratae scelus et victricia Pauli
Audìit immiti colla resecta manu,
Scipiadum major: tua quid benefacta, Vitelli,
Quid valuere meaf ah, dixit et ingemuit ».
* Un altro ci occorre nell'Anonimo della Ouerra del Cinquecento (Archivio alorieo, seri<*
prima, t. vi, p. 2", pag. 383) attribuito al « sapiente messer Anton Pelotto » :
« Cum caesum audisset Paulum Vitelocius acer
Vultu immutato protulit ille suis :
Non sint qui plorent; erit haec mihi cura perempti,
Ne sit qui ulterius dixerit: ultor ero.
Néc plura est cari fratris de morte loquutus,
O cor invictum, verbaque digna viro! »
* Maciìiavblli, Decennale I, v. 223.
« Poco di poi, del ricevuto inganno
Vi vendicaste assai, dando la morte
A quel che fu cagion di tanto danno ».
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ir>6 ISTRODUZIOSi:. [libro
Poi, quando fu rimosso dal suo posto, cacciato di palazzo,
tornato all'esercizio dell'illimitata libertà del pensiero suo;
quando i nuovi fatti e le nuove signorie sopravvenute ebbero
gittate i tempi del precedente suo segretariato nel dominio
della storia; padrone de' pensamenti suoi, e' gli fa uscire come
corollario di regole generali, desunte dall'esperienza e dal-
l'osservazione; e nota come il senato romano ben soleva, guar-
darsi d'inceppare le commissioni ai consoli della . repubblica
con consigli, con pregiudizi^ con diffidenze: e gli dà lode di
usar con ciò termine prudentissimo : « perchè, non ostante che
in quello fussino tutti uomini esercitatissimi nella guerra, non-
dimeno non essendo in sul luogo, e non sappiendo infiniti par-
ticolari che sono necessari sapere a voler consigliar bene, avreb-
bero, consigliando, fatti infiniti errori. E per questo e' volevano
che *il consolo per sé facesse e che la gloria fusse tutta sua,
lo amore della quale giudicavano che fusse freno e regola a
farlo operar bene. Questa parte si è più volentieri notata da
me, perchè^ io veggio che le repubbliche de' presenti tempi,
come è la veneziana e fiorentina la intendono altrimenti; e se
gli loro capitani, provveditori ò commissari anno a piantare una
artiglieria, lo vogliono ntendere o consigliare. 11 quale modo
merita quella laude che meritano gli altri, i quali tutti insieme
l'anno condotte ne' termini che al presente si truovano ». ^
Or non sarà egli a credere che sottintesa a questo biasimo
e a quella lode sia la commemorazione del Carmagnola e del
Vitelli? e che i riguardi ch'egli vuol usare alle persone vive
ch'ebbero parte all' uccisione di questo, i riguardi che partico-
larmente usava alla famiglia Rucellai, e a Bernardo sopra tutti,
ch'era stato sommamente avverso al capitano, lo trattenessero dal
pronunciarne il nome? E quando esamina «il caso veramente
esemplare e tristo » di Sergio e di Virginio, che essendo a campo
à Veio, per loro rivalità e superbie furon cagione del diso-
nore della patria e della rovina dell'esercito, e osserva che,
« dove un' altra repubblica gli avrebbe puniti di pena capitale,
Roma gli punì in denari », perchè usava anche le colpe com-
messe per malizia de' suoi capitani punire umanamente ; non
* M., Discorsi, n, e. 33. B nel Principe, cap. xii : « Fecero i Fiorentini Paolo Vitelli
loro capitano, uomo prudentissimo, e che di privata fortuna aveva preso riputazione gran-
itissima. Se costui espugnava Pisa, nessuno sarà che nieghi come e' conveniva a' Fioren-
tini star seco; perchè se fusse diventato soldato de' loro nemici, non avevan rimedio; e
lenendolo avevano ad ubbidirlo ». E non ne dice altro.
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secondo] la città e il PALAZZO. 157
è egli a giudicare che tutte le riflessioni di quel capitolo siano
state motivate dal ricordo del violento supplizio di Paolo?
Pure una sua lettera particolare, o piuttosto una copia o
progetto di lettera, indirizzata forse a un cancelliere di quel
messer Francesco da Lucca che circa a questo tempo mori in
Cascina, ^ o ad alcun altro cancelliere lucchese, si esprime
assai recisa e forte e ci è argomento dell'ideale che Niccolò
facevasi dell'ufficio di segretario, delle convenienze che gli
parea dovesse serbare chi, essendo collocato in officio pubblico,
veniva considerato naturalmente 5 come la lingua » de* suoi
signori.
È noto chie, quantunque 'Lucca cercasse nella questiono
di Pisa tenersi in bilancia, pure, siccome i Dieci di Firenze
ebbero ad avvisarne l'oratore, * quella città favoriva segreta-
mente i Pisani e prestava a questi ogni maniera d'aiuti. Cosi
morto Paolo Vitelli,' essendo venuta probabilmente la 'signoria
in possesso d'alcuna lettera scritta da un cancelliere lucchese
à un canonico pisano, nella quale si biasimava aspramente
l'operato de' fiorentini in riguardo del capitano morto, e s'ac-
cagionavano questi d'averlo tolto di mezzo per avarizia, per
non rendergli danari da lui avuti in prestito, avvenne che o
Niccolò Machiavelli ebbe incarico di rimbrottare fuor delle vie
oflSciali quel cancelliere; 0 si volle indirettamente chiedere una
dichiarazione da Niccolò ; 0 egli sentì che farla era necessario ;
o la repubblica accattò un mezzo termine per procacciarsi all'in-
cessanti accuse, che le si facevano, una difesa autorevole a un
tempo ed officiosa. Giudichi dal contesto il lettore : ^
« Sondo pervenuta nelle mani d' un mio amico una lettera
^ A di 4 d'ottobre N. scriveva a'commissari in Cascina, ordinando che essendo mono
messer Francesco da I<ucca, ambasciatore della Repubblica, si raccogliessero le sue robo
I>er consegnarle all'erede. V. Canestbini, ScriUi inedili di A'. 3f., pag. lOl.
« Canestrini, 1. e. Lettere de* Dieci a Tommaso Capponi, pag. 90.
* Questa lettera pubblicò già il signor Nitti, Machiavelli nella vita e nelle dottrine,
t. X, pag. 67, in nota. Al signor Villari, N. M. e i suoi tempi, pag. 338, non parve auto-
grafa; né credette che, a giudicar dallo stile, potesse pure attribuirsi al Machiavelli. Noi
lasciamo la questione dello stile al giudizio d'esperto lettore; ma, quanto a quella del-
Tautogralia, siamo nella necessità di non consentire col signor Villari; e pur troppo, coidi)
accade in ogni ca.^o di perizie calligrafiche e paleografiche, se competenti persone stettero
per l'opinione di lui, competenti ne stanno anche per la nostra; le quali opinano che la
scrittura di quella lettera (che è la 40" della busta i dei Doc. Jilachiavelli nella Bibl. Naz.)
sia proprio di Niccolò, e che debba riferirsi al primo dei due periodi paleografici da noi in-
dicati in quest'opera (lib. i, pag. 99). Certo, che il mettere d'accordo il contesto di quella
lettera così recisa colle altre affermazioni di Niccoli rispetto al Vitelli, piene di tanta cau-
tela, non è cosa facile; e cosi parve anche al signor Nitti, il quale rilevò come: « questa
lettera fosse l'unica prova che mostri essere stato l'animo del Machiavelli favorevole alla
condanna di Pafllo Vitelli > (op. cit., p«ig. OS). Se mn che forse un siffatto documento non
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158 ISTRODUZIOSK. [libeo
sopradscripta ad iiiosser Jacobo Corbino canonico pisano, me
la portò; e io, per lo officio mio, apertola non mi meravigliai
tanto del subbietto di epsa, quanto io mi maravigliai di uoi che
lo hauessi scripto: perch'io mi persuadevo. che ad uno huomo
grave quale sete uoi e ad una persona publica quale voi te-
nete, si aspectassi scrivere -cose non disforme alla professione
sua. Hora come sia conveniente ad un secretarlo di cotesti
»
à né carattere né importanza diversa da quello che à la lettera di Leonardo Brunm, are-
tino, che sentitola : « Opera facia per messere Lionardo d'Arezzo cancellieri fiorentino
in difesa del popolo di Firenze da certi chalupniatcri chel biasimauano della impresa
della guerra di luccha facta per decto'populo di fìrenze». Questa lettera è inedita; la
cita il Mbbus da mss. riccardiani .e laurenziani (cf. J^onardi Bruni scripta, pag. lkix
nell'ediz. dell' ^pp. del Bruni); noi la trovammo nel Codice Barberiniano xlv, 35, pag. 156-
167 t. Ha per iscopo di purgare la repubblica di Firenze dalle gravi e mal giustiflcabili
accuse che le vennero pel modo subdolo con cui condusse la guerra contro Paolo Guinigi
e, cacciato poi questo tiranno^ contro ai Lucchesi. Ebbe pertanto ad essere scritta circa
al termine dell'anno 1430, e mandata fuori circa a* primi dell'anno 1431. Però che a questa
si allude nella lett. iv del libro vi àeWEpp. del Bruni pubblicate dal /Mbhus, che ha la
data «Florentiae ti idus Januariis » (1430 secondo lo stilo fior.). L'argomento di essa sa-
rebbe, a giudizio dell'editore: «judiciorum quondam certum ordinem esse *■. Ma ecco di
che vi si tratta : « Ego tamen invitus licet, quoniam me provocas, defensionem scripsi quam
tibi mitto. Et quia de re populi agitur, popularibus verbis uti placuit » — (scrisse cioè in vol-
gare) — «ut populi ipsi quorum causa agitur, non ab interprete, sed ex se ipsis intclligere
possint ». E segue poi : « deinde illnd vehementer reprehendo quod aut te aut me rebus po-
pulorum admisceas, quasi nostrae sit censurae illos corrigere, ac non potius arrogantia ye-
saniaque haberi debeat, humunculum unum, ex se ipso, nemine deferente, tantis de rebus
judicium sibi assumere, praesertim inaniter. Quid enim quaeso nostra hatfc censura profl-
cerj potesti» ecc. (Cod. Barb., xlv, 35, pag. 156). «Da lucha in questi giorni vennero
« lettere la soprascripta delle quali si dirizzava a me proprio, ma l'effecto d'esse ledere
« a tutti li cittadini nostri era comune. Et benché in quella sìa il nome dell'autore et
•^ Rcriptore d'esse, niente di> meno questo cotale né da me fu conosciuto mai per l'adrieto;
« né anchora oggi dal nome infuori conosco, et parmi essere asso,' chiaro che non da lui
« solo furono composte decte lectere, ma insieme con luì da più et più altri, quali la pre-
« sente impresa del populo fiorentino contro al signore di lucha, con loro false et colorate
« ragioni si sforzano di riprendere sì come ingiusta, et vituperare sì come inhonesta ». —
« Ma prima ch'io venga alla risposta mi piace della singularità mia chiarire alcuna cosa,.
« acciocché ninno pensassi per questo mio scrivere cH' io fossi suto auctore o confortatore
« o impulsore di questa guerra ». — « Dico adunque che la impresa di lucha prima che il
« populo fiorentino la deliberasse^ a me non pìaceua et sconfortauala sempre, non perchè
« mi paresse ingiusta o inhonesta, ma perchè le guerre si tirano dietro tanti mali et gua-
« stamenti di paesi et altri inconvenienti grandissimi, che la natura mia, questi pensando,
« le rifuge et alle in orrore; ma poiché deliberata fu debbo dire et a ciaschuno parere
« quello che la città sua statuisce «t delibera ». — Ora, se si ponga mente alla natura
della lettera italiana di Leonardo aretino, parrà chiaro che egli non scrisse in condizioni
diverse da quelle del Machiavelli. La repubblica, acremente biasimata per l'operato suo,
voleva, esser difesa da chi non doveva aver parole che non fossero' devote a lei. Questi
dovevano difenderla senza parere che quella potesse mai sospettarsi offesa o mal giudi-
cata; pertanto il segretario doveva scrivere come di proprio e particolare impulso, come
rispondendo ad altra lettera particolare; ma nel rispondere doveva far sentire come non
8i conveniva a particolari presuntuosamente giudicare delle cose pubbliche, come non si
conveniva a* cancellieri esprimere mai un'opinione personale che non consuoni colla pub-
Mica ed officiale, che essi sono obbligati ad esprimere. Era questo genere di lettere un
espediente, un mezsto termine di consuetudine, una codardia avvocatesca, che il governo
metteva in giuoco per proteggersi dal danno e dalla vergogna d'atti ingiusti % Chi sa ! Man-
cavano allora giornali officiosi, e la hecessità doveva spingere ad escogitare alcun com-
penso. Porse il compenso era in queste lettere. Dai brani che rechiamo della lettera di
Leonardo e da quella di Niccolò, tragga il lettore quelle relazioni d'analogia e quelle con-
clusioni che più gli parranno ragionevoli.
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SBCOKDo] LA CITTÀ E IL PALAZZO, 15»
M/* S/' notare d' infamia una tanta repubblica quale è questa,
ne voglio lasciare fare iudicio ad uoi: perchè di quello che
dite contro ad qualunque potentato d'Italia se ne ha più ad
risentire e' S/* vostri che 'alcuno altro : perchè sendo uoi la
lingua loro, si crederrà sempre che quelli ne sieno contenti, e
cosi venite ad partorir loro odio, senza loro colpa. Né io mi
sono mosso ad scrivere tanto per purghare le calunnie di che
voi notate questa città, quanto per advertire voi, adciò per lo
advenire siate più savio, il che mi pare essere tenuto ad fare,
sendo noi sotto una medesima fortuna. Fra molte cose che
demostrano lo homo quale e' sia,' non è di poco momento el
uedere o come egli è facile ad credere quello che gli è decto,
o cauto ad fingere quello che vuole persuadere ad altri; in
modo che, ogni volta che un crede quello che non debbe, o
male finge quello che vuole persuadere, si può chiamare e
leggieri e di nessuna prudentia. Io voglio lasciare indietro la
malignità dello amico nostro, demostrato per queste vostre let-
tere ; ma solo me distenderò in demostrarvi quanto ineptamente
o voi hauete creduto quello ui è suto referito, o fincto quello
desideravi si disseminassi ih infamia di questo stato. Io vi rin-
gratio prima della congratulatione fate col pisano, per la gloria
che, ad vostro judicio, hanno adquisiata ^t per la infamia che
hauiamo reportato noi, condonando tucto alla affectione ci por-
tate. Dipoi ui domando: come può stare insieme, che questa
città babbi speso un tesoro da non poterlo estimare, e li pi-
sani si sieno difesi sanza fraude di Pagolo Vitelli, come voi
volete inferire? perchè, se vi ricorderà bene, lo esercito fioren-
tino si adcostò ad Pisa si gagliardo e si bene pagato, e a tale
progredì in pochi di, come dimostrò la fuga di messer Pietro
Gambacorti e la paura uostra, che se la fraude vitellescha
non ui intercedeva, né noi ci dorremmo della perdita, né voi
ve ne rallegreresti. Appresso ui domando: quale sana mente o
quale bene edificato ingegno si persuaderà o che Pagolo Vi-
telli ci babbi prestati danari, o che la cagione dello hauerlo
preso sia per non pagarlo ? né vi aduedete, pouero huomo, che
questo totalmente excusa la città nostra e accusa Pagolo? per-
ché ogni volta che un crederrà che Pagolo ci babbi prestati
danari, crederrà de necessitate che Pagolo sia tristo; non po-
tendo hauere avanzato danari, siccome ognun sa, se non per
corruptione factegli perché c'inghanassi; o per Tion hauere te-
nuto ad un pezo la compagnia; donde ne nascie che, o per non
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IflO INTRODUZIONE. [libro
hauere voluto, sendo corropto, o per non hauere potuto, non
hauendo la compagnia, ne sono nati per sua colpa infiniti mali
ad la nostra (impresa). E merita V uno o l'altro errore o tucta
due insieme, che possono stare, infinito (castigo). (Alle) altre
parti della lettera vostra, per essere fondate tucte in su questi
due (capi) non mi occorre respondere, ne mi scade etiam justi-
ficarui la captura come cosa che non mi si aspecta ad farla:
et quando mi si aspectassi, ad uoi non si richiede lo intenderla.
Solum vi ricorderò che njon ui rallegriate molto della praticha
che uoi dite andare attorno, non sapiendo maxime le contrap-
pratiche che si fanno. Et admunirovvi fraterno amore che
quando pure uoi uogliate per lo advenire seguitare nella nostra
captiua natura di offendere sanza alcuna nostra utilità, uoi
offendiate in modo che ne siate tenuto più prudente ».
A noi par ben possibile in questa ramanzina, fatta con
più sussiego che fraterno amore, <5hecchè lo scrittor ne dica,
di riconoscere il pensiero del Machiavelli, la sua logica, la
concisione efficace dell'espressione sua. Come altresì ci sembra
che da questo ideale della persona del cancelliere, ^ quale ci
ce lo descrive in questa lettera, facesse il possibile per non
allontanarsi mai. E si ch'egli ebbe a capitare in contingenze dif-
ficili, in cui la pubblica opinione mutava col mutar delle Si-
gnorie, e il potente dell'oggi poteva esser la vittima dell'in-
domani, e al terzo giorno aver vendetta e onoranze come un
martire.
Pigliamo il caso del Savonarola, ed osserviamo anche per
questo che prudente gradazione s'incontra tra i giudizi ch'egli
dà del frate, dal tempo eh' ei rimane in officio, fino al giorno
in cui, remoto per buon tratto dalla vita di palazzo, dall'ob-
bligo di serbare conveniente riguardo verso i parteggiatori
dell'arso domenicano, può esporre la sua opinione netta e si-
cura.
Pigliamo prima di tutto gli Estratti di lettere, e facciamo
ragguaglio tra quelli che sono pretto e secco lavoro officiale
e gli altri post raortem Cosimi. Si noti nella brevità di questi
* L'idealo della persona dell'ambasciatore oi ce lo descrisse nella Istruzione a messéfr
Ifaffaello d'Averardo di Bemardetto de' MedÀci, quando andò in Ispagna ambasdadore
all'imperatore. Questo importante scritterello ebbe ad esser composto nell'autunno del-
l'anno 1522. È osservabile che in quello non si fa alcun accetino tivcdv Ttpcolr.xsi rf rreXct
AO-;'cv Trapà -Trpgal^rjToG Xapelv, luogo memorabile e che avrebbe potuto opportunamente ci-
taiti dell'orazione di Demostene Trtpl r^; irapairpsoPsla;, che Marcello Virgilio aveva tra-
dotto, e che a Niccolò sarebl)e stato facile conoscere, senza aver bisogno di saper« di
greco.
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8BCOMDO] ZA CITTÀ E IL PALAZZO. 161
ultimi appunti che frizzo epigrammatico, che sapore mordace,
che satira amara spiccia fuori a ogni inciso: ^
« Fra Girolamo prometteva e minacciava — fece fare
mille orazioni e venire la tavola di nostra donna in Firenze
— tornò fra Girolamo dal re: disse averli letto il padre del
porro: * ordinossi legge per conforto del frate che non si
potesse far parlamento >.
E più oltre: «Fra Girolamo in questi tempi faceva il
diavolo — predicò il frate in questi tempi la predica d'esser
ito al cielo; ^ fu chiamato dal papa : ricorreva a' potenti per
aiuto — le male contentezze in Firenze erano grandi : chi bia-
simava una cosa e chi un'altra; il frate chi lo amava e chi
no — i forestieri vi dileggiavono dicendo che uoi eri usciti
dalle mani dei Medici et entrati in quelle del frate* — il car-
nasciale si fece in Firenze con le processioni — fra Girolamo
schiamazzava et aueua fatta una combriccola di fanciulli et
un fra Giuliano da Ripa, suo seguace, fu preso per cicala —
proibirono il parlare contro a frate Girolamo, et gastigarono
il Geo ^ che faceva i sonetti contro di lui — ponevano silenzio
ai predicatori che predicassino contro al frate r- Piero (degli
Alberti, gonfaloniere) cominciò a disputare s* egli era bene che
il frate predicasse o no : a chi pareva et a chi non pareva. —
Et in questa disputa predicando a' 4 di maggio in Santa Maria
del Fiore si levò tumulto per un roniore fatto in chiesa; ar-
1 Machiavelli, Opere ed ult., yol. ii, pag. 250-262.
* Intende deirandaUt del Savonarola a Carlo Vili, che insolentiva colla città. « Dire
a nno il padre del porro, scrive il Varchi {Ercolano, pag. 99), e cantargli il vespro o il
mattutino degli Erminij, significa riprenderlo e accilsarlo alla libera e protestargli quello
che avvenire gli debba non si mutando ».
* Fu la predica del maggio 1495, la quale, a detta anche del Villari, « pare che sol-
levasse alcune critiche e contraddizioni nella città, giacchi^ troviamo . che in una lettera
cui afnieum de/tcientem il Savonarola se ne lanftnta; affermando che quelle dicerie erano
mosse da malignità » (Villari, Savonarola e i suoi tempi, cap. vi, pag. 305). Il signor
Villari medesimo riconosce questa predica essere effetto di fantasia alterata. V. anche quel
che il chiaro autore dice del « dialogo della verità profetica » del frate domenicano (ibid.)
* V. il carteggio di Ricciardo Becchi, oratore fiorentino in Corte di Roma, fra i
Jfuovi documenti e studi intomo Girolamo Savonarola^ Firenze 1878, pag. 64-78. Scrive
fra gli altri: «ex Urbe, die xxvi martii 1496 cursim: Basta che siate dileggiati et derisi
da lasciarvi governare da un frate » ecc. Cf. i Documenti pisani intomo a Fra Savona^
rota pubblicati dal Lupi. Arch. storico, t. xiii, pag. 180-190. —
< Il Nbrli, ne' Commentari (lib. iv, pag. 74), reca la coda d*uno di questi sonetti :
« O Dio per qual peccato
Consenti Tu che Firenze rovini
A petixion di (Quattro cittadini
Ambisìosi e fini
Ch*han fatto sottilmente un'idolatria
Solo per usurparsi questa patria? »
V. la frottola di ser Antonio Musi contro il Savonarola, e la condanna ch'ebbe per
questa, pubblicata dal Passbbiki {Giornale storico degU arch. tose., voi. ii, pag. 80 e segg.)
ToMMAScs'i - Machiavelli. - 12
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Itó ISTRODC^rOXE.
mossi la parte sua, et lo rimenorao a casa, et Giovan Batista
Ridolfi prese l'arme per il frate — gli Otto avevajio interdette
le prediche a ciascuno per levar via gli scandoli — di luglio
a' 8 dì * (1497) vennono da Roma escomuniche contro a fra
Girolamo et suoi fautori — per mostrare i cittadini frateschi
che fra Girolamo era buono, se ne soscrisse più di 400^ —
vennono fanciulli di fra Girolamo alla Signoria a pregare che
predicasse — fu preso un frate del Carmine che predicando
prediceva — fra Girolamo faceva processioni per il convento,
et facevasi reputazione — fece fra Girolamo el di del natale
di Cristo una processione in su la piazza di San Marco, la
croce innanzi, fanciulli poi, frati poi, poi uomini et donne con
croci rosse in mano, gridando: viva Cristo. — Partito messer
Domenico (Bonzi) da Firenze con commissione d'impetrare venia
che il frate predicasse, e' fautori del frate feciono i gradi, et
rizzoronli in chiesa, donde ne erano suti levati. Il frate come
aveva fatto tutto il verno, attendeva a fare processioni a Fie-
sole et in Firenze per li conventi: et stando la.ciftà divisa
che predicherebbe et no, il primo dì di quaresima venne a
predicare con una gran turba. Disse nel predicare: ego autem
constitutus sum rex, e scrisse le parole nel pergamo; et nel
predicare esclamò più volte, che se mai e' chiedeva perdono
di quella scomunica, che il diavolo ne lo portasse. Veniva la
creazione del nuovo magistrato sopra il quale si sperava che
il frate avesse, secondo la elezione, a morire o vivere. Erasi
comunicato il frate pubblicamente e fattosi il di di carna-
sciale el fuoco in su la piazza de' Signori, et una processione,
dove volorno gatte e polli morti. — Entrata la nuova Signoria,
vennono lettere da Roma, per le quali il papa di nuovo esco-. •
municava il frate e chi T udiva: onde lui si ritrasse in san*
Marco, ui Jesus qui absconclit se. — Venneno nuove lettere
del papa, che minacciavano la città, che il frate si mandasse
a Roma, alias che procederebbono contro alla città. Fecesi
pratica addi 9 di marzo sopra queste lettere. — I Compagnacci
cominciarono ad ebollir contro il frate. — 11 frate cominciò a
* Questa data è inesatta. Il Machiavelli deve alludere alla scomunica pubblicata a' dì
18 di giugno dello stesso anno, e alla quale allude il Bracci, mandatarìp segreto a Roma,
in una sua lettera ai Dieci in data « Rome xxvii junii mcccclxxxxvii, Intendendo che fra
Hieronimo era stato declarato costi excommunicato, per opera di privati cittadini » ecc.
Dac. cit.f pag. 00.
• Cf. la lAatra cit. più sopra, pubblicata dal Portigli. V. anche la Consulta circa la
medesima sottoscrizione, fatta « die dominicOf de sero, nono julii ii97 * edita dal Lupi,
Arch. storico, serie ni, t. ni, pag. 28.
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fecondo] la città e il PALAZZO. Ifl8
dire che entrer-ebbe nel fuoco, fra Domenico ad affermare : un
frate di San Francesco ad uccellarlo. Elessesi cittadini a pra-
ticare questa cosa: ^ condussonsi innanzi alla Signoria: feciono
il contratto di chi dovesse entrare nel fuoco; che per la parte
di san Francesco, uno de*Rondinelli, ^ per la parte di san
Marco, fra Domenico da Pescia. — Sbarrossi la piazza. — Fe-
cesi il palco in piazza. — . •
Divisesi la loggia per li frati et fu addi 7- d'aprile in sa-
bato santo.
Piovve crudelmente. —
Vennono prima san Francesco e poi san Marco.
Erano armati i gonfaloni alla guardia.
Vennono a spogliarsi le vesti, et poi fra Girolamo volse che
il suo andasse con il Corpo di Cristo in mano : fu questo il sabato.
La domenica si levò il remore in santa Reparata: corsesi
in piazza: la Signoria si ristrinse. Lanfredino proposto, disse
che s'unissino.et farebbe ogni cosa.
Tutta notte a San Marco. Fu preso il frate. — Venne in
Firenze ad esaminare fra Girolamo quello che fu poi cardi-
nale et il generale del loro ordine, ^ et di poi l'arsone con
due frati, addì 22 di maggio ». —
Cosi questa seconda cronica del Machiavelli, con pochi
tratti incisivi, ci fa rilevare la condizione vera del Savonarola,
in -Firenze, meglio che non sia dato rappresentarcela per par-
ticolari racconti.
Che se questo domenicano collo splendore dell'eloquenza
e con più cordiali procedimenti verso la città riusci a esser
contradistinto per antonomasia col titolo di frate, non è men vero
i#. ch'ei si moveva a contrasto con altri frati parecchi, e che tutti in-
isieme mettevano Firenze in tal confusione che mai la maggiore.
Già prima di lui frate Bernardino da Feltro l'aveva col
suo predicare commossa, caldeggiando l'estirpazione dei Giudei
e la fondazione del monte di pietà, che il Savonarola seppe
poi recare u compimento. E già in allora a frate Bernardino
da Feltro fu giudicato espediente toglier la licenza di predi-
care. ^ Quando poi fra Mariano da Genazzano, fra Domenico
. 1 Vedi i bellissimi Consigli nella audientia sopra la offerta facta da* prati Predicatori
«t Minori d'entrare nel fuoco j neir Archìvio storico it., serie 3^, t. in, pag. 55 e segg.
* Fra Giuliano de'Rondinelli.
3 Furono Francesco Romolino, vescovo d*Ilerda, detto poi il Cardinale fRomolino, e
Gioacchino Turriano, generale dei domenicani. Morirono col Savonarola fra Domenico da
Pescia e fra Salvestro Maruffl.
* Pabkkti, Storie ms.j a. 14^3.
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V
.64 INTRODUZIONE. [LiBR«y
da Ponsa, frate Jacopo da Brescia e altri frati d' ogni regola^
concorrendo con quel da Ferrara, si dividevano la città e il
contado e riducevano a conventicole politiche le chiese del
Dio unico, la Signoria venne in tali difficoltà, che dovè inter-
dire a tutti di più salire il pergamo.
, • Ora, certo si è che, quantunque frate Girolamo schiet-
j tamente ardesse del più puro amore del bene, per la con-
; dizione de' tempi in cui versò, per l'abuso delle sue fantasti-
' cherie profetiche, non poteva a Firenze e all'Italia tutta ca-
\ gionare peggior male di quello che apportò in fatto. Dappoi
che nel momento che un re e un esercito oltramontano si ver-
savano dall'Alpi sopra all'Italia, egli, sperando da quello la ri^
formazion della Chiesa, eccitò a. stare ad attendere tutta quella
barbarie a braccia aperte, come una grazia e una benedizione
di Dio. Se egli sferzò e screditò con parola onesta la corru-
zione papale, operò che non fosse udita la paròla del ponte-
j fice, quando questi confortava tutti a esser b.uoni Italiani e
f collegarsi contro il tiranno d' Italia, ^ come il Borgia chia-
mava il re di Francia. Se era òttima cosa ch'egli attendesse
alla purificazione de' costumi e a risvegliare l'ossequio della legge
eterna, commetteva errore grandissimo a sgomentare il popolo,
per raggiungere questo buon fine, come faceva, e minacciarlo
: ' di guerra, di peste e di fame. ^ E ce ne fa fede il Parenti, il
\ quale fu testimone oculare de' successi e de' processi del frate,
; il quale non era certo né d' animo guasto, né partigiano della
* tirannide, né irriverente alle cose di religione; ma quantunque
' sentisse e ardentemente dicesse in Consiglio grande che vero
fondamento al difendersi era la unione de' cittadini, « oltre alla
forza, la quale massime consisteva nel vivere popolare, » ^ non
potè esser mai de' frateschi, non potè sopportare che un visionario
^ Parenti, Ut. ms.. dicembre 1495, gennaio 1495-96. Vedi anche ne* citati Nuovi Doc.
e studi intorno al Satonarola^ pag. 80, la lettera del Bracci ai Dieci, in cui riferendo
questi le parole del papa, scrive : « nostro precipuo studio et intento è, come sa el nostro
Signore Dio, di unire insieme et fare uno intero et medesimo corpo di tucta Italia », e pro-
mette, quando i Fiorentini entrino nella lega, restituir Pisa, « con questo, che voi vi acco-
stiate a noi et siate buoni italiani, lassando li Franzesi in Francia, et di questo vogliamo
da voi et sicurtà et altra obligatione che di parole ».
' Parenti, 1. e, febbraio 1495-96. « Imperocché ne seguiva che e*mercatanti ratteneano
le loro opere, et non si lavorando, il popolo minuto gravemente a patire ne venia; prae-
terea si effeminavano troppo gli animi ne* tempi a guerra disposti, et bisognandosi difen-
dere con Tarmi, non erano bastanti Torationi ».
* Id. ib., addi XXXI nia^io 1495. Il Parenti fecesi anche ad esortare che i nobili
donessero giù il primato e rinunsiassero all'ufficio dei venti accoppiatori. « Onde in narti-
colare grandemente commendato ne fui, per il primo essere stato che tali persuasioni in
pubblico movessi».
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secondo]
Lk CITTA E IL PALAZZO.
16S
mettesse a cimento la salute della città e la sprovvedesse di
Ogni aiuto, colla sola buona ragione che a quelle sue visioni
credeva in buona fede. Epperò, morto che il vide insieme ai
suoi due compagni, e indegnamente morto, poiché cadde per
la mano vendicativa di quella curia eh' egli avrebbe voluto coi
tutti suoi sforzi purificare ; riguardando con animo di buon fi^
Tentino le tristi condizioni della sua repubblica, era impossibil
non sentisse maggior pietà per questa che per quei caduti,
non esclamasse: «Incompensabile fu il danno ricevutosi pe
questa città da e' sopraddecti frati: fecionci spendere inutil-
xnente grandissimo tesoro: tennonci la città divisa: et occa-
sione furono della morte et disfatione di molti nostri cittadini
et non degli ultimi ».i
E come il Parenti, doveva pensarla Niccolò, a giudicarne
da tratti profondamente incisivi degli appunti che abbiam re-
cato. Forse quando gli ordinava a quel modo,, dovea già fre-
mergli nella mente il disegno d' argutissime pagine di storia
in cui gli fosse dato descrivere T infratescarsi della libertà,
r inteologarsi della politica popolare, il trionfjire della fantasia
ascetica sul genio civile. Ma se tutto questo vagheggiava presso
air ultimo stadio della sua vita, e non tanto per cozzar colle
povere lane del frate, quanto per guarire quella fazione che
gli avea sopratwissuto, osserviamo com'egli trattò del Savo-
narola ne' tempi precedenti.
In una lettera de' di 4 di marzo 149| diretta ad un amico
prete in Roma, ^ ci si offre il primo giudizio di Niccolò intorno
alle prediche del domenicano. In quella espone l'argomento e
l'ordine della prima predica di lui in san Marco, nella quare-
sima di queir anno. In quella predica il nostro domenicano,
come poi fece Lutero, distingueva il fine di tutti gli uomini
da quello de' cristiani , i quali hanno per solo fine Cristo.
« Degli altri uomini, e presenti e passati, è stato ed è altro
secondo le sette loro ». La quale distinzione dovea bastare ad
r
1 Parenti, litoria, mss. ad. annum.
* Nelle edizioni è lasciato al buio il nome della persona cai fu indirizzata questa let-
tera, che tra le famigliari è la seconda. Se ci fosse permessa una congettura, supporremmo
che Nfccolò abbiala potuto mandare probabilmente o a un don Clemente di Pietro, presbitero
0 a un don Giusto di Iacopo, chierici fiorentini ambedue, che intervennero a giurar per lui in
on atto di stipulazione, rogato addi xxi gennaio 1498 per istrumento di Francesco Pagno
di Pescia. notaio apostolico, pel quale Niccolò acquistava da messer Tebaldesco de'Tebal-
deschi, sollecitatore apostolico, làico romano ds regione Parionis, la metà de* redditi del-
roUldo suo di sollecitatore « per precio de ducati cento sexaginta cinque doro in oro di
Camera ». Quest'atto venne pubblicato dal GaspaboMi nel giornale II Buonarroti^ voi. ni,
Roma, 1866, pag. 62.
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Gqogle
1«
INTRODUZIONE.
[UBBO
r^\i
.c^ x^
-(•^
evitare da quindi in poi la confusione della chiesa collo stato;
ma a parlare schietto, riusciva questa una verità cosi nuova,
che ninno per allora pensò a tirarne conseguenze ; anzi la con-
fusione durò si lunga, che il primo pensiero de' rinnovatori
andava, come andò quello del Ferrarese, a far piuttosto una
chiesa o una frateria dello stato, che non a emancipare lo spirito
di Cristo da quello mondano, e ad assegnare a ciascuno la sfera
sua propria d'azione. Niccolò seguita a scrivere del Ferrarese:
< e' cominciò a squadernare i libri vostri, o preti, e trattarvi in
modo che noù ne mangerebbero i cani».^ E questa era la parte
veramente apostolica che il Savonarola sosteneva, quando co-
raggiosamente lottò per la riforma della disciplina del clero e
per la purgazione della chiesa. E se a questa ei si fosse sem-
plicemente attenuto, senza brigarsi né di predizioni ne di pro-
nostici, né di viaggi in paradiso, né di colloqui colla Vergine,
né d' intreccianjenti del giglio fiorentino con quelli di Francia,
egli avrebbe avuto più devoti che partigiani, non si ^sarebbe
perduto fra i meandri della politica, non avrebbe contradetto
a sé stesso, aUe massime proprie, alle leggi da lui promosse,
e il Machiavelli l'avrebbe senza forse celebrato come San. Fran-
cesco e San Domenico, che sostennero cogli omeri loro la va-
cillante chiesa e la tornarono a' suoi puri principi.
Ma osservando invece come quegli ne' scritti suoi mostrò
la dottrina, la prudenza e la virtù dell'animo; e ne' fatti poi
comparve ambizioso e partigiano, ^ più forse per monastica qua-
lità e inesperienza che per altro; e non sapendo conciliare la
recia ratio agibilium del frate scrittore con la temerarietà del
frate politico; ebbelo in conto di ciurmatore, di abbindolatore del
popolo, la quale opinione ricopri con que' termini ambigui, che
lo facessero salvo presso a' frateschi. ^ Ma non si tenne di com-
^ L^autografo di questa lettera (Bibl. Naz., doc. Mac. busta i, n. 58) à, a questo passo :
« che non vi harebbono mangiato e cani ». E Ugolino Vebini, nella sua InveUwa contro
il Savonarola {Nuovi Docum. e studia ecc., pag. 197) : « contra omnes pariter invectus
cuiuscumque ordinis ut solus sibi nomen sanctitatis arriperet, Cleram in primis magna su-
perbia lacerabat neroini parcens; tanquam regulufl linguae virus effudit ».
* M., Discorsi, lib. i, cap. xlv.
* Discorsi, lib. i, e xi. L* ironia d'alcuni passi del Machiavelli, risguardanti il Savo-
narola, non comparve talvolta agli stessi biografi di questo. U Villari (op. cit. voi. i,
pag. 2S5), osserva come nel primo Decennale lo dicesse : a/flato di virtù divina; ma quel
che seguita basta a provare quanto poco Niccolò credesse in quella divina virtù, che fa
spenta con maggior foco. Inoltre nelle lacune che vennero lasciate nell'edisione del Pa-
renti (Fir. 1843) alla lettera xlix, tra le famigliari di Niccolò al Guicciardini, e che noi,
mercè dei Codici Giulian de* Ricci e Barberiniano, riempimmo, v*à un passo che dice,~a
proposito d*un predicatore che quegli do vea trovar per Firenze: «Io vorrei trovarne uno
più pazzo che il pazzo, più versuto che fra Girolamo, più ipocrito che fra Alberto, perché
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secondo] la città e il PALAZZO. 167
battere apertamente l'eredità funesta del frate, quella serie
di massime che riduceva la religione nostra ad essere tutta
contemplativa, astinente, oziosa ; e volgeva la città in chiostro,
e faceva dell'estasi la condizione permanente degli uomini, e la
beatitudine loro. * Ma tutte queste esortazioni, queste consi-
derazioni," queste opinioni intorno al Savonarola si fanno nel
Machiavelli più esplicite, com'egli più si allontana dal tempo
in cui esercitava il suo uflScio in cancelleria. Nella prima let-
tera sua è cauto; ne' Decennali è ironico, ma ambiguo; nei
Discorsi è schietto, ma respettivo; nell'^^mo par che com-
batta la massima e non 1* individuo ; nella lettera al Guicciar-
dini finalmente gli dà la sferzata.
A questa maniera di cautele lo guidavano per verità non
tanto la coscienza del proprio ufficio quanto l' intolleranza de-
mocratica, della quale non mancarono esempi che sapessero
di ferocia. L'esempio di Giovanfrancesco di messer Poggio Brac-
ciolini, doveva stargli vivo d' innanzi ; ^ dopo la morte del Sa-
vonarola, Giovanni Garzoni dall'ambasciatore veneto, che in-
sisteva perchè scrivesse la vita di quello, ebbe a schermirsi per
paura di non andare a verso, dicendo il vero, a' frati di san
Domenico. ^ Tanto pareva pericoloso il pronunziare giudizi.
Non è però meraviglia se, istruito da vari casi e stretto dalle
circostanze, Niccolò educossi ad un riserbo, che in tempi di ti-
rannia non occorre l'eguale. E questo riserbo stesso, aggiunto
all'acume suo, gli fece trovar grazia presso i potenti esterni,
ai quali certe cose garbava non dirle ed esser compresi, e star
senza tema che l'intenzioni loro venissero con leggerezza spub-
blicate. Pertanto qualche volta, in certe commissioni scabrosis-
sime, in cui il miglior officio del segretario è pel segreto, lo
vediamo risparmiar lettere; guardarsi da espressioni che non sa
come possano da' suoi signori esser ricevute; sopportar volentieri
il carico d'esser uomo che scrive poco. Le lettere che scrive,
registra a' suoi quadernucci in forma d'estratto; ^ talvolta ne fa
e ne spaccia più copie, se teme che le non abbiano a capitar
male per la difficoltà delle vie; talvolta involge nell'arcano
mi p&rreKbe una bella cosa, e degna della bontà di questi tempi, jche quello che nói ab-
biamo sperimentato in molti frati, si sperimentasse in uno ».
> Machiavelli, AHno d'oro. Capitolo quinto.
« V. la nota 2 a p'ag. 147.
, 3 Nuovi DocufMnti e Sttcdt intorno a G. Savonarola^ pag. 10.
* V. in App. VAnaiisi del Codice Giulian de' Ricci, S xiv, e il Cod. Barberiniatw,
pag. 83, 108, ecc.
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168 ^ INTRODUZIONE. [lxbbo
delle cifre il suo pensiero e le comunicazioni di novelle pe-
ricolose ; e quando si trova a tracciar la via ad altri del modo
da tenere nelle commissioni e nelle ambasciate, inculca sopra-
tutto schivare la taccia e il pericolo di consigliatore dei propri
signori, e indica i mezzi termini per introdurre loro nell'animo
certe deliberazioni, che paiano invece nate loro spontanee, sì
che, rinunciandone il merito, e' si acquisti credito più di fedele
che d'avveduto.
Pertanto i Dieci potevano scrivergli: « Tu se' prudente et
per hauere el secreto' di tutte le cose, non è necessario di-
scorrerti altritìflenti el desiderio nostro »; ^ e Agostino Vespucci
che vuol raccomandargli un ser Luca a ciò che sia sostituito in
cancelleria al posto dell'Alfano, non sa scrivergli di meglio che
questo: « Scis... qtiantopere fide oc iaciturnitate valeat, » ^ le
lodi della mano veloce e della buona penna vengono poi: e si che
a detta del Vespucci stesso c'era da ammarcire nel lavoro; e
gran fortuna quando il Machiavelli non era lungi, che colla
sua festività e colle celie riusciva a condire di buonumore la
grave fatica. « E certamente, lo -essere insieme con voi, scrive
anche il Bonaccorsi, dà il tracollo alla bilancia».
E quando egli n' andava lontano, i pettegolezzi, i ranco-
rucci, le questioncelle astiose parevano guastar la pace a tutti,
si che il suo ritorno come quello d' un patrono benevolo e com-
positore di litigi era desideratissimo. ^
Ma tutte queste belle qualità, naturali e acquisite, non
bastavano ad assicurar Niccolò dalle male disposizioni della
città faziosa. Quando un governo di frateschi poteva proibire
1 Bibl. Nas., doc. M., bnsu iv, n. 143.
* AUG. VbspuccAts, N. de Maclavellis, 4tc., die xx octob. 1500. Bibl. Marucelliana,
ms. D. 66, misceli. Bandini. Il Banoini stesso la pubblicò nella Colleetìo vet. alìquct. mo'
num.f pag. 49 «■ seguenti.
Non ci sembra inutile darà le varianti non libvi fra Tautografo di questa lettera e
il testo dato dal Bandini:
Autografo : *
« nam et a N. N. et ex Bles, regione qui-
(lem longinqua».
« Rapha: Oirolamum ».
« quorum quinquennium (sex annos) etc. »
« die XX octobris m.d. tenute a* di 29 et
ecchoti e' sa. nr. Aug. Vespuccius tuus in-
visissimus ».
T. Bandini, op. cit:
Pag. 50 « nam et a N. M. et exules re>
gione quidem longinqua ».
Pag. 58 « Rapha, Girolaminum ».
Id. « quorum quinquennium pars ma-
gna fuimus ».
Id. « die XX octobris m.d. Aug. Ves-
puccius tuus ».
* Le lettere che maglio descrivono le minute vicende di lui in cancelleria sono le se-
guenti (bibl. Naz., doc. M., busta m, n. 9, 14, [15, 16, 17, 18, 19, 21,'«2, 23, 26] 38, 39, iv
[79, 80, 81, 82, 83, 84, 36] 93 [102, 108, 104, 105] 119). Quelle indicate fra parentesi sono di
Biagio Bonaccorsi. ^
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SBCOXDol LA CITTA E IL PALAZZO. 169
a DoflFo Spini e alla sua brigata d'amici di non fr.re allegrie e
cone; quando a chi pareva tristo e macero i monelli rican-
tavano a rumore e ad insulto pef le vie V arrendetevi pia-
gnoni; quando una foggia di vestito ^ bastava a far credere
un uomo avverso al popolo, e l'amicizia e la fiducia de'Sode-
rini procurava l'invidia e la diffidenza di chi tenea da' Ru-
cellai 0 da'Salviati; come poteva essere che passasse illeso il
Machiavelli, il quale coli' istituzione delle milizie pareva a cer-
tuni ch'ei fornisse puntelli alla tirannide, a cert' altri che se-
condasse i capipopolo e coli' andare in commissione fidato, fosse
gretto ordigno di chi comandava;^ ed era per venire a' popolani
tutti in mille occasioni increscioso colla sua propensione a partiti
pronti e forti, pe' quali si voleano sagrifici d'opere e di danaro?
In cosiffatte condizioni di cose e d'uomini i torbidi della
vita sono inevitabili e un solo conforto li compensa: l'amicizia
dei buoni, la stima profonda de' pochi, di coloro che veggono
un uomo a tutte l'ore, che ne conoscono la pazienza lunga,
modesta,, energica, ignota alla moltitudine. Pertanto gli Albizi,
i Rucellai, i Ridolfi, i Tosinghi, i Soderini l'avean carissimo;
di quest'ultima famiglia Francesco, che fu poi cardinale di Vol-
terra, gli die prove d'ogni maniera di amorevolezze.
Quando messer Piero, fratello di' lui, fu scelto a gonfa-
1 Parenti, Istoria msa. (settembre 1501, n. 159). « Circa xii giovani nri fiorentini de* pri-
mati vennono tra loro in ragionamento di lasciare e cappucci et mantelli, et pigliare nuoyo
habito più honorevole et comodo et manco molesto alla testa. Feciono veste aperte dallato
a uso di lucco et chiuse dinnanzi, eccettochò da} capezzale quattro dita, donde comoda-
mente potessino mettere il capo; chiamaronle ughettoni. Di sotto haucuano gabbanelle con
maniche larghe et dovitiose. In capo berrette con mezza piega. Questo habito da molti fu
biasimato come incivile et cortegiano; et reputossi da superbia procedessi, et da intelli-
gentia piò che da altra cagione, acciò si distinguessino dalli altri cittadini popolari. Usci-
rono loro contro alcuni sonetti sanza certo autore. Altri commendavano tale portatura,
maxime fu^endosi la molestia de*cappucci, gravi alla testa et motivi di scesa». S'intende
da ciò perché il Pitti intitolasse la sua difesa del governo largo e democratico : Apologia
de'cappucci. In una lettera di Biagio Bonaccorsi a N. M. in Imola, Florenliae^ die XXI
octotyris iSOS (Bibl. naz., doc. M., busta in, n. 6) si legge: « Nicholò, perchè hieri quando
ricevè la vostra era festa, non potetti farvi fare luchettone » ecc.
* Rechiamo a questo proposito il seguente brano, non poco invidioso dal Discorso in
del QmcciABDiNi, Opp. inedite^ voi. ii, pag. 283: « Non è bene che la Signoria abbia auto-
rità di distribuire in cittadini uffici di sorte alcuna, non mandare imbasciadori o commis-
sari, se non in caso di una subita necessità per breve tempo, il quale non si possi per via
diretta né indiretta prorogare; né si possano per simili cose mandare segretari di palazzo,
ne non con deliberazione delli Ottanta, o di quel Consiglio che li rappresentassi, sondo la-
sciato in simile modo il caso di una necessità subita. Questo serve e alli effecti detti di
sopra e a tórli modo di potere per mezzo di simili istrumenti tenere pratica con principi
forestieri. Non è bene che colle sei fave e' possine cass'are magistrato alcuno per alcuna
causa; non cassare i cancellieri, secretarli pubblici, perché questo timore, vedendo che il.
Gonfaloniere lo possi maneggiare, li fa stare sotto tanto che li sono uno mezzo grande a
aggirare le cose delle leggi e dello stato a suo modo ; e se ne è visto lo esemplo a tempo
di Pier Soderini ».
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179 INTRODUZIONE. L^-ibbo
loniere perpetuo, Niccolò non tardò a scrivergliene congratu-
landosi; e quegli subito gliene riscrisse: « salve, mio carissimo;
non sarebbe faccenda d'un' ora né cosa da noi il rispondere
alle lettere tue elegantissime; ma solo risguarderò pel momento
l'amor tuo verso la patria e la famiglia nostra, e ti ringra-
zierò per q^uesto e pregherò Dio che si degni assistere alla scelta
e al giudizio del popolo fiorentino. Noi saremo sempre gli stessi,
legati alla patria da tanto debito, che per essa e pe' concit-
tadini nostri spenderemo sempre ogni nostra fortuna e la vita.
E poi che tu sei tale che a nessuno la cedi e per amore e
per virtù, non sarai più per noi quel medesimo di prima, ma
assai più caro e più grato; però che, per quanto riguarda me,
cosi possa io esser trovato degno di quei beni, di cui finora
la divina bontà volle ricolmarmi ; ma se il caso e l' errore mi
fecero pervenire a qualche grado, io farò conto d'aver tutto
ricevuto per la .patria e per gli amici. Amami come fai ». *
Ed è bello vedere questo buon prelato, caldo d'affetto,
rompere in esclamazioni sincere per la nuova libertà (Ji Fi-
renze: « dono divino et non humano, nisi corrumpaiur malitia
aut ignoratione! » ed esortar Niccolò: «voi che ci avete tanta
parte, non mancate in alcuna cosa nist velitis habere Deum
et homines iratos ». ^ Similmente lo commenda talvolta del bello
stile di tutte le sue scritture: <e Le cose scritte da uoi sono
di natura che le può leggere ogni castigato judicio, et se in
ciò non avete posto ogni vostra industria, come uoi dite, et
noi crediamo, pensate di chQ prestantia saranno le cose alle
quali metterete tutta la forza dell'ingegnò e dottrina vostra,
al che vi confortiamo quanto sia possibile et preghiamo che
alla giornata ne fate partecipe delle vostre lucubrazioni ». ^
E Niccolò a tanta bontà e tanta fiducia corrisponde con
venerazione e stima profonda, non scossa mai dalle mutazioni
della fortuna. Se si deve dir quel che apparisce, di tutta la
casata de' Sederini è il cardinal Francesco che gli pare più
uomo. Piero è mite ed onesto, ma i capricci e l'ostentazione
ora ne coprono, ora ne scoprono la debolezza; Piero indugia e
tollera e spera tutto dalla sua virtù passiva; Francesco, sa
* Francisccs de Sodbrinis, jep. Viilterris N. Jf., dÌ6 29 sept. 1502 (Bibl. Nax.,
Apografo G. de Ricci. V. in Appendice § xvi.
■ Fr. de Soderink, N. M.j Bononie, die xv dee. mdvi (BÌbl. Naz., doc. M., busta iv,
n. 01.
* Fr. de Soderin'is, N. 3f, compatri cariss , Romae, die iii augn.sti MDvm (Bihl, Naz.,
doc. M., busta iv, n. 61).
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8BC02n>o3
LX CITTA E IL PALAZZO.
171
^che « la troppa patLentia da animo attristi dovunque si tro-
vono et qualunque siano ».i — Giovanvittorio nona grande le-
vatura di mente; Paòlantonio era stato troppo de'frateschi; e
quando questi e gli arrabbiati Vennero alle armi, e la turba
andò tumultuante alle case di lui per saccheggiargliele, chi
salvò le sostanze, la dignità e ogni cosa fu messer Francesco,
che allora non era altro che vesC')Vo di Volterra; il quale
messosi il rocchetto episcopale in dosso e gli altri panni eccle-
siastici, si fa avanti alla moltitudine armata, e colla parola e
l'aspetto venerando la ferma, la placa, là riconcilia. In città
se ne parlò per. molti giorni come d'un fatto eroico, e Niccolò,
quando i Sederini non erano più potenti, ne volle far comme-
morazione gloriosa, onorando il buon vescovo colla bella simi-
litudine de' versi virgiliani:
Tum pietate gravem oc meritU si forte virum quem
Conspeooere, sileni; arrectisqvte auribus adstanl. *
Con Piero Soderini poi le relazioni di Niccolò ebbero ad
essere singolarissime; e appena si riesce a determinarle esa-
minando i fatti .minuti, congetturando da' motti ambigui di Nic-
colò, vagliando la tradizione che attribuisce a lui epigrammi
acri, ghiribizzi cinici contro al gonfaloniere perpetuo. ^ L'esame
diligente di tutto* ciò vale appena a farci intendere la difficoltà e
la naturalezza di quelle relazioni. Quel che le spiega è che l'af-
fetto e il giudizio fra que' due uomini non procedevan d'accordo.
Niccolò vede il Soderini a capo dello stato popolare, a
difesa della libertà minacciata, insidiata, pericolante per ogni
lato: vede su tutto quell'incendio il mansuetissimo messer
Piero spruzzare serenamente acqua di rose, confidandosi che in
lui sta la forza perchè in lui è il buon diritto. Molte cose egli sa :
sa di finanza; sa destreggiare ne' Consigli, avvalersi delle ghermi-
nelle parlamentari, scuotere, quand'occorra, il popolo ; ma egli
arriva a farsi veder anche piangere dal popolo; vuol godersi
anch' egli il beneficio del tempo, e non sa che il terppo non si
può aspettare, che la bontà non basta, che la fortuna varia,
che la malignità non trova dono che la plachi; ^ e quando è
bisogno d'altro che d'umanità e di pazienza ei non sa trovare
in sé stesso altre virtù. Pertanto il Machiavelli, a cui l'audacia
> Bibl. Naz.. doc. M., busta "iii, n. 57. '
s Machiavelli, Discorsi, lib. i, e. liv.
* V. in Appendice VAnalisi dell'apografo di Oiulian de'Ricei, S xxxi.
** Machiavelli, Discorsi, lib. i, e. lii; lib. iii, e. ix-xxx.
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I
172 INTRODUZIONE. [libeo
de' propositi e la prontezza delle risoluzioai erano più naturali,^
giungeva, nell'animo proprio, a spregiare i partiti di quello;
ina voleva gran bene alla persona di lui che gli era così
larga di confidenza e d'aflFetto. 'E d'altra parte il gonfaloniere
napeva quanta era la fede di Niccolò, quanto Taccorgimento di
lui nel condurre a termine le imprese, nell' eseguire i par-
titi, nel conoscere le persone ; ma quando per avventura esso
lo chiamava a ragionar delle cose, quando l'udiva farglisi in-
nanzi con qualche istigazione a opere ardite e straordinarie,
scrollava il capo e repugnava a seguitarlo, parendogli dì cor-
rere a precipizio nel confidarsi con lui. Donde risultava per
ambedue una condizione tristissima; che l'uno diffidava come
per istinto dell'opinione di colui, nel quale aveva piena e si-
cura fede; e T altro, pure osservando l'improvvida meschinità
delle delib3razioni di quello, doveva farsene tutto di l'inter-
prete e l'espressione; e amando fortemente la libertà, vedo-
vala soffocata dall'uomo che meglio pareva fatto per darle
respiro.
Oltracciò Piero adoperando il Machiavelli, come il mi-
gliore ' e il più fidato esecutore de' consigli suoi, e di quelli
delle maggioranze sue, contribuiva a renderlo oggetto dell'astio
e del mal talento degli avversari. Cosi quando questi andava
in commissioni, avea mestieri di chi- gli guardasse le spalle
dalle arti e dalle macchinazioni degli emuli; e niuno gli pre-
stava un simile officio con maggior zelo di Biagio Bonaccorsi,
coadiutore suo, cieco d'ammirazione per l'alto intelletto del-
l'amico, geloso della sua benevolenza e di soli tre anni più
giovane di- Niccolò. Dotato d' un cuore squisito e d' un ingegno
mediocre, non mancava ad alcun gentile officio della vita, e,
borbottando, dapertutto accorreva colla sua buona voglia. Un
piccolo segno di premura bastava a consolarlo; una preten-
sioncina affettuosa non soddisfatta bastava a metterlo di ma-
lumore. •
Quando il Machiavelli andò primieramente oratore col Casa
alla Corte di Francia, gli scrisse a su^ inattesa. Ed egli: < Ho-
norando et charo mio Niccolò, se io vi ho ad confessare la
verità questa vostra lettera ricevuta stamani mi à fatto un
poco gonfiar et levai^fe in superbia, vedendo che tra li stra-.
diotti di cancelleria pure tenete un poco più conto di me; et
per non calare di questa "mia opinione non ho voluto ricercare»
se ci è suto vostre lettere in altri. Io ne ho preso piacere
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BSCOKDo] LA CITTÀ E IL PALAZZO. m
grandissimo parendomi parlare con voi proprio e familiarmente
come eravamo usati: et ne bavero preso qualche poco di pas-
sione, havendo visto la prima volta vostre lettere, et non es-
sere facto da Voi mentione alcuna di me, dubitando cbe il
proverbio cbe si dice volgarmente: di lungi da occbiò, di lungi
da quore, non si verificassi in noi, il cbe questa vostra lettera
ha cancellato: et così vi prego seguitiate quando vi avanza
tempo cb'io per me non mancberò mai di fare mio debito verso
di voi. — Io non voglio mancare di significarvi quanto le vostre
lettere satisfanno a omniuno: et credetemi Niccolò, cbe sapete
che r adulare non è mia arte, cbe trovandomi io a leggere
quelle vostre lettere a certi cittadini et de' primi, ne fusti som-
mamente commendato: di cbe io presi piacere grandissimo: et
mi sforzai con qualche parola dextramente confermare tale
oppimene, monstrando con quanta fadilità lo faciavate : et cosi
dove*io veggo potere giovare, lo fo, parendomi farlo per me
proprio, come certamente lo fo )^. E altra volta: « Stassera...
si leggeranno nelli 80 et Praticha tutte le vostre lettere et
così si seguiterà »... « Scrivete ancora qualche volta a'Nove,^
perchè ognuno vuol essere dondolato et stimato ; et pure bi-
sogna farlo chi si truova dove voi ; et quattro buone parole
con due avvisi li satisfaranno et parrà sia tenuto conto di loro » . ^
E cosi talora lo manda in visibilio un atto di cortesia de' Si-
gnori. — « Caro Niccolò mio, cbe ho tanto favore con questi
signori che giugnendo iersera il cavallaro mandato da voi
circa ore sei, et vedutovi mie lettere, subito me lo manda-
rono a casa». — Poi teme di non esser abbastanza avuto in
pregio e carezzato dall' amico e se ne corruccia : « Niccolò, io
non sono adirato né ancora fo juditio dell' animo vostro verso
di me da queste favole, (perchè in fatto non mi è se non briga,
et io pure ho delle occupazioni poi non ci sete), ma si bene
da infinite altre cose che mi costrignerebbono, ricordandomene»
ad non vi portare quell'affectione che io fo; di che io non
voglio mi sappiate grato, perchè volendo non amarvi et hon
essere tutto vostro, nonio potrei fare,» < ma io veggo mi ho
a dolere della mia cattiva fortuna et non buona elezione, et
non di voi, poiché io non truovo riscontro alcuno in quelli
che io amo tanto, quanto me medesimo». ^
1 I Nove della milixia.
s Bibl. Naz., doc. M., busta iv, n. 80.
s BoMACcoBSi Biagio a N. M. a di 18 ottobre 1502. Bibl. Naz., doc. M., busta in, n. 5.
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174 INTRODUZieyE. [l
E in altra lettera: « voi vi volete scusare sempre o con
la trascurataggine o con le faccende et questo non basta alli
amici perchè vogliono esser riconosciuti per tali, et io sono
in modo fracido ad fare scuse per Voi, che se noi fusti mio
padre harèi più d'una volta decto un di, ad recere: Scrivete
un'altra volta ». ^ — Finalmente, quando la sua pazienza è
agli sgoccioli : « pregate Dio vi dia miglior fortuna che non
fa a me, che forse la merito più di Voi».^
A questi piccoli, sfoghi del non men dabbene che petulante
amico, Niccolò rideva in cuor suo, e quando quegli faceva
pressa per esser raccomandato, o messo in buona vista co' si-
gnori, 0 spinto innanzi nei gradi dell' uflScio; egli pur cercando
giovarlo in quel che poteva, finiva per ismussare con una celia
le pretese di lui, cui non poteva capire in testa, che, pur pro-
vandosi di fare quel che gli altri fanno, non si acquista di-
ritto d'arrivare dove gli altri arrivano.
Il Bonaccorsi compose un Diario de' successi seguiti in Ita-
lia e particolarmente in Firenze daWanno 1498 sino al 1512; ^
un'altra cronica delle cose fatte da Luca degli Albizi e del-
l'assalto dato a Pisa dai Fiorentini: e ciò malgrado al Ma-
chiavelli non poteva parere uno storico. Avea scritto qualche
canto carnascialesco, .pieno di buone intenzioni e di poco di-
letto, e alcune poesie amorose per una sua Angelica: ma con
tutto questo a Niccolò non potè parere poeta. Non si acconten-
tava d' esser coadiutore nella segreteria dei magnifici Dieci
della guerra; e una volta che gli capitò d'esser mandato in
» Bibl. Naz., (Busta iv, doc. M., n. 84, 50) Die vi octobris 1506.
* Bibl. Naz., (Busta v, doc. M., n. 11) Florentiae, die xxii augusti 1580.
■ Pubblicato dal Giunti, insieme con la Vita di Lorenzo de' Medici del Valori, nel 1508.
I /altra operetta isterica del Buonaccorsi trovasi nell'Arc/imo storico (tomo iv, p. ii) con
un accuratissimo avvertimento premessovi dal Polidori, nel quale sono non poche noti-
zie intorno alla vita del nostro Biagio,- e alcuni saggi di poesie composte da lui, che leg^
g^nsi manoscritte nella Bibl. nazionale (classe vii della Magliabechiana, cod. 720). Da
alcuni si mosse dubbio suU'autjBnticità del Diario. Non mancò chi cercasse attribuirlo al
Machiavelli. Il Morbni (Bibliografia storico-ragionata della Toscnna, t. i, pag. 3) scrisse
a questo proposito : « Sostiensi da molti che il Diario che è stampato, e che passa comu-
nemente sotto il nome di Biagio Bonaccorsi, sia del Machiavelli; difatti sembra assicu-
rarcene il ms. autografo posseduto dai signori marchesi Riccardi, se non vogliamo dire che
Bìtigio, essendo nel medesimo uffizi» che Niccolò, potette anch' egli prendere il sunto delle
lettere che venivano alla Repubblica e formarne il suo diario consimile all'altro ». Il Vil-
LARI, op. cit., pag. 3SS, in nota, osservò già come a un occhio esercitato non sia possibile
confondere la scrittura del Bonaccorsi con quella del Machiavelli ; da una postilla margi-
nale dell'autografo stesso, in cui si accenna all'assenza dell'autore da Firenze per sei mesi,
durante ì quali Niccolò fu quasi sempre nella cancelleria, argomentò a buon diritto come
quest* ultimo non s'abbia a ritenere autore del Diario. Se non che la natura e lo stile del
libro sono la prova più eloquente che l'autore del Sommario non è quel medesimo che
compose gli Estratti di lettere, de* quali ci occupammo già a lungo. Nel Codice Vaticano,
n. 5S83j innanzi al predetto Diario è posta la seguente lettera dedicatoria: « Blasius Bonac^
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SBCOWDo] LA CITTÀ E IL PALAZZO. 175
Francia ad accompagnare il vescovo Sederini e 'Alessandro
Pazzi, oratori, scrisse al Machiavelli: « mi lascerò prima impic-
care che andare >. Né pare che mai più fosse destinato a
commissario fuori. Qualche volta s' incontrano stanziamenti a
suo favore, per essere andato, a tempo dell'istituzione delle
milizie, a scrivere e rassegnare fanti. Ma il Machiavelli non lo
credeva fatto per dimenticar sé, le proprie fortune, gli amici, •
la famiglia stessa, a prò della patria; non lo credeva fatto
per la politica; e senza ricantargli sul viso questa verità bru-
sca, gli sorrideva scherzando e divagarido quando e' si lamen-
tava d'esser tenuto addietro; e lo lasciava affaccendar minuzio-
samente per le stanze del palazzo e arrabattarsi per sgallinare
fiorini. ^
Pure se le lettere di Biagio ci fanno impressione grade-
vole, siccome rari documenti per cui ci comparisce il Machia-
velli ne' particolari della sua vita domestica, nell'intimità della
persona sua, spoglio d'aulici indumenti, ve n'à qualcuna cho
senza merito dello scrittore ci commuove, e ci parla alla fan-
tasia, e ci colloca il segretario della repubblica nella più bella
luce che desse quel secolo, e ce lo fa parere un titano a petto
d'un altro titano, unendo il nome di lui a quello di Miche-
langelo. 2
Michelangelo . e Niccolò, figli d'una stessa terra, i cui soli
nomi basterebbero a giustificare l'orgoglio della patria italiana,
s'agitano in una stessa cerchia di mura, respirano l'aria stessa,
travagliano insiemjB pel miglioramento civile, s'affannano in-
cursiuSf Marco Belloccio amico praecipuo salutem. Hauendo io, Marco càrlrao, nel tempo
ch'ero a'servitii do* nostri excelsi Signori fatto qualche poco di ricordo delle cose seguito
in quelli tempi, spettante non solo alla città, ma a qualunque altro luogo, cosi in Italia
come fuora, delle quali veniva notitia alli orecchi mia, ho giudicato intra li amici mia de-
stinarlo a Te » ecc. — Nò questo manoscritto è di poca autorità, leggendovisi a pag cxx t. : ■
« Nota che da qui in drieto è copiato da uno simile di mano d*.uno Biagio di Bonaccorso
cancelliere al magistrato de* Dieci di libertà et pace, o vero sotto cancelliere cioò che ser-
viva al detto otScio per cancelliere sotto messer Marcello, primo segretario di questa Si-
gnoria. Et benché qualcuno dica et così stimi, esser note et membriale fìitte dal d. m. Mar-
cello non ò il vero, ma ò compositione che fece da sé il detto Biagio come quello che
uedeua tutti gli avisi et lettere che venivano ad decto offitio; et cosi che si scriueuano, et
cosi lui seguitò fino a questo tempo che fu mutato lo stato et reggimento che venne ne* Me-
dici, dove lui fu levato via insieme cdn gli altri, et in scambio del detto magistrato de*Di£CÌ
segui quello degli Otto della pratica, secondo l'usanza del reggimento de* Medici, il quale
offitio fu trovato al tempo loro per stare continuamente al tempo, di pace, et quello de* Dieci
non harebbe ragionevolmente a stare se non solo a tempo di guerra, che cosi fu sempre
usato ».
1 Bibl. Naa., busta ni, n. 26. Lettera al M., Florentiae, die v Qbrìs 1502.
> Bibl. nax., doc. M., busta iv, n. 105 (91), n. 81 (46). Busta iii, a. 22 (56). In quella
I>rima, Biagio scrive a N. : « In oltre harete per mano di Michelagnolo scultore ricevuto
lì denari della <1 di che expecto intenderne qualcosa per la prima vostra ». (Il segno <]
si spiega: staffetta).
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I
rN^^>^6 INTRODUZIONE. [libro
^^
, \^\r ^ ' feieme deirora in cui il danno e la vergogna durano. Predo-
jt'^' K* ^ . minati tutti e due dall'idea dantesca, cospirano a riportare gli
' (^. '^ y^ ' '- ' splendori dell'antica civiltà in seno del cristianesimo corrotto
.; >^; . ' e fuorviato: tutti e due ricercano l'integra legge della vita,
notomizzando cadaveri, l'uno per plasmarne il suo Mosè ter-
rìbile, l'altro per formarne il principe, il profeta armato che
• raddrizzi l' Italia. Degli impeti di papa Giulio stomacati entrambi,
l'uno gli scappa dalla corte, l'altro punto non si confida di
quelle imprese men belliche che rabbiose: i della Rovere non
\ gì' illudono; i Medici non fanno loro tanta lusinga che e' perdano
di vista il simulacro santo della libertà; nell'ora- che gli stra-
\ nieri minacciano la loro città prediletta, l'uno studia, tenia,
escogita il piano di fortificarla, l'altro drizza i ripari di San
Miniato al Monte e quindi fulmina la barbarie spagnuola, che'
^ nelle mura di Firenze percuote la città sacra del rinascimento
italiano. Ma i nonìi di questi due strenui ed impareggiabili
eroi, rimasti illesi contro ogni violenza di spade e di dommi,
mantengono cara e benedetta ne' fasti della civiltà quell'ora
che fu alla patria nostra fatale e dogliosa, e la ricomprano dalle
volgari vergogne. •
• Nel tempio di santa Croce, dove i grandi morti ancora par-
' lano ai vivi, i due illustri Fiorentini ora si ritrovano accanto,
come già un tempo nelle lettere di Biagio Bonaccorsi, come
; per gli anditi della corte papale e del palazzo de' Signori. Ma
* allora, come adesso, paiono l' uno dell' altro non accorgersi ne
I lasciano accenno d'essersi incontrati, conosciuti, pregiati. Tiene
\ ' ognuno il suo cammino, come se andassero per vie diverse,
^ come se non avessero un' intenzione comune, un palpito uni-
\ sono. Forse, se il Machiavelli avesse vissuto ai giorni dell'as-
• sedie, si sarebbero stretti insieme la mano su i bastioni della
città eroica; ma prima, nel disgregamento di tutte le forze, di
tutti gli affetti italiani, uno non fa motto dell' altro, uno del-
\ l'altro non cura.
E non è a dire che stupenda miriade d'artisti Niccolò ve-
desse esercitarglisi intorno, a quel tempo ch'egli si travagliava
in cancelleria. Una statua di Michelangiolo è sollecitata con
ansietà dal maresciallo de Gies, fa la delizia del Rubertet; ^
Michelangelo e Leonardo da Vinci gareggiano nel delineare i
cartoni della guerra di Pisa; Rafiael Santi s'appresenta a
' » Cf. Viia di Michelangelo BuonarroUj narrata con l'aiuto di nuovf documenti da Au-
relio Gotti, voi. i, pag. 31-32.
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SBCOiroo] LA CITTÀ E IL PALAZZO, 177
Pier Soderini raccomandato da Giovanna di Montefeltro della
Rovere, prefettessa di Roma; ^ Benvenuto Cellini, quello stesso
che dirizzava poi T artiglierie del Castel Sant'Angelo contro il
connestabile di - Borbone , allora di tenera età « sonava di
flauto e faceva sovrano insieme con i musici del palazzo in-
nanzi alla Signoria, e sonava al libro, e un tavolaccino lo te-
neva in collo »; ^ e Piero di Giorgio miniatore, figurava nell'offi-
cio dei Dieci, segno estrinseco della nazionalità sorgente, la bella
immagine della donna di provincie, la nostra benedetta Italia.
Ma Niccolò non tien parola né d' arti né d'artisti: Q suo pro-
posito é sollevar davvero la bella donna di provincie, da tanto
tempo giacente, sul nobile stallo cui la natura e l'istoria la
chiamavan per dritto: a nulla bada se non a portar a fronte
degli ^oltramontani l'accorgimento e la coscienza della civiltà
italiana; di nuli' altro è sollecito se non di rimetter in pugno
ai figli d'Italia l'armi cedute ai prezzolati, di ridestar le mi-
lizie, di rinvigorir gli animi. E che questa parte possa esser
.riserbata a lui, ilato tanto discosto da' pubblici maneggi, ri-
guarda con compiacenza ineffabile. Se i Medici fosser rimasti
al potere, egli non sarebbe mai stato accettato a' loro servigi;
se loro fosse succeduta una aristocratia compatta e serrata,
forse egli avrebbe potuto intisichire negli offici, ma non sarebbe
stato mai mandato fuori, non avrebbe mai veduto in veste
d'oratore corti di re, d'imperatori e di papi. Se le finanze di
Firenze libera fossero state prospere ed ubertose, non sarebbe
stata difficoltà ne'cittadini d'accettare legazioni, che erano in-
vece di gran dispendio e di nessun lucro; e il Machiavelli non
sarebbe stato mai mandato là dove dell'oro n'andava un pro-
fluvio. 3 Tutte queste cagioni contribuirono ad innalzare il no-
stro Niccolò alla bella ventura di rappresentare la patria, di
parlare per lei, di moderarne colla sua prudenza i destini.
» Cf. a proposito di questa lettera nel Zabn, Jahrìnicher fxir KunslwiSMntehaft,
Lipsia, 1863, Tarticolo del Rbumokt, D^ Etnpfshlitngsbrief fiir den jungen Raphasl.
• Cbllini, Vita, lib. v.
* Scrìve il Parenti (1. e, settembre 1500) che chiedendo il re di Francia ambascia-
dori « non si trovava cittadini, e' qnali volentieri andare vi volessino ; si per la materia
■piacevole, si per il poco profitto vi facevano rispetto alle spese e alla fatica grande si
durava a seguir quella Corte ».
ToMMASnn - Machiavelli. 13
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Capo Primo
DOPO LA MORTE DI CARLO OTTAVO
STORIA L^ITALIA DEL GUICCIARDINI — APPUNTI STORICI DI NICCOLO
SUE PRIME COMMISSIONI — SUA PROGENIE.
> Italia.... corea da Carlo, predata da Luigi,
sforzata da Ferrando e vituperata da Svizzeri ■.
(Machiavilli, Principe, cap. xii).
L*armi francesi erano passate minacciando e trionfando
per mezzo a Firenze « sumommée la belle ou la gentille >; ^
il Cristianissimo, che voleva comparirvi novello Carlo Magno,
vi fu celebrato anche maior et maximus;^ s'inurbò poi a
Roma, e innanzi agli scaltrimenti del papa spagnuolo, parve pic-
colo; 3 e i suoi cavalieri paventarono della leggenda romana.*
Egli procede innanzi toccando scrofole a gente d'ogni parte
d'Italia e d'ogni nazione, ^ accompagnato da singoiar favore
d'uomini e di natura.^ Le sue artiglierie, la cui sola fama
aveva messo spavento, '' spazzavano crudamente la via dinnanzi
1 Andbì db la Viome, Extrait ds Vhistoire étu voyage ds NapUt du roi Charles Vili,
V^. 119.
* V. aeir Archivio di Stato di Firenze, tra gli Atti pubblici, cartapecore t. vi, Francia n. 30,
fl trattato concluso fra la republlca fiorentina e il re di Francia, a* di 25 di novembre 1494.
Il Dbsjaboins, op. cit., pag. 606, ne dà l'estratto. V. particolarmente l'art. S del preambolo.
* OonsFBOT, pag. ^ e seguenti, V. Tratte entre le pape Alexandre et le roy, 1494.
« In primis papa remanebit bonus pater regis et rex fllins papae ».
« Cf. ViLLBNBUFTE, op. cit. in Mabt^nb et DuBAND, The», aneedot.f t. in, col. 1507,
t 5 e 6.
■ AzcDBé db la Vignb, loc. cit. pag. 141.
* CoBio, Historie MUaneii, p. vii: «Questo verno grandemente si mostrò favorevole
al re; per modo che non altramente parea essere, che nel tepido zefiro, che rimena il dolce
tempo 0 l'autunno, nel quale ogni cosa pare salutifera, non pioggia, non ghiaccio, non
niave alcuna cosa impediva, etc. »
^ V. in BcsBB, op. cit., pag. 54S-550 una lettera del Sassetti a Piero de* Medici da
Chambéry : « che se una volta possono mettere piò in terra et porre artiglieria a uno luogho,
nonni fidate che nonllo mettine per terra. Io lo credo perche ho uisto cose spauenteuole
di questa loro artigleria ». — E lo sepper Fivizzano, Monte San Giovanni e Monte Fortino.
(V. PiLOBOBBiB, Campagne et bulletins de le grande armée d'Italie, pag. 176-180).
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180 CAPO PRIMO. [libro
a lui. Napoli tremava; Alfonso d'Aragona, disperato, per le poche
forze sue e il molto odio del popolo che si sentiva sopra, abdicò a
favore di Ferrandino suo figlio, al quale l'amore della molti-
tudine poteva forse offrire ancora qualche sostegno. Atterrito
poi si ritirò in un chiostro d' Olivetani a Mazzari, in Sicilia;
dove umile ministrando a' monaci, lungo gli paiTe aspettare la
non tarda morte. ^ Ferrandino non si mostrò indegno né del
trono né del pericolo; ma né virtù né prudenza gli valsero, se
non ad essere maggiore della sua fortuna. Giangiacomo Tri-
vulzio che, fedele del re di Francia, trovavasi condotto dagli
Aragonesi, mentre si studia acconciarlo col Cristianissimo, cede
Capua; Gaeta non regge; Napoli si ribella. Ferrandino proscio-
glie dal giuramento il popolo dubitoso e si ritrae con Federico
suo zio nel Castel dell'Ovo ; quindi a Ischia. A' di ventidue di
febbraio, in giorno di domenica, festa della cattedra di San
Pietro,* Carlo s'incorona e s'impossessa del reame di Napoli.
Degl'Italiani aveva disfatte tutte l'illusioni: lo Sforza lo ni-
micava: ne diffidava Firenze: il Savonarola non lo vedeva ri-
formare la chiesa; i cardinali di Roma non ne avevano avuto
il papa deposto ; il Valentino, che aveva voluto ostaggio, gli
era fuggito: ^ Djem morto. Nessuno in Italia l'appaiava più con
Carlo Magno, nessuno credeva più alla crociata; s'era stretta
lega per osteggiarlo: in quella lega erano lo Sforza, i Ve-
neziani, il papa; non il duca di Ferrara, non i Fiorentini aggi-
rati dal Savonarola; e v'erano due potenti stranieri: il re di
Spagna, legato per parentela agli Aragonesi, cupido di con-
quiste ; il re dei Romani, cavalleresco, geloso delle prerogative
dell'impero.^ Questa lega faceva l' Italia segno a nuove mire,
campo di nuove guerre; e re Carlo, che non aveva molto avuto
a pensare per la sua venuta, cominciò gravemente a temere
del ritorno in Francia.
Due mesi dopo aver preso possesso del regno cosi conqui-
stato, otto giorni dopo l' entrata solenne in Napoli, il re si mette
^ V. in PiLOROBRiE, op. cit. pag. 434-447, Le regretz et compUnnU» du roy Alphonce
d'Arragon à son partemetU de Nafiples, e la Louenge de la victoire du très creaUen roy
de France obtenue en Ut conquisle de sa ville et cyti de Napples, aveeque» Iss regretz
et lamentadom du roy Alphonee.
' « Le joor etc. qui ét&ìt la féte de la chaire Saint Pierre, ainsi qu*il fut élevé à Roma
et mia en la haute chaire du pontiflcàt lieutenant de Dieu en terre, pareillemeint a pria
nostre sire le Roy la couronne et possession de son royamo de Naples ». V. in Pilobobbib
op. cit. S*ensuyt Ventrée et eouronnement du roy nostre sire en la viUe de Naples f<Uct&
le XXII jour de fevrier i495.
» André db la Vionb, 1. e. pag. 188.
• *• CoMiKBS, Mémoires, 1. vn, e. xv.
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SBCOMDO] PASSAGGIO DEL TARO, 181
iu cammino per retrocedere. Trapassa Roma senza poter tro-
vare il papa; sforza Toscanella, prende Siena in protezione;
dà promesse a Pisa, valica l'Appennino a Pontremoli; a For-
novo, dove trova l'esercito della lega, si vota a San Dionigi
e San Martino, e combatte una battaglia sanguinosa e corta. ^
Francesco Gonzaga, duca di Mantova, governatore generale
pe' veneziani vi fa portenti di valore: Rodolfo Gonzaga, suo
zio, vi muore, e « sopra il ventre dell'italico drappello »,* i
Francesi passano il Taro. Il fatto d'arme fu a' sei di luglio;
al mattino de' dì 7 re Ferrandino, apparso con sessantanove
vele spagnuole nel golfo, rientra a Napoli, adorato dalle turbe
del popolo, che solo a vederlo, gli spalancano le porte, le-
vando a cielo il grido aragonese : « jSerro, flerro ! »3 E Carlo
torna in Francia, né si ricorda più del suo nuovo regno, non
di Montpensier che v'à lasciato luogotenente; non di monsi-
gnor d'Aubigny rimaso in Calabria, non del duca d'Orleans
che affama in Novara. Il Comines^ e il Villeneuve ci dipin-
gono ben tutti i patimenti amari che toccarono ai Francesi,
che il re si lasciò alle spalle, nella nostra penisola. Pure il
buon Villeneuve ripete ancora: bisogna dire che non per nulla
porta il nome di Carlo « car ce fui pour le jour ung second
Charlemaine >.^ Quel « pour le jour » acconcia tutto.
A questo Carlo Magno i capitani disobbedivano: il d'ÌEn-
tragues, ch'aveva in mano la fortezza di Pisa, quando eragli in-
giunto renderla a' Fiorentini la dava a' Pisani, sedotto per da-
naro 0 per amore di donna. E il duca di Milano e i Veneziani
tendevano mano soccorrevole alla città assediata, verso cui
1 Cf. GuicciABDiNii Storia d'Italia, lib. n. — Croniche del Marchese di Mantova^ ed.
Visconti, in Areh. ttor. lomh., fase, xxi, pag. 49. — CoMmES, Mémoires, 1. viii, pag. 6:
« et ne dura point le combat un quart d'heure; car dèa quMls earent rompu ou ietté les lancea,
tout fhit. La chasse dura environs troia quart d*henre. Leurs batailles d'Italie n*ont point
accoustuiné d'estre telles; car il combatent esquadre après esquadre, et dure quelque fois
tont le jour, sans ce que l'un ne Tautre.gagne ». >— Sioismondo Conti nei frammenti delle
wxe Storie, pubblicati dal Ciampi (Arch. storico, rv serie, t. i, pag. 62): « (praelium), quod
non a mane ad vesperani, ut plerumque solet tracturo, sed unius horae spatio fuit tran-
sactum ». Cf. Machiavbi.i.i, Discorsi, libr. ii, cap. vi, ove accenna alle guerre « corte e
grosse, come dicono i Franciosi », donde l'osservazione (ibid., lib. ii, cap. xvii) circa le
anxffe campali «chiamate ne' nostri tempi con vocabolo francioso giornate, e dagl'Italiani
fatti d'arme ». —
• Machiavelli, Deeenf%ale /, v. 97. — V. in Malipibbo, AnmUi, pag. 364, come la gior .
nata del Taro paresse vittoria ai Veneziani.
> Ramkb, Qesehichte der romanischen und germanischen Vdllier. Lipsia, 1874, pag. 60.
* CoMiNKS, Métnoires, lib. viii, cap. 9 e 13. — Villbnbupvb, Viatique de VaUer et
ca»queste du Reauame de Naples par le roy très-^hrestien, roy de Prance, de SeciUe et
de Jerusaìem Charles Vili, passun^
» Villbnbufvb, 1. e, col. 1509-1510.
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182 CAPO PRIMO. [libm
i francesi non sapevano essere né amici, né nimici. Massimi-
liano d'Austria scendeva a Genova, si presentava a Livorno, du-
bitava se soccorrer Pisa per la via di Vico o di Cascina; poi,
rotti i suoi Alamanni, tornavasene, come se non fosse venuto;
svagato da* suoi propositi per beneficio di natura e non per
virtù d'uomini; che i soldati de' fiorentini mandatigli contro
parvero «bestie e putte scodate », ^ e l'armata francese chiesta
d'aiuto s'ebbe invano a desiderare.
A re Carlo in Lione fu annunziato il pericolo della vita,
poi la morte dell'unico figlio. Non se ne afflisse gran fatto; e
per consolare il dolor profondissimo d'Anna, sua moglie, du-
chessa di Bretagna, regina di Francia, volle che gentiluomini
venissero a danzarle alla presenza, e fra gli altri il duca di
Orleans, che poteva avere trentaquattro anni, annota il Co-
mines maliziosamente,^ e, per la morte del Delfino, rimaneva
il più prossimo alla corona di Francia. Fu vano poi che il
re provasse spingerlo coll'esercito in Italia contro il duca di
Milano, venuto in uggia a tutti: la salute del re destava ti-
mori,^ e l'erede non voleva allontanarsi.
Nel cartello d'Amboise, regalmente edificato da Carlo col-
l'opera di artisti italiani, il re noverava e confessava gli errori
largamente commessi nella sua conquista d'Italia; e si propo-
neva un secondo passaggio per ammendarli,^ e voleva instau-
rare il regno della giustizia, e arrivare a non commettere più
peccati né mortali, né veniali. In questi propositi la morte lo
fermò. A' dì sette d'aprile andava colla regina ad una gal-
leria del. castello, per assistere da quella al giuoco della
palla, che si faceva ne' fossati. Era luogo strano e sudicio:
entrandovi, dette del capo nell'uscio; cadde riverso, e senza
parola così sopra un pagliericcio giacque sino all'undici di
sera, quando gli cessò la vita. Quel medesimo dì, annota il
Machiavelli come singolare riscontro, « seguì in Firenze il
caso del frate », cioè la prova del fuoco. E < dopo la morte
1 Agostino da Terranova, Eitratti di lettere, Bibl. Naz. : Dee. M., busta ti, n. 72,
e. 12 6 13.
' Cournss, 1. e, lib. viii, capo xiii.
* CoMiNBs, 1. e, lib. vili, capo xv. ~~ Machiavelli, Estratti: « Qualche tempo avanti
la morte del re di Francia si vide su lui segni di epilessia, e la sua morte, te non fu di
questo, ne temè assai ».
, * CoMiNBS : « et si avoit son coeur tousionrs de faire et accomplir le retonr en Italia,
et confessoit bien y avoir fait des fautes largement, et les contoit, etc. » — Il ICachia-
velli numerò e pesò poi gli errori di Luigi e non di Carlo, come di colui del quale, « per
aver tenuto più lunga possessione in Italia, si sono meglio visti li suoi andamenti ». V.
Principe, capo ni.
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■BCOHDo] RB LUiqi XII. 183,
del re Carlo fu fatto re Luigi XII, e quella medesima ora
cominciò a pensare del divorzio con la moglie, per pigliare la
regina vecchia rispetto alla Brettagna, e al volerle bene; e
ancora fu concluso che il titolo suo fosse re di Francia, Si-
cilia, Gerusalemme, e duca di Milano; che già si mostrava il
pensiero suo a quello stato ». —
Cosi il re novello, scoperse in un Istante debolezze e pre-
tensioni ; così mise tutti in sull'avviso. Ma pel reame di Sicilia
non era più Ferrandino che doveva paventarlo: egli era morto
nel bel mezzo de' suoi racquisti, lasciando l'eredità litigiosa a
Federigo, suo zio. Così, come osserva il Guicciardini,* il reame
di Napoli vide « in tre anni cinque re». —
A questo punto degli avvenimenti non ci sembra inoppor-
tuno soffermarci per lieve sosta ; e intrattenerci sopra una que-
stione che riguarda Niccolò nostro, e pone il suo pensiero a con-
tatto con quello dell'autore dell'/storia d'Italia. Fin qui non potè
il cancelliere esserci posto in rilievo, e, come vedemmo, l'unica
via per cui egli partecipa alle pubbliéhe vicende, ci vien trac-
ciata dalla sua mente in que' sommari che corrono sotto il ti-
tolo d'Estratti di lettere ai Dieci di balia. Come non fossero
tutti della medesima natura e della medesima importanza quelli
che si anno autografi di lui e i risultanti dall' apografo di Giu-
lian de' Ricci, già ponemmo in sodo. Resta ora ad esaminare se
gli si appartengono realmente quelli che, aggirandosi su i me-
desimi tempi e le medesime contingenze* e distendendosi a com-
prensione più larga e universale, vennero pubblicati per suoi,
quantunque non ne rimanga manoscritto autorevole. ?
È osservabile che il Machiavelli ne' Frammenti storici
dal maggio al novembre del 1497, a proposito della congiura
ordinata per rimettere Piero de' Medici in Firenze, scoperta e
punita, scrive: « donde ne furono poi morti quelli cinque, come
io ò notato in un qìmdernuccio nelle mie scatole che solo
tratta della scoperta, esamina et morte de* detti cinque, de' quali
si parla altrove >? — Che per questa designazione non debbansi
intendere i quadernucci, ricopiati poi nell'apografo di Giuliano
de' Ricci, è manifesto dal non trovarsi negli estratti^ che deri-
vano da questo manoscritto e da quello barberiniano, altra notizia
^ Guicciardini, Istoria d'Italia, lib. in.
' Comparvero la prima volta neiredix. delle Opp. del M. fatta dal Cambiagi, Firenxe,
MSccLxxxii, voi. n, pag. 50-80.
* V. Machiavelli, Opp., ed. nlt., t. ii^ pag. 116.
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Gbogle
184 CAPO PRIMO. [libbo
circa r esame e la morte di quei favoreggiatori dei Medici, se
non qnesta:
« Agosto. Fu preso Lamberto dall' Antella all'Antella:
esaminato, nominò assai e furono presi,
4c Settembre. Addì 20 d'agosto furono e' cinque cittadini
condannati a morte ». ^
Invece negli Estratti dell'edizione fiorentina del 1782, ri-
prodotti nell'edizione ultima,* si pone la sentenza « a' di di-
ciotto »; errore quello e questo, però che la non fu pronunciata
che a' di diciassette d'agosto; ma in seguito vi si danno esat-
tamente i nomi dei condannati, e minutamente vi si contano
i particolari del giudizio e della esecuzione. Laonde è chiaro
che solo a' quadernucci che contenevano questi ultimi estratti
si potè far accenno da Niccolò ne' Frammenti predetti. Per-
tanto non è a dubitare che quelli non siano genuina opera di lui.
Inoltre, quando in quei primi Estratti s'incontra men-
zione dell'assassinio del duca di Candia, il racconto è fatto a
questo modo:
« Addi 10 di giugno avendo cenato insieme il duca di
Candia et il cardinale di Valenza, partendosi da cena, essendo
venuti al ponte a Sant'Angelo, venne a lui uno turato, et par-
latogli, licenziò i compagni : et andatosene con lui, non fu mai
più rivisto, salvo che fu trovato nel Tevere dopo tre di, morU>
con più ferite ».' —
E negli ultimi:
« Circa mezzo il mese fu morto il duca di Candia. Per
allora non si seppe da chi ; poi si tenne per certo che il car-
dinale di Valenza, o per suo ordine, fusse stato autore di questo
omicidio per invidia, o per conto di Mona Lucrezia ». ^
1 M. Opp.f ed. ult., voi. n, pag. 259.
* Ibid. voi. II, pag. 189.
■ M. Opp.y ed. ult., voi. n, pag. 259.
* M., Opp. ed. alt., voi. ii, pag. 31. Gf. Alvi», Ceaare Borgia duca di Romagna^
Imola, 1878, pag. 33-45. Circa a questo trace avvenimento, manca nell* Archivio fiorentino
la lettera dell'oratore Bracci, in data del xvi luglio, che ne dava informazioni. Rechiiumo
della corrispondenxa di lui que* brani che vi si riferiscono (Archivio di Stato in Firenze. Let'
tere de'X di Batta da maggio a XBre i497y ci. x, dist. 4>, n. 54 a e. 53) :
C. 53. « Magnifici etc. Hierì diedi notitia alle S. V. del miserando caso del Duca di
Candia, el quale fu seppellito a bore xxiig in S. Maria del Popolo; et andò scoperto in
sulla bara con non molta cerimonia di pompa funebre : et fu accompagnato dalli Oratori
della Legha excepto il Venitiano, et dalla famiglia sua et del Papa, la cui Santità non
resta d'affliggersi, et non dà anchora audienza a persona. Et per li ministri suoi di justitia,
et per tutti li modi possibili di coniecture, d* indictii et d'altro, non si attende se non a
ricercare et investigare li autori del male, nò por anchora traevano cosa di fondamento :
et se bene hanno varie opinioni, non le rischontrano poi. El Ghovernatore et cosi il Bar-
gello sono entrati in più case, non solum dove il Duca havea qualche consuetudine mani-
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ucoxDo] MORTE DEL DUCA DI CANDIA. 185
Ora, il sospetto che Cesare Borgia potesse essere stato ca-
gione della morte di suo fratello non nacque se non quando,
per dirla con una frase del nostro Niccolò, il papa pensò ca-
festa, ma anchora occulta, non senxa nota di qualche persona da bene^con examinare
famìgli et fantesche : intra li quali è suto il Conte Antonio Maria della Mirandola per bavere
una figliuola molto formosa, ma di bonissima fama; et questo perchd è certissimo che el
Duca fu morto non molto dischosto dalla casa sua la quale ò poche lontana da luogho
donde el Duca fu buttato in fiume; et è comune opinione che chi ha voluto condurre alla
rete il povero Signore, li babbi gittato innansi questo logoro, et datoli ad intendere che
Tordine fùsse dato per quella sera; perchò colui che li parlò stravestito et che li montò
in groppa, li ha parlato altra volta in simile habito, et sempre di nocte, per mostrarli bene
el secreto, et stimasi che lo babbi pasciuto con vana speranza d*una simile impresa tanto
che chi lo voleva giugnere al bocchone bavessi Tescha bene preparata. Et certamente chi
ha ghovemato la cosa ha bavuto et cervello et buono coraggio, et in ogni modo si crede
sia stato gran maestro. La Santità del Papa è in modo accesa alla vendetta, per quanto
si può intendere, che non ò per lassare alcuna provisione indietro per ritrovare li malfat-
l4>ri, et per valersi della iniurìa; La quale non li poteva essere fatta nò più intollerabile
nò maggiore per le circumstantie che la agravano......
« Roma, xvij Junii 1497. « Alexa.ndbb Bbaccius, OrcU. »
C. 63. « La Santità del Papa monstra tuctavolta attendere a ritrovare quelli
che hanno morto el Duca di Candia; ma questa mattina mi fu detto da persona degna di
fede che a quest* bora Sua Beatitudine ha assai di presso notitia del vero, ma andrà dis-
simulando per fare pruova se potesse giugnere li auctorì al sonno, per essere buomini
d'importantia et che hanno stato: et di cosi ò la commune opinione; et sarà forse tale
che non ingannerà la brigata di molto per la natura sua.
« Monsignor di Valenza non andrà alla incoronatione del Re Federicho, et stimasi che
il Papa vi manderà il Vice Cancelliere, il che non sarà senza misterio, perche non si crede
che la sua Rev.ma Signoria volessi pigliare questa gita se non vi fusse sotto qualche altra
copertura. Alla Sua Rev.ma Signoria fu dato da principio qualche caricho, etiam de quelli
di Palazzo et dalla famiglia del Papa, et non dalli inferiori, che lei havesse tenute le mani
al tractato contro al Duca di Candia per alcuni sdegni et iniurie che il Duca predecto li
baveva facti, insino a ritrovarsi presente in far porre le mani addosso a due de suoi staf-
fieri et farli impiccare, circa un mese fa ; di che il Vice Cancellieri si dolse poi gravissi-
mamente col Papa, et usò di strane parole. Da questo caricho nacque che Sua Rev.ma
Signoria fece qualche dimostrazione di temere, se ben si cognosceva innocente : et però
dove prima si stava al giardino per pigliare aria, si ritornò alla Cancelleria; et facendosi
Consìstono poi el Lunedì che segui dopo il caso del Duca, Sua Rev.ma Signoria non ci
volle andare, et dixe expressamente la cagione acciocché il Papa la risapesse :* per la qual
cosa Sua Santità li mandò lo Oratore di Spagna et quello del Re di Napoli a significarli
che di lui era cosi certo non ci haveva bavuto colpa, come di se medesimo ; et fecelo con-
fortare et richiedere che volesse andarlo a vedere. Et Sua Signoria ci andò sotto la fede
di decti Oratori, et in loro compagnia, et non di meno con buono ordine quando fussi vo-
luto esser ritenuto : et stiò con la Santità Sua quattro grosse bore giovedì sera ; et ritor-
nossi a casa pure accompagnato da decti Imbasciadori. Hier mattina dipoi ritornò alla
prefata Santità, et stiè con lei parecchi bore ; et finalmente in su questo accidente seguito,
il Papa, per quanto si ritrahe per molti rischoatri, monstra essersi del tucto coUeghato
con lui, et si existima che babbi a ghovemare la Santità Sua et a dispome più che mai, etc.
« Roma, 23 Junii 1497. « A. Bbaccius ».
C. 74. « La Santità Sua ha pure statuito che il Cardinale di Valenza
vada alla Incoronatione del Re Federico, perchò la M.à Sua ha mostro desiderarlo pel
messo dello Ambasciador suo, quale ha man<]ato qui a condolersi della morte del Duca
di Candia.
« Veduto ch'el Papa non si mostra tanto curioso di ritrovare quelli che hanno morto
il Duca di Candia, si tiene per indubitato che la Santità Sua ad questa bora babbi ritro-
vato il vero, et che non pensi ad altro se non ai modi del potersene valere ad man salva.
« Roma, primo Julii 1497. « Alex. Bbaccids ».
C. 7$. « Della morte del Duca di Candia si parla ogni di variamente ; et
chi afferma el Papa baveme lo intero, ma dissimulare per la cagione ho detta per altra:
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186 CAPO PRIMO, [libbo
vargli l'abito ecclesiastico e dargli stato da laico ; ^ e, per quel
che sembra, il sospetto ebbe origine veneziana. Se ne fa pa-
rola in un dispaccio del Pigna, da Venezia, e a' di 22 del feb-
braio 1498;* e pare che l'odio veneto l'argomentasse dalla
considerazione delle utilità probabili. Ora, a noi non sembra
dubbio che già quei primi estratti del Machiavelli fossero com-
pilati parecchio tempo dopo il 1498; in un tèmpo in cui, se
da pubblici documenti della cancelleria iSorentina gli fosse ap-
parsa l'affermazione di quel sospetto,' ei non avrebbe preter-
messo al certo di fame notamente. Invece, in quelli non ne
tenne parola. Perchè? perchè quegli estratti, quantunque or-
dinati alla composizione delle Istorie, non anno ragione se non
di quel che è transunto di pubbliche scritture d'oratori e man-
datari della repubblica fiorentina; mentre gli ultimi raccol-
gono notizie anche da altre fonti, si dilatano ad abbracciare
documenti d'importanza più generale, mettono accanto allo
spoglio cancelleresco il commento della tradizione, fanno cor-
rispondere al pensiero de' politici il sentimento del popolo. Così
in questi si à notizia della presura e della morte di Perkin
Warbec, famoso impostore che sotto il nome di Riccardo Plan-
tageneto (Niccolò lo chiama Piata Giannetta 3), passò per figlio
d'Edoardo quarto, e fu da Carlo ottavo invitato a Parigi e
ricevuto con tutti gli onori convenienti a un dùca di Yorck.
E chiamandolo « duca di Jorch » anche il Machiavelli, ci dà
luogo a congetturare che la notizia la traesse da fonte fran-
cese, e da chi non era persuaso dell'impostura del venturiero
fiammingo.
Parimenti per la causa del divorzio fra la regina Giovanna
« la moglie vecchia » e il re nuovo di Francia, giudicata dal
et alcuni dichono el contrario. Ma quomodocumque sit, S. Santità non fa più cerchare, et
li suoi tacti parlano in una medesima sententia che non se ne sappia el vero.
« Roma, 7 Jal. 1497. « Braccius ».
1 M., Estratti, pag. 134.
* Cf. Alvisi, op. cit., pag. 44. — V. anche i Frammenti dalle Storia di Sigismondo
Conti pubblicati dal Ciampi, Archimo storico italiano, vr serie, t. i, pag. 94-95, in cai si
dice: « Cum diu dubitatum fuisset a quo Ioannes dux Candise necatus esset, compertom
fuit Valentinum eius rei auctorem fuisse, emnlatione potenti» qua is Alexandre patri, quem
oculis et omnibus oris lineamontis referebat, carior et acceptior esset ». — V. anche Kkopflbe
N., Dw Tod dea Herzogs von Oandia, nella Theologische Quartalschrift (voi. xux, pa-
gine 488-476) il quale afferma non prima del 1500 essersi propagata Taccusa contro del Var
Untino. PiBTBo Mabtirb, Opus epistol. pag. 99: « Viget opinio, quod frater ipse Casar
hic cardinalis tanti facinoris pre invidia, aut prò selotypia fuerit auctor ». — Cf. anche
Nembc V. Papst. Alexander VI, Klagenfurt, 1879, pag. 120-128.
> M. Estratti, 1. e. pag. 1^. Humb, History of England, cap. 25. Hallam, ConstUì*"
lUmal history of England, cap. i.
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BECOFDo] STORIA' D'ITALIA DEL GUICCIARDINI, 187
cardinale di Mans, dal vescovo di Seez (Sezza), egli sembra
avere attinto agli atti autentici, di cui riferisce i sommi capi
e le parole testuali. E quando poi accagiona il Valentino di
aver fatto morire il vescovo di Seez, per aver rivelato che quegli
portava con sé in Francia la dispensa pontificia, che lo scaltro
Borgia intendeva sfruttare a prò delle cupidigie proprie e
paterne, racconta la cosa non come tradizione di sospetti pro-
babili, ma l'afferma siccome certa, e la sua affermazione entra
solenne nélYIstoria del Guicciardini. ^
Ora egli è precisamente a questo punto che vogliamo restrin-
gere le nostre considerazioni intorno a questi estratti, per de-
rivarne la conclusione nostra e stabilirne l'importanza e la diffe-
renza dagli altri. Alcune notizie storiche, e segnatamente quelloi
che si riferiscono al Valentino, nell'opera maggiore del Guic-
ciardini non trovano riscontro che in questi ultimi Estratti del
Machiavelli. Come occorre ciò? forse che tutti e due i grandi
storici attinsero ai medesimi documenti? Non lo crediamo. Il
Ranke in una sua opera poderosa, sebbene giovanile, ^ trattando
la questione: « se il Guicciardini sia da considerare assoluta-
mente come fonte isterica », conclude pel no; e, quantunque i
suoi argomenti non abbiano tutti un egual valore e le analogie
da lui riconosciute non ci paiano sempre manifeste, tuttavia
comprendiamo, sotto un certo rispetto, la ragionevolezza della
conclusione sua. Ma quel che ci maraviglia è questo: che,
mentre per la notizia della conquista e delle guerre di Carlo
* Guicciardini, Istoria d'ItcUiat lìb. iv. — L'Alvisi, Cesare Borgia, pag. 53 e segg.,
giudica strano il racconto del Machiavelli;, perchè Ferdinando d'Almeida, vescovo di
Seez (egli lo dice di Setta, come il Guicciardini) mori all'assedio di Forlì, due anni dopo
Tandata del Valentino alla corte di Francia; e perchè la notizia della dispensa concessa
dal pontefice era cosa notoria. A questo si può rispondere : 1^ che il vescovi di Seez era
allora non Ferdinando d'Almeida, ma Egidio di Lavai, morto dopo a di 3 d'ottobre 1502;
nel qual giorno consta che conferi la chiesa di Escocheio (Cf. Saint^Marthb, Oallia cri-
sUana, t. xi, col. 701). 2P che una cosa è il sapere che la lite è stata decisa ed un'altra l'avere
in mano la sentenza; che per certo i vescovi nei quali la causa era stata rimessa, avevano
opinato : « consulendum Sanctissìmo prò dispensatone matrimonii rati et non consumati *,
ma il titolo di diritto che importava al re, era proprio la pergamena pontificia. — « L'e-
stratto del Machiavelli, aggiunge l'Alvisi, à le notizie troppo confuse col commento, per
non far credere che il gran Segretario, anziché star contento a riprodurre i fatti come
erano ne' dispacci che esaminava, non li spiegasse o li commentasse come li udì poi nar-
rare a' suoi di, quando la maledetta fortuna de' Borgia faceva sospettare di tutte le morti
che attorno a loro avvenivano ». - Ora, per quel che concerne l'accettazione di dicerie e
dì commenti in* questi Appunti ttoriei , siaro d' accordo coll'Alvisi ; ma non crediamo di
certo che il Machiavelli fosse per proposito tra coloro che, nella sventura dei Borgia, si
compiacquero ad esagerare e moltiplicare le colpe loro. Anzi il giudizio che Niccolò profferse
del duca Cesare, tutt'altro che maligno, eccitò sospetto e malanimo de' posteri e verso il
giudice e verso il giudicato.
* Raivkb, Zur Kritih neuerer Oesehichtschreiber, Leipzig, 18S4, 1' ediz., pag. 8.
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188
CJLPO PRIMO.
ottavo, eì si piace a ravvicinare il testo del grande autore
della prima Istoria d'ItcUia col libro di Bernardo Rucellai
de Bello Italico, sembra poi non accorgersi delle grandissime
analogie che, in alcuni punti, gli Estratti del Machiavelli anno
colla Istoria d'Italia ; e, nell'appendice ove tratta del Segre-
tario fiorentino, di lui, come di possibile fonte storica, non
tiene alcuna ragione. Pure le rassomiglianze nei dati dei due
scrittori appaiono palpabili; bensì tenuto conto della forma na-
turalmente diversa de' loro scritti; che l'uno estraeva sommari
e l'altro distendeva racconti.^ E oltre agli argomenti intrin-
1 Che nel libro quarto della Istorie del Ouicciardini, quanto si riferisce del Valentino
sia desunto dagli EstrcttU del Machiavelli, crediamo averlo provato per quel che di sopra
fu detto. Per quanto concerne il libro 3^ rechiamo alcuni esempi, fra i molteplici che po-
trebbero addursi :
OnicciABDiNi, Storia d^ItaHa^ lib. 3^:
« la qual mala disposizione dette spe-
ransa a Piero de* Medici, incitato oltra queste
occasioni, di poter facilmente ottenere il de-
siderio suo; ..••massimamente poi che fu av-
visato essere stato creato Gonfaloniere di
giustizia, che era capo del Magistrato Su-
premo, Bernardo del Nero, huomo di gravità
«t d* autorità grande e stato lungamente amico
paterno e suo, et essere stati eletti al me-
desimo magistrati alcuni altri, i quali per le
dipendente vecchie, credeva che havessero
inclinatione alla sua grandezza ».
Id., ibid. :
« a Siena .... ebbe segretamente altre genti,
in modo che con seicento (1) cavalli, et quat-
trocento fanti eletti si parti, due giorni poiché
era cominciata la tregua..., verso Firenze, con
speranza che arrivandovi quasi improvviso
in sul far del giorno, hauesse facilmente o
per disordine, o per tumulto, il quale speraua
hauersi a leuare in suo favore, a entrami ;
il qual disegno non sarebbe forse riuscito
vano, se la fortuna non hauesse supplito alla
negligenza de* suoi avversarii, perchè essendo
al principio della notte alloggiato alle Ta-
vemelle con pensiero di camminare la
maggior parte della notte, una pioggia che
sopravvenne molto grande gli dette impedi-
mento che non si potette presentare a Firenze,
se non molte bore poi che era levato il sole ;
il quale indugio dette tempo a quegli che
facevano professione d'essergli particolari
nimici (perchè la plebe et quasi tutto il resto
de* cittadini stana ad aspettare quietamente
resito della cosa) di prendere Parme con gli
amici e seguaci loro e ordinare ecc.... e farsi
forti alla porta che va a Siena ; alla quale,
pregato da loro, andò medesimamente Pa-
golo Vitelli, che ritornando da Mantova era
Machiavelli, Ettratti, ecc. (ed. Passerini-
Milanesi), voi. ii, pag. 129-130:
« Partissi Piero de* Medici...*, sperando nei
disordini della città, negli affanni del popolo,
e ne* Signori, capo dei quali era Bernardo del
Nero ; e anche da qualche suo parente e amico
gli era stato dato opinione d^ meglio...»
Id., ih.
« Partissi Piero de* Medici da Roma ardi di-
ciannove e venne a Siena. Dietro gli vennero
quattrocento fanti e TAlviano con circa tre-
cento cavalli... - E congregata questa gente
a Siena, la sera a* di ventisette si parti, e
venne la notte in modo che al di si tro-
vava alle Tavornelle di Valdelsa ; e cosi si
condusse per la diritta fino alle porte, ere*
dendo ad ogni modo che in Firenze si tumul*
tuasse... —
« Parti Piero da Siena a' di ventisette ad
ore quindici e la notte ebbe una grande acqua
che gli dette grave impedimento, che se non
fussi stata, giugneva al di alla porta e al-
l' improvvisa.
« A chi importava si mostrò molto ignaro ;
che stavano gli uomini in cappuccio, come a
vedere una processione ».
« Trovossi a caso nella terra Pagolo Vi-
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8BCOKDO] ' APPUNTI STORICI DEL MACHIAVELLI. \9è
seci, soccorre anche la tradizione in appoggio dell'opinione
nostra; tradizione osservabile, poiché ci yien tramandata da
scrittore non remoto per tempo dai nostri due autori, e non
indegno di fede. ^
Fu Giovan Matteo Toscano il quale aflfermò che il Ma-
chiavelli, morendo, donasse al Guicciardini i commentari che
aveva composto delle cose occorse ne' tempi suoi. Per questi
commentari ci sembra non sia da intendere altro che gli
Estratti di lettere. Ora, non volendo accogliere intera questa
tradizione, ci sarebbe a dubitare se i suoi estratti Niccolò glieli
donasse tutti, e soprattutto se glieli donasse morendo. Noi in-
clineremmo a credere che da vivo glieli lasciasse nelle mani,
e che non gli desse se non questi ultimi estratti, che più vo-
lentieri, considerata la natura loro, chiameremmo Appunti
storici; de' quali soltanto nelV Istoria del Guicciardini si tro-
vano riscontri, ne' quali soltanto occorrono notizie che altrove
non ci appaiono registrate. Cosi per questa stagione, in cui nella
cancelleria la vita di Niccolò ancora ci rimane oscura, il suo
pensiero ci è lume a percorrere i tempi e pesar gli uomini coi
quali è per affrontarsi; egli è vera fonte storica per riguardo
agli avvenimenti, e dipintore mirabile rispetto alle persone.
Alessandro sesto, « papa tristo, pregno il capo de' suoi disegni,
ciurma Milano e Firenze;^ i tempi lo servono bene; perchè
trova un re di Francia che per separarsi dalla moglie vecchia
gli promette e dà più che verun altro »;3 il duca di Ferrara
« fa il mannerino » ; ^ Ludovico Sforza « come uomo lieve spera,
per sorte la sera precedente giunto in Fi- telli che tornava da Mantova, e lui insieme
renze » etc. , con gli altri gli fu mandato dietro ». — (Cf.
M., Frammenti atorici, pag. 114-115, ed. cit.)
Ib., 1. 30 : Id., ib., pag. 133:
« Nella fine di questo anno essendo prima « La dieta che si era ordinata prima a Mon-
interrotte per le dimando immoderate de* Re pelierì, poi trasferita a Narbona, poiché fu
di Spagna, la dieta che da Mompolieri era rotta la prima volta, non si rappiccò mai,
stata trasferita a Nerbona, si ritornò tra perchè le condisioni della pace erano scarse
quelli re a nuove pràtiche, militando pure la per ognuno, et il re di Francia era in sul
medesima difficoltà, perchè il re di Francia gagliardo. Et infine a quest*ora la Spagna
era determinato di non acconsentire più ad non consentiva l'acquisto di Napoli, se non
accordo alcuno, nel quale si comprendesse aueua lui la Calabria ; il quale appuntamento
Italia; et a* re di Spagna pareua grave la- segui poi con Taltro re ».
sciargli libero il campo di soggiogarla.
1 OiovAM Matteo Toscano, P»phu ItaUae, Lutetiae, 1578, pag. 52 : « Commentarios
qoibus ea quae sua tempestate gesta sunt complexus erat, Francisco Ouicciardino moriens
dono dedit. Quorum subsidio Franciscus illud tantopere vulgo commendatum historìse opus
absolvit ». —
• M., Eftratti, 1. e, pag. 138, a. 140.
* M., ibidem, pag, 150.
« M., ibidem, pag. 158.
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190 CAPO PRIMO. [libbo
poi teme, ed ora si ormeggia in su questo ora in su quello ».i
Questi è quel Ludovico < che con livree, con strani proverbi
mostrava poi la guerra d' Italia essere per finire a sua posta,
et udiva volentieri chi ne lo esaltava, et infra gli altri un
bufibne che gli diceva: « questo glorioso principe ha per spen-
ditore i Viniziani, per capitano il re di Francia, e per cor-
riere lo Imperadore ». Dicevasi ancora nella sua corte: « Iddio
in cielo et il Moro in terra, sa il fine di questa guerra ».* Vana
burbanza di furbo meschino che spera salute e gloria da gar-
bugli. Per compenso il marchese di Mantova è il « solus qui
avaritiam Gallorum in tanta eorum felicitate non implevit ». ^
Ma degli altri condottieri non si resta Niccolò dal ferire
la bassezza, Y ingordigia, la mala fede, della quale erano na-
turalmente i cancellieri in condizione di conoscere meglio tutta
la portata, come coloro che assistevano intermedi e testimoni
ai trattati e ne vedevano le indegne violazioni e l'interpreta-
zioni utilitariamente subdole. Cosi tra di loro se li proverbia-
vano ; e Antonio da Venafro, cancelliere di Pandolfo Petrucci,
motteggiava l'Appiano signor di Piombino, e Niccolò registrava
il motteggio: «il signor di Piombino discorre bene, conchiude
male, eseguisce peggio. »^ E appunto col signor di Piombino
capita Niccolò ad aver primieramente che fare, per commis-
sione de' Dieci di libertà e balia. L'Appiano era stato condotto
ai soldi comuni de' Fiorentini e del duca di Milano: Il con-
dottiero accampava le pretensioni solite di que' signorotti, dediti
all'armi per mestiere: voleva accresciuto il numero degli as-
soldati suoi ; aumentato il prezzo della condotta oltre le sti-
pulazioni. Niccolò ebbe istruzione d'andarlo a incontrare presso
Pontedera, d'acquietarlo con parole; quanto al danaro, stesse
contento a' patti; circa al numero degli uomini d'arme, desse
tempo dì pigliare accordi col duca di Milano. ^
1 M., ibid., pag. 138.
* Machiavelli, FrammenU storici, pag. 180. - Questo secondo proverbio leggesi cosi
recato in francese dal contemporaneo Cui Coquille:
« Christ aa ciel et More en terre
S^avent le succes de cette guerre ».
Cf, FoNCEMAaNB nelle Jlem. de l'Académie des inscript, et belles lettres, t. xvi, pag. 239
* M., Estratti di lettere, pag. 273. Cf. Croniche del marchese di Mantova, 1. e, pag. 65.
Questi, ricevendo a Vespolato gli ambasciatori veneti che gli recavano le insegne di ca*
pitano generale, nel padiglione grande della guardia, Taveva ornato « de drappi di vel-
luto cum lettere et sigili d*oro de la Camera de Re Karolo, guadagnati al facto d'arme ».
* N. M., Frammenti storici, pag. 127, ed. cit.
■ V. Istruzione a N. M. seeretario all' illustre Signore di Piombino. Ex palatio fioren-
tino dei 24 martii mcccclxxxXviii (St. fior.)
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SBOOMSO] IL DUCA DI VALBNTINESS. 191
Il duca di Milano, alla successione di re Luigi al trono
di Francia, era stato gittate in più gravi pensieri. Già le rela-
zioni avute con lui, quand'era duca d'Orleans, non erano state
buone: la serqua de' titoli assunti allora dal Cristianissimo coro-,
nato lo sgomentò. Il papa invece non se ne prese, come quegli
che, fatta esperienza nel passaggio di re Carlo, avea capito
che non era né da que're, né da quel popolo che la cupi-
digia pontificale doveva guardarsi. Anzi, desideroso di cambiare,
con qualche maniera di temporale accomodamento per la fami-
glia propria, la sua merce spirituale, di cui conosceva essere il
novello re ricercatore, avea permesso al cardinal di Valenza,
rimasto l'unico soggetto su cui il favore paterno si potesse spie-
gare, di gittar via l'abito ecclesiastico, per una ragione che
non si tenne dallo allegare in concistoro, nel deporre il cap-
pello cardinalizio, cioè : a non avere avuto mai l'animo incli-
nato alla professione sacerdotale ». ^ Ora poiché re Luigi avea
chiesto dal papa la bolla apostolica, che sancisse il divorzio
ch'egli voleva della sua prima moglie Giovanna, sterile, mo-
struosa e fattagli sposar quasi per forza da Luigi undecime,
per poter tórre a donna la vedova di Carlo ottavo che era bella,
e che gli recava in dote il ducato di Bretagna; s'era stabilito
che Cesare Borgia sarebbesi recato in Francia; che avrebbe
portato con sé la bolla della dispensa papale; e che in com-
penso il re gli avrebbe prestato man forte per ridurre alla sog-
gezione della Santa Sede le città possedute dai vicari di Ro-
magna, e gli avrebbe dato buona provvisione di danari per
fornire l'impresa.
Infatti recatosi Cesare in grande magnificenza di pompe a
quella corte,* e quivi ricevuto con gentile splendidezza fran-
cese, il re Luigi gli dà condotta di cento lancie con venti-
mila franchi di provvisione, gli concede la' ducèa di Valenti-
nese nel Delfinato, con altri ventimila franchi d'entrata; gli dà
speranza di maggiori ajuti e d'un maritaggio utilissimo. Il car-
dinal di Valenza mutato cosi in duca di Valentinese, ardito e
scaltro sotto la maglia come era stato sotto la porpora, chiede
subito a moglie Carlotta d'Aragona, figlia a re Federigo, che
^ Màchuvblli, Ettraitit «d. cit., pag. 143. Ouicciaboimi, St. d'Italia, lib. in. Bubcabdo,
Diario.
* V. nella Bibl. Nazionale, basta vi, doc. M., n. 34, la Nota deUa pompa colla qucUe
entrò il Valentino in Cynone, quando andò a torre danna e dare U eappello a Roano.
Fa pabblicato dal Fbb&ato in un opuscoletto por laare*. Venexia, 1868. Cf. Bbjlntomb,
Capitainee ìtrangen.
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1» CAPO PRIMO. [v
trovava a quella corte. Il re conobbe il perfido tiro che quegli
preparava, sposando le pretensioni de* Borgia a quelle degli
Aragonesi sul reame di Napoli, che voleva per sé ; e fingendo
.assecondare le ripugnanze della Carlotta, o istigandola forse
in segreto, non consentiva a quelle nozze. Si contentarono poi
re e duca della figliuola di monsignor d'Albret, il quale, per
esser di sangue reale e per la grandezza de' suoi stati, non
era inferiore ad alcuno de* signori di tutto il reame di Francia.
Frattanto Fiorentini e Veneziani erano alle prese intorno a
Pisa. I Fiorentini, paurosi della ritornata francese, non sape-
vano, malgrado le intimazioni del re, ^ né decidersi per lui, né
unirsi a chi gli stesse contro; e però tutti i loro andamenti
si risentivano di quella titubante fiacchezza. I Veneziani ave-
vano gettato in quella città quattrocento uomini d'arme, ot-
tocento stradiotti, più di duemila fanti; e secondati dall'in-
trepido e ostinato valore di quel popolo combattente per la
libertà sua, facilmente tenevano testa ai i^oldati de' Fioren-
tini e a' loro ausiliari Francesi, turbolenti e malfidi. Ludo-
vico Sforza, che quel terribile incendio della guerra pisana
aveva goduto di vedere acceso, ora che da' propositi di re
Luigi si sentiva quasi avventar quelle fiamme addosso, vide
che, per provvedere a' casi suoi e staccare i Fiorentini dalla
causa di Francia, non c'era altro che procurare a quelli il
racquisto di Pisa, e veder cessata la cagion della guerra; come
se r unico interesse che avvinceva Firenze alla causa di Francia
fosse la questione di Pisa. Pertanto il duca induce i Fioren-
tini ad unirglisi insieme e soldar tante forze, quante bastino
a conquistar le terre di tutto quel contado. Conducono cosi
ai loro soldi Alessandro Bentivoglio e, perché i Veneziani tro-
vassero resistenza in Romagna, Ottaviano Riarió, figlio di ma-
donna Caterina Sforza, signora d'Imola e di Forjì; la quale pel
figliuolo giovinetto reggeva allora lo stato.
Ottaviano Riario aveva diciannove anni; era dedito alla
milizia. Recava con sé cento uomini d'arme e cinquanta ba-
lestrieri a cavallo; aveva concluso la ferma per un anno d'ob-
bligo e un anno di beneplacito; ma l'anno di beneplacito doveva
esser richiesto quattro mesi innanzi. I Fiorentini in fatti, che lo
volevano, ne lo richiesero al tempo prescritto; ma allora il
giovine, 0 improvvido o non accortosi della tempesta che gli si
> D£8JABDZN8, Négociation$, t. n, pag. 22.
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8BC02CDO] NICCOLO* MACHIAVELLI A FORLÌ*. 1«3
raddensava alle spalle, ricusò. Se non che quando la scaltris-
sima donna, che vegliava a sua tutela, vide grandeggiare il
Valentino, e fiutò gì' intendimenti ambiziosi de' Borgia, e la
poca vita che restava al duca Ludovico, fatto segno all'ira di
Francia; raccostossi co' Fiorentini e sollecitando da loro il rin-
novamento della condotta pel figliuolo, le parve metterlo sotto
air usbergo dell' unica città amica di Francia ; e si confidò per
questo che né il duca Cesare si sarebbe attentato d' offenderlo,
ne re Luigi lo avrebbe lasciato immolare. Però fu dessa allora
che scrisse ai Dieci, domandando se volean la conferma del be-
neplacito del figliuolo; ma non senza dignità, e come in sem-
biante d'interrogarli con preferenza, per essere stata sollecitata
anche dal duca di Milano d'uomini d'arme e di balestrieri; e
nell'istesso tempo facendo sentire i propri meriti presso quella
repubblica; < abbiando esposto nui et Stati nostri, per tutela
et conservatione delle cose loro ». ^ I Fiorentini compresero
come la donna prudente ricercava per iscaltrezza e sotto le
strette della necessità quel che il figliuolo improvvido avea
prima ricusato; e deliberarono di trarre utile dal bisogno e dal
desiderio altrui. Mandarono Niccolò a Forlì all'illustrissima
Madonna, con commessione d'accomodar le cose, e di fermare
il beneplacito con soldo di soli diecimila ducati per quell' anno ;
provvisione che poteva parere scarsa, ma che rispondeva alla
strettezza di danari della repubblica, e doveva anche spegnere
le bramose illusioni dei condottieri, riscaldati dalle gare del
conte Rinuccio e de' Vitelli.
Niccolò parte; non appena è in via che una staffetta gli
è spiccata dietro per ,una piccola commissione da curare a
Castrocaro, donde passava; giunge a Forlì, e nel giorno istesso
è introdotto a quell' illustre Madonna. Essa aveva vissuto in
corte di Roma, a' tempi di Sisto quarto, onoratissima; Imola
e Forlì avean veduto le pompe maravigliose delle sue ìiozze
col conte Girolamo Riario; la sua vendetta virile dell'ucci-
sione del marito. ^ Di quella parte della cittadella che era
^ Machiavelli, Opere, voi. iii, pag. 7, ediz. Passerìni-Mìlanesi.
* et. MKcmKyEi.1^1, Istorie fiorentine, lib.yui,c. xxxiv.E il medesimo racconto, anche più
drammatico, s* incontra negli Estratti di lettere, edis. Passerini-Mìlanesi. Opp., voi. 11, p.325.
La storiella della famosa risposta fatta da lei a coloro che minacciavano ucciderle i figli
fn accolta e dìlRisa anche dal Boccalini, RaggiMgli di Parnaso (centuria 1^, pag. 144) e
giustificata con argomenti degni d*un tacitista « che come il contenersi entro i limiti della
modestia era obbligo delle donne private, cosi le principesse e nate di alto sangue, negli
axM^identi gravi, che accadevano loro, erano obbligate mostrar virilità». — E Gino da Pi-
stoia è introdotto a seguitare la spagnuolesca difesa di quella vùriìUà da donnacola. DI
TomcASna - Machiaveltt, 14
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IM CAPO PRIMO. [l
stata testimonio dell' umiliazione sua temporanea dinnanzi a' ri-
voltosi, aveva voluto fosse rasa la fabbrica,, perchè si cancel-
lasse la memoria dell'onta; e nella parte più eccelsa di quei
baluardi, tenuti inespugnabili, fece sorgere la sua nuova e
superba dimora, nominata da lei il paradiso, dalla bellezza delle
aeree stanze, costrutte con leggiadra architettura, ornate d'il-
lustri pitture, splendenti pe' vaghi soffitti posti a oro ed inta-
gliati a rose e a biscioni, ^ intrecciamento delle nobiltà de' Riari
e de' Visconti, che s'erano nella illustre gentildonna sposate.
In quelle stanze, fra que' rivellini, dove aspettò più tardi
intrepida l'ambizione de' Borgia e la sventura sua, accoglieva
allora Niccolò segretario, il quale ebbe a riportare della bel-
lezza di lei, ^ della grandezza dell'animo suo, dell'acconcezza
quest'aneddoto tacciono il cronista Andrea Bkbnabdi, testimonio oculare; tacciono il Co-
BBLLi e gli altri storici forlivesi. Non ne parla Fabio Oliva, VUa di Caterina Riario Sforsa.
n gesuita BuRBiÉL, Vita di C Riario Sforza, lib. ii, cap. viii, pag. 2S6 e seguenti, con-
futa le « ciancio del Boccalini in occasione dei ligliuoli di Caterina alla Rocca », e , sia
caso 0 proposito, non fa motto del Machiavelli. E similmente Niccola Ratti, Della fami-
glia Sforsa, parte ii, pag. 50, dopo avere escluso il fatto con criteri di storico, lo giustifica,
nel caso mai fosse vero, con argomenti peggiori di quelli del Boccalini : « mentre certe azioni
divengono buone, o cattive secondo il fine a cui sono dirette ; e se non tacciasi una donna
che mostra airocchio non sempre pudico del professore ciò che la modestia le proibisce di
mostrare al pubblico; perchè non avrebbe potuto Caterina fare un atto che, nato da sti-
molo di lascivia, indecente sarebbe stato e degno di condanna, ma diretto ad abbattere la
ferocia del nemico e salvare sd ed il suo popolo, poteva reputarsi necessario, ecc. ». —
E neppur egli, che rimprovera il Muratori d'aver errato accogliendo la novella ne* suoi
AnnaU d'Italia e d'averi^ male inserita a proposito dell'assedio di cui la strinse il Valentino,
fa motto del Machiavelli che n'è la fonte. Oltracciò il rimprovero del Ratti è ingiustissimo,
dappoiché il Muratori la pone esattamente all'anno 148S. Cf. Annali, t. xlvi. Che la no-
vella del Machiavelli non uscisse dal capo di lui, ma corresse nella tradizione popolare
ò provato dal trovarsene menzione nella Cronaca di Bologna, ms. della bibl. Estense citata
dal Muratori medesimo.^
1 Oliva, Vita di Caterina Sforza, ms.
* Iacopo Filippo da Bergamo, Opus de Claris selectisque muUeribus novissime con-
gestum: « est quippe haec Catherina inter mulieres nostri saeculi formosissima et eleganti
aspectu ac per omnes corporis artus mirifice decorata est ». — E il Bonaccorsi (Doc. M.,
busta II, n. 77) scrive celiando a Niccolò: « Io non dubito punto che la Ex.iIk di Madonna
Ti faccia quello honore, et vi vegga lietamente, come ne scrìvete, maxime per più respecti,
li quali al presente non replicherò, per non essere tedioso, chò prestd vi verrei a noia ».
— E più oltre : « Io vorrei per. il primo, mi mandassi in su uno foglio ritracta la testa di
Madonna, che costi se ne fa pure assai; et se la mandate, fatene uno ruoto lo ad ciò le
pieghe non la guastino ». « Circa i ritratti di lei cf. Bvvri&l, Vita di Caterina Sforza
Riario, pag. 855; Ratti, Famiglia Sforza, t. ii, pag. 44. — Nel rovescio d'una delle due
medaglie che di lei si hanno, non è senza significato che si vegga una Venere col destro
piede poggiante sopra un globo; e stringente un pomo nella sinistra, e nella destra un timone
di nave; né poco eloquente è il motto che vi si legge sotto: Tibiet virtuti. — Il Machia-
velli si proponeva probabilmente nel seguito delle sue Istorie di parlare degli amori di essa
pel Feo. V. Estratti di lettere, ed. cit., pag. 252. — Storici ed epigrammisti la ragguagliar
rono, fra le donne antiche, a Semiramide e Cleopatra. — Il Maodalbno (Cod., vat. 3351,
pag. 79 t.) tra gli altri, inneggiando a Cesare Borgia, nota in margine « Catherinam Sfor-
tiam Cleopatram appellat » e scrive :
« Sfortia te sensit, Caesar, Cleopatra : triumpÌMm
Accipe de Livii Corneliique foro ».
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SBCONDo] BERNARDO MACHIAVELLI MUORE. 1»
del castello a oppor valida resistenza, una impressione pro-
fonda. *
Dopo armeggio d'alquanti giorni la commissione fu com-
piuta: il beneplacito fermo per dodicimila ducati all'anno in
tempo di pace; l'obbligo di protezione pel proprio stato, che
Caterina voleva dalla Signoria si assumesse in iscritto, restò
verbale; alcuni contadini di Salutare, luogo de' Fiorentini a un
miglio da Forlì, angariati dalle soldatesche del giovine Otta-
viano, cercarono che il Machiavelli presentasse alla Signoria
le loro ragioni. Egli scrisse le parole loro: « questi nostri Si-
gnori per aver troppo da fare, ci anno abbandonati >. Questa
era eloquenza schietta; i Signori se ne commossero e que' tapini
furono in parte risarciti.
Niccolò tornò in Firenze, alle consuete, pratiche della Can-
celleria. La sua vita privata passa oscura, occupatissima; le date
certe della sua vita domestica sono segnate solo da dolori me-
morabili: a' di 11 d'ottobre del 1496 gli era morta la madre;
a* 19 di maggio del 1500 gli manca il padre. Tetto, suo fra-
tello e le due sorelle costituiscono la sua più stretta famiglia;
ma la Primerana è moglie a Francesco Vernaccia, la Ginevra
a Bernardo Minerbetti; e Niccolò non indugia a vagheggiare
il proposito di tórre donna. Se non che dietro la persona del
segretario, l'uomo s'eclissa di nuovo; gli avvenimenti pubblici
lo ravvolgono, lo rapiscono, e lo storico è tratto necessariamente
ad avvisarne il riflesso dentro al pensiero di lui.
Le cose d' Italia volgevano con tragica vicenda varie per
tutti, fuorché pe' Fiorentini. L' acquisto di Pisa, cagione di tanta
lite con chiunque lo contrastasse, gli aveva nimicati anche
co' Veneziani, solleciti a gittar l'amo su quella preda, a tenere
inferma la nuova repubblica democratica, risorta dalla tirannia
mercantesca de' Medici. Fu fatta guerra aspra e diflScile in
mezzo dal verno, e in su le montagne, cosi scrive Niccolo;*
e quando i Veneziani furono stracchi di battagliare, paurosi
del Turco, impensieriti de' numerosi e gravissimi fallimenti dei
loro banchieri, ^ uscirono con onore da Pisa e ricorsero all'arbi-
trato del duca di Ferrara, che sentenziasse se quella città avesse
ad essere de' Fiorentini o della libertà. Cosi quando le forze
venivan meno pareva agli uomini di ritornare all'umanità e
> Machiavelli, Arte della guerra, lib. vii.
s Machiavelli, ÉttraUi di lettere, ed. cit., pag. 131.
' Malipikbo, Annali veneti, 1. e, pag. 716.
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M» CAPO PRIMO, [UBEO
sedare le cupidigie per via di ragione. Se non che i Fioren-
tini che volevano riconoscere la restituzione di Pisa dal re dì
Francia, esitavano a deporta nelle mani del ferrarese, per ti-
more che il .duca di Milano, vedendo sé isolato e tutti gli
altri volti al parteggiar pe' Francesi, non sollecitasse l'impe-
ratore Massimiliano a scendere pur esso in Italia, a conservare
e liberar Pisa, e tórre il porto di Livorno di mano dei Fio-
rentini. 1
Il lodo del marchese di Ferrara riusci, com'era naturale^
a malcontentar tutti:* se ne indispettirono i Pisani, e prima
decisero morire che ratificarlo; i Veneziani uggiti e superbi,
benché ne eseguissero i capitoli che loro tornavano a comodo,
negarono la ratifica. I Fiorentini soli, quantunque gravatissimi,
lo sottoscrissero. Tanta era la smania di recuperare quella città
ch'erat il loro porto, il cui territorio faceva frutti per cinque
anni e dava a vivere a tutta Toscana. ^
Andato il duca di Ferrara a Venezia, fece nuove addizioni
e dichiarazioni, che ai Fiorentini più spiacquero. < La copia
n'è in filza, annota Niccolò; e se prima la brigata si doleva
di quel giudizio, molto più se ne doleva poi ». '^ Ma quel ch'era
più duro, i Pisani non eseguivano niilla delle convenzioni:
però la Signoria di Firenze deliberò d'afierrare il momento
e ripigliarsi da sé, collo sfogo di tutte le forze proprie, quel
che mal era attendersi da altrui. La guerra tra il re di Francia
e il duca di Milano erasi incominciata: i contendenti facevano
profferte alla repubblica per trarla ciascuno in suo favore: ma
questa si asteneva da impegni ; richiamava il Vitelli da città
di Castello, il Marciano dal contado d'Arezzo, le genti d'arme
che aveva in Casentino, e voleva procedere vigorosamente al-
l'assalto o all'assedio.
È da credere che in tali circostanze, chiamati i connesta-
bili e i capitani a consulta, per formare un piano di guerra che
conducesse allo scopo finale, a Niccolò forse raccomandato di
stenderne relazione al Magistrato dei Dieci ; che tale appunto
riesce quel suo « Discorso sopra le cose di Pisa>. La chia-
rezza, la concisione, J' ordine serrato di questo scritto dee
^ Cf. Diipacci al Senato veneto di Fb. Foscabi neWArch. stor. it., i sèria, parte n,
t. VII, pag. 845.
• V. il sunto negli Estratti di lettere, 1. e, pag. 152. Cf. Ammibato, Istorie fiorentine,
lib. XXVII, ad annum.
« Dispacci del Foscabi, 1. e, pag. M«.
« Machuvblli, Estratti di lettere, 1. e, pag. 153.
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8£COiix>o] DISCORSO SOPRA LE COSE DI PISA. 187
avergli procacciata non poca stima appresso coloro cui venne
alle mani; tanto è pieno d'acume, di precisione, e di persua-
sione. — « Che riavere Pisa sia necessario a volere mantenere
la libertà, perchè nessuno ne dubita, non mi pare da mostrarlo
con altre ragioni, che quelle le quali per voi medesimi intendete.
Solo esaminerò i mezzi che conduchino o che possano condurre
a questo ». — Cosi esordisce egli, evitando a dirittura la que-
stione pregiudiziale e solo aggiungendo poi: — « Pisa non è
città da lasciarla volentieri per chi se ne trovasse signore ». —
Quanto alla scelta de* mezzi, o la è a recuperar per as-
sedio, 0 la si cede volontaria. Volontariamente può arrendersi
da per sé stessa, riponendosi sotto al giogo fiorentino: il che
è incredibile. 0 potrebbe esser ceduta da altri che l'occupasse;
e in tal caso quel che altri potrebbe fare in vantaggio de' Fio-
rentini sarebbe, tutt'al più, lasciarla disoccupata e non soccorsa.
Tornerebbe però necessario anche allora usare la forza per ri-
cuperarla. « Sondo adunque necessaria la forza, mi pare da
considerare se gli è bene usarla in questi tempi o no. Ad ulti-
mare l'impresa di Pisa, bisogna averla o per assedio e fame;
o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura » e
il più fermo modo, secondo che dicono i più esperti condottieri,
sarebbe il fare tre campi, uno a San Piero in Grado, l'altro a
Sant' Iacopo, il terzo alla Beccheria E perchè a San Piero
in Grado è trista aria, dove per avventura avendovi a stare a
campo si ammaleria; e perchè parrebbe forse troppo grave te-
nere detti tre campi, si potria tenere detto campo di San Piero
in Grado tanto, che in quel luogo si facesse un bastione grosso,
capace di trecento o quattrocento uomini in guardia, il quale
si farebbe in un mese; e fatto il bastione, levarne il campo, e
lasciarvi il bastione e la guardia, e rimanere con quelli altri
due campi; e cosi non si verrebbe ad avere la spesa di tre
campi se non per un mese ».
Propone poi un altro modo d'assedio men gagliardo; ma
lo lascia da banda come men sicuro. Afferma che il sistema
dei tre campi o del bastione con i due campi « è il più appro-
vato da questi Signori condottieri ». — « Anno ancora esaminato,
se gli è credibile che l'assedio basti senza la forza: e sono
di parere che non basti; perche credono che eglino abbiano da
vivere sino al^ grano nuovo, per i riscontri si à da chi viene
da Pisa, e per i segni si vede del pane vi si vende, e dello
ostinato animo loro li può indurre a patire ».
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198 CAPO PRIMO.
E prevalse il partito che poderosamente si procedesse al-
l'assalto della città.
Come le gare fra Marcianesi e Vitelleschi ne stornassero
l'acquisto, come non conducessero ad altro che alla morte del
Vitelli, a uno sciupo doloroso di danari e di credito, avemmo
già a raccontare. Questi erano i risultati militari che Firenze
otteneva. Quanto alla politica poi « e' non si servi né a dio
né al diavolo ». ^ Invano il re di Francia, che procedeva
ben deliberato a disfare lo Sforza, insisteva in nome dell'an-
tica amicizia perchè i Fiorentini si stringessero con lui. A dif-
ficoltare le cose di Pisa potevano bastare molto meno ingegno e
forze che non erano nello Sforza, e coloro pel riguardo di lui
giocavano cogl' indugi, facevano patti segreti, promettevano al
re di non essergli contro, di lasciarlo fare, d' entrare col tempo
in maggiore impegno. Le gravezze che per la guerra pesavano
sul popolo, avevano fatto venire in uggia i Dieci della guerra:
si rista dallo eleggerli, e s'ordina che non si rifacciano più
se non precede la deliberazione del Consiglio degli Ottanta,
vinta con tre quarti de' voti. ^ Questo era un disfarsi degli
uomini autorevoli, col pretesto ch'erano i soliti. Come per
compenso, parve utile chiamare almeno a capo del governo
uomini cogniti: Bernardo Rucellai, ma e' non si presenta;
Guidantonio Vespucci, ma la popolaglia attacca capestri e motti
alle inferriate della casa di lui: o zucchetta, e' ti sarà tolta la
forma della berretta. In mezzo a questo trescare, l'armi di
Francia si rovesciano un'altra volta sull' Italia. Avevano lega
coi Veneziani, col papa, con Filiberto di Savoia; le comandava
Giangiacomo -Trivulzio, che per essere mortai nemico allo
Sforza si diceva guelfo. In breve, occupano i castelli d'Arazzo
e d'Anon, pigliano Valenza, Tortona cede; Voghera, Castel-
nuovo e Pontecorone s'arrendono. «A cette heure, toui est
gagnè » sclama re Luigi a Lione ; ^ trionfando non men del
nemico che degl'incerti amici; i Veneziani confederati col re,
rompono la guerra presso Lodi, entrano nella Ghiaradadda è
s'insignoriscono di Caravaggio. Lo Sforza in breve, abbandO'
nato da tutti, si fugge per Como in Alemagna all'Imperatore,
invocando contro a' maledetti Veneziani il Turco; e il Tri-
* Macbiatblli, Estrani di lettere.
* Machiavelli, Discorsi^ lib. i, cap. xxxiv. — Idem., Eitratti di lettere, ed. cit., pag. 15S.
— Nerli, Commentari, pag. 82. — Guicciardini, Storia di Firenze^ cap. xix, pag. 808.
> Machiavelli, Ettrattif ed. cit., pag. 156.
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ucoRDo] IL VALENTINO OCCUPA IMOLA E PORLI*. 199
Tulzio occupa Milano da uomo di parte, e in nome del re di
Francia.
Dopo un tale acquisto non è a dire se Luigi XII guardasse
con superbia i Fiorentini, e se questi si sentisser mogi e piccoli
rispetto a lui. Pensare che i Veneziani, scaltrissimi, per nient'alr
tro che per l'alleanza di lui, quasi che senza colpo di spada,
aveyansi guadagnato Cremona e la Ghiaradadda, uno stato
che rendeva ducentocinquantamila ducati Tanno, che faceva
quasi il terzo del ducato di Milano; e che essi per essere stati
tardi, per tenersi in bilico, dovrebbero ora soddisfare al re mal-
vogliente e sobillato da' nemici, chi sa che somma di danaro!
pensar che il Trivulzio, venuto coi Francesi, entrava come un
nuovo competitore nell'intrico di Pisa, e sollecitava dal re il
permesso di poter accettare la dedizione di quella città, che se
gli era offerta! L'indugio non era possibile, e la frétta poteva
tornare vana e umiliante insieme. Ma non fu cosi per ven-
tura, e i nuovi ambasciadori mandati a Milano riuscirono a
piegare il rè ad accettare anche Firenze nella lega, a fargli
promettere che avrebbe mandato le sue genti a restituirle Pisa e
le fortezze ; obbligandosi i Fiorentini a pagare a lui il debito che
avevano con Ludovico; a prestargli man forte per la conserva-
zione di Milano, a fornirgli qujattrocento uomini d' arme e cin-
quemila Svizzeri, pagati per tre mesi per l'acquisto di Napoli;
o, in cambio degli Svizzeri, dargli cinquantamila ducati; a pi-
gliare per capitano il fratello del cardinal della Rovere, del
nemico di papa Alessandro.
Ma papa Alessandro non si ristava dall' importunare il re;
la dispensa matrimoniale concessagli glielo aveva tutto ob-
bligato. Il duca Valentino voleva cominciare a piantare in
Italia le fondamenta della sua nuova potenza, e il re s'era im-
pegnato di prestargli armi e favore. Gli manda però qualche
centinaio di lancie, Ivo d'Allegre per condottiero; e quegli non
esita, ma
« Sotto la insegna dei tre gigli
D* Imola e di Forlì si fé* signore
E cavònne una donna co' suoi figli ». >
Questa donna era la bella e forte vedova del Riario, era la
nipote di quello Sforza, cacciato via dal ducato, che doveva
tornarvi dopo cinque mesi per un momento, quando il popolo
ebbe sazietà delle francesi soperchierie, ed esseme dopo due
1 Macbuyblli, Decennale I, v. 243.
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SOO CAPO PRIMO, Cl
mesi di nuovo trabalzato, e gettato in un fondo di torre nel
castello di Loches a finire la vita. « E cosi si notò, scrive il
Guicciardini, tre grandi case, d'Aragona, Sforzeschi e Medici,
che avevano acquistato potenza in Italia, quasi in un tempo me-
desimo averla perduta». — ^
Né a Niccolò sarebbe sembrato prevedibile che, non che
tutte queste famiglie, quell'altera Madonna cosi tosto avesse
potuto essere spodestata della signoria. Pochi giorni innanzi,
scrivendo al Canigiani, esso gli aveva notificato come si sapeva
che il papa voleva dar Imola, insieme con Rimini, Faenza,
Pesaro, Cesena, Urbino, al Valentino; e aveva aggiunto: « Cre-
desi che, se li popoli non faranno a Madonna il peggio possine,
lei si difenderà; e quando non difendessi le terre per la per-
fidia dei popoli, le fortezze si defenderanno; a ogni modo di tale
animo ci pare intendere si trovi ». ^ E l'animo non le mancò;
quand'anche i Fiorentini non la vollero aiutare, non persuasi
di quel che essa diceva, che cioè ^ la festa sua era la vigQia
loro »; 5 bensì quelle fortezze di che ella ed altri faceva sì
gran fondamento, non tennero all'urto del risoluto nemico, e
Niccolò ebbe a specularne poi la cagione. ^
In pari tempo il moto di Milano, in favore di Ludovico,
aveva fatto che i Galli « voltassero il becco » verso di quello; ^
(Niccolò non sa far meglio che continuar la metafora misogal-
lica) e « lasciassero in secco » il papa e il Valentino. E poi che
i Fiorentini in questa occasione si mostrarono libéralissimi di
aiuti alla corona di Francia, smessa per un istante la consueta
esitanza loro, il re fece intendere che gli avrebbe aiutati alla
ricuperazione di Pisa e dell'altre terre, che i Sanesi e i Luc-
chesi occupavano loro. Anzi, piuttosto che il re, sarebbe a dire
che cosi li compiacesse il cardinale di Rouen, ^ il quale, risie-
^ Fb. Odicciabdinx, storia di Firenze, pag. 223. Cf. Macbiavblli, Il Principe, e. m,
XX, xxiY. — Discorsi^ lib. ii, cap. xxiv.
* Cf. CANBSTBmi, Scrini inediti di N. 3f., pag. 129.
* McBATORi, Script., xxiY, Chronicon Venetum.
* Machiavelli, Arte della guerra^ lib. yii.
* Macbuyblli, Decennale I, 1. e.
* Giorgio d*AinboÌ86, primo ministro del re e arcÌTescovo di Rouen. — In seguito alle
capitolazioni fra il re di Francia e la repubblica Fiorentina, essendo in breve sorti alcuni
dubbi di fatto che occorreva delucidare, pare che la Signoria pensasse di mandar Nic-
colò al Trivuliio e al vescovo di LuQon, ch'era cancelliere del cardinale di Rouen, con
facoltà di riferire il vero e comporre la cosa ; ma sembra pure di quell'andata poi non si
facesse nulla, perchè ne* registri di Cancelleria non si trova altro che le lettere d'avviso
e quelle di presentasione, nel cui margine è scritto : vacai. Cf. Archivio di Stato in Firenze,
Carteggio missive, reg. i, cancell. classe x, dist. 1, n. 102 a 106. Ibid. n. 102 a 156. Furono
pubblicate dal Passerini, ed. cit., voi. m, pag. 34 e seguenti.
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SBCONDO] COMMISSIONE IN CAMPO PRESSO PISA. SOI
dendo a Milano, governava tutte le cose coirarbitrio suo, e avendo
altra volta partecipato alla trista ventura di Luigi, quando non
era che duca di Orleans, non appena questi venne sul trono
ebbe la più piena autorità in compenso. In Francia si pro-
verbiava, quando fosse a far qualche cosa: < laissez faire à
George ». Questo voleva dire che il cardinale era sicuro del
suo sopravvento.
Infatti il Trivulzio e gli altri che circondavano re Luigi
l'avrebbero desiderato restio ad aiutar Firenze, o per lo meno
a offendere Pisa; ma il cardinale, che a Milano veniva premu-
rosamente sollecitato da' Fiorentini, che sentiva come questi
avrebber volentieri ricevuto per comandante degli ausiliari un
suo protetto, il signor di Beaumont, il quale, nel restituir loro
prontamente Livorno, avea mostrato più fede che gli altri suoi
connazionali, 1 s'accordò con loro di fare l'impresa, per amore
di lui che a questa chiedevan preposto.
Questi recava con sé cinquemila Svizzeri, da pagarsi dai
Fiorentini, e cinquecento lance da pagarsi dal re e buona
fatta d'artiglierie e di munizioni. A di diciannove di giugno
alloggiò tra Cascina e Vico, e in dieci giorni che le soldatesche
▼i dimorarono, fecero tali insulti e ruberie ai vivandieri ita-
liani che maggiori non erano ad aspettarne. I Dieci mandarono
per commissari presso quell'esercito Giovambattista Ridolfl e
Luca degli Albizi, a' quali poi spedirono il Machiavelli. «
Il Ridolfi era uomo di reputazione fatta, di prudenza grande,
d'età maggiore dell' Albizi. Questi, più giovane, più risoluto, più
disposto a partiti forti e talvolta temerari, o per modestia o
per irritazione d'orgoglio, lasciava all'altro governare ogni cosa
e si teneva, come un Achille, in disparte, dentro la tenda. Il
Machiavelli restava intermedio fra' due, osservatore del danno
che seguiva alla repubblica, per aver preposto due persone ad
una impresa per cui una bastava e due impacciavano; che della
lentezza dell' uno e della baldanza dell'altro, lungi dal resul-
tare un temperamento giovevole di resoluzioni, derivavano due
maniere di deliberazioni contrariamente improvvide ed egual-
mente nocevoli.
La prudenza del Ridolfi veniva interpretata dal Beaumont
per pochezza d'animo. Quando quegli vuol tornarsene a Firenze,
^ Machiavelli, Dtseorti, lib. i, cap. xxxvni. Il Be&umont era risguardato dai Fran-
cesi come un capitano « sane capacité et sane ascendant sur les soldats ». Cf. Dbbjabdins,
yégoeiation dipi, t. ii, pag. 30.
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im CAPO PtUMO. r^aiB»
dl«4?av^^v> degli 2Sìà2kiDez,u del c^nrpo e crQCGici,z> ah. etetì 5>-
kri de;> lueac^bra: * e' ri du'^le 3 cuore, gli iSoc ni^riesifiiad?
Ìj eapiuùo, e' ri daole il cure e non la spalla >- — '«E r^:>5
e l'altro > replica d; rìiriando il R:d:lfi, ncn seixa ir:iL.i». * Ed
e</y> Loca degli AI Vizi, rimasto sc-I^'s iar?i tìto in i:^ s^'ic*^:-:
a/fyy>r;ere eoa prenìura p-r tutvj, prorreiere iiifiasTr^^^r.ie.
fyjTis'mÌjire a^n ener^'^ dar prora d'indcbiiaio ralrre-
11 Machiarelii non p,'té rimanersi dall'anjLÌrare c:a«sta
of#ercjj.ia inatt^^a e nuora mostrata dall' Albizi; la quale per
cei-Ui ri^jp'indera meglio all' indole e ai desideri del segr^-tario.
Ma non andò moluj ch'ebbe a trorarsi anche c:n lui in di-
«a/>y>rdo di pareri ; poiché i Pisani, i quali si rederano snin-
ger^i da' Francesi air intomo, e sentirano C4:«me 3 resistere po-
terà e*ser lungo, ma il cadere era certo, Cacerano rgni pra-
tica e usarano ogni arte per sedurre quegli ausiliaria per
muorere la loro pietà, per rinfocolare la ranita loro. Perchè
lar-i scherani d'un p^ij^olo che mole morir libero? perchè ser-
vire di «t rumente alla prep^^tenza crudele dei Fiorentini? perchè
i Franc^fHÌ piuttosto non conquistano Pisa alla Francia? e sep-
pure la vf^Iiono poi gittare in mano alla feroce repubblica,
appettino quattro, tre mesi, trenta di, venticinque; tanto che
pr>«ftano i cittadini sgombrare le robe loro e andar salvi; poi
senza battaglie si arrenderanno.
. Orni già al Ponte a Capezzano, così a Campi eransi pro-
vati gli orat/)ri pisani d'adescare il Beaumont; il quale, a dir
voro, penc4^)lava alquanto in favore di questa risoluzione; si che
ne tenne proposito col commissario. Egli era li, diceva, per
dar Pisa ai Fiorentini; poterla dar loro forse con minor in-
dugio, certo con minore spendio; accettassero. Ma TAlbizì non
si fidava e confortava la signoria a non fidarsi. Questa diffi-
denza era più un sentimento per lui, che un frutto di razio-
cinio; e il Machiavelli, che ne* partiti pensava le conseguenze
ultime, non trovava ragione perchè quel sentimento avesse
a prevalere. Perchè doveva egli parer più. sicuro confidare
nella sfrenata soldatesca di Francia e nell'accortezza mili-
tare del duce, quando della fede di quel duce s'avevano ar-
^ Bibl. Nas., Doc. M., butta i, n. i, fog. 83. In questa icrìttura, laddove è accennalo
che Luca degli Albixi ricusava di rimaner solo « sotto a un tanto peso », partendosi il Ri-
dolA, il Machiavelli annota in margine : ^Mentiria Bla. » Ciò indica che quel passo è
opera di Biagio Bonaccorsi. — Cf. Macbuvblli, DiKorsi, lib. iii, capo xv. Questi per
essere stato presente ai fatti e conoscitore degli uomini, poteva correggere con autorità
Taffermasione del coadiutore.
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■BCONDo] COMMISSIONE IN CAMPO PRESSO PISA. 20$
gomenti buoni, del guerreggiare di quelle armi prove pes-
sime? perchè, quando la città non poteva fare a meno di con*
fidare del re di Francia, del quale era nelle mani, non s'accet-
tava quel partito, per cui « il re potesse rendere Pisa sendovi
dentro, e non la rendendo, scoprire l'animo suo», piuttosto che,
non l'avendo lui €l potendola solo promettere, esser forzati com-
perare quelle promesse ? » ^
Ma Niccolò vedeva lungi, vedeva il fine ultimo, sorvolava
al penoso mezzo in cui TAlbizi ai dibatteva. Quando i soldati
di Francia non avessero a combattere i Pisani, ruberebbero,
prederebbero il campo e le provvisioni fiorentine; toccherebbe
cioè agli aiutati sentire e portare tutto il gravame di quelle
soldatesche; però l'Albizi temeva delle soste; non voleva che
i Pisani potessero godere il beneficio del tempo; non voleva che
il Beaumont, accostandosi loro, corresse pericolo di venirne
intenerito e guasto; e lo riscaldava coU'esempio del La Tre-
rnouille. Questi aveva saputo già ripigliar Milano, corroborato
di tante forze ; coitìe avrebbe potuto il valoroso signor di Beau-
mont creder bello occupare Pisa irresistente e vuota di po-
polo? — Cosi con malumore fu decisa e ripresa la guerra;
cosi si credette in quelle armi, la disciplina delle quali già
debole per consueto, allora per intrico de' comandanti veniva
maggiormente scossa.^ Ivo d'Allegre, che vedemmo già capita-
nare le soldatesche del Valentino, invidiando Beaumont, aveva
operato di soppiatto che i capitani gli obbedissero poco, e impe-
dissero a ogni modo la vittoria dei Fiorentini. Francesco Tri-
^ Gf. Machiavelli, Discorsi, lib. i, cap. xxxviii, e i Doeumenti M. nella Bibl. Nas.^
basta I, n. 83. Dal ragguaglio di questi due testi e dalle note marginali apposte da Niccolò
al secondo di questi, apparisce chiaramente come fu in seguito a divei^enza di giudizi tra
l'Albisi e Niccolò, in quest* incontro manifestatasi, che il segretario postillò in cancel-
leria il transunto dei coadiutori e insinuò poi la citazione dell'esempio nel 'soprindicato
luogo dei Discorsi.
* Rechiamo la seguente lettera de* Commissari, che in parte è autografa del Ma»
chiavelli, e non fu compresa dagli editori nella CotMnissione al Campo contro i Pisani.,
È data « die xvi junii, bora 7^ noctis mccccc » — (Arch. fior., classe x, dist. ii, n. 44,
f. 17, e. 87 e seg.) — « Monstra Monsig.* di Beumonte prompta voluntà alla impresa in
servigio di V« S«. Le vectovaglie et artiglierie non potria più sollecitare, intanto che non
li parendo haverci ricordato questo capo ad bastanza, sondo licentiati da lui, ci fece re-
vocare, et trovato Sua Signoria con parechi di quelli altri Signori Capitani, replicò che
era necessario farci bene intendere che bisognia facciate grande provisione di vittuallie'
perchè da dua di in là non è possibile Lucchesi possino prò vedere; et omni disordine che
seguissi tornerebbe in grave danno delle Sig.i« Vostre, perchè la fame caccia il lupo del
bosco. Risponderne che alle S.« Vostre non manca vittuallie da prò vedere questo exerclto,
purché sia ridocto in luogo che dalle Terre vostre la vi possa andare securamente. Sopra
che fu risposto dal Capitano et quelli altri Signori, che non basta dire di non potere, ma
che bisognia fare carovana grande donde la roba può venire, et loro manderanno la scorta
per accompagniarla, perchè la sia sicura da Pisani ».
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SOi CAPO PRIMO. [libro
vulzio, luogotenente della compagnia di Gian Giacomo, praticava
allo stesso effetto: il conte di Ligny, ^ favorito dal re, spacciava
conforti a' Pisani e gli assicurava che non avean nulla a te-
mere; che il re stesso non avrebbe acconsentito mai alla caduta
di quella città, conquistata la quale, non gli restava più sta-
tico della fede de* Fiorentini; e si giunse a credere che anche
il cardinale di Rouen la pensasse lo stesso.
E come se tuttociò non fosse bastante a tener mal conciliati
i commissari coi capitani francesi, la scarsezza e T irregolarità
degli approvigionamenti accrescevano i malumori della sol-
datesca. * Di Pisa s'eran battute e atterrate le mura sino a qua-
ranta braccia; ma l'esercito corso furiosamente all'assalto, vi
s'era poi fermato davanti senza entrar per la breccia, a cagione
d' un fosso profondamente scavato fra il muro e la trincèa di
dentro.
Il sospetto de' Fiorentini a quel soprastare s'accresce e col
dispetto loro, s'aumenta ancora l'impertinenza delle milizie au-
siliarie. « Non poteva il commissario né alcuno de' sua andare
per il campo, che non fussi sbeffato et urtato come inimico
loro: ulterius, dove si suole in uno esercito aver cura alla
distribuzione delle vettuaglie et salvare chi ve le conduce, co-
storo disonestamente et in vari modi operavano il contrario, ru-
bando chi ve ne portava, et quella che vi era condotta nascon-
1 Luigi di Lussembai^o, conte di Ligny, figliuolo di Luigi, conestabile di Francia.
Ci. CoMiNKS, Mémoire8, voi. i, pag. 400.
* Il Machiavelli scrìve per Luca degli Albizi : « ex terribilibut GaUorum Castris apud
Caseinam xxiiq junU iSOO » : « questo è tempo da non perdonare a nulla per expedirsi et
uscirne ad honore, e con mancho danno è possibile ». — (Arch. fior., ci. x, dist. 2, n. 44,
f. 17, e. 26) — E similmente « ex castrìs GaUorum apud Pisas xxvii^ junii 1500 » : « Ma-
gnifici Domini mei singularissimi salutem, &. Siamo ad bore 21, et due bore sono vi si
scrìpse. Et dipoi è tanto multi plicato el disordine del vieto, che dove questa gente ha con-
tinuamente patito di vino, al presente patiscie di vino et pane, in modo eh* io non so io
medesimo giudichare el fine nostro, procedendo in tanto disordine sanza rimediare ad parte
alcuna, ansi crescendo tanto più la carestia del vieto, quanto più croscio il bisognìo per
la vicinità del nimico il quale verso di queste genti mostra essere più disposto a prove-
dere ai bisogni sua, che noi che li haviamo condocti loro in su le mura per sottometterli :
il che mi pesa tanto più, quanto più importa, veggendo uno perìculo et una mina da non
ci potere rimediare sanza presta et gagliarda provisione. Et però alle S\gM Vostre piaccia
subito subito provedere, ad ciò che questo mancamento nostro non dia loro occasione et
scusa contro al bisognio nostro ; et perchè quelle possine con celerità provedere, si manda
questa Staffetta. Danari non si dimentichi, che Beumonte ogni bora ci è addosso : gli stra-
ordinarìi multiplicano, et multiplicheranno più che Le non credono; et de Sviszeri postdo-
mani viene le paghe. Proveghino per Dio con celerità et prestezza, se Le desiderano' el
bene loro come la ragione vuole, et ad ciò che el nemico non pascha gli amici nostri per
inclinarli ad compassione come ad ogni bora fanno, et con porgere, et con offerire cose da
mangiare. Importa questa provisione la Victoria; et faciendo in contrario, oltre al perdere
Pisa ci mette in perìculo. Bene valeant Dominationes vostre.
« Ldcas Antonii Alditius, Commisiariiu generaUs ».
B neppur queste lettere furono inserite nella Commissione in campo contro i Pisani,
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BBCONDo] SX TERRIBILIBVS OALLORUM CASTRIS. 106
dendo in vari luoghi, perchè il campo venissi in necessità,
et fussi costretto ad partirsi. Sogliono negli altri eserciti li ca-
pitani essere ubbiditi; et in questo, se comandava che si fa-
cessi delle fascine, non che quelli che non le facevano, aves-
sero paura della disobbedienza, riprendevano chi l'ubbidiva,
et cacciavalo da tale opera con li sassi; e'marraiuoli appresso,
uomini necessari nelli eserciti, erano lacerati, et da tutto lo
esercito in modo trattati, che li erano necessitati partirsi. Et
così, sendo loro causa delli inconvenienti, si querelavano di poi,
venuti ch'e li erono ». ^ Di questi disordini, di questi "dispregi,
di queste violenze era Niccolò testimonio, e talora anche vit-
tima. Però eccitato dalla sofferenza e dall'indignazione, il suo
pensiero si voltava a tentar rimedio contro del male. Triste le
bande mercenarie, tristissime le soldatesche ausiliarie, buone
a far di quel male che non possono i nemici; a insultare gli
ingiuriati, e delle ingiurie ripetere gratitudine. Se non che Nic-
colò doveva essere spettatore anche di peggio.
Un tal capitano Giannotto, che aveva con sé cinquecento
Svizzeri, si presenta a Firenze, domandando soldo da quella
Signoria. Questa, per paura eh' ei non se ne andasse ai Pisani,
non si niega, ma lo indirizza al Commissario in campo dicen-
dogli che dell'assoldare e del pagare i soldi aveva quegli
l' incarico.
Il Commissario, che avea testé ricevuto appena i denari per la
paga degli Svizzeri del re di Francia; che si vedeva già stare in
suir artigli i Guasconi, a' quali le paghe correvano quindici giorni
dopo gli Svizzeri; e che di soprappiù si vede arrivare il capitano
Giannotto cogli Svizzeri suoi, si trova in tale impaccio che mai
il maggiore. Pari all' impaccio il pericolo. ^ Al capitano Giannotto
ei si rifiuta a dirittura; e gli Svizzeri si ammutinano, i Guasconi
si gittano a predare. Nel giorno destinato a dar battaglia tutti
si ribellano agli ordini; gridori e tumulti mettono a soqquadro
1 Bibl. Naz., doc. M., busta i, n. 83, fog. l^, Cronichetta del Bonaccorsi, edita in
parte nel voi. in deìVOpp. del M., ediz. Passerini-Mllanesi, legaz. it.
* Luca degli Albizi e Niccolò presentivano ravvicinarsi di gravi danni. In una lettera
ai Signori « ex ca^ris Gallorum apud Pisas g Julii md. », Niccolò scrive in nome del Com-
missario: « Le Sig> Vostre mandomo più di sono per aiuto delle cose vostre qui Pieran-
tonio Camesecchi et Cosimo Saxetti, e quali del continuo hanno desiderato ritornare costi.
Et ultimamente anchora che non pot^ssino essere più approposito delle cose di qua, ve-
duto iUoro desiderio non gli ho voluto sconsolare, et ho conceduto loro licentia, per quanto
si sia per me possuta dare, cognoscendo che quanti meno saremo nel pericolo, tanto più
si salverà per la città » ~ (Arch. lìor., 1. e. filza Strozzi xii e 148). Anche questa lettera
non fa data in luce.
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a» CAPO PRIMO. [l
il campo. Trattasi di levare T assedio o di entrare in accordi
co'Pisani: il Beaumont e Luca degli Albizi vengono a parole,
rinfacciandosi ciascuno i doveri reciproci, accagionandosi en-
trambi d'avervi mancato. Or mentre quegli intende di costrin-
ger l'Albizi a pigliar partito, e questi inclina piuttosto a levare
il campo e ritirarsi a Cascina; gli Svizzeri, dubitando che se
Luca scampava in Cascina non fosse per farsi beffe di loro e
ricusar le paghe che gli voleano estorcere, ricorrono a vio-
lenza estrema.
Vanno in frotta all'alloggiamento dell' Albizi; lo attorniano
né a lui è più possibile con parole o promesse chetarli: voglion
le paghe e vogliono andarsene: a Luca è inutile far repliche;
e' lo menan prigione.
A tutta questa orribile scena Niccolò sta presente; spende
invano parole ed uffici ; la sbrigliata moltitudine non è più ca-
pace di sentimento onesto od umano. Salvar l'amico, il supe-
riore suo, il commissario della repubblica, seguitarlo almeno,
gli è tolto da quei furibondi. In tal frangente, egli altro non
fa che correre all'alloggiamento di San Michele e scriverne
appassionato a' Signori ; sperando che quelli « s' ingegneranno
che uno loro cittadino, con tanti suoi e loro servitori, non
muoino, e nelle mani di chi!»... ^ Certo che quel giorno per
l'Albizi, per Niccolò, per tutti quelli che l'accompagnavano fu
terribile; e nulla può meglio dipingercelo che la lettera istessa
che l'Albizi poche ore dopo la presura ne scriveva ai Signori:
« Io non so se nell'estrema ora della vita mia (che a Dio piaccia
sia presto), in me sarà il quarto dell'afflizione e dolore ch'io
sento al presente ». Infatti a'dolori che sopportavano s'aggiun-
geva il cruccio di parer non creduti e di vedersi abbandonati
<c come persone rifiutate e perdute ».^
Nei registri degli stanziamenti dei Dieci, e' ne à uno addi
xxviij d'agosto 1501:
• « Giovacchino Macigni provveditore dello ufficio dei X^' di
libertà pongo creditore lo egregio Niccholò di m. Bernardo
Machiavelli di fiorini sei larghi in oro^ a riscontro di tanti
apparisce debitore che gliene pagò Luca d'Antonio degli Albizzi
* Machiavelli, Commisione in campo contro i Pisanif lett. ii. Le edizioni leggono
invece di non « muoijto » non « mutino ». (!)
■ Machiavelli, Commisione in campo contro i Pisani, lett. iv.
» Circa lire it. 72. Per la provvisione del di 30 mawo 1464 a' florini d'oro larghi cor
reva il vantaggio del 20 per cento su' fiorini di suggello, ossia valevano lire sei fiorentine.
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SKCONDO] PRIMA ANDATA DEL MACHIAVELLI IN FRANCIA. W!
generale commissario in campo contro a Pisa lo anno passato,
e quali fiorini sei li danno et donano per remuneratione delle
fatiche vi sopportò et pericoli vi corse, et questo in ogni mi-
glior modo ecc». Da quindi risulta chiaro che l'opera di lui
al campo fu tutta di fede verso i commissari e la repubblica,
e per lui di gran pericolo. Che se un anno dovette aspettare
ad esserne rimunerato, questo ci è prova che né egli era im-
portuno a chiedere, né la repubblica sollecita a dare, anche
quando il debito fosse chiaro e certo. Chi gli restò per sempre
avvinto di singolare affezione fu Luca degli Albizi, il quale
pagata la sua liberazione a costo di mille trecento fiorini d'oro,
riconosceva dall'amicizia, dalla sollecitudine di lui intera la
vita. Scrivendogli lettere, lo chiama fratello carissimo, e gli
aggiunge: « ricordovi che io sono vostro et che io desidero
piacervi », e lo ringrazia del troppo concetto che Niccolò à
di lui. 1
Di tanti mali frattanto un qualche bene dovea seguire.
Innanzi a' Pisani s' era visto la prima volta * * come i Fran-
zesi possono esser vinti »; innanzi a' Fiorentini s'era dimostro
come gli stranieri ausiliari, tornano a rovina ed a peste di
chi gli ritiene e gli adopera. 3 La fiducia che il re di Francia
dovesse essere lancia spezzata della repubblica era stata scossa;
trattavasi di far conoscere a lui la vera condizione delle cose,
ma era assai difficile incarico; perocché per dirgli il vero, biso-
gnava cominciare a parlar male di tutti i soldati suoi lasciati
di qua dall'Alpi. E questo egli o non avrebbe voluto udire, o
r avrebbe udito irritandosene. Bisognava dunque al cospetto suo
non accusar gli altri, e non avvilire sé; bisognava fargli in-
tendere di quanto vitupero fosse macchiata la sua corona, 0
lasciargli capire che quel vitupero non veniva dagl'Italiani.
Disgustarlo poi, nel momento che papa Alessandro e il Valentino
da lui speravano tutto, era un gittar via Y unica alleanza che
i Fiorentini possedessero, V unica alleanza mantenuta a prezzo
di tanti sagrificì ; e un crearsi l'ultimo dei nemici. Laonde fu
deciso mandar subito qualcuno presso al re, che l'informasse
giustamente dell' accaduto, che conciliasse con prudenza l'esat-
tezza del vero colla osservanza delle persone, e lo piegasse a
raddirizzare con migliori provvedimenti l' impresa.
> Bibl. Nax., doc. M., busta n, n. 71.
s Macbutblli, Decennale I, y. 2S1.
* Cf. Machiatblli, Discorsi, libro ni, e. xv.
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20S CAPO PRIMO. [LXBBO
Furono scelti a quest'uopo Francesco della Casa e Nic-
colò Machiavelli. Il Casa era stato già in Francia alla corte di
re Carlo, a' tempi di Piero de' Medici; conosceva luoghi, uomini,
cose; aveva la confidenza del Comines, benevolo sempre a Fi-
renze; e quantunque vi fosse andato per incarico di quella mala
signoria, aveva pure osato scrivere a Piero: « Voi siete savio
e penserete a tutto, non tanto del particolare vostro come
della repubblica» ^ e infine lo aveva avvertito come il re sce-
vrasse la causa di lui da quella del popolo. Pertanto il popolo
l'aveva avuto a grado, ed era stato eletto a far parte del Con-
siglio grande. Ora, tanto egli quanto Niccolò erano stati presenti
a' fatti, 2 e avrebber saputo colorire le cose con vivacità, rim-
beccar le calunnie con prontezza, rispondere all'obbiezioni, pre-
parare il terreno a nuove trattative. Così i rischi passati furono
merito, ed occasione che Niccolò avanzasse ne' gradi del suo
ufficio.
Non già eh' ei fosse mandato con attribuzione più alta che
d'un cancelliere; e a lato del Casa, mandatario.^ Se non che al
Casa erano state assegnate lire otto di fiorini piccoli al giorno per
tutto il tempo della legazione, e al Machiavelli oltre il salario
ordinario della Cancelleria, venti fiorini larghi di grossi per
ciascun mese. ^ Questa difierenza allo scaltro segretario non
piaceva ; ma tacque per fino a che non fu partito. E prima di
partire, una nuova sventura domestica lo perturbò; la morte
della sorella sua, moglie al Vernaccia, il cui figliuolo Gio-
vanni ebbe sempre carissimo, come suo proprio. ^
^ Desjardims, Négociations diplomatiques, pag. 306. — Id. ib., pag. 314.
^ Biagio Bonaccobsi, Diario, pag. 34. — Pitti, Storia, 1. e. pag. 90. — Nardi, lib. iv,
pag. 206.
* II Parenti, Istoria, mss. (loglio 1500), reca: «Mandossi appresso Francesco della
Casa et uno de'cancellieri di palazzo a significare con prontezza alla maestà del re il ter-
mine in che si trovava la nostra città ».
* Archivio di Stato - Legazioni e Commissioni - Elez. istruz. lett., n. 26, a e. 82. Inoltre
negli Stanziamenti dei X (classe xiii, dist. n, n. 64 a 90 terzo) si legge : « Allo egregio
Niccolò di M. Bernardo Machiavelli stato mandatario delle loro signorie presso il re cri-
stianissimo lire mille dugento sessantotto, piccioli netti, cioè lire CLinj, per suo salario i
giorni quarantanno, a ragione di lire 4 il giorno, incominciati a dì xix di luglio et finiti
per tucto di xxvnj di agosto proxime passato, et lire 1104 per suo servito di giorni cxxxvnj
a ragione di lire otto piccioli il giorno, incominciati a* di xxviiij di agosto proxime passato
et finiti per tucto di xiiij del Presente, che tornò a Firenze, in tucto lire 1263». Questo
stesso appunto trovasi indicato a* di xxviiij di aprile 1501 perchè lo stanziamento fatto non
eragli mai stato pagato.
* V. le lettere di Niccolò a costui inserite nel Codice Oiulian de* Ricci nell'Analisi, ecc.,
in App. 8 xxnr. E nella bibl. Naz., doc. M!, busta in, n. 17, in una lettera di Domenico
Leoni a N. M. in Imola « addi xvi d'ottobre » si scrive, domandandogli favore .* « benchò
stimo che poca cognitione habbiate di me, salvo solo se non avessi inteso che Giovanni
Vemacci, vostro nipote, stia meco a bottega » — Ibidem, busta i, n. 59, « a di 5 di gen-
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•■cowix)] PRIMA COMMISSIONE IN FRANCIA. 800
Pertanto Niccolò va, lasciando le cose sue in aria e senza
alcun ordine «consumandosi, com'egli scrive, in più modi». Ma
non appena arriva a Saint Pierre le Moutier incomincia a farsi
vivo, e supplicare i Signori che gli lascin « tirare il medesimo
salario che il suo compagno, non vedendo che vi sia ragione
né divina né umana non avere il medesimo emolumento che
esso; e se la spesa in me vi paressi troppa, io credo, o che sia
hene speso in me quanto in Francesco, o che e' venti ducati
mi date al mese sien gettati via».^
Le sue dimando, non senza indugio, trovarono ascolto
presso la Signoria sì che ei non ebbe a soffrir torto, né trat-
tamento diverso dal Casa. Bensì ebbe a sopportar disordini e
accidenti lungo il cammino che talvolta lo costrinsero insieme
col collega a soprastare. * Arrivarono a Lione stracchi, ma di
buona voglia; quivi s'aboccarono col Lonzi, che era oratore or-
dinario de* Fiorentini presso il re Cristianissimo, e che avea avuto
licenza di ritornare. Da lui, secondo avevano ricevuto istruzione,
presero buona informazione dello stato della corte, delle di-
sposizioni dell'animo del re, delle persone di cui avevano a
fidarsi o a guardarsi, del modo che doveano tenere a scu-
sarsi e ad accusare. Si provvidero di vestimenta, di cavalli e di
servitori, e si rimisero in cammino per seguire la corte che
andava peregrina, posposto ogni disagio e timore di morbo, di
che il paese era pieno. Giunti innanzi al re espongono la com-
missione loro, limitati dal rispetto degl'Italiani presenti, che
solevano intervenire a' consigli: Giangiacomo Trivulzio, il ve-
scovo di Novara, ch'era Girolamo Pallavicini, e gli altri fuo-
rusciti della casata medesima.
Se non che, qual grazia potevano sperare i Fiorentini de-
boli, disuniti, senza danari, pieni di buone ragioni, presso la
corte avida, il rfe necessitoso, il cardinale di Rouen che per
volere sèmpre più accostarsi al papato, aveva di continuo gli
occhi più a papa Alessandro che alla patria e allo stato suo?
I due oratori erano trattati con frequenti asprezze; con in-
naio 1517 » (st. fior.) Niccolò lo consiglia : « Io credo che le cose tae sieno migliorate assai
in questa stanza che Tu hai facta costi et quando le si trovassino nel termine ho inteso
io ti consiglierei a pigliare donna : et a pigliare una per la quale tu accresceresti al pa-
rentado meco et è bella et ha buona dote et ò da bene : perchè vorrei che hauendo a so-
prastare costi 0 tu mi scrivessi, o tu me lo facessi dire ad Alberto Canigiani che opinione
ò la tua ». — « A di 17 di febraio 15£0 » (st. fior.) Niccolò gli partecipa come e in quanto
eredita d' una certa monna Veggia ». — E nella busta v, n. 14, è una lettera di Gio. Ver-
naccia in Pera, sp. v. D. Nicholao Machiavello in Firenze, viiij di maggio 1521.
1 Machiavelli, Commissione in Francia, Lett. 19, edia. Pass. Milanesi, pag. 125.
* Commita. cit., 1. 13.
ToioiAsntx - MachiavetU, ^
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210 ■ CAPO PRIMO. [UBRO
differenza. Il Trivulzio, col quale il Lenzi gli aveva ammo-
niti fare le viste di confidarsi e di cercare consigli, com-
passionandoli diceva loro de' Francesi: < e'vorrebbono pure,
sotto il dire che da ogni parte s'è fatto errore, la colpa eh' è
tutta loro, accomunarla con altri ». i E intanto il pontefice
ricercava dal re favore per l'impresa di Faenza che volea
pel suo Valentino aggiungere a Forlì e ad Imola; e quando
Niccolò e il Casa chiedevan Pisa, s'aveano risposta che in
Firenze era invece chi voleva Piero de' Medici, e non Pisa.*
E se si lamentavano della barbara soperchieria de' Svizzeri, il
cardinale di Rouen non negava veramente la loro bestialità,
ma aggiungendo poi che gli erano usi a far sempre così « can-
cellava la disonestà loro colla consuetudine ».3
Finalmente i due mandatari furono ridotti a scrivere alla
Signoria che in corte « tutto nasce dal sapersi acquistare ami-
cos de mammona iniquitatis » però che non sono le buone
ragioni che danno aiuto, « e quando qui si comincia ad ascol-
tare uno che prometta e dia, egli è diflScile il credere che non
si pigli».'* Il re è sempre assai mal disposto, e all'orecchie
di Niccolò e del Casa giungono avvisi che egli intende pi-
gliarsi Pisa, restituirle il contado, farvi uno stato, aggiungen-
dole Pietrasanta, Livorno, Piombino, e col tempo anche Lucca,
il che gli sarebbe facile fare e mantenere « per trovare parte
della materia disposta, ed esser contiguo allo stato di Milano». 5
Poco più, e i poveri mandatari disperano; non anno né qua-
lità ne commissione che sia grata alla maestà del re; tutti gli
anno in dispetto « tutti gl'inimici s'aggravano contro a' Fio-
rentini, e massime gì' Italiani che si può di tutti dire che senza
freno studino nel metterli in disgrazia del re».^
Oltre a ciò tanto il Machiavelli che il suo collega son ri-
masti senza danari ; e in ispacci, e vesti e mantenere cavalli
anno consumato quel che avevano portato seco e contratto de-
biti. — « Se V. S. non ci provvedessino, saremmo forzati abban-^
donarci; perchè ciascuno dì spendiamo uno scudo e mezzo, e
in vestirci e metterci ad ordine abbiamo speso più che cento
scudi per uno, e siamo senza un soldo, ed abbiamo già esperi-
1 Machiavelli, Prima commisiioiM in Francia, Lettnra 23.
" Loc. cit., Lettera 27.
' Loc. cit., ibidem.
« Loc. cit.. Lettera 27 e 28.
» Loc. cit.. Lettera 3i.
' Loc. cit., Lettera 33.
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MCOKDo] PRIMA COMMISSIONE IN FRANCIA. SU
mentato il credito invano e nelle cose pubbliche e nelle pri-
vate... » ^ — Non resta loro che dar questo parere: che man-
dino oratori reputatissimi e in condizione da poter fermare
qualche accordo, non avendo Niccolò e il Casa altro mandato
che d' excusare e di purgare: inoltre che si trovino un qual-
che patrocinatore che sostenga e propugni caldamente in corte
la causa loro, qualche amico mosso da altro che da affe-
zion naturale. — « Tutti ne anno ! » — Veggano di soddisfare
al re nel pagamento di trentottomila franchi che domanda, sic-
come dati pe' Fiorentini agli Svizzeri; e* gli vuole a ogni costo,
da* Fiorentini amici o nemici.
C'era poco a dibattersi e la Signoria doveva fatalmente
piegare e sopportare le pretensioni del re protettore. Anche
gl'indugi le venivano ascritti a colpa: un giorno che il car-
dinale di Rouen conversava con Niccolò, rampognandolo che i
nuovi ambasciadori non peranco si vedessero; e replicando
Niccolò rispettosamente che gli avea già detto com'erano stati
creati e poco doveano tardare a giungere, sua signoria reve-
rendissima gli rispose proprio queste formali parole: «dixistiy
vei^m est; Sed erimus mortui antequam oratores veniant;
sed conabimur ut alti prius moriantur ».^ Da tutto que-
st'insieme apparisce quanto esattamente abbiano affermato il
Bonaccorsi e il Nardi, e finanche il minuzioso Ammirato,^
che Niccolò e il Casa furon ricevuti in Francia con dimostra-
zioni benignissime. Al Casa non sembrò vero d'esser gravato
di febbre e d'avere cosi un buon motivo di scendersene a
Parigi, lasciando solo il suo compagno, che seguitò la corte
da Mélun a Blois.
Chi legge alcuna delle lettere ultime di questa legazione,
scritte da Niccolò rimasto solo, vede che intelletto per quelle
è messo a nudo. ^ Niccolò finge d' aver avuto colloquio con un
amico, con tale da cui suole trarre secreti assai del papa, e
quindi coglie occasione, tanto per mettere in suU' avviso i suoi
signori in Firenze, delle riposte intenzioni di papa Alessandro,
dell' armeggìo del Valentino, delle pratiche di Piero de' Medici
condottosi di Francia a Pisa; quanto per dare argomenti da
1 Machiavklli, loc. cit., Lettera 31 e 32.
* Id., Lettera 42. Da questa lettera apparisce come la conversazione ufficiale fosse tal-
volta anche in latino. Tuttavia è a credere si tenesse più frequentemente in francese.
Cosi, ad esempio, nella Lettera 43 occorre: « Parlali del mandato del Papa in Pisa; ri-
spose alterato che non era rUn ».
• Ammibato, Istorie fior., lib. xxvii.
*• Machiavelli, Comm. cit., Lett. 96, ed. Passerini-Milanesi.
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S12 CAPO PRIMO. [libro
stornare il re dalla perniciosa amicizia coi Borgia, inculcando
che quegli doveva « riparare e seguire l'ordine di coloro che
hanno per lo addietro volsuto possedere una provincia esterna,
che è: diminuire i potenti, vezeggiare li sudditi, mantenere li
amici, e guardarsi da' compagni, cioè da coloro che vogliono
in tale luogo avere eguale autorità » ; e quando quella maestà
riguardasse chi in Italia gli volesse essere compagno, trove-
rebbe che non erano né Firenze, né Ferrara, né Bologna, ma
quelli che in addietro cercarono di rovinarlo ». — Alle quali con-
siderazioni il cardinale di Rouen s' accontentava rispondere che
sua maestà avea « l'orecchie lunghe e il creder corto », come se
il corto credere a questo mondo fosse sempre segno di grande
accortezza. * Finalmente, determinatosi il re a mandare in Italia
persona che pigliasse precisa notizia de' fatti accaduti al campo
di Pisa e gliene riferisse, gli oratori poterono tornarsene. Tut-
tavia Niccolò non nascondeva a' suoi Signori che tornava la-
sciando l'essere loro con quella maestà «tenero e in aria ». E
l'ultimo avviso che potè dare da lungi (e si preparava a ri-
peterlo a voce da vicino) era che si procacciassero un qualche
amico, « come fanno tutti coloro che fanno qui faccende. E
fo questa fede alle Signorie vostre che se (l'oratore che verrà)
non potrà mostrare a Rubertet qualche gratitudine, rimarrà
al tutto in secco, e non che altro, non potrà spedire una let-
tera missiva e ordinaria».
Questa buona impressione riportava il segretario della re-
pubblica della moralità della prima corte di re che aveva vi-
sitato. Tornatosi a Firenze, stette poco tempo in riposo; che
nuovi torbidi dentro il dominio gli procacciarono occasione
d'esser distratto a più riprese dalla cancelleria.
Causa di queste gite frequenti, furono i tumulti sangui-
nosi, che, per le parti de'Panciatichi e de' Cancellieri in cui
dividevasi tutta [Pistoia, scoppiarono l'agosto del millecin-
quecento e crebbero a tanto, che fu a temere cosi Firenze
non perdesse anche quella città, come aveva già perduto
Pisa. Da poi che quelle due famiglie e consorterie nemiche,
che s'erano sempre arrabattate con ogni mezzo crudele per
soperchiarsi, non vivendo l' una che dell'oppressione dell'altra,
quando Pistoia venne in soggezione de' Fiorentini, presero ad
1 Machiavelli, loc. cit., Lettera 50. — In una lettera de* « di 18 giugno 1504 » Q Se-
gretario dorentino scriveva esser « prudensa credere facilmente a ttitto ciò che sembra
recar danno allo Stato ». Arch. fior,, ci. x, dist. 3, n. 112.
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SBCOKDo] LB PARTI IN PISTOIA. 213
accaparrarsi ciascuna, come propri patroni in Firenze, certi
personaggi, certe famiglie, dalle quali s'aspettavano nelle pub-
bliche deliberazioni essere spalleggiate e favorite. Di maniera
che la parte cancelliera e la panciatica s'eran distese a Fi«
renze colle protezioni, come già dibattevansi a Pistoia colle
violenze. Cosi i Medici, da Lorenzo in poi, erano stati tutti
di parte panciatica: di che era seguito che per tutto il tempo
che quelli ebbero in mano il governo di Firenze, la parte
cancelliera in Pistoia si rimase oppressa dall'altra. Ma im-
mezzo alle soperchierie della parte, non è a credere già che
dominasse o s'aggrandisse quella famiglia che alla parte dava
nome; dappoiché per una istessa legge e per un istesso fato le
due famiglie nemiche eran tratte a impoverire, sopportando i
carichi e le spese del comune, senza speranza mai di goderne
gli utili e le dignità, alle quali eran fatte incapaci per esser
notate fra i grandi; cioè fra i nobili di castella, cui tutti i
liberi comuni d'Italia avevano sempre fatto opposizione. Per-
tanto, tutto quel che potevano sperare era veder ne' magistrati
qualcuno de' loro partigiani e fautori; dare il loro nome alle
discordie, sopportarne i danni.
In questa condizione di cose era naturale che, cacciati via
i Medici nel 1494, di quell' avvenimento s'avesse a sentire il
contraccolpo in Pistoia. Poiché se i Panciatichi in quei signori
perdeano un propugnacolo, i Cancellieri si liberavano d'un
impaccio, e poteano farsi validi dell' apjpoggio delle casate fio-
rentine che tenevano dalla loro. Né eran già pochi in Firenze
che li favoreggiassero; però che, oltre i naturali amici che
possedevano, chi osteggiava i Medici, si schierava pe' Cancel-
lieri. E di soprappiù, tutti quelli che non avevano simpatia pei
Vitelli, la sfogavano contrastando a' Panciatichi, poi che una
sorella di Paolo e di Yitellozzo era andata a marito con un
de' capi di parte panciatica. Cosi avvenne che anche in Fi-
renze occorsero due umori diversi di casate, che per piegare
a favore dell'una o dell'altra famiglia pistoiese, furon con-
traddistinte coir appellazione di case di famiglia.^ Eran prin-
cipali a protezione de' Cancellieri: Luca degli Àlbizi, Bernardo
Rucellai, i Nerli, Guidantonio Vespucci, Francesco Gualterotti,
Giovan Battista Ridolfl, Guglielmo de' Pazzi, Lorenzo di Pier
X Fb. OuiccxARDiMi, SUnia fiorentina, cap. xxxi, pag, 23S « gridando molti popol*.
Botti, che si Toleva seguitare lo esemplo de* passati, e non faro de*8Ìgnorì di Case di fa-
miglia ».
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214 CAPO PRIMO. [LiBmo
Francesco Medici, Iacopo Pandolflni. Pe'Panciatichi starano
principalmente: Piero Sederini, Piero Guicciardini, Alamanno e
Iacopo Salviati. Dell' una parte e dell' altra si comprendevano
amici del nostro Niccolò di non poca importanza, e tutto di
loro era quel precetto politico che Pistoia fosse a tener colle
parti, ossia colle divisioni intestine, coir ingiustizie, coU'oppres-
sione della moltitudine e col sostegno d' una fazione violenta,
che volentieri sacrificasse all'odio degli avversari le ragioni
del bene comune.
Ma quando nell'agosto del 1500, i Panciatichi sono espulsi da
Pistoia per forza de' Cancellieri, quando tutto è mina ed uc-
cisioni da una parte e dall'altra, nella città e nel contado, e
Firenze è per perdere l'obbedienza da tutti e teme <c che non
segua di Pistoia come di Pisa » * la vi manda commissari, prima
Niccolò Antinori e Filippo Carducci; poi Niccolò d'Alessandro
Machiavelli e Giovanbattista Ridolfi con nuover forze ; più tardi
Anton Giacomini e Filippo Carducci di nuovo i quali tolgano
l'armi alla moltitudine, stabiliscano la pace, mandino ostaggi in
Firenze, usino tutti que' provvedimenti che possano bastare a
tener la città in soggezione.
A' commissari ebbe il nostro Niccolò ad essere inviato tre
volte: nel febbraio prima, poi nel giugno e nell'ottobre dello
stesso anno. ^ Di queste due andate non si à altro documento
che le patenti e gli stanziamenti che le rimunerano : non una
I lettera. Ma l'azione di lui feconda e prospera ci vien rivelata
dall'esame delle corrispondenze officiali, dal tramutamento gra-
I dato della politica fiorentina, rispetto a Pistoia, dovuto alle per-
I suasioni prudentemente indotte dal segretario, dalla vittoria sua
del vieto pregiudizio, domo con una pratica meglio risoluta e
salutare. É pur vero che le condizioni esterne della repubblica
ora aiutavano, ora contrariavano i conforti del Machiavelli; è
pur vero che la varietà delle signorie mutabili menava con se
sovente mutabilità di partiti; ma il certo si è che dalla con-
suetudine di barcamenare fra le fazioni cittadinesche, si arrivò
in fine ad appigliarsi a' modi proposti da Niccolò per proibire,
spegnere, annullare le parti in Pistoia.
Questi modi si recarono ad atto nell'ottobre di quell'anno,
^ V. Machiavelli, De reh%^t Piatorientibus, Bibl. Nai., busta i, n. 11.
■ Nel febbraio andò verso Pistoia, nel giugno a Cascina, a Pistoia a Siena, e stette
giorni dieci ih dette gite; neirottobre v*andò prima per staffetta e poi col Valori, e si
trattenne otto giorni. V. gli Stansiamenti appositi, editi dal Passerini. Opp. 1. 1, pag. lz»lXi.
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«BCOKDo] LE PARTI IN PISTOIA. 21
quando nell'aprile s'era atteso tuttora a dar securtà ai reduci
panciatichi o cancellieri. Nel maggio i Priori facevano che
Niccolò avesse a scrivere ai commissari « conoscere per mille
esperienzie non si potere deliberare cosa alcuna di cotesto oc*-
correnzie, che non offenda o tutte e dua o una di cotesto parti,
secondo eh' e' ne riferiscono e dolgonsi pubblicamente ». ^ Ma
quando, pochi di poi, il duca Valentino, chiedendo passo e vet-
tovaglie per trasferirsi di Romagna a Roma, entra ne' confini
di Firenze, e s' intromette come sbarra ^ fra questa città e Pi-
stoia, la paura piglia la signoria, e ordina: « costi non si
abbia ad alterare cosa.... » «fermare le cose per via di tregua ».^
Un mazziere della signoria colla mazza d'argento e l'insegna
vien preso prigione da' soldati del Valentino. Si teme che per
mezzo di costui, il duca non tenti di trarre in inganno i comi-
missari di Pistoia. — «Non ubbidirete in alcuna cosa alcuno
nostro mazieri, se non à seco uno commissario o uno tabulac-
cino nostro ; e fia el commissario uomo noto e pratico » ^ —
Finalmente il pericolo del duca Valentino è scongiurato, ma il
danno di quella paura rimane. Il soprastare ch'orasi fatto dalle
misure forti e rigorose per riguardo del vicino nemico, aveva
lasciato anche in persone non deboli, come il Giacomini e il
Carducci, uno strascico di riguardi poco men che fiacchi verso
i faziosi, usi a venir poco prima in Firenze con carattere d'am-
basciadori. Riaver l'obbedienza tanto di quelli che abitano là
città, come di quelli che abitano il contado, riaver l'obbedienza
di gente usa a non ubbidire ad alcuno e a viver a suo modo, ^
divien fermo proposito del governo ; e Niccolò Valori e il Ma-
chiavelli tornano sul luogo, per spingere innanzi i provvedi-
menti a questo fine. Le istruzioni sommarie che il segretario
reca sono fortissime: ordinare un buon vivere a comune; le
parti spegnere e costringerle a mutar nome ed arme; tenere
il Comune responsabile de' danni civili per le private offese,
quando i rei non capitassero in mano all'autorità; pene a chi
pigliasse l'armi per qualunque parte o si levasse in alcun modo :
« quelle pene che si giudicheranno essere abastanza».^ Gancel-
^ MkCEiAyrgLiA, Commitaione a PUtoia, lett. 33 ed alt.
* Id., ibid., Lettera 43.
* Id., ibid.^ Lettera 39.
* Macbiavblu, 1. e, lett. 44.
s Macbiavblli, CommÌÈsione a Pistoiay lett. 70 ed ult.
* MAcniATBLLi, Sommario deUa città $ del contado, Opp., Tolome m, pagine 355 e
seguenti.
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216 CAPO PRIMO. [i
late le parti nelle città, con mezzi somiglianti schiantarle dal
contado.
Nello spazio di cinque giorni, il Machiavelli era tornato
al suo ufficio. I signori avevano udito relazione da lui della
condizione delle cose. Il Giacomini e il Carducci s'erano tro-
vati ancora impacciati con promesse tra Panciatichi e Cancel-
lieri;^ ma il governo della repubblica s'udiva finalmente par-
lare parole degne: quelle promesse noiano, « volendo noi ser-
vare l'onore vostro, e dall'altra parte levare questa pietra dello
scandalo » . ^ — Cosi il vecchio aforismo scade abominato, e
pietra dello scandalo si chiamarono lealmente quelle fazioni,
che, agitando l' infelice città, l'avevano così fatta serva e trista.
Questa conversione a una politica onesta e salubre avevala con-
dotta in gran parte il senno e l'industria del nostro Niccolò.
I modi duri e crudi, proposti nel suo Sommario, a raggiungere
il fine voluto, non erano che i sufficienti. Di questi egli ebbe
a sentirsi forse accagionato allora; però volle in altra stagione
della sua vita giustificarsene, tacciando a sua volta d' inumanità
il popolo fiorentino « il quale, per fuggire nome di crudele,
lasciò distruggere Pistoia ». ^ Ma gli dolse forse che que' modi
straordinari designati da lui, o la necessità delle cose o la na-
tura degli uomini non li facesse adoperare con quel vigore che
a lui sembrava opportuno. « Quando si comanda cose aspre,
conviene con asprezza farle osservare » « a voler essere ub-
bidito è necessario saper comandare » ; e « un uomo prudente »,
scrive più tardi Niccolò, ^ « diceva che a tener una repubblica
con violenza, conveniva fusse proporzione da chi sforzava a
quel ch'era sforzato » .
Se non che usciamo un istante dalle politiche vicende, per
guatar qualche particolare della vita domestica di Niccolò, che
1 se per lo storico del pensiero di lui par meno importante, à
r peso tuttavia come ogni evento, da cui riceva impronta certa la
j vita dell'uomo. Niccolò ritraeva già del suo officio riputazione
non piccola e sufficiente guadagno: della casa paterna aveva
ereditato qualcosa, ch'egli godeva a metà con Tetto f ratei suo;
[ da cui, per lodo de' di 21 di giugno del 1518, ebbe a riscat-
I tarla intera. Venuto nel proposito d'ammogliarsi, tolse a donna
I
1 Machiavelli, Committione a Pistoia, lett. 70 ed alt.
.^^.- ■ Id., ibid.
» Machiavblli, Principe, cap. xii.
* Machiavelli, JHtearsi, lib. ni, cap. xui.
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STCONDo] LA MOGLIE DI NICCOLCT MACHIAVELLL S17
Manetta di Lodovico Corsini, donzella egregia per indole, per-
spicace d'ingegno. Il padre erale morto già fin dal 1497; la
madre fu figliuola di Francesco Gambioni. ^ La fanciulla aveva
dote, ebbe caldo affetto al marito, cure solerti alla prole. Quando
Niccolò, costretto, a cagione delle sue commissioni, peregrinava
lontano, la Manetta se ne restava afflitta e a Biagio Bonac-
corsi, e all'Alessandra, moglie di lui, accadeva di racconsolarla.
Nell'ottobre del 1502 Biagio gli scriveva da Imola: « Mona Ma-
netta mi ha mandato per il suo fratello ad domandare quando
tornerete, et dice che la non vuole scrivere, et fa mille pazzie
et ducisi che voi li promettesti di stare 8 dì et non più; sicché
tornate in nome del diavolo, che la m non si risentissi, che
saremmo spacciati con frate Lanciolino ».^
Un anno dopo, mentre Niccolò è a Roma, Biagio gli scrive
miglior novella. Egli à un primo figliuolo; « et di più vi dico
che la Manetta T à dato a balia qui in Firenze, et lui et lei
sta bene, gratia di Dio. Vero è che lei vive con grandissima
passione di questa vostra assentia, né vi è rimedio; et quando
l'Alessandra potrà andarvi, non ne mancherà, che pure dome-
nicha vi fu, et lei et io pensiamo sempre ad farvi piacere: cosi
pensassi voi ad me ».3 Quel primo figliuolo, per pia ricordanza
dell'avo, si chiamò Bernardo. Una prima figliuola, non gli visse;
un'altra a memoria dell'avola Bartolomea, ebbe nome Baccia;
altri tre figliuoli ebbero nome Ludovico, Guido e Piero. * Una let-
tera che ci rimane di Niccolò al penultimo de' suoi figliuoli, ci è
argomento dell' amor suo per essi e della cura con cui gli edu-
cava a generosi e liberi sentimenti. Il testamento di lui ci com-
prova la riverenza eh' egli conservò sempre per la sua com-
pagna, e la fiducia in cui visse e morì, ch'ella sapesse non pure
educar l'animo di quelli, ma amministrarne e proteggerne le
sostanze. Lei sola lasciò tutrice e curatrice de' minori, sciolta
dall'onere di rendere conto della tutela sua. ^ E quei figliuoli
crebbero vivaci e forti, ammaestrati dal paterno esempio ad
amare la libertà della patria e a spendere la vita per essa. ^
1 V. Luiai Passerini, Genealogia storica della famiglia Corttni, Firense, 1858.
* Bibl. Naz., doc. Machiavelli, busta 3>, 82.
* Ibidem, busta 3^, n. xxni.
* II Machiavelli, « da Firense, 80 9bre 1515 » scriveva al Vernaccia: « La Manetta
et fanciulli stanno bene et poi ti partisti mi sono nati dua figliuoli, una femina che mori,
ad uno mastio che vive, ha uno anno et dua mesi Piero, per Piero del Nero, che è morto »,
lett. ist. di provenienia dall'ab. Parigi.
' V. /{ Secondo testamento di Niccolò Machiavelli.
* Ecco le notizie che possono aversi della famiglia e de* figliuoli di Niccolò :
La Baccia andò sposa a Giovanni Ricci. Bernardo, nacque nel 1503, assente il padr« »
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218 CAPO PRIMO. [limo
A' di 17 novembre 1503 scriveva il Bonaccorsl a Niccolò: «erami acordato rispondere alla
domanda vostra delli altri compari che furono messer Batista Machiavelli, . messer Mar*>
cello, Lodovico, il capitano Domenico et io, di bella brigata; et demovi tutti grossi nuovi.
1. V. » — (Btbl. Naz., Doc. M., busU ni, n. 83) — Fu impiegato presso la Corte di Roma,
in qualità di tesoriere pontiflcio. Ebbe in moglie Ippolita di Alessandro Rinucci. Nella
Bibl. Nas. (Doc. jlf., busta v, n. 37) si à una lettera di lui a Niccolò in Lucca « die vu
di settembre 1520 ». — Trovasi che nel 1523 ebbe a durare una condanna degli Otto in un
anno d'esilio al di là di tre miglia da Firenze, e in lire 150 di multa per aver tentato di
yiolentare una contadina, e bestemmiato, giocando, il nome di Maria.
Ludovico, fu avviato ne- commerci; viario in Oriente; passò a Pera presso Giovanni
di Francesco Vernaccia. Nel 1517 tornò per la via di Ragusa in Italia, sbarcando ad An-
cona, donde scrisse al padre « addi xx di maggio » (Bibl. Nac, Documenti Jtf., busta v,
n. 22). Ebbe pur esso che far cogli Otto; il di 11 maggio' 1525 ebbe ad esser condannato
in due fiorini d'oro, per aver bastonato ser Clemente Pistelli, notaio. Tornò in Oriente
un'altra volu e a' dì 14 d'agosto 1525 scrive da Adrianopoli a Niccolò, ragguagliandolo
di torti ricevuti in affari commerciali da certo Carlo Machiavelli, che, tornato a Pera,
converrà innanzi al balio (Ibid., busta v, n. 46). Quando nel 1527, dopo il sacco di Roma,
i fiorentini si ribellarono a* Medici, egli si distinse in fare sfregi a' stemmi loro, abbatter la
statua di Leone X, e deturparla all'Annunziata. Il di 16 giugno 1529 fu novamente condan-
nato per cinque anni di confini a IJvomo, essendo venuto più volte alle mani, con spargi-
mento di sangue, insieme con Agostino del Nero e Giovan Battista Martelli. La Signoria
erasi interposta più volte per pacificarlo con questi suoi nemici : giurata la pace, egli primo
la violò. E nello stesso anno ebbe a portar nova pena in lire 50 e quattro mesi di confine,
per aver aggredito il detto G. B. Martelli, per gelosia d'una cortigiana, che avea sopran-
nome « la pesciolina ». Ludovico rimase nella rissa ferito a una gamba: laonde ottenne
proroga per andare a* confini ; e, come fu guarito, non parti per restare a difesa e soccorso
della patria, minacciata dall'armi di Papa Clemente e di Carlo V. Usci col Ferrucci di
Firenze, si trovò alla battaglia di Gavinana. Il Ferrucci stesso parla di lui in una lettera
del 26 ottobre 1529 ai Dieci, raccontando come, caduto in mano degl'Imperiali lo aveva
riscatuto coH'arme in pugno. Il Guerrazzi fece di Ludovico Machiavelli un personaggio
importantissimo del suo romanzo il più caldo di patrio- amore. Di lui conclude (Asiedio di
Firenze, cap. xxix, in nou) : « Finalmente affermano che nel 1530 morisse gloriosamente
in una sortita, tenendo stretta la insegna della sua compagnia. Che che ne sia, questo è
sicuro, che i figli di Niccolò Machiavelli furono educati a spargere il sangue in benefizio
della patria e della libertà ». —
Guido, il più giovane de' figliuoli di Niccolò, si dette agli studi e pare entrasse nella
cheresia. Scrìveva al padre a' 17 d'aprile 1527 : « comincerò questa pasqua, quando Baccia
sia guarita assonare et cantare et fare contrapunto a tre, et se l'uno et l'altro istarà
sano spero tra un mese potere fare sanza lui, che a dio piaccia. Della gramatica io entro
oggi a' participii et ammi lecto ser Luca quasi il primo di Ouidio meumorphoses, el quale
ni uoglio, comunque Voi siate tornato, dire tutto a mente ». — (Bibl. Naz., Doc. Jf., bu-
sta V, n. 21). Cosi rispondeva all'affettuosa lettera di Niccolò, citata già da noi in questa
opera (pag. 101, in nota). — Di Guido Machiavelli si conservano nella Biblioteca Nazio-
nale fiorentina (Documenti M., busta v, n. 178-187) le opere seguenti:
1. Copia di lettera di Guido Machiavelli del 5 dicembre 1556 a M. Agnolo Biffoli, colla
quale gli raccomanda il fratello Piero che era carcerato. Gli esibisce tutti i mezzi che
sono in lui per farlo liberare;
2. Sermone autografo per la notte del sabato santo;
3. Sermone intitolato Eaortatio ad fratre»;
4. Allocuzione per uno sposalizio (autografa);
5. Traduzione autografa del principio de l'Epistola di S. Paolo ai Romani;
6. Traduzione autografa del principio del Momo di Leon Batista Alberti;
7. Commedia di Guido Machiavelli, copiata da Giuliano de' Ricci. Manca il titolo e
non contiene che il solo atto primo e parte del secondo;
8. Commedia del suddetto intitolata Tizia, mancante di qualche carta in principio.
Natte (o siano burle) fatte da varie persone a G. M. B. (Giovan Maria Benintendi). Copia
del capitolo dell'Ingratitudine, opera di Niccolò Machiavelli. Gli Adelfi, commedia di
Terenzio tradotta da Guido Machiavelli;
9. Capitelo e Bolla del Concilio Tridentino ;
10. Nota dei 50 giovani destinati a portare il baldacchino nell'entraU in Firenze di
Giovanna d'Austria sposa di Francesco de' Medici nel 1005.
11. Nota dei canonici ed altre dignità del Duomo di Firenze e di chi sono patronati.
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SBCOWDO] PROGENIE DI NICCOLO' MACHIAVELLI. «W
Piero. Nella Bibl. Nas. fiorentina (Doe. Jtf., busta v, n. 188) si anno, scritti dal fra-
tello Guido sacerdote^ cenni della vita di Piero Machiavelli. Egli «nacque in Firenze,
Tanno 1514, a* di 4 di settembre » Aufn sol oriebatur. -~ Fu molto stimato per la sua co-
noscenza delle cose di mare. Servi nella marina militare toscana sotto Cosimo I. — Ebbe
anche egli che fare colla giustizia, e addì 24 marzo 1533, per aver, contro la legge, sco-
varto una fossa ne* suoi possessi di San' Cascia no, per prendervi i lupi, ed essendovi ca-
duto dentro e alFogatovisi Cristoforo, fornaciaio, fu condannato in contumacia alla prigione
delle Stinche. Ottenne* grazia, dopo tre anni (addi 12 giugno 1536) a intercessione di Mar-
gherita d'Austria, che andava sposa al Duca Alessandro. Nel 1560 era a comando di 3 galee,
e toccò una sconfitta nelle acque del monte Argentale, da 16 galeotte turche, guidate da
un rinnegato corso. Fu neli*istess*anno all'impresa dell* isola delle Qerbe, e poi fu scelto
commissario delle galee toscane, e nel 15612 ordinato cavaliere di S. Stefano, il qual ordine
fh a quel tempo istituito dal granduca. Mori nel 1564 a* di 21 d'ottobre in Gibilterra, d\
febbre. Visse anni 50, un mese e diciassette giorni. Il testo citato della Bibl. Nazionale
dice che mori di febbre, ma una postilla che pare di mano di Giulian de* Ricci, aggiunge:
« ta fatto avvelenare dal Signore di Piombino col quale gareggiava al governo delle galee;
Tawelei^ò ^un suo paggio nel dargli bere ». — Fra le Carte del Machiavelli (Bibl. Naz.,
busta I, n. 4) si à una lettera di Piero a Cosimo I, duca di Firenze, che incomincia: « AHI
26 del presente scrissi a V. Ecc. IH .ma il bisogno, ecc. » ^ e manca del fine. Questa let-
tera è a stampa. Parimente (Doe. M., busta v, n. 0) si à una lettera di Gio. Francesco
de* Medici « a Piero Machiavelli cav. luogotenente delle galere in Ferraio ». La data è
de* 25 d'ottobre 1563. —
La vedova dì Niccolò, venne a morte a* di 7 febbraio 1552. Una sua lettera autografa
a N. M., che si conserva nel manoscritto Rinucciniano segn. di n. 2 della Mediceo-Lau-
renziana in Firenze, ci è prova della gentile virtù di lei, moglie e madre.
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Capo Secondo
RIBELLIONE DELLA VAL DI CHIANA — IL GONFALONIERE A VITA
IL MACHIAVELLI E I BORGIA.
E per pigliare 1 kuoì nemici al vischio,
Fischiò soavemente, e per ridurli
Nella saa tana, questo Imvallschio.
Nò molto tempo perdo nel condurli;
Che '1 traditor di Fermo e Vitellozzo,
E quelli Orsin, che tanto amici fùrll.
Nelle sue insidie presto dier di cozzo ;
Dove rOrso lasciò più d'una zampa.
Et al Vitel fu l'altro corno mozzo.
(Hacbutilli, Decennale I, v. 393 sgg.)
Nelle gravi difficoltà pistoiesi, la Signoria di Firenze erasi
trovata sgomenta e non avea voluto assumersi tutta la respon-
sabilità delle deliberazioni. Però aveva fatto ricorso al con-
siglio altrui, radunando una Pratica di circa quaranta fra' prin-
cipali cittadini, la quale proponesse rimedi, disponendosi a
seguitare il parere di lei in tutto e per tutto. I mali della città
si riducevano facilmente ad uno: la disunione, e questo la Pra-
tica poteva piuttosto accrescerlo che medicarlo; perchè tra
quei quaranta cittadini trovandosene d'ogni partito, e, secondo
i partiti, avendo in mira ciascuno diverso fine, non venivano
a capo di nulla che urgesse; e, intavolando questioni insidiose,
inasprivano gli animi.
Fra le questioni prese a discutere si faceva capitar sempre
quella della forma di governo, nella quale i partigiani ravvi-
savano la cagione sola delle cittadine sventure; si che non
pareva loro col governo popolare, col Consiglio grande, si po-
tesse andare più innanzi. Altri, più moderati, avrebber pure
lasciato sussistere il Consiglio grande; ma a quello degli Ot-
tanta avrebbero surrogato un'altra a.ssemblea senatoria, i cui
membri fossero a vita, e si scegliessero solo fra que' cittadini
che fossero stati già gonfalonieri di giustizia, commissari ge-
nerali, ambasciadori a papi, re, o duchi; dal novero de' quali
fossero a prendere poi sempre i Dieci di balia. Tal altro opi-
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a» CAPO SECONDO.
nava che fosse a modificare il modo di votazione per le leggi
d'imposte; e che mentre prima si volevano ad approvarle i due
terzi de Voti favorevoli, ora una maggioranza relativa bastasse.
Per siffatta guisa, variando le opinioni all'infinito, e non
uscendo nulla di concreto da quelle adunanze, e sapendosi in-
sieme che a quelle intervenivano persone che non amavano
l'ordine attuale di cose, la moltitudine cominciò a veder di mal
occhio quella congrega, ad aver caro chi si astenesse, caris-
simo chi ricusasse d'intervenirvi. Fu tra quest' ultimi Piero So-
derini, 1 al quale è dubbio se più ripugnassero le insidie tese
alla libertà, o più facesse solletico la popolarità che s'acqui-
stava col suo procedere. Fatto è che il maraviglioso favore
della moltitudine maggiormente gli si accrebbe quando eletto
gonfaloniere di giustizia, condusse il magistrato suo per modo
che, senza convocar mai Pratiche di sorta, senza chiamar mal
consiglieri facoltativi, lasciò deliberare tutte le cose a' Collegi
ch'erano i suoi consiglieri di diritto. Questi, riconoscenti del-
l'ossequio ch'egli scrupolosamente manteneva alla costituzione
democratica, dei riguardi che pareva usare alle loro particolari
persone, nella maggior parte delle cose si riportavano a lui.
Cosi egli faceva tutto, col brando della legge, coU'amore dei
popolani, a gran disdegno dei nobili.
Ma i nobili sanno che quando alcuno de' loro si gitta al
popolo per godere autorità non partecipata, va da sé nello
sdrucciolo della propria ruina; e che l'opera della vendetta
loro è voltargli contro del petto l'arme stessa che impugna.
Il Sederini era l'uomo che men ch'altri avrebbe saputo
proteggersi da siffatta vendetta; egli ascendeva solo, perchè solo
sapeva rispettare le leggi fatte e gli ordini stabiliti; e poi che
le une e gli altri trovava essere razionalmente osservabili, gli
pareva non avesser mestieri d'altro sostegno che della bontà loro
perchè non temessero mutazioni. Il precipizio doveva pertanto
aprirglisi quando fosse stato necessario guardare dall'insidie
molteplici quello stato che tanti avversavano e ch'egli solo
doveva difendere con mezzi, che nelle leggi e negli ordini sta-
biliti non gli pareva trovare. Ma in sul principio del suo ascen-
dere anche le esteme condizioni della repubblica sembravano
aiutarlo.
Il re di Francia aveva cupidigia e bisogno di danari; per
* Guicciardini, Storia fiorentina, cap. xxii, pag. S38. — Macbuvblli, EttrtOH di lai-
Ur#, pag. 276, ediz. Passerini-Milanesi.
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SBCOKDO] ESULI Plir POTENTI CHE LA REPUBBLICA. 223
la povertà di Firenze poteva sperare di trarne pochi dal po-
polo, i cui commerci erano scaduti; questi pochi, per le natu-
rali lungaggini del Governo libero, gli avrebbe dovuti stentare.
Dalla casa Medici al contrario gli sarebbe stato facilissimo
averne promessa pronta e pagamento sicuro; la loro banca di
Roma era malleveria più' che bastevole; e ripigliata poi la si-
gnoria di Firenze, questi avrebber soddisfatta ogni voglia fran-
cese intera e presto.
Il re pertanto riceveva a corte Giuliano con ogni cortesìa;
questi aveva libero accesso al cardinal di Rouen e intratte-
nevasi con lui in colloqui lunghi, forse artificiosamente lunghi;
mentre invece al Tosinghi, orator fiorentino, toccavano le so-
lite asprezze, che già avevano contristato il soggiorno del Ma-
chiavelli e del Casa ; fino a sentirsi dire che facesse il piacere
d'andarsene dalla corte, perchè non s'apparteneva a oratori
di nemici il restarvi; non potendo risguardar se non per tali
coloro che non mantenevano le capitolazioni sancite a Milano;
le quali importavano pagamenti, che i Fiorentini non soddisfa-
cevano.
Cosi il re piacevasi tormentare i democratici, non cessando
dall' inculcare che quel loro governo scapigliato non andava
bene, che con quello non si poteva concludere niente di sodo,
che conveniva pensassero a mutarlo, o a modificarlo almeno.
E in quel tenore medesimo più risolutamente erasi espresso loro
su' confini l'imbaldanzito duca di Valentinese, reduce da Bologna,
dove per intromissione del re di Francia, aveva risparmiato il
Bentivoglio; e veniva recando con sé Vitellozzo, il giurato ne-
mico di Firenze, pronto ad accorrere in ogni campo, dove fosse
speranza di vendicare il fratello. Dietro le spalle poi, a Loiano,
nel bolognese, il duca Cesare teneva in serbo Giuliano de' Me-
dici; sui confini del senese accorreva Piero. ^ Già una prima
volta, a Barberino, il Borgia aveva fatto intendere agli am-
basciadori di Firenze (erano Pier Soderini, Alamanno Sal-
viati e Jacopo Nerli) che quella lor maniera di governo, non
gli "piaceva ; che, per via de' fuorusciti, o con ordinare un Go-
verno a suo modo avrebbe cercato sicurtà de' patti. * Poi, per
Cf. Alvisi, Cétaré Borgia, pag. 188. — DBSJARDms, Négoeiaiions diplomaiiques,
t. n, pag. 53: « E* ci inclina l*animo a dabiUrne, per il desiderio che ha il papa, secondo
che è sua natura, e a qualche suo disegno di alterare il presente stato della città, e lo
appetito che hanno ancora quegli altri capi chi d'una cosa e chi d* un'altra, e tutto dise-
gnarsi con il messo degli usciti nostri ».
* Biagio Bo:<accob8i, Diario.
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tu CAPO SECONDO.
la via di Pancaldoli, a Firenzuola, e quindi, per la Val di
Marina, viene al Ponte a Signa. Firenze chiama alle porte l'a-
bate Basilio e i suoi fanti; manda a Pistoia per quelle genti che
v'erano; le mura commette esplorare ad Ambrogio da Lan-
driano e a Luca degli Albizzi; al Valentino manda oratori Fran-
cesco de' Nerli, Alessandro Acciainoli, Cosimo de' Pazzi. ^
Naturalmente, i Fiorentini escludono ogni proposito di muta-
zione nello interno del loro stato ; se n'escono con una condotta
data al duca Cesare di trecento uomini d'arme per tre aani, libero
al duca di tener due cavalli leggieri in luogo d'un uomo d'arme;
il soldo fissato in trentaseimila ducati l'anno : « non obligando
però il prefato signor duca la persona sua ad intervenirci al-
trimenti che per suo luoghotenente * » ; condizione più grata a
Firenze che al Valentino, il quale, per quella stipulazione, s'as-
sicurava che la città non gli avrebbe fatto impedimento alla
impresa, ch'egli preparava contro al signor di Piombino. Di più,
un'altra condizione che faceva comodo a tutte due le parti,
perchè lasciava agio a sottintesi tanto pel furbo che pei de-
boli, era che, a richiesta della Signoria di Firenze, quelle armi
condotte dovessero dal duca esser mandate a servigio del re
di Francia per l'impresa di Napoli. Il duca non avrebbe cosi
fatto mai al re servigio gratuito; la repubblica avrebbe con un
solo obbligo soddisfatto a due prepotenti.
Dal re di Francia la repubblica si sapeva protetta; ma
non ignorava il poco frutto che aveva a sperare di quella
protezione. ^ 11 re di Francia voltava allora tutte le sue forze
al regno di Napoli, per ricacciarne per sempre Federico d'Ara-
gona; e poi che questi avea gli occhi continuo alla corona di
Spagna, dalla quale si lusingava di aiuto, pensò re Luigi che,
per preoccupargli ogni rifugio, fosse cosa ottima far esso lega
col re Cattolico, cedendogli metà di quel reame che avrebber
dovuto conquistarsi con armi comuni: Calabria e Puglia alla
Spagna; Abruzzi e Terra di Lavoro alla Francia; re Federico
rimarrebbe schiacciato.
1 GoicciARDi^ii, Storia fiorentina. — Machiavelli, Estratti di lettere, pag. 278.
* V. neW Archivio stor. t(., t. xv, pag. 869, la Convenzione de' dì 15 maggio 1501 tra la
Signorìa di Firenze e il Valentino, fatta « in pontificiia et felicibus chastris ad chasteUum
Campium eomitatus Florentie ».
* A* di 28 di maggio il re scrìveva alla Repubblica: « Nous avons esté adverti par
vostre ambassadear, ajoute-t^il, comment nostre cousin, le due de Valentinoys, s'est tire
en Vostre Seigneurie, avec ses gens d*annes, pour vouloir faire qnelque entreprìse sur
icelle, en vostre préjudice, de laquelle chose ne nona poavons trop esmerveiller ». V. Des-
JABDINS. Négociations diplomatiquea, t. n, pag. 53.
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secondo] RIUELLWyE DELLA VAL DI CHlAyA. 225
Provò questi mirabilmente resistere, e afforzarsi in Capua:
ma Capua ebbe a soggiacere alja furia degli assalti fran-
cesi, e a sopportare saccheggio, depredazioni, violenze di ogni
maniera. Cadde fra que' morti Rinuccio daMarsciano; ne godè
Vitellozzo: era un principio di vendetta; ma era poco. Egli
vedevasi intorno sparire principi e re: l'Appiano, che abban-
donato dal re di Francia, da Firenze, da Genova, invocate va-
namente a soccorso, esulava, sopraffatto dal Valentino, insigno-
ritosi dell' Elba, della Pianosa, di Piombino : l'Aragonese che,
tradito dal re di Spagna suo congiunto, cedeva al destino,
perdendo il regno, rassegnandosi a morire in Francia duca
d'Anjou. Ma Vitellozzo assetava d'una vendetta più ardua; egli
volea vedere oppresso un popolo, distrutta la fiacca repubblica
fiorentina. Però tien pratica in Arezzo per fare insorgere la
città con tutta Val di Chiana; e Arezzo si ribella anche prima
ch'ei non voglia, e non sia presto a portarle soccorso. Il podestà
fiorentino, i commissari, il vescovo" Pazzi si rifugiano nella cit-
tadella, fidenti che l'aiuto di Firenze non indugi. Ma se Vi-
tellozzo tardava a soccorso dei ribellati, i Fiorentini non cre-
devano neppure che fosse vera la ribellione; ne reputavano la
notizia' un artifizio di nemici per distorli dall'assedio di Pisa,
dal racquisto di Vico Pisano. E quando A^itellozzo giunse, e vide
l'incuria e l'inerzia di essi, credette che veramente Dio ac-
cecasse quelli che volea perdere, come usavano scrivere i cro-
nisti del medio evo; e ingagliardito nelle speranze, afibrzò di
buon numero di cavalli la terra. Con lui s'aggrupparono Paolo
e Fabio Orsini, alcuni uomini d'arme di Paolo Baglioni, spalleg-
giando Piero de' Medici; ne andò molto che Vitellozzo acquistò
anche la cittadella, e poi senza difficoltà Cortona colla sua
ròcca, il Borgo a San Sepolcro, Anghiari, Castiglione Aretino,
la Pieve a San Stefano, il Monte a Sansavino; tutto occu-
pando a nome di Piero e del cardinal de' Medici.
A Firenze non si sapeva intendere se questo nuovo in-
sulto veniva dalla furia sola di Vitellozzo, condottiero indi-
sciplinato del Valentino; o se egli operava d'accordo col papa
e coir insaziabile duca. Prima d'aver la cittadella d'Arezzo,
Vitellozzo aveva richiesto di mille fanti Guidubaldo di Mon-
tefeltro, signore d'Urbino. Questi avea risposto che per la
santità del papa e pel duca avrebbe fatto ogni cosa; ma che,
essendo i Fiorentini in protezione di Francia, per suo disca-
rico presso il re, gli facesse scrivere dal papa un breve, al
ToMMA8i>'i - Machiavelli. 16
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a» CAPO SECONDO. [l
quale come buon vicario obbedirebbe.^ Vitellozzo sdegnossene;
questo non si poteva, disse. La richiesta medesima poco dopo
gli vien dal Valentino ; e Guidubaldo la stessa risposta ; insiste
quegli che il breve non verrebbe a tempo; questi, fiutando
la perfidia che intendeva per un modo o per l' altro metterlo
in qualche apparenza di torto, trova un mezzo termine per com-
piacere al duca Cesare e non compromettersi col re. Se non
che il Valentino da Spoleto gli è sopra rapido e improvviso,
e Guidubaldo fuggendo, insidiato per le campagne, scampa a
Ravenna e quindi a Mantova, salvando d'ogni fortuna sua ap-
pena appena la vita, « un giuppone et una camiscia ».*
Cesare Borgia, con maraviglia di tutti, si seppe impadro-
nito d'Urbino, prima che partito dall'Umbria. Passa quindi a
Camerino a spegnere i Varano. De' rapidi progressi di lui il
re di Francia entra in pensiero ; si indispettisce contro al papa,
tergiversante dopo la notizia del trattato di Granata, che spar-
tiva il regno di Napoli; dell'alleanza spagnuola si faceva forte
e sicuro; era in collera e in sospetto per l'opere de' condottieri
del duca verso i Fiorentini.
Dall'altra parte il Valentino non tanto si confidava della
fortuna che non cercasse assicurare con prudenza il- nuovo
suo stato. Il re di Francia lo aveva, per verità, aiutato ai primi
acquisti, ma non avrebbe creduto fosse per arrivar tanto innanzi;
però il Borgia non lo considerava più amico. La repubblica dì
Firenze aveva innata inclinazione francese; era isolata in Italia;
s'intrometteva nel corpo de' suoi nuovi possessi. A lui dunque
dovea premere d'averla o amica certa o impotente nemica. Do-
vevasi però staccarla da Francia: conveniva sentisse bisogno e
timore di lui: bastava lanciarle sopra i Medici e Vitellozzo.
Ora, Vitellozzo pe' Borgia rappresentava due occasioni di-
verse e fatali. Egli non aveva forze sue che lo rendessero temi-
bile, e le circostanze parevano levarlo alto come per fare di lui
un gioco della mala ventura. Egli odiava Firenze ; ed era col
nome di lui che il Valentino teneva in paura quella città, che
non poteva ne amicarsi né opprimere. Quegli fra i condottieri
non era né il più reputato, né il più prode; fra i vicari non
quello che avesse lo stato più forte ; ma l' irrompere suo nella
Val di Chiana gli dava importanza e gli riuniva attorno, sic-
» Lettera del duca d'Urbino da «Mantova xxvni iunìi 1502», neàVArch. fior., pubbli'
caU dall'ALviBi, op. cit., pag. 528 e seguenti.
* Id. ibid., pag. 533.
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arcoWDo] PRIMA ANDATA DEL MACHIAVELLI AL BORGIA. M7
come ad un nucleo, quella minutaglia di vicari che dalla sorte
de' Montefeltro e de' Varano, da' tentativi contro a' Bentivoglio,
avevano appreso a diffidare de' Borgia e volevan guardarsene.
Attorno a lui infatti si stringono gli' Orsini, guerreggiati a
Bracciano, i Baglioni nimicati a Perugia, Oliverotto Euflfreducci,
colla uccisione crudele di Giovanni Fogliani, suo zio materno,
insignoritosi di Fermo.^ Quest'illusoria importanza di Vitellozzo
lo faceva vittima e richiamo di vittime. Coli' occupazione di
Arezzo aveva offeso il re di Francia; coll'attorniarlo i vicari
mettevano a saggio la fede loro e facilitavano l' opera a chi
avrebbe dovuto» penare per coglierli alla spicciolata. Ed ecco,
il Valentino fa intendere a Firenze gli si mandi un uomo col
quale poter trattare; che le novità d'Arezzo e della Val di
Chiana si potranno presto accomodare con lui.
Firenze esita; non sa se le convenga, aspettando assistenza
dal re protettore, entrare in trattative col flgliuol del papa.
Del resto essa è senza difesa; armi da condurre con reputa-
zione non ci sono ; il marchese di Mantova non si può tórre per
non dispiacere a Francia, memore di chi fu eroe al passaggio
del Taro; il conte di Pitigliano, Bartolommeo d'Alviano, i Co-
lonna si tengono co' Veneziani o col re di Spagna. Neil' inten-
zione d'acquistar tempo la Signoria si piega a mandare al Borgia
in Urbino Francesco Sederini, vescovo di Volterra, accompa-
gnato dal Machiavelli. Pier Sederini intanto sollecitava a Milano
i soccorsi francesi. -
Niccolò e messer Francesco partono; e come sono di là
dal Ponte a Sieve apprendono da un frate la notizia dell'occu-
pazione d'Urbino, fatta dal duca.
Il vescovo non era stato mai maltrattato dai Borgia ; non
aveva particolari ragioni di nimicarli; l'odio stesso delle mol-
titudini per loro gli pareva cieco, e attenuava, come per rea-
zione, la severità del giudizio ch'egli portava di essi. Erano
un miscuglio di vizi e di virtù, diceva: « e tra le lodi che si
1 Macbiavblli, /{ Principe, cap. viu. — M. Tabarrini, Annotazioni alle Cronache
fermane di Antonio di Ificeolò, pag. 173 e seg. — Fbacassetti, Commentario storico degli
Euffreducci.
* Il timore che Firenze aveva de' baroni, in ostilità o in accordo co' Borgia, viene
espresso nell'Istruzione data a Pier Sederini e Alenandro Nasi: « Secondo il giudizio
nostro, noi reputìiimo tutti costoro inimici di Sua Maestà, e lasciandoli procedere cosi, po-
tere col tempo recare difflcultà alle cose sue in Italia, metterlo anche in pericolo, mas-
sime anche se il papa, sopraffatto da tanti accidenti, eleggessi piuttosto qualunque accordo
che una guerra pericolosa. E in questa parte bisognerebbe discorrere le qualità e inclina-
sioni e pensieri di ciascuno di questi inimici del papa, e quali noi reputiamo ancora nostri,
e desiderare nuocerci » (Dbsjabdins, Négòciationt diplomatiqueSf t. n, pag. 74).
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a» CAPO SECONDO. [libeo
possono dare di grande uomo al papa e al duca, e* è questa:
che siano conoscitori dell'occasione e la sappiano usar benis-
simo ». ^ Queste parole udite dal Sederini, il Machiavelli tra-
scrisse; l'esperienza gli provò che il vescovo aveva ragione, e
la radice dell'ammirazione sua pel Valentino è tutta qui.
Pernottando a Ponticelli, i particolari uditi dell'occupa-
zione di Urbino ancor più lo maravigliano: « el modo di questa
vittoria è tutto fondato su la prudenza di questo Signore, el
quale essendo vicino a sette miglia a Camerino, sanza mangiare
e bere, s'appresentò a Cagli, che era discosto circa miglia tren-
tacinque, e nel medesimo tempo lasciò assediato Camerino e
vi fece far correrie, si che notino vostre Signorie questo strat-
tagemma e tanta celerità coniunta a una eccellentissima fe-
licità >.2
Cosi nella prima lettera, che è di mano del Machiavelli.
A' di ventisei di giugno, avanti l'ora di vespro, giungono a Ur-
bino: il misterioso duca li fa incontrare da messer Agapito
Gerardini da Amelia, segretario suo, e da un messer Fran-
cesco, cameriere; avrebbe voluto fossero entrati di notte; li fa
alloggiare al vescovo Arrivabene in vescovado ; dove non sono
mandati a cercare prima che la seconda ora della notte non sia.
Vanno al palagio dove abita il Borgia con pochi de' suoi: la porta
n'è serrata e guardata con attenzione: tutto è cautela, tutto
è segreto. Intromessi lo trovano solo: sono accolti con cortesia,
ma con. modi spicci e di una franchezza nuova. Lamenta il
duca Cesare che non gli abbinino osservato i patti della con-
dotta; ei vuole Firenze o amica o nemica; ma vuol prima
sapere con chi à a trattare ; .poi, che securtà gli è data della
fede.
— « Questo governo vostro, e' dice loro, non mi piace e
non mi posso fidare di lui, bisogna lo mutiate, e mi facciate
cauto dell'osservanzia di quello mi promettessi: altrimenti voi
intenderete presto presto che io non voglio vivere a questo
modo: e se non mi vorrete amico, mi proverete inimico ». —
Le risposte del vescovo a questo proposito non potevano
essere soddisfacenti; e il duca non voleva dar sentore d'alcun
buon animo verso la città, finché questa non s'acconciasse a
suo modo.
^ Maciiiatbllz, Del modo di trattare i popoli della Val di Chiana ribellati.
* V. Legazione del Soderini al Valentino! Lettera 3.
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SKCONDO] IL MACHIAVELLI TORSA A FIRESZE: 289
— « Non aspettate voi che io cominci a farvi benefìzio,
perchè non solo non lo avete meritato, ma lo avete demeri-
tato: egli è ben vero che Vitellozzo è mio uomo; ma io vi
giuro che del trattato di Arezzo non seppi mai nulla. Non
sono stato già male contento di cosa aviate perduta, anzi ne
ò auto piacere, e cosi arò, se seguitarà più avanti ». — E
quando il vescovo domandava che cagione gli avesse dato il
popolo fiorentino, che i condottieri di lui l'avessero ad offen-
dere in quel modo: — « Vitellozzo lo fa per vendicarsi, disse,
e altre mia genti non si sono mescolate: anzi delle vostre terre
che mi si sono volute dare, io non le.ò accettate; ma risolvetevi
presto, perchè qui non posso io tenere il mio esercito, sondo
questo luogo di montagna, che troppo sarebbe danneggiato, e
tra voi e me non à da esser mezzo ; o bisogna mi siate amici
0 nimici >. ^ —
Il duca Cesare avea mostro a chiare note che sapeva quale
e quanta fosse la debolezza di Firenze; e come per le male
provvisioni e le disunioni del governo, Vitellozzo solo sarebbe
bastato a ridurla alle strette estreme: che sarebbe stato poi
s'egli avesse aggiunto le sue proprie alle forze di quello? Ma
«egli non volea di quel d'altri », soggiungeva; e poi, guardando
bene in volto ai due personaggi che aveva davanti, lasciava
scivolare una frase: - « io non voglio di quel di persona, io
non son qui per tiranneggiare, ma per spegnere e' tiranni ». ^
Quella frase non cadeva nel vuoto. I due fiorentini stati
con lui lunga pezza, si congedai:ono. Il giorno appresso furon
visitati da Giulio e da Paolo Orsini: del Signore non aveano
avuto chiamata per insino al tramonto e si maravigliavano.
1 visitatori frattanto colle loro spavalderie pretenziose e con
minacce contro Firenze avevano provocato inconsultamente i
due mandatari, eh' ebbero a risponder loro gagliardamente e a
ritener per fermo che le disposizioni più ostili contro la loro
repubblica erano in que' condottieri. A tre ore di notte tornano
a veder il duca, e si ripetono gli stessi argomenti ; se non che,
quegli, sempre più facendo pressa di qualche conclusione, si
decide che il Machiavelli torni subito subito a Firenze con
quanta prestezza può, per far intendere a voce il progresso
di que* trattati.
Niccolò era stato presente a ogni cosa: due volte avea ve-
1 Machiayblli, loc. cit., Lett. 7.
* Id., ibidem.
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«30 CAPO SECONDO. [l
duto il Valentino ; e gli era tosto sembrato « molto splendido
e magnifico, e nelle armi tanto animoso, che non è si gran
cosa che non li paia piccola; e per gloria e per acquistare
stato mai si riposa, né conosce fatica o pericolo : giugne prima
in un luogo, che se ne possa intendere la partita donde si lieva;
fassi ben volere a' suoi soldati, à cappati e migliori uomini
d'Italia; le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte
con una perpetua fortuna ». ^
Ma all'ammirazione che Niccolò avea concepito di quella
tempra d'uomo e di quella potenza, non eran molti che con-
sentissero. La plebe fiorentina soprattutti lo detestava. Già
dapprima aveva chiamato cattivo cittadino chi dicesse non po-
tersi ovviare alla necessità di trattare con esso; « non haue-
uano temuto il re di Francia con trenta mila persone; perchè
temere pochi scalzi con un bastardo schiericato figliuol di un
prete? » *
Questa era ampollosità di villanie da parte del popolo;
da parte del governo poi « tutto si fa per differire il male più
che si può, e preparandosi, usare il benefizio di quel tempo
più ». 8 Ogni lettera del vescovo Sederini pare che soprag-
giunga più impacciante: « qua è gran segreto, grande ordine e
gran celerità, e le forze, quali si è detto altra volta ». -* Cosi
scriv'egli e se prima che il Machiavelli partisse, aveva pre-
gato « che per carità le Signorie gli mandino un compagno,
ch'egli non è per potere, né per volere solo un tal carico »
partito Niccolò, non vuol parlare di nulla: gli diano licenza
in ogni evento: « a questi trattati saranno buoni istrumenti
più atti che non son io, massime solo ». ^ Teme che ogni let-
tera possa essere intercetta, teme per la sua sicurezza, per la
sua vita quasi; e non appena gli si concede, parte con cele-
rità e sospetto, come chi sa d'aver tenuto un uomo terribile
indegnamente a bada con parole.
Per buona sorte, il timore che gli Spagnuoli trovassero
fondamento alla loro prepotenza in Italia nelle forze accre-
> Machiatblli, Ibidem. Il Baldi, Vita di Quidubaldo da Montefeltro, 1. 1, pag. 216,
descrive le miliaie del Valentino vestite con casacche, addogate di vermiglio e giallo, colori
della saa divisa. Avevano cintura fatta a scaglie di serpenti, variate di colorì e d'oro, imi-
tanti ridra, dalle cui bocche venivano formate le fibbie, le quali pareva che mordendo
stringessero i foderi degli stocchi omatissimi, coi pugnali e l'else dorate.
« Parenti, Storia ms.
s Legai, cit., Lett. 10.
* Legaz. cit., Lett. 15.
» Lega*, cit., Lett. 7, 11, 18, 13, 21.
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8BC01ID0] UIMBAULT E VITELLOZZO. 831
sciute ad un papa e ad un figliuolo di papa ch'erano pur essi
spagnuoli, stimolò gli aiuti di Francia, che questa volta ven-
nero poderosi e non tardi. Duecento lance sotto il comando del
capitano Imbault furono mandate subito da Milano, poscia altre
duecento col signor di Lancres. Il re da Grenoble sta per ve-
nire ad Asti ; offre intanto due mila Svizzeri : sostengansi i Fio-
rentini solo per otto giorni, poi provvederà egli a tutto. E i Fran-
cesi davvero accorrono; son già a Montevarchi, e Vitellozzo
comincia a pensare al partito da prendere quando il Valen-
tino aveva già preso il suo.
Presentandosi in Asti al re Luigi, egli trova presso di
lui gli oratori di Venezia, il duca di Mantova, quello di
Urbino, quel di Ferrara, Paolo Orsini, andatovi ad accusare
le tristi arti de' Borgia, portandovi la parola pe' Baglioni, pe"
Vitelli, pel Petrucci, scaltro signore di Siena. Il Valentino
adocchia i nemici e studia la via di perderli. Cede al re;
sconfessa ogni partecipazione air impresa del Vitelli in Val di
Chiana; ricorre ad estremo rifugio col tentare la fedeltà delle
lance francesi, e appicca trattati col capitano Imbault, per
metterlo a certe condizioni in Arezzo. Tradimento, gridano i
Fiorentini: pari l'Imbault al Beaumont: un garbuglio questo
come quello della restituzione di Pisa: i Francesi li truffano.
Ma r Imbault non piega a gridori e seguita le capitolazioni.
In Firenze era per questo un subbuglio, una irritazione
d'animi indicibile. Ce ne rendono adequata testimonianza le
storie del Pitti e alcuni appunti inseriti poi da Niccolò Machia-
velli ne' suoi Discorsi. Questi due testimoni ci rappresentano
precisamente le due correnti opposte; l'uno non vede nel-
r Imbault che « malvagi e avari portamenti, » ^ mancanza di
rispetto al re, di fede alla città, perdizione d'ogni cosa. L'altro,
che osservammo già nelle trattative di Pisa dar ragione al
Beaumont, tiene pel capitano francese anche in questa oc-
casione. I Fiorentini ne sanno poco, sembra secondo il Machia-
velli dicesse l'Imbault, « e seguitò da sé le pratiche dell'ac-
cordo, senza partecipazione de' commissari ; tanto ch'e' lo con-
chiuse a suo modo, e sotto quello con le sue genti se ne entrò
in Arezzo, facendo intendere a' Fiorentini, come egli erano
matti, e non s'intendevano delle cose del mondo: che se vo-
levano Arezzo, lo facessino intendere al re, il quale lo poteva
* Pitti, Storia di Firenze, lib. i, pag. 84.
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232 CAPO SECONDO, [libbo
dar loro molto meglio, avendo le sue genti in quella città che
fuori ». ^
La lettera imperiosa e severa che i Fiorentini ottennero
re Luigi scrivesse all'Imbault e al Lancres, tramandataci dal
Pitti, ci è argomento a credere che le diffidenze de' sospet-
tosi non fossero inutili, e forse non vane. Ma Niccolò ad ogni
modo esagera quando afferma che « se Beaumont fosse stato
simile a Imbault si sarebbe avuto Pisa come Arezzo ». Egli
vuol senza dubbio dare a se quella ragione che altri poteva
ne' due casi diversi egualmente avergli rifiutato. Però che i
Fiorentini in fondo sentivano che, essendo politicamente isolati
da tutti gli altri stati d' Italia, la sola alleanza francese avrebbe
potuto bensì procurar loro il racquisto delle terre ribellate e
mantenerli in credito; ma che se i Francesi avessero avuto
nelle mani loro quelle terre, si sarebbero sentiti non più alleati
ma padroni di Firenze e l'avrebbero non più accarezzata, ma
spenta; però quelli non vollero ne che allora il Beaumont,
di cui si fidavano, entrasse in Pisa per suo trattato, né che
ora egualmente occupasse Arezzo l' Imbault, di cui diffida-
vano.
Pertanto la condanna amara che Niccolò fa della qualità
dei partiti che in questi tempi prendeva la sua città, ci rivela
più che altro l'inquietezza dell'animo di lui, irritato non meno
dall'aspetto de' danni che sovrastavano alla patria, che dal sen-
timento della fiacchezza di lei e del dispregio in che era avuta
da tutti. Gli pareva che lo sfacelo preparato da cause tanto
antiche e profonde si potesse ancora impedire per prudenza
d'uomini; che la debolezza delle forze si potesse correggere
con ardimento di propositi. Ascolta d'ogni parte biasimare la
costituzione fiorentina ; ma quei biasimi, quantunque veri, vengon
tutti da male intenzionati, ai quali gli cuoce non potere opporre
un fatto, che non sia a vergogna del popolo. Ascolta da ogni
parte spavalderie minacciose contro Firenze, e vorrebbe che
la città debole non fosse meticolosa, e quello che è necessitata
fare, mostrasse farlo di buona voglia e spontanea; e quello che
1 Machiavelli, Diteorsi, lib. i, cap. xxxviii. — Veggati la Lettera de' SS luglio i502
ad Antonio Giacomini e colleghi commissari in campo contro gli Aretini, negli Scritti ine-»
diti di N. M. pubblicati dal Canestrini, pag. 14, in cui si contengono assai buoni ali-
menti contro la capitolazione dell* Imbault ; e nel Diario della ribellione d' Arezzo di ser
Francesco Pezzati la strana condotta del capitano francese, convitato dagli Aretini: «e
dopo desinare se fece un bel ballo con molta gioventù » {Arch. stor. it., 1. 1, pag. 219). E veg'
gasi ivi ancora la sostanza del bando che V Imbault a* di 31 di luglio fece pubblicare per
la città contro i Fiorentini.
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secondo] / FRArfCESI IN AREZZO. 233
dee perdere, se lo lasciasse tórre piuttosto colle forze che colla
paura delle forze. Così gli pesano sul cuore gl'indugi alla ra-
tifica dell'accordo col re di Francia, quando vuol passare in
Italia contro lo Sforza; ^ e le lungaggini opposte al passaggio
del Valentino, quando domanda procedere verso Piombino; *
le mézze misure co' faziosi di Pistoia, i segni della disunione
civile ostentati anche da fedeli della repubblica e rinfacciatigli
dagli stranieri; 3 la diffidenza mostrata all'Imbault soperchia-
tore; la bassezza con cui lo vezzeggiavano anche dopo averlo
accusato al re; ^ le misure inadequate prese per riconciliare e
punire le racquistate terre della Val di Chiana.
Infatti ai 29 di luglio Vitellozzo, Gian Paolo Baglioni, tutti
i loro uomini d'arme e le fanterie sgombrano. — « Si dice che
voliano vire centra el Duca Valentino; che non nascesse qualche
male, perchè à grande esercito seco ». — Così il Pezzati, testi-
monio di veduta, che fu tra gli ostaggi mandati poi dal Gia-
comini in Firenze.
I commissari fiorentini inviati a ripigliare il possesso delle
terre e assicurarsi della loro fede sono tenuti in rispetto dalla
presenza de' Francesi; la Signoria non sa risolversi circa al
modo da tenere con Arezzo; a Pier Sederini commette mezze
misure; e benché ad Antonio Giacomini ed Alamanno Salviati
i Dieci scrivano:^ « nonostante che noi fussimo volti a farci
^ Machiavelli, Discorsi, lib. ii, cap. xiii.
* Machiavelli, Discorsi, lib. i, cap. xxxviii.
* Machiavelli, Discorsif lib. in, cap. xxvii : « Nel 1501, quando si perde Arezzo e tutto
Val di Tevere e Val di Chiana, occupatoci dai Vitelli e dal duca Valentino, venne un mon-
signor di Lant, mandato dal re di Francia a fare restituire ai Fiorentini tutte quelle terre
perdute; e trovando Lant in ogni castello uomini che, nel visitarlo, dicevano ch'erano
della parte di Marzocco, biasimò assai questa divisione, dicendo che se in Francia uno
di quelli sudditi del re dicesse d'essere^ della parte del re, sarebbe gastigato, perchè tal
voce non segnificherebbe altro se non che in quella terra fusse gente nimica del re ; e quel
re vuole che le terre tutte siano sue amiche, unite e senza parte. Ma tutti questi modi e
queste opinioni diverse dalla verità, nascono dalla debolezza di chi sono signori; i quali,
veggendo di non poter tenere gli stati con forza e con virtù, si voltano a simili industrie;
le quali qualche volta nei tempi quieti giovano qualche cosa, ma come e' vengono l'avver-
sità ed i tempi ftfrti, le mostrano la fallacia loro ». Questo monsignore di Lant, che ci
danno le edizioni italiane dei Discorsi, il quale nelle traduzioni francesi del Buchon e del
Louandre è chiamato Laon, non deve essere altri che monseigneur de Lanques, a cui nel
settembre del 150S veniva inviato lo stesso Niccolò Machiavelli.
^ Lettera ad Ani. Giacomini^ addi 9 agosto : « E se Imbalt si è doluto che a noi e a
il re è snto scritto sinistramente di lui, non nasce questo se non da dubitarne, per parergli
essersi portato un poco fuora del dovere. Tanto è che noi desideriamo segua nello intrat-
tenerlo, e in ogni altra cosa come ài fatto sempre », ed. Canestrini, op. cit., pag. 22 e seg.
E vedi anche i frammenti delle altre lettere di lui recati dal Pitti, Vita d'Anton Giaco-
mini {Arch. stor. it., t. iv, parte 2«, pag. 156-164).
■ I Dieci ad Ant. Giacomini e Alamanno Salviati, commissari in Arezzo, addi 3 ot-
tobre 1502. Registri de' Dieci, n. 100, pag. 3, edita dal Canestrini, 1. e, pag. 37.
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234 CAPO SECONDO. [i.
opportuni reraedii, i ricordi vostri ci anno più rescaldati », a
partiti forti non si decidono mai.
E Niccolò Machiavelli, a cui palpita il cuore nel vedere
come questi due uomini basterebbero sopra tutti a dare virtuoso
assetto alle cose, solo che fossero secondati con energia, li esalta
con ardore « per la buona mente e la grande affezione anno
alla patria »;^ scrive loro con gioia l'intenzione dei Dieci, che
è : « pigliarci drente tutti quelli espedienti che ci sono e di qua-
lunque sorte, non perdonando a cosa alcuna né avendo alcuno
respetto ad altri per salvare noi >; ma ben poco vede segui-
tare di tali propositi. Un anno appresso Niccolò scriveva, com-
mentando Livio, ^ alcune considerazioni, del modo di trattare
i popoli della Val di Chiana.ribellati, e in quelle ragguagliava
il modo con cui i Romani eransi condotti co' ribelli loro Lanu-
vini, Aricini, Nomentani, Tusculani, Pedani, Veliterni e Anziati,
e quello che aveva tenuto Firenze con Cortona, Castiglione,
Borgo a San Sepolcro, Foiano e Arezzo. « I Romani pensarono
una volta che i popoli ribellati si debbano o beneficare o spe-
gnere, e che ogni altra via sia pericolosissima. A me non pare
che voi agli Aretini abbiate fatto nissuna di queste cose; perchè
e' non si chiama benefizio ogni di farli venire a Firenze, avere
tolti loro gli onori, vendere loro le possessioni, sparlarne pub-
blicamente, avere tenuti loro soldati in casa. Non si chiama
assicurarsene lasciare le mura in piedi, lasciarvene abitare i
cinque sesti di loro, non dare loro compagnia d'abitatori che
li tengano sotto, e non si governare in modo con loro, che
negli impedimenti e guerre che vi fussero fatte voi non avessi
a tenere più spesa in Arezzo, che all'incontro di quello ne-
mico che vi assaltasse ».
Questo discorso del Machiavelli trova riscontro in altre
considerazioni ch'egli svolse identicamente parecchi anni dopo,
commentando lo stesso passo di Livio ; né forse a questo scritto
di lui sarebbe da attribuire particolare importanza, se non fosse
ch'esso dà fondamento ad alcune congetture relative tanto alla
condizione interna della sua mente, quanto alla relazione estrin-
seca e all'autorità di lui cogli uomini di governo.
E indubitato che di tutti gli scritti politici di Niccolò
questo è il primo che abbia un carattere retrospettivo; è anche
il primo in cui vi s'invochi la storia a maestra delle azioni umane,
1 Màcbiavblli, loc. cit.
• Tito Livio, Historiar., lib. viti, cap. 13, 14.
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BBOOMSO] MODO DI TRATTARE I RIBELLI DI VAL DI CHIANA. 235
e si creda al suo magistero nella vita morale non altrimenti
di quel che nella vita fisica all'esperienza, perchè: « il mondo
fu sempre ad un modo abitato da uomini che anno avuto sempre
le medesime passioni; e sempre fu chi serve e chi comanda;
e chi serve malvolentieri e chi serve volentieri, e chi si ri-
bella ed è ripreso >. — V*è pertanto il sentore d'un metodo
e d'un indirizzo filosofico determinato, v'è l'accenno ad altri
studi, ad altre occupazioni che non sono nel chiuso della vita
cancelleresca; v'è la coscienza della reputazione acquisita, per
cui il segretario dei Dieci sa di poter parlare come cittadino
autorevole, di poter riprendere non vanamente le deliberazioni
della città; e questo ei fa tanto più coraggiosamente quanto ei
sa d'aver due maniere di protezioni che lo assicurano. Poiché,
argomentando coir interpretazione di un classico, col parallelo
della politica antica, sa di trovar fede presso i classicisti e i
teorici del tempo suo; e sostenendo que' partiti che sarebbero stati
d'uomini come il Salviati e il Giacomini,^ sa che una potente
fazione e gran parte del popolo consenton con lui. S'egli avesse
potuto innestare insieme il Giacomini, uomo popolarissimo e
tutto della repubblica, con messer Alamanno, fra i nobili un
de' più grandi per animo, de' più capaci dello stato, de' più pos-
sibili ad esser tratto virtuosamente dentro a quell'ordine di cose,
avrebbe per certo ottenuto alla città spossata il rinforzo dei
più validi consigli, delle opere le più calde ed affezionate.
Non gli riusci. Il Salviati era troppo disdegnoso del po-
polo; il Giacomini di questo aveva più la fiducia che l'amore;
l'idolo della moltitudine, quello a cui ogni specie d'onori e
d'incarichi incessantemente si conferivano, era Pier Sederini.
> n Pitti, Vita d'AnUmio Qiacomini, pag. 105, scrive : « Intanto, avendo Antonio man-
dato capitani e fanti ne* luoghi ricevuti, andò, chiamato, a consultare con Piero Soderini
in Areno; e considerato il tutto, avvisa li Dieci — stare in maniera da perderle pia fa-
cUmente di nuovo che la prima volta, non le curando altrimenti; né dice questo per la
•ecurtà sua, che tornare se ne vuole ad ogni modo ; e più caro li sarà avere grata licenzia
da loro Signorie — li quali, partendosi li Franzesi d'Arezzo, ve lo elessero (essendosi Luca
degli Albizi amalato) in compagnia di Piero Soderini, commissario; coppia degna vera-
mente di medicare cotale infermità; essendosi congiunta insieme, oltre alla prudenza di
ciascuno, la clemenza e la severità; con le quali due virtù risanarono assai piaghe di
quel corpo discretamente ». Cosi il Pitti, il quale partigiano del Soderini, in quel congiun-
gimento magnificato, intendeva idealeggiar lui nella clemenza. Niccolò Machiavelli andò
per commissione de' Dieci al Giacomini il 15 d*agosto e ne tornò prima de' di 20. Il Gia-
comini, in una sua lettera, recata dal Pitti, loc. cit.,'pag. 163, in cui risponde ai Dieci che
Pavevano dimandato quanta gente bisognava ad entrare in Arezzo : « di questo, scrive,
saranno ragguagliati da Niccolò Machiavelli : e se se ne andranno in considerazione di
ragionare del provvedimento che bisogna e gli uomini, possono loro Signorie fare conto,
te li vorranno adoperare, averli a ricercare fuori di qua : che ' buona parte de' cavalli se
xi*ò andata ».
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236 CAPO SECONDO. [libbo
Esso 'de' Dieci, esso in Lombardia alla Chaumont, esso in Asti
al re ; accetto a questo, grato al papa, amico de' Golonnesi, che
voleva dir nemico agli Orsini e a' Medici; amatore del vivere
libero e popolare, congiunto nello stesso tempo colla nobiltà
de' Malespini, marchesi di Fosdinovo, per parte della bellis-
sima moglie sua, Argentina; non potea accogliere più qualità
che lo facessero spettabile, né di queste esser più riguardato. ^
Ma il suo principal merito veramente consisteva nell'es-
sere il solo che, adoperandosi nella cosa pubblica, lo facesse
senza dispetto delle istituzioni novelle, senza segreto desiderio
che mutassero, senza sforzar la legge, senza malcontentar le
persone. E un altro gran merito di lui, quando i disdegnosi si
astenevano dall'accettare incarichi dalla repubblica (e quelli
che li accettavano di gran cuore, come i Pier Corsini, i Gu-
glielmo de' Pazzi, i Luigi della Stufa, i Gioacchino Guasconi *
eran persone da poco) consisteva nel valer lui e per intelli-
genza e per pratica delle cose, assai più di tutti questi, e nel
non rifiutarsi mai ad alcun officio.
Quando pertanto venne il tempo che la furia democratica
ebbe stancato e impaurito la città, che le rimostranze dei po-
tenti e il dissesto interno persuasero Firenze a migliorare la
sua costituzione politica (e la non voleva né far senato, per
dispetto de' nobili, né toccare il Consiglio grande, caro al po-
polo); quando la città pensò che riformare la condizione del
gonfalonierato, era il minor pericolo, molto favore a questo
nuovo ordine venne dall'avere i popolani grato ed in serbo il
nome del Soderini.
Si deliberò frattanto se per tre, per cinque o per più anni,
0 se a vita dovesse crearsi il gonfaloniere. A questi partiti fa-
cevano buona accoglienza i supremi e gl'infimi del popolo:
questi perché a quella dignità non credevano poter mai sa-
lire; quelli perché alla probabilità che pareva loro avere, sor-
rideva l'idea d'un potere lungo e grande. Agli altri pareva
» V. la Vita dì Pier Soderini delPabate Silvano Razzi, Padova, 1737. NoU* archivio
Soderini (tomo 100) sono due lunghi frammenti della Vita di Pier Soderini gonfaloniere
perpetuo, coll'annotazione seguente : « Questa Viu è del cav. Francesco Settimani, fio-
rentino ». Tuttavia, interpellato a nostra isUnza il signor prof. Benedetti, che attende a
scrivere la vita del cav. Settimani, venimmo assicuraci che questi non compose di nuovo
alcuna vita del Soderini, ma bensi corresse e allargò quella del Haszi, come risulta da un
carteggio del Settimani stesso col Marini, bibliotecario della Magliabecchiana. — In questa
occasione rendiamo grazie al signor cav. Giuseppe Garroni, notaio, che con gentilezsa
squisita ci permise studiare le carte dell'archivio Soderini, di cui egli è depositario.
* Guicciardini, Storia fiorentina, cap. xxv, pag. 274.
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•BCONDoJ //. GONFALOSIERK A VITA, 237
prevedibile che quando si fosse creato un gonfaloniere a modo
del duca de' Veneziani, si sarebbe col tempo dovuto necessaria-
mente introdurre anche un consiglio alto a modo dei Pregàdi.
Far il gonfaloniere a vita piaceva soprattutto ai frateschi, perchè
precisamente un magistrato a vita e di quella natura era stato
fra i vagheggiamenti di frate Girolamo. Finalmente ad Ala-
manno Salviati riuscì indurre i Signori e i Collegi a proporre
la provvisione del gonfalonierato perpetuo. Nel consiglio degli
Ottanta le fece grande opposizione Bernardo Rucellai « perch'e'
vedeva volgersi il favore a Piero Sederini > ; ^ e ciò malgrado,
principalmente per l'ardore messovi da Alamanno, da Alessandro
Acciainoli, da Niccolò Morelli, proposto per la seconda volta, il
progetto, venne approvato. Restava il Consiglio Grande; e anche
in questo, al secondo giorno gloriosamente la provvisione fu
vinta. L'avean difesa Piero Guicciardini, Jacopo Salviati; so-
stenuta strenuamente Piero Ardinghelli, ch'era de' dodici Bo-
nuomini, e coglieva quest'occasione per aprire la strada all'am-
bizione sua. Tre quarti della gloria di questo faito spettarono
ad Alamanno Salviati, ^ dice il Guicciardini; e il Pitti, che si fa
eco dei sospetti popolari annota come gli autori della provvi-
sione, « ristrettisi insieme, procacciavano con mezzi, con sette, con
intelligenze, che tale elezione caggia in uno di loro »; ^ e quando
parve loro avere operato a bastanza, si venne all'elezione di
quello nel Consiglio grande. Il Parenti, più equanime storico,
descrive minutamente e senza malignità quali furono quelle
pratiche e quegli indugi. La nuova Signoria entrata in settembre,
voleva aspettare i gonfalonieri nuovi che entravano a' dì otto ;
voleva anche aspettare i nuovi Dodici, che entravano ai ven-
ticinque; poi dette ordini si facessero orazioni in molti luoghi
sacri ; si recasse in città l'effigie di Santa Maria Impruneta con
processione solenne: « et comandossi ancora per il contado a
tutti e' castelli che ne facessino processioni et pregassino Idio
ci concedesse tal nuovo gonfaloniere che prima reggessi la città
ad onore suo; di puoi ad utilità et agumento di tutti noi ». *
Finalmente a' dì ventidue si stabili che l'elezione avesse
luogo; era giorno solenne; duemila elettori si trovarono ra-
dunati nella sala del Gran Consiglio. Il popolo invanito vedeva
* Guicciardini, Storia fiorentina, cap. xxv, pag. 282.
* Guicciardini, Storia fiorentina, cap. xxvi.
' Pitti, Storia di Firenze, libro i, pag. 86.
* Parenti, Istoria mss., e. 59, (settembre 1502).
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888 CAPO SECONDO. [libbo
pender da lui i grandi speranzosi: questi si sentivano presso o
al supremo seggio o a una fatale caduta: quei di loro che non
partecipavano a questa incertezza, i noti medicei, adocchiavano
già dove cercare alleanze per combattere il prossimo eletto.
S'incominciarono a trarre le panche a sorte, i singoli se-
duti a votare per nome. Dopo sei od otto panche parve che di
nomi ne fossero usciti già troppi e non si voleva accamparne
altri; circa duecento cittadini andavano a partito. Fra que'nomi
n'era qualcuno vile e ignobile, messo innanzi dai nemici della
nuova istituzione. ^ Finalmente i voti parvero concentrarsi sopra
tre cittadini : Antonio Malegonnelle, Gioacchino Guasconi, Pier
Sederini.
Su questi tre nomi s'era fatto un gran discorrere, un grande
intendersi ne' giorni precedenti. Pel Guasconi erano i frateschi,
che gli riconoscevano sincerità e « parzialità » ; * s'erano radu-
nati in trecento entro san Marco la sera innanzi per stabilire di
dar favore a lui. Nel Malegonnelle si raccoglievano quelli che
dal gonfaloniere a vita speravano uscisse il senato, gli statuali;
i democratici eran tutti pel Sederini.
Alla seconda votazione i primi due nomi scaddero: alla
terza il Soderini si trovò solo. Cosi comprese ciascuno ch'egli
era l'eletto, e il giubilo de' popolani fu immenso; ^ se n'accon-
tentarono i frateschi; gli statuali e i palleschi n'uscirono con
un corruccio infinito. Si mandò subito questo annunzio a Piero,
che trovavasi commissario ad Arezzo ; al fratello vescovo che
era a Volterra; e Niccolò Machiavelli portò la voce della con-
tentezza pubblica al nuovo potente. Certo che il segretario non
godè nell'animo suo di quella scelta: non per quella sarebbe
cresciuta robusta e dignitosa la libertà fiorentina; non per quella
> V. il verbale di questa elezione, pubblicato in appendice alla Vita di Pier Sodsr ini
di Silvano Razzi.
* Parenti, Storia ms., e. 59 1.
» Parenti, Istoria mas., e. CO tergo. — Nardi, Storia di Firenze. — Razzi, 1. e. —
Pitti, 1. c. — Ammirato, 1. c. — n Nardi reca a questo proposito una lode di Marcello
Virgilio, del quale si desume quanto merito nelPandamento degli affari spettava alla, pru-
dente condotta della Cancelleria. « Non voglio mancare di riducere in considerasione alle
menti de' buoni e grati uomini la somma lode che si conviene meritamente attribuire a
messer Marcello Vii^ilio, primo cancelliere e segretario de* nostri Signori, per la prudenza,
diligenza e fede continovamente usata da lui nel conservare nel petto suo le cose occor-
renti di mano in mano nel governo della repubblica, e conferite successivamente ai magi-
strati che nuovamente succedevano in officio secondo gli ordini della città. Perciò che quello
intervallo che era dalPnno magistrato all'altro, era non altrimenti fatto che uno interregno,
e vacanza de'magistrati nella repubblica, e quasi una certa qualità di mutazione di go-
verno. Si che nel petto di quest'uomo restava continuato, in quel modo che meglio si po-
teva, il filo perpetuo e cobtinuo del maneggio delle cose della repubblica che alla giornata
seguiva » {Istorie di Firenxe, lib. xv).
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secondo] elezione DI PIERO SODERINI. 23
sarebbe risanata la grande piaga dello stato; altri aveva egli
in mira, d'altri nutriva fiducia, ma il suo uomo naufragò din-
nanzi al voto pubblico ; e Niccolò ricopri il nome di lui con ri-
spetto, e si affidò a rivelarlo appena quando la città ebbe po-
tuto levar saggio dell'eletto suo. Pertanto allora scrivendo ad
Anton Giacomini e ad Alamanno Salviati commissari a nome
della Signoria notifica loro che : « al Roano, ed al re era som-
mamente piaciuta la elezione di Piero Soderini, facendone segni
evidentissimi d'allegrezza, dicendo che si è deputato uno uomo
che teme Iddio, savio e amatore della sua patria >. * Questo era
il giudizio dei Francesi ; ma quando egli è presso al Valentino,
a colui che dopo il re aveva più insistito per la riforma dello
Stato, non fa motto dell'eletto e solo accenna che quel nuovo
ordine « à dato tanta riputazione alla città che non è uomo che
lo credesse ».*
Al Valentino del resto tutto faceva bel gioco; l'opportu-
nità sua sapeva egli vederla per tutto; i Soderini forse erano
miglior elemento per lui che per Firenze; non foss'altro erano
avversi agli Orsini, suoi nemici, e in quel momento valevano
meglio che i Medici. Questi, usciti d'Arezzo con Vitellozzo, affia-
tati co' vicari impauriti della sorte minacciata ai Bentivoglio,
toccata a' Manfredi, allo Sforza, ai Varano, ai Feltreschi, po-
tevano forse mettere le loro ricchezze a sostegno di quella ri-
balda minutaglia di condottieri, di quella dieta di falliti, come
li chiamò sarcasticamente il Machiavelli ; ^ che s'adunavano a
congiura in que' giorni nel castelletto della Magione sul Tra-
simeno.
Quivi, tra la vita e la morte, in giorno di domenica si
conducevano il cardinal Orsino, il duca di Gravina; Paolo e
Franciotto Orsini, Ermete Bentivoglio con un altr'uomo che
avea pieno mandato dal padre suo, Ottaviano Fregoso per Guido
da Montefeltro suo zio, messer Anton da Venafro, segretario
fldatissimo, anch'egli con pieni poteri, per Pandolfo Petrucci;
, Oliverotto da Fermo, Giovan Paolo Baglioni e Vitellozzo, che
< sifilitico e in malo stato > vi s'era fatto portare nel letto.
Goladdentro ordinarono lega disperata, giurando aiutarsi tutti
a difesa di tutti, « come veri e buoni fratelli ». Ma intanto
ch'essi afiFaccendavansi a scrivere capitoli ed obbligar la parola
1 Machiavelli, Scritti inediti. Ribellione della Val di Chiana e di Arezzo, pag. 39, 40.
* Machiavelli, Legazione al Valentino, Lett. 10, edi2. Passerini-Milanesi, pag. 85.
* Machiavelli, Legazione al Valentino, Lett. 5.
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£40 CAPO SECONDO. [libro
in carta, fissando pene in danaro, minacciando chiamar tradi-
tore chi non osservasse la fede, proponendo far guerra ^ « co-
muni concordia et deliberatione », queir istesso che aveva
trovato modo di unirli insieme nella disperazione, attendeva
sottilmente a sconcertarli negli animi e separarli ne' partiti.
Maravigliosa apparisce la perfidia del Borgia, esaminando gli
scaltrimenti minuti ond'ei conduce la trista sua tela; che per
ogni mossa egli à l'uomo acconcio; ed ogni mossa è per lui
uh passo innanzi, certo, saldo, dissimulato. Per disturbare le
conclusioni degli adunati alla Magione, intanto che raccoglie
le forze sue, intavola trattati. E chi adocchia intermedio? Paolo
Orsini, signore di Lamentana, che era il più vecchio, il suo-
cero di Vitellozzo, « di levatura più facile >, come lo dice il
Baldi, ^ cioè credulo secondo l'utilità, incerto a' partiti ardui,
vanaglorioso, avaro. E, oltre a sue lettere, chi gli spaccia par-
ticolarmente ? un altro Orsini, un bastardo d'Orso, conte di
Nola, che si faceva chiamare il cavaliere Orsino, ed era fra
i gentiluomini del Borgia. ^ Cosi addormentava que' disperati,
^ V. Copia di Lettera di Giovan Paolo Baglioni et Pietro Paolo della Cortìia ad inesser
Vincenzio pi testa di Firenze, de' di xi d'ottobre Ì50S, pubblicata nella Leg-azionu xi delU)
Opere del M., ed. lior., 1875. pag. 04 e seg., in nota.
* B. Baldi, Vita e fatti di Guidubaldo Montefeltro duca d'Urbino^ t. u, 1. vii, p. 38.
s Di questo cavaliere Orsino non dà il nome il Grkgorovius, che Io cita una volta
come tale {Oeschichte der Stadt Rom, t. vii, pag. 462), e parla poi di Roberto VI e Vili
senza dar cenno del settimo, che è appunto questo. Nella Genealogia degli Orsini del Litt.v
(tav. XVI) egli è dato per figliuolo naturale del conte Orso e d'una donna detta Santa o
Paola da Nola. A' 2 di gennaio del 1499 era prigione a Firenze. Mori negli ultimi d'agosto
del 1504. Il ViLLARi (Dispacci d'Ant. Giustinian, voi. i, pag, 356-357) raccoglie e rico-
nosce quanto di vero e d'erroneo raccontano del cavaliere Orsino le cronache contempo-
ranee. Il Machiavelli tien parola di lui nelle lettere 6, 12, 16, Zi^ 36 di questa legazione
al Valentino (ediz. Passeriui-MilanesiJ. Noi Io trovammo indicato col suo vero nome nel
ms. urbinate 490 della Biblioteca Vaticana, in cui si contiene una Vita di Francesco Maria
della Rovere^ duca d' Urbino^ ignota al Colucci e al Lazzeri, che non ne fan parola nelle
Antichità picene; incognita al Baldi, al Leoni, all'Ugolini, al Dennistoun, a tutti gli storici
de' Montefeltro e del Piceno. Il ms. è del secolo decimosesto ed autografo, e, per le notizie
che dà relativamente a Guidubaldo di Montefeltro, di cui racconta le peripezie ne' primi
quattro libri, e per le interessantissimo particolarità relative ai moti de' condottieri e alla
catastrofe di Senigaglia, ci parve preziosissimo. È opera di persona che fu « a molte d'esse
cose prosente et manigiale » (Cod. cit., pag. 85), e però, deviando dall'argomento princi-
pale, vuol raccontarle. Le correzioni e postille fatte dalla stessa mano dello scrittore
provano che si à che fare con un ms. originale. Questo à in principio tre carte noA nu-
merate; la prima numerata reca il n. 56; la numerazione segue per pagine. A pag. 250 la
qualità della carta e la dimensione della scrittura cangiano. Termina il ms. a pag. 271-t
col prologo del libro ix, alle parole: «la prossima norma del vicino essempio ». Se aves-
simo a congetturare il nome dello scrittore dì questa Vita, ci parrebbe non improbabile af-
facciar quello di Federigo Veterani, bibliotecario de' duchi d' Urbino ; anzi tutto, perchè l'au-
tore debbo aver vissuto a' tempi di Federigo, di Guidubaldo da Montefeltro e di Francesco
Maria della Rovere, come del Veterani intervenne; poi, perchè, a pag. 33 del manoscritto,
quando in una digressione encomia il duca Federigo, le sue lodi sono soprattutto per lo splen-
dore del palazzo edificato e della biblioteca raccolta, di cui esalta i codici preziosi ; e anche
altra volta, quando il della Rovere conquista il castello di Grararolo, fa gran festa pel
ritrovamento d'un codice smarrito. L'autore pertanto ha gran passione pe' libri. E, aila
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secondo] a YVERSIONE DE' FIORENTINI PEI BORGIA, tiì
e frattanto, dopo •averli scoperti all'ira incostante e remota
dì Francia, ei gli aveva insegnati anche ali* inimicizia di Fi-
renze. E se anche questa non pareva sufficiente a disperderli,
una congiunzione d*odi e d'utilità sarebbe stata in quel momento
possibile e proficua. Pertanto il Borgia fece sentire a' Fioren-
tini che gli mandassero un oratore, col quale conferire e con-
cludere i termini d'una particolare alleanza. Ma parlare al
popolo di Firenze d'alleanza collo schiericato bastardo era guai;
era un pigliare di cozzo la santa memoria del Savonarola.
Questa volta di soprappiù, siccome supponevasi che la voglia
del Valentino e del pontefice fosse snidare i Francesi d' Italia,
era un ferire le simpatie francesi, che i Fiorentini non sape-
vano smettere. Pertanto quando s'incominciò a susurrare che
si praticava trattato col duca, il malumore del popolo si espresse
con segni gravi, anche contro a persone, use a godere rive-
renza e grazia della moltitudine.
Di notte furono dipinte forche e capestri all'uscio de' Se-
derini, de' Salviati e alla casa di Francesco d'Anton di Taddeo,
uscito gonfaloniere di giustizia, accetto mirabilmente alle turbe. ^
Frattanto il Valentino insisteva che gli si mandasse ambascia-
tore. Dopo i, soliti indugi, dopo mólto dibattito se gli s'avesse
pag. 141, in una digressione non meno inopportuna che pia intomo alle bestemmie de* sol-
dati e ai castiglìi che le si meritane, mostra non meno ignoranza della milizia che esage-
razione di sentimenta religioso. Quando assiste al discoprimento del cadavere del duca Fe-
derigo, fatto per volere dì Francesco Kuria « poi trentunoanni che fu tal corpo depositato »,
enuitiera gli' illustri che a quella scena assistevano: « Marco Antonio Colonna, Giuliano
de* Medici, Qaspar Pallavicino, Roberto di Bari. Cesare da Gonzaga, Baldasserra Castiglione»
e poi modestamente più discosto aggiunge : « Et Federico Veterani da Urbino che fu già uno
dilli tuoi seruitori e presente allo apprir del deposito, poi che anchor egli uide illeso il corpo
tuo, spinto dalla dolce memoria che di te teneua, et da quello amore che insieme cum gli
altri seruitori et sudditi affettuosamente el ti portaua, non senza tenerezza di lacryme, su-
bito proruppe nel susseguente epigramma, preponendo che. quantunque morto, come anchor
uiuo. parlasti a chi leggesse in questo modo», ecc. -r- L'umiltà con cui lo scrittore de-
signa il Veterani rappresentandolo non come bibliotecario ma come uno de' servitori dei
Montefeltro, non sarebbe giustificabile, se lo scrittore non sentisse che parla della persona
propria. E l'affetto di quelle sue parole dimostra ancora come quella servitù fosse piena
di fede. Cosi s'intende com' egli fosse ben consapevole de* fatti, come potesse averne confi-
dente notizia e da Guidubaldo e dall'uomo d'Urbino. Di quest'uomo d'Urbino, cosi indicato
nel nostro manoscritto si à sentore anche nella Lett. 48, legaz. xi del Machiavelli. Esso
era Ottaviano Fregoso. (Cf. Reposati, op. cit., t. i, pag. 346). — Aggiungeremo finalmente
che nulla ci sembra più naturale che attribuire agli ultimi anni della vita del Veterani
questa storia in cui non meno si parla dei Feltreschi che dei della Rovere, quando questi
nel suo Carmen super incli/lam progenietn Ferelranam (Bibl. Vat., cod. urb. 736, pag. 4)
aveva già rimpianto :
« sed historici nimium vatesque fuere
Ingrati historiam vel nulliym denique. Carmen
Edere dignati, cum sint ea gesta Marone
Dfgna, patavino Calamo, doctàque Minerva ».
> Pabbkti, Istorie mss., luglio, agosto e settembre 1902.
ToMMASiKi - MaehiavelU. 17
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242 CkPO SECONDO. [libeq
a mandare oratore o |io, si venne a scegliere una via di mezzo,
un mezzo termine. Si dispose di mandargli un uomo; quest'uomo
non fosse uno statuale, non un uomo di grande autorità; ma
tuttavia tale che il duca lo vedesse volentieri, che sapesse stargli
accortamente a fronte. Cosi il re di Francia non avrebbe rar
gione di pigliar ombra, e il duca di lamentarsi ; e fu così che
si mandò il Machiavelli.?
Era anche questa volta una condizione tutta particolare
di cose che permetteva a Niccolò d'esser chiamato a un oflScio
difficilissimo, e presso a persona, che, quando pur non si vo-
lesse confessare, si sentiva da tutti essere la j)iù temuta in
Italia. Il della Stufa e il Martelli scrivevano poco dopo a
Niccolò dalla Francia: « il mutare aria e vedere altri volti,
massime di cotesta qualità, suole assottigliare la mente ». *
Il Machiavelli a' di sette ottobre s'era posto a cavallo
con patenti e salvacondotto che lo chiamavano « nobilissimo cit-
tadino e secretano ». La repubblica timida, non era già che non
risguàrdasse la nobiltà della casata di Niccolò, ma pretendeva,
magnificandola, dare anche un poco a berne al Borgia. A Scar-
peria il segretario monta in poste, e arrivato frettolosamente
in Imola, subito cosi cavalchereccio . si presenta a Sua Eccel-
lenza^ dalla quale è amorevolmente accolto. Gli espone la cora-
missiorie; fa ampie proteste della devozione di Firenze verso la
Chiesa, dell'amicizia di lei pel re di Francia, di cui reputa gli
amici per suoi amicissimi e coùfedecati. Il duca si distende a
spiegargli come volendo lui tornare di Faenza a Roma, 'gli Or-
sini e i Vitelli gli furono addosso perch'ei tornasse per la via
di Firenze. Ei non voleva, , trattenutone anche per un breve
del papa che glielo vietava; « ma Vitellozzo piangendo gli si
gettò a' piedi a pregarlo facesse cotesta via, promettendogli non
farebbero al paese e alla' città violenza alcuna. Né volendo lui
condiscendere a questo, tanto con simili preghi vi si rimes-
sero, che lui cedette iti venire, ma con protesta che non si
violentasse il paese, e che de' Medici non si ragionasse ».^
E i commissari con cui ebbe a trattare sanno s'ei spese- mai
* Parenti, Istoria ms., settembre 1502. « A Valentino etiam s'era disputato prima
assai se se li mandava ambasciadore pubblico, et sendo dubia la consulta, finalmente si
concluse mandarvi Niccolò Machiavelli, uno dei nostri cancellieri del Palasse ». Oli stan-
ziamenti per le due commissioni d\ Niccolò al duca di Valentinese furono pubblicati dal
Passbbini, loc. cit., pag. 61. *
* Bibl. Naa., doc. M., busta in, n. 43.
* Machiavelli, Legazione al ^uca Valentino, Lett. 5/ edix. P.-M.
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«WOKDO] IL MACHIAVELLI IN IMOLA. . 243
parola pe' Medici; che anzi neppure li volle nel campo suo.
Quando segui la ribellione d'Arezzo fu senza sua intesa, benché
« l'avesse cara », sparando desse occasione ;ad accordo tra Fi-
renze e lui. Ma, conosciuta la voglia del rè, disposto a bene-
ficar la repubblica, aveva mandato uomini a Vitellozzo, a in-
timargli si ritirasse da Arezzo subito : « né contento di questo,
se ne andò verso Città di Castello con sue ^enti, e avrebbe
potuto torgli lo stato, perchè i primi uomini di quella tef ra gli
si venivano a ofiFrire ». Donde, diceva il duca, nacque il primo
sdegno di Vitellozzo; e colorando così le cose in modo acconcio,
« sfogava la mala contentezza sua contro i falliti della Ma-
gione, di cui a una a una riandava le ribellioni e Toffese ».
Ma i falliti della Magione avevano avuto un risveglio. Intanto
che co' loro capitoli pendevan sospesi, un fatto sopraggiunse
a scoterli. Urbino erasi .rivoltata. Ludovico Paltroni, un fedele
di Guidubaldo assai pratico nel Montefeltro, d'intesa con un
Paol uccio della Torricella e ' uri Giovanni della Petra e cbn
altri fabbri che lavoravano nella fortezza di San Leo, lasciata
aperta una porta col pretesto d'introdurre una trave, immi-
sero per quella gli amici dell'antico duca, e acquistarono la
fortezza. Ciò fatto, Tommaso Felici, detto dell'Emilia, rivoltò
facilmente la città. d'Urbino, affezionata ai miti e benefici suoi
duchi, credula che le schiere dei condottieri collegati piegas-
sero a quella volta. Il Valentino frattanto, raccolta sotto don.
Ramiro de Lorqua tutta la gente che aveva tra Fano .e Pe-
saro, della perdita d'Urbino non si mostrava gran fatto distur-
bato: — « L'esser io- stato cleriiénté, ^diceva *egli a Niccolò
che l'ascoltava attento per riscrivere ai Dieci proprio le parole
di lui, e avere stimato poco le cose mi à nociuto ; io presi, come
tu sai, in tre di quel ducato, e non torsi un pelo a nessuno,
da messer Dolce ^ e due altri in fuore, che avevano fatto contro
la Santità di nostro Signore : anzi, che è meglio, io aveva molti
di quei primi preposti ad uffìzi di quello stato, con un di questi
deputato sopra certa muraglia che io facevo fare nella rocca
di San Leo; e due di fa lui ordinò con certi contadini del
paese, sotto ombra di tirare alto una trave, certo trattato: talché
à forzato la rocca^ ed è perdutasi: chi dice che la grida Marco,
chi Vitelli, chi Orsini : ma per ai^cora né l'uno ftè l'altro si è
scoperto; ancorché io faccia quel ducato perso, per essere uno
^ Dolce I^tti da Spoleto, vicario generale di Ouidabaldo. V. Rbpgbàti, Della zecca di
Ouhbio e delle gesta dei conti e duchi d'Urbino^ vol.-i, pag. 3S5*7.
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244 CAPO SECONDO.
stato fiacco e debole, e quelli uomini malcontenti, avendogli io
affaticati assai co' soldati : ma a tutto spero provvedere; ^ e tu
scriverai a* tuoi Signori che pendino heìie . a' casi loro, e ^ fac-
ciansi intendere presto, perchè se il duca d'Urbino ritorna, e
viene da Venezia, non è a proposito loro, e manco nostro: 41
che fa che noi possiamo prestare più fede l'uno all'altro».^ —
E il Borgia prevedeva accortamente, che gli Urbinati ave-
vano spedito- subito un uomo alla Magione, a eccitare i genti-
luomini che si valessero dell'occasione della rivolta loro, per
fermare chiari accordi e far opere forti. L!uomo d'Urbino s'ab-
boccò più particolarmente col Baglioni, che pareva il più riso-
luto, e il miglior conoscitore del furbo nemico. Malgrado le re-
nitenze di Paolo Orsini, i capitoli furono sottoscritti, e si pose
mano all'impresa. Vitellozzo doveva esserne capo: questi co-
manda che Giovanni Rossetto con mille e. cinquecento fanti delle
ordinanze sue di Città di Castello, entri alla difesa d'Urbino;
che Bernardo Camaiano da Arezzo, vada a San Marino, sul
principio del Montefeltro verso Romagna; conferma in Cagli
Matteo della Branca da Qubbio; e quando l'uomo d'Urbino
con trenta cavalleggeri datigli da Gian Paolo Baglioni in Pe-
rugia sotto il comando d'Uguccione da Carnaro, s'avvicina e
sente che, entrati per là valle dal Cesano a San Lo;*enzo in
Campo, don Ramiro e don Michele colle genti del Valentino,
anno saccheggiato la Pergola; ottiene da Vitellozzo che Giulio.
Vitelli con tutte le sue genti a pie e a cavallo parta da Città, di-
Castello e vada verso Cagli. E alla volta d'Urbino partono pure
il Baglioni e il duca di, Gravina; e l'uomo d'Urbino anch'esso
con Uguccione arrivano a Gubbio e da quindi a Cagli. Pare che
ormai un'azione comune e con forze convergenti sia per inco-
minciare. Guidubaldo, ch'era a Venezia, comincia a credere che
i condottieri si sian compromessi abbastanza e che una parola
di pace non possa più correre fra loro e i Borgia. A inasprir
la rabbia della guerra e a seminar più sospetti s'era aggiunta
la scoperta di tradimenti. Un prete, chiamato Francesco. di
Landò di Materozzi dalla ;.Carda, aveva avuto maneggio per
dar Cagli a don Michele. Matteo della Branca se n' accorge : il
prete è fatto in pezzi. Gaifa e Primicerio erano state occupate
* • . '
1 Baldi, Vita di Quidtibaldo da Jifonte feltro y t. n, lib. vii, pag. 67: « Parve duro a* po-
poli, avvezzi ad una certa libertà scapestrata, il dover si subito sottometterei ad una ri-
gida e severa disciplina ».
* Machiavelli, LegasUme al Valentino, Lett. 5.
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fecondo] moti DK condottieri. ^5
da' Valentineschi ; ma poi dallo Spedaletto a Fossombrone le
bande dei collegati avevano fatto grande strage di Borgiani;
e il di appresso i Vitelleschi e gli Urbinati ripresero Gaifa e
Primicerio. Il buon successo dava coraggio di tentar V impresa
di Fano, per disfar colà l'ultime reliquie delle armi ducali.
A questo punto giudicò Guidubaldo che la lega de' vicari avesse
avuto buon cemento ; che le lusinghe di tornar mai più amici
co' Borgia fosser dileguate tutte ; che ritornandosi egli ad Ur-
bino, avrebbe confortato colla presenza sua i moti del popolo,
e ritornò. Recatosi subito a Cartocceto, ov'era il quartier ge-
nerale di Vitellozzo, comprese dove ancora le lusinghe stavano.
Paolo Orsini allo Spedaletto, intanto che i collegati facevano
man bassa della soldataglia borgesca, aveva gridato: basta,
basta ! pretendendo frenar l' impeto della battaglia, perchè non
si facesse troppo gran danno al Valentino. E se non fosse
stato Giulio Orsini che si gettò di mezzo, gridando: bada, è
Paolo! Giovanni Rossetto, indispettito di vedersi troncar nelle
mani la vittoria, gli avrebbe assestato tal colpo di partigiana
in petto, che avrebbe tolto di mezzo per sempre quel media-
tore cieco. Ma lo salvò la corazzina, e fu a rovina di tutti.
Egli stesso aveva indugiato l'impresa di Fano, allegando che
le artiglierie sufficienti mancavano. Si stabilì che la guerra
fosse menata innanzi oon vigore, e che il Baglione da Perugia,
e Guidubaldo da Urbino facessero i necessari apprestamenti
d'uomini e d'artiglierie. Gian Paolo, partendosi perla sua città,
scongiurò Vitellozzo che a Paolo non desse mai più retta, o
andrebber tutti perduti. * E Guidubaldo lasciò sentire al vec-
chio Orsini quanto gli Urbinati lo avevano in dispetto, sì che
questi poi non ebbe animo di pigliare alloggio dentro alla città.
In questo mezzo il Valentino aveva chiesto a Firenze
un'amicizia non solo generica, ma particolare: chiedeva la
condotta per sé, voleva stringer presto. Le istruzioni del Ma-
chiavelli invece erano: « temporeggiare, non si obbligare e
cercare d' intendere l'animo di quello. ^ — E mi pare fino a
qui, scriv'egli ai Dieci, aver fatto le due prime cose e della
terza essermi ingegnato ». Ma il Valentino voleva avere un
segno del buon volere dei Fiorentini; mandassero due pezzi
* Bibl. Vat.^ ms. urb. 490, pag. 79-t : « Questo istesso ancho atBrmaua Fabio flgliol
d'esso Paulo, biasimando appertaineDttt et senta alchun rispetto l*oppÌDÌon del patre. come
rea, pernitiosa a tutti, et Aior d'ogni ragione ».
* Machiavelli, ibid , I^ett. 13.
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ne CAPO SECO S DO. [LiBio
d'artiglieria verso Castello, contro di Vitellozzo: non temano
che abbiano perciò a dispiacere al re di Francia. « Son più
certo che della morte, diceva, che quella maestà vorrebbe
che tutto il popolo fiorentino venisse in persona in aiuto delle
cose mie ». Non c'è bisogno sguerniscano d'armi i posti mili-
tari che guardano; mandino 50 o 60 cavalli, « comandino
in quei luoghi un uomo per casa ». — Comandare un uomo
per casa, cioè strappare agricoltori a' campi e farne guastatori
o marraiuoli, come allora dicevasi, era consueto espediente
de* fiacchi e indifesi comuni. Se non che Niccolò vede presso
al Valentino, specialmente per l'industria non senza ferocia
di don Michele da Corella, condottiero di lui, i comandati della
Romagna tramutarsi in soldati veri. Questo spettacolo nuovo
commuove il Machiavelli : dei comandati del contado di Firenze
non si potrebbe forse fare altrettanto? cosi pensa lui, e gitta
gli occhi su don Michele, come su l' unico uomo bastevole a
quest'effetto. Ma tuttavia, per allora, secondo le raccomanda-
zioni del Valentino, si limita a sollecitare i Dieci che mandino
presso il Borgo S. Sepolcro e ad Anghiari qualche comandato,
che faccino qualche rassegna, « e di due si potrà dir quattro
per non poterne questo Signore avere gli avvisi certi. — E prego
le Signorie vostre che non m'imputino questo né a consiglio,
né a presunzione, ma lo scrivine ad un'affezione naturale che
deve avere ogni uomo verso la sua patria ». ^
Poi sempre più si studia farsi addentro nel concetto del
duca; e non tarda a discerriere che cumulo d'ire irreconcilia-
bili covano nell'animo di lui contro ai baroni. Della congiura
della Magione non aveva mostrato paura : « Fanno bene, diceva
ridendo di quei signori, fanno bene a dire uomini d'arme in
bianco, che vuol dire in nulla. Io non voglio bravare, ma voglio
che gli effetti, quali sieno questi, dimostrino chi loro sieno e chi
noi. Ed io gli stimo tanto meno, quanto gli conosco più, e loro,
e loro gente; e Vitellozzo, a chi si è data riputazione, mai
posso dire di averlo veduto fare una cosa da uomo di cuore,
scusandosi col mal francioso; solo è buono a guastare i paesi
che non anno difesa, e a rubare chi non gli mostra il volto,
e a fare di questi tradimenti ». * E non tarda gran tempo che
sente sconnettersi quella unione posticcia ; e già Messer Anton
> Machiavklli, loc. cit.. Leu. U
• Machiavklli, loc cit , Lett 19.
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•écoWdo] il machiavelli in IMOLA. «47
da Venafro, Tuom del Petrucci, mandato dagli Orsini si pre-
senta in Imola ; ma arriva e riparte, e Niccolò non può sapere
di che abbia trattato. ^ Poi sa dal duca stesso che gli Orsini
tengono pratiche d'accordo: scrivongli buone lettere: oggi deve
andarlo a trovare il signor Paolo, domani il cardinale — < cosi,
diceva quegli, mi scoccoveggiano a loro modo: io dall'altro
canto, temporeggio, porgo orecchio ad ogni cosa ed aspetto el
tempo mio >.
Niccolò frattanto scriveva d'essersi procacciato* la confi-
denza d'alcun segretario del Valentino, « d'alcun di quelli con
cui quell'uomo, uso a tacer tutto e a non notificare i comandi
che in sul momento d'eseguirli », taceva meno.
— k Questo tale iersera ordinò di parlarmi, e mi disse : Se-
gretario, io ti ò qualche volta accennato che lo stare sul
generale quei tuoi Signori con questo duca, fa poco profitto
a lui e manco a loro, per questa cagione: perchè il' duca
vedendo rimanersi in aria con vostre Signorie, fermerà il pie
con altri. E io mi voglio allargar teco questa sera; ancorché
io parli per me medesimo pure, non è in tutto senza fondamento.
Questo Signore conosce molto bene che il papa può morire ogni^
dì, e che gli bisogna pensare di farsi, avanti la sua morte,
qualche altro fondamento, volendosi mantenere li Stati che
lui à. Il primo fondamento che fa è sul re di Francia; il se-
condo sulle armi proprie; e vedi che à già fatto un apparato
di presso a cinquecento uomini d'arme, e ^altrettanti cavalli
leggieri, che saranno fra pochi di in fatto. E perchè giudica
che col tempo questi due fondamenti suoi potrebbero non ba-
stargli, pensa di farsi amici i vicini suoi, e quelli che 'di ne-
cessità conviene che lo difendine, per difendere se medesimi;
i quali sono Fiorentini, Bolognesi, Mantova e Ferrara. Dei tuoi
Signori fiorentini, egli è manco di tre di eh' io sentii ragionare
al duca ; che voleva ch'essi usassero il paese suo liberamente,
e lui usare il loro, essendo loro amici di Francia, e lui ; e che
non era mai per far loro contro in alcuna cosa, ancorché non
si venisse ad alcun fermo appuntamento. Ma quando vi venisse
vedrebbero che differenza é dall'amicizia sua e quella d'altri.
E, per tornare a proposito, io ti dico che lo stare sul generale
fa più d'incomodo a' tuoi Signori che a questo duca; perchè
il duca, avendo favorevole il re e gli prenominati, e voi non
1 Macbiatblli, loc. eh., Lett. 2S.
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248 .. CAPOSECONDO. [l
avendo altri che il re, verranno i Signori tuoi ad aver più bi-
sogno del duca che il duca di loro. Né per questo dico che il
duca non sia per far loro piacere ; ma venendo loro il bisogno
e non essendo lui obbligato, potrà farlo e non lo fare, ck)me
gli parrà. Ora se tu mi dicessi: che s'avrebbe egli a fare?
Venghiamo un poco a qualche individuo: risponderotti, che
per la parte vostra voi avete due piaghe, che se voi non le sa-
nate, vi faranno infermare, e forse morire. L'una è Pisa,^ l'altra
è Vitellozzo. E se voi riaveste quella, e quello si spegnesse,
non vi sarebbe egli un gran benefizio?... e per la parte del
duca io ti dico,, che a Sua Eccellenza basterebbe aver l'onor
suo con voi, rispetto alla condotta vecchia : e questo stima più
che danari e che ogni altra cosa: e che quando voi* trovaste
modo a questa, ogni cosa sarebbe acconcia
— « Io replicai brevemente, seguita Niccolò, e solo a quelle
parti che importavano. Dissi in prima, che questo Signore fa-
ceva prudentemente ad armarsi, e ' farsi amici. Secondo, gli
confessai essere in noi desiderio assai, e di ricuperare Pisa, e
dell'assicurarsi di Vitellozzo, ancorché di lui non si tenesse
molto conto. Tèrzo, quanto alla sua condotta, io gli dissi, par-
lando sempre come da me, che l'eccellenza di questo duca, non
si aveva a misurare come gli altri Signori, che non anno se
non la carrozza, rispetto allo stato che tiene; ma ragionare
di lui, come di un nuovo potentato in Italia con il quale sta
meglio fare una lega e un'amicizia, che una condotta. E per-
chè le amicizie fra i Signori si mantengono òon le armi, e
quelle sole le vogliono fare osservare, dissi, che Vostre Si-
gnorie non vedrebbero che sicurtà s'avesse per la parte loro,
quando i tre quarti o i tre quinti dell'armi vostre fossero nelle
mani del duca. Né dicevo questo per non giudicare il duca
uomo di fede, ma per conoscere le Signorie Vostre prudenti,
e* sapere che. i Signori devono essere circospetti, e non dover
mai far cosa dove possano essere ingannati ». * — Ma da questo
punto in poi le corrispondenze tra Niccolò e la Signoria co-
minciano alquanto a impacciarsi e ad interrompersi ; non si sa
* . 1 Anche in tempo di questa commisfiòne del Machiavelli, Pisa faceva pratiche per in-
durre il duca Valentino ad insignorirsi di lei. Niccolò ne fa cenno nella leti. 68. Ne parla
poi per disteso nella lett. 74. L'inviato degli anziani è Lorenzo d'Acconcio; i Pisani fanno
intendere che il re di Spagna offre loro aiuti e « che sono per pigliarlo quando altri non
gli voglia aiutare »; — l\ Valentino li sconsiglia ma non esclude le trattative. Una traccia
di capitoli fra i Pisani e il Borgia, proposta gi^ sin dal dicembre del 1501, pubblicò il
Dbsjabdins, NigodaXUmt diplomatiqués, t. ii, pag, 69.
* Machiavelli, lec. cit., Lett. 40.
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arcoHoo] IL MACHIAVELLI IN IMOLA. 249
chi intercetta le lettere o svaligia i cavallari: fatto sta che
al Segretario accade di scrivere ripetutamente delle istesse cose,
e a Dieci a lamentar ripetutamente ohe non ricevon nulla; tanto
che Biagio Bonaccorsi avvisa confidenzialmente l'amico, che
si guardi dal porgere appiglio ai malevoli, e spacci più sovente
che pilo qualche notizia; che non abbian a parer troppo rare
le lettere sue; e financo il gonfaloniere Sederini personalmente,
con grande bontà, gì' inculca di scrivere spesso. Niccolò scrive,
e riscrive, ma s'accorge che non sodisfa mai abbastanza la cu-
riosità de' Dieci e dei Signori: « pensino che le cose non s'in-
dovinano, e intendine che si à a fare qui con un principe che
si governa da sé ; e chi non vuole scrivere ghiribizzi e sogni,
bisogna che riscontri le cose, e nel riscontrarle va tempo; e
io m'ingegno di spenderlo, e non lo gittare via ». ^ — Ma per
dire il vero non potrebbero i Signori, avuto rispetto alle cri-
tiche condizioni della città, confidarsi in lui con maggiore ab-
bandono. « Noi lasciamo volentieri indrieto per confidare in te,
darti ordine o di parole o di termini che abbino a satisfare più
a cotesto illustrìssimo Signore, stimando che per te medesimo
le ebbi ad fare e parlarli in nome nostro come ad Signore
grand'amico della città, desideroso di beneficarla e di chi si
conosce la potestà e volontà di farlo; e perchè questa città
ebbi a far sempre, rispetto alla fortuna e virtù sue, tutto il
possibile ».* — Se non che ben comprendeva Niccolò che quello
non era luogo da vender parole, e che non gli sarebbe stato
a lungo possibile rimanersi a eseguire quell'unica commissione
che non cessavan di replicargli : temporeggiare. — « Né ancora
so come le audienze sieno per essermi facili, perchè qui non
si vive se nou ad utilità propria, e a quella che pare loro in-
tendere, senza prestame fede ad altri. Onde io non tenterò la
catena, se non forzato, e una o due che me ne sia fatta, non
la tenterò più, non ostante che per ancora non mi possa do-
lere; pure non lo vorrei avere a fare. Talché computata ogni
cosa, desidero assai aver licenza dalle Vostre Signorie perchè,
oltre al vedere di non poter fare cosa utile a codesta città,
vengo in mala disposizione di corpo; e da di fa ebbi una gran
febbre, e tuttavolta mi sento chioccio. Di poi le cose mie
non anno costì chi le rivegga, e perdo in più modi : sicché,
compuiatis omnibus, non oredo che Vostre Signorie me ne ab-
1 Màchiatblli, Ioc. cit.y Leu. 44.
* Màcbiayblli, Ioc. eh., Lett. 46.
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«so CAPO SECONDO. [libbo
bianQ a scontentare ». ^ Ma ì Dieci T intendono ben diversa-
mente da Niccolò^; e gì' intimano rimanere e seguitar sua Ec-
cellenza dovunque. Non è 'a dire se al Segretario quest'ordine
sappia duro, poiché, escluso il partito della condotta, la Signoria
; non gli dava nuovi partiti da proporre: « e il negare, e poi
# , tacere, non era a proposito con que' cervelli ». * Resta spet-
\ tatore di quel che accade, e ragguaglia di quel che gli sembra
\ probabile sia per seguire. Allo scaltro Duca l'amicizia de' Fio-
^ , rentini, per quanto generica, pareva far prò : e il credito de' pronti
I soccorsi francesi, che dovean venire, a rafforzarlo aveva scorato
f ■ e diviso la combriccola dei baroni, dalla quale avea spiccato
j il Bentivoglio promettendogli parentado Seco ; tanto che ad al-
I cuni di loro nulla parve meglio che cogliere a volo una furba
parola, lanciata in aria dal Duca, come un' occasione per pro-
\ vare di far capitoli e conciliarsi con lui.
Con un salvacondotto de' Fiorentini, a mezzo novembre.
Paolo Orsini si presentò ràumiliato al Borgia. Le amorevo-
lezze-infinite con cui questi lo accolse, fecero che quegli sen-
tisse quasi soddisfazione e baldanza della ostinata fiacchezza
sua. Ma come mai prestar fede al breve intercetto? diceva il
Valentino; sono scritture quelle che, quando sien vere, si spac-
ciano pen poste, e non se ne studia il segreto' e non si ravvolgono
in cifre? come mai il Paglioni cosi sottile non vi fiutò dentro
l'insidia di qualche maligno, che voleva nuocere al. duca e a
loro, e dividendoli degli animi, far deboli quelli che, uniti, sa-
rebbero stati invincibili, come la più bella milizia d'Italia?
— Queste ragioni al vecchio signore di Lamèntana parvero
egregie, tanto che, più della stoltezza quasi, che delle offese fu
per sentirsi gravato. Però, passando ad arrecar le scuse della
malizia sua e de' complici, spiegava com'era andata la coàa
della ribellione d'Urbino. E vedendo che il Borgia pareva pro-
prio aggradire ch'egli parlasse aperto, aggiunse che di quella
ribellione essi altra colpa non avevano che dell'occasione colta;
perchè i mali trattamenti di chi aveva preso ad amministrare
quella città, le angherie del generale governatore, di Ramiro
de Lorqua, avevano provocato a dispetto e sollevato que' cit-
tadini, ordinariamente , pacifici "e queti. E il Valentino, che
sapeva come fra Paolo e don Ramiro era vecchio rancore,
mostrò che quelle ragioni gli facevano grande impressione.
1 Macbiavklli, loc. cit.. Leu. 52.
' Machiayelli, loc. cit., Lett. 53.
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8EC0«DoJ IL BORGIA ADESCA I CONDOTTIERI. 251
Insomma, una famosa bozza di capitoli fra il Borgia e i con-
dottieri, proposta già da lunga pezza, ritocca, ridotta, accomo-
data, fu definitivamente accettata dal duca, come un ultimatum;
« se la volessin cosi, la prendessino che non era per fare
altro >. 1 — Fra le condizioni di que' capitoli era, ch'ei non
potesse mai costringerli a venire alla sua presenza, * se essi
noi volessero di buon grado; ch'egli riavesse Urbino; Guìdu-
baldo pacificamente ritenesse le fortezze di San Leo, di Ma-
jolo, di Sant'Agata, la protezione di San Marino ; e che in questi
luoghi potesse portare quanto gli piacesse. Del resto, acco-
miatando l'Orsini con dolcezza di parole, con doni di ricche
vesti, di cavalli, di danari, con promesse di degni compensi
per lui singolarmente e pe' compagni, gli diede un suo genti-
luomo spagnuolo, il Gorvalan, che l'accompagnasse al campo
de' collegati, e riportasse ratificati i capitoli, se così piacevano,
ch'egli poi n'avrebbe sollecitata l'approvazione dal papa.
Intanto per le terre dei vicari, corsa la voce delle trat-
tative, si vedeva subito, da chiunque fosse fuori dal fascino
borgiano, a che fine queste avrebbero menato. Non mancavano
poeti che levassero alto la voce verso i malaccorti baroni della
Magione :
« MagnaDimi signori saggi e scorto
Che mossi avete i passi all'alta impresa
Seguite quella senza più contesa
Or che vittoria v*ha aperte le porte.
« E speronate per le vie più corte
Non risguardando che vi fia distesa
La carta bianca; che sotto vi è tesa
La rete per donarvi mala sorte ". '
Il Baglioni, quando udì l'accordo quasi che stretto, corse
da Perugia al campo. Trovò nella chiesa fuor di Cartocceto
Vitellozzo insieme cogli altri condottieri stretti a deliberare se i
capitoli del Borgia fossero o no a sottoscrivere. Il Gorvalan
aspettava fuori, sulla porta del tempio. La soldataglia stizzita
> Machiavelli, Legazione cit., Lett. 48.
* La copia di questi capitoli, mandata da Machiavelli ai Dieci, pubblicò il Passerini
a corredo- illustrativo di questa legazione. M. Opp. 1. cit.» pag. 165 in nota. Il ms. urb.,
490, già citAto, reca un estratto di questa convenzione che contiene qualche differenza dal
testo definitivo, e deve esser ricavato dalle bozze dei capitoli preliminari. Fra gli altri
ci^itoli ve n'ha uno in cui si stabilisce: « che nessun d'essi (condottieri) potesse coman-
dare, salvo esso proprio Valentino, né fossano obligati d'obedire altro per gran personaggio
che fosse ». E forse in questo articolo si cela il risentimento de'condottieri italiani contro
ai capitani spagnuoli, forse Podio particolare di Paolo Orsini contro don Ramiro.
» V. Luioi Fumi, Alessandro VI e il Valentino in Orvieto^ Siena, 18T7, pag. lOO e segg.
Sonetti fatti svtl conto del Valentino e del papa.
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232 C\PO SECONDO. [libro
di quelle pratiche fatali, tentando rompere con qualche violenza
sua i propositi de' duci, cominciò a gettare insulti contro il
cavaliere spagnuolo. Niente; questi rimaneva freddo in attesa,
e non fiatava. ^ Il Baglioni, dentro la chiesa, scongiurava
tutti a rigettar gli accordi: sapevano con chi trattassero, che
fede avessero ad aspettarsi; se non erano pazzi, non credessero
che all'armi proprie e pronte. Ma gli argomenti risoluti del
Baglioni arrivavano quando la seduzione di Paolo aveva già
fatto troppo cammino. L'ossequio de' congiunti era per l' Or-
sini; il resistere al papa e al Valentino pareva a' condottieri
affar grosso; l'aver perduto tempo in trattative, errore incor-
reggibile; all'accordo avrebber voluto poter credere, e Paolo
mostrava loro che si poteva. Invano la plebe scherniva questo
vecchio credulo e scempio, motteggiandolo come indegno del
nome d' uomo, chiamandolo per beffa madonna Paola. * Quando
i capitoli si firmavano, il Baglioni gridò Paolo Orsini causa
della rovina di tutti, e solo dissenziente partissi, aggiungendo
che se il Valentino volesse lui, se l'andasse a tórre, ma con
l'armi e a Perugia.
Il Gorvalan tornò ad Imola con la ratifica de' capitoli
e con buone parole di tutti, sforzandosi persuadere al Valen-
tino che gli sarebber fedeli, li mettesse pure ad ogni impresa,
e al paragone di chi che sia. Il duca d' Urbino era abbando-
nato da tutti, fuorché dal popolo inerme. Contento di portar
con se l'amore de' sudditi, parti ; disfatte popolarmente le for-
tezze di Pergola e di Gubbio; acciò, propugnacolo degli op-
pressori, non indugiassero.il facile ritorno suo.
Il Borgia, simulatore, mostrava godere di queste conclu-
sioni ; la lega era sciolta ; Vitellozzo istesso in particolare gli
scriveva lettere piene di sommessione e di riconoscenza, dicendo
che, se gli parlasse mai a bocca, non dubitava di non giusti-
ficarsi del tutto, e di non persuaderlo che le cose seguite non
erano stato fatte per offenderlo. « Sua Signoria, prosegue Nic-
colò, si piglia ogni cosa, e a che cammino ella si vada, non
si sa, perchè gli è diffìcile intenderla e conoscerla. E avendo
a giudicare questa cosa dal fatto in sé, dalle parole sue e da
quelle di questi suoi primi ministri, non se ne può se non creder
male per altri, perchè l' ingiuria è suta grande, le parole sue
> Bibl. Vatic, ms. 490 urbinate.
> Baldi, Vita di Ouidubaldo da MontefeUro, duca d'Urbino, libro vii, voLii, pag. 58.
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MColcDo] • IL MACHIAVELLI IN IMOLX. 25S
e quelle d'altri sono sempre sute piene di sdegno verso di. Vi-
tellozio. E chi mi parlava ieri di questa cosa, che è il primo
uomo che questo Signore abbia presso di sé, disse: Questo tra-
ditore ci à data una coltellata, e ora crede guarirla con le
parple. — E andando io investigando come questo signore abbi
a pendere in questo caso, e entrando sotto a questo tale, che io
dico esser de' primi, mi disse: Una volta noi ce ne ande-
remo con questo esercito verso Urbino, dove non si dimorerà
molto, perchè noi siamo di ferma opinione che ci si darà. nelle
mani, che noi non saremo a Rimini, e tireremo in su verso
Perugia o verso Castello, . dove ci parrà. Chiederemo gli al-
loggiamenti dentro nella città, come gonfaloniere di santa
chiesa, e come a terre di chiesa ; e li capitoli non dicono che
noi non abbiamo alloggiare con l'esercito del papa dove lui
vuole: vedrassi che risposta ne fla fatta e secondo quella ci
governeremo ». ^ • •
Lo scaltro duca lascia intravedere a Niccolò un fine- e una
opportunità. Da questo punto il mandatario fiorentino non si
vede più passare accanto un degli Orsini o degli altri collegati
della Magione che non gli sembri che già rendano odor di ca-
davere. Si tratta per lui d'assistere ormai a una scéna sangui-
nosa e crudele; se questa sia per capitare a un convito, im-
naezzo a una festa di nozze, sotto gli archi di un tempio, tra
cantici religiosi o in una partita di caccia, non sa. Egli insiste
nuovamente per aver licenza ; ^ non vuol trovarsi a quel punto
in cui il duca scorra « i giudei da' samaritani » . ^ Pier Sede-
rini gli scrive: « il tornar vostro sarà presto, come desiderate » ^
ma intanto gli tocca restare, e restar senza danari. .
« Io ó avuto dalle Signorie vostre cinquantacinque ducati,
e ne ò spesi insino ad" qui sessantadue: tróvomi in borsa set:te
ducati : di poi mi converrà ubbidire alla necessità. ^ — Racco-
mandomi alle Signorie vostre, e di nuovo le riprego mi man-
dino da poter vivere, che avendo tre garzoni e tre bestie alle
spalle, io non posso vivere di -promesse; ó cominciato a far
debito, è infine a qui ò speso settanta ducati, e domandatene
Niccolò Grillo tavolaccino che è stato meco. Avrei possuto avere
le spese, e potre' le avere dalla Corte ; non le voglio : e pel
^ Machiavelli, loc. cit., Leu. 56.
■ Magelax-bll/; loc. cit., Lett. 62.
* Machiavelli, loc. cit., Lett. 59.
* Machiavelli, loc. cit., Lett. 65.
* Idem ibid., Lett. 69.
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S54 CAPO SECONDO, • [l
passato me . ne sono valuto poco, parendomi onore di vostre
Signorie e mio far cosi ; e andando io limosinando quattro du-
cati, e tre ducati, pensino vostre Signorie come io lo fo di buona
voglia >. — Ma il duca si muove da Imola, e a Niccolò tocca
seguirlo a Gastrocaro e a Cesena : i propositi del Borgia s'accon-
ciano ogni di meglio coi fatti ; la catastrofe approssima ; . e Nic-
colò insta ancora perchè lo faccian tornare, ma gli ripetono
i Dieci « vogliam che lo seguiti ».^ Da Cesena non s'indovina
più dove il duca, sia per dirizzarsi, si parla d'andare a .Rimini,
ma frattanto ecco una sorpresa che « manda il cervello sot-
tosopra a tutta la corte ». * ì
Stando in palazzo una sera, Niccolò vede passare ristretti
insieme i capitani francesi delle lance ausiliarie ch'erano col
Valentino. Andavano dal duca, e già prima d'entrare face-
vano atti e gesti alterati, come per grande novità. Due giorni
dopo le lance francesi che eran col Borgia, eccetto poche, ri-
maste con monsignor d'Albret, cognato di lui, licenziate par-
tivano. — « Questa partita, com'elia è suta subita e inestimata,
cosi à dato e dà che dire a ciascuno, e ogni uomo fa sua ca-
stellucci ».
Era questo un indizio di rottura fra il re di Fran<;ia e i
Borgia? a chi faceva utile quella partenza? lo Chaumont che
appariva richiamar quell'armi in Lombardia, n'aveva commis-
sione dal re o simulava « intendere qualche movimento di verso
Lamagna? » ^ Il Machiavelli cerca d' intenderne la cagione pro-
babile.... « ò parlato con questi primi: tutti mi anno detto che '1
duca non li posseva più sopportare, e che tenendogli, gli davono
più noia l'arme degli amici che quelle de' nimici »'* Niccolò per
chiarirsi di questo fatto cerca udienza dal duca; ma quegli:
< non scade per ora », gli fa rispondere; ringrazia il segre-
tario; occorrendo lo farà chiamare. ^ Lo stesso, giorno, a ore di-
ciotto di sera, manda a cercare quel Ramiro de Lorqua, suo
maggiordomo, che con titolo di governatore e luogotenente
» Machiavelli, loc. cit., Lett. 76.
« Machiavelli, ibid,, Lett. 77.
> V. Dispacci di Gianvittorio Soderini, pabblicati dal Villari, pag. 509 e seg., in App.,
vpl. 1, ai Dispacci del Giustiniani.
* Da Cesena a* 14 dicembre scriveva il Machiavelli : « E possono immaginare le S. V.
come le cose vanno, e come le sono ite ad Imola, dove è stata la corte tre mesi, e dna
tutto questo esercito, che anno consumato infino a* sassi ; e ueramente quella cHtà e poi
tutto questo paese à fatto prova della bontà sua e di quello che può sopportare ; e dico
questo alle Signorie Vostre, acciocché Io intendine e' Francesi e tutti gli altri- soldati non
essere altrimenti fatti in Romagna, che si sieno suti in 'Toscana, ecc. » —
< Machiavelli, ibid., Lett. 84.
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sccoNDo] SUPPLIZIO DI DON RAMIRO. 255
generale, aveva per lui ferreamente governato le città di. Ro-
magna, ottenendo merito d'aver, ricondotto giustizia, biasimo
d'aver punito con crudeltà; quel Ramiro di cui gli aveva par-
lato l'Orsini. Avutolo a lui gli notifica che si vuol « valere
della vita sua » e lo imprigiona. All'alba del terzo giorno, nella
piazzetta fra la cittadella e la rocca, il capo del de Lorqua
fitto a una lancia, il tronco del corpo disteso sopra una stuoia,
vestito ancora delle sue nobili v^sti, era spettacolo al popolo.
La cagion del supplizio nessuno, la sapeva, tutti la fanta-
sticavano: forse per aver punito urla volta un Tiberti, ch'era
de' fautori del duca: o per avere irritato con crudeltà il po-
polo: 0 per aver attentato alla pudicizia di madonna Lucrezia-
forse perchè aveva provvisione dal Bentivoglio, dagli Orsini,
da Vitellozzo contro del Borgia? *
Tutto questo dicevasi; ma Niccolò Machiavelli riassume
in una sola la causa della mostruosa morte di lui : « li è pia-
ciuto còsi al principe, il quale mostra di saper fare e disfare
li uomini a sua posta, secondo e' meriti loro ». * Questa morte
èra un artificio scaltrissimo del Valentino con cui questi si
conciliava il popolo, e lusingava chi voleva accalappiare.
Niccolò segue il duca a Pesaro, quindi a Fano, ove gli
vien fatto di avvicinarlo. La segretezza del cancelliere fioren-
tino aveva ottenuto confidenza dal misterioso Borgia più che
quegli non volesse. Grande espettazione suU'indòmanj gli lascia
il duca e si prepara a cavalcar coU'esercito a Sinigaglia; quivi
l'aspetta.
Il Borgia, come per dar caparra d'animo ricopciliato e per
convalidazione dell'accordo, morto don Ramiro, scrive a Vitel-
lozzo che distenda i soldati suoi dall'Esine a Sinigaglia, ch'ei •
1 Cf. Al^si, Cesare Borgia, pag. 353 e seg. E stil governo delle città di Romagna ,
fatto dal De 'Lorqua, il^id., pag. 231-233, 249-251. Laverà causa deiraccisione di lui è in-
dicata dal codice urb. -940 della Biblioteca Vaticana, secondo il quale abbiamo in gran
parte condotta la narrazione nostra, per quel che riguarda i fatti dei condottieri. A pag. 75-t
del medesimo si legge : « et così (Paulo Ursino) excusata la ribellione del Stato d' Urbino,
nedendo chel Valentino gli prestava gratissima audientia, prese animo et dette del tutto colpa
a Kamirro suo general governatore, col quale esso Paulo teneva qualche controversia et
rancore, calumnia^dolo che la superbia da lui usata cum li capi et altri soldati, li crudi
et seueri modi che hauea tenuti nel governo di vasalli senza rispetto né humanitate alchuna,
haaea nei popoli generata disperation tale, che di qui erano nati molti mali animi contra
d*esso Valentino, lì quale mostrando d'accettare tutte le causo a excusation propostegli
e che gli fusse stato gratissimo d'intendere quanta gli hauea detto di Ramirro, gli rispuose.
che presto di lui et loro et li popuU ne resteriano soddis^aUi. Et posti li capitoli in scriptura,
con molta larghezza Io licentiò ». 7- È chiaro da ciò come colla morte di don Ramiro il
Borgia tendesse a due Ani : propiziarsi i popoli e dare una lustra di soddisfazione ai baroni.
« Machiavelli, loc. cit., Lett. 82. — Principej cap. vii.
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«56 . CAPO SECONDO. [libbo
vorrà consultare coi condottieri se sia da risolvere l'imprésa
d'Ancona. La vicinanza di Sinigaglia era gran tentazione per
Oliverottó Euffreducci, . il quale odiava i Della Rovere, che
pochi anni prima aveva offesi.^ Quella città si teneva dalla
madre dell'undicenne Francesco Maria, prefettessa di Roma,
pel figliuolo scampato in Francia agli artigli borgiani; strap-
pargliela sarebbe stato gran desiderio d'Oliverotto. Si va air
l'assalto e da Pesaro, in una lettera che non ci fu conservata,
il Machiavelli partecipa a' Dieci la resa della città, che aveva
avuto luogo a' di 26 del dicembre; ma la fortezza teneva ancor
saldo, affermando Andrea Doria, che n'era castellano, non vo-
lerla dare se non nelle mani del Borgia.
A quella volta poteva pertanto il Valentino cavalcare senza
generare sospetti ne' condottieri, i quali lo àvean sollecitato ad
avvicinarsi, per ottenere il castello. Ei vi muove non con grande
apparato di forze; le lance francesi non sono più con lui; le
armi che à seco pare procedano lungo la marina senza ordine
di marcia; i carri vanno innanzi alla sfilata. Ma ben aveva egli
sulle sei del mattino rassegnate le sue genti in riva al Metauro;
disposto l'antiguardo e il retroguardo, dato ordini particolari a
suoi fidati. ^ A Sinigaglia trovava Paolo e Francesco Orsini,
trovava l' Eufi'reducci, « Vitellozzo el di avanti era venuto
da Castello In quelle parti » ; ^ tutti gli concorrono in pugno i
suoi nemici, ed ei tutti gli afferra.
Il Machiavelli, arrivando a Sinigaglia, apprende come il
terribile duca à colto l'occasione sua. Vede tumulto d'armi,
ferocia di soldatesche per tutto. I borgiani s'guinzagliati pre-
dano la 'città, tagliano a pezzi le genti, dell' Euffreducci. Circa
a ore ventitré del giorno la terra va tuttavia a sacco, e il se-
gretario fiorentino è in travaglio grandissimo; non sa se potrà
spedir lettere a Firenze, per non trovar chi si parta; ma egli
^ Bibl. Vat., Cod. urb. 490, pag. 83-t: « Haueaa Lìuerotto per alchuni anni prima De-
cìso in le città di Fermo Raphael dalla Rouere, nepote di Gioan prefetto, per il che con-
sapeuole deirodio che gli portaua la casa della Rouere, voluntiere ìilloggiava cum la fan-
teria propinquo a Senogaglia, anch* iui sperando bona occasione da posser di nuovo dimo-
strargli gli effetti della nemicitia sua ». Cf. Baldi, Vila di Quidubald^ da MontefeUrp^
lib. VII, t. 2*^, pag. 72.
* Ms. urb. 490, pag. 84: « In Senogaglia è certa casa già di Bernardino da Parma, in
la quale salendosi dalla porta principale s'arriva in sala, et per di li s' intra in alchune
altre stanze, di dove disciendendosi per l'altro lato appare una altra uscita fuora. Questa
da don Michele conscio della voluntà del patrone et a cui era data la cura d'exeguir il
tutto, fu provveduta per alloggiamento del Valentino, il quale partito da Gesena comin-
ciava cum la gente stretta prossimarsi a Senogaglia ».
> Machiavelli, Legazione al Valentino, Lett. 86. .
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■BCONDO] MORTE DE' CONDOTTIERI. 257
vuol che i suoi signori sappiano il fatto subito : lo scaltro duca
à reso buon servigio alla repubblica, questa non à più che
temere da' condottieri. « Fecionsegli intorno, ed entrato eh' e' fu
con loro accanto nella terra, si volse alla sua guardia e fé-
cegli pigliare prigioni ».... « e secondo la mia opinione, scrive
Niccolò, e* non fieno vivi domattina ». ^ Infatti alle ore dieci
della notte Vitellozzo e Oliverotto morivano, torcolati * e da
vili, « perchè Vitellozzo pregò che si supplicassi al papa che
gli dessi de' suoi peccati indulgenza plenaria; e Liverotto tutta^
la colpa delle iniurie fatte al Duca, piangendo, rivolgeva ad-
dosso al Vitellozzo ».5
A due ore di quella stessa sera il rumore del saccheggio
non era chetato ancora, e Niccolò, mandato a chiamare dal
Valentino, lo vedeva andargli incontro « colla miglior cera
del mondo » e rallegrarglisi di questo successo « dicendo auer-
mene parlato el di d'avanti, ma non scoperto el tutto, com'era
vero. ^ Soggiunse poi parole savie e affezionatissime sopra modo
verso cotesta città ». — - « Concluse in ultimo che io per sua
parte scrivessi tre cose alle Signorie Vostre. La prima, che
io mi rallegrassi con quelle del successo, per avere spento i
nemici capitalissimi ad el re, ad lui e ad Voi, e tolto via ogni
seme di scandolo, e quella zizzania che era per guastare Italia;
di che Vostre Signorie ne dovevono avere obbligo seco ». *
In secondo luogo voleva fanti da' Fiorentini per andare a fe-
rire verso Città di Castello o verso Perugia; voleva finalmente
che quando il duca d' Urbino, che era a Città di Castello, ^ si
rifugiasse in territorio fiorentino, lo detenessero. — « E di-
cendo io che non sarebbe della dignità della città che quelle
> Machiavelli, Ioc. cit., Lett. 84.
* Così dicevasi di chi moriva strangolato « cum certo lacciolo al collo che cosi valen-
tineschi alhor usavano ». — Bibl. Vat., ms. urb., cìl.
Machiavelli, ibidem. E il m^. urbinate, a pag. 84: «Et (Vitellozzo) fatto chiamare
il confessore dimandò venia a iddio di gli error suoi, et l'istessa sera ch'el fu preso, lochato
presso il fuocho in uno schanetto, insiem cum Liuerotto, il qua! non vuolse confessarsi, fa
torculato et morto » ecc.
> Machiavelli, Deaerigione del modo tenuto dal duca Valentino neW ammazzare Vi-
te llozzo, ecc.
* Machiavelli, Ioc. cit., Lett. 86.
' Machiavelli, ibidem.
* Quando, in seguito a' capitoli stretti tra Cesare Borgia e i condottieri, Ouidnbaldo
•bbe a lasciar nuovamente Urbino, confortati i suoi popoli, smantellate le fortezze, n'andò
condotto sopra una bara, per esser malatissimo di podagra, a Città di Castello, accompa-
gnato da Giulio Vitelli. « Fu opinione che Vitellozzo in necessità della sua salute, venendo
il caso, designasse di darlo prigione, o vero che in la perdita di nemici pensasse, col libe-
rarlo, guadagnarsi parte del stato d'Urbino, et però che più presto prigione che libero lo
facesse portare a Castello ». — Ms. urb. cit., pag. 83- 1.
ToMMASiifi - Machiavelli. 18
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«58 CAPO SECONDO. [l
liene dessino preso, e che voi noi faresti mai, rispose eh* io
parlavo bene, ma che li bastava che Vostre Signorie lo tenes-
sino, né lo lasciassino se lui non se ne accordava. Rimasi di
scrivere tutto: e lui ne aspetta risposta ».
A questo punto restiamoci un tratto per considerare Nic-
colò sotto un duplice e diverso punto di vista. Il mandatario
della repubblica nella terribile legazione di Romagna, come
testimonio di veduta, è il fonte storico principalissimo da cui
si leva notizia dei particolari della strage sinigagliese. Infor-
mazioni venete, croniche provinciali, ragguagli privati di seconda
mano possono essergli posti a fronte, ma non pretendere ad
autorità più grande. Niuno più di lui vide, ninno praticò come lui
0 fu meglio in grado di conoscere quelle persone e quelle cose
da vicino, di congetturare con maggior probabilità il vero. Se
non che, quando il segretario divien poi raccontatore, quando in
luogo di scrivere ofBcialmente il fatto giornaliero, espone Tawe-
nimento per disteso, secondo V impressione che dopo certo tempo
glien'è rimasta nell'animo e nella fantasia, allora, per valutare
la portata delle divergenze fra i particolari dell'una narra-
zione e dell'altra, non è inutile il parallelo di queste colle altre
relazioni contemporanee. Che a noi pervennero due narrazioni
di Niccolò, le quali danno contezza della presura dei con-
dottieri; ma queste distano tutte e due dal fatto d'un certo
e diverso intervallo di tempo.
Dalla prima lettera da noi citata, scritta in mezzo a' tumulti
del sacco che le genti ducali davano a quelle di Oliverotto
e a Sinigaglia; da quella prima lettera breve in data dell'ul-
timo di dicembre, sino a' dì 9 di gennaio lamentavano i Dieci
di non aver ricevuto avviso da Niccolò delle cose quivi suc-
cesse. Egli se ne giustifica: « li uomini prudenti, come sono
le Signorie Vostre, sanno che non basta fare el debito suo,
ma bisogna avere buona sorte; e volentieri manderei ad Vostre
Signorie la copia di tutte le lettere scritte da me, se io me
le trovassi appresso; ma non le avendo, cagione del tempo e
dei luoghi ove mi sono trovato, replicherò tutto brevemente.
A dì ultimo del passato scrissi dna lettere, Tuna breve, data
ad 23 ore, contenente la presura di quelli Orsini e Vitelli;
l'altra lunga contenente particolarmente el caso successo, e
quello che mi aveva parlato el duca ».
Questa seconda lunga lettera, se pure pervenne a Firenze,
non arrivò sino a noi, non entrò nel possesso della storia; che non
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SBCONDo] DUE NARRAZIONI DEL MACHIAVELLI. 859
può per fermo esser quella, di cui un frammento autografo ci ri-
mane nella Biblioteca Nazionale fiorentina; ^ e non può nemmeno
esser copia di quella, poiché, come il Machiavelli confessa, copie
ebbe la prudenza di non serbarne. Questa invece fu scritta per
fermo dopo i di tredici di gennaio, quando appena Iacopo Sai-
viati, nuovo ambasciadore eletto da' Fiorentini presso al Borgia,
potè andare ad occupare il posto di Niccolò, e prima che Niccolò
si spiccasse dal Valentino. Infatti il germe primitivo di narra-
zione ordinata e formale che in questo scritto già si osserva,
risente tuttavia di certa ambiguità che è frutto della condizione
ambigua in cui il Machiavelli si ritrovava ancora. Egli non è
più oratore, ma non è ancora lontano dalla corte, ne lungi
dall'occhio del duca. Egli non sa come capiterà quel suo scritto,
né chi avrà a leggerlo; egli teme che non vada alle mani di
chi rattenne già l'altre lettere, di chi forse va tentando la fede
sua. Pertanto gli occorre ponderare con cautela ogni frase; re-
primere l'opinione propria, tacere quelle ipotesi che gli sanno
più naturali, più rispondenti a' fatti; dar per vere quelle ciance che
il Valentino gli aveva insinuate e ch'egli aveva mostrato di
credere, allegare quelle falsità d'asserzioni con cui il Borgia
voleva far comparire giusta una cattura fatta a tradimento,
quelle accuse che aveva sparse colle patenti ducali e fatte ri-
petere dovunque arrivava la sua fortuna. ^ < E perchè costoro
pensavono di potere sforzare el duca, era necessario che lui
pensasse di sforzare loro ». — Cosi Niccolò, per allora. Più
^ Bibl. Naz., doc. M., busta i, n. 19. Questo egregiamente già rilevò il Nitti, Machia^-
VéìU nella vita e nelle dottrine, voi. z, pag. 187, in nota, osservando come neiredixione
Passerìni'Milanesi quel frammento non sia stato inserito con corretto ordine cronologico,
dopo la lettera in data « die ultima decembria ».
* Machiavelli, loc. cit., Lett. 8-1. «.... le patenti che si scrivono attorno, dicono di
aver presi e'traditori suoi ». — Antonio Giustinian, Dispacci, ed. Villari, t. i, pag. 304.
« E comeiuò a dir (il papa) che, essendo già sentenziato a morte Remiro, disse voler far
intender al Duca alcune cose per suo descargo, e li significò come aveva ordine con li Or-
sini de darli la terra de Cesena, il che non essendo Keguito, per l'accordo che nascette per
la Excellentia soa et questi Orsini, Vitellozzo se aveva disposto de far ammazzar el Duca
e che a questo era consenziente Oliverotto da Fermo (de li altri non nominò alcuno) ; e
non li parendo aver altro modo de far l'effetto, aveva ordine con un balestrier che, ca-
valcando el Duca, lo dovesse tuor de mira et ammazzarlo con la balestra. Il che inteso,
el Duca se tenne in gran custodia, e mai non se cavò le arme de dosso fina ch'el non fu
a Senigagia ». — « El Duca li fece retegnir: et subito dette principio a far el processo
contra Vitellozzo, el qual de plano confessò esser vero tutto quello che Remiro aveva de-
posto de lui, e confessò che Oliverotto li tegniva mano al trattato : per il che il Duca li
ha fatti decapitar tutti do ». — V. la Cronaca di Fileno delle Tuate, citata dall'ÀLvisi,
op. cit., pag. 356. — "NgWa Lettera d' Isabella d'Estb al marchese di Mantova, a* di 10
cannaio 1502-3 : « La me scrisse che lo illustrissimo segnor Duca de Romagna se congra-
tulava cum il signor Zuane Bentivoglio, suo socero, de la presa haueua facto in Sinega-
gWsL de le persone del signor Paulo Orsino Vitelozo, duca di Oravina et Levorato da Fermo,
cum iustiflcare tale captura : che non obstante la aperta et notoria rebelione per loro facta
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«60 CAPO SECONDO. [mbbo
tardi poi, quando niun rispetto particolare lo lega a colui,
presso il quale fu mandatario della sua repubblica, sciolto
dalla necessità di mostrar fede alle parole di quel < grandis-
simo simulatore », di tacere tutto quanto sapeva per confi-
denza, scopre trama e ordito; racconta come fin da' di trenta
decembre il Borgia aveva comunicato < il disegno suo a otto
de' suoi più fidati », com'egli aveva consegnato « l'uomo certo
all'uomo certo ». ^ — Egli può allora dir francamente come
aveva trovato il duca in Imola « pieno di paura »; non prima,
quando gli era mestieri « usar con lui parole che non lo al-
terassino », ^ quando gli conveniva fargli complimento : « sempre
io lo avevo fatto vincitore, e se il primo di io avessi scritto
come la intendevo, e ora lo leggessi, la gli parrebbe una pro-
fezia ». E quando scrive: « Guidubaldo duca di Urbino di
nuovo si fuggi a Venezia » mentre a quei giorni il Montefeltro
si trovava invece a Città di Castello, questo è probabile ar-
gomento a poter indurre che la Descrizione del modo tenuto
dal duca Valentino nello spegnere i baroni fu scritta dopo che
del ricovero del Montefeltro a Venezia s'aveva piena e uni-
versale certezza. Prima non era facile conoscere dove quegli
si celasse al papa e al Valentino, che lo braccavano. Fuggito
da Città di Castello, condottosi a Siena dove non aveva tro-
vato recapito, dicevasi si fosse per cinque giorni rifugiato a
Pitigliano; ^ Isabella d' Este a' 10 di gennaio, a proposito di
lui, scriveva : « la persona del duca de Urbino non se intende
anchora dove se ritrovi; ma, per quanto se crede, era prima
levato da Cita de Castello per la via de Casentina; et Modesto
cavallaro, venuto da Venetia, dice che là era fama esser re-
ducto in loco salvo, et che presto se ritroveria in Venetia; ^
ma di questo né da la duchessa né da altri ò alcuna cosa ».
— Di soprappiù, in quest' ultima Descrizione Niccolò incorpora
alcuni episodi relativi a Vitellozzo, che Piero Ardinghelli, com-
missario a Castiglione Aretino, aveva accolto in un suo dispaccio
a' Dieci de' 3 gennaio, raccontatigli da un fra Galasso, france-
ali di passati contra la Santità di N. S. et sua Ex., et la remissione factagli, di novo
haa^ndo intesa la partita de la giente francese, ' ritornate a li alloggiamenti suoi; sotto
specie de ajuto a la impresa de Sinegaglia, cum tutto il loro potere erano venuti per pi-
gliare Sua Excellentia; il che ha lei inteso, gli haueua prevenuti, et facto a lor quello vo-
levano fare a lei ».
^ Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal Vaientino, ecc.
> Machiavelli, Legazione al Valentino, Lett. 50.
> A. OiusTiNiAN, Ditpaeei, ediz. Villarì, t. i, pag. 340-354.
* Archivio Btor. it., App. n, serie H, pag. 265.
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SBCOPTOO] TRADIMENTO DI SINIGAQLIA, 861
scano, 1 che andava oratore de' Perugini alla Signoria. E mentre
nell'altra sua lettera, descrivendo Vitellozzo, Niccolò non fa che
riferire quel che aveva potuto attingere sul luogo dell'azione,
e lo rappresenta < in su una muletta, disarmato, con una gab-
banella indosso stretta, nera e logora, e di sopra uno gabbano
nero foderato di verde; e chi lo avesse veduto non avrebbe
mai giudicato che fussi colui che due volte quest'anno sotto
e' suoi auspicii aveva cerco cacciare el re di Francia di Italia »;
nella Descrizione aggiunge:* « si dice, che quando e' si parti
dalle sue genti per venire a Sinigaglia, per andare incontro al
^ Di qaesto fra Galasso tace il Matebazzo nelle Cronache di Perugia; parla di lui
il Cbistofanz nelle Storie d'Atsiti, voi. ii, pag 215, come di quello, a cui istigazione i frati
di San Francesco irruppero nel chiostro delle Clarisse a cacciare vituperosamente i frati
del b. Amedeo, messivi dal vescovo Coniugi a riformar la disciplina monastica assai rilas-
sata. Ecco il dispaccio delPArdlnghelli, pubblicato ne' Manoscritti Torrigiani donati al
JR. Archivio di Stato in Firenze, Cellini, 1878, pag. 13: « Siamo a Zi bore, et qui ò capi-
.tato un maestro Galasso frate conventuale di San Francesco, qual dice essere imbascia-
dore della Comunità di Perugia a* nostri Excelsi -Signori, et hammi mostro le lettere di
credentia. Afferma del certo la morte del Vitellozo, signor Favolo Orsino, Duca di Gravina,
et messer Liverotto. Il quando, si dice essere stato sabato ; et in questo modo, che essendo
il duca Valentino entrato in Sinighaglia, venne a lui il signor Pauolo Orsino, scusando
Vitellozo et li altri che per sospecto haueuono della sua Excellentia non si volevono ra-
presentare. Dice che il Duca con lieta faccia mostrò maravigliarsi di questa dilfldentia, et
commiseli subito andassi a trovarli, et per sua parte dicessi loro che e* venisseno ad ogni
modo, perchè e* li vedeva volentieri ; et che le iniurie erano perdonate. Andò el signor
Paulo ad trovare e* prefati signori, et per parte del Duca expose loro la imbasciata ; et
molto li exortò et pregò al condure in Sinighaglia. Vitellozo che era el più duro, si volse
ad uno suo allevato, chiamato Cesare, et dixe : Io ti racchomando questi mia nipoti, perchè
io conosco andare alla morte; et poi che cosi vi piace, io sono contento vivere et morire
con chi m' ha conlegato la fortuna. Partironsi et con pochi cavalli si transferirono in Si-
nighaglia; et scavalchati, n'andorono allo alloggiamento del Duca. El quale, inteso la ve-
nuta loro, si fece incontro ; et come li furono innanzi, si volse alla guardia sua et ad altri
deputati, e gridò forte : amaza amaza e' traditori. Le S. V. possono pensare che e* mancò
luogho alle ferite ». Il ms. urbinate della Biblioteca Vaticana, da noi spesse volte citato,
reca particolari della narrazione che combinano egregiamente con quelli introdotti nel rac-
conto del Machiavelli. Vitellozzo non voleva andare ali* incontro del Valentino, trattenuto
da sinistro presentimento ; ma « tanto Paulo finalmente lo persuase, che montato una mu-
letta, non hauendo alhora possuto auere il cavallo più volte da lui domandato » si fece alla
presenza del Borgia. Le accoglienze liete e fraterne del duca Cesare non gli vinsero l'animo.
« Erasi Vitellozzo già ritirato da lui c\im animo di non passare il ponte sopra la Nevola,
uè dMntrare in Senogaglia, ma di voltare più alto per le ripe del fiume, et truovato il vado,
passare alla gente sua, dil che aduedutosi Paulo, lo dissuase » (ms. cit., pag. 84-t).
* L*Alvi8I, op. cit., pag. 365, osserva: « Il Machiavelli, finché sta nella Corte ducale,
non mostra di negar fede al tradimento di cui anche giorni dopo gli discorsero Cesare e i
segretari suoi; ma ritornato a Firenze.... un mese dopo detta una relazione al tutto diversa
dagli stessi dispacci suoi ». Le considerazioni esposte sopra mostrarono le ragioni delle
differenze fra la prima e la seconda esposizione de* fatti che il Machiavelli fece; né quelle
differenze ci parvero recare diversità intera di cose, o di giudizi. Il Nrrri, op. cit., t. i,
pag. 199, nella « fredda indifferenza che respira dalla Descrizione » vide « il riflesso sin-
cero ed intiero della coscienza umana del tempo ». Il Vill^ri, op. cit., pag. 427 e seg.,
credè scorgervi un primo segno della dirittura intellettuale del Machiavelli a idealeggiare
nel Borgia il suo tipo politico, un impulso simile a quello per cui più tardi scrisse la Vita
di Castruccio Castracani. E a pag. 429 notò parecchie altre divergenze fra le date precise
che occorrono di certi fatti nelle lettere della legazione e quelle approssimative che s'in-
contrano nella Descrizione; segno che questa condusse secondo la sua propria memoria
de* fatti e non giusta l'esame delle lettere officiali, delle quali non gli restava copia.
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Goògle
JM2 CAPO SECONDO. [libro
duca, ch'ei fece come ultima dipartenza da quelle. Ai suoi
capi raccomandò la «uà casa e la fortuna di quella, e gli ni-
poti ammoni, che non della fortuna di casa loro, ma della virtù
de' loro padri si ricordassero ». — E celebra anche poco oltre
la virtù e la disciplina della casa Vitellesca, cosa che presso
al Borgia si sarebbe certo trattenuto dal fare. Pertanto è a
credere che in niun modo quella Descrizione si possa risguardar
come parte della legazione del Machiavelli al duca Valentino,
mancando di tutte le qualità che costituiscono il pregio e la
caratteristica delle altre lettere del Segretario in quella com-
missione; anzi, incontrandovisi elementi incompatibili con quelle
condizioni di persone e di tempi. ^ Né può parere che da quella
maniera di racconto Cesare Borgia esca in alcuna parte idea-
leggiato 0 magnificato, come nel Principe; egli anzi vi si raf-
figura, come nei Decennali^ in un basilisco che afiascina, che
attrae « fischiando soavemente », superbo d'avere dalla parte
sua il destino. È sempre piccolo, sempre volpe,^ non insorge
mai come leone, non offre mai un briciolo di grandezza;
si mostra « pieno di paura » in Imola, e in Sinigaglia pieno
di furberia feroce e fredda. Che cosa è dunque a credere che
sia quella Descrizione a cui manca l'esattezza della verità o
la caratteristica del romanzo, e che probabilmente la moderna
critica non vorrebbe ritener per genuina del Machiavelli, di quel
Machiavelli che scrisse i dispacci, se non ci fosse stata tra-
mandata autografa nella raccolta strozziana, se lo stile non ne
confermasse l'autenticità, se non avesse dato luogo a tanti
commenti, se non avesse fatto le spese del machiavellismo e
degli antimachiavellici? — E si noti che fra le carte dome-
stiche di Niccolò non doveva trovarsi, perchè non fu trascritta
né nell'apografo di Giulian de' Ricci, né in quello del Tafani,
che è alla barberiniana di Roma; comparve invece assai presto
per le stampe. ^
^ Le diversità ne* dati topografici che s* incontrano fra la descrizione fatta nella let-
tera e quella della narrazione, anno meno peso che non paia, essendo la distanza deUo
spazio dai monti al mare pel sentiero tra Fano e Sinigaglia in tutti e due gli scritti misu-
rala a vista. Solo apparisce nella narrazione, che il Machiavelli à vinto colla pondera-
zione r impressione prima, o eh* egli à potuto attingere informazioni migliori. Così, per
esempio, nella lettera scrive che. in alcun luogo della via, i monti si stringono col mare in
modo « che da le radice ad le acque non sono 30 braccia di spazio, e el più che si allar-
ghino non è tanto terreno che un mezzo miglio non sia pia ». — E nella descrizione riduce
la strettura a « uno brevissimo spazio », e il maggior largo alla « distanza di due miglia ».
Né e* è contraddizione, se in questa descrive il Misa come « un piccolo fiume » e poi nella
lettera lo dice « un fiume grosso »; poiché in dicembre il Misa, ingrossato dal Nigola, può
parere considerevole; né un fiume per esser grosso cessa dal restar piccolo.
* Primieramente nella edizione romana del Biado del 1531-3S colle Istorie fiorentine.
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MCOHDO] REPUTAZIONE DI mCCOL(y ACCRESCIUTASI. »»
Ora forse dal cominciare a dar molto minore importanza
alla questione potrebbe aprircisi la via ad una soluzione pos-
sibile. Esaminiamo la condizione di Niccolò, rispetto al suo uf-
ficio di cancelliere, dopo la. legazione al Valentino. Certo la
simpatia popolare non si era accresciuta per colui che, man-
dato com« per transazione al Borgia, quando la città non va-
leva a questo in nessuna maniera far onore d'un ambasciatore,
era poi stato testimonio della perfidia duchesca. Se non che in
quest'occasione difficilissima tutta la sagacia, la prudenza, l'uti-
lità degli avvisi del Segretario fu apertamente riconosciuta dai
Signori, dai Dieci, dal gonfaloniere, dalle Pratiche. — < Il di-
scorso vostro et il ritratto, gli scrive Niccolò Valori, non po-
trebbe essere suto più approvato; et cognoscesi quello che
sempre io in specie ò cognosciuto in voi, una netta, semplice
et sincera relatione sopra che si può fare buono fondamento.
Et io in verità discorrendola con Piero Soderini ne paghai il
debito tanto largamente quanto dire si potessi, dandovi questa
lode particulare et peculiare ». ^ E altra volta: « volessi Idio
che ongni huomo si governassi come voi, che si farebbe manche
errori ». ^ — Niccolò pertanto si trovava accresciuta riputa-
zione nell'ufficio e riconosciuta autorità di consiglio. Della
prudenza di lui, del suo parere si faceva caso; si desiderava
U Principe, la Vito di Cculruecio, i Discorsi. Questa circostanza estrìnseca, d^essere cioè
Qscita in luce prìmieramente insieme ad opere di natura tutta diversa, menò i crìtici al
dirisEone di cercare in quel componimento quel che non vi poteva essere.
* Bibl. Naz , doc. M., busta iii, n. 17. N. Valori egregio viro Nicolao Machiavelli se-
eretario degnissifno aU'Ill.mo duca Valentino, a* di xrd*ottobre 1502. Ibid., busta ni, n. 22,
a* di xnij. Agostino Vbspucci gli scrive : « Heri mane dum letteras per x scriptas Petro
Soderìno recitarem dumque ipso quampluries eas inter legendum mussitarem, inquit tandem :
antographus hic scriptor multo quidem pollet ingenio, multo judicio praeditus est ac etiam
non mediocri Consilio ». — E di nuovo il Valori, a di 31 (busta in, n. 24) : « Ho soppe-
rito in pnblico et in privato di fare cognioscere le opere vostre, quae nihilominus pre se
lucere : queste due ultime lettere ci hauete mandate v' è suto tanto nervo, et vi si mostra
81 buono iudicio uostro che le non potrebbero essere state piili aprovate et in specie ne
parlai allungo con Piero Soderini che non iudicha si possa a nessun modo rimuovervi di
costi ». — E il medesimo, a' di 28: « Gli aduisi vengono da voi non potrebbono essere più
approvati, ma a parlare come sogliamo, si desidererebbe scrivessi più spesso, ancora si
pensi non sia senza cagione ».
' Bibl. Nas., doc. M., busta ni, n. 18. — Della condizione della Cancelleria, durante
l*assenza del Machiavelli, le lettere del Bonaccorsi, del Vespucci, di Bartolomeo Rufflni,
ótiaDO idea sufficiente. Il Soderini ne piglia cura particolare, e « poiché intrò in Palazo,
pare si sia omni cosa cominciata ad indirizare, et di già ha dato principio di volere che le
fkccende si faccino ad buon ora, perchè la mattina a 18 bore et la sera ad 3 omniuno
sbuca» (B. Bonaccorsi al M., Bibl. Naz., doc. M., busta in, n. 26). — In altra lettera del
Bonaccorsi « Plorentiae die v novembris 1502 » troviamo fatta menzione della riconferma
de* cancellieri, e accennato a qualche difficoltà o guerrìciattola che al Machiavelli si pre-
parava: « El tempo della rafferma ne viene forte, et io Yion piglierò già cura per voi di
andare ad dire dello albero, et de fructi, et delle mele, et della m...., perchè non lo farò
per me, et anche non satisfarei; pensate ad questo che importa » (ibidem). — E altrove:
« Voi staresti meglio qua, perdonatemi che Taffectione mi fa parlare ».
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M4 CAPO SECONDO. [libbo
anzi che altri a quello partecipasse. E il Segretario, nella
cui mente s'andavano man mano sviluppando nuove idee poli-
tiche, nuovi precetti in opposizione a quelli vigenti, cercava
di poterli recare innanzi agli occhi di chi governava, appog-
giati all'esperienza, confortati dall opportunità. Poco prima egli
aveva sostenuto contro i politicanti empirici che Pistoia non
era a tener colle parti; poi nella repressione della ribellione
d'Arezzo aveva cercato persuadere che i nemici si conviene
vezzeggiarli o spegnerli; ora, stendendo una relazione delle
cose di Sinigaglia, non diversa né nello intendimento, né nella
qualità da quella « de rebus pistoriensibus », ^ da quelle che
scrisse poi delle Cose di Francia, e di Lamagna, cercava
menare la mente de' magistrati a principi, che poi troviamo in-
corporati nelle dottrine politiche di lui.
« Guidubaldo duca di Urbino di nuovo si fuggi a Ve-
nezia, avendo prima fatto minare tutte le fortezze di quello
stato, perché confidandosi ne' popoli, non credeva che quelle
fortezze, ch'egli non credeva poter difendere, il nemico occu-
passe, e mediante quelle tenesse in freno gli amici suoi » ^ —
« non si debbo offendere un principe e poi fidarsi di lui » ; ^
ecco gli ammaestramenti che escono dalla relazione di Sini-
gaglia; ecco il primo apparire di quelle massime che Niccolò
commenta poi nei Discorsi e nel Principe, avvalorandole di
questi medesimi esempi. Ora, quando la detta Descrizione del
Machiavelli si riduca all'importanza di quelle altre sopracci-
tate, sarà maraviglia se in quella, come in queste, ci abbat-
tiamo in inesattezze di particolari; se in quella, come in queste,
il sentimento morale si suppone abbastanza determinato dalla
natura stessa delle cose, si che non sia mestieri per lo scrit-
tore, anzi non sia conveniente pel cancelliere pretendere di
dirigerlo in chi dovrà avere alle mani l'opera sua? Questa
^ Bibl. Nas., doc. M., basta i, n. 11. — È la Relazione di Pistoia che dal Machiavelli
fu precisamente intitolata a questo modo. Le Cose di Montepuleiaf%o si trovano copiate
negli apografi tratti da quelli di Giulian de* Ricci, insieme a* Frammenti storici. V. edizione
Passerini-Milanesi, voi. ii, pag. 81.
> Machuvblli, Descrizione del modo tenuto dal dt*ca Valentino, ecc. Cf. il Principe^
cap. XX ; Discorsi, cap. xxiv. Questa decisione del duca d* Urbino era così nuova, che parve
eroica. La Cronica, ms. urbinate, cogniu sotto il titolo di Commentaria quarumdem ter-
rarum, ecc., scrive: « Fu gran difficoltà nelle fortesse; diceva ualere i cuori degli uo-
mini » — Cf. Ugolini, Storia dei conti e duchi d'Urbino, lib. ix, pag. 409. — ^au)!,
op. cit., t. Il, pag. 63-64. Rbposati, Della zecca di Oubìno e delle geste de' conti e duchi
d'Urbino, t. i, pag. S48-349.
* Cf. Machiavelli, Discorsi, lib. in, cap. xvii.
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SBCONDO] IL MACHIAVELLI TORNA A FIRENZE. S65
è l'ipotesi nostra, e altri vegga se può parere proporzionata.
Ora, ripigliamo i fatti.
Quando le lettere del Machiavelli furono ricevute a Fi-
renze, la notizia dell'evento utile, la potenza nuova acquisita al
duca Cesare, collo spezzamento deUe armi de* condottieri i più
stimati in Italia, persuasero i Fiorentini a nominare un ora-
tore di grande reputazione al Borgia. Fu eletto Jacopo Sal-
viati^ che accettò e si mise in via subito.
Niccolò cessa pertanto l'opera sua e s'apparecchia a prender
congedo. Accompagna ancora il duca a Gorinaldo, ad Assisi, a
Torciano, ne* pressi di Perugia, a Città della Pieve. In viaggio
riceve nuove confidenze dà lui: « Tu sai quanto io vo' bene con
quelli tuoi Signori per reputarli uno de' primi fondamenti allo
stato mio in Italia, e per questo li andamenti miei e mie opere
intrinseche ed estrinseche non li anno ad esser nascose. Tu
vedi in che termine io mi trovo con costoro ch'erano inimici
comuni de' tuoi Signori e miei, che ne sono parte morti, parte
presi, parte o fugati o assediati in casa loro; e di questi ò Pan-
dolfo Petrucci, che à ad esser l'ultima fatica ad questa nostra
impresa, e securità delli stati comuni; el quale è necessario
cacciare di casa, perchè conosciuto al cervello suo, e' danari
può fare e il luogo dov'è, sarebbe, quando restassi in piede,
restata una favilla da temerne incendi grandi; né bisogna ad-
dormentarsi in su questo, anzi totis viribus impugnarlo. Io non
fo il cacciarlo da Siena difficile, ma vorrei averlo nelle mani,
e per questo il papa s'immagina addormentarlo con li brevi,
mostrandoli che li basta solo che li abbi e* nemici suoi per
inimici ; e intanto mi fo avanti con lo esercito ; ed è bene in-
gannare costoro, che sono suti li maestri de* tradimenti ». Questa
sciagurata sentenza è indice della moralità -di tempi calamitosi
e svergognati, in cui il segno più parvente della giustizia eterna
è lo spegnimento del male per mezzo del male; e il terrore della
caduta de' pessimi il più volgare argomento della provvidenza
divina.
Se mai fu coscienza che al Valentino non mancasse, questa
si fu quella de' suoi propri tempi; fu l'intuizione di certi fini
cui era forza arrivare, di certe modificazioni alla vita civile
de' popoli, necessarie, prossime, conseguibili solo in età nelle
quali molto s'intenda, molto s'interpreti, poco si creda, e la
contemplazione altissima e certa di quel che è giusto o ingiusto
s'abbassi sotto a quella sempre meschina e sempre instabile
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£66 CAPO SECONDO. [libbo
di quel che torna a conto. Allora, quando l'ordine sociale è
scosso e il costume offeso, s'incontra chi, come il bastardo di
Gloster, rompendo ogni legge, saluta la natura ^ di cui si fa
schiavo, e ripete da lei gl'impulsi propri. Cosi il Valentino,
prima assai che l' Hegel ravvisasse nello spegnimento delle feu-
dalità una necessità istorica con mezzi indegni ma proporzionali
soddisfatta; prima che ilCastelnau^ raffigurasse in lui uno stru-
mento provvidenziale ; s'era sentito tale da per sa stesso, e l'avea
detto e scritto: <mutatione temporumjura varianturhumana*.^
Egli, l'uomo del giorno, il figlio della fortuna ^ non conosce di-
ritto storico, prova le forze e compisce le rivoluzioni; va in-
nanzi senza rispetti, come chi serve alla fatalità, e poi dell'opera
sua s'aspetta compenso, dimentico della via che à battuto, delle
vittime spente, degli odi eccitati. « E indica, cosi riferisce Nic-
colò, che un pontefice nuovo sia per esserli obbligato, non si
trovando servo delli Orsini o de' Colonnesi, come sono sempre
suti e' papi per lo addreto ».* — Quello che resta a fare, gli
sembra « fuoco da spegnerlo con una gocciola d'acqua ». -^ Or
vedrem noi che specie d'obbligo il papa nuovo gli saprà avere.
Se non che Niccolò tornandosi in patria, di quel terribile
duca portava pieno l'animo, commossa la fantasia. Ripensava la
moltitudine d'uomini che aveva veduto aggirarsi intorno a quel-
l'uomo solo, e sparire come nebbia, per sottigliezza di quel-
l'uomo si lungamente tacito e celato; e, sapendo quell'uomo
già intento a distender la sua forza contro una cerchia più dif-
fusa d'uomini e d'ostacoli, Niccolò pensa che l'opera che in
Francia fu di un re, e di Luigi undecime, in Italia possa es-
* Cf. Sbaxspbabb, King L^ar, atto !<>, se. 2*:
« Thoo, nature, art roy goddess; to thy law
My Services are bound ».
* Heobl, FQotofia della storia^ parte iv, ses. 2". — Castblnau, Za fàune poUiiqué
«C MàeMavel, nella RevtM de pMloaophie positive^ 1877, n. 3, pag. 474 : « Cesar n*étalt
bon gre mal gre, qoe rinstmment providentiel dea conquétes militaires do Saint Siège
qne le précurseur de Jules II. C'est le cas, oa jamais, d*user de ce terme. Si Ton Toit l'oea-
vre de Dieu dans la royauté temporelle du Siège romain, le coup d'état qui se prépare,
Phomme qui va frapper ce coup, sont prowidentiels, car ils avanceront terriblement cette
création politique ».
* V. Capitula, f»rivUegia et gratiaet eie., concesai dal Valentino al Comune e al po-
polo d* Imola, pubblicati dairÀLvxsi, op. cit., pag. 469.
* Nella Cronaca del Matbrazzo, pag. 2SS: « Et astrolage et nigromante et descrive-
vano fUium Foriunae ». Porse piCi che gli astrologi erano gli ellenisti a designarlo con
quesVappellaxione, alludendo ai versi di Sofocle con cui Edipo tiranno glorifica se stesso
(▼. 1060-81):
ì^ù ^'ijMiuTdv waWa rfts Tuxias vI|aqv
tT^C sO ^t^OUOYig OOX &Tt|AaO^(70|Mlt.
< Macbiavblli, Lega», al Valentino, Lett. 88.
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wtcoKDo] IMPORTANZA STORICA DI CESARE BORGIA. 267
sere di questo bastardo rampollo papale, non nato presso al
irono, non lusingato nella prima sua vita da speranze o da ma-
gnificenze regali, ma destinato a goder l'appoggio d*una corona
e d'una tiara, e a giocarsi dell'una e dell'altra. A costui tocca
ferire il cuore della tirannide signorile, fitta sulle capanne e
sulla città; a costui domar l'orgoglio delle castella, strangolare
i gentiluomini, chiamar fuori d'ogni casa i difensori de' foco-
lari patrii, ragguagliar la moltitudine sotto una legge ; armare,
purgare e liberare la Romagna, forse l'Italia. Egli sa fare e
disfare uomini, mutare coll'opportunità ; cominciare le imprese
colle forze d'altri e terminarle colle proprie; lasciarsi cascar
di dosso le armi ausiliarie, che son quelle che opprimono ; vol-
tarsi sempre ove importi; e se tutto quel che lo circonda è cor-
rotto, quell'uomo solo à buona proporzione con tutto.
Il Machiavelli non dubita che quegli non sia lo strumento
della fortuna; ma lo vede incontro alla fortuna accorrere con
una prudenza infinita. Il re di Francia non sa dove sbocca, aiu-
tandolo; la Chiesa che al suo gonfaloniero à messo le armi in
mano, non sa che potenza fonda : egli va dove vogliono i cieli.
Non à la virtù di Francesco Sforza, che diventò, di privato,
duca di Milano; ma, fosse egli stato al luogo del Moro, non
sarebbe piombata in Italia tanta illuvie barbarica, non avrebbe
egli perduto lo stato, e l'avrebbe tolto a chi non lo reggeva
che colla reputazione; che non è a petto di costui che si vive
di credito.
Cosi quell'esempio vivo del duca, rispondente coli' ipocrisia
e colla forza alla fiacchezza e alla tristizia de* tempi, aiutava
Niccolò Machiavelli a idealeggiare quasi la realtà, a formare un'o-
pera d'arte, ch'avesse suo fondamento nell'osservazione della na-
tura umana; a immaginare un signore, il cui studio assiduo fosse
coiraccortezza e colla potenza, colla cautela e coU'ardire, as-
sicurarsi della fortuna, tenersela ancella, mutar modi quand'essa
li muta, non abbandonar lei per la virtù, tanto più che la virtù
si tien paga a non sapersi spregiata. A questa guisa 1* intelletto
finamente artistico del politico fiorentino moveva a foggiarsi
nella fantasia, come per via d'estetica, e ad incarnare con re-
gole di politica il filium fortunae degli astrologi, e a supplire
con provvidenze umane la luce che mancava alle pupille cieche
della sorte. A questa specie di lavorio lungo e ardito del can-
celliere di Firenze, Cesare Borgia valeva non solo come il meno
imperfetto dei modelli reali, ma come primo impulso, come prima
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I
268 CAPO SECONDO. [i.
ispirazione all'opera ideale; però nella memoria gli rimase fermo,
quasi efSgie marmorea lungamente contemplata con amore d'arte;
all'intelletto gli s'affacciava mobile sempre, mutabile sempre, os-
servabile sempre; col cuore lo abominava come uomo che non
conosceva umanità, come un « ribellante a Cristo ». *
Così lo vide ancora crescere e prosperare per qualche
tempo: i Baglioni ne tremarono, Pandolfo Petrucci fuggi da
Siena, l'armi spagnuole che trionfavano per tutto il reame di
Napoii parevano aggiunger nuova fortuna e grandezza all'au-
dace figlio del pontefice spagnuolo; il re di Francia pareva
impiccinire a quella nuova potenza; chi aveva già sperato in
lui era per voltare le speranze altrove. Piero de' Medici, che
avea accomunata la sua sorte a quella delle armi francesi, af-
fogava nel Garigliano: Firenze, usa a tremar sempre, qualunque
sorte mutasse la penisola, non ebbe finito di temere l'antico
nemico della libertà, che cominciò a spaventarsi del nuovo. Le
pareva già che quell'irrefrenabile Valentino che avea dato ad
intendere come altra volta Vitellozzo avesse tentato, contro
sua voglia, farlo re di Toscana; stesse questa volta davvero e
con tutte brame per ingollare Marzocco. ^ Dietro a lui gli stati
de'Colonnesi e degli Orsini, Città di Castello, Imola, Forlì,
Faenza, Rimini, Pesaro, la Romagna, il ducato d'Urbino, Ca-
merino, Fermo, gran parte della Marca, Piombino e Perugia
s'erano aggregate e unite come per affinità naturale. ^
Firenze impaurita s'aggrappò di nuovo a Francia, s'ingrossò
^ Machiavelli, Decennale I.
* Machiavelli, Decennale I, v. 429.
I s Bibl. Vatic, ms. vat. 3351, pag. 15-16:
« Caesar ades, rerum fastigia summa sequemar
Facta minora tuis animis regnisque futuris,
Tu Fora Comelii superas, Fora fortia Livi
Qvosue lavat Rubicon, quosve abluìt unda Pisauri
Succubuitque altis minitans Senogallia muris.
Contiguas horrens acies compascuit undas
Adria, nac tollit fluctus, sed subsilet aequor.
Nereidesque vagae et placidis Neptunus ab undis
Exerudre caput, figuntque in Caesare vultus.
Herculeas Macedo metas forte attiget; aufers
Borgia, Pelleo es major; Macedoque fatetur.
Tu domitas claros comites, fortesque Sabelloa,
Tu perusina fugas vel tantum nomine castra » ecc.
Cosi Evangelista Maddalbno dei Capodifbbbo, il quale in margine a questi esametri an-
nota: « Solebat sa jactare Alexander VI pont. max. se caeteris praestare pontificibns,
quod familias Baronum eiecisset, quod multi ante se frustra conati fuerant, idque Inter
suas laudes puUbat maximum ». Cf. ^uuta, Annale» de la Corona de Aragona, lib. ▼.
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secondo] morte D'ALESSANDRO VI. 209
d'armi ausiliarie e condotte « credendo più sicura star cosi », ^
e poter riuscire a dare il guasto ai ricolti di Pisa, giacche altro
danno non poteva fare a quella città indomita. E mentre tutti
si stavano in attesa delle mene borgiane, mentre s'aspettava che
inclinazione decisiva queste fossero per dare alle cose d' Italia,
su per gli ameni vigneti di Monte Mario s'inoculava per le vene
a papa Alessandro e al Valentino il veleno occulto della febbre,
non computato dai politici fra i potenti della terra; e li tra-
diva insieme, come nessun uomo avrebbe potuto, distendendoli
in letto, senza difesa avanti a una miriade di nemici assetati
di vendetta.
1 Machiavelli, Decennale I, 432. A questo tempo (mano 1503) è a riferire Tesorta-
zione del Machiavelli pubblicata già nell'Antologia di Firenze (luglio 1822) intitolata:
« Parole da dirle sopra la prouisione del danaio facto un poco di proemio e di scusa »
(Bibl. Nas , doc. M , busta i, n. 77). Probabilmente ebbero a esser dette nel Consiglio grande,
ove, quando si mandava a partito un progetto di legge o d'imposizione, deliberato già dai
Signori e Collegi, studiato e formulato dagli Otto Fermatori di legge, approvato dal Con-
siglio degli Ottanta a maggioranza assoluta di voti ; da un segretario « salito in una aringa
o bigoncia», come allora dicevasi, veniva presentato e letto. (Oiannotti, Discorso sul go-
verno di Firenze). — In queste Parole àe\ Machiavelli si fa chiara allusione all*approvazione
già ottenuta degli altri membri del corpo legislativo dello stato*; e il titolo di prestanze
dato agli ascoltatori e il modo del discorso assai popolare persuade che questo ebbe a
esser detto in Consiglio grande. La qualità dell' imposizione non viene messa in disputa,
né lodata siccome buona; bensì affermata come necessaria. E circa le difficoltà di vincere
in queste condizioni della repubblica le provvisioni del danaio^ dà lume maraviglioso un
passo àeW Apologia de' Cappucci, loc. cit., pàg. 279. — Il Machiavelli ragguagliando nel
suo discorso Io stato di Firenze, attorniata da insidie ed improvvida, con quelle di Costan-
tinopoli assediata da Turchi e mal sollecita alla difesa, pone il primo germe della grave
sentenza che profferì poi ne* Discorsi (lib. ii, prologo) : « chi nasce in Italia e in Grecia, e
non sia divenuto o in Italia oltramontano o in Grecia turco, à ragione di biasimare i tempi
suoi e laudare gli altri ».
Nell'aprile del 1503, quando i Fiorentini furono stimolati dal papa e dal duca Cesare
a « fare amicizia e lega con loro e con tutti li altri di casa Bolgia », mandarono a' di 26
Niccolò Machiavelli in commissione a Pandolfo Petrucci, tornato in Siena già a' 29 del marzo
precedente col favore del re di Francia e l'amicizia de* Fiorentini, per significargli la cosa.
In questa commissione Niccolò non scrisse lettere. La deliberazione della Balia senese
de* di 28 d*aprile, citata dal Pscci {Memorie st. crit. della città di Siena, i, 196), fu pub-
blicata nell'edizione Passerini-Milanesi (M., Opp., ii, 294-5). Le congetture che questi so-
lerti editori accamparono circa la famigliarità contratta fra il Machiavelli e i Borgia, ar-
gomentandola dal mandato di cattura del Troches d*ordine del Valentino, autografo di
Niccolò (Bibl. naz. fior., doc. M., busta i, n. 1), non à buon fondamento. Quell'autografo,
come ben riconobbe il Villari (ìV. M. e i suoi tempi, voi. i, pag. 442), è copia del docu-
mento autentico ; non è autografa del Valentino la firma Caesar; manca la controfirma del
segretario Agapito, indispensabile ad autenticare il documento ; e questa si trova in altri
documenti consimili, anche ove l'arbitrio personale e il segreto pare esser maggiore. Ci-
tiamo, ad esempio, dal ms. chigiano R, v. 6, pag. 157, un mandato del Borgia « datum Rome
in palatio aplico xxv januarii a. d. m.d.ii, al nostro dilecto familiare et commissario Pepo
de la Corbara * in cui lo deputa « spetiale commissario ad pigliare quelle persone, quali
a bocca ne avemo commesse, et conducendole dove per nul v'è ordinato ». Nel medesimo
ms., a pag. 187, si trova una patente autografa di N. M. a favore di Bartolomeo di Gio.
Boria « ex palatio fiorentino die xx martii m.d.v. Nich. Maclavellius ». — Circa l'arresto
del Troches e la cagione che lo determinò, v. Bomaccorsi, Diario^ 78 ; Cabpbsanus, Com'
Vieni, suor, temporum in Mabtbnb «Doband, scriptores, t. v, col. 1255; Rankb, Oeschichten
der romaniscìien und germanischen Volker, pag. 169. — Nella buona fortuna de* Borgia
non v*ha traccia d'altra relazione fra loro e il Machiavelli.
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«70 CAPO SECONDO. [libm
Il pontefice ne mori come un cane. ^ Il Valentino tanto lottò
con quella morte vile, che riusci a sfuggirle, ma l'agonia gli
consumava il tempo utile a far provvedimenti, e s'egli campò,
fu solo per sopravvivere alla fortuna sua.* Da questo momento
l'infamia si congiunse al nome di chi cessava d'esser potente.
L'odio scaltro de' Veneziani, la cupidigia non satolla e la viltà
non più trepida e imbaldanzita di cerimonieri e curiali, i di-
stici pettegoli d'accademici servili, pasciuti alle mense di baroni
e di condottieri, il sarcasmo di plebei saettarono tutti contro
il nome dei Borgia, temuti e adulati fino allora con ossequio
pauroso e senza fede. Come non avessero colpe suflScienti e
pubbliche, se ne apposero loro segrete; si credettero le impro-
babili, se ne spacciarono nefande; si composero fiabe e leg-
gende per architettare anche nella loro caduta una perfidia
di catastrofe. ^ Cesare, chiamato da Giovanni Antonio Flaminio
« heroids parem temporibus et cum omni vetustate compa-
randum>,^ esaltato dagli epigrammi dello Sporule, « colente
materia > ad ogni occasione, ^ dallo Justolo, dal Maddalene
celebratissimo, salutato
domitiator ubique,
Sj/deribtis tutua, fati» et tutu» amiciSf *
* Cf. Okegobovius, GBschichte d€r Stadt Rom, vii, pag. 494 e seg. — Il Bbltbaiydo
{Archvoio di Modena) scrive in data 14 agosto : « Heri seri per bona via intesi che Sua Sant.
vomitò el sabato una colera cirina et non senza alterazione di febbre. Lo 111. signor Duca
sta molto grave con due tertiane et vomito et passione di stomacho ». — Il Parenti, nelle
sue Storie mss. scrive : « Circa a* di 14 il pontefice cascò in febbre et trattosegli sangue
per consiglio de medici, non li fu proficuo ». — Idem : « Raggravando il pontefice final*
mente a' di xviii circa bore 81 passò di questa vita ». — E non fa alcun cenno della ma-
lattia del Valentino. Una lettera del Mannelli fra le carte sforziane (Arch. fior., f. 250) fa
morto non solo il papa, ma anche il cardinal Romolino, cioè « quello che si trovò qui com-
missario del papa quando fu arso frate Girolamo ». — E del duca accenna com'egli «la
borabat in extremis ».
- * Qdbita, Annales de la Corona y Reyno de Aragona^ t v, pag. 207. — « Mas todos estos
presupuestos, y aquel nuovo reyno, que el Duque de Valentinoys se imaginò que aviua de
adquirir, y fundar de nuovo in Italia, se desbarataron presto, por la muerte del ponte-
fice». —
* Il marchese O. d*Adda pubblicò neir ArcT^. stor. lomh., 1875, anno ii, pag. 17 e segg.,
una curiosa poesia popolare, scritta in un linguaggio che è « un miscuglio di molti dia-
letti deir Italia settentrionale », rimata per ottave. È intitolata: Questa si è la morte di
papa Alexandro sesto. Pare stampata a Venezia verso il 1508. Racconta la famosa sto-
riella dell'avvelenamento. L'editore la suppone opera d' Eustachio Celebrino, autore d'altri
simili poemetti politici volgari. — Come si lasciasse andar libera la fantasia a coniare sto-
rielle circa l'avvelenamento dei Borgia, veggasi nella quinta fra le Novelle di Fbancesco
Vettobi, ed. Lucca. 1857.
* Cf. Alvisi, Cesare Borgia, pag. 466. — Gio. Ant. Flaminio, Epp., 1499.
» Fb. Spebuli, De laudibus Caes. Borgiae, poema; et Epigrammata (Cod. vat., 5805,
pag. 32). — Un epigramma di sei versi dello Spbeulo fu compensato dal Valentino con
una pensione annua di cinquanta ducati.
* Cf. GBBGOBovros, Geschichte der Stadt Rom, voi. vii, che allega questi ed altri esa-
metri d'un cancelliere del Comune di Fano.
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ascoHDo] INFAMIA DE* BORGIA. 171
porterà addosso gli endecasillabi del Sannazaro che gì' infa-
mano la sorella ; ^ e lui e la sorella e il padre terranno sui
teatri il loco de' Tiesti e degli Atrei moderni. * La salma di
papa Alessandro, senza onor di sepolcro, non avrà neppure
per insegna il meno ingiusto epigramma dell'accademia. ^
1 Cf. Sannazaki Epigr., lib. i, n. 15:
« O Tauro, praesens qui fugis periculum ».
* L'Ugolini, Storia dei conti 0 duchi d'Urbino, t. 11, pag. 128, cita dal ms. urbinate
dei Commentario quarundem, la seguente notizia : « A li 19 (febbraio 1504) di innedi, si
fece la sera, in sala del signor duca, la commedia del duca Valentino e di papa Ales-
sandro VI, quando ebbero pensiero di occupare lo Stato al duca d* Urbino ; quando man-
darono madama Lucrezia a Ferrara; quando invitarono la duchessa alle nozze; quando
-vennero a togliere lo stato ; quando il duca d* Urbino ritornò la prima volta, e poi si parti ;
quando ammazzarono Vitellozzo e gli altri signori ; e quando papa Alessandro si mori e
il duca d' Urbino ritornò nello stato *. E aggiunge molto saviamente : « Ecco Lucrezia
Borgia esposta nelle scene fin dal principio del secolo xvi, e forse con più verità che nei
drammi o romanzi moderni ».
* La salma d'Alessandro VI giace ora con quella di Calisto III senza alcuna onoranza
in una stanzetta presso la sacristia della chiesa spagnuola di S. Maria in Monserrato.
L'epigramma cui s'allude è di Fausto Maddalbno Capodifbrro (Cod. vat., S119, pag. 55,
cancellato) :
* D. D. Aleocandri VI pont. mate.
« Quis iacet heic? vitium ac virtus simul esse queunt haecf
Caetera qui potuit, hoc quoque Sextus agit.
Qui tot virtutum fuerat, tot plenus honorum
Tot plenus scelerum dedecorumque fuit ».
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Capo Terzo
IL MACHIAVELLI E LA CORTE DI ROMA.
Chi considera queste cose di Roma, come
le stanno, vede che ci si maneggia tutta la
Importanza delle cose che girano al presente.
(Macdiavrlm, Prima eommissìona
a Roma, lett. 30).
Tornatosi Niccolò a Firenze, trovò non poco mutato Ta-
spetto e la consuetudine del Palazzo. Il Sederini vi aveva ac-
comodato stanze per sé, occupando quelle dei Dieci, e quella del
cancelliere delle tratte; facendo aggiustar piante e fiori sul
ballatoio, ove davan le camere di madonna Argentina, sua mo-
glie. Erano mutamenti piccoli, ma invidiosi, e la gente ne moir
teggiava; che prima d'allora non s'eran viste ne gentildonne,
ne donne in palazzo; ora la repubblica pareva cosi essere
quasi infeminita e il malcontento levava a clamore i pette-
golezzi.
Di questo malcontento parziale, seguito subito all'elezione
del gonfaloniere, non si erano nascosti gì' indizi al Sederini fin
dai primi giorni del suo arrivo a Firenze; né gli si dissimularono
nemmeno alle prime feste fatte per la nuova dignità di cui
era stato rivestito. ^
Egli aveva, in quest-occasione, splendidamente convitato
i cittadini più autorevoli, nel giorno; nella sera, quelli di minor
conto. Ma a quelle mense Bernardo Rucellai e Lorenzo di Pier
Francesco Medici avevano ricusato intervenire; i Salviati, i
Guicciardini, i Pazzi si strinsero con quesli e cominciarono a
preparar fin d'allora una fazione avversa al gonfaloniere, ostile
1 Cf. GincciARDiNi, storia di Firenze. — Nardi — Pitti — Nebli — Pabbntt, mss.
Razzi, Vita di Piero Soderini.
ToMMA.siM - Machiavelli. 1^
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t74 CAPO TERZO. [ubro
a quella repubblica, che non sapeva saziare l'ambizione loro;
contentandosi volentieri d'esser designati e odiati quali uo-
mini maioris momenti, o «maggiori momentanei», come scher-
nevolmente li chiamava la plebe. ^ Al gonfaloniere, per contrario,
si diedero in anima e corpo certi giovani, come Francesco
Gualterotti, Bernardo e Alessandro Nasi, Anton Canigiani, Nic-
colò Valori, Alessandro Acciajuoli, Anton Pandolfini; sia che
loro paresse bello spiccarsi da' vecchi bottegai dello stato, sia
che sperassero battere migliore strada colla libertà popolare
e col Sederini.
Questi, entrato in palazzo al novembre, aveva già all'aprile
prossimo eccitato tanta scontentezza ne' cittadini, che i nemici
poterono ostentare la baldanza loro e accusarlo che sotto co-
lore di popolarità cominciasse a governare d'arbitrio; tanto
che un uomo, per quel che riferisce il Parenti, « di buona
vita et discretione » andò a lui, e « significolli come 1' univer-
sale si tenea mal servito et avvertillo de' pericoli portava in
procedere così; et se non li bastava l'animo a governare altri-
menti, rinunziasse et tornasse privato ». ^ — Piero tollerò l'uomo
e il discorso di lui, rispondendo che lo stato, di cui egli era a
governo, somigliava ad una figura, abbozzata da buon pit-
tore, ma lasciata poi incerta e incompiuta nelle membra sue;
che nella testa meglio condotta, accennava il principio della
bella intenzion dell'artefice, ma l'intenzione non bastava alla
perfezione finale dell'opera: si desse tempo ed agio, e tutte le
altre membra comparirebbero acconce.
Sotto a questa risposta sottile il gonfaloniere dissimulò la
gran collera per la visita e la proposta di quell'uomo; e tanto
dissimulò, che pochi soli, e tra' più fidati suoi, s'avvidero dello
sdegno.
Il Machiavelli intanto, tornatosi alla cancelleria, teneva
la mente vòlta ad un proposito, in cui era la miglior parte del
frutto riportato da lui nel contatto col Borgia. Comandare un
uomo per casa, per farne non già marraiuoli, ma veri e utili
soldati, vedemmo come fosse opera del Valentino in Romagna.
Il Segretario allora aveva raccolto dati precisi sulla spesa che
dall'ottobre al novembre era costata la soldatesca al Valen-
tino (più che sessantamila ducati, secondo informazioni dello
* Pitti, Apoljgii de* cappucci, pag. 313.
* Parenti^ inss.. anno 1503, e. 40 1.
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«ECONDo] ROVESCI FRANCESI NEL REGNO DI NAPOLI. 275
Spannocchi, tesoriere) e: « vedano, aveva egli scritto, ai Si-
gnori, vedano che quando uno è messo in disordine, egli non
spende manco, né è anche servito meglio dai soldati; e che
•chi è armato bene e di arme sue, fa i medesimi effetti do-
vunque si volta >. ^ Poi tornato, nell'arringa a' cittadini in
consiglio, presentando la provvisione per le nuove imposte, ri-
pete: «chi à osservato le mutazioni de' regni, le ruine delle
Provincie e delle città, non le à vedute causate da altro che
dal mancamento delle armi o del senno. Dato che le pre-
stanze Vostre mi concedine questo essere vero, come egli è,
seguita di necessità che voi vogliate che nella nostra città sia
l'una e l'altra di queste due cose, e che Voi ricerchiate bene
se le ci sono, per mantenerle, e se le non ci sono per prove-
derle ».-
Per buona sorte, Piero Sederini era riuscito in quell'istesso
mese d'aprile, malgrado le resistenze e gì' intrichi degli otti-
mati, a vincere, per vie straordinarie, l'elezione a commissario
generale di Antonio Giacomini. Questi, mandato a dare il guasto
ai raccolti pisani, doveva riuscir potente alleato di Niccolò, perchè
i Dieci sentissero la miseria di quelle armi di cui si valevano ;
la necessità di ordini migliori che salvassero da ruberie non
meno i soldati che i signori. — « Fra i conestabili - egli scrive
- e' n'è tale che dalla prima paga da poi siamo in campagna,
alla seconda, à sminuito a' fanti settanta ducati.... lo, per avere
saputo più anni sono, questi lor modi, sono stato e ne sto mal-
contento, se non ci si provvede; che, oltre al danno e pericolo
di mai non fare cosa buona, ci è il carico, anzi il vituperio.
Sfugghino pertanto, l'uno e l'altro ». ^
Ma in questo mezzo gl'inaspettati e decisivi rovesci dei Fran-
cesi nel regno di Napoli e le incalzanti vittorie di Spagna, do-
vute all'accorgimento e alla pertinacia di Consalvo, il gran Capi-
tano, cagionavano nuovi passaggi d'eserciti e mutazione di con-
dotte in Italia.
A Ruvo, castello a sette miglia da Trani, Consalvo aveva
rotto e fatto prigione il La Palice; in Calabria, a Seminara
(21 d'aprile 1503) aveva sconfitto e ferito lo Stuart d'Aubigny,
co' suoi cavalieri scozzesi; sette giorni dopo vinceva il duca di
Nemours alla Cerignola, in Puglia. Sessanta castelli erano pas-
* Machiavelli, Legazione XI, lett. 53.
» Machiavelli, Parole di dirle sopra la provvisione del danaio.
* Leu. di Ant. Giacomini, riportata dal Pitti, loc. cit., pag. EOI.
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L
rtò CAPO TERZO, [libbo
sati subito agli Spagnuoli, e poco dopo Capua, Aversa, Napoli;
di guisa che in pochi giorni a' Francesi andava perduta tutta
la conquista di due anni. ^ La scaltra cautela di Ferdinando
di Castiglia aveva mandato a vuoto l'accordo di pace che l'ar-
ciduca Filippo, figliuolo deir Imperatore, marito a Giovanna di
Castiglia e d'Aragona, aveva per lui conchiuso testé (5 aprile)
in Lione col re Luigi. Questi, il quale sapeva che volesse dire
a' Francesi il cominciare a perdere, e a perdere soprattutto
nel paese di Napoli, raccolto un grosso esercito, lo mandava
verso il regno. Erano Francesi, Svizzeri, Grigioni, Italiani, che
accozzati insieme avanzavano lentamente; pronti a ingiuriarsi a
vicenda, più che a combattere, ^ e quando furono presso To-
scana, si divisero per due vie. Trecento lance e tremila pedoni
procederono per Fivizzano, sotto il comando di monsignor di San-
dricort; altrettanti insieme al bailli d'Occan per Pontremoli.
Incontro al Sandricort, i Dieci, secondo che apparisce dagli
stanziamenti, mandarono Niccolò Machiavelli. ^ La qualità di
questa commissione del segretario fiorentino non ci è cognita;
probabilmente, egli ebbe a far ossequio, a raccomandare la re-
pubblica, a scandagliare che forze eran quelle che soprag-
giungevano, e che poteva promettersene. — Poco: eran torme
indisciplinate, le quali misero la disperazione nel La Tre-
mouille prima, poi nel Marchese di Mantova, quando, infermatosi
quello, fu preposto loro a capitan generale. L'eroe del Taro
anche pel re di Francia era divenuto uomo di virtù e di con-
siglio < homme de vertu, de conduite et d'expérience » ^ ma
l'insolenza di quelle armi non potè sopportarla e rinunciò ben
presto all'incarico.
Frattanto il più grande armeggìo facevasi a Roma, ove,
morto papa Alessandro, tutte le mire de' contendenti in Italia
eransi voltate a cercare nel successore di lui un appoggio e
un rinforzo all'ambizione e potenza propria. Il cardinale di
Rouen, rappresentava le cupidigie sue personali e le francesi;
conducendo con sé Ascanio Sforza, il fratello di Ludovico, che
usciva dalla prigionia della torre di Bourges, per votare in
i Fr. Cabpksam fiaminis parmensi» Commentar ior. suor, temp., \\h'. x, in Mabt^xb
et Durano, Scriplor.^ t. v, lib. iv. « Quidquid biennio ante, rapinis et latrociniis in eas
congesserant vìctores Galli, paucis diebus amisere ».
• V. Rankb, op. cit., pag. 167.
* BoNAccoRSi, Diario. V. lo sfanzùime«to pubblicato dal Passbrin'i, Opp., voi. i,
pag. Lxi.
*■ Dksjardins, Négociations diplomatiqueSf t. ii, pag. S»!.
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secondo] elezione VI PIO TERZO. 277
conclave, nel quale aveva promesso far propaganda pel d'Am-
boise; ma tiadi le promesse. Il cardinal d'Aragona, fratello
a re Federigo, pareva stare anche lui con la parte fran-
cese; il Della Rovere faceva per sé; gli Spagnuoli pendevano
lutti dal Valentino, che malgrado l'infermità sua, la morte del
padre, il concorrergli de' nemici addosso, era pur sempre rimaso
il più potente in Roma. L'accarezzavano, lo lusingavano tutti;
i Veneziani gli portavano un odio pien di paura, e tuttavia non
osavano inclinare ad un papa francese; i Fiorentini non sape-
A-an di chi più diffidare.
Vegliava per loro il cardinal Soderini, che dalla Signoria
s' usava chiamare « il cardinale nostro » ; presso il quale
avean mandato a Volterra il Machiavelli, forse ad abboccarsi
con lui per riguardo del conclave prossimo; ma il Soderini
ch'era tra gli ultimi eletti da papa Borgia, non poteva nel
conclave avere influenza veruna; né per que' deboli poi v'era
ombra di sicurezza che nella sede vacante.
Quando Pio III, il cardinale di Siena, fu annunziato pon-
tefice, parve che le mene di lutti avessero cercato in una breve
e utile sosta, miglior tempo e modo a ripigliare gli orditi ed
ammendar gli errori. — « È a judicar che in poco tempo abi a
dar luogo ad un altro »; ^ così del nuovo papa scriveva il Giu-
stinian, il giorno appresso all'elezione di lui; e Pio III dopo
Tentisei giorni era morto.
Nel frattempo il cardinal della Rovere aveva atteso a gua-
dagnarsi l'appoggio della repubblica di Venezia, i cardinali
Corner, Gì imani, Caraffa, Riario. Il Valentino aveva capito che,
poiché egli non poteva fare un papa a suo modo, doveva otte-
nere che non riuscisse almeno chi egli non voleva, chi aveva
ofieso;* pertanto non Giovanni Colonna^ nonio Sforza, non il
Riario, non il della Rovere; bensì, o uno spagnuolo, e de' suoi;
o il cardinale di Rouen. Ma questi aveva perduto o l'illu-
sione 0 la fiducia negl' intrichi del conclave, e forse, più che
non altri, venne meno a sé stesso nella seconda lotta.
Che anche questa volta i maneggi, le corruzioni, i gar-
bugli si risuscitarono con tanto maggior ardore, quanto più senti-
vasi ch'era la volta in cui l'elezione avrebbe avuto imjKirtanza
definitiva. 5 In quest'occasione, per vegliare il rimescolio delle
> GiusTiNiAN, Dispacci, t. II, pag. 206.
« Machiavrlli, Principe^ vii.
» ^OBiTA, lib. V. — Brosch. Papst JuUus II, pag. 82. — Rankb, op. cit. pag. 172.
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^ CAPO TERZO. [libro
cupidigie umane che piglian nome dal cielo, la Signoria di Fi-
renze mandò a Roma, a fianco del cardinal di Volterra, Niccolò
Machiavelli.
Il segretario fiorentino entrò la città degli Scipioni e dei
Cesari, che della grandezza antica pareva co' suoi ruderi essere
il grande cadavere guasto sotto la volta del cielo. Già prima
di Niccolò, un altro segretario della repubblica fiorentina, il
Bracciolini, considerando con dolore le vestigia dell'antica civiltà
latina, aveva pianto la crudele varietà di fortuna * che aveva
recato tanto mutamento e tanta demolizione. E del concetto
appunto doUa fortuna, risguardata come una legge naturale e
ineluttabile, dì quel concetto si ovvio e si potente negli uo-
mini del secolo decimos3sto, l'aspetto della mutata città di
Roma, doveva essere intimo stimolo e appassionamento. I cultori
delle umane lettere, gli uomini d'arte, i ricercatori delle forme
elette peregrinavano con l'animo devoto a quel sacro suolo e ne
tentavano le viscere, non per trovarvi la città, ma la mina;
e fuggivano dalla vita viva ai deseria Urbis, dove erano archi,
colonne storiate, tempi, colla fantasia innamorata provandosi
a risuscitare la gloria delle morte cose.
Quivi il Donatello, il Brunelleschi, quivi Ciriaco di An-
cona, ^ Giuliano da San Gallo, ^ Leon Battista Alberti, Ber-
nardo Rucellai, ^ il Suardi, ^ Bramante, Raffael Santi, il Bo-
narruoti ^ ricercavano le proporzioni, rilevavano le piante
degli antichi edifici, ridestavano nomi, ricreavano quanto di
formale restava di quella vita antica. Ed era fatto naturalis-
simo; che gli uomini non approdano all'intimità delle cose,
se non dopo che dell'esteriore anno acquistato il possesso;
poiché è il culto della forma che preludia sempre alla discus-
sione della sostanza. Però, a Roma, dove quella eletta d'an-
• Cf Poggi, Ruin. urbiirom. descripL, de Variet. fortunae, lib. i: « Stupenda quippe
vis est ac varietas qaae etiam ipsas aediflciorum moles, quas extra fatum illarum condì-
tores existiinabant, funditus demolita, nihil fere ex cunctis rebus reliqui fecit ». — E il
Machiavelli, nel Capitolo di fortuna :
« Quivi si veggon Topre alte e divine.
Dell' imperio roman; poi, come tutto
n mondo infranse con le sue rovine ».
• Cf. ■Mbhos, Ki/riaci ane. Itinerarium, pag. lxxiii-lxxv.
• V. ms. Barberiniano 822.
^ Bernardi Oricbllarii, De Urbe Roma, in Tartinmi, Rer. il. script, ii. *
» MoNOERi, Le rovine di Roma al principio del sec. XVI, studi del Bramjnlino, da
un ms. deirAmbrosiana. Hoepli, 1S75.
• G. Dr Rossi, Piante icnografiche e prospettiche di Roma, anteriori al secolo XVI.
Roma, 1879.
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secondo] il machiavelli A ROMA. 279
tiquarì e d'artefici scruta le ragioni della bellezza, il Machia-
velli pare che quasi virtualmente inauguri l'altro stadio in-
tellettivo e scruti le ragioni dell'antica vita, e ne ritenti gli
organi e il moto. Di questo fatto, che è portato della sua pro-
pria natura, aspetta altro tempo a darci rivelazione; per ora
ei non ne lascia sentore che nel maraviglioso silenzio suo.
Infatti si cercherebbe invano fra le sue lettere private e
pubbliche di questo tempo, alcun cenno che si riferisca alle
antichità romane, alle maraviglie d'arte che tornavano a luce,
alla commozione che quelle rovine gli mettevano nell'animo.
Eppure questa commozione c'era e nasceva dall'osservazione
dolorosa del contrasto fra l'antica e la moderna vita. Niccolò
contemplava il parassitico attorcigliarsi del presente intorno
a quella grande mina; e dove un di s' agitavano uomini, vedeva
ora pascer capre; le coclee di Trajano e d'Antonino, impron-
tate dei miracoli delle antiche legioni, languivano fra le male
erbe, tocche dal fulmine; mal composte mura laterizie incar-
ceravano le colonne de' marmorei portici, voltati in casipole; la
gretta e nera torre baronale s'accampava sulla maestà di teatri
e di terme antiche ; l' Urbe sembrava tutta essere cosi rinsel-
vatichita.
A queste condizioni ordinarie della città romana, s'aggiun-
gevano allora anche le occasionali, che le rendevano più tetro e
grave l'aspetto. Le torte e anguste vie portavano le tracce di
recenti tumulti; qua eran vestigia di serragli, opposti già al
duca Cesare, quando prima di cedere agli offici degli oratori, che
lo persuasero a lasciar sembiante di libertà alla chiesa e ritrarsi
a Nepi, avea minacciato assediare il primo conclave, tenuto in
chiesa alla Minerva; là, torreggiava gigante la vecchia mole
di Castel Sant'Angelo,^ ridotta a nuova e minaccevole forma
dalla tirannide e dalla paura; e coladdentro, dopo l'elezione
* In una medaglia di Alessandro VI, nella biblioteca Vaticana, è impressa da una
parte l'effigio di esso pontefice colla leggenda: alkxandbr vi font. max. iust. pacisqub
cultor; e nel rovescio il Castel Sant'Angelo, che fu Tultimo rifugio del suo figliuolo, colla
scrìtta: arcbm in mole divi hadr. instaur. foss. ac propugnacvlis mun. E in una rac-
colta di Stampe geografiche e topografiche del secolo XVL (Bibl. Vitt. Em. 6, 21, B, 8,
pag. 117) e* ne à una rappresentante il caste! Sant'Angelo con la seguente leggenda: en
tiri QUISQUIS BS LBCTOR IUCUN'DISSIMB QUBM I AENBIS NICOLAI BBATRICII LOTBARINGl PBRK-
LBGAN I TBR rORMIS RBPRABSENTATA ROMANI CABSARUM | ABDIFICIA DELECTANT IMP. CAESARIS
HADRI I ANI AUG. BFFIOIATUM HAUD INBPTB MAU | SOLBUM QUOD BT BONIFACIUS NO | NUS B
TOMACBLLA FAMILIA PONT. | MAXIMUM PRIMUS OMNIUM IN | CASTRI FORMAM COMMUNIIT | IDQ.
BTIAM POST ILLUM | ALEXANDER BORGIUS | SBXTUS HUIUS | NOMI | NIS PONT. MAX. CAROLI |
VIII GaLLORUM RBOIS I CONSILIO IN HANC QUAM | VIDE8 ADMIRANDAB MUNÌ | TIONIS FORMAM
RBDEGrr. I VALE i V | — V. ancho Antiquarie prospettiche romane per Prospettivo Mila-
nese, V. 150-156.
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8t) CAPO TERZO. [libro
del Piccolómini, erasi chiuso co' cardinali suoi il Valentino.
Su lui, dal borgo oltre il ponte, tenevano gli occhi appuntati
le bande degli Orsini e di Gian Paolo Baglioni: « latruncoli
piuttosto che soldati » ; Me case degli Orsini stesse, a monte
Giordano, fumigavano ancora del fuoco appresovi da don Mi-
chele Corolla, 2 r anima dannata del Borgia, che non aveva
voluto sgombrar da Roma, senza levarsi la soddisfazione d'ap-
piccar quell'incendio. Presso a quelle erasi levato dilagando
il Tevere, che ingrossato dalle copiose piogge, già da' di 20 di
ottobre, aveva soperchiato il ponte, e alle case de' banchieri,
come chiamavansi quelle d'Agostino Chigi, oltre a san Celso, ^
s'era levato già più alto che un uomo. Sul ponte passava solo
e a mala pena chi avesse gran briga in Vaticano; e il cere-
moniere Burcardo racconta, come gli fosse gran disagio averlo a
trascorrer di sovente in sulla mula per le gravi faccende del
conclave e le gravissime delle cerimonie sue. In queste circo-
stanze, non è maraviglia se Niccolò, .risparmiandosi d'uscir di
casa alle tre ore di notte, scriveva: « a quest'ora non si va
p9' nostri pari troppo sicuro per Roma i^.'* ne se il soggiorno
della città non gli tornò molto gradevole.
Tanto più che la commissione stessa che era chiamato a
compiere, distraendolo da' disegni che in Firenze aveva prepa-
rato, lo gittava in un elemento a cui era estraneo e che pa-
reva rendere men proficua l'operosità sua. In corte di Roma
gli conviene esser guardingo nel ragguagliare; e benché vegga
bene, che « vi si maneggia tutta l'importanza delle cose che
girano al presente, » non gli vien fatto d'usare della sua logica
con sicurezza, di trarre una conclusione certa, di argomentare
una previsione, che l'evento non sia per ismentire. Tanti son
quivi gli attriti morali e fisici che modificano ogni delibera-
» Machiavelli. Commiai, a Roma^ lett. 72. — Burcardo, Diario. — Il Matarazzo,
Della sua Cronica (Archivio storico^ pr. serie, t. 16, parte ii, pag. 99), cosi descrive l'arme
de' Baglioni : « et li magnifici Baglione portavano la divisa che lo* donò el conte Jacomo
quale fu de Niccolò Picinino, ciò è una calia verde, cioè la manca, e una rosela, eum lo
schiniro bianco de fora de man dritta; et per loro insegnia portavano uno scudo azxurro,
cum una sbarra in mezzo a traberso d'oro; cum lo cimiero di sopra mezzo grifone, e de
drieto pendeva una coda de serpente ».
* Don Michele Corolla fu da qualche moderno isterico, non sappiamo sa qual fonda-
mento, e malgrado le testimonianze de' contemporanei, spacciato per veneziano. Nell'Archivio
Horentino, X» di Balia dal 1506 al 1508^ DeHbm-azioni e condoiU^ ci. xiii, dist. ii, n. 71
pag. 54 si rinviene: « Don Michele di Don Giovanni di Coriglia, da Valenza, condotto a'
soldi della loro repubb. » etc.
* V. CuoNONi, Note al Commentario di Alé8$andro VII sulla vita di Agostino CMgi,
nell'Arc/itrio della Società R. di Storia patria, t. ii, pag. 487 e segg.
* Machiavelli, Legazione alla Corte di Roma, lett. 73.
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secondo] importanza DELLA COMMISSIONE A ROMA. B81
zione, e paiono piuttosto dar la spinta ai fatti che cagionarli !
Se non che la qualità dei fatti stessi che Niccolò è in condi-
zione di sorvegliare e riferire, dà a questa commissione sua
un'importanza storica straordinaria.^ Orintrichi del conclave
prossimo son piccola cosa, presi in sé stessi; ma gì' intricanti
anno un valore grandissimo; dappoiché sono le due nazioni che
combattono pel reame di Napoli, e che combattono le battaglie de-
cisive, le quali destano tutta l'apprensione e Y interesse, e vo-
glion guerreggiare anche in quel papato; è il Valentino che,
per non affondare, si sforza di pigliare in mano tutti; che vede
pian piano tutto sfuggirgli e tutti offenderlo paurosi; è la re-
pubblica di Venezia che, per sostituirsi al Borgia nelle città di
Romagna, giuoca la sua ultima posta e dà occasione alla chiesa
di accozzare contro a' possessi di lei in terra ferma tutte le
nimicizie italiane e le forze straniere accapigliate in Italia.
Che se c'è cosa che dia argomento a giudicare la portata
enorme del colpo che i vicari ecclesiastici e i condottieri ave-
vano ricevuto dalla potente politica de' Borgia, questa è l' ina-
nità degli sforzi loro per rifarsi vivi, quando la potenza dei
Borgia è al tramonto. Gli stessi artifici del gran Capitano
per riconciliare nel suo campo spagnuolo i Colonna e gli Or-
sini, 2 attestano com' era finita per essi la necessità o la conve-
nienza di nimicarsi a vicenda, poiché nell'inimicizia era stata
già tutta la forza e la considerazione loro. Degli altri baroni
e vicari superstiti era superfluo tener ragione. L'unico e il
migliore fra tutti, Guidubaldo d'Urbino, nelle mutate circo-
stanze era chiamato a pigliare il posto che fu già di Vitel-
lozzo alla Magione: a farsi centro o capo alla nuova lega dei
falliti, che volevano ritornare nelle sedi perdute. La virtù sua,
l'affetto de' sudditi, gli avevano spalancato subito le porte del
> QuestMmportanza venne riconosciuta dal Ra.nke, Oe^hichten der romanischen una
ff^rmanisch^n VSlker, pag. 167 e seg., dal PRESCOTTf History of Ferdinand and Isabella,
parte ii, voi. ni, cap. xiv, pag. 127. il quale annota: « The calmer and more penetrating
ève of the Fiorentine discerns symptoms in the condition of the two armies of quite a
diflerent teudency ». — V. Dumksnil, HUtoire de Jule» II, cap. ii, pag. 33 e seg. — Bboscb,
Papst Julius II und die Griindung des Kirch&nttaates, cap. iv. — E. Gbbhart, L'hon-
nèleté diplomatique de Machiavel (nelle Séanees et travaux de l'Acc. des se. mor. et pò-
Utiques). — H. Hbidbmbbimbr, M.'s erste r'ómische Legation, ein Beitrag sur Beleuchtung
seiner gesandtschaftlichen Thatigìieit. Darmstadt, 1873. — L' Hbidbnhbimbr, seguendo le
idee dell' Ulmann circa il valore de' dispacci diplomatici considerati come fonte di storia,
investiga con molto acume la condizione del M. presso alla Corte di Roma; mette a rim-
petto dell'informazione di lui quelle d'altri oratori e scrittori contemporanei, e quand'anche
alcuna volta forse non precisi con rigorosa giustezza l'ufficio e l'importanza effettiva del
segreUrio fiorentino, le osservazioni sue tuttavia son per la maggior parte ponderate e sottili.
• Q^^i'^^i AnnaleSf ecc.
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282 CAPO TERZO. [libro
ducato; le fortezze abbattute non avevangli frapposto impaccio,
come egli ebbe già ben previsto. — « Feltro, Feltro! » — accla-
marono i popoli giubilando ; le borgate intere « con tamburino
innanzi » ^ si mossero per poter toccare la mano del loro duca;
ma degli altri signorotti non era successo altrettanto. Faenza,
quantunque tenera de'suoi Manfredi, non s'era molto commossa
per loro; e finché viveva il Valentino e vi fosse speranza delle
cose sue, non voleva mutar signore; ^ in Forlì balzavano gli
Ordelaffi, ma non già i Riario; e per sentirvisi mal sicuri ac-
cattavano aiuti al di fuori. ^ Il Malatesta non sapeva far altro
di Rimini, che venderlo ai Veneziani; ^ a Città di Castello por-
tavano in processione un vitello d'oro, ^ ma il simbolo soprav-
viveva alle persone. Mancavano, come ben vedeva il Machia-
velli, i capi dello scandalo, ® e a quest'ufficio il virtuoso e ma-
laticcio Guidubaldo mal pareva disposto. I signorotti volevano
e provavano far nuova lega a' danni del Borgia; ne sceglie-
vano bensì a capo il Montefeltro, ma questi, standosi agli sti-
pendi dei Veneziani e nelle buone grazie della Chiesa, correva
risico di non riuscire ad altro che a strumento temporaneo di
quelli o di questa. In tempi obliqui il buon duca era riuscito
ad andar diritto, a- proteggere l'onore e la vita propria, ad
acquistarsi liputazione, afietto e gloria. Ma quei modi che sono
ottimi a chi si difende, non valgono a offendere; e per ricu-
perare la libreria e i tappeti preziosissimi del suo palazzo toccò
a Guidubaldo sopportare il peso d'un colloquio col suo mortale
nemico e persecutore acerrimo, tollerare le domande di per-
dono e le cerimonie spagnolesche del Valentino.'''
Del resto, coloro che giudicano far omaggio al sentimento
morale negando di riconoscere in Cesare Borgia pregi intel-
» Commentarla quarumdem. — Uoolini, Storia de'conti e duchi d'Urbino, voi. n,
pag. 123.
* V. Lettera de*Dieci ad Alessandro Nasi « die 26 oct. 1503 » pabblicata neiredis. P -M.
dell'Opere del Machiavelli, voi. ii, pag. 305-6, in nota.
■ Machiavelli, Commissione in Corte di Roma, lett. 11.
* Cf. Dispacci d'Antonio Ginstiniani^ ed. Villari, e la nota a pag. 224-225.
* Ugolini, op. cit., t. ii, pag. 123.
* Maciitavklli, loc. cit , lett. 30: « Circa le cose de* baroni, non ci si trovando e'cap
di 8cand')lo, dura el papa poca fatica ad intrattenerli, perchè per la parte Orsina ci è Tar-
civescovo vostro e il signor Julio, e per la parte Colonnese el cardinale e certi spiccio-
lati che non importano ».
^ V. la lettera di ser yiccolò Sanson urbinate pubblicata dairUooLiNi, op. cit., t ii.
pag. 524. - Bibl. Vat. ms. Vrb. 490, pag, 101, t. : « Gli chiese perdono delle offese fattogli (sic)
com*ancho cuoi dimostratione d'animo rimesso Guidubaldo glielo concesse. Cosi da indi in
poi il Valentino, come rintegrato seco, per più domesticarsi cum esso lai anche cum fargli
dimandar delle nove, et quanto e hauesse dille cose di Romagna, spesso lo mandaaa a
uisitare ».
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SBCONDo] TRAMOyrO DELLA FORTUNA DEL VALENTINO. «^
lettuali, conoscenza perfetta delle cose e degli uomini, maneggio
maraviglioso d'espedienti e di schermi, veggano essi d'accon-
ciare e spiegare a lor senno questo fatto straordinario (e lo
spieghino altrimenti che colla prudenza infinita di lui e colla
somma corruttela e fiacchezza altrui), che cioè nel momonto
in cui pare gli debbano esser finite a un tratto tutte le forze;
nel momento in cui gì' innumerevoli nemici suoi parche l'ab-
biano ad avere in balia, egli se ne fa siepe intorno e li trat-
tiene; vende il suo favore con oculatezza; si regge colla re-
putazione del passato e scende più che non cada, ed è tradito
invece d'essere oppresso, com'era brama d'ognuno e secondo
che pareva probabile. -^
Niccolò, non appena è in Roma, gli mette gli occhi sopra e
s'accorge dell'importanza precaria che ancora gli dà il conclave
prossimo; lo vede « intrattenuto forte da chi desidera esser
papa, rispetto ai cardinali spagnuoli suoi favoriti »; i cardi-
nali gli vanno a parlare in castello; ed egli vive « colla speranza
d'esser favorito dal pontefice nuovo ».^ Non c'era altr' àncora
per lui; ma chi poteva oflfrirgli speranze attendibili? Ne' car-
dinali italiani poteva confidarsi poco; poiché il cardinale Pic-
colomini, da cui aveva avuto minori promesse, gli aveva come
pontefice, fors'anche a malincuore, fatto maggior beneficio che
da alcun altro italiano non potesse aspettarsi. Da lui aveva
ottenuto brevi alla repubblica di Venezia, invadìtrice della Ro-
magna; da lui la protezione della vita contro gli Orsini e l'Al-
viano. Ma al povero Pio III né Venezia né i baroni aveano
perdonato questi favori valentineschi; e poiché per fortuna, se-
condo che pareva a que' partigiani, la sede era vacata; biso-
gnava stare attenti che il nuovo eletto non fosse d'umore da
rinnovar que' benefici. Però Cesare Borgia vedeva chiaro che il
miglior espediente per lui era dar appoggio ad un papa che
non avesse soggezione né di Venezia né de'condottieri. Conve-
niva pertanto non fosse un italiano: poteva forse essere uno
spagnuolo; ma gli spagnuoli diffidavano di chi s'era chiamato
« Caesar Borja de Francia » ^ e in casa dell'oratore Ispano
erano stati giurati, sottoscritti, sigillati capitoli fra Orsini e
Colonnesi, perchè servissero tutti il re di Spagna contro quel
» Machiavelli, loc. cit-, lett. 8 e 10.
* QoRiTA, AnnaleSf lib. iv, cap. xlv : « y caino era atrevido en todas sus cosas, basta
lo mas, para declarar el odio che tenia a la casa de Espana, se clamava Cesar Bnrja de
Francia; j en el principal quartel del escudo de sus armas, traya las de aquel reyno. »
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284 CAPO TERZO. [libbo
di Francia nella guerra di Napoli, e per appoggiare, terminata
questa, il ritorno de' Medici in Firenze; s'era percorsa la città
fra le luminarie gridando: « Spagna, Orso e Colonna! ».^ Però
poteva darsi il caso che la politica del re di Spagna, essendo
altra da quella del Borgia, attraesse il pontefice nuovo, e lo
facesse passar sopra alla riconoscenza e dimenticare gl'im-
pegni contratti con chi aveva avuto tanta parte, e tantx) ne-
cessaria, all'elezione sua. Restava quindi un'unica via: accer-
tarsi il favore di Francia, affezionarsi i Fiorentini, sostenere
il cardinal d'Amboise.
E infatti il Machiavelli trova che con lui e col Sederini
il Valentino s'era andato appattumando. Desiderava ottenere
colla protezione francese sicuro passaggio da Firenze per an-
dare in Romagna a tener saldo il ducato suo; * ma i Fioren-
tini, quantunque sotto coperta, avevano già spalleggiato l'in-
gresso degli Ordelaffi in Forlì, mettendo loro "più spavento il
principato forte del Borgia, che si era annidiate alle loro
spalle, che non l'occupazione precaria di quelle- terre, le quali,
quando non andassero in mano di piccoli potentati, avrebbero
potuto pur sempre con buon successo esser ritolte a chi che sia,
parteggiando per la signoria della Chiesa. Pertanto Niccolò
sopraggiunge a raffreddare il calore de' due porporati, nel loro
accostarsi col Borgia. Cauto, il Sederini, si arresta subite; e te-
nendosi a fianco del cardinale di Rouen, con artificio sottile
e inavvertito riesce a dominarne le determinazioni. Il Sederini
aveva obbligo co' Borgia; alla dignità cardinalizia era stato
innalzato da loro; con essi aveva avuto spessi negozi; de' fatti
del duca aveva sentito talvolta ammirazione; ma l'utilità della
patria sovrastava a tutte le idee e i sentimenti suoi e li fa-
ceva tacere. L'Amboise poi nelle faccende del conclave si tra-
vagliava forte; ^ né ad altro voleva attendere. Niccolò Machia-
velli, che aveva avuto in commissione 1* incarico e la procura
di far ratificazione condizionata della condotta di Gian Paolo
Baglioni, soldato dal cardinale di Rouen in comune pel re di
Francia e pe' Fiorentini, si attenta invano di richiamarle a
^ GiusTiNiAN, Dispacci^ voi. II, pag. 238.
• OiusTiNiAN, Dispacci, t. II, pag. 608.
» Machiavelli, loc. cit., lett. 10. Nel Po'étM fail a la louange de la Dams de Beatijeu
soeur de Charles VIII^ pubblicato dal Lancelot nelle Màmoires de Ut levature tirez desregi-
slres de l'Ac. dea Inscript, et belles leltres, t. xii, Giorgio d'Amboise è posto fra quelli che
« laissent le apirituel
Pour gouvemer le temporel ».'
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MCONDo] SIMONIE DEL CONCLAVE. »sr»
quest'argomento. ^ Ei non vuole aver gli occhi che nel con-
clave; il Valentino lo solletica, lo sostiene, gli promette; ma
ne vuole in contraccambio promesse esplicite, grandi e certe; e
gli ostenta per ogni verso, e senza né veli né compostezza di forme,
quel che il papato s'era ridotto ad essere: un mercimonio.
4c Oramai non è differenzia dal pontificato al soldanato, scrivo
l'oratore veneto, perché plus offerenti daiur ». * Se il cardi-
nale di Rouen vuol esser papa per via dello spirito santo,
non lo sarà mai, diceva il Borgia ;3 e diceva il vero. Ma le ra-
gioni e le mene della politica internazionale la vincevano anche
sopra gl'interessi e le mene personali di lui.
Spagna non poteva sopportare che chi aveva in una mano
il regno di Francia, pigliasse nell'altra la chiesa; e mettere la
chiesa dalla parte di Francia, nel momento che i Francesi toc-
cavano tante sconfitte, che si potevano dir quasi scacciati dal
reame di Napoli, sarebbe sembrata estrema follia. Ne sarebbe
nato scisma; s'andava anzi già sobillando che quando il cardinale
di Rouen riuscisse eletto, avrebbe ricondotto la sede pontificia
ad Avignone. Dopo di che, era naturale che l'Amboise smettesse
per allora ogni gara, ogni pensiero del pontificato ; e che, smet-
tendolo lui, al Valentino mancasse il candidato più opportuno al
proposito suo. In questa desistenza del cardinale e del Borgia
non c'era nulla di volontario ; giacché ambedue cedevano alla
necessità, che gli avrebbe sopraffatti, se non si fossero piegati
spontanei; ma né l'uno né l'altro erano uomini da rinunciare
^ Gli Appunti storici antograii del Machiavelli (Bibl. Nac., doc. M , busta vi, e. 85
e 26) inseriti nell* Apografo Oiulian de' Ricci e pubblicati neiredixione ultima (voi. ii,
pag. 213 e seg.) fra gli Estratti di lettere ai Dieci di BaJ^^ riassumono la cosa in questo
modo: « Niccolò Machiavelli giunse ad Roma; non volse ratificare la condotta. Tornò poi
che fu uscito di' Conclave e di prima non posse ».
* GiusTiNUN, Dispacci, t. ii, pag. 855. Ibid., pag. 262: « Certo, principe serenissimo,
tanta è l'ambizione de*cadaun de'cardinali a questo pontificato, che non è omo che si spa-
ragni di prometterli, domandi pur s*el sa domandar; né vedo che si possi far papa el qual
non li prometta e si obblighi a lui a tutte quelle cose che papa Pio li aveva promesso ».
" Fleurangb, Mémoires: « Le due de Valentinois lui demanda s'il vouloit étre pape
et que sMl vouloit par election et par voye du saint esprit, il ne le seroit jamais; à quoi
mon dit sieur légat fit réponse qu'il aimeroit mieux ne le point estro, que l'estro par
force » ecc. — Cf. Brosce, op. cit., pag. 95 e 323. È ad osservare che se il Fleubangb,
rispetto a questi fatti del conclave non può aversi in conto di testimonio di veduta; se re-
lativamente al duca di Valentinoys riferisce aneddoti poco credibili e talora ridicoli, come
quello « des pillules laxatives que l'apoticaire lui donna» in cambio d'altre da lui deside-
rate « pour festoyer sa dame », la dama d'Albret, nella prima notte del maritaggio (J/f-
moires, eh. iv); tuttavia l'aver il Fleurange de la Marche avuto a moglie una nipote del
cardinal d'Amboise, l'esser rimase nella famiglia di questo, e l'aver attinto molte notizie
« par les records de plusieurs gens de bien » lo rende, anche per questa parte, do* fatti
esposti nelle sue Memorie testimonio non immeritevole di fede. — Quhitk, Annales, lib. v.
pag. 299, osserva del Valentino : « comò indifierentemente trattaua de las cosas sagrada»
7 ecclesiasticas ».
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2-« CAPO TERZO. [libbo
nella disperazione al coraggio e al merito di atti spontanei. Si
guardarono attorno; c'era chi aveva promesso « Roma e toma »; ^
i cardinali spagnuoli dipendenti dal Valentino avevano bisogno
<c d'essere arricchiti » ed egli stesso « d'essere risuscitato ».* —
Con queste parole acutissime, Niccolò Machiavelli dipinge la
condizione vera delle cose, quando il Borgia si rassegna a non
caldeggiare più l'elezione del Rouen: quegli cioè è il morto,
e i cardinali suoi coloro che lo seppelliranno.
Ma anche in questa occasione ci accade rilevare una qua-
lità costante nelle osservazioni del Segretario fiorentino. Egli
vede da presbite, discerne egregiamente il fondo estremo delle
cose, ma o non vede, o non vuol vedere quello che gliene sta
proprio so tt'occhio. Forse, come già accennammo, è disdegno delle
circostanze, o fiducia di poterle signoreggiare; ma il merito e
la sventura del Machiavelli sta appunto nel disdegnar lui quasi
sempre l'ambiente suo.
Quando a Roma, con chiunque parla, sente dire delle grandi
probabilità ad esser eletto che à il cardinale di san Pietro in
Vincoli, quasi gli ripugna crederlo. A' di 28 d'ottobre stima
quelle probabilità « trentadue per cento »; ^ due giorni dopo
è costretto scrivere « si trova chi dà sessanta per cento sopra
di 'lui ». ^ — « Se si avessi ad credere alla opinione univer-
sale, e' si crederebbe che dovessi essere al tutto papa. Ma
perchè el più delle volte e' cardinali, quando sono fuora, sono
di altra opinione che quando sono rinchiusi, dice chi ha intel-
ligenzia delle cose di qua, che non si può far indizio nessuno
di questa cosa; e però ne aspetteremo el fine».^ Che Cesare
Borgia si rassegni ad andare « alla volta del Vincula » gli
sembra inconcepibile: « quando e' fussi così, al caso suo non
are' disputa ».^ E l'argomentazione colla quale Niccolò deter-
minava il giudizio proprio, molto logica per quanto concenie
il fine, era sempre questa : se anche il duca non può ottenere
che sia fatto un papa a suo modo, può volere ch3 non sia fatto
uno che non gli piaccia;''' non dee volere che ascenda al pa-
pato alcuno dei cardinali ch'egli à offesi, o che, diventati pon-
» Machiavelli, Appunti storici, loc. cit., pag. 814.
- MACHiAVfiLLi, Commisi, prima alla Corte di Roma, leu. 12.
' Macmiaviìlli, Commissione pr. a Roma, leu. 8.
• Machiavelli, ìbid., leu. 10.
•'' Machiavelli, loc. cit., lett. 9.
• Maciiiavcllt, loc. cit., lett. 10.
• Machiavelli, Principe, cap. vii.
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secondo] elezione DI PAPA GIULIO SECONDO. 287
tefici, dovessero aver paura di lui; se dunque non gli riesce
di fare papa uno spagnuolo, che sarebbe il meglio, ottenga il
bene, imponendo il Rouen; scampi dal male, opponendosi al
Della Rovere; Tà offeso troppo, Tà nimicato troppo, gli à fatto
durare dieci anni d'esilio; tutto questo a una tempra ligure.
Queste ragioni verissime si spuntavano innanzi all' indole
dell'Amboise, che non si prestava a secondare i partiti vio-
lenti dai quali il Valentino non avrebbe rifuggito per certo
quando fosse stato sicuro d'aver l'uomo che gli si voleva;
si spuntavano innanzi all'avarizia dei cardinali valentineschi,
che il Dalla Rovere sapeva guadagnarsi « con quei mezzi che
si usano»: all'uno la penitenzieria; all'altro la segnatura di
giustizia; a ognuno secondo le brame sue. ^ Già prima che si
chiuda il conclave, i valentineschi e il Rouen son placati e di-
sposti a dargli il voto. Il duca si lascia prendere alle promesse
egli pure: lo reintegrerà degli stati di Romagna; gli darà Ostia
per sicurtà, la conferma del gonfalonierato di santa chiesa, la
quitanza dei debiti che à vèrso la Camera; casa Borgia e i
Della Rovere faranno una famiglia sola. I benefici nuovi, pen-
sava il duca Cesare, faranno dimenticare al cardinale le in-
giurie vecchie, 2 e chiuse gli occhi cosi. — ,« Avanti si serrassi
el conclave si dava sopra di lui novanta per cento. » ^ _ jj
conclave si serrò a mezza notte: vi fu poco screzio momen-
taneo; sette cardinali, a capo de' quali Ascanio Sforza, pareva
si risentissero in favore del Pallavicino ; ^ ma fu poca cosa.
Dopo sei ore il papa era bello e fatto; una voce « uscita del
conclavi » ^ ne sparse la nuova, prima che si pubblicasse.
Il dì primo di novembre, assunto il nome di Giulio secondo,
il cardinale di san Pietro in Vincoli viene proclamato e adorato
pontefice. — Diviniius! esclamano gli accademici; ® e lanello
^ Machiavelli, Appunli storici, fra gli Estratti di lettere , loc. cit., pag. 214.
* Machiavelli, Commiss. pr. a Roma, lett. 18.
* Machiavelli, loc. cit. — Idem, Appunti stork^t, pag. 214: «e qui discorri come quel
fatto andò et come in Conclavi Ascanio volse risuscitare morti ».
* Arch. fior., Lettere de' Dieci. n..l06a e IWt. Frammento d'una lettera non conser-
vataci dì N. Machiavelli, trascritto da'Dieci ai Alessandro Nasi, oratore in Francia, pub-
blicato nell'ediz. Passerini-Milanesi.
* M., Opp., t. II, pag. 314, in nota. — Ibid., pag. 318-79, lett. 14, il Machiavelli poi
scrive: « riconvenuti insieme che era circa mezzanotte, lo mandorno fuora ad pubblicare,
e in su tali pubblicazioni si scrisse, perchè siamo ad 15 ore, e non si è ancora fatte le
cerimonie ordinarie del pubblicarlo ».
* V. Parmeni (Lorenzo Parmieri da San Ginesìo), Opera a Julio II p. m. inchoata,
parsque Ulorum perfecta et res gestae ab initio pontifìcatus usque in praesentem ^iem,
negli Anecdoti letteraria deirAMADUZZi, t. iii, pag. ^97: « te enim in pontificiam hanc
m.i.jestatem sumino cardinaliura consensu (saepe enim in p3ntificum creatione discordiae
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888 CAPO TERZO. [libbo
piscatorio inciso col novello nome del papa si trova pronto
subito. ^ Gli astrologi a' dì 26 consigliano l'incoronazione, per-
chè in quel giorno sua Beatitudine incontrerà miglior disposi-
zione di stelle ; ^ chiunque • gli à cavato promesse prima, gli si
mostra avanti; cardinali e oratori lo attorniano, e Giulio fa ca-
rezze a tutti.
Ma assai e « vere »^ne faceva solo all'Amboise : — Se lui
avesse voluto, questa notte passata poteva rompere le cose soe ».^
— Giulio gli confermò la legazia per la Francia, lo fece vescovo
e legato d'Avignone; gli creò cardinale il nipote, già arcivescovo
di Narbona. E, a^ voler essere schietti, in questa larghezza di
grazie accordate al Rouen, più che l'attendimento di promesse
corrompitrici, può aversi in riguardo la ricompensa concessa
dal capo della cristianità a colui che, potendo esser cagione di
divisione e di scandalo infinito nella chiesa, quando non avesse
avuto in mira che la privata ambizione e la personale cupi-
digia sua, aveva sacrificato la prima e limitata la seconda, a ciò
quel male non accadesse. Fra tutti coloro che' avevano con-
corso all'elezione di lui, Giulio in lui solo riconosceva merito.
Degli altri, è vero che i baroni s'erano trovati per la prima volta
concordi in un medesimo pontefice; ma la concordia fra le
fazioni contrarie avevala determinata l'odio e il pericolo co-
mune del Borgia, lo stremo delle forze in cui eran venuti,
la scaltrezza della politica spagnuola. Il Valentino « lo aveva
favorito, tanto che gli poteva tirare quella posta »; ^ ma l'ab-
bandono delle altre migliori probabilità, la fiducia che anche
in un della Rovere avrebbe avuto lo strumento acconcio a' suoi
fini, erano state le cause che l'avevano piegato, suo mal-
grado, a non opporgli resistenza. Francia e Spagna in favor
di lui avevano accettata la transazione, l'una a dispetto del-
l'altra; i Veneziani, colto il destro della sede vacante per en-
trar dentro le città di Romagna, accarezzando il nuovo pon-
tefice, s'eran proposti di riuscire ad uccellare la chiesa; ai
oriri solent) dwiniius fuisse evectum » ecc. — A parte il divinitu*, anche il Machiavelli
afferma « chi considera bene questi favori che ha avuti costui, gli giudicherà maravigliosi,
perchÀ tante parti quante sono nel collegio, tutte anno confidato in lui * (lett. 14).
* Conctoi'tf di Giulio II, ms. Casanat.: « E fu incontanente portato un altro anello
con il nome di Giulio Secondo, chiamato annulus piicatorius, però che due o tre giorni
innanzi si sapeva per tutta Roma che Sua S. 111. ma sarebbe stato papa ».
• OiusTiKiAN, Dispacci, t, II, pag. 295, ediz. Villari.
• GiusTiNiAM, Dispacci, t. II, pag. 276.
* Machiavelli, Commistione cit., lett. 14. È chiaro da queste parole che il Borgia non
si voltò all'elezione del Vincola se non quando vide ritrarglisi il Rouen, ed ebbe piena
consapevolezza della ventura che avrebbe potuto correre.
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secondo] GIULIO SECONDO E IL BORGIA. 2S&
Fiorentini poi era sembrato bastare che il nuovo papa non so-
stenesse il Borgia; ma ebber presto ad accorgersi che, se non
riuscivano a corrucciarlo tosto colla repubblica di san Marco,
avrebbero a navigar per perduti.
Quanto al pontefice, egli aveva, col pronto e sicuro favore
usato al legato francese, abbonacciato la Francia; presentiva,
all'incontro, che il re di Spagna non si terrebbe interamente
soddisfatto dell'elezione sua. ^ Al Valentino dava a intendere
che presto avrebbe proposto in concistoro la questione del ca-
pitaniato di lui: « ma non con animo che Tabi luogo », scrive
l'oratore veneto. ^ Frattanto l'avea messo in palazzo, nelle
Stanz3 Nuove, ^ e gli laeciava intravedere architetture di ma-
trimoni e di parentadi. Porzia, sua nipote, figliuola a Maria
di Giovanni della Rovere e a Venanzio da Camerino, po-
trebbe andare a donna di quel Giovanni, quel duchino legitti-
mato in un giorno istesso, come vedemmo, da Alessandro sesto
e da Cesare;^ oppure Fabio Orsino esser marito a una sorella
> QuKiTA. Annales, loc. cit., pag. 310: « Recibio el rey d'ista elecion macho descon-
tentamiento ; cusi por suceder lulio a un pontlflce de quien se tuvo esperan^a que seria
causa de la reformacion en la Iglesia y que procurarla la paz universa], comò por que
del que sucedia en su lugar, no se osaua sperar si no lodo lo contrario *.
* GiusTiKiAN, Dispaccif II, pag. 236.
' Machiavelli, Appunti storici^ loc. cit., pag. 214. — Iilem, Commissione alla Corte
di Roma, lett. 18.
* V. più sopra, a pag. 111. — Giustinian, Dispacci^ t. ii. pag. 2S3-4: « Pur per via
del cardinal di Cosenza intendo, et anche per altra via sento rasonar, ch'el pontefice è in
pratica di far certo parentado con lui, e dar per mogier ad uno di questi soi Duchetti, che
fo investito del ducato de Cainerin cum titulo di Duca da papa Alessandro, una nezza del
Pontefice, che fu fiola del signor Venanzio da Qamerin ». — Il Machiavelli poi {Com'
missione cit., lett. 18), afferma: « dicono essere confermato el parentado tra Fabio Orsino
e la sirocchia di Borgia, e cosi la figliuola del Duca essersi maritata al prefettino ». £ la
stessa notizia insinua negli Appunti storici, loc. cit., pag. 214. ~- Il Ouicciardini (Storia
d'Italia, Hb. vi) racconta che il cardinale di San Pietro in Vincoli promise fra le altre
cose al duca di collocarne la figliuola in matrimonio con Francesco Maria della Rovere,
prefetto di Roma. Ora, che nella famiglia de' Borgia, illegittima o legittimata, occorran con-
fusioni, non fa maraviglia. Il Oiustinian parla di duchetti, il Machiavelli di sirocchia e di
figliuola, il Guicciardini di figliuola soltanto. Se non che il dato dell'oratore veneto è più
preciso e può conciliarsi colle altre notizie storiche che ci rimangono attorno a quel Gio-
vanni Borgia che, in forza di documenti autentici, poteva il duca Cesare far passare per
suo figliuolo 0 per fratello, a suo grado. Non è così quanto alla « sirocchia », che ei non
n'aveva altra che la Lucrezia, la quale a quest'ora era già da -buona pezza alla Corte
degli Este. Se nofr che ei v'ebbe un'altra Lucrezia, figliuola di lui, natagli d'adulterio in
Ferrara, la quale nell'anno 1509, in cui fa. legittimata, era appena maggiore de'sette anni
(V. Cittadella, Saggio di albero genealogico e di memorie su la famiglia Borgia, pag. 5d->l).
Pertanto, nel novembre del 1503 aveva appena pochi mesi, e se già era promessa a nozze,
la cosa poteva sapere abbastanza ridicola. La somiglianza del nome con quello della so-
rella di Cesare diede occasione alla confusione nella quale forse il Machiavelli cadde;
mentre di lei e di Giovanni poteva intendere il Giustinian quando accennava ai « duchetti ».
E se si ponga mente che il Bandini {Collectio vet. aliqnol. monum.) afferma del Machia-
velli: « inter schedas nostras ejusdem adservatur epistola dataRomae die viij sopt. Biasio
cancellarlo Florentiae, qua Lucreliae Alexandri VI pont. filiae sponsalia graphice ac pxm-
genti stylo depingit », dovremo ritenere che in quulla lettera, che fra le schede del Ban-
To>iM ASINI - JIj chiavelli. 20
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290 CAPO TERZO. [libbo
naturale, infante ancora e nelle fasce, di questo pìccolo Borgia.
E il duca « crede che le parole d'altri sieno per essere più
ferme che non sono sute le sue e che la fede data dei paren-
tadi debba tenere ». Cosi il Machiavelli, che con nuovo man-
dato, in nome della repubblica fiorentina, a' dì cinque di no-
vembre, si era presentato al pontefice, congratulandosi e facen-
dogli le profierte oflSciali di consuetudine in simili circostanze;
e nel bruno volto del papa ligure aveva letto il dispetto per la
calma necessitata di que' primi giorni, la certezza che il palu-
damento sacerdotale non gli avrebbe impacciato i passi poi. ^
— « Solo ch'ei si fosse rassettato a sedere, e aderirebbe se-
condo l'animo suo e farebbe imprese » > — questo avevagli detto
Giulio. E in determinare le prime inclinazioni del pontefice nuovo
era lo studio principalissimo di tutti gli oratori convenutigli in-
torno. I Veneziani, sopra tutti, facevano per verità sforzi incredi-
bili d'accaparrarselo, ma questa volta si proponevano difficoltà
insormontabili; perchè coll'azione diplomatica, cogli offici perso-
nali, avevano in animo ricoprire le usurpazioni romagnuole e
appianare le scabrosità della loro politica verso la chiesa, che
andavano invece naturalmente facendosi ogni giorno più aspre.
Essi non conoscevano l'uomo particolare con cui attaccavano
briga; non sospettavano che in quel petto potesse capire una
idea che fosse al disopra dell'interesse suo proprio o fami-
gliare; sarebbe stata cosa troppo straordinaria; ne sospettavano
che quella idea potesse mai essere la grandezza della chiesa,
grandezza malintesa forse, ma non postergata mai ad utilità pri-
vata, né sua, né dei dlla Rovere, né d'altri. E quando il pon-
tefice mal giudicato lo diceva loro, e in termini forse non
troppo riguardosi pei predecessori suoi, quelli non glielo cre-
devano, * e s'ostinavano a tener forte Rimini e Faenza, e piut-
dini nella Marucelliana ricorcammo lungamente e invano, il Machiavelli si sbizzarrisse in
descrivere al suo coadiutore queste fantasticate nozze infantili ; e non altre della Lucrezia,
sorella di Cesare, alle quali non potè egli assistere, né di cui ve ne furono mai che fossero
celebrate in settembre. Del resto, farebbe* mestieri anche per queste, cui noi accenniamo,
che la data del mese avesse ad essere trasportata al novembre; e iPpoco rigore di pre-
cisione in quella pubblicazione dell'illustre Bandini, scema forse l'arditezza di questa con-
gettura nostra.
1 Macuiavrlli, Commiss, cit., lett. 30. Ibid., lett. 46: « m'impose che io confortassi
V. S. che per Sua Santità non si resterebbe ad fare alcuna cosa per la libertà della Chiesa....
e che e' se gli avesse compassione se in su questi principi lui non si mostrava altrimenti
vivo, perchè gli era contro ad sua natura forzato dalla necessità, non avendo né gente
né danari.
« OiusTisiAN, Dispacci, voi. II, pag. 239: « li stati volemo che tornino alla Chiesa, e
;volemo noi quest'onor, di ricuperar quello che i nostri precessori hanno malamente alie-
nato alla Chiesa ».
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SBCO*ND0] [L MACHIAVELLI E LA REPUBBLICA DI VENEZIA. 291
tosto s'adattavano a riceverne investitura come feudo della
chiesa, che non volessero sgombrarle e farne restituzione; quasi
quelle due città avessero ad esser prezzo del favore immenso
che essi avevano dato all'elezione di lui. ^
Naturalmente, T industria personale dell'oratore Giustinian,
per quanto finissima, non poteva bastare allo strano compito che
gli affidava la repubblica; mentre all'incontro il Machiavelli,
mandatario fiorentino, aveva giuoco opportuno e fortunato,
perchè importando al governo di Firenze che il Valentino af-
fogasse e che il pontefice s'indispettisse contro Venezia, gli
offici dell'oratore venivano confortati e aiutati per fatto dei
nemici stessi della città sua.
Se non che, quanto i preconcetti del machiavellismo e l' im-
perfezione del metodo nelle ricerche storiche* abbiano cospirato
a travisare l'opera del segretario fiorentino non apparisce meno
palpabile in questa occasione, che nelle altre da noi già no-
tate. Niccolò per certo non aveva ragione di vincoli colla for-
tuna de' Borgia; non aveva ragion di riguardi per la repub-
blica di Venezia, che ricusando ogni riguardo alle altre Pro-
vincie d'Italia, vagheggiava esercitare sola su queste una
egemonia superba e insufiìciente. Pertanto a lui non doveva
neppure riuscir duro adoperarsi secondo il mandato e l'utilità
del proprio governo, tendere all'annientamento del Borgia,
metter freno a Venezia. Ma coloro che vollero figurarselo
complice de' tradimenti di Sinigaglia; coloro che reputarono
ch'egli avesse non notomizzato, ma adorato il Valentino e le
gesta sue, gli fecero colpa di questa legazione, come se in
questa avesse per colmo di viltà abbattuto e spezzato l'idolo
del suo pensiero. ^ Altri poi, con apparenza anche minore di lo-
gica, lo accusarono d'aver gittato in questa le fondamenta alla
lega di Cambrai. ^ Or ecco in che consistè l'opera sua.
Papa Giulio non voleva, a petto a Cesare Borgia, aver
sembiante di mancatore alle promesse, ma non voleva neppure
mantenergli tutto; e, per quel che gli mancasse, voleva trovare
» Cf- il Breve di papa Giulio « dileclo ftlio nobili viro L. Loderano duci Venetiae, dio vi*
nov. 1503» Dei Diari di Marin Sani'TO, voi. v, fol. 135, pubblicato dal Brosch, op. cit., p. 2S7.
' NouRRissoN, Machiavel, pag. 93 e seg.
» E. Gkbhart, UhonnélBti diplomatique de Machiavel, loc. cit., pag. 297: « Il con-
vient d^abord de rappeler l'uno des plus funestes négociations de Machiavel, la plus grande
et la pire action de toute sa vie, la part qu'il prit aux origines lointaines de la ligue de
Cambrai ». A questo proposito ci piace rammentar il motteggio del Michelet, Histoire de ^
France, t. vii, pag- 210; « Rapportons-nous en ... à quelqu'un qui fut bien plus machia-
véliste que Machiavel, à la republique de Venise ». —
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292 CAPO TERZO. [libeo
scusa nella necessità delle cose, nell* intromissione altrui, nel
sopraggiungere di nuove contingenze.
Di lui aveva detto al Giustinian: ^ non vogliamo che la
Serenissima pensi che noi vogliamo dargli favore, e che gli
resti pure un merlo di fortezza in Romagna, e sebbene gli
abbiamo promesso qualche cosa, vogliamo che la promessa
nostra s'estenda alla conservazion de la vita sua, dei danari
e della roba che à rubato » . ^ Scriveva poi un breve ai Fio-
rentini che se lasciassero passare il duca in Romagna colle
armi che andava accozzando, gli farebbero cosa gratissima, e
raccomandavalo con paterno affetto « propter ejus insignes vir-
tutes et praeclara merita ». ^ Ma aveva già fatto intendere, cosi
replicava all'ambasciatore veneto, il peso che a quel breve aves-
sero a dare. ^ Né si restava Niccolò dall' insistere presso di loro,
rappresentando « la natura pericolosa » del Valentino, perchè
non s'illudessero in giudicare utile reintegrarlo negli stati suoi,
per averlo di mezzo fra loro e i Veneziani. Troppo difBcile
sarebbe stato poi mantenerlo; il tentativo solo poteva dar oc-
casione ai Veneziani d'avanzare più oltre. D'altronde il duca
s'accorgeva come tutti quei brevi tornassero a nulla, come
tutti lo giocolassero; e questa durissima irrisione della sorte
sembrava avergli mutato tempra. Egli appariva « vario, irreso-
luto, sospettoso, non stava fermo in alcuna conclusione; o che
sia cosi per sua natura, o che questi colpi di fortuna lo ab-
biano stupefatto, e lui insolito ad assaggiarli, vi si aggiri
dentro » . ^ Niccolò era destinato a vederlo dibattere fra quelle
strette, a dargli anzi la spinta nel precipizio, ad attizzargli
contro l'Amboise ed il papa, e mettere Firenze nel consorzio
dei danneggiati da lui, e dargli querela pe* danni ricevuti al
primo irrompere suo in Toscana, nel 1501., e nella ribellione
d'Arezzo. Niccolò era destinato ad assistere agli scrosci dispe-
rati d'ira, in cui prorompeva quel tristo, man mano che sen-
tivasi mancare il terreno sotto. Co' Fiorentini l'aveva a morte:
« essi, diceva, gli erano stati sempre nemici ; di loro s' à a do-
lere, e non de' Veneziani; essi con cent' uomini potevano assi-
» Giustinian, Dispacci^ t. ii, pag. 289.
* n Breve è de' di 10 novembre. Arch. fior.. Atti pubblici, ccLxii. Lo cita il Gbbgo-
Bovius, Qeschichte der Stadi Ronij viii, pag. 20-21, in nota. — Cf. M.vchiavelli, loc. cit.,
lett. 35: « Il papa lo serve di brevi e patenti quante ne vuole, senza mettervi altro di suo ».
» Giustinian, loc. cit., pag. 279. — Brosch, op. cit., pag. 100. — Maciiiavklli, Co^a-
missione cit., lett. 26, 28, 30, 33, 35.
* Machiavelli, ibid., lett. 35, 36. 83.
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8BCO?iDo] DISPERAZIONE DI CESARE BORGIA. 293
curargli lo stato e non anno voluto farlo; ma ei s'ingegnerà
che siano i primi a pentirsene; e poi che Imola è persa, non
vuol più metter genti insieme, né perdere il resto, per riavere
quello che à perso; e' non vuol più essere uccellato da' Fio-
rentini, ma vuol mettere di sua mano quel tanto resta loro
in mano de' Veneziani, e crede che presto vedrà lo stato loro
rovinato, e lui è per ridersene; e i Francesi riperderanno
nel reame di Napoli, o avranno in modo da fare che non po-
tranno aiutare Firenze *. — « E qui, aggiunge il Machiavelli,
si distese con parole piene di veleno e di passione. A me non
Mancava maniera di rispondergli ; né anche mi sarebbe man-
cato parole; pure presi partito d'andarlo addolcendo, e, più de-
stramente ch'io posse', mi spiccai da lui, che mi parve mille
anni, e ritrovai monsignor di Volterra e Roano, che erano a
tavola, 1 e perchè e' mi aspettavano con la risposta, riferii loro
appunto ogni cosa. Alte rossi Roano delle parole usate da lui,
e disse: Iddio non à infino ad qui lasciato alcuno peccato im-
punito e non vuole lasciare anche questi di costui ». ^
Cosi quella miseria estrema veniva raggravata dall'indif-
ferenza di chi lo aveva già tanto temuto, ed ora vedeva ch'ei
non poteva esser più amico o nemico efficace. Nessuno gli ten-
deva la mano, ma egli afifogava tra' buoni consigli. Il cardinale
di Volterra gli mostrava che « el disperarsi era inutile, e che
la disperazione torna, ut plurimum, sopra al capo di chi di-
spera >.3
Cosj, a piccoli gradi, va « sdrucciolando ogni di dentro
l'avello. » Il poco di respiro che sembrano fargli trarre i ca-
stellani delle fortezze di Romagna, i quali ricusano rimetter
queste a chicchessia senza ordine suo, vien tosto soflFocato dal
papa, il quale à il pretesto d' imporgli che ne faccia consegna
alla chiesa, quando si corre rischio di vederle occupate dai
Veneziani. Tuttavia se il pretesto c'era, le forze mancavano;
il papa avrebbe ben voluto sbrigarsi del duca : — « mandarlo
con dio > — , come dicevasi; ma sbrigarsene e restar sicuro era
> L'abitazione del cardinale d'Amboìse doveva essere presso la chiesa di Sant'Ago-
stino, nel palazzo edificato da Guglielmo Estouteville (1433), ch*er& stato suo predeces-
sore nella sede archiepiscopale di Rouen. l\ palazzo era turrito, secondo che apparisce
dalla Pianta prospettica mantovana, edita dal Db Rossi {Piante icnografiche e prospet-
tiche di Roma anteriori al sec. XVI, pag. 107). nella quale trovasi precisamente notato
sniralto della torre « P (alazzo) de Roano ».
« Machiavelli, loc. cit., lett. 22. E nella lett. W; « vedesi che e' peccati sua lo hanno
A poco a poco condotto alla penitenza; che Iddio lasci seguire il meglio ».
» Id. ibjd., lett. 23.
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tM CAPO TERZO.
un grave problema- Vada per acqua a Porto Venere o alla
Spezia, e di quivi per la Garfagnana a Ferrara. Si combina
così co' cardinali spagnuoli, con quelli di Rouen, di Volterra
da Este. ' E nella natte de' 10 novembre « con satisfazione
di tutto il paese » il duca va ad Ostia * per imbarcarsi come
il tempo lo servirà ». * Messer Agapito e il cardinal Romolino,
già uomini suoi, « per non partecipare della sua cattiva for-
tuna > non ranno seguitato. Ma Giulio, il dì appresso, manda
un uomo a vedere se è partito: — « se non è partito lo
facci fermare » ' — e poi prega il cardinal di Volterra, invi-
tatolo a desinare, che all'indomani di buon'ora vada anche
lui a trovare il Valentino, e gli proponga nuovo accordo:
rimettere in mano di Sua Santità la ;^ rocca di Forlì, di Ce-
sena, di Hertinoro e averne promessa di restituzione appena
siasi scongiurato il pericolo de' Veneziani; però che questi, su-
bito dopo il primo allontanamento del Duca, gli erano com-
parsi più terribili, e non ne aveva potuto dormire la notte. Se
non che, tale proposta che, pochi giorni prima, trovava arren-
devole il duca, allora non fu accettata dal pontefice, il quale
disse < non era per rompere fede a persona », ^ poiché inten-
deva che non avrebbe mantenuto di certo quel che promet-
teva; ma ora che il papa costretto dalla necessità la ripigliava,
veniva respinta a dirittura dal Borgia, che si trovava avanti
il mare e si credeva libero. 11 papa invece, crucciato pel ri-
fiuto, sopra una galea lo imprigiona a sua posta. — < lì duca à
fatto oggiraai tutti li atti suoi », — scrive allora il Machiavelli, ^
e poiché gli é preso, o vivo o morto che sia, si può fare senza
pensare più al caso suo »... — ...« questo papa comincia a pagare
e' debiti suoi assai onorevolmente, e li cancella con la bambagia
del calamaio ». —
Infatti del Borgia non rimane che a vegliare il modo e
lo stento dell'agonia. Fra il popolo trapela già il rumore che
il papa l'abbia fatto gettare in Tevere. Invece, a' ventinove di
gennaio in Concistoro segreto, lui non presente, il papa e i cardi-
nali, che lo voglion far morire da diplomatiòi, piombano un'altra
bolla d'accordo, per cui é stabilito : sotto la custodia del Carvajal.
vada sicuro e scortato a Civitavecchia, e quivi abbia dimora
> Macbiayelli, loc. cit., leu. 35.
• Id. ibid., leu. 44.
* Id. ibid., leu. 46.
* M. ibid., leu. 49.
• Id. ibid., leu. 61.
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SBCONDo] CESARE BORGIA TRADITO VA COXSALVO. 205
nel castello; entro quaranta giorni riconsegni al papa le for-
tezze romagnuole, e in tal caso sia libero d'andare ove voglia;
se scorso quel termine la condizione non sia adempiuta, ricon-
dotto a Roma, vi stia prigione in perpetuo. ^ Ma il Valentino,
anche sotto a quest'oppressione, cerca tirare fiato: a' di 4 di
marzo propone ancora a papa Giulio dargli quelle rócche di
cui può disporre, Bertinoro e Cesena; se n'accontenti; per
quella di Forlì, promette sicurtà di quindicimila ducati ; è certo
che il castellano la restituirà, quando ei gli possa parlare.
Riaver la libertà per quindicimila ducati era ancora so-
gno del Borgia; e il papa non gli ricusa aperto, ma gli fa
rispondere che non vuole altra sicurtà che di banco. E il Va-
lentino riesce a trovare anche questa; ma non basta. Gli si
attizzano le cupidigie degli altri castellani addosso; deve dar
cauziona d'altri diecimila ducati per le galee che vuole armare:
si mette in diffidenza il Mottino, governatore di quelle galee,
che il condurlo non abbia ad essere contro alle intenzioni del
papa. Pur finalmente con tre navi e una fusta del gran Capi-
tano, mercè la fede del cardinale Carvajal, che mai non gli venne
meno, e a dispetto del papa stesso, scampa di notte, e veleggia
alla volta di Napoli. * Da quivi riesce a mettere ancora un
briciolo di paura: la fortezza di Forlì inalbera la bandiera di
lui e bombarda la città; e nella curia di Roma se ne sgomen-
tano. Si teme non entri Pisa o Piombino, non soldi alemanni,
non sollevi spagnuoli; e Firenze non à pace. Ma il tradi-
mento che gli fa Consalvo rassicura tutti. Questi, che, chiesto
istruzioni in Spagna, avevalo nel frattempo tenuto in sull'ali,
non appena le istruzioni gli giungono, simulando dargli licenza,
ordina sia fatto passare in una camera nella torre dell'Oro in
Castel Nuovo. Quella camera aveva finestre 'ferrate di dentro
e di fuori; si chiamava il forno; aveva servito di prigione in
altri tempi ad illustri signori : servì ora pel Borgia, finché non
venne tradotto in Ispagna, a Medina del Campo. ^ — Così lungo
e pauroso andò il tramonto di chi ^veva offeso e irritato contro
* BuBCABDo, Diario.
* GiusTiNiAN, Dispacci^ voi. in passim.
» Archivio fior., Lèttere ai Dieci, ci. x, dist. 4, n. 81 a e. 207 t. Lettera Hi Fr. Pan-
dolfini da Napoli. Ulteriori notizie del Valentino recano : il ^urita, Annales, lib. vn,
cap LI, col. 131. n Saitoto, Diario, voi. iv, fol. 2*4. voi. vii, fol. 20. Cf. Bkosch, loc.
cit., e. IV, e note, pag. 324. — Grboorovius, Qeschichte d. St. Rom.^ t. viii, pag. 25-27.
Il Óksjabdikb, Négociations diplomatiques^ voi. ii, pag. 103. — lì Flburangb, loc. cit. così
coDclnde di lai: « De ses vertns et vicesje n'en dirai autre chose, car on en a assez parie,
trop bien veux-je dire qa*à la gnerre il estoit gentil compagnon et bardi homme ».
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296 CAPO TERZO. [libro
a se i potenti contemporanei, freddi per la virtù, fiacchi per
l'odio, speculatori d'utilità sordide e vili. Quando si considera
che de' nemici di Cesare non fu alcuno che, morto papa Ales-
sandro, non trattasse con lui, e di lui non cercasse cavar
qualcosa; s'intende quanta bassezza d'intenti moveva quell'alta
società vile ; quando si considera che senza la « laudabilis pe?^-
fdia » del gran Capitano, come la chiama il de Thou calvinista, *
forse per qualche tempo ancora Cesare Borgia avrebbe agitato
e fatto suo il mondo, si giunge a intendere come l'ammirazione
per l'ardire e l'oculatezza del Valentino potè sovrastare alla
prezza di qualità morali infinitamente più degne ed eflScaci,
sempre che l'imprudenza eia desidia non le spossi ed isteri-
lisca.
Pel Machiavelli del resto, come vedemmo. Cesare Borgia
era già da un pezzo finito; ma sulle rovine di lui s'alzavano
i Veneziani a giganteggiare. La Signoria della Romagna li
avrebbe condotti alla monarchia d'Italia; * e i Fiorentini in-
tendendo questo, anche prima che quelli non tentassero Faenza,
erano disposti a impedirlo per ogni verso. Caduta poi la rocca
di quella città in mano a coloro, il dado parve tratto: questa
impresa « o la sarà una porta, che aprirà loro tutta Italia.
0 la fla la ruina loro ». ^ Cosi il cardinal di Volterra e il
Machiavelli eransi espressi al cardinal legato di Francia; e
il dilemma era giusto.
Ora, il pericolo dell'egemonia veneta pareva sommo e su-
premo; che se la servitù recata da una repubblica, è duris-
sima a' paesi che soggetta; se sempre vuol dire snervamento e
sppgniniento di questi a utile suo; ^ nella minaccia di Venezia
1 Thouani's, Hi8tor.y\ i, vi.
* V. Lettera dei Dieci al M. « die xv novenibris 1503 ». Bibl. Naz., doc. M., busta in,
n. 118, pubblicata fra le Opp. del M., Commisi, cit.j pag. 366.
■ Machiavelli, Commiss, cit., Lett. 57.
* Machiavelli, Discorsi, lib. ii, cap. ii. Il Burckhardt (Die Cultur der Renaissance
in Ilalien, pag;. 58) ben determina le relazioni di Venezia cogli altri stati italiani : « Der
Grundton des venezianischen OeniOthes war daher der einer ztolzen, ja verachtungsvollen
IsoliruDg und folgerichtig einer st&rkern Solidaritàt im Innern, woza der Hass des ganzeu
ilbrigen Italiens noch das Seine that ». — E il Machiavelli, Commias. cit., Lett. 57: « B ve-
ramente e* si vede qua un odio universale centra di loro, in modo che si può sperare, se
l'occasione venissi, che sarebbe loro fatto dispiacere, perchè ogni uomo grida loro addossa,
e non solamente quelli che tengono stato per loro, ma tutti questi gentiluomini e signori
di Lombardia sudditi del re, che ce n'è assai, gridano nelli orecchi ad Roano ». — A Mi-
lano era proverbio : « quando nasce un milanese, nasce un nimigo de* venetiani » V. Marin
Sanuto, Diariit t. i, e. 1032. ~ Cf. ibidem, col. 1021 i sonetti fatti a Firenze, Bologna e
Venezia, l'una città contro Taltra:
« Venetia ha stato più che animo, et è
Fredda assai più che l'acqua ov'ella sta .
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SBCONDo] TIMORI DELL' EG EMO SIX VEGETA. 297
parevano accumularsi con danni irreparabili una insopportabile
vergogna; perchè la superbia de' modi veneti avrebbe inasprito
ancor più la crudezza de' fatti; perchè Venezia sarebbe dive-
nuta il solo emporio della terra ferma italiana, e a Firenze sa-
rebbe toccata quella miseria estrema ch'essa preparava a Pisa,
accompagnata da infiniti spregi per l' impotente e ciarliera sua
democratia.
A scongiurar pertanto il grave pericolo fu rivolta tutta
l'industria fiorentina; forze e scaltrezza volevansi, ma non
avevano forze. Antonio Giacomini, il miglior braccio della re-
pubblica, era stato mandato commissario a Modigliana, per ov-
viare ai progressi veneti; Pierfrancesco Tosìnghi, già commis-
sario a Castrocaro, pareva non fosse bastato a questo. Egli
aveva creduto di valersi dell'espediente suggerito altra volta
dal Valentino, comandando un uomo per casa; ma quei co-
mandati avevano fatto pessima prova. Non istrutti, non ag-
guerriti, non incoraggiati da buon successo, non rassicurati
dalla valida azione di Firenze, cedevano presto avanti le sol-
datesche di mestiere e la gagliardia dell'aggressione veneta.
« Conviene o levarsi interamente dall'impresa o fare altra prov-
visione che di comandati! » cosi scriveva a' Dieci il Giacomini,
poiché i Veneziani « acquistando ogni di terre, si vagliono di
qaelli uomini; i quali per non perdere le robe, s'accomodano
col più possente, e le parole non vagliono contro la spada ».
Del resto i comandati « mostrano poco valore nelle imprese,
e sono i primi arrivati in sul fatto che tomansene a casa ». ^
Queste lettere del Giacomini, che valsero come esperienza a
modificar le idee del Machiavelli circa la possibilità di rista-
bilire per allora nella milizia statuale l'obbligo, svegliarono i
Dieci a far provvedimenti più forti; ma tardi.
La città di Faenza era venuta in potere de' Veneziani, e
Firenze, disperando di contrastar loro con efficacia per via
della forza, dovette voltarsi tutta a cercare salvezza negli in-
trichi della politica.
Per buona sorte, in questi essi avevano miglior giuoco; co-
spirando a favorirli la mala disposizione che anche oltre ai monti
erasi generata contro dei Veneziani. Il re di Francia, secondo
che ebbe a esprimersi coll'oratore fiorentino, « aveva l'animo
doloroso contro di loro » ; Massimiliano gli aveva già accusati
* Pitti, Vita d'Antonio Giacomini, pag. 179. 1
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298 CAPO TERZO. [libro
ch'essi pretendessero chiamarsi imperatori della quarta parte
d'Europa; ^ Spagna avversavali; il papa a questa sovrappo-
sizione di odi poteva mettere cemento, e non mancava chi a
questo sapesse stimolarlo. Ben si conosceva ch'egli era veneziano
di inclinazioni; 2 ma era pur di natura « onorevole e collerica; —
e l'uno lo accenderà, l'altro lo spingerà ad operare contro a chi
volessi disonorare la Chiesa in suo pontificatu, » ^ — pensava il
Machiavelli, il quale sin dal primo giorno che andò a ren-
dergli omaggio, studiossi rinfocolar lui e i cardinali contro la
repubblica serenissima.
— « Partimi da sua Santità, scrive, e parlai a monsignor
Ascanio, ad san Giorgio e ad san Severino, ricordando loro
che qui non si trattava della libertà di Toscana, ma della li-
bertà della chiesa, e che il papa diventerebbe cappellano dei
Veneziani ogni volta che diventassino maggiori di quello che
sono; e che a loro toccava il provvedervi; che ne avevano ad
essere eredi; che noi per la parte nostra lo ricordavamo a
tempo, e ofiferevamci di quel poco che si può. Mostrarono questi
cardinali risentirsi e promisono fare ogni cosa ». '^ E il cardi-
nale di Volterra non cessava d'insistere pur egli presso il
pontefice e di ricordargli che papa Clemente quinto aveva sa-
puto trarre di mano ai Veneziani Ferrara, quando questi l'eb-
bero occupata; che papa Sisto quarto aveva saputo provocar
contro a loro tutta Italia; ^ ora toccava a lui raccogliere gli am-
basciatori di tutte le nazioni, e alla presenza di tutti querelarsi
delle ingiurie venete fatte alla Chiesa, cercar consiglio ed aiuto.
Tuttavia papa Giulio non voleva ancora sfrenare il gran
cruccio; preferiva mandare a Venezia i vescovi di Tivoli e di
Ragusa, per tentare se fosse possibile ancora una soluzione
d'accordo, senza appigliarsi a una mostruosa e nefaria guerra.
« Ne monsignore di Volterra posse persuaderlo ad altro >. *
* RoMANiN. Storia documentata di Venezia, v, 12.". « Immo vocant se imperatore?
quartae parti s Europae ».
« Idem, ib-, pag. 131.
» Machiavelli, Commiss. cìt.. Lett 46.
* Machiavelli, ibid., Lett. S2. — Più tardi in un dispaccio d'Antonio Oiustinian, in
data del 17 luglio 1504, si legge: « e questo volse sua Beatitudine innuir uno de questi
zorni, parlando con un. che poi me lo riferisse; el qual disse: - Veneziani ne voriano te^
gnir per suo èapellano. Non lo faranno mai! - subiungendo, che l'aveva de buono en mar
nega ». — L'ironia vivace del Segretario fiorentino aveva flunque ferito al vivo il ponte-
fice irritabile, se questi all'oratore veneto la ripeteva testualmente.
* Machiavelli, Comm. cit., Lett. 49.
^ Machiavelli, Ioc. cit. — li vescovo di Tivoli era Angelo Leonini; quel di Ragusa.
Giovanni Sacchi. i
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secondo] N. machiavelli E IL CARDISAL SODERIM. 299
Ciò spiaceva a Firenze, che faceva tutti i conti suoi sul-
l'ira del papa; e non vedendolo tosto prorompere stava per
attribuirlo a colpa degli agenti suoi, quasi non fossero operosi e
sagaci abbastanza. Cosi accadeva che il Machiavelli e il cardinal
Soderini si giustificassero a vicenda. — « E' mi pare, scrive Nic-
colò, che monsignore reverendissimo di Volterra non lasci ad ri-
cordare né ad osservare cosa veruna che si convenga ad chi ama
la sua patria e il bene universale; e se e' provvedimenti e li ri-
medii non sono conformi alli ricordi suoi, ne tali quali él bisogno
ricerca, e vostre Signorie desidererebbono, se ne à ad incolpare
la malignità de' tempi e la cattiva sorte degl'impotenti >. ^ —
E il Volterra, di ricambio, quando i Dieci gli richiamano Nic-
colò, affettuosamente scrive: « lo tenghino caro Vostre Signorie,
perchè di fede e diligenzia e prudenzia non se ne a ad desi-
derante molto in lui ».* — Questa mutua raccomandazione suonò
male; né si vedeva volentieri da molti la devozione di Niccolò
pel cardinale di Volterra ; ^ dappoiché, in corte di Roma, dopo
l'assunzione del pontefice nuovo, erasi incominciato un batta-
gliare cardinalesco che aveva sue mire e suoi alleati fuori di
Roma. Ascanio Sforza, che già una volta in conclave aveva de-
luso l'ambizione del Rouen, gli rompeva per la seconda volta
la fede, negandosi a ritornar con lui prigione in Francia. Su-
bito collo Sforza univasi il cardinale de' Medici, il cui ascen-
dente ne' pochi giorni del pontificato di Pio terzo erasi di non
poco accresciuto. — « Molti Fiorentini lo corteggiavano in Roma^
scrive il Pitti, e li nimici del Gonfaloniere lo celebravano in Fi-
renze j*.'* — E il Medici e lo Sforza insieme attizzavano papa
Giulio, nemico degli oltramontani, acciò per salute di Italia ren-
des.se Milano agli Sforzeschi, cacciandone i Francesi, che già dal
reame di Napoli erano stati presso che espulsi per gli Spagnuoli.
Naturalmente, il solo tentativo di rimettere gli Sforza in Milano
avrebbe cagionato mutamento di politica anche in Firenze;
avrebbe fatto sentire l'opportunità di rimetter dentro questa
città il partito ostile a Francia. De' Medici, morto affogato nella
guerra del reame Piero, « odioso a ciascuno», ^ il cardinale Gio-
> Machiavelli, loc. cit., Lett. 56, 57.
* Archivio fiorentino, Dieci di Balìa. Carteggio resp., Alza 75. e. 158, lettera edita dal
Patserini fra le Opp. del M., voi. ii, pag. 404, in nota.
* Bibl. Naz., doc. M., busta in, n 86. Lettera di Biagio Bonaecorti a N. M.. die 4 de-
cembris moiij : « Bastivi che ci è di maligni cervelli e a chi dispiace scriviate bene deT
Volterra ».
* Pitti, Storia di Firenze, libro i, pag. 87. — Cf. rAT.cYONio, Medicei legatuh passim.
» Pitti, loc. cit.
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300 CAPO TERZO. [libro
vanni e Giuliano vivevano desiderati da molti. I Salviati, i
Pazzi, Bernardo Rucellai, i palleschi tutti si risentivano per loro.
Pertanto contro al cardinal di Volterra e al Machiavelli, due
sorta di mali umori si scatenavano: l'uno di coloro che nimi-
cavano lo stato dei Soderini e l'alleanza francese; l'altro di
quelli che sospettavano con dolore e .con inquietezza che i Me-
dicei potessero pigliare il sopravvento, e temevano che la ca-
pacità e la solerzia di chi doveva contrabbilanciare .nell'animo
del papa lo mene e la possa degli sleali insidiatori della li-
bertà, non fosse abbastanza. ^ Preoccupati da questo stato di cose
i Dieci, non appena intendono che, fatta la coronazione del papa
e preso il possesso solenne in Laterano, il cardinale di Rouen
erasi per tornare, ordinano a Niccolò ch'ei venga a Firenze
colla maggior celerità possibile, volendo che quivi sia presente
al passaggio del ministro francese. * Ma non era questa la ca-
gione vera per cui lo sollecitavano: il gonfaloniere aveva in animo
di mandarlo col cardinal di Rouen in Germania; dappoiché, ap-
parecchiata la conclusione d'una lunga tregua con Spagna dopo
tanti disastri dell'armi francesi, l'Amboise intendeva a rap-
piccar trattati con Massimiliano imperatore per venire a capo
dell'accordo preparato fin dall'ottobre 1501 tra lui e re Luigi,
e procurare a questo la investitura imperiale del ducato di
Milano. Il Machiavelli era stato messo in sull'avviso di questa
intenzione del gonfaloniere per una lettera del Bonaccorsi:
« Se fa per voi, bene quidem; se no, ordinate li difensivi >.^
E Niccolò si difese : — « La lettera giunse ieri, e Roano partì,
tale che conveniva venisse per staflFetta, e questo mi era molto
difficile ad fare, sondo infetto d'una malattia comune che è in
questa città, e queste sono tosse e catarri, che intruonano ad
altri el capo e il petto in modo, che una agitazione violenta,
come la posta, mi arebbe fatto danno. Arèi nondimeno, desi-
derando d'ubbidire, tentato la fortuna, ma monsignore reve-
rendissimo di Volterra non mi à concesso el partire, paren-
dogli, avendo ad differire gì' imbasciadori ancora un venti dì,
1 Bibl. Naz., doc. M., busta ni, n. 26. Lettera di Biagio Bonaccorsi a N. M., « die
4 decembris mdii(j ». Tra coloro che erano in gran collera col Machiavelli, in questa lettera
è menzionato un ser Agnolo Tucci « per non li hauere mai risposto che dice haueruene
fatto scriuere dal gonfaloniere et da quanti cancellieri è in questo palazo ». — l\ rumore
ebbe ad esser grande ; ebbe forse ad esserci chi consigliò il Machiavelli a lasciar la Can-
celleria, ma il Bonaccorsi aggiunge: « Chi ui scriue che troviate altro exercitio non ui
vuol bene, perchè io non ueggo altro pericolo ne' casi uostri che il consueto ».
* Machiavelli, Ioc. cit., Lett. 83.
» Bonaccorsi, Lett. cit.
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secondo] nuova commissione DEL MACHIAVELLI IN FRANCIA. 301
come voi accennate, che el rimanere qua senza uno istrumento,
del quale lui si potesse valere per le cose pubbliche, fussi ad
lui carico, e dannoso alla città; né si è risoluto altrimenti; e
io facilmente, e credo che sarà con buona grazia delle Signorie
vostre, ò ceduto all'autorità di sua Signoria, costretto dall'af-
fezione, ch'io veggo che porta alla città, e dalla fede che me-
ritamente da ciascuno costi gli debbo esser prestata ». ^ —
Questui lettera non trovò grazia ; e i nuovi Dieci, entrati in
oflBcio, vedendo il Machiavelli già revocato dagli antecessori, in-
sistettero nel richiamo. Egli tornò dopo un mesa di soggiorno
ingiocondo ^ e grave a'. suoi privati interessi; ^ ma non si ri-
mase a lungo; dappoiché non per altro aveva stornato l'andata
sua in Germania, se non perchè TAmboise aveva ricevuto let-
tere di re Luigi che lo sollecitavano a recarsi a Lione quanto
più presto potesse. Ora, la furia del re indicava che questi si
trovava male ad agio coi casi suoi, e la repubblica, ch'era tutta
appoggiata su lui, tremò. Sollecitamente mandò oratore in
Francia Niccolò Valori, che trovavasi a Firenzuola, il quale,
prima della partenza sua ebbe ad intendere dal Machiavelli,
spacciatogli espressamente a quel luogo, l'intenzione dei Dieci.
S? non che del Valori non venivano lettere, e l'impa-
zienza s'aggravava del sospetto che ci fosse chi proibiva che
quelle lettere giungessero, chi intercettava le lettore stesse
mandate all'oratore. Pertanto fu preso il partito di spedire il
Machiavelli a dirittura, il quale fece promessa di recarsi di
Firenze a Lione « in sei dì o prima », e l'attenne. ^
Egli e il Valori avevano commissione di presentarsi al re;
scuoterlo, se era possibile; « vedere in viso » le provvisioni
che da lui si fanno, congetturarne la portata, giudicarne la
> Machiavelli, Ice. cit.. Leti. 85.
* Machiavelli, ibid., Lett. 35 : « E nondimanco la peste ci rinforza e ci diventa una
stanza troppo trista, perchè i tempi e la straccuràtaggine e ogni cosa la angamenta ».
* Nella Lett. 53 di questa Commissione Niccolò parla delle sue condizioni economiche :
« Io ebbi al partire mio trentatre ducati; spesine circa tredici per le poste....; ho speso
in nna mula IS ducati, in una veste di velluto 18 ducati, in uno catelano undici, in uno
gabbano dieci, che fanno settanta ducati; sono in sull'osteria con due garzoni e la mula;
ho speso ciascun di dieci carlini e spendo. Io ebbi dalle Signorie vostre di salario quello
che io chiesi, e chiesi quello eh* io credetti stessi bene, non sappiendo la carestia è qui.
Debbo pertanto ringraziare le Signorie vostre e dolermi di me; tamerif conosciuto meglio
questa spesa se ci fussi rimedio, io ne prego le Signorie vostre ». Cf. lo stanziamento re-
lativo a questa missione di Niccolò^ pubblicato dal Passerini, loc. cit., pag. lxii.
^ La patente per l'andata a Firenzuola è addi 12 gennaio (Archivio di stato fior.,
Deliberaxioni de X, classe ii, dest. 6', n. 105, e. 124. Lo stanziamento per essere andato
in Corte del re cristianissima è a* di 19 del gennaio in fiorini 80 larghi in oro. — Il Bo-
:«ACcoB8i {Diario, pag. 36; dice : « Si mandò un huomo in poste al rè por mostrare a Sua
Maestà il pericolo ».
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302 CAPO TERZO, [libro
qualità; fargli sentire i pericoli certi e prossimi in cui sono le
cose francesi in Italia; intender l'animo suo e i disegni che à
per mantenere quel che gli resta di stato e d'amici. Gli Spa-
gnuoli trionfano nel reame, i Veneziani imbaldanziscono in Ro-
magna ; tutti e due anno intelligenze comuni : Lombardia e To-
scana stan sotto la loro minaccia; Pisa spera della loro fortuna;
i ribelli di Firenze si risentono anch'essi, e il papa ondeggia.
In questo frangente, i Francesi avevan fatto sole due cose:
rotto la condotta del Baglioni, comune co' Fiorentini ; e ordi-
nato a questi di pagare ducati diecimila ogni fiera. Di queste
due cose, l'una era sembrata indizio che ei si spiccassero del
tutto dalle cose d'Italia; l'altra che non pensassero se non a' casi
propri, abbandonando gli amici che tanto avevano patito per
loro. Né Firenze poteva credere che, quando si rimediasse a
quei due fatti solamente, le due gravi supposizioni, che da
quelli erano germogliate, s'avessero a sbarbicare. Bensì af-
facciava occorrere che il re passasse i monti e venisse a
Milano; mandasse nuove armi e ordinasse meglio quelle che
c'erano; coU'autorità sua riunisse in un corpo le divise membra
di Toscana; soldasse Svizzeri; conducesse Orsini o Colonnesi;
satollasse le brame loro; non trascurasse i Baglioni coi quali si
terrebbe ferma Siena; determinasse in suo favore il pontefice;
empiesse delle navi sue i mari italici. Domandava insomma
colla forza della disperazione, d'essere aiutata davvero, a chi
sapeva che portava pericolo insieme con lei; o faceva sentir
quell'unica minaccia che poteva: muterebbe amicizie per trovar
salute. Il segretario fiorentino, ponderati gli apparecchi francesi,
quando non li avesse trovati « grandi, presti e in essere > aveva
commissione di lasciar trapelar questo partito indispensabile.
Egli fa sosta a Milano, secondo che gli è commesso, per
abboccarsi col luogotenente del re, nipote del cardinale di
Rouen, dimostrandogli tutti i pericoli che Firenze è per cor-
rere, se Consalvo viene innanzi. E lo Chaumont risponde non
credere che verrà. Il Machiavelli insiste nel rappresentargli le
probabilità sfavorevoli, nel colorire le male intenzioni dei Ve-
neziani; e quegli replica che, quanto ai Veneziani, i Francesi
« li farebbero attendere a pescare > . — « Non de rien doltè » —
aggiunge forte nell'accompagnarlo, « in modo che chi è dat-
torno possa udire ». ^ — E in queste afiermazioni era tutto.
» Machiavrlli, CommU$, alla Corte di Francia per la seconda volta, Lett. 6.
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SKCONDO] SECONDA COMMISSIÓNE IN FRANCIA. 303
Ma Niccolò ricorre al consueto espediente: « Parlai con
un amico di cotesta città, il quale mi riconobbe, perch'era
in corte in quello tempo mi trovavo , anch' io; e tiratomi da
parte, mi disse, mostrando dolersene, che faceva cattivo giu-
dizio delle cose di questo re, perchè sapeva che non poteva
mettere piano ad più danari; aveva qui poche gente d'armi,
e quelle sparte in più luoghi; non ci aveva fanterie; vedeva
che bisognava lunghezza di tempo ad condurci l'una cosa
e l'altra; non sentiva ne vedeva farne ordine alcuno; e dal
l'altra parte e' nimici erano in sulla sella, freschi, in su la
fortuna e in su la vittoria; tale che non conosceva che ri-
medio avessero non solum gli amici del rè, ma questo stato ». —
A' dì 28 di gennaio, circa ore 22, giunto in Lione, trova il Va-
lori ; e dà opera insieme con lui a gittar lo scandaglio in quella
corte, che si faceva torbida e incerta per sottrarsi agli inda-
gatori sagaci, e coprire con bell'aspetto la mala fortuna.
Al re, indisposto di salute, non possono essere ammessi. —
« E indisposizione d'anima e di corpo », — ^ concludono essi e
vanno al cardinale di Rouen. Di tutte le pratiche di questa com-
missione il Valori, cui Niccolò riman sempre subordinato, è quello
che ragguaglia la Signoria senza mancar d'accennare la parte
oculata e sottile che à in esse il segretario inviatogli. — « Nic-
colò Machiavelli con quella destrezza che fu possibile per fer-
mare Sua Signoria reverendissima, e per venire a qualche
particolare, e anche per aver occasione di ragionare di Giovan
Paolo (della condotta cioè del Baglioni) soggiunse che pensas-
sero, volendo salvare la Toscana, a salvare le mura, e che le
mura sue dalla parte di verso Consalvo sono: papa, Siena è
Perugia >. — Che fossero a guardare le mura dall'altra parte,
cioè la Romagna e la Lombardia, da' Veneziani intenti a bat-
terle, s'intendeva da sé. E contro a costoro non si trattava
che di restringere e portare a un capo le inimicizie prorom-
penti da ogni lato; ma i Fiorentini trovano sua maestà, il car-
dinale, i gentiluomini e signori della Corte, per le cose allora
successe, più vòlti alla pace che alla guerra.^ « Questa pace,
scrivono, la trattan con Spagna e coli' Imperatore. Colla Spagna
è già stabilita la tregua; di cui si aspetta in settimana la ra-
tificazione. Tutti la tengon sicura, incominciando dagli oratori
spagnuoli; e tuttavia « sull'esempio delle cose passate », (e i
* Machiavelli, Opp., Comm. cit., I.ett. 8.
* Machiavelli, Commiss, cit., Lett. 8.
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304 CAPO TERZO. [libeo
(lue fiorentini facevano allusione non dubbia alla brutta fac-
cenda del trattato di Blois) « la potrebbe essere o non essere,
e quegli ambasciatori affermarla più vivamente per addormen-
tare più il Rè alle provvisioni debite >.
Coir Imperatore poi le cose erano tanto poco avviate, che
il far congetture riusciva impossibile. D'altrond?, tanto Niccolò
che il Valori cercavano indurre i Francesi a torre esempio,
nel pigliare i partiti, « dal modo che avevano tenuto gli avver-
sari, ^ a seguitare i proverbi savi di re Luigi XI « il quale
soleva dire che sempre negli accordi faceva maggiori e mi-
gliori provvedimenti, che nella pace ». ^ Ma i tempi di re Luigi
undecimo erano ben morti, ed ora il reverendissimo legato agli
oratori fiorentini che si profondevano in far rimostranze e solle-
citazioni, rispondeva: « questa vostra è una canzone ». — Ed
essi: «la lascerebbimo dire ad altri, se noi non avessimo ad
essere i primi a patire; ma se la maestà del re si vorrà mante-
nere in Italia gli stati suoi e gli amici, bisognerà ne presti fede
agl'Italiani ». ^ Se non che gl'Italiani, deboli, spicciolati, come
ben li chiamavano in Francia, e nemici tra loro, non potevano
avere autorità di consiglio, come non avevano partiti onesti e
salubri a sceglÌ3re per sé. « Ci converrà, scrivevano i Dieci, i
.quali vedevano che il re non faceva nulla per frenare gli
acquisti di Venezia, « o stare in amicizia con Francia e i Ve-
neziani COSI, e aiutare anche noi la ruina d'Italia e nostra, o
lasciata quest'amicizia cercarne un'altra forse con maggiore
spesa, 0 forse con più securtà >A Del resto, a tentar di racco-
gliere gli spicciolati in una unione utile a Francia e a Firenz3
il re mandava in Italia Francesco da Narni; circa ai Vene-
ziani era d'accordo che conveniva disfarli ad ogni modo, ma
aspettava tempo. E qui, i due fiorentini si stringevano col Vil-
leneuve, signore di Trans, ch'era stato ambasciatore a Roma,
ove papa Alessandro l'aveva già per celia, e non senza con-
venienza, chiamato monsignor delle traine;^ acciocché egli il
quale delle cose d'Italia sapeva far buon giudizio, e capiva
che il momento d'imbavagliar Venezia era venuto, determi-
nasse il re ad un'azione energica. Quegli consigliavali a im-
pedire che, nel trattato di tregua tra Francia e Spagna, la cui
* Machiavelli, Opp., Commiss, cil , Lctt. 11.
* Machiavelli ibid , Leti. 16.
' Machiavklli ibid , Lclt. 16.
* Machiavelli, ibid., Lett. 18.
* GiusTiNiAN, Dispacci, t. II, pag. ^2.
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secondo] seconda COMMISSIONE IN FRANCIA. 305
ratificazione era finalmente giunta, quando fossero a nominare
gli amici e aderenti d*una parte e dell'altra (e a far questo
le due potenze avevano tempo tre mesi) nessuna delle due
parti nominasse i Veneziani. Francia non li nominerebbe per
certo ; bisognava far opera che non li nominasse neppure Spa-
gna: a questo efietto niun migliore intermediario che il pontefice.
Se non che Spagna li nominò invece, ma non con sincerità,
bensì in modo che potessero essere un'arma, e non mai un osta-
colo, secondo che meglio giovasse; e infatti, con un po' d'inter-
pretazione, vennero come ostacolo ben presto rimossi, ricu-
sando Francia accettarli in pregiudizio del papa, Spagna am-
mettendo facilmenle sifiatta clausola. Cosi gl'inclusi per co-
modo restarono anche a comodo esclusi.
Il nembo era per tal guisa addensato contro la regina del-
l'Adriatico, che poco mancava a prorompere, e i Fiorentini
funestamente, ma naturalmente gioivano. — « Si sono trattate le
cose vostre, come le nostre proprie », diceva loro l'Amboise, ^
e il Machiavelli, che dopo pochi giorni ripigliava la via di
Firenze, da questa aff'ermazione, quand'anche gli sapesse vera,
non tornava confortato gran fatto. ^
Il Valori, che restò circa un anno a quella corte, solle-
citando poi d'esserne richiamato, scriveva al gonfaloniere e al
Giacomini quanto fosse opportuno che a quella tenessero per
qualche mese, piuttosto che un oratore di reputazione, « un
homo di cervello et di non molte dimostrationi »; e a Niccolò:
« io desidererei che, come voi ci venisti alla venuta mia, cosi ci
tornassi alla tornata ».^ Se non che il Machiavelli aveva
ben gittato gli occhi in seno alla Francia. Sperare di riuscire
a trarre da lei tanta forza quanta occorreva per assodare in
Italia le cose francesi, gli pareva ormai vano; né era ad attender
da essa che facesse per Firenze quel che per sé non faceva.
Quell'alleanza era pertanto uno strascico, che si sarebbe rotto
quando l'una delle parti fosse sprofondata nel precipizio; e però
conveniva che la repubblica, a voler allungare la vita della
libertà sua, ad ottener rispetto all'ombra di quella sua ami-
cizia francese, cercasse in sé stessa miglior modo di rifar san-
gue e forza. Però, confermava nella fede i pochi amici suoi,
1 Machiavelli, Opp., loc. cit., Leit. 33.
• Machiavelli, Opp., Commiss, cit., Leu. 33, 35. V. lo stanziamento per questa se-
conda gita alla Corte di Francia nelVArch. fior., ul. xiii, iliat. 2, n. 60 a e. 115 t., pubbli-
cato dal Passerini, loc. cit., pag. lxiii.
• Machiavelli, Opp., Commiss, cit., Lett. 8.
ToMMASiM - Machijxelli. 81
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30» CAPO TERZO. [l
mandando prima il Segretario, poi DoflFo Spini in Piombino al-
l'Appiano; ^ si provvedeva di nuove condotte col Baglioni, con
Marcantonio Colonna, Iacopo e Luca Savelli, Ludovico della
Mirandola, Bandino dalla Pieve, Malatesta Malatesti, Paolo da
Parrano, Bandino Stefani, Ercole Bentivoglio. Tutto « per non
istare a discrezione » come diceva il Bonaccorsi. *
Se non che queste armi mercenarie costavano immensamente;
e il popolo, che non poteva disconoscere l'urgenza dei prov-
vedimenti militari, ne lamentava il peso, disfogavasi a specu-
lare il modo che fosse alleviato, e ventilava e commentava ogni
idea che paresse avere probabilità di raggiungere un tal fine.
A tutti sembrava inevitabile recar presto a termine il
racquisto della città di Pisa, la quale era « per trarre gli umori
d'inferno per offenderci »^ come aveva detto il Machiavelli al
cardinale d'Amboise. Asciugar quegli umori era studio continuo:
guastarle i grani, impedir le nuove seminagioni, occuparle il
mare che la tenea viva, affondar le barche che le portavano
vettovaglie, assaltare i Lucchesi che le porgevano soccorsi,
asciugare il fiume che correva dentro la città. Quest' ultimo
partito che era strano, pareva grande; aveva l'aspetto di ri-
solvere il male dalle radici e tanto più sembrava desiderabile,
in quanto pareva riuscire a questo, senza l' intervento di que' ladri
di condottieri e de' loro fanti, senza tanto accapigliarsi dei
Dieci per le cose della guerra, solo con un po' di maestri d'ascia
e di marraiuoli. Per in sino allora avevan* fatto mala prova
i comandati; i conestabili avevan rubato le paghe a' fanti: —
« E questo co' soldati, pensino ora quanto rubano a loro Si-
gnorie! ». — Cosi n'aveva scritto il Giacomini, l'eroico e ge-
neroso commissario, che campeggiando ne' paduli di Pisa v'an-
dava perdendo la luce degli occhi, e s'arrabattava or co' Dieci,
or col gonfaloniere, che di lontano, dal loro palazzo volevan
sentenziare de' partiti guerreschi, del modo d'alloggiare il campo,
e affettavano consigliare o determinare le commissioni. Il Gia-
comini aveva finito per perdere la pazienza a quelle presun-
zioni degli autorevoli, e per rispondere loro: — « molto
meglio si giudica e vede qui che per le camere da lon-
tano ». — *
> Bibl. Naz., doc. M., busta iv, u. 100.
* BoNACcoBSi, Diario, pag. 88.
* Machiavblli, Opp., Seconda commi*sion« in Francia^ Lett. 8.
* Pitti, Vita d'Antonio Oiacomini, loc. cit., pag. 196-7. Probabilmente queste circo-
^t-inse e quella lettera del Giacomini detenninarono la regola dal MachiaTelli esposta poi
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SBCOKDoJ PROGETTO DI SVOLTARE L'ARNO DA PISA. 307
Ora agli autorevoli pareva che il progetto di voltare Arno
alla torre del Fagiano per impedire ch'entrasse in Pisa, e
condurlo in Stagno, fosse per recare un cumulo di buoni ef-
fetti. Gl'ingegneri avrebbero vinto i soldati; l'arte e la natura
avrebber dato il trionfo sulla città nemica: il gonfaloniere,
che aveva messo tutto V animo a sostenere questo partito, dai
suoi nemici chiamato un ghiribizzo, ^ si confidava venirne in
maggior grazia col popolo, e riuscire a confermare più salda-
mente l'autorità sua.
Ma non riusci: in Amo si misero più che settemila du-
cati; e quando erasi creduto con maestri d'ascia e marraiuoli
far tutto, ci vollero anche i fanti, e con doppia paga, a guar-
dare che i Pisani non impedissero i lavori; si sciupò tempo,
opera, riputazione; riuscite male le cose, se ne dette carico a
chi aveva avuto fede in quel progetto.
Non ve l'aveva avuta il Machiavelli, il quale, quantunque
come segretario de' Dieci avesse scritto lettere piene d'ardore
per rinfocolare l'impresa e condurla a miglior termine, sen-
tiva intimamente che non era per quella via che si sarebbero
« asciugati gli umori » che nudrivano Pisa. Egli invece dalle
lettere del Giacomini, attissime a far isboUire le speranze
troppo fervide e a far balenare nuovi pensieri, aveva tratto
argomento ad escogitare miglior espediente; e quando il Gia-
comini, ottenuto lo scambio nel commissariato, tornò in Firenze
e fu eletto de' Dieci, con lui, che della sua perizia guerresca
aveva dato sì splendide prove, che ' sentiva profondamente a
quanta miseria fosse venuta la città per le soldataglie cor-
rotte, apri la mente sua, e col suo consiglio cercò preparar
miglior disegno per riuscire a stringere Pisa e provvedere
alla difesa della repubblica, restaurando l'antica milizia co-
munale.
Ma un'idea di questa qualità doveva incontrar maggiore
contradizione, ed abbisognare di più grande preparazione che non
quell'altra di voltare il letto all'Arno e lasciar Pisa in secco;
perchè agli uomini le cose ragionevoli quando offendono la con-
nel cap. xxxiii, lib. ii, dei Discorsi: « Come i Romani davano agli loro capitani degli
eserciti le commissioni libere » ove conclude ; « Questa parte si è più volentieri notata da
me, perchè io veggo che le repubbliche de* presenti tempi, come è la Veneziana e Fioren-
tina, la intendoqo altrimenti; e se gli loro capitani, provveditori o commissari hanno a
piantare una artiglieria, lo vogliono intendere e consigliare. l\ quale modo merita quella
laude che meritano gli altri, i quali tutti insieme l'hanno condotte ne' termini che al pre-
dente si trovano ».
* GuiociABDi>'i, Storia fiorentina^ cap, xxviii.
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30S CAPO TERZO. [libro
suetudine e gì* interessi, sanno più ardue di quelle che anno forse
minor fondamento in natura, ma non intralciano le utilità già
cognite. Ora, quantunque una parte di popolo, quella che va-
gheggiava la < riforma sancta et pretiosa » di ser Domenico
Cecchi, 1 fosse già non solo capace ma desiderosa d'una simile
restaurazione, l'universale non poteva dirsi che la consentisse;
soprattutto poi v'eran poco disposti i politici delle pratiche, i
consuetudinari.
Or ecco che, in sullo scorcio dell'anno 1504, Niccolò com-
parisce fuor della cancelleria, come uom di lettere a tentar
questa preparazione; armato della terzina dantesca, in Firenze
fatta sacra e devota alla poesia civile; colla quale cantando
« le italiche fatiche di dieci anni » in un poemetto messo in
penna « in quindici d\ », pieno del dolore, dell'ironia, del cor-
ruccio che que' travagli, gli avevano rinnovato nell'animo, si ri-
volge a' suoi concittadini, e come conclusione del triste spetta-
colo che loro riconduce sott'occhi, gli sprona co' due versi ul-
timi del suo primo Decennale sulla via che a lui pare l'unica
salutifera.
Questo Decennale egli l'offre in dono all'uomo che, se-
condo lui, era il più benemerito della repubblica, all' uomo che
delle quattro mortali ferite, ond'era travagliata la città, aveva
saputo sanarne tre ; e avrebbe sanato anche la quarta se « il
cielo » non vi si fosse opposto. * E qui il « cielo » è 'chia-
mato in causa, per non dire « il popolo » il quale, malaccorto
1 V. più sopra, a pag. 144.
* « Costui la scala alla suprema insegna
Pose, su per la qnal condotta fnsse
S'anima c'era di salirvi degna.
Costui Pistoia in gran pace ridusse;
Costui Arezzo e tutta Valdicbiana
Sotto l'antico giogo ricondusse.
La quarta piaga non potè far sana
T)i questo corpo; perchè nel guarillo
S'oppose il cielo a si felice mana ».
La forma « mana » per mano, propria, al dir del Fanfani (Vocabolario d^lVuio lotcano)
delle Provincie di Pistoia e di Siena, ove tuttora vive fra la gente di bassa estrazione, era
al tempo del Machiavelli vivissima in Firenze, e occorre nella Storia fiorentina del Pitti,
lib. I, pag. 78: « furono allora creati per li sei soliti mesi li Dieci, e seguitaronsi ancora
un'altra mana ». — È osservabile come il Guicciasdiki {Storia di Firenze, cap. xxvi) con-
cordi mirabilmente coi versi sopra recati di Niccolò : « Vinta questa provvisione, e dato
principio alla riordinazione della città, usci la Signoria, la quale avendo trovata la città
in somma confusione, smembrato Arezzo con tutta quella provincia, Pistoia quasi perduta
e ribellata, aveva rassicurata la città di Pistoia, ricuperato Arezzo e ciò che si era perso
in quella rivoluzione ; e in ultimo vinta la provvisione di riformare lo Stato, lasciato ognuno
in ^omma allegrezza e speranza; e però usci meritamente con somma commendazione, sendo
per<j ogni buona opera attribuita a Alamanno Salviati, Alessandro Acciajuoli e Niccolò Mo-
relli, H sopratutto a Alamanno, in modo che i tre quarti di quella gloria furono sua ».
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SBCOJfDoJ ARTIFICIOSA IRONIA DEL MACHIAVELLI. 309
e irritabile, aveva tenuto più ragione di chi lo blandiva che
di chi gli giovava, preponendo la cortesia sottile di Pier So-
derini alla magnanimità irrequieta d*Alamanno Salviati. Questi
del resto, questi era V uomo che il Machiavelli aveva vagheggiato
al timone della repubblica; e questi forse fu anche V uomo « di
buona vita e discretione » che, secondo il Parenti ^ visitò e
ammoni Pier Sederini, quando parve che già cominciasse a de-
ludere le speranze di chi l'aveva alzato al supremo seggio dello
stato. Ora chi considera non solo l'importanza di fatto che
a la dedica al Salviati del primo lavoro letterario pubblicato
da Niccolò; ma anche il modo ambiguo e poco men che epi-
grammatico con cui questi fa allusione alla persona del Gonfa-
loniere perpetuo, porterà più adequato giudizio del modo di rela-
zione che già a questo tempo s'era determinato fra il Segre-
tario e il Sederini. Poi che Niccolò, ogni volta che gli occorre
parlare di chi non merita l'ammirazione universale, di chi non
vince con grandezza certa l'adulazione e l' invidia partigianesca;
in una parola, degl'idoli di una fazione; ricorre a certe scappa-
toie rettoriche, a certi equivoci artificiosi dietro a cui a un tempo
stesso rifugia il vero e mette sé al coperto, non irritando pas-
sioni, illudendo gl'illusi oprovocando e soddisfacendo l'acume
del giudizio ne' men confidenti e negli scettici. Ei si comporta
in questa guisa col Savonarola; in questa guisa con Pier Capponi
« più animoso ed eloquente che savio, assai più stimato per le
virtù dell'avolo e del bisavolo, che per quelle del padre o per le
sue », per cui nel consiglio innanzi re Carlo ottavo non era stato
che « un cappon fra cento galli ».^ E in questa guisa stessa adopera
anche con Pier Sederini, architettando giochi d'immagini e di
parole sulle corna dello stemma di lui, sul suo nome e cognome;
sanando e velando poi la mordacità della intenzione con un
altro giuoco di parole, fortunatissimo già da gran tempo e san-
tificato. La pace di Firenze, scrive, erasi edificata sopra messer
Pietro, super Peiram, come la chiesa sul primo apostolo. Que-
st'allusione gradevole bastava a togliere ogni sospetto che Nic-
colò non credesse alla stabilità di quell'edifizio, all'acconcezza
di quella pietra; e così lasciava correre il resto. Ora, chi fu
capace allora di questo epigramma sottilissimo a carico del Gon-
» Park5<ti, storia fiorentina, loc. cit. V. più sopra, a pag. 274.
• Machiavelli, Frammenti storici. — Id. Decennale I, v. 36. — B Vincbmzio Accia-
juoLi, Bilia Vi'.a di Piero Capponi (Arch. stor., !■ serie, t. iv, parte ii, pag. 38), encomia
il « b«irequivoco » contenuto nel verso citato.
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310 CAPO TERZO. [ubro
faloniere potente, non è a maravigliare che ne scrivesse poi
un altro men sottile e più pungente, lui morto; e se prima di
noi questo fatto non fu messo in rilievo, si deve forse attri-
buire solo alle gravi inesattezze nell'edizioni dei Decennali^ ^
che l'impedirono.
Inoltre è ad osservare un altro segreto movente, che forse
determinò il Machiavelli a dedicare il suo libro ad Alamanno,
e a studiare di propiziarselo. Recentemente i Salviati e i Soderini
s'eran presi di cozzo in più maniere; quelli, guastando il paren-
tado e stracciando la scritta di matrimonio d'una figliuola di
Tommaso Soderini, nipote del Gonfaloniere, con Pierfrancesco
Medici; questi, cassando dall' uflScio di cancelliere della merca-
tanzia ser Iacopo di Martino, intrinseco de' Salviati ; a ciò che
i Salviati, per via del cancelliere, non avessero in mano la
moltitudine interessata a' commerci. Or poi che s'era inco-
minciato a impegnar lotta, gli uni gettando all'aria quel che
pareva strumento degli altri (e i Soderini avean dato lo scan-
dalo), Niccolò desiderava per qualche modo ovviare al peri-
colo che a lui, come a fidato del Gonfaloniere, non si prepa-
> Tutte le modorne edizioni, e ci maraviglia che fra queste anche quella del Polidorì
diligentissimo, danno una lezione tale delle seguenti terzine, che se per ragione di sintassi
ò erronea, per rispetto alla storia sarebbe a dirittura inspiegabile. Eccola:
« Venuto, adunque, il giorno si tranquillo
Nel qual il popol vostro, fatto audace
n portator creò del suo vessillo:
Né fur d*an cerchio due coma capace
Acciocché sopra la lor soda pietra
Potesse edificar la vostra pace ».
Noi, seguendo i manoscritti (magliabecchiano ci. xxv, n. 604 e laurensiano plut. xliv, cod. 41)
potemmo raccapezzare il bandolo in mezzo a tanto arrufTamento.
Ms. L. :
« Venuto dunque ^ el giorno si tranquillo ■
Nel qual el popol vostro facto * audace ^
El portator creò dèi suo vexillo *
Ne fur * d'un cerbio duo coma capace
Acciò che sopra la lor Soda Petra
Potessi edificar ^ la vostra pace • ».
Ms. M. : * Adunque — * tranquilo — » tanto — * aldace — * vesilo — • fuor — "* edifi-
char — • nostra.
La lezione cerbio é la vera e s* incontra in alcune antiche edizioni ; e con questa s* in-
tende Tallusione del Machiavelli all'arme de' Soderini, che recava tre teste di cervo eoa
le coma e l'impresa della chiesa in campo rosso. Dal Priorista di Giovanni dkl Nebo
(Bibl. Vat., Cod. ottob. 3005, pag. 535) togliamo una notizia che giova a spiegarci come
V ironia del Machiavelli potesse esercitarsi sullo stemma dei Soderini senza parer di man-
care di riverenza a questi : « Furono in sulla sala grande cittadini 2000 del Consiglio ge-
nerale a fare questo primo gonfaloniere di giustizia a vita, e per ordinario toccaua questo
anno e mese al quartiere di S. Maria Novella e fu fatto gonfaloniere nel quartiere di S. Spi-
rito Pietro Soderini, e dove l'arme loro erano tre corna di cervio bianche nel campo rosso,
si feciono poi d'oro ». Sull'arme loro era quindi naturalissimo che si fermasse l'attenzione
del popolo.
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secondo] motivi della DEDICA AD ALAMANNO SALVIATL 311
rasse sorte eguale a quella di ser Iacopo, e non lo si sbalzasse
dal posto. ^
Ma un motivo ben più alto e più importante di tutti in-
duce Niccolò a voltarsi a* cittadini, per esortarli non tanto a
riguardar lo spazio percorso, i mali durati in dieci anni, gli
avvilimenti sopportati, le vergogne piovute addosso come falde
di fiamme; quanto per spingerli a gittar gli occhi innanzi, a
far ripari pronti, rimedi forti, provvisioni efficaci e nuove
contro l'oppressione e gli obbrobri che stanno per venire. « Il
sole, dic'egli, sopra questi accidenti crudi e feri à volto già
due lustri, ed ora accavalli suoi raddoppia l'orzo, a ciò che
presto si risenta cosa, che queste vi paian leggiere; non è an-
cor contenta la fortuna, non ha posto fine alla lite italica,
non è spenta la cagione di tanti mali; non c'è unione de'
potenti, né ci può essiiro, però che il papa, che vuol 'guarir
la chiesa delle sue infermità, non può starsi; l'imperatore
> Una lettera di Biagio Bonaccorsi ^Bibl. Naz., doc. M., busta iv, n. 84, pubblicata
dal ViLLABi, op. cit., pag. 631 e seg.), in data dei di 6 d'ottobre 1506, ci mostra come Ala-
manno Salviati non fosse a Niccolò Machiavelli punto favorevole: « Io non voglio man-
care di dirvi, benché lo potessi differire alla tornata, che, per chi vi fu presente et più d'uno,
che: (in cifra) Alafnanno tendo a Bibona ad tavola con Ridolfo, dove erano anchora
moUi giovani parlando di voi, dixe: io non commissi mai nulla a cotesto ribaldo poi io
sono de Dieci, seguitando el parlare in quesu sententia o meglio. Notate bene questo se
voi non fussi bene chiaro de lo animo sìm ad facto et ingegnatevi esserci avanti le ra-
ferme. Potrévi scrivere molte altre cose, sed coram copiosius ». In fine alla lettera è un
poscritto, omesso nell'edizione: « Non rispondete dello adviso di quello ragionamento ».
Ora, la prima stampa del Decennale sotto titolo latino è a credere non fosse fatta prima
del febbraio 1506 (Cf. Lettera d'Agostino Vespucci a N. M., nella Bibl. Nas., doc. M.,
busta IV, n. 119, pubblicata dal Passerini, op. cit., pag. lxiii e seg.) Dappoiché addi « xiii
martii 1505-6 » il Vespucci scrìveva d'aver tratto innanzi agli Otto un Andrea da Pistoia
facendo « querela grande et meo et tuo nomine (del Machiavelli) diversis de causis; di
me, del danno a ristamparmeli addosso dentro venti giorni, ma questo non stimavo molto
per non essere suto el primo mio obietto di guadagnare ». — In essa lettera il Vespucci
chiama il decennale: « el vostro compendio », poiché il titolo latino nella prima edizione
era : Nicolai Malclavelli fiorentini compendium rerum decennU in ItaUam gestarumy ad
viros florentinos, incipit feliciter (Cf. Nitti, op. cit., pag. 297 e seg., in nota, circa le prime
edizioni dei Decennali). Del resto, quantunque il Grabsisb ed il Brunbt diano a questo modo
il titolo e la dedica dell'edizione del Decennale ^ il manoscritto autografo d' Agostino Vb-
8P0CCI (Bibl. Naz. ci. xzv, n. 60i, ms. strozziano 1322-1-0) reca innanzi una dedicatoria
del medesimo non vìris florentinis, ma V viris fiorentinis, cioè ai cinque conservatori del
Contado e dominio fiorentino, magistrato dei più autorevoli della repubblica. Questi con-
servatori furono eletti primieramente nel 141S, ed era loro ufficio ricercare ed esaminare tutte
le spese ordinarie e straordinarie, e tanto le utili quanto le inutili o superflue che si face>
vano e sopportavano dai comuni, popoli, ville del contado e distretto ; e le inutili e super-
flue resecare, ecc. Nel 1420 riunirono anche per un certo tempo le attribuzioni e l'autorità
degli Ui&ziali della diminuzione dei crediti de' monti. Dovevano essere quattro per le mag-
giori arti o scioperati, uno per ciascun quartiere; ed uno per l'arti minori, e mutavano di
sei in sei mesi. Era naturale, per l'importanza loro, che gli officiali della seconda cancel-
leria cercassero propiziarseli; però il Vespucci indirizzò loro la stampa del poemetto del
Machiavelli, che, a quanto apparisce dalla lettera dedicatoria, ser Agostino fece imprimere
a sue spese, per fare il dono di Niccolò « più liberale » — V. Appendice, n. 5. Mi è cara
render grazie alla cortese dottrina dell'amico sig. A. Ohbbardi, da cui riconosco le notizie
sovrindicate circa al magistrato dei Cinque Conservatori del contado e dominio.
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3IS CAPO TERZO. [lxbbo
vuol fare il passaggio e incoronarsi a Roma; Francia è mal-
contenta delle busse che à toccate da Spagna; questa tende
reti e lacciuoli a'vicini suoi, p?r non tornare addietro delle sue
conquiste; Venezia è 'piena di cupidigie e di paure;...
Fra la pace e la guerra tutto pende
E voi di Pisa giusta voglia avete.
Pertanto facilmente si comprende
Che fino al cielo aggiungerà la fiamma.
Se nuovo foco fra costor s'accende
Onde Tanimo mio tutto s'intiamma,
Or di speranza or di timor si carca
Tanto, che si consuma a dramma a dramma.
Perchè saper vorrebbe dove carca
Di tanti incarchi debba, od in qual porto
Con questi venti andar la vostra barca.
Pur si confida nel nocchiero accorto
Ne* remi, nelle véltt e nelle tarie
Ma sarebbe il cammin facile e corto
Se voi il tempio riapriste a Marte ».
Riaprire il tempio a Marte, riordinare civilmente la guerra
còlle patrie milizie, sottrarre le sorti di Firenze airarbitrio
vile de' mercenari, de* condottieri cospiratori, pieni l'animo di
duplicità e d'avarizia, ecco la mira che il segretario della re-
pubblica insegna al popolo; ecco l'idea che semina in mezz>
alla moltitudine, sperando che maturi e fruttifichi.
Non è a questo luogo che ci proponiamo riguardare sotto
l'aspetto letterario questa piccola produzione dell'ingegno del
Machiavelli; bensì vogliamo rilevarne ora l'importanza sto-
rica, sia rispetto alla vita del segretario, che alle condizioni
di Firenze in particolare. Il popolo fece festa ai motti, alle
ironie, alle intenzioni di queste rime, nelle quali si mantenne
viva la ricordanza, unanime il sentimento de' patri dolori;
tanto che il Nerli, ne' Commentari suoi le citò poi a più ri-
prese come fonte popolarissimo di storia certa, la cui popola-
rità era tanta che nel citarle non era neppur necessario ag-
giungere il nome del Machiavelli: bastava dire il Decennale,
e tutti ne sapevano l'autore. ^ La prima edizione di questo li-
bretto ebbe ad esser presto esaurita, si che tentossene, complice
la giunteria di tal prete, una contraffazione. *
^ Cf. Pitti, Vita d'Antonio Giacomini, pag. 222, e il Monzani neiravvertenxa della
nota, citando il Decennale del M., aggiunge: « il che il Pitti o dimenticò d'indicare, o noi
credè necessario, forse perchè quel poema isterico era in quei giorni, o tra gli studiosi di
<iuel tempo, più famoso di quello chb oggi non sia ».
* Bibl. Nas., Doc. M, bnsU iv, n. 110. Lettera d' Agostino Vespucci al M. In quesu
lettera, pubblicata dal Passbbiki (1. e, pag. lxiii e seg.), è detto della contraffaiione :
« non ui starò a dire la ribalda cosa che le sono, al tutto alla gxuntesca^ sanxa spatio :
/•'quintt'int piccini piccini, sansa bianco dinanzi o drieto, lettera caduca, scorrecta ». Il Pas-
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secondo] importanza POLITICA DEL « DECENNALE ». 313
A questo suo scritterello Niccolò non dava peso : lo chia-
mava una cantafavola; ma in quella cantafavola avea riposto
i semi' della sua idea prediletta; il ripristinamento dell'antico
esercito comunale. Se questa idea si fosse stesa fra la mol-
titudine del popolo, nel Consiglio grande difficilmente avrebbe
incontrato tale opposizione da non portarne vittoria. Co' Signori
poi il Machiavelli credeva aver migliori argomenti che di can-
tafavole poiché i fatti lo servivano opportunatamente, cospi-
i^ando le giornaliere occorrenze a dimostrare quanto gran
danno e pericolo sovrastasse allo stato, tanto a cagion dei
capi che dei gregari di quelle soldataglie. Da poi che, neces-
sitando soldar buone condotte, per provar di stringere sempre
più l'assedio di Pisa, e ricercando essi' da' loro condottieri la
riconferma e l'anno del beneplacito, questi si traevano ad-
dietro e con artifici e con indugi tentavano lasciare la città
scoperta d'armi.
Cosi faceva Giampaolo Baglioni, la cui condotta, insieme
a quella del flgliuol di lui, ^ costituiva la maggior forza delle
genti d'arme de' Fiorentini. Ora essendo egli legato per segreti
accordi colla casa Orsini, con Pandolfo Petrucci, con 'Barto-
lomeo de' Liviani, detto l'Alviano, ^ che, reputatissimo condot-
tiero de' Veneziani, si trovava in quel di Roma disposto a mi-
litar per Consalvo e pe' Medici; si dubitava che non intendesse
destreggiarsi in maniera, da tener Firenze addormentata e
sprovvista nell'ora d'un subito assalto. Poi che, domandato
SBRnci opinò che alla giuntssèa volesse dire con perfetta imitaxione deiredizione fatta dal
Oiunti. Ma le parole che seguitano sembrerebbero escludere cosiffatta interpretazione o
lasciare ad arte possibilità d'equivoco. — Un'altra lettera relativa al Decennale trovasi
neUa Bibl. Naz., doc. M., busta iv, n. 99. È di messer Ercole Bentivoglio, a cui il M. avea
mandato il suo libro chiedendogliene il giudizro. « Cascinae die xxv februarìi 1506. Hercules
Benlivoglio reipubblicae flùrent. florenlinomm armorum generalis. a tergo: spectabili
viro amicho et tanquam fralri carissimo Nicholò de Machiavellis reip. Florent. secretorio ».
Fu pubblicata dal Nitti, pag. 301, op. cit.
> Malatesta, condotto per compiacenza con quindici uomini d'arme. Giampaolo propo-
neva ai Fiorentini di riceverlo a ostaggio della propria fede; e della condotta di lui i Fio-
rentini aveano già trattato altra volta, quand'era in età di circa nove anni, « gintile mam-
moletto », siccome scrive il Materazzo nella sua Cronaca di Perugia (Arch. stor., 1^ serie,
voi. XVI, parte ii, pag. 151). Il medesimo cronista reca (pag. 139) : « Vera cosa è commo
io ve disse de sopra, che benché la città sentisse per questi gintilomine grandissimo pene,
e affanno inusitate e nove, pure per la roagni/ìca casa Bagliona era onorata per tutta Italia,
attenta loro grande degnitade e magniflcenzia della detta casa, e loro gran pompa e nome ;
onde per la decta casa più volte fu existimata la nostra città da quelli maggiore de sé, e
maxime da la comunità de Fiorenza e de Siena ». — E più oltre ne dà contezza come
l'arme de* Perugini fossero a buon diritto riguardate formidabile e desiderata difesa, per
essere la loro artiglierìa « tutta de uno pezzo e fatta alla foggia franciosa » (ibid. pag. 147).
* I Liviani erano signori di Casigliano, de' più potenti che fossero in Todi. Bartolomeo
era nato nel 14i5 di Francesco d'Ugolino Liviani e d'Isabella degli Atti. — V. Lorenzo
Lroxj, Vita di Bartolomeo d'Alviano, Todi, 1853.
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314 CAPO TERZO. [libro
della conferma del beneplacito, mentre pareva di leggieri ac-
cordarlo, mandategli le anticipazioni, o, come allora dicevasi,
le prestanze, che eran segno del vincolo contratto, si schermiva
dal venire a conclusione. E ciò recava grave imbarazzo a* Fio-
rentini; da poi che, sottraendosi loro il Baglioni, non restava
altri da poter snidare, se non o il marchese di Mantova, e
sarebbe stata troppa grave spesa; o Fabbrizio Colonna, e i Co-
lonna non eran troppo bene accetti alla città; primieramente,
perchè la parte guelfa, che ancora conservava il nome e la
voce, * aveva avvezzato i cittadini a riguardare come ghibel-
lina, e però come nemica, la casata de'Colonnesi; in secondo
luogo,, perchè pareva che questa condotta fosse tutto artificio
del cardinal di Volterra, il quale si voleva in Roma puntellar
de' Colonna, per tener fronte ai Medici, spalleggiati dagli Orsini.
In questo frangente si giudicò che costringere il Baglione
a dichiarar nettamente l'intenzione sua fosse il miglior con-
siglio ; e gli si mandò il Machiavelli * con questo preciso in-
carico.
Niccolò lo trova a Castiglion del Lago ove era solito di-
morare; 3 e quando questi si prova a sgattaiolare, accampando,
come è costume di chi tratta in mala fede, che ei ci aveva
interpellato avvocati, che aveva mostrato i capitoli a molti
dottori perugini, che questi gli avevan detto non esser tenuto
a fermar la condotta; Niccolò gli sbatte sul viso che « queste
cose non anno ad essere giudicate da' dottori, ma da' Signori ;
e che chi fa conto della corazza, e vuolvisi onorare dentro,
non fa perdita veruna che gli stimi tanto, quanto quella della
fede; e che gli pareva che a questa volta e' se la giucassi ».^
— Niccolò, dal conversare con Giampaolo e dalle informazioni
altrui, s'accorge che il gingillare che quegli fa, è frutto d'ac-
1 Cf. Machiavelli, C7ommtuton« a Oioia. Paolo Baglioni, lettera addi 11 aprile 1505:
« e qui si distese assai, detestando queste vostre condotte savelle e colonnesi, e biasiman-
dovi che voi lasciavi i QuelA, e che quando voi vi fussi attenuto a loro e fatto un corpo
di lui, Bartolomeo e Vitelli, ci andava la cosa bene per loro e per voi, ecc. »
> Arch. Aor. (classe xiii, dest. fP, n. 67 a e. 29): « 1505, 16 maggio. A Niccolò di M.
Bernardo Machiavelli, cancelliere della 1^ Cancelleria, fiorini trenta larghi in oro, cioè x
per essere andato a Castiglion del Lago a Gio. Paolo Baglioni et xx per essere andato in
poste a Mantova a quello Sre et questo in ogni miglior modo, etc. » — E più oltre (a
e. 120): « A dì 17 di giugno. Item a conto di spie et per loro allo egregio Niccolò di M.
Bernardo Machiavelli fiorini quaranta larghi in oro per darli et pagarli ad amici che hanno
servito ad comodo della loro repubblica, secondo dal magnifico officio de'Xci passato li
fu imposto ».
» Cf. Taddeo Alpani, Memorie perugine j pag. 271, néìVArch. stor., serie !•, t. xvi,
parte ii.
* Machiavklli. loc. cit.
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BECOKDo] COMMISSIONE AL MARCHESE DI MANTOVA. 315
cordo col Petrucci, cogli Orsini; co' Lucchesi; s'accorge che
della mala fede sua gli escono più accenni che non vorrebbe,
e conclude con dirgli: < pensasse bene al partito che pigliava,
che pesava più che non pesava Perugia ». E quell'ipocrita:
« credimi, rispondeva, che io ci ò pensato, e che io mi sono
segnato più di sei volte, e pregato Iddio che me la mandi
buona ». ^ Dall'Orsaia, nel contado di Cortona, il Machiavelli
ne informa i Dieci e torna sollecitamente a Firenze. Conve-
niva che la città pensasse a provvedere alla propria difesa:
affidarla all'Alviano stesso, di cui vivevasi in sospetto e timore,
parve per un istante furberia, e si pensò condurlo ; ma mutati
i Dieci, ben si riconobbe in ciò pretensiosa vanità di consiglio
e pericolo, e si determinò invece stringere la condotta del mar-
chese di Mantova,, che lo stesso re di Francia aveva imparata
a pregiare, e a consigliare come egregio soldato ai Fiorentini. *
Ben è vero che altra volta i Veneziani avevano sospettato della
fede di lui e che a lui non era riuscito d'indurii a chiarire
il sospetto; ma tale era la condizione della milizia d'allora,
che gli stati dovevano considerar come cautela indispensabile
il diffidare dell'armi di cui si vestivano e che avevano a pa-
rere la forza loro.
Il Machiavelli, a' di quattro di maggio, à commissione di
recarsi presso di lui e concluder la condotta, se quegli vuol
subito; altrimenti à ordine immediato di ritornare. La cosa si
era già strascinata con troppi indugi; né riuscì a Niccolò to-
glierli di mezzo, o intendere la cagione segreta che sempre ne
determinava di nuovi. Prima si faceva questione del numero
de' fanti o di quello degli uomini d'arme; poi circa la clausola di
non aver mai a servire contro il re di Francia; quindi si vo-
leva l'espressa ratificazione di qu?sto, che non veniva mai. ^
Pareva un'intesa comune de* condottieri, accordati col gran
Capitano, contro Firenze, per riuscire a tre cose: tener la città
sprovvista d'armi; legarle le mani a ciò non toccasse Pisa;
sguinzagliarle sopra l'Alviano, che avendo seco trecento uo-
mini d'arme nella campagna di Roma, minacciava piombarle
addosso con quelli e co' fuorusciti. Genova, Lucca e Siena pre-
stavano intanto a' Pisani quanto più potevano soccorso; nel
1 Machiavelli, loc. cit.
* Desjardims, 1. e, t. II, pag. SI.
* Machia VELLI. CommiasUme a Mantowi, — V. oltre la Commi»ione a stampa Arch.
fior, classe x, dist. 3", n. 115 a car. 61 e la Lellera a Niccolò Valori in Francia. V. anche
BoNACCORsi, Diario, pag. 103.
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310 CAPO TERZO. L^ibbo
tempo che questi si glttavano in seno a Consalvo e alla Spagna,
con quella disperazione stessa e, a un di presso, a quelli stessi
patti, p^r cui s'erano già oflFerti a Cesare Borgia ; ^ e Consalvo
frattanto imbarcava centocinquanta fanti spagnuoli per man-
darli in Pisa e mille ne mandava contemporaneamente a Piom-
bino coirarmata.
Di che i Fiorentini si spaventarono oltre ogni dire e man-
darono Donato Acciainoli ambasciatore al gran Capitano, a di-
spetto del Gonfaloniere, che avrebbe voluto per tutti i versi spac-
ciare il Machiavelli; tanto che se non gli riuscì, fu per Top-
posizione che ne' Dieci gli fecero specialmente Alamanno Sal-
viati e il Lanfredini. ^ Cominciava cosi il segretario ad apparire
in men buona vista, come l'uomo che il Sederini metteva
troppo innanzi, quasi pretendesse colla capacità di lui far con-
trappeso alla reputazione degli altri, o intendesse col mandare
in volta un officiale fidato dilla cancelleria far in modo di
tórre i cittadini ai più fiduciosi e gelosi maneggi.
Niccolò inveca ebbe ad essere inviato a Siena al Petrucci,
il quale, dopo aver aggrovigliato con perfidia più che sforzesca
tante difficoltà contro ai Fiorentini, determinatosi a coglier van-
taggio dill'ora angustiosa che per questi correva, offri di far
lega con essi, a patto di mandar loro per quell'anno cento uomini
d'arme per l'impresa di Pisa, e cinquanta per l'anno appresso
e par cinque anni consecutivi; purché, avuta Pisa entro questo
periodo di tempo, i Fiorentini cedessero senza più contestazioni
le ragioni loro su Montepulciano; la qual terra .i senesi ave-
vano carissima, perchè era stata sempre per loro la pietra
dello scandalo nel passato, ed ogni volta che era venuta in
^ Dksjardins. loc. cit., pag. 8.
* Così il GuicciABOiM, Storia fiorentina, cap. 38, pag. 31S: « il Gonfaloniere... per aaerci
uno uomo suo intrinseco, vi voleva mandare Niccolò Machiavelli, cancelliere de* Dieci, in
chi si confidava assai ». — NelPArch. fior, fra le Consulte e prcUiche (505-1512)^ pag. 176
« die xxiij roaij » la proposta di spacciare a Conaalvo il Machiavelli si legge quanto segue:
• Antonio de Saxo, proposto de' S.ri Dieci^ parlò a' nuovi Dieci et a più citudini
raunati in la loro audientia et fece loro intendere che uoleuano essere consigliati, prima
quale huomo fusai da mandare ad Consalvo, come fu ultimamente consigliato, dipoi che
commissione fussi da darli, et di più lette le Ire di Francia de* 14 per le quali il marchese
<di Mantova) haueua fatto intendere restare da noi il fare la condotta per conto de* dua
capitoli ecc. che fussi da fare in questo caso.
« Piero del Nero, circa lo horatore ecc. : che credeua fussi bene mandarlo presto, et
circa lo huomo che Nicolò Machiavellj sarebbe ad proposito. Circa al Marchese, che quando
li pericoli cessassino, che credeua fussino fondati in sul presupposto della morte del re da
questi vicini et altri, che la differirebbe.
« Francesco d'Anton di Taddeo: che manderebbe Niccolò Machiavelli ad Napoli; dal
resto come mess. Frane." ». —
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secondo] NICCOLO' MACHIAVELLI E PANDOLFO PETRUCCI. 317
mano d'altri, n'avevano sentito lo stato loro ferito nel cuore.
A mettere innanzi queste proposte, egli spacciò un uomo
alla Signoria, cercando in pari tempo di gratificarsela coll'av-
viso che TAlviano era per recarsi a Piombino, dove trove-
rebbe galee, brigantini, fuste di Consalvo; dove, accozzandosi
coi fanti spagnuoli, chi sa che non avrebbe fatto di male ai
Fiorentini. I Dieci pertanto risolsero mandare a Pandolfo il
segretario Machiavelli, confidandosi che in tanto rimescolamento,
vero o decantato che fosse, egli avrebbe saputo ben discernere
la qualità della faccenda e orientarsi per sé medesimo secondo
il fatto. Cosi, gì 'ingiungevano: « la governerai prudentemente,
come sei sempre consueto fare >. ^
E questa volta infatti gli toccava trovarsi a fronte non
pur del più furbo tra' piccoli signori d' Italia, ma d'Anton da
Venafro, degno segretario di lui, « e il cuore suo, e il caflfo
degli uomini ». * Ora, chi figurasse questi tre principi della de-
bole astuzia umana, stretti a colloquio fra le gotiche navate
della cattedrale di Siena, ^ intesi ad uccellare l' un l'altro, più
sibillini delle sibille che, spianate in marmo sul pavimento,
davan loro negli occhi e nelle calcagna, rappresenterebbe una
scena fra le più bizzarre e caratteristiche di questi jniseri tempi.
Niccolò s'avvede presto che venire a trovare Pandolfo non
faceva gran prò; che la fantasia di lui o la si rileva dalle
lettere, o a vederlo in viso ci si guadagna o nulla o poco,
« sendo uomo che à i fini suoi ordinati e ben risoluto di quello
che desidera condurre ». Tuttavia dovunque ei si caccia, il
segretario l'arriva; e acciocché veda come altri conosce gli ag-
giramenti, «0 naturali o accidentali che fussino », in cui si
vuole ravvoltolarlo, gli dice chiaro che quelle maniere di pra-
tiche lo fanno confuso, ch'ei dubita di dar volta al cervello
prima che non si torni; perchè negli avvisi che il Petrucci
dava, raccomandavasi sempre non parere, < non essere alle-
gato », ^ e gli avvisi mutavan colore ogni di: « e ora s'in-
tende l'Alviano viene innanzi con fanti e danari di Spagna;
ora, ei manca dell'uno e dell'altro, anzi Consalvo è per ordi-
•
1 Nell'Archivio fiorentino, fra le Comulté i505-i5iS, pag. 203 « die xvi Julii 1505,
a proposito delle mene e dei trattati del Petrucci si dice da PhiUppo dalV Antella : che
Pandolfo è uno baro, et che non li credè mai et manco li crede hora; et poi che non 8*ha
da prestarli fede tenervi Niccolò (Machiavelli). Crede non sia per nuocere teneruelo et
conforta che ni stia qualche di ». —
• Machiavelli, Opp„ Commissione terza a Siena.
' M ACHIA VKLLi, ibid., Lett. 5.
* Machiavelli, loc. cit., Lett. 10.
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31S CAPO TERZO. [librq
nar che si ferrai; ora, quegli fra due o tre giorni vuol passare
ed è fornito di tutto; ora, limosina fanti dal Baglioni, o il
papa fa fondamento su lui ».
, A queste osservazioni, Pandoifo non si turbava: « ioHi dirò
come disse el re Federigo ad uno mio mandato in uno simil
quesito; e questo fu che io mi governassi dì per di, e giudi-
cassi le coso ora per ora, volendo meno errare; perchè questi
tempi sono superiori ad e' cervelli nostri ». ^
Ed era vero. L'accordo non fu fermato perchè Pandoifo,
che d*un lato voleva concluderlo in fretta per istrappar Mon-
tepulciano ai Fiorentini, dall'altro non faceva nulla che stor-
nasse da loro eflfettivamente le minacce dell' Alvìano; né riu-
sciva a smembrare l'esercito di costui dell'armi de' Vitelli e
del Baglioni che l'afforzavano; e d'altro canto i Fiorentini pen-
savano: « se questo disordine travaglia noi, non terrà in riposo
altri ». ^
Cosi i tre furbi non riuscirono ad altro che a ben com-
prendere le intenzioni reciproche. Pandoifo esagerava la pros-
simità, la gravezza del pericolo dell' Alviano, « fiero per na-
tura, coir armi in mano, senza stato, in terra di ladri usi a
vivere di quel d'altri ». E Niccolò gli faceva capire che in
questi maneggi era proprio il Petrucci che teneva « la briglia
e gli sproni », 3 che dava gli avvisi del male, ma non i rimedi ;
e la pigliava per un verso come si piglierebbe quando dì gen-
naio si ragionasse d'una condotta per maggio ».^ E dopo questo
aggiungeva parole che solo a' principi di quel secolo avventu-
roso e credulo della fatalità potevan parer naturali e sopportabili:
« io ò veduti molti, da poco tempo in qua, ridere l'estate e pian-
gere il verno ». — E Anton da Venafro, disperando di poter ri-
durre in quell'incastro, ch'esso chiamava l'accordo, il segretario
fiorentino: « Niccolò, gli disse, credimi che chi lo biasima, dice
molte cagioni, ma non dice tutte quelle ch'egli ha in seno ».^
I tre astuti si sspararono noù sopraffatti e non soddisfatti; ma
a Niccolò fremeva sempre più quel pensiero dentro dell'animo
che, recato ad atto, avrebbe sollevato Firenze dalla vile ne-
cessità di dar corpo alle paure, di soggiacere alle mene d'una*
milizia da ruba e da fazioni. Niccolò nel contatto con quei
1 Machiavèlli, Ioc. cit., Lett. 6.
* Bibl. Naz., doc. M., busta iv, n. 1(>3.
* Machiavelli, Ioc. cit., Lett. 8.
* Machia vsLLi, Ioc. cit., Lett. 2.
* Machiavelli, Ioc. cit., Lett. L\
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«ECONDo] L'ALVI ANO CONTRO FIRENZE. 316
furbi aveva sentito più che mai disdegno de' scaltrimenii mi-
serabilissimi, cui faceva aver ricorso la perversità e la de-
bolezza insieme, e vagheggiando una via d'uscita dignitosa e
nobile per la sua città da quel turpe labirinto, sentiva con
gioia ripetere dal popolo l'ultima aspirazione del Decennale suo:
Ma sarebbe il cammin facile e corto
Se voi il tempio riapriste a Marte.
E già un fatto piccolo, che non era senza precedenti, che
non era vistoso, e nasceva lontano dalla città, nsl contado, e
pareva frutto della necessità solamente, destinato a vivere
quanto l'occasione, s'andava chetamente determinando. Si leva-
vano fanti, si cappavano, cioè si dava loro certa foggia di ve-
stiario, s'ordinavano all'armi. Tutto questo era un ben modesto
principio, ma avrebbe potuto crescere grandemente se gli fosse
lasciato agio di metter radice, lungi dall' invidia e dal pette-
golezzo cittadinesco.
Frattanto gli altri due furbi non avevano intermesso l'o-
pera loro. Il Baglioni, il Petrucci, i Vitelli, l'Appiano s'eran
tutti accozzati cogli Orsini; e l'Alviano, facendo testa a tutti
costoro, compariva presso Campiglia. Per buona sorte, gli
offici dell'Acciainoli avevano conseguito che Consalvo non
solo non partecipasse alle mene degli spicciolati, ma frenasse
le mani loro, facendo intendere e all'Appiano e al Petrucci e
a Pisa stessa, che contro a' Fiorentini non si potevano ripro-
mettere gli aiuti di Spagna; sperando forse cosi indurre Firenze
a non sentirsi più indispensabilmente congiunta alla causa
francese, tentandola anzi a disertarla. A questo fine pareva
cospirasse ancora il modo altero e inconsiderato con cui lo
Chaumont, luogotenente del re a Milano, rispondeva alla Signoria.
che in tanto frangente lo aveva richiesto di duecento lance, di
far almeno le viste di concedergliele, per mantenerla col credito
e sbigottire con questo gli assalitori, contentandosi che quelle lance
non venisser neppure al di qua di Parma. Nulla; lo Chaumont
chiedeva danari alla città che moriva di fame ; e questa allora,
facendo piuttosto un ultimo sforzo, solda i Colonna e i Savelli
per contrapporli agli Orsini; ed Ercole Bentivoglio, governa-
tore, ed Antonio Giacomini, commissario, manda contro alFAl-
viano, * con una grande incertezza d' istruzioni e d'ordini, e
un bisogno e un timoro indicibile della battaglia.
> Cf. Canbstbini, Scruti inèditi d^l M., da pag. 179 a 201. Arch. fior., Deliberaaioni
de* Dieci, registri 114, it. n. 136.
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320 CAPO TERZO. [uumo
Or poiché pareva che Bartolomeo d'Alviano, per la ma-
remma di Siena é per la via di Volterra, volesse prender la
volta di Pisa, il Giacomini e il governatore si determinarono
a movergli contro e stringerlo in guisa che non potesse uscire
dalla loro costretta; e, urtatolo presso la torre a san Vincenzo,
lui e tutta la sua gente ruppero per modo ch'ei fu costretto
a fuggirsene, abbandonar carriaggi e bandiere in mano dei
Fiorentini, venendo meno a ogni baldanza e ogni riputa-
zione sua.
Questa vittoria, non osata sperare, mise la festa nel cuor
di Firenze. Fu a' dì diciassette d'agosto, ' ed è naturale che
giungendo insperata, e però simile ad una fortuna, se ne me-
nasse vampo come d'un merito. Certo che se di questo ve ne
ebbe, tutto è a riconoscere nel Giacomini; ma il Bentivoglio,
governatore, lasciava volentieri appiccare il proprio nome a
quel fatto; e la pretendeva, come per causa di sua direzione,
di sue previsioni, di suoi presentimenti ad un po' di gloria
anche il Soderini; o almeno i nemici di lui credevano intra-
vederlo. Quello che è certo, si è che, dopo quel fatto pro-
spero, chi prima non aveva osato neppure dar comando espresso
al Giacomini che s'azzuffasse, ora s'era messo in tanta confi-
denza che desiderava battaglie, . e voleva, col caldo di quella
vittoria, proceder rapido al racquisto di Pisa. Cosi la inten-
devano i popolani; cosi il Gonfaloniere. Inutile che si alle-
gasse da' pratici che piantare il campo attorno a quella città
con qualche efficacia, si poteva solo da chi avesse esercito
grosso, buon capitano, stagione seconda; che con far impeti spro-
porzionati si sarebbe forse pòrta occasione a Consalvo d'aiutar
Pisa, correndo rischio d'inimicarsi Spagna; che sarebbe stata
impresa assai più leggiera pigliar qualche terra grossa in ma-
remma di Siena, a pegno di Montepulciano, mutar forsanco la
stato di Siena e farne uscir il Petrucci spaurito, e dipoi rin-
tuzzare anche la malignità dei Lucchesi.
E al Giacomini fu scritto, come per dare uno sfogo agli
umori bellicosi, che assaltasse il territorio di Lucca, prima
di affacciarsi a Pisa. * In quel territorio ei doveva « predare,
^ n Bentivoglio a il Giacomini nello stesso giorno scrissero ai Dieci sopra a questo
fatto d^arino « dovo fu guasti a««sai cavalli et huomini. Ex felicibus castri» iuxla Bib-
bonam » (doc. M., busta iv. n. 10, 11). — La lettera del Giacomini fu pubblicata dal Vil-
LARi, op, cit., appendice, pag. 625. Cf. Pitti, Vita d'Anton Giacomini, loc. cit., pap. *19
e seguenti.
'^ Arch. fior., Carteggio de' Dieci, registro n. 117. — Cf. Scrini inedili del Machia-
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i^KcoNDoJ ASSALTO DI PISA. 381
guastare, ruinare, ardere ostilmente, e soprattutto spianar Via-
reggio ». Il Giacomini richiese gli mandassero Niccolò Machia-
velli, 1 per esser con lui e col governatore, e poter parlare delle
cose appartenenti all'impresa. E il segretario un giorno con
lui e col Bentivoglio va al campo alla Gasaccia, tra Santa
Lucia e Rasignano; torna a' Dieci colla nota delle cose neces-
sarie, e i Dieci si risolvono allora di non attendere. a ninna
altra impresa che alla pisana. Molto ardore s'andava calmando
innanzi la ponderazione fredda de' fatti. Si compion le prov-
viste subito, si mandano artiglierie, salnitri, marraiuoli: pro-
pongonsi grandi premi a' coraggiosi ; si fa capitan generale
il Bentivoglio, per compiacergli; il Giacomini tratta accordo
segreto per far cadere la città. Passavolanti e falconetti sfer-
rano colpi fitti addosso alle mura; le colonne dei fanti stanno
disposte co' lor condottieri ad avventarsi nel rotto della mu-
raglia: il conte Ludovico da Pitigliano e Piero dal Monte
nella prima schiera, nella seconda Iacopo Savelli e Niccolò
da Bazzano, nella terza Marcantonio Colonna e Ciriaco dal
Borgo, latice spezzate e cavalli leggeri ove fosse il bisogno, il
Zitolo da Perugia e Ceccotto Tosinghi doveano nel tempo della
battaglia gittarsi per Arno in Pisa. Già cade il muro battuto
e la prima schiera muove all'assalto: il Pitigliano e Piero del
Monte si slanciano giù nel fossato, eccitando il seguito; ma
li seguono pochi: un colpo di scoppietto ferisce il conte Lu-
dovico nel piede; questi, come nulla fosse, continua a chia-
mare, ad animare i soldati ; se non che le voci e la furia dei
condottieri tornano vane; le provocazioni inutili, quelli si ricu-
sano scendere.
La seconda schiera avanza anch'essa, ma cogli stessi esempi
di disperazione ne' duci e di viltà invincibile per gli altri :
« piuttosto si lasciavano ammazzare, scrive il Bonaccorsi, ^ che
volersi appresentare alle mura »; e Anton Giacomini, pieno di
generosa ferocia, ammazza que' fanti codardissimi, che non sen-
tivan più né onore, ne deprecazioni, né ingiurie; e morti e
semianimi gli fa sotterrar dalle artiglierie. Né quei del Zitolo
e del Tosinghi faceano miglior prova, aizzati, feriti vanamente
velli. Questa lettera, che à la prima della Spedizione al campo contro Pisa, nelle edizioni
delle opere del M. venne pubblicata per seconda dal Canbstbini, Spedizione dopo la rotta
dslVAlviano (op. cit., pag. 206) ed assai più correttamente.
* V. Spedizione dopo la rotta delVAlviano, 1. e, Lett. 2« e 3». — Cf. Iacopo Pitti.
Vita di Anton Giacomini, pag. 825, neWArch. storico, tomo iv^ parte ii, serie 1^.
' Bonaccorsi, Diario.
ToMMASiNi - Machiavelli. 22
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388 CAPO TERZO. li^mfit*
dai capitani; tutto andò a vuoto. Coloro che, dentro Pisa, s'eran
preparati a tradir la città, all'aspetto di quella miseria non
fecero nulla. Gli Spagnuoli di Consalvo v'erano già entrati a
presidio: una infamia irredimibile avea coperto le fiorentine
milizie, e il vitupero nuovo bruttava a Firenze tutta la ripu-
tazione della prima vittoria suU'Alviano; e, quel ch'era peggio,
involgeva fatalmente in una stessa caxiuta il Bentivoglio, il
Giacomini e il Gonfaloniere perpetuo.
Quando un popolo à voluto il suo danno, ne fa cader la
colpa sopra coloro che l'anno aiutato a volerlo; e Niccolò Ma-
chiavelli, che in questi miserandi avvenimenti non fu se non
l'esecutore sincero degli ordini del governo, non lascia in altra
stagione di manifestare la sua poca confidenza in quegli or-
dini, e l'infermità di quella politica. ^ Fi^attanto toglieva ar-
gomento di quelle vituperose contingenze per persuadere ai
Signori l'idea sua ferma: che mettere la salute della patria in
mano di gentaglia vendereccia e infedele era barbarie e rovina;
e coglieva la palla al balzo per oflFrir modo al Giacomini e
al Gonfaloniere di racquistare la diminuita popolarità loro, di
riguadagnare un onore certo e incancellabile presso i posteri,
restituendo in vita, a tenore degli statuti, la milizia comunale,
quella di cui solo la libertà poteva con fiducia avvalersi. La
cura, r industria, l'accorgimento, la pertinacia di iNiccolò nel
ravvivare questa istituzione, basterebbero, quando egli non
avesse operato altro, a farlo meritevole di grande considera-
zione agli occhi di chi ama riconoscere gl'inizi dei progredi-
menti 0 dei ravviamenti umani dopo la trasandatezza o lo smar-
rimento di miglior sentiero.
Ma per ben valutare l'importanza di questo fatto, e per
ravvisare tutti i gradi per cui passò il pensiero del Machia-
velli prima di giungere alla ricostituzione dell'esercito statuale,
ci pare sia mestieri di tanto minuta analisi, che trattarne in ap-
posita parte non reputiamo opera superflua. Però, rimettendo
lo svolgimento di questa materia al prossimo capitolo, seguite-
remo in questo a risguardare il Machiavelli e il pensiero di
* Machiavelli, Decennale IT, v. 65 e seg. :
« Ma perchè Pisa poco o nulla teme
Non molto tempo il campo vi teneste
Che fu principio d'assai tristo seme.
E se danari et onor vi perdeste
Seguitando il parere universale
Al voler popular satisfaceste ».
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secondo] indole di GIULIO SECONDO. 323
lui in relazione colla curia di Roma e col pontificato, destinato
a sfiorire splendidamente in questi tempi fatali.
Giulio secondo ereditava la chiesa tale, quale la lascia-
?ano i Borgia, sovraccarica sulla via delle mondane grandigie ;
perseguitata da odi, che si disfogavano contro la reputazione
dei pontefici e della loro famiglia. E quanto agli odi non
era il della Rovere tale cui facesser paura; convien anzi
credere che, a somiglianza d'altri politici, nel!' immaginarsi
odiato provasse compiacimento; forse per quella maniera d'e-
sagerazione ideale che nasce nell'animo degli uomini, i quali
antepongono il fine cui mirano ad ogni altro riguardo umano.
Ma. quel ch'ei non voleva era l'infamia de' Borgia, che gli
stava dinnanzi ritta come una minaccia inevitabile. Egli aveva
sentimento certo e profondo della condizione propria, e sapeva
che, come sovrano, non avrebbe avuto potestà senza forze, in
tempi usi a computi sottili, a non dar peso a quel che allora non
avesse fondamento che nell'opinione; come pontefice poi, vedeva
che acquistar forza e stato senza violenza e dissimulazione non
era forse possibile; ma a chi veniva dopo i Borgia si conveniva
andar ben respettivo nel maneggio di tali mezzi, che lo met-
tevano a rischio di sciupar l'ultimo briciolo di fede per cui
alle plebi ei restava ancor venerabile. Ora, seguitar la via di
Sisto quarto o d'Alessandro sesto non voleva papa Giulio, ma
non voleva neppure abbandonarne la meta. E se c'è cosa che
sollevi la fama del della Rovere dall'abisso in cui giace quella
de' predecessori suoi, è precisamente la schietta e forte pas-
sione di quel malinteso aggrandimento ecclesiastico, ch'egli
caldeggiò non per cura di grandigie domestiche, ma per ri-
guardo all' istituzione grande di cui stava a capo ; ^ e alla
quale giunse a sagrificare la stessa natura sua, sincera, rotta,
marinaresca; torcendola talvolta a sotterfugi, a dissimula-
zioni, ad inganni. Del resto chi lo vantò propugnatore della
nazionalità italica e discacciatore di barbari, scordò che egli
fu iniziatore della lega di Cambrai; chi lo giudicò accorto e
^ Macuiavulli, Il Principe^ e. xi: «fece ogni cosa per accrescere la chiesa, e non
alcun privato ». 11 Broscii, Papsl Jules II und die Orxindung det Kirchemtaqles, pag. 113,^
aeiraffermare : « er gieng massvoUer, als es damals pùpstlicher Brauch var, an die Be-
glinstigung seines Nepoten ; er bat, geradc durch solche Miissigung, das QlUck des Hauses
della Rovere auf die Dauer begrUndet » interpretando le intenzioni altrui con eccesso
di scaltrezza, riesce, come sovente avviene neiruso della vita, a disconoscerle. I Veneziani
contemporanei non fecero altrettanto ; e il Pisani, in un suo dispaccio da Roma, a' di 10
gennaio 1505 (st. v.), scrive : « el papa so artrova assai denari.... et in dies va accumulando :
debitamente però non cum extorsion et non per darli a nepoti ».
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324 CAPO TERZO. [limo
buon pontefice della Chiesa universale, non osservò che per
l'arti sue politiche e per le guerre di cui fu irrequieto ecci-
tatore contribuì a diffondere in Germania ed in Francia il di-
sgusto della Chiesa di Roma; e le declamazioni dell'Hutten
e del Monstrelet ne fanno aperta testimonianza. Egli invero
soggiacque al soffio del rinascimento, lo secondò coli* animo e
ci si trovò rapito quando tentò acconciare a' nuovi tempi la
pretensione medievale di Gregorio settimo, tentando che il papa
avesse ad essere il signore e maestro del giuoco del mondo. ^
Disgraziatamente quel giuoco e quel magistero, cui ago-
gnava, non era se non quello delle opportunità, delle quali fu
per fermo conoscitore accortissimo. Se non che, per una qua-
lità particolare dell'indole e dell'intelletto suo, papa Giulio
non discerneva egregiamente che il fine prossimo, quel che gli
stava sotf occhio; ma lontano, ma in fondo o non guardava
0 non vedeva; ed essendo uomo di tutta azione, non faceva
calcolo delle reazioni. Quel che gli stava a cuore era il mo-
mento, per trovarvi dentro l'occasione sua e sventar quella
degli altri. E, sotto questo rispetto, papa Giulio aveva proprio
una dirittura di mente opposta affatto a quella del Machia-
velli; laonde ci si spiega come questi, sottilissimo, tornando
presso al papa e congetturandone le voglie, le mosse, i suc-
cessi, non ne indovinò mai nulla, e nelle supposizioni sue riusci
più simile a chi abbia le traveggole, che a chi vegga.
Agli occhi del Machiavelli il pontefice, per quanto ei si
agitasse, non avendo forze proprie, rimaneva sempre coll'a-
spetto d'un gran debole; invece papa Giulio, tenendo ragione
dell'importanza o degl'impedimenti della potenza altrui, di
questo faceva la momentanea forza sua. Egli vedeva che l'Italia,
divisa e travagliatissima, non avrebbe potuto opporre mai osta-
colo sufficiente all'aggrandimento della signoria ecclesiastica,
che metteva radice ; ma se l' Italia fosse divenuta cosa vene-
ziana, se la repubblica si fosse stesa poco più dentro terra,
egli sarebbe diventato davvero, secondo l'ironico motto ma-
chiavellesco, il cappellano de' mercatanti di Rialto. Ora, in forza
della giacitura geografica, per cui Venezia rimaneva intermedia
fra Francia e Impero, seguiva che, quando tutti e due questi
stati non cospirassero a nimicarla e stringerla in mezzo, e un
solo de' due l'osteggiasse; dopo- che i Francesi s'erano gittati in
^ V. Domenico Trevisan, Sommario della Relazione di Roma^ nelle Relazioni veneti
pubblicate dall'ALBéBi, serie 2", voi. in.
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SBCOKDoJ MENE DI GIULIO SECONDO. 325
Italia, Taltro necessariamente fosse tratto, per interesse e per
gelosia, a sostenerla e venirle in difesa. Ora, se non era gran
che difficile trovar la via d'indurre Francia e Impero ad una
cospirazione intenzionale d'inimicizie, da poi che, come ve-
demmo, i Veneziani eran già gravi a tutti e per la potenza
loro e per la superbia con cui l'affettavano ; quel che per fermo
tornava assai scabro era il condurre ciascuno dei due nemici
ad entrare in un primo fatto contro alla repubblica; però che
quel primo fatto spalancava un abisso, apriva cioè *su' campi
d' Italia una lotta di preponderanza fra le genti francesi e le
tedesche, della quale non si prevedevano senza sgomento i re-
sultati. Tuttavia chi se ne sgomentava non era già il pontefice,
sul quale anzi le parti da lui aizzate ed accozzate nel trattato
di Blois gittarono intiera la responsabilità di quell'accordo,
senza che egli ne sentisse repugnanza veruna; ^ ma la furia
sua aveva dato ombra ai contraenti stessi; tanto che se i Ve-
neziani ricevettero replicati e certi avvisi di questa cospirazione
a' danni loro, probabilmente è a rintracciarne la causa nel ma-
lumore delle parti che v'erano impegnate, e che non fecero
nulla per tenerla segreta, * e poco per recarla ad effetto.
I Veneziani invece, stimolati ad abbonacciare il papa, cre-
dettero aver ottenuto particolarmente coli' intermedio del duca
d' Urbino qualcosa, che sembrava una specie d'accomodamento
con la chiesa. Essi renderebbero a questa, quelle terre che le
erano immediatamente suddite in Romagna: Sant'Angelo, Mon-
tefiore, la Verrucola, Gattaia, Savignano, Porto Cesenatico,
Fusignano, Scorticara, Oriolo e Monte Battaglia; ^ riterreb-
bero all' incontro per investitura Rimini e Faenza coi loro con-
tadi ; né il papa per queste due terre cagionerebbe al loro stato
molestia o perturbazione alcuna, « anzi sua Beatitudine se
1 V. in DuMOKT, Corpt éUplomatique du droit des gens, t. iv, parta i, pag. 53, il testo
del trattato di Blois de* 22 settembre 15(X1: « Quod cum sanctissimus DomÌDus noster Julius
papa secundns per nos ante dictos Marchionem (del Finale) et Sistaricensem et alios ac
etiam Brevibus apostolicis, serenissimos atqua excelsos principes Maximilianum Romanorum
et Ludovicnin Francorunx Reges, repetitis vicibus instantissime admonuerit ut tanquam
reti et devoti filii Ecclesiae vellent Sanctitati Suae totis viribus assistere ad recupera-
tionem eorum quae, postposita fide, spreto Numine ac Religione omni neglecta, Veneti plu-
ribus jam lapsis annonim curriculis de beati Petri ac R. Ecclesiae patrimonio invaserunt,
ac in praesenti occupant et detinent indebite, praefati etc. »
* RoHANiM, Storia documentata di Venezia, t. v, pag. 174 e seg. — Db Lbya, Storia
documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, voi. i, pag, 82. — Bbosoh, Papst Ju-
Uui Ilf pag. 114 e seg., dimostrarono con fatti quanto fosse mal fondata Topinione che i
Veneziani non avessero mai nulla Subodorate della lega di Cambrai e che questa li co-
gliesse air improvviso.
* Marii« Sakcto, Diarii, vi, 60.. citato dal Brosce, op. cit., 328.
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386 CAPO TERZO. [ijb«9
exhibirà amorevole et de paterno animo verso quella, come
se conviene essere verso boni figlioli ». Di questo lasciava dar
fede a Francesco Maria della Rovere, suo nipote e a Guidu-
baldo d'Urbino, che avevalo tolto in adozione per farselo
successore nel ducato; ambedue i quali aggiungevano « esser
certissimi che la prefata Beatitudine per ninno caso sarà per
mutarsi della promissione ut supra per lei fatta ore lenus al
magnifico oratore della Signoria » . ^
Una promessa fatta ore temis da papa della Rovere, che
quando si trattava di capitoli diceva apertamente non curare
« né quello avevan fatto li altri papi, ne quello aveva fatto lui;
perchè li altri papi e lui non avevon possuto fare altro, e la
necessità e non la volontà li aveva fatti confermare » ; una
promessa d' un papa che quando gli capitava occasione di mutar
partito, calpestando tutti i patti, a non coglierla gli sembrava
« non ne potrebbe fare alcuna scusa appresso Dio », * era molto
meno che una lusinga, e i Veneziani non avevan cagione di
racquetarcisi. Tanto più che l'investitura che il pontefice pa-
reva accordar loro di quelle due terre, non voleva darla in
concistorio e co' modi ordinari, ma straordinariamente e «per
viam brevis ».
Tutto questo lasciava intravedere ai Veneziani che il papa
non trattava sinceramente; ma forse, e con meno errore, e'si con-
fidarono nella ripugnanza degli alleati a dar principio al grande
incendio; forse meglio sperarono di riuscire ad accattivarsi il
pontefice, appoggiandolo in qualcuna delle particolari imprese
che ventilava. E invece il pontefice metteva ogni industria a
muovere per forza la renitenza degli alleati, a cacciare nella
loro cospirazione anche Spagna; e ci sarebbe riuscito, se già
la morte d'Isabella di Castiglia non avesse gittate la questione
del retaggio di lei come un pomo di discordia fra gli Absburgo
e l'Aragonese.
Ora, se c'è cosa che persuade quanto improvvidamente gli
uomini aprono da sé stessi la porta alla morte loro, se c'è
argomento che prova come papa Giulio non vedesse più lungi
dell'opportunità momentanea, questo si ravvisa per fermo nella
condotta de' pontefici verso i re di Spagna insignoriti di Napoli:
» V. in RoMANiN, op. cit., voi. V, pag. 4SI, lU. D. Dux Urbini ad Ill.mum Dominium
in materia compositionit rfrum Romandiolae inter Beat. D. JuUi secundi pont. max.
ex una et ipsum eximium Dominium venetum ex altera (Lett. Romae, die xiq Febrni-
rii Mcccccv).
* Machiavelli, Commistione seconda alla Corte di Roma, Lett. 4*1.
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secondo] MKyE DI GIULIO SECONDO. 3W
nel procedere di papa Giulio verso l'amicizia spagnuola. Che
tentasse lusingarla con iscaltrezza papa Alessandro sesto, spa-
gnolo, fino a un certo punto, s'intende; e s'intende pure la
sagace opposizione del sacro collegio a far cattolico lo spa-
gnolismo; 1 per la stessa cagione si spiega pure come quel
papa medesimo rompesse la tradizione della politica ecclesia-
stica che aveva sempre annesso tanta importanza e posto tante
condizioni al vassallaggio de' reali di Napoli; ^ ma i re di
Spagna oramai avevano già dato prove d'essere un vicinato
non punto riguardoso verso la chiesa, e mostraron bentosto tal
gelosia per le prerogative del regno che appena trova riscontro
in alcuno fra i più ghibellini principati d' Italia. ^ Ora, perchè
Giulio II non si gìttàsse all'opposto del suo predecessore, per-
dio non avvertisse il pericolo che minacciava prossimamente
la dominazione ecclesiastica conveniva o ch'egli si rifiutasse
di tórre gli occhi dal settentrione d'Italia e da Francia,
ove aveva agitato tanta parte della sua vita; o che pel non
risiedere de' re di Spagna in Napoli, e per aversi diviso il
reame co' Francesi, giudicasse la loro signoria men che salda;
o che troppo si promettesse dalle qualità etnografiche degli
Ispani, ben cognite agli umanisti e confermate da quotidiana
esperienza, per cui si riteneva quelli non fossero per osare se
non cose piccole, essendo ritrosissimi a imprenderne grandi e
a far imprese in comune.-* Non possiam giudicare quale di
* Marin Sanuto, Diarii, voi. i, pag 424 : (dicembre 1496) « Item come in concistorio
era aia. deliberato dar titolo honoriflco al re hvspano in nominarlo de costerò catholicn.
quemadmodum Franza si dice cristianissimo. Et questo fece repugnantibns cardinalibns,
quia nomen illud poUua conventi pontifici et gpiritualibus quam s«cularibu8. Tamen, il
ponteflce sic voluil ».
* V. nel LUnio, Codex Italiae diplomaticus^ t. ii, 133>6, il breve d'Alessandro VI, in
coi dispensa Ferdinando e Isabella, re delle Spagne e di Sicilia, e i loro legittimi succes-
sori dal prestare personalmente il giuramento di fedeltà e vassallaggio al pontefice.
' Il Dk Leva, Storia documentata di Carlo V, pag. 83, dal Registrum Fr. Capello
oratori» apud Romanorum regem, descrive l'alterco in Venesia fra Tambasciadore spa-
gnuolo e il nunzio pontificio. — V. nel LUmo, Codex Italiae diplomaticut, t. ii, 1337, la
lotterà di re Ferdinando il Cattolico al viceré « die 22 martii 1508 » rimproverandolo poi
ch*et80 ebbe ricevuto un breve apostolico lesivo dei diritti regi « porque vos no lizistes
tambien de hecho mandando ahorchar el Cursor que vos la presento, que darò està quc
no solamente en esso Reyno, si el Papa sabe que en Espanna. Francia le han de con-
sentir fazer semeiante auto, que esse, que lo fera por acrecentar su jurisdiction ».
* Stiiabo2«e, rioYp«9'x«, *'*>• "»» cap. iv: « tCuto Si tò a0^a^«« tv toì« "IpTip?;
l».aXirr« èwsTcìve, Trpoor^.otpoOo-i xaì tò TrotvoOpYOv oO^ci xotì tò pur, AtcXoOv. éiri^cTix&l
fàp x«i iYiorpixoi Toì« pìoi5 «yivovro tà |jLixpà TO?.|iò)VTf« [icyàXois ^'oóx k'!ti^akXò\uyt,r
9ià TÒ \uyàXatq ji-fj xaracTxcud^ecT^at ^uvàfui^ xaì xctvtovia^ ». — Cf. Machiavelli. Ri"
iraUi delle cote di Francia, ed. Le Monniér, pag. 194. ^ Cf. F. Guicciardini, Relazione
di Spagna^ Opp. inedile, voi. vi, pag. 280: «nazione di ingegni inquieti, poveri e volti ai
latrocinii. e per li antichi tempi senza civilità alcuna di vivefe.... — chi l'ha assaltata nnn
avere avuto a combattere con Spagna tutta insieme, ma quando con una parte, quandi v
con un altra».
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388 CAPO TERZO. [libro
queste ragioni nella mente di lui prevalesse; certo è che le
personali inclinazioni poteron sempre gran fatto nella politica
di questo pontefice, il quale non amò nessuno di coloro che lo
avvicinarono e non ne fu amato; né andò molto, che re Fer-
dinando ebbe a mostrare come era lieve escludere i Francesi
dalla compartecipazione della conquista; quanto gli era breve
tragitto quello d'Italia, quando venne a liberarsi dal sospetto
del gran Capitano; né i dati etnografici bastarono ad assicurare
papa Giulio e Roma da ingiurie e da ruberie famose.
Senonchè era il cardinal de' Medici, era la parte Orsina
che stimolavano il papa airamicizia di Spagna, perchè ormai
i Medici non avevan più che sperare dalla parte francese. Il
cardinal Sederini allUncontro, che ben sapeva quel che le spe-
ranze francesi valessero, faceva le prove estreme per indurre
Venezia a non sguinzagliare il furibondo pontefice; e all'oratore
della repubblica si voltava < non come cardinale, ne come cit-
tadino fiorentino, ma come bone amico et italiano » ; scongiu-
randolo a benefizio d' Italia a ciò che la Serenissima si volesse
tener ne' suoi termini e lasciar gli altri ne' propri. Quando
questa sicurezza potesse ottenersi < gl'Italiani vorriano piut-
tosto l'amicizia sua che quella d'altri, e sariano contenti d'o-
norarla e averla per capo e superior membro d'Italia ». A
queste profierte l'oratore rispose colla consueta arroganza pro-
vinciale: non intendere il gteor^um di questi discorsi; la Sere-
nissima non aver < cupidità di tuor quel d'altri senza gran-
dissima rasone et juste cause ». ^
Cosi il vecchio egoismo repubblicano precipitava la patria in
mano al papa e agli stranieri; e Firenze, per salvarsi l'oppression
di Pisa, dovette cospirare ad annientare Venezia soverchiante.
E poiché il papa erasi accorto che malgrado Io stagnare di
tutti, un qualunque moto primo, per piccolo eh' e' si fosse, avrebbe
determinato subito un movimento irrefrenabile, venne nel di-
segno di muoversi primo lui; né l'occasione gli faceva difetto.
A chi voleva più profondamente radicare la signoria pon-
tificia coU'abbattimento de' vicari, stavano innanzi due opere
a compiere, cui non eran bastati i Borgia: restavano cioè
a domare i Baglioni in Perugia, i Bentivoglio in Bologna.^
^ OiusTiNiAN, Diapacciy a' dì S4 ottobre 1504, voi. m, pag. 273.
* Si avverta al singolar modo d'esprimersi del Machiavblli nel Dee^nnaU 2^, v. 9i.
Ave dice che papa Giulio :
« Abbandonando la sua santa soglia
* A Bologna e Perugia mostrò guerra ».
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sscoMDo] GIULIO SECONDO CONTRO I BENTIVOGLIO. 8S»
Questi sopratutto, come i più potenti, come coloro che dalle
insidie valentinesche erano usciti sempre con promesse e con
trattati; come quelli che parevano avere scritto sulle loro
torri il fondamento della loro alleanza milanese, ed erano in
protezione di Francia, e sulle monete e sullo scudo incide-
vano per concessione di Massimiliano Taquila imperiale, ^ da-
vano maggior appiglio e maggior bramosia air ira del papa, e
promettevano essere la più acconcia occasione per determi-
nare gli eflfetti a cui esso intendeva. Di soprappiù, contro Gio-
vanni Bentivoglio il della Rovere aveva rancore, dicono, o per
antica amicizia colla famiglia Malvezzi, avversa a* Bentivoglio
nella città;* o perchè messer Giovanni, che della città s'inti-
tolava principe, per commissione di Alessandrp sesto aveva ten-
tato già ritenerlo prigione, siccome accenna Q Guicciardini.
Comunque sia, Toccasione poteva benissimo bastar per causa;
quantunque papa Giulio, sin dai primi giorni del suo pontifi-
cato, avesse dato segno di pensare a Bologna provocando forse
intenzionalmente, colla conferma degli statuti e dei privilegi
municipali, qualche scintilla di avversione alla fazione tirannesca.^
Fisso pertanto nell'animo che scatenare la guerra toccava
proprio a lui; che ninno l'avrebbe potuto trattenere quando
dicesse di voler mettere il Baglioni fuori di Perugia e ridurre
il Bentivoglio o a condizione privata entro Bologna o cac-
ciamelo, cominciò a raggranellar forze. Ottenne promesse di
aiuti dal re di Francia; cento uomini darebbe il duca di Man-
tova; cento Ferrara, duecento ei n'aveva soldati col nipote e
duecento col duca di Urbino; aveva mandato a' fiorentini il
protonotario Gabriele Merino, a domandare gli concedessero
per questa impresa Marco Antonio Colonna, lor condottiero;
diceva loro di non volere accettar favori da' Veneziani, a' quali
non parrebbe vero esser capi in favorirli; ma e' non li vuole
« per non conceder loro quello che tengono della Chiesa con
tanto suo carico e pregiudizio vostro; e quando e' non facessi
mai altro che tenere forte questa cessione di non la fare, do-
^. Cf. in Muratosi, R«r. xtal.^ script, xxin. Hibrontmi i>ìt Bubsbllis, A^naU» hono-
ni9n9«s, 909-916 passim.
• Bboscb, op, cit., pag. IJfó. — GoicciAKDiNi, storia d' Italia. — Nel Deeretum Exco-
munieationi» del Bbntivoolio, vi. id. oct. an. 1506 (LQNia, CoAbìc It. dipl.j t. ly, pag. 193
e seg.) papa Oiulio Taccusa: « ad se imperii sammam traxit adeo, ut solum dominii nomea
nobis et apostolicae Sedi relictum fuerit, et Bentivolonim nomen, qtuyd eoram agnovimus,
in ore illius populi magis quam nostram et romanae Ecclesiae personet venerabiliusque
habeatur ».
s Cf. Tbeikbb, Codex diptomatieut Ap. Sédii, t. ni, pag. 513.
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330 CAPO TERZO. [libbw
vrebb? far correre i fiorentini senza rispetto a convenir seco;
e tanto più non si avendo a presumere che si abbi a fermar
quivi, succedendogli bene i principi >. ^
Ora i Fiorentini non poteano veder volentieri in Italia
né Taggrandimento de'Vf^neziani ne quel del pontefice; tut-
tavia giudicando che naturalmente anche al re di Francia do-
vesse stare a cuore lo stesso interesse, e non reputando op-
portuno contrastare subito all' irritabile papa, ne credendo che
questi sarebbe per riuscire a grandi effetti, sulle prime tem-
poreggiarono; poi, quando lo videro mosso, mandarono in fretta
Niccolò Machiavelli a incontrarlo, dove ei si fosse; a scusar
r indugio; a promettere aiuti non appena l'impresa di Sua San-
tità fosse in essere; a chieder che per sino a quel tempo la-
sciasso a' Fiorentini il Colonna, togliere il quale dalle fron-
tiere di Pisa avrebbe cagionato loro danno non lieve. ^ E Nic-
colò, fornito di lettere pel cardinal di Volterra e pel papa,
movendo alla volta di Roma; arriva a Nepi e trova quivi
Giulio che già il di innanzi s'era messo in via. Circa venti-
quattro cardinali 3 lo avean seguitato, e non di buona voglia,
in quella sua escursione belligera, dissimulando il cruccio degli
agi inaspettatamente lasciati, brigandosi di schivare più che si
potesse i disagi.
Il cardinale Adriano da Castello tramandò in esametri la
memoria di questo curiale itinerario, in cui ai porporati epi-
curei, seguitando il ligure pontefice, pareva andare alla guerra;
e il verso eroico, come cosa fuor di tempo, di luogo e di
ragione in questo poemetto, rende immagine delle bizzarrie
^rottesclie seminate dalla fantasia del Sanzio su pe' pilastri
«lolle logge vaticane. CoìV Ttinerarno citato e col DiaìHo del
(irassi raffrontando le lettere del Machiavelli, se ne affer-
rano le riposte ironie: « Con questo pontefice, scriv'egli da
Civitacastellana, vanno continuamente sei o sette cardinali,
di quelli che o per consiglio, o per altro, gli sono più grati:
> Machiavelli, Commi$ùone seconda a Roma, Leu. 5.
* Per questa commissione trovansi neirArchivio di stato non pochi stanziamenti a fa-
vore del Machiavelli e sotto diverse date. — V. classe xiii, dist. 2, n. 69, carte 19, 131 ^
134 t. — Ibid. classe ii, dist. 6. n. 206, a e. 199 1. — V. anche lettera credenziale de*priori
di libertà e gonfaloniere di giustizia al cardinale di Pavia pel Machiavelli (Bibl. Nas .
Doc. M. busta iv, n. 70).
> Cf. Paris db Orassir, Diario: « Et jussi fuenint ad veniendum infìrascrìpti videlicet
sacnim romanorum dominorum cardinalium collegium qui fuerunt viginti octo.... — Sanctae
Crucis, quipostea in via inflrmus remansit et non venit. Agennensis postea remansit Vi*
terbii legatus ».
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secondo] il machia VELLI E GIULIO SECONDO. 331
gli altri si distendono al largo per queste terre circostanti »:
« olwiferiA tumulii laetissima rura »
scrive il cardinale Adriano.
« Vicina pUicuit pairibtts recubare sub ulmo ».
La fiducia di tutti, al primo muover da Roma stava nel
duca d' Urbino, ch'era il solo punto d'appoggio certo che aves-
sero; questi il loro pio Enea, questi era quegli di cui niun altro
migliore :
« Nec pietate prior sed nec praestantior armia, »
se non che la podagra gì' infermava il valore. ^ Il papa all' in-
contro, uora duro, tollerante di tutte le asprezze del vivere,
natura marinaresca e soldatesca forse, ma ignaro affatto delle
pratiche della milizia, era tratto, per aver pretesto di riposo,
ad ammirar cose per lui non bene apprezzabili. A Civitacastel-
lana andava guardando la fortezza « come cosa rara ».^
Niccolò, che al mattino era stato ammesso all'udienza di
lui, con due insinuazioni finamente sarcastiche, che sapeva
come con papa Giulio avessero più peso che non le ragioni, gli
aveva messo nell'animo due stimoli.
Dappoiché due mire aveva il segretario fiorentino: inasprire
sempre più il pontefice contro Venezia; e tanto istigarlo al fatto
cui s'era accinto, ch'egli non se ne ristesse dopo aver comin-
ciato. — « I Viniziani sono male contenti di questa impresa,
e l'oratore loro a Roma ne aveva fatto fede ». — E, così di-
cendo, Niccolò dimostra al pontefice com'ei discerne ove il colpo
diretto a' vicari, tende a ferir profondo. — « Le cose della
Chiesa non pare si maneggino in conformità di quelle de'prin-
cipi, perchè si vede uno uscire delle terre della Chiesa per
uno uscio ed entrare per l'altro ». — Ed in queste altre parole
era il seme dell' idea che Niccolò gittò poi nel libro de prin-
cipatibus,^ quando accennò al principato ecclesiastico. Le
due frasi sottili del segretario colsero allora diritto nel segno.
> « Tot dotes juveni invidit lapidosa podagra ». Cf Itinerarium, loc. cit. — Paris db
Grassis {Diarium) « Dux Urbini, qui erat capitaneus Ecclesiae, sed ob podagras inermis
fuit ».
• N. Machiavelli, Commissione seconda alla Corte di Roma, Lett. 1. — Paris de
Grassis, ibid. : « Itam est deinde ad palcherrimam arcem, cuius pulchritudine allectus papa,
ac etiam, pront dìxit, ut abstineret ab equitatione. — E nello stesso capo in civUate Ca'
stellana, poco più oltre : « Hic papa ex Florentinorum nuntio aodivit quatenus ipst domini
Fiorentini dispositi erant ad volnntati papae obsequendura, jovandumque ad expeditionem
Bononiae ».
» V. Machiavelli, Il Principe, e. xi : « Costoro soli hanno stato e non lo difendono,
hanno sudditi e non gli governano ».
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im CAPO TERZO,
11 papa si voltò al cardinale di Volterra e parlogli ali* orec-
chio ; promise a Firenze fare un gran beneficio ; non parlò del
Baglioni, ma quanto al Bentivoglio, che per le mire del papa
aveva ben altra importanza, < quando e' se ne vadia, disse,
assetterà le cose in modo, che a suo tempo e* non vi ritor-
nerà ». 1
Tanto per arguzia di motti si moveva forte quel papa, che
pure a sua volta senz'altro spendio che di parole, senz'altro che
un intuito e un uso prontissimo dell'occasione imminente, s'an-
dava rivestendo di forze ausiliarie, e ne strappava a coloro
che meno avean cagione di favorirlo. A' Fiorentini dava a in-
tendere, come vedemmo, che non accettando lui favori vene-
ziani, Firenze dovea correre e dargli man vigorosa. I Veneziani
dall'altro canto, per tenerlo in briglia spargon fuori novelle
che l'imperatore è venuto a' confini del Friuli. Né però Giulio
s'arresta, uso già chiamare l'imperatore di Germania un « m-
fantem nudum »,^ e spaccia il vescovo d'Aix a Melun per sol-
lecitare i soccorsi del re di Francia, il quale, promettendo, avea
creduto piuttosto temporeggiare che vincolarsi; non immaginando
mai che il papa dicesse così sul serio; e che, in un viaggio»
ch'era un trionfo e un assalto insieme, mettesse ad usura la
maestà della persona pontificale.
Vero è che quella maestà Giulio non si curava molto di cu-
stodirla. Entrato a Viterbo, si spinge oltre a Montefiascone, ove
gli oppidani fanno che le fonti innanzi al palazzo episcopale,
ov'egli alberga, gittino moscato, delizia de' fanti svizzeri. TI
cardinale Adriano celebra i dulcia vina Falisci; e Paride dei
Grassi non tace le burlette del papa a tavola. Ma Niccolò in-
sieme colla corte venuto innanzi ad Orvieto, si fa a raggua-
gliare i signori come Giampaolo Baglioni à fra i prelati buon
numero di fautori: come il duca d'Urbino e il legato di Pe-
rugia s'adopran pure essi a riconciliarlo col papa; e che il
papa, il quale sino allora era stato di volontà che Giampaolo se
ne andasse o che stesse in quella città privato e senza gente
d'arme, poteva, parte per necessità, parte per persuasione di
cortigiani, mutar d'opinione. La necessità era, secondo il Ma-
^ Macbiavblli, Commisi, asconda a Roma, Lett. 5.
* V. Sommario della Relaxione del Trbtxsan, loc. cit. — Pabis db Obassis, Ioc. cit. :
« Inter edendum nunciatum fuit pontifici imperatorem in terras Venetorum ingreasum esse,
videlicet foram Julìi: et Venetos ex eo non bene contentos esse; attamen obviam misisse
qui illum exciperent ac victualia et transitus expeditos pararent, quod fait mendacium
Venetorum, nec creditum est ».
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SBCONDo] GIULIO SECONDO B IL BAGLIONL 833
chiavelli, nella forza de' cavalli e de' fanti di cui disponeva il
Baglioni; sì che il cacciarlo non pareva facile; le persuasioni
tendevano a ciò ch'ei si valesse di Giampaolo contro al Ben-
tivoglio; che domata Bologna si sarebbe poi racconcia Perugia,
ed « era bene fare una impresa et non dua, perchè Tuna potria
guastare l'altra ». ^
Ma la ragion principale stavain ciò, che non era col ferire
il Baglioni che il papa sperava raggiungere l'intento suo; poiché
per certo non si sarebbe mosso per Giampaolo né il re di Francia,
né Venezia, né Massimiliano; però nel perdonarlo e trarselo
agli stipendi era tutto guadagno; e questo partito, considerata
la propensione già manifesta della curia, doveva parere il più
natursJe.
Infatti Giampaolo va ad Orvieto, accolto, perdonato, rac-
cetto, a patto di rimettere in man del pontefice tutte le fortezze
del territorio perugino con le porte della città e d'aiutarlo alla
spedizione di Bologna. Poscia, secondo che scrive il maestro delle
ceremonie, venia de praeterito et fide de futuris habitis, Giam-
paolo colla sua comitiva e col duca d'Urbino s'avvia a Perugia
per la via diritta, e il papa a Castel della Pieve e poscia a
Gastiglion del Lago; ove per alquanti dì fa sosta sul lago a
trastullo, barcheggiando e pescando da Passignano all'isola,
per dar tempo agli apprestamenti del Baglioni.
Agli apprestamenti del Baglioni! Chi volea congetturare
dall'esperienza, e il Machiavelli era tra questi, non poteva non
star molto in pensiero sulla natura di questi apprestamenti.
Dappoiché era ben noto che qualità d'uomo si fosse quel signor
di Perugia; cp' falliti della Magione quivi presso, egli aveva avuto
comuni le congiure e non la catastrofe; il Valentino gli aveva
dato esempio delle cautele, delle violenze opportune, inopi-
nate. Il temerario pontefice che, s'era recato ad offenderlo più
col proposito che colle forze, aveva prestato fede leggermente
alla sommessione subitanea di lui, e s'aspettava esser ricevuto
col baldacchino in quella città, donde tanti legati pontifici erano
stati cacciati con pericolo della vita, colla minaccia d'esser
capovolti giù dalle finestre del palazzo; in quella città che si
reggeva a voglia di Giampaolo, il quale aveva « centocinquanta
cavalli leggieri e cento uomini d'arme e sì bene a ordine».^
^ Machiavelli, 1. e, Lett. 12.
* Machiavelli, Comìn. cit., Lett. 14. — Delle condizioni della città di Perugia cosi ci
ragguaglia la Cronaca del Malaraxzo, 1. e. pag. 101 : « tutti li giovane facevano arte de
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:;:u CAPO TERZO. [libro
Questa consapevolezza del soggetto, delle circostanze dei
precedenti inclinavano l'animo del Machiavelli ad aspettare
troppo dalla malizia del Baglioni, a dubitar ti*oppo per l'in-
columità di papa Giulio e della molle e improvvida compagnia
chiercuta che gli andava dietro, confidente nell'ossequio gra-
tuito, invanita di quel che riscoteva. ^ Il Machiavelli sapeva
che Giampaolo aveva detto conoscer due vie di salvar lo stato
suo; l'una colla forza, l'altra coli' umiltà e col fidarsi degli
amici che lo consigliavano: * ora la forza e' l'aveva in mano;
l'umiltà, come ogni virtù di buona natura gli mancava; s'a-
spettava pertanto Niccolò, in occasione dell'ingresso del papa,
qualche fatto inaudito.
Quando fra i curiali trattavasi d'ordinare la pompa del so-
lenne ingresso nella bellissima città umbra, il maestro delle
cerimonie andava richiedendo gli esperti di cose militari, come
egli annota, del modo più bello d'ordinare a quella pompa le
genti d'arme. ^ Gli fu indicato si stendessero fuori della città,
presso alla porta, in maniera che il pontefice, passando le po-
tesse veder tutte, come a rassegna; che a tempo d'Alessandro
sesto il duca Valentino avevale ordinate così. E il nome di
quel terribile duca, il cui ricordo traeva naturalmente con se
memoria e meditazione di delitti, sorgeva quasi ad accrescere
la prevenzione del Machiavelli; il quale, entrato il pontefice,
scriveva ancora a' suoi Dieci: « trovasi il papa qui con questi
reverendissimi, benché le genti della chiesa sieno alloggiate
intorno a queste porte, e quelle di Giampaolo un poco più di-
scosto, nondimeno il papa e il collegio sta a discrezione di Giam-
paolo e non di loro; e se non farà male a chi è venuto a
torgli lo stato, sarà per sua buona natura e umanità. Che ter-
itoldo, e tale senza exercizio. e hoinìne de mala vita; e ognie giorno se vedevano varie
scesse, e era redutta la città senza alcana ragione o iustizia, e ognie homo se admini-
strava ragione propria autoritale e HAanu regia. Et fumo mandate dal papa molte Le-
gate, si se potesse la città reintegrare a l'ordine suo : e tante quante mai ne vinnero, tante
se partivano cum paura de non essere tagliate a pezze, perchè a molte minacciomo do
volere gettarli per le tenestre de lo palazzo ; in modo che ciascuno cardinale o altro pre-
lato temevano de venire se non erano amici de casa Baglione ».
> n card. Adri.\no da Castello né\V Itinerarium^ 1. e. :
« Appenninicolae accurnint, visnque senatu
Reptantes genibus per humura nova numina adorant ».
* Machiavelli, ibid.. Lett. S2.
^ Paris de Grassis, 1. c. : « Gentes armorum hoc modo iverunt, quia consului perìtos
in arte militari qui dixerunt, «ic sub Alexandre factum fuisse a tunc Duce Valentino, vi-
ilMicet ut omnes essent per v<am ad longum dispositi, ut eos papa videro posset, videlicet
(*\tra et prope portam urbis ». Circa 1* ingresso di papa Giulio in Perugia, e l'aflermazione
del Machiavelli veggasi quel che scrive Ariodante Fabretti. Biografìa de' capitani r«n-
turieri dell'Umbria, voi. Ili, png. \94 in nota.
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sKCONDoJ GIULIO SECONDO E IL BAGLIOyi. 335
mine si abbia ad avere questa cosa, io non lo so ; si dovrà ve-
dere fino a sei o otto dì che il papa starà qui ». ^
Ma, d'attentati non vi fu neppur Torabra, e i presenti-
menti e le congetture del segretario cadder tutti nel vuoto. Ed
era naturale, dapoichè, quand'anche il Baglioni fosse stato
così arditamente perverso da tentare il colpo che Niccolò im-
maginava, quando anche nella natura di lui non fosse stata
maggiore T ipocrisia della baldanza, egli non poteva aver cer-
tezza nessuna che con ciò avrebbe sottratto Perugia per sempre
alla signoria della Chiesa, la quale era nel momento più favo-
revole del suo dilatarsi. Invece egli vedeva aperto quel che i
suoi consigliatori curiali gli mettevan sott'occhio; che cioè, nei
disegni del pontefice, il Baglioni era l'occasione più piccola,
la men sufficiente, il pretesto; da poi che non per soccorrer
lui si sarebbe mosso il re di Francia; né a Venezia importava
nulla che Giampaolo ruinasse. Però quando la dignità del
pontefice coU'umiliazione del Baglioni potesse uscir soddisfatta,
quando nell'accogliere la sottomissione del vicario quegli tro-
vasse r utilità sua, la causa di Giampaolo poteva dirsi assicu-
rata; ma del Bentivoglio non era in alcun modo a credere
altrettanto. Da poi che per papa Giulio questo valeva come
egregio richiamo; né in altra maniera avrebbe potuto con-
* Machiavelli, Comm. cit., Lett. 22. — Cf. questo passo col capo*xxvii,lib. i dei Di-
icorti: « Fu notata dagli uomini prudenti, che col papa erano, la temerità del papa e la
viltà di Oiovampagolo ; né potevano stimare donde si venisse che quello non avesse, con
«uà perpetua fama, oppresso ad un tratto il nemico suo, e so arricchito di preda, sendo
col papa tutti li cardinali, con tutte le lor delixie. Nò si poteva credere si fusse astenuto
per bontà o per conscienza che lo ritenesse: perchè in un petto d*un uomo facinoroso, che
<i teneva la sorella, che aveva morti i cugini ed i nepoti per regnare, non poteva scen-
<lere alcuno pietoso rispetto; ma si conchiuse, che gli uomini non sanno essere onorevol-
mente tristi 0 perfettamente buoni ». — E quanto airaccusa che Giampaolo Baglioni si
tenesse la sorella, se ne à proposito anche nella CronicheUa sopra le ultimr azioni di
Lorenzo de' Medici duca d'Urbino, scritta da Gherardo Bartolini Salimreni (Vedi De-
lizie degli eruditi toscani^ tom, xxin, app., pag. 48): « rimase prigione el signor Oostan-
tino figliuolo del signor Gian Paulo con molti de'sua. Era el signor Gostantino molto amato
tlal padre, dicevano, più che tutti li altri, perchè era nato di una sua sorella, et aveva
tutta la efSgie paterna ». Di lei non ci dà il nome neppure Pietro Barbati fulignate nella
Selva in morte di Gio. Paolo Baglioni cf. Fabretti, op. cit. Documenti pag. 4T.Ì sgg. —
Nel racconto della Guerra del sale tratto dalle Memorie inedite di Girola&io del Frollierh
(Archivio storico, t. xvi, parte ii, pag. 437) si dice di Giampaolo ch'ei fu «molto inclinati!
ad amar donne, da le quale fu sommamente amato per il delicato e signorile aspetto cho
in Ini si mostrava ». — Nella Cronica del Matarazzo (ibid., pag. 20) è detto che di Gio-
vampaolo « aveva una sorella per donna messer Jeanne da Tode ». — Questa era la Ca-
milla. Ma a pag. I5S, tenendo proposito di quella che fu vedova di Giovanni Gatto, signore
di Viterbo, aggiunge : « Et el magnifico Giovan Paolo era aleggiato in casa de madonna
Ipolita, sua carnale sorella, quale era vedua, e così vedua reggeva lo stato di Viterbo, man-
tenendo parte colondese e ghibelìna commo faceva suo marito ; e suo fratello le tolse In
stato, commo inimico de parte ghibelina, e rimise li fuoruscite, inimice de sua propria sorella.
Vero è che sua sorella non aveva figlioli maschi ; ma nondimeno era questa madonna Ipolita
tanto amata in Viterbo, che non lo porria dire, perch'era donna de somma prudenziae ingegno».
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336 CAPO TERZO. [libro
durre nelle sue reti coloro che divisava, se non spingendo le
cose sino airestremo, stornando ogni tentativo d'accordo e di
sottomissione, oflFrendo cioè condizioni inaccettàbili. Però chi
giudicò cagione del non essersi lui acconciato col pontefice
l'orgoglio di Ginevra Sforza, cui messer Giovanni gloriava come
< maironarum decus »,^ non vide l'intimo del vero, non vide
quel che i mandatari del Bentivoglio vedevano, che il papa,
cioè, toccava Bologna per ferire Venezia; che però voleva toc-
carla ad ogni modo; che voleva disfare il principato bentivo-
gliesco, fondato sopra al privilegio d'un papa veneto, * per far
prova certa se l'armi, collegate da lui nel trattato di Blois, eran
capaci di moto. E qui consisteva tutto il giuoco; che papa
Giulio aveva fatto tutto il suo fondamento sul re di Francia, ^
come sul più facile ad essere strascinato; giudicando così, e
fa orrore a ripensarlo, « assicurare Italia da chi disegnava
mangiarsela ». ^ E i Fiorentini e il Machiavelli eran costretti
a pensarla in eguale maniera: tanto l'esiziale supremazia di
una repubblica sulle minori repubbliche metteva spavento; tanto
era naturalmente inconcepibile la coesione dei diversi popoli
della penisola se non per via d'oppressione sotto al men de-
bole! Ma i Veneziani, di rimando, eran tenuti in iscacco dal
re di Francia collo spauracchio imperiale; tanto che quegli
piuttosto che scendere in campo, confortava il pontefice « a
satisfare in qualche parte a'Viniziani », '^ e il papa ne aveva
dispetto, e Firenze paura.
Se non che Giulio aveva fatto bene i suoi computi; e
quando pure fosse rimase solo ad aflfrontare il Bentivoglio, le
armi che aveva accozzate a' soldi della Chiesa bastavano ad
assicurargli la buona riuscita dell'impresa. Egli anzi, andava
vantando che « quando li altri modi non bastassino si era pre-
parate forze di qualità da far tremare Italia non che Bologna ». ^
1 Giorgio Quapnbr, DeseHptio cvoU. Bononiae, pag. 16. — Dulcini, De vario Bononiaé
statu, lib. VI, pag. 77. — Db Bursbllis, loc. cit. — Ranrb, Qetchichte der romanitchen
und germanitchen Vóllterf pag. 216.
* DuLciMi, De vario Bononias stolu, lib. ti, pag. 70.
* Machia VRLLi, Commiss, cit., LeU. 84: « Parlando questa mattina con Tuomo di messer
Giovanni, mi disse come el papa cominciava a prestare orecchi a*Vi|iiziani, e come saria
facii cosa che si appuntassi con loro per fare questa sua impresa. Mostrò lui averla per
buona nuova, perchè non poteva credere che *1 re di Francia non aiuti messer Giovanni,
quando e'Vinesiani se li scuoprino contro el papa, e che permetta che altri faccia quello
che non ha voluto far lui ».
* Machiavblli, Commiss, cit., Lett. 50.
» Bibl. Nas., doc. M., busU iv, n. 176, Lettera de'Dieci al M. * die 24 septembris 1506 ».
* Machiavelli, Commiss, cit.. Lett. 44.
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SBCONDoJ MORTE DI FILIPPO DI BORGOGNA. 3»7
Ciò malgrado, nel caso che il papa avesse voluto far da sé,
il modo più certo di distruggere il Bentivoglio era « te-
nerlo in sulla spesa », contornarlo d'armi, minacciarlo del
guasto de' campi alla nuova stagione, obbligarlo a consu-
mare tutto il \nobile della sua privata ricchezza, ridurlo alla
paura di trovarsi poi fuori di casa e povero ; vincerlo cioè colla
pazienza. ^ Ma questa vitlfcria da indugiatore non era da at-
tendere dal della Rovere subitaneo e furioso; tanto che, s'egli
fosse stato ridotto a strappar la vittoria solo colla cautela
del suo procedere, forse non avrebbe mai vinto. Invece i
fatti sopraggiunsero a favorir la temerità sua, e a dargli tanto
ragione che la fortuna di lui si foggiò come una regola: — « E'
si ottiene con l'impeto e con l'audacia molte volte quello che con
modi ordinari non si otterrebbe mai » . ^ — Se non che l' impeto
e l'audacia di papa Giulio non avrebber dato cagione al Ma-
chiavelli di registrare anche questo esempio fra i ben avventu-
rati, quando le condizioni esterne della politica non si fossero,
indipendentemente dalla umana iniziativa, modificate in maniera
da render quell'impeto secondabile senza soverchia apparenza
d'errore.
Ma a' di 26 di settembre del 1506 sul flore degli anni,
rapito dal mazucco, cessava di vivere in Burgos Filippo di
Borgogna; il quale, morta Isabella di Castiglia, che aveva la-
sciato per testamento la successione del suo regno a Carlo fi-
gliuol di lui, appoggiato e uccellato da Francia e da Inghil-
terra insieme, aveva assunto il titolo di re di Castiglia contro
re Ferdinando, cui era deputata la reggenza sino alla mag-
giore età del nipote. Egli moriva senza aver mostrato alcuna di
quelle qualità grandi che rifulsero poi in Carlo quinto; ^ mo-
riva, dopo. aver cercato indamo nella sua vita, sfruttando le
opportunità colle tergiversazioni, altro guadagno che la dif-
fidenza altrui.
Se non che la morte sua cadeva acconcia: « potria causare
0 la ritornata del re Ferrando in Spagna, o altri moti » ■* —
« il re di Francia sarà più libero a potere favorire la Chiesa ». ^
Cosi congetturava il Machiavelli e con avvedutezza ; dap-
poiché Giulio, sciolto dalle paure che gli cagionavan gli ao-
^ Machiavelli, ibid., Lett. 24.
* Machiavelli, Discorsi, 1. in, e. xliv.
* De Leva, Storia documentata di Carlo V, t. i, pag. 93.
* Machiavelli, Commiss. cit., Leu. 4S.
» Id. ibid., Leu. 50.
ToMMASiNi - Machiavelli. 23
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I
338 CAPO TERZO. [l
cordi di Filippo col padre suo Massimiliano e col cardinale
d'Amboise, il quale ripensava bramosamente al papato e ten-
tava sfruttare il malcontento de' cardinali colla riunione d'un
concilio, fulmina nuove bolle contro il Bentivoglio e i suoi
seguaci; per cui le proprietà loro, come di ribelli della Chiesa,
vengono abbandonate in preda a chi le toglie; le loro persone
concesse a chi le piglia prigioni; a chi le ammazza, indulgenza
plenaria. E se non era per « non mutare natura » — cosi di-
ceva papa Giulio, — avrebbe fatto appiccare il cancelliere del
Bentivoglio, che sempre era stato alla sua corte. ^
Due giorni dopo, fatto chiamare il Machiavelli a sé: — « i
Francesi vengono, gli dice, e in quel numero che io gli ò richiesti,
0 più; e io li ò satisfatti di danari e d'ogni altra cosa anno
domandata; e oltre a' mia quattrocento uomini d'arme, io ó le
genti di Gian Paolo, che sono centocinquanta uomini d'arme; ò
I cento stradiotti, che io dissi di aspettare del reame, e tu li devi
^ aver visti. È venuto a trovarmi il marchese di Mantova con
' cento cavalli leggieri, e di nuovo à mandati per altrettanti; verrà
a trovarmi ad Imola il duca di Ferrara con più di cento uomini
d'arme, e tutti gli altri che lui à, staranno a mia posta; ó sborsati
I e' danari per le fanterie che vengono coi Francesi, e per quelle
che io voglio di qua meco; e in ultimo, perchè ognuno intenda
ch'io non voglio patti con messer Giovanni, ò pubblicategli
come una crociata addosso. Ora se quelli tuoi signori non vo-
gliono essere gli ultimi... bisogna... che tu spacci loro subito uno
a posta, e per mia parte significhi loro 'il desiderio mio, che
sieno contenti inviare alla volta d'Imola il signor Marcantonio
Colonna con li cento uomini d'arme della sua condotta; e dirai
loro che, come e' veggono, io potrei fare senza queste genti,
ma che io le desidero, non per l'utile che io sia. per trarne,
ma per- avere giusta cagione di beneficarli e favorirli ne' mag-
giori desideri loro, quando l'occasione venissi; la quale sarà
sempre, quando la chiesa sia in quella riputazione ch'io spero
condurla ».*
E i Fiorentini accontentarono il papa violento, che aveva
saputo imporre la neutralità a' Veneziani; rivoltare a favor
suo il cardinale d'Amboise con promesse di cardinalato per tre
suoi nipoti; tanto che l'armi dello Chaumont, uscite di Milano
1 Machiavelli, ìbid.. Lott. 52. Questo cancelliere, che il M. chiama messer Jacopo, è
detto da Paride de* Grassi Jacopo Gambari.
* Machiavelli, ibid., Lett. 54.
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SBCOifDo] GIULIO SECONDO ENTRA IN BOLOGNA. 839
a protezione del Bentivoglio, ricevettero a mezza strada co-
mando d'unirsi invece all'esercito pontificio. Questo partito mal-
cauto era un tradimento ^ pel Bentivoglio, in un subito aperta-
mente diffidato della protezione di Francia se non ottemperava
fra due giorni al pontefice; di modo che egli perdette cosi tutte
le speranze di più resistere; e, raccolto quanto potè della
sua privata ricchezza, riparò colla sua famiglia esule a Milano,
cedendo la città felsinea, seggio di libertà e di sapienza, al
pontefice ligure che v'entrava superbamente, con oltraggio del-
l'umanità, portato su spalle d'uomini;^ serbando allo Chau-
mont, giocolato in un col suo Cristianissimo re, l'onore di sor-
reggere nella processione i lembi aurei del pluviale pontificio. ^
E come sovrano riformò lo stato della città, vezzeggiando, se-
condo consuetudini d'ecclesiastica scaltrezza, la plebe cieca; e
come sacerdote segnò di cenere le fronti agli oppressi e ri-
cordò loro ch'erano polvere. Ma la popolaglia non tardò alla
ribellione; e due portenti d'arte, due statue di papa Giulio,
che dovevano esser trofeo di quella vittoria pontificale, mandò
alla sua volta furiosamente in frantumi^ ed in polvere.
Se non che i Fiorentini dal lieto successo del pontefice
s'erano grandemente inanimiti a sperare. Il Machiavelli aveva
scritto loro: < se Bologna gli riesce, non perderà punto di
tempo in tentare maggior cosa, e giudicasi che, o questa volta
Italia si as?5icurerà da chi à disegnato inghiottirsela, o non
mai più >. 5 II papa inoltre, procedendo innanzi nel suo viag-
gio, aveva studiosamente evitato di lambir le terre de' Vene-
ziani, preferendo andare ad Imola per la via de' monti e a
gran fatica; passando piuttosto pel dominio di Firenze, che non
sentirsi gli orecchi offesi da grida a favor della repubblica di
San Marco. Niccolò l'aveva preceduto con sollecitudine per la
montagna, segnando il cammino, facendo preparativi d'ogni ma-
niera perchè non mancassero né provvigioni né alloggi. A
Marradi aveva ofierto al papa il presente della Signoria floren-
» DuMBSXiL, Histoire de Jules IT, sa vie et son pontificai, Paris, 1873, pag. 75: « Co
manque eie foi anéantit Tespoir de Bentivoglio ».
' ADRIANO DA Castello, ItÌTierarium: « Gestatusque hominum scapulis, longo agmine
prodit ». _
• Paris dk Grassis, Diario. — Gborgii Ti.omi, Mediolanenais leti de expeditione Uof-
Uca, lib. i, nella Raccolta del Grevio, ^v, parte i.
* B. Podestà, Di due statue di papa Giulio II negli Aiti e Memorie della Deputa-
zione di storia patria dell'Emilia.
» Machiavelli, Commiss, cit., lett. 63.
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340 CAPO TERZO. [libro
tina: sei barili di vino, due fiaschi, una-soma di pere. ^ Quando
Francesco Pepi nominato oratore presso al pontefice, fra tante
sue pompe e venture desideroso d'aver vicino una persona di
autorità, andò a surrogare il Machiavelli; questi poteva tor-
narsene colla ferma opinione che la tempesta contro a Venezia
era già raccolta e vicina a prorompere.
Aveva in questo mezzo fatta esperienza della natura del
governo ecclesiastico e di quella di papa Giulio. Da questa
aspettava più che non da quella, organicamente viziosa e de-
stinata a vivere e morire da fiacca e dell'occasione. Ma papa
Giulio che, come ebbe a scrivere il Brosch, aveva tolta l'ere-
dità dei Borgia col beneficio dell' inventario, ^ seguitando l'ab-
bassamento dei vicari, con una furia oculata e fortunatissima,
con uno scaltro armeggìo di soldati e d'interdetti, d'armi tem-
porali e spirituali accozzate insieme, riesce a cementare al-
leanze contratte a malincuore, a muover forze ritrose, a destar
guerre paurose e indispensabili; a mutare alla chiesa modo e
proporzione di forze in Italia; a procacciarle tanta ricchezza
e signoria, da bilanciare il morale discreditg in cui era scaduta
fra noi e oltre a' monti.
Non era opera grande, maf difficile e avventurosa; e, se-
condata dalla fortuna, circondò di splendore il nome del della
Rovere, il quale si contentò di provocare la sorte e lasciarla
qual era, senza pretendere, siccome i Borgia, d'indurla colla
cautela a mutar natura e diventare prudenza; voltandola tutta,
< e con tanta più sua laude > ad accrescere la chiesa e « non
alcun privato ». ^ Se non che la chiesa in questi suoi accre-
scimenti affrontava i principi coll'occasione, barattava l'auto-
rità col potere, s'avvinceva per via d'interessamenti le genti
che non teneva più coll'ossequio. Tale era papa Giulio, tale la
corte di Roma agli occhi del Machiavelli.
^ Era antica consuetudine offrir dono a* pontefici di naturali prodotti. A Gregorio XI
che riportava la sede papale a Roma, il comune di Pisa, al passaggio di lui, preparava:
« vegetes quatuor vini, videlicet, die vini Corsi et due vini vermilii, si bonum poterit re-
periri, alias alterius vini albi. Vitule quatuor, castrati octo, pullastrorum et puUastramm
paria quimquaginta simul, otc. » — Cf. Archivio della Società romana éU storia patria,
fase, xn, pag. 493.
* Bbosch. PapMt JuUut und die Qrxindung dei Kirchenstaates, pag. 122.
* Machiavelli, Principe, cap. xi.
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Capo Quarto
IL MACHIAVELLI E LA MILIZIA FIORENTINA.
Chi dice imperio, regno, principato, repu-
bllca.... dice: iustltia et armi.
(Macruvklli. Relazione $ull'ordi'
nansa della milizia).
....perchè In quelli eserciti che non è una af-
fezione verso di quello per chi e 'combattono,
che gli facci diventare suoi partigiani, non
mal vi potrà esjtere tanta virtù che basti a
resistere ad uno nimico un poco virtuoso. B
perchè questo amore non può nascere, nè7|iiesta
gara da altro che da* sudditi tuoi ; è neces-
sario a volere tenere uno stato, a volere man*
tenere una repubblica o uno regno, armarsi
de' sudditi suol.
(Macdiavslli, Discorsi, i, 43).
Talvolta Q biografo, per collocare nella sua vera luce la
storia di alcuni singoli pensieri, di alcune singole opere ap-
partenenti al personaggio di cui illustra la vita, è costretto iì
eccedere precariamente lo stretto limite cronologico, e a cor-
rere dietro a un fatto che, com'è naturale, nella vita di quel-
l'uomo procedette in compagnia d'altri fatti simultanei; ma che
non gli è possibile abbracciare nel complesso e giudicare ade-
guatamente, se ei non lo libera dall' impaccio delle interruzioni
fortuite e non logiche, e non lo prende a considerare di per sé.
Ciò non vuol dire che il biografo possa isolar quel tal fatto,
o trasportarlo fuori dell'ambiente, o sottrarlo alle condizioni che
determina l'attrito degli altri fatti concorrenti ; ma sibbene che,
presolo una volta di mira, gli giova seguitare ad osservarlo
sino al momento in cui raggiunge uno sviluppo completo, sic-
come il punto principale in cui si fa temporaneamente conver-
gere l'attenzione e di chi scrive e di chi legge. E l'intendi-
mento che ci siamo proposti nel condurre il presente capitolo
è stato precisamente di tal natura.
Avvertimmo già come ci pareva eh' e' convenisse di trat-
iare in apposito luogo dell'opera che il Machiavelli spese per
ripristinare le statuali milizie, dei gradi per cui la sua mente
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3tt CAPO QUARTO. [libbo
ebbe a trapassare, delle fasi cui andò sottoposto il suo disegno
prima d'essere condotto a termine e colorito. '
Questo periodo operoso e pratico della vita di Niccolò can-
celliere, tutto occupato negli ordinamenti militari dello stato,
risponde, a nostro credere, all'altro forzatamente speculativo
e teorico della vita sua, in cui compose il libro delV Arte della
guerra, con intenzione conseguente ma diversa e per impulso
differentissimo. Dappoiché non è ora all'antico mondo, al mondo
classico ch'ei ridomanda l'ordine e il prodigio della legione
0 della falange; ma il suo proposito si rallaccia a tempi assai
più recenti; muove tutto dalle tradizioni comunali di Firenze;
per le quali egli riesce ora quasi a richiamare a vita un eser-
cito, ma non gli vien fatto di trovar capitano che lo comandi ;
mentre a ricostruire poi l' ideale d' un generale supremo ebbe
a consacrare in quel suo libro tutta la meditazione, l'esperienza
propria, la tradizione antica.
Come cancelliere, una certa cagione per occuparsi del-
l'anni e della difesa dello stato ei l'aveva naturalmente; però
che ne'cancellieri d'allora doveva supporsi per lo meno tanta
pratica conoscenza delle consuetudini militari, che loro ren-
desse possibile la trattazione degli affari amministrativi colla
soldatesca, in un tempo in cui non essendo distinte le attribuzioni
del potere esecutivo, il disbrigo di ogni faccenda si apparte-
neva alla cancelleria. In forza degli statuti stessi della città,
toccava ai notari ed ai coadiutori loro assistere i « consegna-
tori » dei rettori per le mostre e le rassegne degli assoldati del
comune, presiedere a quelle, aver contatto coi « facitori di fatti
di soldati »,^ trattare i capitoli delle condotte, disbrigare insomma
quanto all'amministrazione di quella maniera d'eserciti si rife-
riva. Così accade che non solo il nome di Niccolò, ma quello
ancora di messer Marcello Virgilio s'incontrano insieme nelle
conclusioni e ratificazioni delle condotte de'capitani. ^ Se non
che quest'ultimo, erede di quella rettorica che aveva fatto
1 Vedi più sopra a pag. 322.
* V. Statuta populi et Communi» Fiorentine, t. ii, pag. 584 « Ibid., pag. 783: « ii de
qaibus communiter dicitur i facitori di fatti di aoldaU ».
* Nel DuMONT, Corps diplomatique du Droit des geni, X. iv, pag. 63-66, si anno i:
« Capitula Reip. Florentinas eum Francisco Gonzaga March. Mantuae super eius tn««-
tutione et conducta » fatti « die 25 cura ratilicatione diei 26 Junii anno 1505 » pubblicati
dal docum. esistente neirarchivio di Mantova. In questo occorrono per testimoni : Tolomeo
Pieri spagnuolo, di Mantova, e Francesco d'Eusebio Malatesta, di Mantova, cancelliere
del marchese « et domino Marcello Virgilio de Florentia et domi$io Nicolao MalchivoeUo
de Florentia ambobus tecretarii» et cancellariis dominationit Fìorentinae ».
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SBCONSO] LA RIFORMA DEL CECCHL 343
scrivere il libretto « de militia » a Leonardo Bruni, non si
diede altro pensiero dell'armi in vita sua, che allorquando ebbe
a recitar le lodi della milizia, come orazione funebre alla libertà
morta ;i al secondo cancelliere invece va reso il merito, rico-
nosciutogli novamente solo a' nostri tempi ne' quali gli archivi
aperti lasciarono uscire alla luce tanta parte di verità, il me-
rito che più gli valse presso a' contemporanei, d'aver richia-
mato a vita l'esercito statuale, ad esclusione delle soldataglie
prezzolate e di mestiere.
Se non che, chi volesse attribuire a Niccolò oltre l' inizia-
tiva del fatto, quella dell' intenzione preconcepita, non si appor-
rebbe al vero. Vedemmo già come questa trapelasse fra i molti
vagheggiamenti di quella tal « Riforma santa et pretiosa >
di ser Domenico Cocchi, indicata più sopra ; ^ e come in quella
riforma, fosse per dir cosi, riassunto l'ardito e sincero pro-
gramma amministrativo della democratia fiorentina. Ma l'ardire
del proporre è virtù tanto più facile, quanto men probabile è
a chi propone trovarsi mai negl'impacci dell'eseguire.
Ser Domenico Cocchi era stato esplicito: dalla considera-
zione delle gloriose gesta del comune, quando esso usava chia-
mare a campeggiare i propri cittadini sotto alle bandiere, gli
era sorto il pensiero che anche allora si potesse riuscire simil-
mente a ordinare le bande e le cavallate come in antico. Ma
quanta ruggine d'obblivione, di corruzione lenta e d'abusi
lunghi non aveva corroso quella lontana istituzione! Si può
anzi dire di lei, che il germe del proprio disfacimento l'avesse
fin dal sua nascere ostentato sopra i vessilli, quando il comune
era nel suo più bel fiore. Poiché oltre le compagnie del mercato,
de' balestrieri, de'pavesari, degli arcadori, delle salmerie, ei
n'aveva una detta dei ribaldi, che, secondo il Villani, ^ recava
10 stendale bianco « co'ribaldi dipinti in gualdana e giucando ».
Ora che cosa erano questi ribaldi? che quella gualdana che gio-
cavano? Sulla etimologia non sembrano consentire gli storici,
ma pare bensì che s'accordino quanto al significato.
Il Muratori vuol che la gualdana tragga origine dalle
gualde 0 gilde, e che abbia a intendersi per mala compagnia.
11 Ducange la deriva da wald (foresta) e opina che debba per
1 Mabcblli Viroilii, I De MUUiae lau | dibus oralio | FlorenUae \ dieta. Basilea»
apud Joannem Frobeniam mense decembri an. m . D . xviu.
* V. Introduzione al Ubro aecondo, pag. 145.
* Villani, Croniche di Firenze, lib. vi, cap. xzxix.
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344 CAPO QUARTO. lUBEO
questo giuoco intendersi il dar la caccia agli uomini come alle
fiere per entro le selve. Il Ricotti, senza curarsi della deri-
vazione del vocabolo la definisce : un* improvvisa scorreria a
preda e guasto sulle terre nemiche « e tal nome aveva l'ope-
razione, tale eziandio- la ribaldaglia che l'eseguiva >.i E pa-
rimente è dubbio se dal tedesco bcUd, donde si originarono
baldo e baldanza, e dal raitb, dà cui roba e rubare, sia da
ripetere la voce rubaldo, ribaldo e ribaldaglia. Fatto sta che
se mai la parola ebbe significato non vile, nondimeno pare che*
anche in principio indicasse venturieri, e quelli in particolare
che tanto in Francia, quanto in Germania unicamente eserci-
tavano la milizia a piedi, sdegnata dai vassalli. E quando la
sorte del vocabolo peggiorò, e questo fu volto a significare
uomo di perduto costume, addetto a bassi ed ignobili ofiici, A
che fu appiccato poi anche a donne di malo affare, in fondo vi
rimase sempre l'idea di volgo, di prezzo e di ventura.^
Ora essendo frammista alle milizie comunali di Firenze
questa bordaglia di mestieranti, di raccogliticci, come pare dal
Villani, era naturale che l'umor di costoro dovesse essere il
mal seme del buon campo; che per esser questi più vogliosi al-
l'offesa, e i cittadini meglio animati alla difesa, dovesse ingros-
sarsene la schiera nelle guerre d'acquisto, negli assalti delle
castella, nei combattimenti contro gli assoldati dalle piccole
tirannidi. Era naturale che i cittadini preferissero mandare
prezzolati contro a prezzolati, quando correndo il rischio di
esser presi prigioni da costoro, o venivano maltrattati o a troppo
grave riscatto ricompravano la libertà. Inoltre la etessa vita
comunale, irta di fazioni, di gelosie, di gare, sminuiva co' so-
spetti e cogli esili l'amore della città. E praticandosi dalla parte
vincente d'escludere l'avversa, di radere le case agli esclusi, e
toccando lo scambio ora a guelfi ora a ghibellini; interveniva
<ìhe gli usciti, per campar la vita, si mettessero a' soldi di qual
fosse comune o signore presso a cui la parte loro sovrastasse,
intenti a portar l'arme contro la terra natale, ogni volta che
l'occasione arridesse, per fare in quella ritorno e vendette.
Per queste cagioni l'esercito civile in Firenze venne a
dechino, e quando essa ebbe a guerreggiare contro « a' vertu-
1 Ricotti, Storia d^lls Compagnie di Ventura, t. i, pag. 130. - Muratosi, Antiq.
Italiae dissert. xxvi. - Docanob : Glotsarium.
' DucANGB, 1. e. — DiBz, EtyfnoiogiBché8 W9rterhuch der romaniaehen Spraehen,
pag. 348.
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BBCOKDO] LA MILIZIA A' TEMPI DSL MACHIAVELLI. 345
diosi masnadieri » del Visconti, come narr^ Matteo Villani, ^
elesse venti buoni uomini, i quali « commutarono il disutile
e dannoso servigio de* contadini personale in danari, compen-
sandoli che pagassero per servizio di cinque pedoni per centi-
naio del loro estimo per rinnovata dell'anno, a soldi dieci il di
per fante >. Cosi sdrucciolò a imporre, in luogo del servizio
militare, una tassa che fruttò cinquantaduemila fiorini all'anno,
e soppresse le cavallate, colle quali avea forniti i tempi eroici
della storia sua. D'allora in poi i mercenari, stranieri prima,
nostrani poi, presero il soperchio nelle vicende della nostra
penisola e la guerra si ridusse tutta a maneggi e paure.
Un codice membranaceo dell'Archivio delle riformagioni *
ci ragguaglia ampiamente della condizione della milizia stipenr
diaria nella repubblica di Firenze dall'anno 1368 per insino al
1496, del modo con cui doveano essere armati i connestabili e
cavalieri, dell'arme che doveano usare, delle multe che veni-
vano imposte ai manchevoli, delle piccole difese che aveva la
Signoria contro l'arbitrio e la mala disciplina de' venturieri.
Angli ed Ungari eran trattati come corpi distinti; Teutonici,
Borgognoni e Italiani si consideravano insieme, muniti delle
stesse armi, sottoposti ad eguali capitoli. Tali erano, da un
lato, le condizioni di fatto in cui Niccolò trovava le cose mili-
tari; dall'altro, stavano, come abbiam detto dianzi, i vagheggia-
menti della riforma del Cecchi, per cui si domandava che in
ogni capitanatico, vicariato e podesteria si facesse scelta degli
uomini atti alle armi e a tollerar disagi; e che questi doves-
sero continuamente esercitarsi coU'armi indosso, < chi colla
balestra, chi cogli scoppietti o con le roncole o con le lancio
lunghe, e chi a cavallo, a uso d' uomo d'arme o a uso di stra-
diotto col cavalleggiere ». Probabilmente si sottintendeva che
il limite di tempo avesse ad essere quello fissato già nell'an-
tica istituzione delle compagnie, dai quindici ai settant'anni,
poiché ser Domenico Cacchi non ne dice nulla; bensi accenna
al modo dell'armatura, ai salari, alle rassegne, agli esercizi,
lasciando libero, a chi farà cosi buona provvisione, l'ordine da
tenere nel chiamare all'armi la città, sia gonfalone per gon-
falone, o popolo per popolo, o quartiere per quartiere; accen*-
nando solo che le fanterie abbiano ad essere il nervo del nuovo
> storia di Firenze^ lib. ii, cap. xlvi.
* Classa XIII, dist. 2", n. 42. - Lo pubblicò il Ricotti in appendice al secondo volarne
della sua Storia delle Compagnie di ventura, pag. 315.
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346 CAPO QUARTO. [libbo
esercito, indicando- anzi certo congegno di « mantelline a uso
di cartoccio », da sovrapporre alle carrette delle spingarde e
dei passavolanti per proteggere i fanti quanto è possibile dalle
ingiurie delle artiglierie. ^
In tutte queste proposte c'era un grande amore per l'an-
tica istituzione della milizia comunale, un gran dispetto del pre-
sente, e una grande lusinga, che seguitando la via accennata
dall'autore si sarebbe rimediato a tutto. — « E' non s'ara a ire
più col cembalo in colombaja, scriveva ser Domenico, che quando
noi abbiamo bisogno di far mille fanti, si pena tanto, che e'ni-
mici nostri si sono molto bene provveduti ! > — Ma insieme al
dispetto del presente c'era il disprezzo di tutte quelle condi-
zioni di fatto che naturalmente s'erano determinate col lungo
volgere del tempo; c'era una chiusa d'occhi inconsiderata su tutto
quel che era intercesso fra quel punto di partenza e lo stato
a cui s'era alla fine pervenuto; e come se la milizia in quel
frammezzo non fosse diventata un mestiere e la guerra un con-
gegno, come se non ci fossero state le scuole dalle quali i co-
nestabili uscivano formati e reputati, il Cecchi proponeva che
a capo delle bandiere si ponesse uno, il più atto, il più suffi-
ciente a tale mestiere « e costui sia sopra tutti gli altri uo-
mini del suo popolo >. A questa specie di capi sarebbe poi
toccato trovarsi a fronte di soldati e di conestabili del mestiere,
scaltriti agli schermi, alle malizie dell'artiflcio loro; e questo
avrebbe cagionato per cei*to lo scoramento di quelle milizie
schiette e volenterose che la città voleva riuscire a mettere a
petto delle masnade.
Siffatte considerazioni e' inducono anche in questa occasione
a non lodare della riforma del Cecchi altro che l' intenzione ot-
tima e l'idea prima, della quale fu senza dubbio imbevuto
anche il segretario della seconda cancelleria. Dappoiché in
quell'idea c'era qualcosa che consonava coli' indole di lui;
c'era quel disdegno dell'ambiente che già accennammo essere
una delle caratteristiche del Machiavelli; c'era desiderio d'un
di quei ritomi alle origini in cui la mente di lui riponeva
il fondamento de' progressi civili. Questo bastava perch'ei si
desse ad accarezzar quell'idea, a correggerla de' difetti suoi,
ad infonderle quella virtù che l'avrebbe fatta capace d'esser
^ informa utneta et pretiosa ha fatta Domenico di Ruberto di ter Mainardo Cbc-
CHI, «te, loc. cit.
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8BC0ND0] MkLA, AMMINISTRAZIONE DELL'ESERCITO. 347
tradotta in pratica, escogitando fra l' ideale e lo stato presente
delle cose, che per quanto gli sapesse tristo, pure apparitagli
come un punto certo e fisso dal quale conveniva spiccarsi, una
serie continua di termini e un termine medio, in cui Q passato
e il presente si riconciliassero.
Certo è che fin dai primi anni della sua vita cancelleresca
Niccolò ebbe stimolo a mettere tutta l'attenzione sua nello spe-
culare questo compenso, questa tramutazione; parendogli che,
non foss'altro, si sarebbe dovuto far qualcosa che scemasse la
confusione con cui fino allora venivano amministrate le cose della
guerra. Il modo imj^rovvido col quale si facevano le condotte dei
conestabili, quello anche più balordo con cui si notavano a
registro, distinguendo soltanto per peli e segni i provvisionati,
senza guarentigia alcuna contro gì' inganni e le frodi de'cone-
stabili stessi (e nella maggior parte de' casi i cancellieri loro
e i tamburini eran quelli che contrafiacevano segni e peli, e
facevano parlare morti, e comparirli per vivi), le giunterie che
ayevan luogo alle rassegne, quando a mezzo di semplice atte-
stazione di frate, di prete o. d'altro privato si facevano passar
per feriti, per malati, per morti que' provvisionati che alla
mostra mancavano, eran cose da rivoltare una mente non dis-
posta a scusare il male colla consuetudine.
. E v'era di peggio; che se il dare i danari de' poveri prov-
visionati ai conestabili pareva « uno scorticare asini per pascere
avvoltoi >, coi cancellieri stessi che il governo spacciava a so-
pravvegliare le mostre, sembrava si foggiassero e destinassero
lupi a rassegnar pecore; che lupi diventavano i cancellieri
messi a contatto con la soldataglia. Da poi che questi, poco pra-
tici delle furberie del mestiere che andavano a invigilare e
poco convenientemente retribuiti dallo stato, per abuso non
mai corretto, anzi avuto quasi in ragione di costume, venivano
poi ad essere adescati a mantenere il male che trovavano colla
riscossione di certe propine, di certa maniera di lucri, donde
il loro guadagno giornaliero risultava effettivamente anche
maggiore dello stipendio d'un commissario generale. Cosi, per
esempio, quando scrivevasi un nuovo conestabile, andavan loro
tre soldi per ogni provvisionato; e se questo era cassato e poi
rimesso, un grossone; a ogni rassegna avevano certe paghe se-
condo certe norme; e quando riuscissero poi colla loro prontezza
a sottrarsi a' garbugli de'cancellieri di soldati, se non bastavano
all'avarizia loro i proventi consueti, qualche birba di conestabile,
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348 CAPO QUARTO. [libbo
cacciando loro nelle mani destramente qualche ducato, se li
faceva conniventi agi' inganni suoi. Insomma lo stato, non ignaro
che gli oflSciali propri si trovavano a frequenti occasioni d'es-
sere uccellati 0 corrotti e di recargli incalcolabile danno, pa-
reva non pensasse o non sapesse modo di porre un termine a
questa condizione di cose.
Ora, alcune Avvertenze ai Dieci di Balìa per la condotta
dei conestaìnli al tempo della guerra di Pisa, che si trovano
nell'Archivio delle riformagioni, ^ dando chiaro indizio di tutti
gì' inconvenienti sopraccennati, si levarono a proporre qualche
espediente, come principio di rimedio. Lo scritto è senza nome
d'autore, ma chi lo pubblicò fra i Documenti per servire alla
storia della milizia italiana, ^ suppose (ed era persona da sup-
porre autorevolmente) che fosse opera del Machiavelli. Infatti,
la qualità delle idee, il nerbo e la spigliatezza della dizione
sembra che giovino a cosiffatto supposto. S'incomincia col de-
scrivere le qualità da ricercare in un conestabile, e il modo
d'esaminare se le possiede, prima di condurlo a' soldi del co-
mune; poi si passa a provare la poca utilità che danno le pio-
cole condotte, quelle cioè di pochi provvisionati; e si vorrebbe
che ogni conestabile fosse obbligato per contratto a fare in
modo che la metà de' suoi provvisionati fossero balestrieri < per-
chè non si può condurre per il comune cosa più hutQe che i
balestrieri; et de l'altra metà si dividessi in due parti, cioè una
parte lance lunghe, et l'altra rotelle o scopiecti; et che quelle
arme coniche si servono e' provigionati sieno loro proprie et
non acchattate ». — Quindi l'autore ragiona del modo di scri-
^ Arch. fior., ci. viij, n. 34 a e. 9. Il carattere del .documento è degli ultimi anni del
secolo decimoquinto o de* primi del decimosesto. Evidentemente l'esemplare di cui si tratta
è una di quelle copie che noi chiameremmo a buono, forse quella stessa che dovè essere
presentata alla S.Ha o ai Dieci ; però la mano dello scrittore è ignota, e V unica conclusione
che è possibile cavarne, è che probabilmente chi scrisse non fu chi compose le predotte
Avvertenze.
* V. Archivio Storico italiano, serie i, t. xv. Documenti per servire alla Storia deUa
milizia italiana dal xiii iecolo al xvi, per Oiusbppb Canksthini, pag. 838 e segg. — Il
signor Banchi pubblicò in occasione di nozxe un* altra scrittura intitolata : Modo di fare e
mantenere un esercito^ tratta da un codice miscellaneo di Pietro Fanfani; circa l'autore
della quale l'editore non volle proferire gindisio, ma tuttavia accennò Topinione che, quando
la non sia del Machiavelli, debba essere di tale che ritraesse della forsa del pensiero e
dell'efficace espressione machiavellesca. Probabilmente il signor Banchi ebbe ad essere
indotto in questa senteosa dalle connessioni d' idee che suscitano i primi incisi con cui la
scrittura incominciasi : « Non per prosunsione, ma si desideroso di satisfarti di quanto mi
ricerchi, ti dirò quel tanto ritrassi nel praticare col Giacomino, e massime nella passata
guerra per la ricuperazione di Pisa, la quale Dio per sua grazia concesse » ecc. Ciò mal-
grado, noi non sapemmo ravvisare alcuna somiglianza fra l'indole di questo scritto e quella
delle altre opere relative ad argomento militare che sono certamente lavoro del Machiavelli.
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SKCO.XDol A VVBRTENZB AI DIECI DI BALIA. 349
vere un conestabile colla sua compagnia, suggerendo parecchie
norme, buone a scemare, se non a causare del tutto le ruberie
loro; indica le condizioni con cui sarebbero a cassare e rimet-
tere i provvisionati, guardando bene che i conestabili non fac-
ciano passare per caporali i- loro cancellieri, né scrivano dolo-
samente capronali per caporali; e similmente enumera altre ma-
riuolerie delle rassegne e, per levare di mezzo tutto il sudicio delle
scroccherie, consiglia ài Signori Dieci di Balia che « mandin f uora
sopra tale opere un huomo di riputazione et di somma bontà,
al quale si dessi un cancelliere pratiche, acto et exercitato in
tal cosa, et che fussi buono et dessiglisi un salario conveniente;
et per expresso comandamento et sotto pena delle forche se li
facessi intendere, eh' e' non potessi pigljare danari di scriptura
ninna facessi per conto del comune, et cosi de le rassegne ».
Finalmente, perchè la sorte de* provvisionati e le sostanze del
comune non vengano malamente gittate in mano a cancel-
lieri di conestabili, propone che T ufficio di questi venga disim-
pegnato da un giovane fiorentino messo accanto a ogni conesta-
bile, 4c et sopra tucto buono » il quale tenga conto de' morti,
de' feriti, dei malati, nell'interesse del comune e secondo la
verità ed abbia patente di poter ripigliare per tutto il dominio
fiorentino quei provvisionati che si partissero senza licenza, e
■ di farli impiccare all'occorrenza, come fuggitivi e truffatori. « E
dell'adottare cosiffatti espedienti promette al comune non minor
utile che onore; si farebbe cosi economia di danaro, s'avreb-
bero più uomini da fatti che non se n'abbia; e i commissari che
si mandassero in campo, verrebbero trattati con maggior rispetto,
perchè i provvisionati saprebbero di stare col comune, dì di-
pendere da lui più che non da' conestabili propri, come sino
allora non pareva che credessero; e « la signoria di Firenze,
sarebbe servita meglio che potentia d' Italia », cosi conchiude
la relazione.
Se questa sia o no opera di Niccolò Machiavelli non è
questione che possa agitarsi con probabilità di giungere alla
certezza. Certo si è che chi scrisse era uomo che aveva pra-
tica della cancelleria e delle perfidie de' segretari di soldati;
era uomo affezionato alla libertà popolare e alla città di Fi-
renze; era stato in campo a lato di commissari mal rispettati;
sapeva ben discernere l'importanza che avevano nella batta-
glia i balestrieri; e vagheggiava come primo fatto possibile
questo: che l'armi mercenarie si potessero correggere tanto
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300 CAPO QUARTO.
da parere almeno proprie di chi le pagava. Ad ogni maniera,
innanzi ai Signori e nella cancelleria andò questa memoria
come un incitamento per cangiar qualche cosa del barbaro co-
stume con cui Tarmi e la guerra venivano rette insino allora.
Forse gli espedienti che si proponevano non erano tutti accet-
tabili ; forse erano più indizio del malcontento del presente che
della ponderazione delle vie acconce a mutarlo; ma per fermo
davano un segno esteriore del proposito e come una leva al-
l'opera. Naturalmente il primo impulso era leggero e modesto
come i cominciamenti di quelle cose, a toccar le quali gl'inte-
ressi e i pregiudizi de' molti che si feriscono, stanno a petto delle
morali compiacenze che si producono nell'universale. Non vi si
trattava di mutazione sostanziale, non si dava addirittura il bando
alle milizie prezzolate; ma se ne diceva male e si voleva che
apparisse come il prezzo loro era sangue del comune. Del resto
la timidità della proposta ci è argomento a supporre che chi la
metteva innanzi non doveva sentirsi autorità sufficiente per con-
sigliare cose più fondamentali, quantunque le misure straordi-
narie di correzione e di repressione che raccomanda, lascino in-
traveder chiaramente che l'animo dello scrittore era capace al-
l'occasione di consigli anche più forti e d' una esecuzione piena
di fede e d'oculatezza. Quello che importava era non abbando-
nare il chiodo, ma ribadirlo; tener desta e costante l'idea che
alla riforma dell'amministrazione della guerra dovevasi oppor-
tunamente e prossimamente venire; cogliendo ogni occasione
per far rilevare gli sconti, le perdite, i danni cui esponeva quel
modo indegno di governarla. Né il Machiavelli, come avemmo
agio di osservare, iasciò sfuggire pur una di quelle occasioni.
Anzi, come gli si offeriva il destro, studiavasi in certo modo
compromettere gonfalonieri e signori, imbarcarli addirittura a
toccare delTesercito, quando anche non n'avessero diretta in-
tenzione. Cosi nel marzo 1503, allorché stende un abbozzo di
conciono da pronunciarsi in (Jonsiglio dal Sederini circa la prov-
visione del danaro, « tutte le città, gli fa dire, le quali mai
per alcun tempo si son governate per principe soluto, per opti-
mati o per populo, come si governa questa, anno auto per de-
fensione loro le forze mescolate con la prudentia, perchè questa
non basta sola, e quelle o non conducono le cose o conducte
non le mantengono. Sono dunque queste due cose el nervo de
tucte le signorie che furono o che saranno mai al mondo; e chi
à observato le mutazioni de' regni, le mine delle provincie e
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«BOONDo] ITALIA E GRECIA, 851
delle città, non le à vedute causate d^ altro che dal manca-
mento delle armi e del senno >. — Poi, raffrontando le condi-
zioni di Costantinopoli minacciata dal Turco e quella di Firenze,
attorniata da due o tre città « che desiderano più la sua morte
che la loro vita>, e disoprappiù esposta alla balia del re di Francia,
all'odio de' veneziani, del papa e del Valentino : « fra gli uo-
mini le leggi, le scripte, e' patti fanno observare la privata fede,
esclama, e fra e' signori le fanno solo observare l'armi >. E
conclude incitando i fiorentini a difendere quella libertà rimessa
nelle loro mani, che era nuda e sprovvista.
A' Dieci e alla Signoria inculca poi di sovente com'egli è
indispensabile il fondare la difesa della repubblica su migliori
elementi che non fossero gli assoldati. L'esempio del Valentino
che comandava un uomo per casa in Romagna e sotto la ferrea
disciplina di don Michele gli educava poi alla milizia, lo per-
suade che si può forse trovare il bandolo per venire a capo
del gran problema che aveva dinnanzi, cercando una forma
intermedia fra la costituzione dell'antico esercito comunale e
quella in cui gli eserciti s'erano ridotti, dopo il prevalere delle
scuole. De' condottieri, de'capitani, dei conestabili, fatta la cerna
dei migliori, bisognava far capitale per trarre gli istruttori e i
comandanti delle novelle schiere paesane; bisognava pertanto
tenerli in piedi e mutar loro il terreno sotto, surrogare il milite
al ribaldo e al masnadiere, toglier di mezzo i provvisionati e
ordinare i fanti. Ma un'altra necessità dura occorreva ricono-
scere; una persuasione trista, ma purtroppo ragionevolmente
invalsa, che buona disciplina militare non potesse allora aspet-
tarsi più da capi e fanti italiani. £ questa opinione radicata
che, quand'anche la guerra fosse ridotta a mestiere, questo me-
stiere peggio che ovunque si esercitava in Italia, ^ opponeva alla
possibilità d'una riforma un ostacolo di più. Da pòi che il por-
tato naturale di questa persuasione era che, dovendosi por mano
a ordinare un esercito, gl'istruttori, i capitani di disciplina si
avessero di preferenza a cercare fra gli oltramontani. Quindi
più ampia via alle scontentezze, alla facilità de' sospetti.
Il Machiavelli di questa condizione di cose aveva piena co-
1 Cf. VEttralto pubblicato dal Brosch, op. cit. della lettera de' 2 maggio 1495 nei Dis-
pacci Badoer e Trevisana ms. della Marciana, ci. va, it. cod. 547; « Necessario parerli
hauer qualche bon capo Alemanno, et similiter fanterie Alemanne, che per la viltà de le
Italiane multo plus valleno contra Francesi ». - Cf. Dbs. Brasmi Rotrrodami, Colloquia ove
nella AfiUtia confessio si dipinge con ironia arguta e con efficacia tutta comica T indole
d'un soldato di mestiere e le consuetudini militaresche de'.tempi.
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333 CAPO QUARTO. [libbo
scienza; ed egli medesimo che, come cancelliere, era tanto cauto
a non mostrare opinione diversa dalla pubblica, giudicò che quando
trattavasi di ristorar l'armi patrie, se pure, fossero da incontrare
pericoli, da sfidare animosità, conveniva farsi capro emissario
e portare i peccati del popolo. Quindi s'armò di coraggio a tutta
prova, deliberato di stare a ogni conseguenza dell'operato suo.
Dopo lo scacco toccato al Sederini in quel suo ghiribizzo di
voltare Arno; dopo i rovesci della guerra di Pisa ch'eran piom-
bati sull'animo del Giacomini, il Machiavelli intese che aveva
bel giuoco per stimolare entrambi a racquistare la popolarità
scematasi loro per i mali successi, confortandoli a l'arsi soste-
nitori de' vagheggiamenti democratici circa la restaurazione del-
l'esercito. A questo partito l'eroico Giacomini, che aveva tanto
lamentato la ribalderia delle soldatesche, si volse subito e di
gran core, non appena, come il Pitti scrive, migliorò della vita. ^
Egli sali al. gonfaloniere, egli sostenne che se Pisa non s'era
racquistata si doveva al non aver avuto in tempo buona fanteria;
che altrimenti né gli spagnuoli da Piombino avrebbero avuto
maniera di saltare a difesa di quella città, né i soldati felloni,
che avevano avuto metà della paga a buon conto, sarebbero pas-
sati a'nimici. « Testificava quanto era il meglio valersi delle
armi proprie, ancora che di prodezza inferiori, affermando che
li fanti toscani, ridotti sotto a buona disciplina, avrebbono pa-
reggiato di valore qualunque altra nazione, e sopravanzato cia-
scuna di fedeltà ».2 E il Sederini arrendevasi a queste solle-
citazioni, tra perché non vedeva che ci fosse altro tentativo a
fare pel racquisto di Pisa, tra perchè suo fratello, il cardinale
di Volterra, lo riscaldava anche lui a quest'opera, e il Ma-
chiavelli « gliene distingueva particolarmente i modi », secondo
che ne scrive il Guicciardini ; ^ ossia gli veniva mostrando la
cosa fattibile a quella maniera che la descrisse poi quando fu
fatta; indicando dond'era a principiare, appianando tutte le dif-
ficoltà che gli si opponessero.
E non s'immagina quanto ei dicesse e scrivesse per di-
chiarare i suoi intendimenti, per trovar proseliti, per vincere
repugnanze. Ma ben ebbe ad avvedersi presto com'era inutile
sperar d'ottenere per allora qualcosa da' Consigli e per via di
legge. I nobili avrebbero contrastato per sospetto o per dispetto:
1 Pitti, Vita d'Ani. Oiaeomini, loc. cit., pag. 210.
• Id. ibid.
» Gdicciabdzni, Storia Fiorentinaj cap. xxix.
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SBCOKDO] C0I9D0TTA DI DON MICHELE. 355
Francesco Gualterolti, Giovanbattista Ridolfi, Piero Guicciar-
dini, tentati appena, s'erano opposti ricisamente alla condotta
di don Michele, che il Machiavelli, il quale lo aveva già veduto
all'opera nel disciplinare l'esercito del Valentino, ^ considerava
come il miglior ausiliario a' suoi disegni e lo voleva condotto
come capitano di guardia o bargello del contado, * per comin-
ciar bene e assodare sin dal principio la buona disciplina. Ma
per ottenerlo, si dovè ricorrere a scappatoie e proporre la cosa
addirittura in consiglio degli Ottanta, senza prima assoggettarla
alla discussione fra i Dieci. Questi pertanto ebbero ad irritar-
1 Lo SpBBULO nel poema « de lattdibus Caesaris Borgiae » (cod. vat., 5203, pag. 27>
esalta a questo modo le qualità militari e la ferocia di don Michele (Mychellettus):
« Exutasque tibi curas, metuende Mychael
Induit....
Vir gravis hic animo, quaecumque ad fortia promptas
Belligeri cupidus Martis pacisque quietis
Nescias, at multo dextram maculare cruore
Àssuetus, primis bello nutritus ab annis ». ^
» Il Guicciardini, Storia fiorentina, cap. xxix, scrive : « In questo tempo il Gonfa-
loniere disegnando, come di sotto si dirà, di fare una ordinanza di fanterie in sul nostro,
e volendo farne capo Don Micheletto Spagnuolo ch*era stato a' servigi del Valentino,
uomo crudelissimo, terribile e molto temuto, deliberò per facilitarsi la via condurlo per
Bargello del Contado; e perchè dubitava che se si metteva in pratica de* Dieci, i cittadini
non la acconsentissino, fece prima destramente tentare dal Machiavello, cancelliere, lo
animo di messer Francesco Gualterotti, Giovan Battista Ridolfi, Piero Guicciardini e di
alcuno dei primi, e veduto la contradicevano, non ne fece consulta alcuna: messe la con-
dotta a partito negli Ottanta, e trovatigli sori, la vinse al secondo e terzo partito ». —
È chiaro che quando il Guicciardini scrive « in questo tempo » si deve intendere per certo
in tempo anteriore &\\a provvisione per l'istituzione dell'ordinanza (6 die. 1506). Quindi
la condotta a cui s'allude non può essere quella citata dal Canestrini {Arch. star., voi. xv,
pag. 410) in nota &\V Istruzione a Don Michele Coriglia Spagnuolo ^ 3 marzo 1506/ 7, la
quale fu fatta per deliberazione del Consiglio degli Ottanta a* dì S7 febbraio 1506/7. Questa
è bensì una delle condotte di don Michele a capitano di guardia del contado e distretto di
Firenze, ma non ò la prima, la quale realmente fu proposta « a* di 1^ d'aprile 1506 » in
questi termini, che paiono o contradire alPasserzioue dei Guicciardini o ben nascondere la
gherminella del Gonfaloniere:
« E* prefati magnifici signori Dieci, servatis, etc, deliberorno che lo egregio ser Antonio eli
ser Nàstagio Vespucci proponessi al Consiglio delli Ottanta la condotta del magnifico et strenuo
« Don Michele di don Giovanni da Coriglia da Valenza con balestrieri cinquanta a
cavallo, oltre alla persona sua di buona gente etc, et provigionati cento vivi, pur capi-
tano della guardia del contado et distretto della loro repubblica per uno anno da incomin-
ciare il giorno sarà scripto per peli e segni etc. decta compagnia; con soldo per paga,
durante decto anno, alla persona sua di fiorini quaranta larghi di grossi, a ciascuno de' ba-
lestrieri cinquanta di fiorini iiij e soldi iiij a oro larghi in oro, et a ciascuno de' provigio-
nati cento di lire venti e soldi v, in tucto per paga fiorini 40 larghi di grossi, fiorini 210
larghi di oro in oro, e lire 2025 piccioli, netti. In caeteris colle condictioni, pacti e capitoli
è consueta la loro repubblica condurre conductieri simili, e con condictìone debbi hauure
ratificato fra dieci giorni, altrimenti etc. (Archivio fior. Delib. e stanz. dei Dieci, ci. xiii,.
dist. 2, n. 69. a e. 9 t.). E nel margine di questa deliberazione è scritto: « A* dì primo
decto fu facta la condocta di contro nel Consiglio delli LXXX ». Ma fra gli atti de' Con-
sigli quello di questa condotta non ci fu reperibile; bensì una lettera di Roberto Acciaiuoli
a Niccolò (Bibl. Naz. Doc. M. busta iv, n. 59) ci pone in grado di correggere la sopral-
legata afiermazione del Guicciardini. Non era la persona di don Michele che tanto repugnava
ai Dieci, quanto il titolo di Balzello che voleva attribuirglisi forse, dopo che già era stato
condotto a capitano della guardia del contado. Non ci par superfluo riprodurre il documento
ToMMASWi - Machiavelli. 23
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354 CAPO QUARTO, [libbo
sene, molto più che il partito fu vinto; e si mormorò subito: il
Machiavelli chiama qui i borgiani, gli arnesi della tirannide.
Per trargli addosso la pubblica antipatia non occorreva altro.
D*altra parte il segretario non era sicuro che il popolo avrebbe
fatto buon viso ad una provvisione per cui si sarebbe introdotta
una novità (che tanto valeva il tornare all'antico), se prima non
fosse stato assicurato che quella novità poteva bensì venir ca-
lunniata, ma non era efifettivamente né lesiva, né pericolosa.
Però fu stabilito d'evitar le Pratiche e di cominciare addirittura
con un fatto; e questo fatto si iniziò d'accordo col gonfaloniere
e coU'autorità della Signoria.
A' dì 30 dicembre del 1505 si dettero le prime patenti a Nic-
colò con commissione ch'ei si recasse nel vicariato di Mugello a
scrivere e rassegnare quegli uomini atti alle armi « che a lui
paresse e piacesse ». Questa era la prima pietra dell'edifizio che
il Machiavelli mirava a compiere con una alacrità e un amore
che supera ogni potenza di descrizione.
Egli sente che a voler condurre l'ordinanza a buon termine,
occorre « quella diligenzia che vuole una impresa di riformare
una provincia ».i Pertanto si reca subito nella terra del Borgo,
ne visita ogni popolo, ogni piviere. Era nel cuore della vernata
e « le tramontane, gli insegnavano andare appiè ». Comincia
a « cappare uomini », ad arruolare cioè e vestire que' fanti che
gli sembrano adatti.
Naturalmente, i contadini in sul principio ombrarono a quelle
intimazioni e si tennero all'erta, sospettando che sotto quella
visita fatta degli uomini d'ogni casa, sotto a quei registri in
cui si scrivevano, non covasse un' imposizione nuova, o Tèstimo
o qualche altra furberìa del governo di città.
accennato : « Honorande Secretane. Per la vostra ho inteso parte di vostro desiderio, ma
acciò io possan ex plorare cosa, et che regga al martello, et sia perpetua, bisogna che io
habbi più partictilar notitia, di vostra intentione, et disegno del magistrato, perchè voi
sapete che hoc nomen Bargelli apud strtnuosviros odio est, et omne* ttomachantur: perchè
mi pare sia da far diferentia «la un Bargello, a uno disciplinatore per cotesto exercitio : et
perciò mi darete nota che grado ha a tenere, che auctorità, che exercitio, che prò visione
et che condocta. Et isto interim andrò indagando di homo a proposito vostro, et di tutto
vi darò aviso. Io fo an poco di favore al Sophi perchè io comincio a rintenerir di lui qualche
poco perchè questi preti ribaldi mi hanno condocto a quello che io mi aconcerei per le
spese con lui volentieri: sicché venga a sua posta, che io non ricuserò di andarli oratore;
et so che voi non men volentieri ne verrete con meco, iuxta illud disse Rinaldo, «tu credi
eh* io andassi, ch'el mio Dudone con meco io non menassi ». Vale, et cum datur ocium quan-
doque scribas : Zefiumque nostrum tibi commendo cum sibi benefltlo esse potes : Blasiumqae
saluta, et Marcello me commenda.
«Rome Die iiij Dicembris Movq.
« RoBBRTUS AcciAtOLUS, OratoT ».
1 Arch. fior., ci. x, dist. 4, n. 84 a e. 8. - Dieci di Balla, carteggio responsive.
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secondo] fanterie IN MUGELLO. 855
Ma ben presto ebbero a certificarsi del vero, e i giovani
volentieri concorsero a scriversi ne' ruoli. - Venti lire di multa
e quattro tratti di fune - era la pena comminata ai restii, a
chi non si presentasse a pigliar l'armi o alle rassegne, a chi
comperasse da' fanti iscritti ed armati le armi consegnate loro. ^
L'opera procedeva con vigore e con favore; « piace questa cosa
a tutti questi cittadini che io ci ò trovati e tutti la favoriscono
per riuscire » .* Cosi scrive Niccolò nella sua prima lettera dal
Borgo, sollecito nel magnificare il primo segno di suffragio cit-
tadinesco accordato a questa iniziativa campagnuola. Ebbe poi
a tornare per qualche giorno a Firenze, per mandare le armi
e ordinare le cose in modo che presto si potessero far le prime
mostre; ma a' dì trenta di gennaio era già tornato a Pontassieve
a « scriver huomini ». Se non che quella potesteria « grande, scom-
pigliata, mal fornita di messi » l'obbliga a indugi e a grandis-
sima fatica.^ Da Pontassieve va a Dicomano, quindi a san Gau-
denzio. La poca disciplina e le fazioni in cui è divisa la montagna
gli cagionano più grave imbarazzo, tanto ch'egli si determina a
descrivere sotto quella bandiera solo un piccolo numero di
fanti purché sia di tutta gente d'un medesimo animo, « purché
la bandiera sia tutta d'un colore ». A quel che apparisce, egli
ebbe probabilmente ad essere rimproverato di troppo lunga sosta
in questa commesseria, perch'ei si scusa: « né ò possuto fare
queste cose con più brevità; e chi crede altrimenti, lo pruovi
e vedrà che cosa é avere ad raccozzare insieme uomini con-
tadini e di questa sorte ! » ^
I Dieci gli credettero subito e gli risposero col proverbio
catoniano «assai fa presto chi fa bene ».s II gonfaloniere gli
fé' scrivere da Marcello Virgilio, assicurandolo che la nuova
istituzione s'andava accreditando a Firenze ogni dì,® che nel
prossimo carnevale in città se ne farebbe una mostra. E in-
fetti immezzo a' « sospiri di gravezze » ^ per cui quel came-
1 Bibl. Nas. Dog. M. busta i, n. 70. « Bando ordinato dal Vicario e Commissario di
MuggUo questo dì ». Autografo del M.
* Arch. fior., loc. cit.
* Arch. flor., Lettere ai Dieci, da gennaio a febbraio 1505, ci. x, dist. 4, n. S4 a 241. -
Carteggio responsive, 80.
* Arch. fior., loc cit.
& V. Commissione nel Mugello e nel Casentino, lett. 6, ediz. ult. voi. v, pag. 146.
Bibl. Naz., Doc. M., busta iv, 166.
> Bibl. Na2., Doc. M., busta iv, n. 155. V. anche l'Apografo di Giulian de* lUcci, S iz
' V. Marcello Virgilio.— Lett. cit.— Luca Landucci nel suo Diario (ms. Maracelliano,
e. 236) dice che quella mostra si fece in Piazza a' di 15 febbraio 1505. - Descrive i fanti a
questo modo : « a ognuno uno farsetto bianco, un paio di calze alla divisa bianche e rosse.
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356 CAPO QUARTO, [libbo
vale andò mogio, quattrocento fanti, il primo embrione de' bat-
taglioni, sulla piazza de' Signori comparvero innanzi al popolo,
e fecero bella impressione nell'universale. Poi, sulla fine del mese,
Niccolò ebbe nuove patenti per continuare l'opera sua nella valle
di Casentino, ove accozzando le potesterie a tre a tre sotto un
conestabile medesimo, come San Niccolò con Gastelfocognano
e Poppi, Bibbiena con Lubbiano e Pratovecchio procedeva in-
nanzi. ^ Chiusi era troppo grossa potesterìa, e bisognava « la-
sciare passar le nevi a maneggiarla ». — Frattanto ei passava
la giornata immezzo a fanti e conestabili ; e Giovanni Folchi,
quegli a cui dedicò poi il capitolo delVIngì^atitudine, spacciato
allora a portargli armi e bandiere; e Filippo da Casavecchia,
commissario a Firenzuola, cattivo soldato, meschino poeta e suo
camerata costante,^ lo aiutavano all'opera e mantenevano, in
mezzo alle brighe degli armamenti, volto alla terzina poetica
l'ingegno dell'autore del Decennale.
Intanto da Roma il cardinal Sederini incorava il fratello
a seguitare l'opera maravigliosamente incominciata: — « Né
sarà poca laude di V.^* 111."^ S. che a' suoi tempi la Toscana
e una berretta bianca, e le scarpette, e un petto di ferro e le lance, e a chi scoppietti ».
Cf. Pitti, Vita d'Ani. Giacomini. loc. cit., pag. 841. - Guicciaroini, Storia Fiorentina,
cap. XXIX : « cominciorono a farne mostra In piazza de* Signori di seicento e ottocento per
volta, e esercitarli alla svizzera, in modo che colla moltitudine entrorono in riputazione ».
> Bibl. Naz. Doc. M., busta iv, n. 96, 154, 155, 156.
* Di Filippo Casavecchia, come uomo d'armi, Niccolò Machiavelli non aveva troppo
alta idea. Ben è vero che nelle lettere confidenziali degli ultimi anni di sua vita scherza e
novella assai piaceyolmente sai conto di lui ; ma forse ei gli voleva più bene che non lo sti-
masse. Ad ogni modo, in quegli Estratti di lettere ai Dieci di Batta^ che furon pubblicati
neiredizione fiorentina del 1762 si legge, a proposito delle dissensioni fra il Duca d' Urbino
e i Baglioni, per cui quegli e questi radunavano armati: « Mandovvisi di qui Piero Mar-
telli, poi Filippo da Casavecchia, che Tassunse. Pensa che guerra questa era quando si
riposò sopra costui ». Certo che Tepifonema di Nicolò non fa grande onore a messer Filippo
il quale, invece aveva grandissimo concetto del Machiavelli, come ce lo dimostra la se-
guente lettera che pubblichiamo insieme colle terzine che le servono di coda, non tanto
perchè faccia onore al segretario, il quale dagli encomi del Casavecchia non guadagna
nulla, quanto per accennarvisi alla « iscellerata fortuna » in modo che forse arieggia e ri-
chiama il concettino espresso poi intorno ad essa dal Machiavelli nel Principe (cap. xxvj;
e per trovarvisi menzione di quell'umore malinconioso di Niccolò in cui fu la naturale co-
stituzione, il fondamento delle tendenze intellettuali e morali, la causa latente della morte
di lui.
Bibl. Naz., Doc. M., busta iv, n. 114:
« Spli dnó Nicholao Macravello dingnissimo Secretarlo Novem militie Reip. fior.— Caris-
simo Nicolò io ve ho fatto resposta a una nostra pistoletta la quale in uerità m*è parsa più
admirabile che consolatoria perchè per quella resto più confuso che mai e massime
intendo non eser 1* omo contento in grado nessuno cosi temporale come spirituale : però non
ui doueui né douete marauilgliare se qualche uolta le mia quenilante bocie alli horechi
nostri trapassano non trouando requie ne tranquilità in questo hocieno et pestifero baratro
doue se bene particularmente ho notato e* rimedi che in quello si porgono, mi pare che
unico sia lasciarsi portare ad la isciellerata fortuna, la quale interamente non apruouo,
perche diletandosi questa di cose nuoue, non uorrei un tratto per mia mala sorta mi con-
duciessi in nel postribulante et publico loco di cotesta città. Ma se io sapessi doue uolgormi
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SBOOZVDo] IL CARDINAL SODERINI E LE MILIZIE. 357
habia ripigliato l'arme et la nation nostra demostri essere apta
ad altro che alle mercantie secundum anticam gloriam »; e
preparandosi a combattere in corte di Roma battaglie cardi-
coUe mia precie io suplicherei che tutti li mali di questo mondo me tienissino prima, in
fnora che il pestiferissimo et dispiatatissìroo et putrefate morbo dello homore maninconico
el quale intendo perturbare qualche dilettissimo nostro amico, el quale la natura liberi. Nec
alia etc. Fiuisano die xxij settembris mdvij:
Macliiauel mio. le tuo buone uluande.
Benché sien tarde et sanza uolglia Ria,
pur mi son grate pò* olia tu le mando.
Et 90 nuoua Inuentlone (h)o fantasia
ho conosciuto, o 'I tuo dlulno Ingengnlo
ribadito per sempre homal mi fla.
V priego Apollo che mi faccia dengnfo,
con quelle sette suore unite insieme,
eh* r gusti el buon llcor del dolcle lengnio.
Et sia capacie el naso del tuo seme.
adcciò fellcib ancor mieta quel fructto
di che Talma è ulnuta in tanta speme.
Ma se nascoso el uer m* è pure In tutto,
conosco che sanar mi uuoi la piaga
col male uhluersale et col suo luctto.
Ma la moneta tua non ben mi paga,
pò* che non ual girare in questa Rota
né Tesser monstro (h)o quella che par uaga
Et slo ho ben la tua parola nota
mi par che nulla gloul in questo mondo
né eser Mida ho neramente Gota.
Dunche la mente mia giù nel profondo
di questo batol più che mai si truoiia,
et non son per trouar ma* guado al fondo.
Perché s' el male (h)o bene altrui non gloua,
seguitar uo* e' lamenti in ongni loco
(h)o sie sereno (h)o turbido (h)o se ploua.
Ma forse s* tu uolessi ancora un poco
studiare il testo di consolatlone,
sarebbe el mio dolore un pò men roco.
Perchè si uede con chiara ragione
che quando el malomor del pectto sgonbra
1* alma più netta uien d' oblluione
Kt se ti par oh* I* non meriti 1' onbra
del consai^rato lengnlo de poeti
dou* ongni alma gentil quiui s*lnonbra.
Et eh' r non mostri chiari e' mia decreti.
cagion è el t'ima tuo che più confuso
mi fa restare e becharmi que getl.
Et già non penso più, ma forte muxo
al cardinale, et quel che In lonbardla
di groppa ad Perltoo rouinò gluxo
Et fra mme stesso non so qual si sia
el me' di questo mondo: (h)o lo star lieto,
(h)o e l&mento far di Geremia.
Io non so s* 1' mi parlo ho s' 1* sto cheto
per non legarmi ad chieder forse cosa
che ad mme stesso darebbe dluieto.
DjDche la fantaxia ma' non si posa
(h)o *n su giochi de monti (h)o uuoi ne* plani,
che "ÌAi^il uento e 1' altra é poluerosa.
Natura ci fé' pur a tutto insani
facclendoci infelici e grande Ingiuria
ad non ci fare (h)o ghatte, (h)o topi (h)o cani.
Forse la penna qui troppo s' infuria.
ma uacllando seguita la mente,
che spennacchiata é'n sul confln d' Etmrla.
Et d' ongni cosa si pente et non pente,
el mar tranquillo In un punto si turba,
et uanne al cielo e po' toma ntente.
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338 CAPO QUARTO. [libbo
nalesche, si prometteva forse in cor suo contrapporre quelle
fanterie fiorentine alle masnade di casa Orsina. ^ In breve le
bandiere crebbero al numero di cinquantacinque. Il fatto co-
minciava cosi ad acquistar proporzioni considerevoli, tanto che
al Machiavelli sembrava che la fiducia pubblica avesse per
fermo a reputarglisi acquisita. Bensì egli aveva protetto gelo-
samente il primo crescere della nuova pianta; e perchè non
avesse ad intristire subito sotto all'uggia del ridicolo, che è
morte velenosa e del bene e del male, provvide che non ap-
pena le cicale avevano cominciato a uccellare e sbeffare l'or-
dine novello, un bando dei Dieci uscisse a minacciare qualunque
« 0 cittadino o contadino o altro di qualunque stato o qualità
sia che ardisca o presuma dire alcuna cosa o parola ingiuriosa,
0 in qualunque modo e atto sbeffare alcuno uomo scritto nelle
ordinanze delle loro bandiere ».* Ma soprattutto parve a Nic-
colò che, al punto in cui l'ordinanza era venuta, non potesse
più senza nocumento riposare sopra un fondamento che non
fosse legittimo. Ci voleva una legge ed era necessario avere
il coraggio di proporla; e per quella legge conveniva che l'isti-
tuzione fosse consolidata e fatta stabile; che l'amministrazione
della guerra venisse demandata ad un magistrato apposito, affi-
data ad una separata cancelleria; conveniva che a quella mi-
lizia, che ormai era un gran corpo, si desse un capo supremo,
che fosse autorevole e in cui la repubblica potesse aver fede.
Queste necessità di progresso parevano quasi creare ostacolo
alla conservazione di quel che s'era appena cominciato a in-
trodurre. Si trovava che di fanti già se n'erano levati troppi;
che chiamandone un minor numero sotto le armi, si potevano
tórre i più volenterosi e migliori; così si sarebbero aggravati
meno i paesi e con minore dispendio si sarebbe fatto più bene.
Et quando senator, quando di turba,
quando lonblico et quando leofante,
et quando In chiesa et talor Ire in fUrba.
Non truouo cosa che mi sia costante
ad farmi stare in questa gelatina,
(h)o vuoi uom danne (h)o pur sempricle tante
(H)o inperadore (h)o quel del chauallina •.
^ Bibl. Nas., doc. M., busta iv, n. 13, Francitcus Sodsrinus ear.Us VuUerr. nìmo dno
Pétro de* SoderinU, eac. reip. Fior. Veocilliféro perpetuo. «Romae, 4 martii 1505 »... cam
videam non solnm Patriae Sed Ro : Ecc : quoque praecipunm praesidium esse posse in
florentino milite, cum et praesentia tempora arma requirant eaque sua et fida ne perìclitemor
ob ignaviam et perfidiam mercenarìorum ».
* Arch. fior., Carteggio de*Dieci. Registro 117, Bando de' 27 aprile a Giovambattista
de*BartoU, xncario di Scarperia. Fu pubblicato dal Can-bstrini, Scritti inediti di N. ^-t
pag. 285 in nota.
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BBCOKIK)] GHIRIBIZZI D'ORDINANZA, 859
Il Machiavelli subito si faceva a combattere a voce e per iscritto
quella fatta d'opinioni,-e con argomentazioni che, forse per essere
il solo a metterle innanzi, si limitava a chiamare ghiribizzi. -
« Chi dice che se ne tolga pochi, non se ne intende - bisogna
pigliarne molti per averne pochi - quelli che di loro spontanea
volontà non verrebbero, richiesti, vengono volentieri - tutta la
spesa si riduce a un poco d'armi e qualche conestabile di più »*
Ma il colpo che si voleva dare al novello esercito col pre-
testo dell'economie era crudele, e Niccolò contro tante insidie
non à altre difese che nella sua parola, la quale gli sgorga
calda dall'animo e s'assottiglia per mille guise pur di penetrare
dentro le menti altrui, e vincere l'opposizione ora sconsiderata,
ora subdola che veniva mossa a quell'opera, condotta da lui
con amore paterno. Voler ridurre a seimila que' fanti, che erano
già ascesi al numero di venti migliaia, valeva come scompagi-
nargli del tutto quel corpo, la cui composizione armonica ed
omogenea gli aveva costato tanta fatica. Per arrivare a quel-
l'effetto c'eran due vie: o scemare il numero delle bandiere,
e questo avrebbe offeso i popoli cui le si ritoglievano; o ridurre
il numero degli uomini iscritti sotto ogni bandiera, e questo
avrebbeli fatti tornar sì radi che il raccoglierli insieme sarebbe
stato poi « come cercare pe' funghi >}
Tuttavia il vento de' risparmi soffiava gagliardo e Niccolò
sentiva che non avrebbe avuto forze da resistergli; sentiva (e
probabilmente il gonfaloniere Sederini glielo lasciava intendere)
che forse non si sarebbe venuti mai nella possibilità di proporre
ai Consigli una provvisione che assicurasse la vita legittima
delle fanterie statuali, se la proposta avesse recato con sé la
necessità d'una grave spesa, se la paura dello stanziamento
avesse soffocato la bontà dell' intime ragioni della cosa. — Sce-
mino almeno le bandiere che sono più discoste, quelle di Sam-
miniato e Poscia, quelle di verso Romagna e Lunigiana! — Di
questo si raccomanda Niccolò nel peggior de' casi, inchinando
un momento le convinzioni sue per omaggio alla speranza.
Ma per buona sorte le politiche vicende, obbligando Firenze
a non sguernirsi di difese, furono le migliori ausiliatrici della
causa che Niccolò propugnava; * con tutto ciò la riduzione delle
» Macbiatklli, Qiribixi d^Orèinansa. V. in Appendice.
* Bibl. Nas., Doc. M., Basta i, n. 103 (87). Lettera di B. Bonaecorti, a N. M. * di»
prima Angusti. 1506 ». - « State di questo con lo^ animo posato, perchè sendo rinfrescati
qui quelli medesimi adnisi della passata dello impa.r« che scrìvete Voi, tra li primi ragio-
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360 CAPO QUARTO. [libbo
bandiere ebbe luogo. Ma appunto le politiche vicende, e i moti
di papa Giulio di cui abbiam già discorso, cagionarono anche
Tallontanamento temporaneo del Machiavelli dalle cose del
nuovo esercito. Egli ebbe ad andare in corte del papa, e la
lunga assenza di più che due mesi dallo stato, che gli cagionò
questa commissione, lo tenne nel più grande pensiero circa
l'andamento dell'ordinanza. Per quanto ei si fosse studiato di
sistemare le cose in modo che, lui assente, seguitassero il loro
corso quasi sopra una traccia ferma e certa, sapeva troppo come
non mancavano a' mal veglienti maniere da generare incaglio,
quando volessero. Chi lo rassicurava e con frequenti lettere
lo teneva al giorno d'ogni particolarità che concernesse le mi-
lizie, era il Bonaccorsi, ^ il quale ben conosceva l'ansia del-
l'amico, e non appena ebbe una buona notizia a dargli, gliela
trasmise con giubilo: « Havete da intendere che non fu stato
Bernardo in oflScio sei di che si fece una deliberazione in fa-
vore dell'ordinanza ». Cosi a'di tredici dell'ottobre, spacciando
la lettera a Niccolò « apud summum pontificem ad Furli o
dove diavolo elli è ».-
L'uomo di cui parlava il Bonaccorsi era Bernardo Nasi,
che, stato recentemente dei Dieci in cambio di Pier Guicciar-
dini, ^ quando esercitò l'ufficio di proposto, era riuscito ad ot-
tenere dai Dieci una deliberazione per cui ai fanti sin allora
descritti e da descrivere venivan concessi tutti i privilegi che
era uso i soldati godessero; principalissimo, il privilegio del
foro, eccetto che per delitti di furto o d'omicidio; coll'esen-
zione da ogni altra giurisdizione che non fosse quella imme-
diata dei Dieci o degli eccelsi signori. Questo fatto non era di
mediocre importanza, poiché per questo le nuove fanterie co-
minciavano a entrare in una condizione di vita giuridica; co-
minciavano a sentirsi pareggiate alle soldatesche di mestiere.
namenti in* su tale accidente fu che le ordinante si tenessino di presso come cosa più sa-
lutifera et più importante per ogni respecto ». - Questa lettera fu pubblicata dal Villabi»
op.cit. colla data che reca veramente nel ms. Ma se pongasi mente che l'istrusione e le
lettere credenziali pel Machiavelli « apud summum Pontiflcenk » anno la data del 25 d'agosto,
convien concludere che il Bonaccorsi prese abbaglio e che alla lettera deve realmente
l'estituirsi la data esatta: « die prima septembris ».
1 Bibl. Naz., doc. M., busta iv, n. 81, 83, 84, 103, 105. Queste furono pubblicate recen-
temente dal Villari. - V. ibid., lett. 82, in cui il Bonaccorsi gli parla anche de' Decennali:
« Et a Ser Agostino feci l'ambasciata : se non vi manda quelli decennali ve li manderò io ».
* Bibl. Nai., Doc. M., busta iv, n. 86. Nella medesima lettera gli aggiunge : « Questa
mattina in santo Oiovanni stetti dua bore con Antonio Giacomini; parlammo d'infinite
Cose ».
s Bibl. Naz., doc. M., busta zv, n. 81, « Lettera di B. Bonaccorsi al M., post scripu ».
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secondo] relazione DELL'ORDINARE LO STATO ALLE ARMI, 361
E questa affermazione solenne delle autorità apriva l'adito e
appianava la via a provvedimenti legislativi più rilevanti. In-
fatti non andò un mese che, tornato il Machiavelli, gli fu dato
incarico di distendere una relazione del modo con cui si era
proceduto in principio circa la leva dei militi, del punto a cui
s'era pervenuti a quell'ora, dell'opportunità d'ordinarsi all'armi
per deliberazione pubblica. Questa relazione, parecchie volte
ristampata a' nostri giorni i è come il preambolo della provvi-
sione per la istituzione delle milizie fiorentine, ch'egli ebbe
poco dopo l'incarico di preparare, perchè fosse posta a partito
negli Ottanta e nel Consiglio maggiore.
Sino a quest'ora le fanterìe fiorentine erano ricomparse
come un fatto di cui appena pochissimi conoscevano i criteri
direttivi, l'intensità, l'estensione. Eran piaciute come uno spet-
tacolo, come una speranza, come una soddisfazione data alla
fazione democratica. Ora nella sua relazione il Machiavelli non
solo rende conto del risultato, ma enuclea con chiarezza ma-
ravigliosa tutte le considerazioni che anno preceduto ed accom-
pagnato l'opera. Egli aveva trovato lo stato distinto in città,
contado e distretto. Il contado, quel territorio più prossimo,
abitato da popolazione amica, in cui la città naturalmente sten-
devasi, come allungando oltre le porte giù per la campagna
le braccia de' suoi quartieri, era sembrato il terreno più pro-
pizio, per gettarvi il seme della istituzione novella. Quei ter-
ritori più discosti, sottomessi colla forza, aggregati per conquista,
su quali la giurisdizione della città s'aggravava come un peso
e che formavano il distretto, * parola di cui può rintracciarsi
1 Fa data in luce la prima volta in Faenza da Gio. Ohimassx in occasione di none,
intitolandola: « Dello ordinare lo Stato di Firenze alle armi p. Neirarvertensa a pag. 11,
l'editore con poca crìtica, miUgrado i dubbi prudentemente messi in campo dal Molini, lo
crede scrìtto post re» perdita*, cioè dopo la cacciata del Sederini, quando « richiesto ri-
sponde per avventura alla Signoria o meglio al magistrato dei Dieci di cui allora e per
l'ultimo annOj era segretario ». - La seconda volta la pubblicò Albss. D'Ancona, «xvi ot-
tobre 1S72 », il quale tenne che l'anno di questa scrittura sia il 1506 e non giudicò auto-
grafe le parole che si ledono nel foglio che le serve di coperta : « 1512. La cagione del-
l'ordinanza, dove la si trovi, e quel che bisogna fare post ret perdita» ». La ristampò il
ViLLABi, op. cit. voi. I, doc. XXXVII, giudicando che queste parole allegate siano bensì
di mano del Machiavelli, ma scritte più tardi, quando cioè la Repubblica era caduta. B
quest'ultima è anche la nostra opinione. Finalmente comparve la prima volta fra le opere
riunite di N. M. nell' ultima edizione fiorentina, voi. vi, pag. 330.
* Cf. Ricotti, Storia delle Compagnie di ventura^ cap. tv. - Da Cangb, Qlot».^ v.
Ditirietum: via strìcta. claustra, montium fauces. - Districtut: « Territorium feudi seu
tractus in quo dominus vassallis et tenentes suos distringere potest; justitiae exercendae
in eo tractu facnltas ». Noi cercammo nella definizione nostra comprendere le due signifi-
cazioni di diitrictum e d^trietut, raccogliendp in essa il concetto fisico dell'angustia del
luogo per esser presso a'conflni, e quello giurìdico, per avervi potestà di esercitar le giu-
stizie. Cosi Arezzo col suo contado, le terre di Val di Nievole, quelle di Volterrai gran
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3dS CAPO QUARTO. [libbo
rorigine nelle antiche giurisdizioni franco-feudali, furon tenuti
in seconda linea.
Del resto poi, sino a' tempi del Varchi, lo stato di Firenze
comprendeva dodicimila popoli, cioè pivieri o parrocchie; sei
città: Pisa, Volterra, Pistoia, Arezzo, Cortona, il Borgo a San
Sepolcro; circa quattrocento terre murate, le quali si serravano
ogni sera, e ogni mattina s'aprivano; e cento terre soggette
immediatamente alla dizione e signoria di Firenze, cioè cento
terre distrettuali; le quali in segno di tributo offrivano alla
città ciascuna un palio nel giorno di San Giovanni, i
Ora, dovendosi riordinar lo stato alla milizia secondo l'an-
tica istituzione comunale, Niccolò era dovuto venire a capo
di quella questione che la Riforma di ser Domenico Cecchi
aveva lasciata intatta: donde cioè l'armamento fosse a inco-
minciare, se dalla città, dal contado o dal distretto. « E per-
chè le cose grandi anno bisogno .di esser menate adagio, si
risolse che non era possibile senza confusione e senza pericolo
introdurre la nuova ordinanza contemporaneamente in tutti e
tre i luoghi, e nemmanco in due di essi. Perchè a voler ri-
condurre la milizia in una provincia che n'è disavvezzata,
bisogna cominciar dalla via più facile». E principio più facile
di un esercito sono i fanti che i cavalli, e i migliori fanti quelli
che più facilmente obbediscono; pertanto dal contado, aveva
impreso Niccolò a fare la sua descrizione, reputando diflScile
la città, non reputando sicuro il distretto, specialmente in quei
luoghi dove sono « nidi grossi », dove è una provincia che può
far testa.
Date l'armi e le divise agli uomini scelti ed esercitati,
distinti per potesterie, sotto le bandiere che recavano tutte
r insegna di ' marzocco, « acciò che tutti gli uomini fossero af-
fezionati ad una medesima cosa e non avessero altro segno che
il segno pubblico », ^ tre colpi d'artiglieria alla sera avevano in-
dicato che v'era rassegna pel dì appresso, giorno di festa. Le
bandiere frattanto, e noi vedemmo con quanto dolore di Niccolò,
eransi ridotte a trenta sotto undici conestabili. Erano armati più
che cinquemila uomini; cinquecento n'erano stati già mandati
in campo; mille e duecento avevano fatto mostra in Firenze.
parte di Casentino e della Romagna di verso Toscana facevano parta del éUttretto fio-
rentino.
» Varchi, Storia di Firense, lib. ix.
• Cf. Machiavelli, Dell'ordinare lo Stato di Firenze alle armi, loc. cit., pag. 332.
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tócoxDo] RELAZIONE DELL'ORDINARE LO STATO ALLE ARML 90»
Ora Niccolò non lasciò oltrepassare Toccasione, quasi ap-
pellando al popolo, di ripetere pubblicamente quel che aveva
accennato vanamente ne'Giribizi ai suoi contràdittori; aflFor-
zavasi anzi dell'autorità d'uno scritto d' Ercole Bentivoglio,
per ottenere accrescimento nel numero degli uomini da rac-
cogliere sotto le armi. Messer Ercole aveva detto: « questo
ordine vi à a servire sempre in reputatione, et qualche
volta in facto » e Niccolò aggiungeva: « non può servirvi in
reputatione poco numero di huomini, né etiam in facto del
poco numero di huomini,, quando pure bisognassi, si può trarre
10 assai, ma si bene dello assai el poco ». Del resto le cose
erano procedute « assai ordinatamente » essendo nuove: « ma
le non possono stare più cosi, perch'e' bisogna o che la impresa
ruini 0 che la facci disordine, perchè sanza dare loro capo et
guida, non si può reggiere contro alli inimici che laà ».i —
11 capo aveva ad essere la legge che ne disponesse e un ap-
posito magistrato che dovesse attendere alla disciplina, e alla
rimunerazione de' fanti, a ordinare che non potesser mai nuocere.
E qui, con quella gelosia e quel sospetto che è natura e infer-
mità delle democratie, Niccolò si stende a dimostrare come
sarebbe pericoloso che l'esercito riconoscesse tutte queste au-
torità in un solo superiore; com'è' sarebbe bene « che questo
magistrato nuovo li tenessi ordinati a casa; e' Dieci di poi li
comandassino nella guerra; et e' Signori, Collegi, Dieci e nuovo
Magistrato li premiassi et remunerassi ; et cosi verrebbono sem-
pre ad bavere in confuso el loro superiore, et riconoscere un
pubblico et non un privato. Et perchè una moltitudine sanza
capo non fecie mai male,^ o se pure lo fa, è facile ad repri-
merla, bisogna hauere advertenza alli capi ad chi si danno le
bandiere in governo continuamente, che non piglino più auto-
rità con loro si conviene; la quale possono pigliare in più modi;
0 per stare continuamente al governo di quelle, o per hauere
con loro interesse; et però bisogna provvedere che nessuno
natio delli luoghi dove è una bandiera, o che vi habbi casa o
^ Machiavelli, loc. cit. Nella Bibl. Naz. fior. poc. M., busta iv, n. 02) è ana lettera
d! Dom. Gariberto conestabile in Peseta a N. M. « Pisciae xxvixi decembris 1506 » in cui
si dice: « el battaglione bollo facto et trovoct una pocha nbedientia. Et parmi mille anni
sia facto cotesto magistrato acciò le cose vadino meglio ne vanno ». ~ È evidente per
questa lettera che la necessità dell* istituzione legittima che il Machiavelli proponeva si
sentiva da chiunque s'occupasse delle fanterie; ed è pur chiaro che o la data della lettera
è erronea, o che a Poscia non era giunta aMt ventotto la notizia d*un fatto che s*era
compiuto a' di dieci del mese ».
* Cf. Machiavelli, Ditcorti, lib. i, cap. 44. « Una moltitudine sensa capo è inutile>.
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364 CAPO QUARTO. [libro
possessione, la possa governare, ma si tolga gente di Casentino
per il Mugiello et per Casentino gente del Mugiello. Et perchè
l'autorità con ellempo si piglia, è bene fare ogni anno le permute
dei conestabili, et dare loro nuovi governi et dare loro divieto
qualche anno da quelli governi primi; et quando tutte queste cose
sieno bene ordinate et meglio observate, non è da dubitare... —
Quest'ordine bene ordinato nel contado, de necessità conviene
ch'entri ad poco ad poco nella città, et sarà facilissima cosa ad
introdurlo; et vi advedrete anchora a' vostri dì che differentia è
hauere de' vostri cittadini soldati per electione et non per cor-
ruptione, come hauete al presente; perchè se alcuno non ha
voluto ubbidire il padre, allevatosi su per li bordelli, diverrà
soldato; ma uscendo dalle squole honeste et dalle buone educa-
tieni potrà honorare sé et la patria loro... » —
E evidente che Niccolò in tutta questa perorazione si pro-
pone due fini; dei quali l'uno è in certa guisa congiunto con
l'opportunità, l'altro è accenno a un ordine più alto d' idee, del
quale troviamo, in diversa età della vita di lui, pieno e intero
sviluppo. Che per una parte egli attende in un medesimo tempo
a rassicurare democratici e nobili a ciò non temano che il nuovo
esercito possa voltarsi ad oppressione della libertà e a stro-
mento di tirannide soderinesca; per altra parte mostra la spe-
ranza natagli in fondo all'animo, che l'inizio d' un migliora-
mento morale e civile alla fradicia Italia sia per derivare dalla
disciplina ferrea della milizia, dalle « scuole oneste »; pigliando
il vocabolo di scuola nel significato medievale, vivo ancora in
grazia della soldataglia ancor venturiera; confidandosi in quella
esperienza delle morali necessità della vita salubre, che meglio
comprende chi è menato sovente ad affrontare la morte. Niccolò
spera dalla guerra ^ quel che il Savonarola aveva chiesto va-
^ Di questa idea è a credere fosse partecipe anche il cardinid Soderìni, scrivendo egli
al fratello gonfaloniere, a* di 4 di mano 1506: « E sa V. S. per dottrina ed esperìensia
elle nissuna cosa ha fatto illustre l'arte militare se non la disciplina qua0 plurimum
contistit in obedientia m<urìmeque fundatur in iusiitia, la quale naturalmente ò amata
da vostra illustrissima Signoria. — ... — E son certo che volendo V. S. rinnovare nella na-
sione fiorentina l'arte militare, cosa hodie tumme necessaria, avanti ogni cosa rinnoverà
la obedienxa per la giustizia, si nella città come nel contado ». - E il Machiavelli, nella
Relazione: « Chi dice imperio, regno, principato, repubblica, chi dice huomini che coman-
dono, cominciando dal primo grado et discendendo infino al padrone d'uno brigantino, dice
jastitia et armi. Voi della justitia ne hauete non molta, et dell'armi non punto ; et el modo
ad rìhavere l'uno e l'altro è solo ordinarsi all'armi per deliberatione publica, et con buono
ordine et mantenerlo ». - E nel preambolo della provvisione, togliendo la poco opportuna
ironia: « Considerato che la repubblica vostra è di buone e sante leggi bene istituita et
ordinata circa l'amministrasione della giustizia, o che gli manca solo di provvedersi bene
dell'arme, ecc. »
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secondo] DVE testi DELLA PROVVISIONE PER LE MILIZIE, 365
namente alla fede; vuol ne'coscrìtti suoi ordine, virtù e regola;
ma la regola non deve saper del fratesco, la virtù deve lasciar
il posto alla fierezza e l'ordine all'ardimento tanto che, solo
in questo senso inculca a*commissari che i nuovi fanti abbiano
a parer « soldati e non religiosi ».i
Del resto, quando gli vien commesso di stendere addirittura
la proposta d'una provvisione per la restituzione delle milizie
statuali, egli si accinge a gettare tali fondamenta dell'edificio
che non lascino dubbio sulla solidità e costanza di esso, ben
determinando al nuovo corpo il principio, la proporzione, la
funzione organica, predisponendo le vie di sfogo ad ogni malo
umore. Del testo di questa famosa provvisione abbiamo due
recensioni; l'una delle quali è quella a stampa, che pubblicata
prima nell'edizione fiorentina del 1782, e da questa passata
nelle edizioni successive, fu poi dal Canestrini collazionata sul
registro autentico dell'archìvio delle riformazioni; ^ l'altra ci
deriva dall'apografo di Giuliano de' Ricci, ^ ed è come la pre-
parazione e l'abbozzo del testo ufficiale. Fra questa e quella
scrittura corrono frequenti diversità nella forma, più relative
all'ordine che alla qualità delle idee. Né senza frutto sarebbe
a farne ragguaglio da chi volesse aver saggio della cura che
il Machiavelli pose a conseguire la severità nell'ordine logico,
la chiara ed efficace brevità nell'espressione; tuttavia il nu-
cleo del pensiero in fondo a questi due scritti resta sempre il
medesimo. Niccolò raggiunge per questa provvisione la meta
desideratissima e vuol guadagnarla interamente ed assicurare il
difficile guadagno. Determina il modo di essere del nuovo magi-
strato, i procedimenti da seguire nell'eleggerlo, la durata del-
l'officio suo, l'opportunità delle parziali surrogazioni, perchè la
tradizione degli affari né s'interrompa né ristagni mai. Il nuovo
magistrato à un apposito cancelliere con uno o più coadiutori
che gli servono: i fanti, che debbono tener sempre scritti,
armati e ordinati sotto le bandiere, debbono essere « almeno
diecimila » o « quel più che crederanno ». E per esser già
usa la città al numero de' Dieci e degli Otto, propone che i
soprintendenti alle cose della guerra siano un numero insueto,
* V. Lettera a Lorenzo Neroni vicario di Pescia, « addi 6 giugno 1506 » in Canbstbini
Scritti inediti di N. M. risguardanti la storia e la milizia, Firenze, 1S57, pag. 890-300.
* Arch. fior., delle riformagioni. ci. ii, dist. ii, n. 199. - V. Archivio Storico it-, se-
rie 1", voi. 15, pag. 379 e s'eg.
* V. Apografo di Giuliano de*Ricciy 8 xl, in appendice.
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866 CAPO QUARTO. [l
e insieme agli eccelsi Signori, a,'venerabilt Collegi, ai magnifici
Dieci, si abbiano gli Spettabili Nove u£Sciali deirordinanza e
milizia fiorentina, i quali siano sette per le maggiori arti e due
per le minori, evengano nell'ordine gerarchico dopo i Dieci im-
mediatamente. L'elezione loro è fatta per modo indiretto: nove
cittadini deputati dal maggior Consiglio nominano dieci per
ciascuno; questi novanta prescelti procedono poi alla nomina
degli ufficiali. Chiunque propone persona che poi rimane effet^
tivamente eletta, quando questa abbia preso l'ufficio, riceve un
fiorino d'oro in oro dal camerlingo del monte. Cosi le lungag-
gini del reggimento popolare si accorciano e l'elezione va ra-
pida, evitando ciascuno di proporre nomi oscuri, anzi avendo
interesse a metter innanzi uomini in cui i suffragi de' più facil-
mente concorrano. Dopo i primi quattro mesi, quattro dei Nove
eletti, tratti per sorteggio anno lo scambio; dopo otto mesi
scadono i cinque superstiti ; i Signori, i Collegi, i Dieci, gli Otto
anno divieto d'elezione. Gli altri divieti e proibizioni che erano
in vigore pel magistrato dei Dieci valgono anche per questo.
Tutte le gelosie, i sospetti, le invidie di cui un governo de-
mocratico è capace, e che riescono a scansare e combattere
tanto la straordinaria potenza quanto la straordinaria virtù, tutte
il Machiavelli le osserva ed acqueta in questa provvisione, da lui
così acconciamente formulata, che a grandissima maggioranza
di voti riuscì vinta in tutti i Consigli. Il primo di dicembre, se-
condo gli statuti, ebbero i Signori e Collegi a deliberare che
fosse messa a partito, e per tre giorni stette esposta nell'aula
grande, come le costituzioni esigevano. Fu poi approvata il dì
appresso nel Consiglio degli Ottanta con sessantadue voti fa-
vorevoli e ventotto contrari. Finalmente il dì sette adunatosi
il Consiglio del popolo a suon di campana, ottocentoquarantun
consiglieri concorsero ad approvarla, mentre solo trecento-
diciassette davano contro di essa le fave bianche.
Fu un giubilo de' popolari indescrivibile; al Machiavelli
si mandavano congratulazioni d'ogni parte: « l'abate Basylio, ^
facto noviter maestro di casa del nostro rev.™® Vulterrano, si
raccomanda a voi et congratulatur Ubi de nova 7nilitia >.*
^ Questi era in grande amicisia col Machiavelli. In una Lettera di Bonaecorto de Pepi
a N. M. seer. fior. « ex Bononia die xiij novembris 1506 » (Bibl. Naz., Doc. M., busta vr,
n. 90) quegli, dandogli una commissione da parte di lui, lo chiama « el compagno vostro
dilecto » e vedemmo già come Tabate Basilio sapesse essere buon soldato a difesa della
patria. V. pag. 148 in nota.
* Bibl. Naz., doc. M., busta iv, n. 93. « Augustinut CancellariìM N. JU. ucr. fior. »
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8BCOMD0] N. MàCHIAVELLI SEGRETARIO DEI NOVE. 897
Ck)si il Yespucci, cancelliere delle tratte, che desiderava esser
coadiutore a Niccolò, quando questi fosse scelto cancelliere
de' Nove, come pareva naturalissimo, poiché il nuovo magistrato
e r istituzione si riconosceva da tutti per opera sua. E il car-
dinale di Volterra: « parci veramente che cotesta ordinanza
sit a deOy perchè ogni di cresce non ostante la malignità. Ab-
biamo avuto singulare piacere del nuovo magistrato e preghiamo
Dio che la elezione sia tale che ne seguiti un solido fonda-
mento, perchè noi non vediamo che codesta città da un tempo
in qua abbi fatto cosa tanto onorevole e sicura quanto questa,
essendo bene usata ».^ — All'elezione si procedette a' di dieci;
a' dodici i nuovi eletti prestarono giuramento secondo la legge; ^
e nel giorno medesimo il Machiavelli venne deputato dalla Si-
gnoria per servir loro da segretario. ^
Fu prima cura del nuovo magistrato pubblicare bandi che
raflForzassero la disciplina; confermare le condotte di Giovanni
Tedesco, di Giliberto Spagnuolo, degli altri conestabili; ordi-
nare le mostre, regolare V iscrizione di nuovi fanti, sorvegliar
che fossero istruiti « secondo la milizia e ordine de* tedeschi ».
« in Bologna a di xxviq decembre 1506 ». In questa lettera il Vespncci prega Niccolò che
dovendo i Nove avara an coadiutore oltre il cancelliere, lo tenga per raccomandato « cum
prò certo habeam ut Tu aia cancellarius illorum Novem ni locum tuearia quo nunc fruerìa,
quod Deus avertat ».
1 V. nel Perioàico di NumismcUica « Sfiragittica, (anno vi, faac. vi) questa e altre
lettere di Fr. Soderini e al Machiavelli e al Gonfaloniere di gius^ia, pubblicate dal Pab-
BBRiNi, illustrando un sigillo del cardinale di Volterra.
* Àrch. fior., Nove d'Ordinanza e mUizia dal i506 al Ì5i3, Notificaaioni e querele,
874 ci. xni, dis. 2», n. 73, pag. I, Di mano del Machiavelli:
« In Dei nomine Amen
« In questo libro si scriveranno tucte le notiflcaxioni et querele che per li tempi sa-
ranno date 0 notificate alli Spectabili Nove d'Ordinanza et militia Fiorentina, e nomi de
quali sono questi :
« Antonio di Simone Canigiani
« Francesco d'Antonio di Taddeo
« Giovanni di Currado Berardi
« Chimenti di Cipriano Sernigi
« Antonio di Jacopo Qiacomini Tebalducci
« Giovanni di Tommaso Ridolfi
« Alamanno d'Averardo Salviati
« Per la minore
« Chimenti di Francesco Sciarpelloni
« Gulielmo d'Angiolino Angiolini
« E* quali furono e' primi deputati in questo Magistrato, et fumo electi nel Conaiglio
maggiore aecondo li ordini addì 10 di gennaio 1506, et addi 12 di decto mese giuromo
Tofitio loro secondo che nella leggio si dispone ».
> I Priori e il Gonfalouiere di giustizia a* di 12 gennaio 1506/7 deliberarono : « quod
precipiatur Nicolao d. Bernardi de Machiavellis eorum cancellarlo quatenus de cetero in-
serviat etiam prò cancellario Oiiicio magnillcorum Novem virorum Militie fiorentine, donec
aliter provideatur, ecc. (Arch. fior.. Registro de deliberazioni de' signori e Collegi ad.
annum., e. 3 t.)
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358 CAPO QUARTO, ' [libbo
Fu resa santità alla bandiera, facendo sentire come non si
poteva né abbandonare né trarla fuori per causa privata, senza
espiarla colla vita. Dovunque è un disordine, del quale importa
venire a capo, ivi si fa cavalcare don Michele, il terribile ca-
pitano di guardia, cui per nuova deliberazione si danno trenta
balestrieri a cavallo e cinquanta fanti, coU'espresso incarico
di reprimere tutti gli scandali.^ Chi vende o gioca Tarmi, chi
usa bestemmiare, chi si fa abito del gioco o pratica maliziosa-
mente 0 é baro, tocca certamente la pena sua. Le pene son
più di carcere che di multa, perchè le multe, secondo che av-
visa il Segretario, fanno gli uomini poveri e V istigano al ricatto
contro al privato e al pubblico. A maggior tutela della disci-
plina, accanto alla porta della chiesa principale in ogni pote-
steria è posta una cassetta a modo di tamburo, dipintovi sopra
un San Giovanni, colla scritta: tamburo delV ordinanza, nella
quale ognuno può gittare accuse contro qual sia de' fanti, che
si valga delle armi per recar violenza, o raduni i compagni a
combriccole, o comperi o venda Tarmi del comune, o contrav-
venga in qualunque maniera alla legge. L'accusatore é tenuto
segreto, e di soprappiù gli va devoluta la quarta parte della
multa inflitta all'inquisito colpevole.
Né il Machiavelli che a saputo dar corpo e moto al novello
esercito, riposa già sulla nomea di buon ordinatore che gliene
è derivata. Dalla sua nuova cancelleria prosegue l'opera as-
siduamente e non se ne leva che per trascorrere da una lega
all'altra, dall'uno all'altro vicariato, vivificando colla presenza
sua lo zelo de' subordinati, facendo sempre nuova esperienza,
frequentando connestabili per imparar da loro quella parte
pratica di mestiere che non s'apprende se non in campo, teso-
reggiando ogni nozione che si riferisca a fortificazione di terre
e di luoghi, cercando della guerra di rifare una scienza, d'ov-
viare a ogni pericolo che le armi patrie non siano sviate o
sedotte dal soldo. ^
1 Arch. fior., classe xiii. dist. ii, cod, lxx, a c. 0 e 11, t. Cf. Archivio Storico it., t. xv,
Documenti per servire alla Storia della milizia italiana, editi dal Canestrini, pag. 410.
* Fra i documenti relativi a N. M. nella Biblioteca Nazionale fiorentina, concernono
più particolarmente le cose della milizia i seguenti: (Busta iv) 13, 59, 86, 91, 93, 91, 50,
123, 142, 143, MI, 160, 167, 178 — (Busta v) n. 73-79, 81-90, 99. lOO-lOi. 163. Si trovano
lettere a lui de* seguenti capitani e conestabili: Iacopo Savelli (B ibi. Naz., busta iv, 49),
Ercole Benti voglio (iv, 90), Johanni Oottefrid « tudescho connestabulo » (iv, 61, 65, 66),
Pietro Tiberio Corolla (iv, 4^), Sarra da Citerna (tv, 60), Daniello da Castiglione (iv, 62, 63),
Arcangelo da Castiglione (iv, 47, 72), Antonio da Castiglione (v, lOi), Janesino da Sarzana
(iv, 73, 110), Bernardino Serbinelli (tv, 77), Dom. Gariberto (iv, 98), Giovanni Berardi
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f
secondo] cancelleria DE* NOVE DELLA MILIZIA. 399
Le leve di Toscana, circa il luglio del 1507, sono venute
già in tanta fama, che qualche conestabile de' veneziani, per
cercare soldati che servissero la repubblica veneta, si spinge
presso a' confini del dominio fiorentino; e Ramazzotto stesso
adesca con danari i nuovi militi a seguitare le sue insegne.
Ed ecco un bando de' Dieci al vicario di Firenzuola, minacciando
« a ciascuno che si partirà per ire al soldo d'altri senza licenza
nostra, che ne sarà punito o a l'andata o a la tornata e sarà
trattato come nostro ribelle; e sia gastigato il padre per il
figliuolo e l'uno fratello per l'altro ».^ Dire dell'efficacia, della
passione che improntano tutta la corrispondenza militare te-
nuta da Niccolò per circa sei anni in questo uflScio sarebbe cosa
superflua e insufiìciente insieme. Bisogna leggere quelle sue let-
tere circolari e quei bandi innumerevoli per intendervi tutta la
natura di lui, per vedervi trasparire quasi un pensiero e un sen-
timento antico. La piccola parte che ne fu data in luce dal Ca-
nestrini, quantunque senza intrinseca ragione di scelta, è ba-
stevole a nostro credere, per darne idea adequata; né tolto il
caso della pubblicazione intiera di tutta quella corrispondenza,
sarebbe possibile ottenere in altra guisa miglior cognizione o
dell'operosità feconda del Machiavelli in quell'officio o dell'or-
dinamento e dei progressi di quella milizia. Per essa le condi-
zioni del nuovo esercito e quelle dell'animo del Machiavelli
che se ne sente padre, ci vengono ben poste in rilievo. Nic-
colò è contento dell'opera sua; eppure non cosi contento ch'ei
n'abbia quiete. Quella milizia manca d' un capo supremo che
l'animi, d'un braccio forte che la maneggi; non è dissimile
da una spada senza elsa, da una nave senza pilota. Il Ma-
chiavelli vede tutto questo e prevede ancora che a nominarle
un comandante non si verrà forse mai, perchè in quella sua
arrabbiata repubblica la questione politica soprafià ed uccide
la questione militare ; perchè la democrazia sospettosa, condan-
nata a tenersi da per sé stessa inferme le forze, non può e
non vuol mettere in una mano l'arbitrio delle armi proprie, e
preferisce il danno al pericolo. Se fosse riuscito mai a Gonfa-
loniere perpetuo altr'uomo dal Sederini, altr'uomo, capace a
(iv. 108), Dietajuti da Prato (iv, 109), Bastiano di Piero (v, 71), Francesco de' Marchesi
del Monte a S. Maria (v, 75), Carlo da Offlda (v, 76, 77, 78). — In una lettera in data
dei 13 agosto 1512, Pietro Paolo Boscoli, il generoso e infelice giovane la cui relazione fu
alla fortuna del Machiavelli fatale, gli raccomanda Giovannino della Bella « per uno de'ca-
valli » (v, 101).
* Caxestbini, Scritli inediti di N. M., pag. 353, 359.
ToBAMASiNi - Machiavelli. 21
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370 CAPO QUARTO. [libro
sorgere nel momento della necessità capo delle armi, guerriero
della libertà; se a quel supremo onore della repubblica fosse
stato assunto non un uom di legge, ma uno della tempra del
Giacoraini i o d'Alamanno Salviati, buoni a condurre una guerra,
ei sarebbesi confidato che nell'ora del pericolo il Gonfaloniere
perpetuo avrebbe potuto legittimamente sorgere dittatore con
romano uflScio, a provvedere che la repubblica non patisse de-
trimento in nulla. Ma dovendo fatalmente riporsi il comando
dell'esercito in altre mani che in quelle del capo dello stato,
Niccolò si trovava costretto a lasciarsi prendere inevitabilmente
dal più ovvio calappio della spossante necessità democratica:
la diffidenza nei propri concittadini. — « Subito ci sarebbe chi
vorrebbe che Ceccottp * o il Guicciardino o simili, menassero
questa danza, o alcun altro che voi non conosceste, che sarebbe
peggio di costoro, e voi credereste che fusse meglio ».^ Così
s'esprime egli nel Consulto per l'elezione del capitano delle
fanterie. Non c'era dunque che ricorrere a' forestieri; ma anche
qui si levava contro un altro intoppo grave; dappoiché se vo-
lendo scegliere un capitano tra i paesani, c'era da « dare in
uno poco fedele o poco sufficiente », a volerlo scegliere fra i
condottieri, c'era da offendere le convenienze e le pretensioni
di questi « gran principi » e da suscitare nuovo pericolo. In
Francia stessa la notizia di quel principio di costituzione del-
l'esercito statuale aveva fatta impressione; come se per quelle
sue armi Firenze mirasse a farsi meno dipendente dalla pro-
tezione di Francia. Non s'aveva il coraggio di dir troppo, anche
per non parere che si volesse dare troppa importanza a quel
fatto; ma il Rubertet, parlando con Francesco Pandolfini:
« Ambasciatore », dicevagli, « voi avete, secondo intendo, buone
genti d'arme,'* ma avete bisogno d'un buon capo; pensatevi ».
1 Cf. Machiavelli, Diicorsi, lib. iii, e. 16. « Essendo nella nostra città di Firense, dopo
Tanno 1491, seguite molte guerre, et avendo fatto i cittadini tutti una cattiva prova, si
riscontrò la città a sorte in uno che mostrò in che maniera s'aveva a comandare agli eser-
citi, il quale fu Antonio Giacomini. E mentre che si ebbe a fare guerra pericolosa, tutta
l'ambizione delli altri cittadini cessò, e nella elezione del commissario e capo deiresercito
non aveva competitore alcuno ; ma, come e* si ebbe a fare una guerra dove non èra dubbio
alcuno et assai onore e grado, ei si trovò tanti competitori che avendosi a eleggere tre
commessarii per campeggiare Pisa, ei fu lasciato indietro ». Il Prrri, che nella VUa di
Ant. Giacomini, loc. cit. pag. 249, riporta queste parole del Machiavelli, lo chiama : « un
nostro Fiorentino, per altezza d'ingegno e per prudenza civile non inferiore ad alcuno dei
suoi tempi ».
« Ceccotto Tosinghi, Pier Guicciardini.
* Machiavelli, Consulto per l'elezione del Capitano delle fanterie ed ordinania
fiorentina.
* Dbsjardins, ygoniations diplomatiquea, t. ii, pag. 156.
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secondo] il re di FRANCIA E LE MILIZIE FIORENTINE. 371
E nel primo proposito che gliene tenne, non accennò a nessuno,
né italiano, né francese in particolare; solo insistè sulla que-
stione di massima, che a quelle armi si conveniva dare un
capo, perchè quel capo avrebbe dovuto essere una malleveria
per gì' interessi francesi, E non molto dopo tornò ancora sul-
l'argomento « senza mostrare alcuna particolare afiFezione »,
secondo che l'ambasciatore si esprime, ma bilanciandogli le
qualità del marchese di Mantova, di Louis d'Ars, di Giambat-
tista Caracciolo principe di Melfi, e concludendo : « risolvetevi
se lo volete italiano o francese, e ne pigliate poi uno con
partecipazione di questa maestà, a satisfazione vostra >.i Non
andò molto tempo, che il re stesso ebbe a domandare all'ora-
tore: « che gente avete? » e il Pandolflni; « e' miei signori
anno circa settecento uomini d'arme b^ne a ordine; e perchè
e' pensano che in Italia, venendo vostra maestà, non si abbia
a stare oziosi, e' sono più mesi che e'cominciarono a fare un
ordinanza di dodicimila pedoni nel dominio loro, e' quali sono
già tutti armati e al continuo bene disciplinati per poter
difendere e guardare lo stato loro ».... — E il re: < vera-
mente è una bella cosa, né è piccolo numero ». E, domandato
poi se fossero tutti del paese, e uditosi rispondere di si, con
quella caparbia sufficienza con cui i potenti sanno di poter
mettere la loro autorità al posto delle ragioni, con cui la
burbanza dell'uso si suol contrapporre alla timidezza delle
innovazioni, soggiunse: «In tutti e' mia affari io non voglio mai
adoperare che forestieri, cioè svizzeri e francesi, e qualche
lombardo solamente, perchè io non li fo differenti da' fran-
cesi ».* S'immagini con che sentimento di compassione il Ma-
chiavelli non ebbe a lèggere nel dispaccio dell'oratore quelle
cieche parole del re! Ma frattanto l'insistenza francese nel
consiglio che alle milizie fiorentine fosse proposto un capo
ligio all'interesse di quella nazione, s'aggiungeva come una
causa di più per distornare l'animo de' cittadini dal farne ele-
zione. D'altronde non restavano i conestabili dal raccomandare
a Niccolò e fargli parere ogni giorno più vivo e reclamante
il bisogno di procedere a quella scelta che confermerebbe la
milizia nella reputazione acquisita.
E ancora nel 1510 gli arrivano sollecitazioni per ch'ei sug-
gerisca la persona; e gli mettono innanzi Ciriaco dal Borgo,
* Desjabdiks, N'gociationi diplomatiques, t. ii, pag. 157.
» Id. ibid., pag. 200.
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378 CAPO QUARTO, [libeo
come quello che non darebbe cagione né a sospetti né a ge-
losie; ^ pur tuttavia si giunge al 1511, e Niccolò non sa in-
dursi a far proposta veruna al magistrato dei Nove, perchè
* Bibl. Naz., doc. M., busta iv, n. 70. « Cerchio chonestabile in Anghiari egregio viro
N. M. Secretarlo in Firenze. La lettera è in data del « di primo di febbraio 1509 » (1510,
8t. com.) : « Avisovi chome per me andando al borgo mi messi a ragionar con messer Chiriaco
di qneste fanterie che avete descritti («te) per uedere quello che ne diceua. Le commendò
fortemente et dice essere una gran reputatione, come ui sapete, auere un chapo chome uno
pari di messer Chiriaco sopra a tale militia et masime io uedendo messer Chiriacho fame un
gran conto, et anche non ciene pari a messer Chiriaco. Sarebbe bene che la Magnifici entia V.
ne facessi ogni opera che auessimo un tale chapo sopra di tutti noi et ciaschuno deMis^
critti {starebbe assaissimo più contento sentendo essere richondotto tal chapo sopra a tale
fanterìe et sarebbe fermo tale militia con tutte le reputationi sua » — Ora. per quel cha
risguarda il tempo in cui fu scritto il Consullo per reiezione del capitano delle fanterie
ed ordinanza fiorentina, di cui le edizioni non dicon nulla; cominceremo dal considerarne
i dati intrinseci. In esso si accenna a due termini: quello in cui i Veneziani « avevano
per capitano dei loro fanti Giovambattista Homagio (le stampe, compresa!* ultima edizione
florentina danno Nomagio, ma i dianoscritti recano indubbiamente a qnel modo) ed ave-
vano per condottiero TAlviano»; e quest'altro: « vedete ora che il Papa à fatto capitano
delle fanterie Marcantonio Colonna, e gli altri stridono ». lì papa ebbe Marcantonio Co-
lonna solo quando questi si parti dagli stipendi dei Fiorentini, nel 1510 (Cf. Ouicciardxki,
Storia d'Italia, lib. ix, Bonaccorsi, Diario, pag. 14S). Quanto allo starsi delFAlviano
co* Veneziani, è chiaro che si allude a un tempo anteriore alla giornata di Vaila (17 mag^
gio 1509). Di Giambattista Omaggio non ci riusci avere notizia dagli Archivi di Venezia.
Nelle lettere di Luigi da Porto (pag. 54) si menziona un Giovambattista da Fano che
guidava la metà d'una banda di fanti a Vaila, « uomo molto amato dalPAlviano, la libe-
ralità del quale e la vivacità insieme, pare che inviti ogni gentiluomo alle sue bandiere,
piuttosto che a quelle di alcun altro di questi capi di Venezia ». Si nasconde forse
rOmaggio sotto questa designazione del Da Porto ? non oseremmo affermarlo di positivo ;
ma il certo si è che questo Consulto del Machiavelli è giunto sino a noi solo per via del-
l'Apografo di Giulian de' Ricci (V. App., loc. cit., S xliii), ove s'intitola: •Ragioni
perchè sarà bene fare capitano delle fanterie il signor Jacopo Savello, add\ 6 di mag'
gio iSii ». Ora, il Ricci sapeva troppo poco i particolari minuti della Storia fiorentina per
aggiungere a questo scritto in seguito di sue investigazioni la data certa ; ed era troppo
onesto per apporvene una cervellotica. Convien dunque supporre che e il titolo e la dat&
e' la indicazione della persona l'abbia trovata nell'autografo del Machiavelli ; e però cade
la congettura accennata in nota dall'editore ultimo (M., Opp., voi. vi. pag. 358) che il
messer Jacopo di cui qui si tratta, sia piuttosto Jacopo Corso che Jacopo Savelli. Questi,
che dal 20 gennaio 1505/6 sino al 1513 si trova sempre a' soldi della repubblica fiorentina,
per condotta rinnovata di due in due anni (V. Arch. fior,. Stanziamenti e condotte dal x di
Xhre i505 al xxviij di Xbre 1506 a e. 83 1. e altri registri consimili sino al 1513 passiin) doveva
tanto meglio rispondere alle intenzioni del Machiavelli, in quanto aggiungeva alla pratica
delle cose guerresche; lo studio degli antichi che s'occuparono delle militari discipline.
Della qual cosa ci fa testimonianza la seguente lettera a lui diretta da Alessandro Paxsi,
che trovasi fra le miscellanee del Bandini nella Bibl. Mamcelliana : — « IH. D.no Jac.
Savello relp. Fior armorum capii. Dno. meo Colen.^ etc. Ex Florentìa Calendis sextilis »
Salvus sis: Heliani libros quos de instruendis aciebus inscripsit, a Theodoro Gaza in
latium adscitos ad te mitto: Idque feci libenter quod ij quidem digni mihi visi sunt ut in
cospectum tuum veniant. Invenies in eis exactam antiquae illius rei militarìs doctrinam :
mirabilem preterea tradendi modum : quicpe qui mathematicas rationes singulis probatio-
nibus, theorematibus fere dixerim, adnectat: ipsisque tamquam mediis semper utaturi
nihil denique concludat quin geometricis figuris aut numeris commodissime aptet. De cuius
doctrina ac gravitate pluribus agerem tecum : nisi testimonium haberes ipsius Theodor!
Tiri eruditissimi qui maxima diligentia ac studio curavit, ne auctor is amplius a latinia
hominibus desideraretur simnlque ut eo nitore quo proprio idiomate elegantissimus viderì
potest, cum nobis cultum omatumque traderet, quod sane Gazae proprium est. Adeo ut
ipsos tibi peculiariter deberi mihi visum est, quod non solum militarem rem (cuins tu
peritissimus es) a teneris unguiculis perpetuo exercuisti, in qua etiam versarìs assidue r
verum quod bonis litteris studioque philosophiae gaudes amoreque mathematicae disciplina»
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secondo] consulto per V elezione del capitano. 373
l' impaccio politico che lo strascina a ricorrere a mezzi termini
per risolvere questioni nelle quali bisogna procedere diritti
senz'altro riguardo che della meta, gli cagiona quella specie
di cruccio che getta nell'indugio anche colui, il quale non
sarebbe per natura indugiatore. Cosi, dibattutosi vanamente fra
due diversi ordini d'idee inconciliabili, alla fine persuade come
il miglior espediente per Firenze « cominciare a dar reputazione
ad un suo creato per tirarlo con il tempo a quel grado ». Questi
sarebbe stato cosi più docile a'commissari mandatigli accanto
dal governo; non avrebbe acquistato mai troppa autorità; non
avrebbe irritato mai né il sospetto de'cittadini o di Francia,
né la gelosia degli altri condottieri; sarebbe riuscito quel-
l'utile mediocrità che è il flaccido ideale delle democratie. Cosi
l'invidiosa vita comunale e popolaresca legava le mani al ri-
formatore dell'esercito statuale; cosi per bizzarra crudeltà di
fortuna, quand'egli con enormi fatiche e con industria infinita
riesce a trarre dal contado e dal distretto la difesa della re-
pubblica, è costretto a cedere alla città reluttante, a legarsi
le mani da sé stesso, a lasciare il nuovo esercito suo infer-
miccio del, capo, senza unità di direzione, senza quella forza
di coesione che lo avrebbe fatto potente a resistere agli urti
dell'oppressione forestiera. Ed era ben questo il naturale effetto
di quella grettezza democratica che non sapeva levare gli occhi
di sopra sé medesima che non attendeva ad altro che a' casi suoi
della giornata, che non lottava se non per domestici dissidi e
senza pensare che poteva sopraggiungerle addosso una forza
esterna a soffocarla in un subito. Ma voltandoci ad esaminare
l'opera da Niccolò condotta circa le milizie per quel che vale
in sé stessa, non tanto preoccupandoci del punto da cui il se-
gretario le aveva trovate, quanto considerando quello a cui
conveniva che giungessero per poter credere che lo stato avesse
effettivamente ricostituito coll'esercito paesano l'elemento della
propria difesa, é forza confessare che il Machiavelli a' suoi
tempi, potè comprendere piuttosto i bisogni che non i diritti dello
stato; di guisa che questo, peritoso e titubante nello spiegar
teneris: atque ad eas speculationes quibus HeliaDus utitur factus videris, atque adeo ut
jnre quidem palladis ipsina alumnus dici possis. Ceteruxn de Heliano quid sentias, quam
graUssimum mihi foerit ut ad me Bcribas: tanti enim facio iudicium tuum ut maxime
ipsum scriptorem probavero, si abs te probatum fuisse intellexero: vale ac me ama ut
facis: valetudinique tuae curam exibeas hoc pnesertìm tempore quo Pisaeinfames propter
palnstrera aerem apud omnes babentur.
« S.ior Alexandeb Paccius. »
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374 CAPO QUARTO. [tiBW)
l'azione sua verso de' sudditi, troppo abbandona airarbitrio in-
dividuale di quelle forze ch'esso dovrebbe disciplinare e costrin-
gere; e siffatto abbandono ridonda tutto a scapito di propor-
zione e di robustezza nella compagine dell'esser suo. Questo
difetto anche più chiaro ^'avvisa quando il Machiavelli pro-
cede in seguito, per mezzo della provvisione per istituire l'ordi-
nanza de' cavalli, a rendere statuale anche la cavalleria, più
stretto attenendosi alle disposizioni degli statuti fiorentini,^ e
tuttavia meno allontanandosi dalle pratiche "della milizia mer-
cenaria; che l'esercito statuale è tutto contadinesco, e non à
coraggio, 0 forse non à speranza, di ridiventare istituzione
della - città.
In quella provvisione del resto si richiamano generalmente
le deliberazioni fondamentali per l'ordinanza militare de' fanti;
si vuole che per quanto è possibile questa seconda istituzione
sia in congrua relazione con quella prima, derogando solo a
quelle parti nelle quali l'esperienza indicò già l'opportunità di
modificazioni. Cosi, per esempio, il censimento degli uomini atti
all'armi, che per la prima provvisione doveva farsi ogni anno,
per la seconda diventa triennale; si à più severo riguardo
che l'armamento delle singole bandiere sia limitato a' termini
delle circoscrizioni territoriali. I cavalli leggieri in numero non
inferiore a' cinquecento vengono armati di balestra e di scop-
pietto, e a dieci appena su cento si dà la lancia. Dodici ducati
d'oro all'anno è l'indennità che gl'inscritti ricevono per la
spesa del cavallo in tempo di pace; la paga è d'un fiorino;
i capitani e i capisquadra anno paghe doppie; ogni bandiera
comprende almeno cinquanta cavalli; un marescalco è or-
dinato per ogni bandiera. Questo, insieme con un mandato
de' Nove, deve alle prime mostre notare uomini e cavalli per
peli e segni,* compilarne le liste che il Cancelliere de' Nove
trascrive ne' registri, far la stima de'cavalli.
1 V. Machiavelli, Provvisione seconda per le milizie a cavallo, approvata nel Con-
siglio degli Ottanta a* dì S3 di marzo; a* di 30 nel Consiglio maggiore. Cf. Statuta popuU
et Communis Florenliae, pag. 1S8-130. De juramento praestando a stipendiarìis et ejas
forma — pag. 190, qaod teneantur equitare in qualibet parte — pag. 132, quod equi scrìpti
ad conductum intelligantur obligati comuni Florentiao — Quod stipendiarii non potsiat
vendere vel subpignorare eqnum vel equos et de certis poenis — pag. IXi. Notarìi con-
ductae scribant conductam ipsorum stipendiariorum — pag. 135. Quod notarius condoctae
teneatur consignari acta infra quindecim dies — de monstris stipendiariorum equestrion et
de notario conductae — pag. 137. Nullus stipendiarius ferat insigaia alterìas. —
> Di queste note e descrizioni di cavalli « per peli e segni » diamo saggio, pubblicando
in Appendice la « Mostra et resegna armata del Ill.mo S.or Duca de Urbino Capitanio
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SKCONDo] ORDINANZA PEI CAVALLI. 373
Chi non compariva alle mostre senza scusa legittima, per
la prima volta perdeva solo il ducato della sua paga, in seguito,
oltre la perdita, era colpito con tre lire di multa. Scusa legittima
era la malattia o il permessso d'assenza riportato dai Nove. Della
malattia testificava il parroco per iscritto; ma tuttavia il ma-
lato doveva mandare alla mostra il cavallo; e ciò facendo gli
si pagava il ducato, come se fosse personalmente intervenuto
alla rassegna; ma chi vi si presentasse con cavallo diverso da
quel ch'era descritto nelle liste, era di fatto condannato in
due ducati d'oro. Il cavallo descritto nell'ordinanza, era sempre
del proprietario; ma tuttavia lo stato ci aveva sopra qualche
diritto pel ducato d'indennità che pagava. Il cavallo proprio
potevasi bensì barattare o vendere, purché dentro i dieci giorni
dalla permuta o dalla vendita si presentasse al rettore, al ma-
rescalco, al deputato dei Nove l'altro cavallo, e si facesse de-
scrivere e registrare in luogo dell'antico; ma il proprietario
che poteva permutarlo o venderlo, non aveva facoltà di darlo
a prestito per più che due giorni; altrimenti e chi l'aveva
concesso e chi lo sopratteneva ne rispondevano con grave
multa. Nel caso che morisse in guerra, il magistrato ne pagava
due terzi del valore al proprietario; se non moriva in seguito a
una fazione guerresca o fosse reso inservibile, per qualsiasi
altro modo, dovevano i commilitoni per rata porzione mettere
insieme la somma di dieci fiorini d'oro in oro larghi ; disposizioni
tutte in cui era più industria che utilità vera. Ma tuttavia è
ynpossibile non riconoscervi una qualità indiscutibilmente nuova
e buona, la quale consisteva in questo che tanti erano in
quell'ordinanza gli uomini armati e tanti i cavalli a differenza
delle altre milizie a cavallo italiane e francesi, le quali per
ogni uomo d'arme avevano almeno due cavalli inutili. ^ Per-
tanto anche nell'ordinamento della cavalleria il Machiavelli
ebbe ad attingere ispirazione, per quanto potè, dalle pratiche
di Germania, tenendo tuttavolta ragione dell'elemento feudale
che, pure assoggettato a migliori norme di disciplina, ^ in
generale de la Sancta Eccia, faeta socio la Torre de Quinto, die XXVIIJjulii i505»
tratta dai Diversa gentium artnorum neirArch. di Stato in Roma. In quel di Firenze non
ci venne fatto di vederne consimile.
* Cf. Vincenzo Quiami, Relazione di Oermaniaf fra le Relazioni venete dell'ALBéBi,
serie 1* t. vi, pag. 15.
• Cf. Chubl, Alttenstilclte und Briefe sur Geschichte Maximilians /, fra le pubbli-
caxioni della I. R. Acc, di Vienna, voi. I, pag. 62-82 « Herzog KarU von Burgund
militar Réglement ».
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376 CAPO QUARTO. [libro
que' paesi costituiva la parte essenziale delle genti a cavallo.
Del resto se si considera che il Machiavelli andava continua-
mente in volta più vivificando come ordinatore, che registrando
come cancelliere le sue nuove milizie, non vorrà darglisi bia-
simo della poca regolarità che talvolta incontra nelle scrit-
ture di cancelleria; ^ se si riflette a'pochi mezzi che il Machiavelli
aveva a sua disposizione, alle strettezze finanziarie in cui versava
la Repubblica di Firenze, alla paura che aveva il Segretario che
queste non avessero, quando che fosse, a soffocare V incipiente
milizia sua,^ non potrà farglisi carico se in questa giovane
istituzione la libertà privata apparisce talvolta in vana e ti-
mida collisione colla necessità pubblica; se l'uniformità così
valida a saldare l'unione, non viene esatta con quel rigore
che è indispensabile a conseguirla; se i cittadini e gl'inscritti
nell'ordinanza son messi troppo spesso in relazione di diffidenza
e di sospetto reciproco, perchè l' idea della difesa della patria
comune, simboleggiata appena nell' insegna delle bandiere, sia
da ciascuna delle due parti generalmente sentita. Era fatto
troppo funestamente naturale a quei tempi, in cui non s'in-
tendeva città senza fazione, né accozzaglia di soldati senza ra-
pine e ruba, che da una parte stesse tutta paura e dall'altra
tutto disprezzo. A sbarbicar questa mala condizione di cose in-
sieme colla solerzia di Niccolò cooperò energicamente la santa
severità del Giacomini, resosi tremendo all'esercito per l' ineso-
rabilità sua nel punire ogni sentore d'eccessi. Niccolò potè
per certo tempo sperare che la gioventù toscana, in virtù d^i
quell'uomo magnanimo che riconduceva sotto all'armi il ri-
spetto della giustizia, la sacra vendetta della legge, la maestà
del diritto, uscisse rigenerata; ma non ebbe a nutrire per lunga
pezza cosi bella speranza. Roso negli occhi dalla sifilide, af-
franto da' mali, trasandato dalla moltitudine popolaresca, usa
a detestar presto chi per culto del bene di tutti non piega a
1 Ne lo rampogna Ludovico Acciajoli nella sua lettera da Castel San Giovanni : « die x,
maij 1512 » — « parendoci inconveniente tenore le cose di cotesto magistrato in suiti
istracciafogli, habiarao ordinato un libro di mezsani bolognesi. Desidereremmo, occorrendovi
altro titolo che lo scrìpto, ne advisassi et mandassi copia della legge et cum proemio per
farla scrivere in principio. Nec alia, salvo ricordarvi che quanto più stanno sensa eser-
citarsi, tanto peggio ». » Blbl. Nas., doc. M., busta v, SI. « Descriptione de cavalli leg-
gieri deirordinanza nel Vieto di Valdarno di sopra della Ex.m R. p. fior.»* ».
> Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 163. I Dieci gli scrivono: « N. M. secr.car.mo die
xxxj julii MD. XII, et perchè Tu sai quanto lo apendere sanza necessità è grane, ti ricor-
diamo che ogni spesa, sanza la quale si potessi fare, Tu la riseghi et spenda in cotesti fanti
meno che si può ».
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aKCOKDo] INGRATITUDINE POPOLARE. 377
vezzeggiare i singoli, Teroico Giacomini, ebbe a giacersi negletto
e vilipeso
Nelle sue case, povAr, vecchio e cieco:
Tanto a fortuna chi ben fa dispiace! ^
Cosi, con questi versi appassionati il Machiavelli rendeva
unico omaggio al virtuoso guerriero che voltosi già dalla mer-
catura al maneggio delle armi adoperate a salvezza della patria,
aveva saputo fortemente dar corpo all'idea prediletta dì Nic-
colò, traducendo in atto la formola sacra : giustizia ed armi.^
Così, bersagliando il popolo sconoscente che, passati i tempi
diflBcili, aveva gittato in dimenticanza il proprio eroe e credeva
ricattarsi con quell'oblio della severità mal sopportata con cui il
Giacomini erasi provato di rieducarlo a virtù, Niccolò insegna
il merito di lui alla riconoscenza de' posteri, e attesta la perso-
nale ammirazione sua a chi aveya dato si grande impulso al
princìpio di ricostituzione della più naturale difesa per lo stato.
Ma non andò gran tempo che anche Niccolò, per rispetto de' suoi
propri casi, ebbe a comporre il capitolo AqW Ingratitudine, quando
l'armeggio de' malevoli ebbelo fatto segno d'atroci ingiurie or-
dinate a colpirlo nella famiglia e nella memoria del padre.
Poco oltre a' tre mesi dopo il voto della provvisione che
istituiva il magistrato dei Nove della milizia, al Machiavelli
furono concesse dalla Signoria patenti solennissime di citta-
dinanza e di nobiltà,^ nel cui contesto non sappiamo se debba
leggersi o un principio di protezione o il primo accenno di
' Machiavelli, Decennale^ ii. - Cf. Pitti e Nabdi, Vita à*Ant. Gvicomini, ove en-
trambi gli autori riportano i versi scritti in onore del Oiacomini dal M.
* Machiavelli, Decennale j ii:
Questi per la sua patria assai solenne
E di vostra milizia il suo decoro
Con gran giustizia gran tempo mantenne. ^
■ Arch. fior., Registro di lettere esterne e agli Ambasciatori dal 1504 al 1507, ci. x,
dist. 1*, n. 119, a e. 186, Signori^ Carteggio missive, registri i* Cancelleria:
« Patentes Civilitatis et Nobilitatis
« Die XV Maij 1507.
« Priores, etc. Universis, etc. Machiavellorum familia nobilis in civitate hac nostra omnes
Reipublicae nostrae honores et Magistratus gessit iampridem, et adhuc gerit, multosque
hactenus Cives Reipublicae nostrae produxit de nobis civitateque hac nostra benemeritos.
Quapropter eametsingulos gentiles eius amaraus mirifico, et commoda omnia omnesque honores
illis optamus; libenterque, sicubi valeamus, auctores etiam omnium honorum eis erimus.
Significamus oh id omni1)us Nicolaum Bernardi Jacobi, qui in fidem suae originis has
licteras a nobis accepit, ex ea familia genitum ingenuis parentibus et honestis maioribus,
carissimum nobis esse ; testimonioque nostrarum huiuscemodi llcterarum nobilitatis suae
fldem omnibus facimus, commendamusque illum omnibus oh merita familiae suae, pre-
camurque ut in gratiam nostram quodcumque illi opus sit honoris et commodi conferatur.
Quod erit nobis gratissimum, et maioris obsequii loco.»
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378 CAPO QUARTO. [libeo
guerricciattole turpi e suddole di chi lambiccava un pretesto
legale per escluderlo da' pubblici uffizi. Non andrà molto che
queste guerricciattole le vedremo prorompere furiose alla luce
del giorno: probabilmente il Machiavelli se le aspettava, ben
conoscendo che le città faziose non ne risparmiano a chi fa
prova di volerle unite e migliori.
E nondimeno dall'opera spesa intomo alla costituzione
dell'ordinanza della milizia, dal suo sagace volteggiar per gli
eserciti gli venne tanta riputazione fra i 'contemporanei che
r invidia o non valse a sminuirgliela o appena se ne curò. E
se negli ultimi tempi della vita potè ottenere d'essere adope-
rato ancora in uffici pubblici, non fu già per l'esperienza che
aveva acquistato di popoli e di principi, non per la sagacia
mostrata ne' politici negozi, ma per essere stato il riordinatore
delle bandiere fiorentine che un pontefice, ponendo da parte la
diffidenza, e Firenze, dimenticando gli odi per la necessità della
propria difesa, sperarono in lui e lo richiamarono di nuovo
fra le armi.
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Capo Quinto
IL MACHIAVELLI E L*IMPBRO.
Lo imperlo intanto, volendo pasftare.
Secondo eli* è la lor antica usanza
A Roma per volerei coronare;
Una dieta avea fatta in Gostanza
Di tutti i suoi baron, dove del Gallo
Mostrò l'ingiurie e de' baron di Franxa.
Ed ordinò clie opmun fusse a cavallo
Con la sua gente d'arme e fanteria
Per ogni modo 11 giorno di «an Gallo.
(MACiirAVBLLi, Decennale secondo).
Darnaoh nam der >velss Kunig fOr Hicli oin
Raiss, Nemlichen ain weite Icirchfart zuthun,
das wolt der kunig vom visch nit zugeben,
dardurch wuechsen Sy gegen ain ander in
Krieg. also ward zwischen Inen bayden ain
aufruer. (Trbitzsaqrwbin, VVeiss Kunig,
parte 1.* pag. 289).
quel segno dell'imperadore.
(Macuiavklli, Discorsi, llb. 2, cap. xix).
La morte deirarciduca Filippo di Borgogna cadeva acconcia,
dicemmo; tanto acconcia che, e per l'utilità che recava, e per
giungere inaspettata,^ non passò per lo meno senza dissimula-
zione di sospetti.* S'era alla vicenda solita: nulla pareva che
> Cbmkl, Urkundeny Briefe und Actenstuclu zur Geschichte MaaimiUans T und seiner
Zeit, nella Bihliothek dee Uterarischen Vereins^ voi. x, Stuttgart, 1845, doc. ceni, pag. 253.
Lettera del Consiglio reale né' Paesi Bassi a Massimiliano. « Malines le vii« jour d*octobre
anno xvc et six »: « .... le roy notre tres-redoubte seigneur et prince a este le xix» du
moia de septembre demler passe attaint d'one fiévre continue, de laquelle le xxvje du dit
mois ensayvant il est alle de vie a trespas apres avoir receu tous les sacremens et fait
sy belle fin, que chrostien pourroit faire. La chose a este sy soudayne, que n'avons este
aduertis de sa maladie, et sy avons lettres signees de sa main du xviije du dit mois, veille
du dit XIX* qu'il print la maladie, contenans quMl estoit lors en tres bonne sainte et pro-
sperite ». — Il QuBiTA, loc. cit., lib. VI, pag. 80, pone la morte deirarciduca a'dl 25: «y
fallecio un Viemes, à veynte y'cinco de setiembre ».
* QuBiTA, loc. cit. : « no se dexò de tener alguna sospecha qae Io huviessen dado
pon^ona; pero desta opinion salieron los mismos Flamencos sus sernidores, en cuyo poder
estana; por que los pfaysicos que el traya, de quien confiaua su salud, que curaron de su
dolencia, y entre ellos Ludovico Marliano milanes, que era un muy grane y doto baron ; y
tan accepto al Key, que no solamente tenia el principal lugar en la cuenta de su salud,
pero era admitido en cosas importantes que se ofiVecian del estado^ corno uno de su con-
sejo, que despues fue Opispo de Tuy, descubrieron la causa de su enfermedad; y se en-
tendio auerle sobreuenido de demasiado exercicìo; y de una reuma de donde se encendlo
la flebre, de que muchos morian en el mysmo tiempo en aquella ciudad ». V. sul Marliano
e suiramicisia di lui con Pietro Martire d*Anghiera, il dotto lavoro dell' Hbidbnheimbr,
Petrus Martyr AngUrius und Min Opus epiitolarum, pag. 61 e segg.
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380 CAPO QUINTO. [libro
potesse avvenire, che non s'avesse ad ascrivere a merito o a
malizia d' uomini. Tuttavia i Fiamminghi che stavano alla corte
di Filippo s'erano potuti persuadere dell'opinione dei medici,
soprattutto del milanese Ludovico Marliano, uomo di grandis-
sima autorità, che l'arciduca aveva soggiaciuto veramente a
una infermità naturale. E una malattia d'otto giorni era, per
que' tempi, di troppo breve durata perchè la notizia di essa
e della morte seguita non giungesse quasi contemporanea. Mas-
similiano ne fu afflittissimo, e il dolore e la necessità gli fe-
cero per allora sospendere il disegno del passaggio a Roma.
La necessità era nelle nuove speranze e nelle nuove preten-
sioni politiche, cui quella morte aveva aperto l'accesso. Carlo
d'Egmont, intitolandosi duca di Gheldria, minacciava l'eredità
de' sei figliuoli dell'arciduca in quella provincia; il re d'Ara-
gona sforzavasi di trarre a sé •l'amministrazione dei regni di
Castiglia, di Leone e di Granata a pregiudizio di Carlo, il se-
condogenito di Filippo, che la regina Isabella aveva lasciato
erede; e Massimiliano sentiva che gli conveniva prendere in
tutela i dritti di tutti i nepoti generalmente e di Carlo in
modo singolare. Per guisa che al proposito di frenare in Italia
i progressi dell'aggrandimento francese, al desiderio di scon-
figgere la potenza de' Veneziani gli s'aggiungeva ora la prospet-
tiva d'una lotta con Ferdinando d'Aragona e colla Spagna,
la necessità di vincere la ribellione nelle Fiandre; e tutto que-
sto coU'esìgue forze dì cui egli poteva disporre.
Com'era naturale, i nemici suoi tendevano a concordarsi in
un'azione comune contro di lui; e re Ferdinando e re Luigi
i quali avevano tutti e due il piede in Italia, accennavano a
darsi mano l' un l'altro, mentre Papa Giulio si teneva all'erta
spiando il vantaggio e il momento suo e della chiesa. Massi-
miliano pertanto non poteva voltarsi che oltre mare a cercare
chi s'alleasse con lui ; e poiché, un giorno innanzi a quello in
cui Filippo cadde malato, re Enrico ottavo d'Inghilterra gli
aveva scritto eccitandolo a far pronta e attiva discesa < aìix
pais d'embas >,^ e Massimiliano aveva tenuto invece su'confini
d'Italia gran numero d'armati e incontrato grossa spesa pel
passaggio a koma, si determinò nel dicembre a mandargli un
ambasceria, la quale saldasse i vincoli d'amicizia con lui, pre-
parati già dall'arciduca defunto, e procurasse sigillarli con quella
> Chmbl, loc. cit. Doc. ccvii. Henry rex a tret-sacre tres^lluttre trei hauU treacellent
et Irespuissant prince AfaximiUan « Oking le xviij* jour d'octobre Tao xv« et eix ».
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secondo] maritaggi PER CONGEGNO DI STATO 381
malleveria che a' politici d'allora pareva la più rassicurante e
stabile: un maritaggio.
Cosa singolarissima: da un lato i popoli europei, aggrup-
pati già come un protoplasma unico attorno al centro del ro-
mano impero, sbandavano a quei tempi, come per moltiplicazione
di cellule, enucleando nelle diverse nazionalità; e dall'altro lato
l'impero, intravedendo tante lesioni del diritto suo proprio in
quei fatti, di cui non conosceva né la causa né la portata, s'affan-
nava a disturbar quel procedimento comunque gli fosse possibile;
e frattanto, il mezzo più ovvio pel quale da una parte si tendeva
all'unione, dall'altra si tentava la disgregazione o il recupero, era
quel dei maritaggi. Cosi che i santi legami domestici ^ resi stru-
mento delle transazioni internazionali, e oltraggiati poi a seconda
delle opportunità contingenti, valevano coU'offesa della dignità
personale ad inasprire più forte il risentimento delle delusioni
politiche. À questo fatale sistema di cose quel che forniva lusinga
di fondamento non era tanto la coscienza de' popoli, ottusa per
diuturnità di pregiudicate condizioni giuridiche, quanto più pro-
babilmente un pregiudizio, che parendo rappiccarsi colle tradi-
zioni dell'antichità classica, aveva in quel secolo il miglior fon-
damento della propria fortuna.
Le consuetudini feudali avevano per certo contribuito assai
a radicar la persuasione che i popoli, quasi accessione della
terra, quasi addetti al suolo, non potevano credere in alcuna
maniera di appartenere a sé medesimi ; che però, essendo parte
di possesso, potevano venir ceduti, permutati, dati in dote, se-
condo il placito del loro signore e padrone. Ma anche le tra-
dizioni classiche di Roma cesarea ebbero forza a far con-
siderare le nozze siccome un congegno di stato, siccome un
modo d'assetto a pretensioni per mal talento irreconciliabili, sic-
come un mezzo termine di transazione soddisfacente intorno a
questioni di trasmission di dominio. Cesare aveva ripudiato Cossu-
tia per isposare Cornelia, a dispetto di Siila; Augusto aveva rotto
le nozze colla figliuola di Servilio Isaurico per Claudia; aveva
rimandato Claudia per Scribonia, tolto Livia pregna al consen-
1 Ne* preamboli ^e1 trattato matrimoniale « Inter Maximilianum I imperatorem roma-
nonim et Henrìcam VII regem Angliae prò contrahendo matrimonio inter Carolum Archi-
ducem Austriae nepotem dicti Imperatoria et Mariam Aliam Regis Angliae conclusus in
Monasterio Novae fundationis (Neastifft.) apud Brixinam die 22 febniarii 150S » si legge :
« Cam coniugium sen matrimonium ea sit utilitate, oblectamento, honore, lande et gloria, ac
mortali huic hominnm generi inchohando fragalius, propagando jucundius, conservando
decentins ant bonestias primus ipse hominnm optlmus pater Deus inveniendum aliud duxerit
nihil ». (DuMONT, Corps diplomaliquej iv, 1^, pag. Q>1).
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382 CìlPO quinto, [libeo
ziente Tiberio, barattato i generi alle figliuole sue, secondo che gli
era balenata Futilità delle nuove parentele ; aveva insomma ac-
colto i consigli di Mecenate, il quale gì' indicava le grandezze pe-
ricolose che bisognava imparentarsi o spegnere.^ Questa politica
mecenatiana e cesarea piacque al medio evo; fu quella di Carloma-
gno; continuò ad esplicarsi dopo di lui non meno in fatti che pei'
via di leggende ; agitò tutta Tetà del rinascimento, in guisa che
per questi tempi il Michelet credette poter elevare il volgare
cherchez la femme a criterio di storico, che appena presso
a' nostri giorni venne a sbattere nel sarcastico: « felix Austria,
nube ».
Del resto, osservammo Carlo ottavo togliersi in moglie
Anna di Bretagna, la promessa sposa di re Massimiliano; e
Luigi duodecimo mercanteggiar la dispensa ecclesiastica e far
divorzio dalla consorte Giovanna per unirsi alla vedova di Carlo
ottavo. Vedemmo sorgere l'unione della Spagna dal maritaggio
di Ferdinando e d'Isabella, e subito poi impacciarla e com-
prometterla il matrimonio fra l'arciduca Filippo colla figliuola
infelice della regina di Castiglia; disegnarsi quindi fra Carlo
il loro primogenito, in età di un anno, e Claudia figliuola del
re di Francia, bienne appena, nuove prospettive di sponsalizie;
tutto per acquetare ora Spagna, ora l' imperatore e far parere
a quest'ultimo, remoto ma certo sdrucciolare nelle sue mani
a titolo di dote il possesso del milanese ch'egli, marito a Bianca
Visconti, reclamava e come retaggio e come feudo dell'impero; *
e il trattato di Lione e quel di Trento, e i tre trattati di Blois
essere la tela di questa bassa commedia a soggetto, che andava
costando ai principi l'onore e il senno, ed ai popoli non poteva
uè stornare né alleviare guerre inevitabili.
Se .quei trattati non fossero stati girandole e fandonie,
l'Europa alla morte del re di Aragona e di quel di Francia
sarebbesi tutta riversata a brandelli nelle mani del nipote di
^ DioNB, Liv, pag. 5S5: « xsi Ori ò MaiXYiva^ au(xpou?.suc|JÌV(p ci ffipl oùtòv tgOtuv
iwtliv JLéycTai oti tiì/IixCutov «Otóv Ttsiroitjxa^, Wtti tj faixppóv Y«vit7^«i, tj 9<jv£u^v3ti. »
Mirabile rappresentazione di questa politica cesariana, reggasi nella bella scena 2',
atto II, deirAntAony and Cleopatra dello Shakbspbabb, ove Agrippa è mostrato isti-
gatore del matrimonio politico.
* Cf. Chmbl, Monumenta Habsburgica, voi. ii. pag. 117, nel trattato fra Mattia d'Un-
gheria e Federico IV imperatore « actum in Cornewburg ultima die mensis novembris 1477 »:
« Imprimis conventum et conclnsum est, quod imperialis majestas Johannem Galiax nec
non dominam Bonam eius genitrìcem | qui se gerunt p^o dncibus et dominis mediolani oc-
casione violente occupationi et injuste detentionis dicti dominii | quod immediate spectat
ad cameram sacri Romani Imperli citabit et judicialiter declarabit violentos occupatores J
et aliene rei detentorea etc. ».
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secondo] cupidigie IMPERIALI. 383
Massimiliano e di Ferdinando. Germana di Fois, nipote di re
Luigi, aveva recato in dote all'Aragonese tutti i diritti del
Cristianissimo sulla Sicilia « citra farum >; ^ e Carlo, il figlio
dell'arciduca Filippo e di Giovanna, erede già di Fiandra e di
Castiglia, di Leon e di Granata, avrebbe poi ereditato anche
l'Aragona e Napoli. Un terzo di Francia e il residuo de' possessi
francesi in Italia, glieli avrebbe poscia recati in dote la Claudia;
e di soprappiù, se, come Massimiliano si lusingava, fosse stata
abrogata in Francia la legge salica, quel suo nipote si sarebbe
cinto a dirittura la corona di questo regno, dominando egual-
mente sopra genti di lingua vallona e germanica. * Per parte
sua l'avo Massimiliano vagheggiava ingrossare il colossale re-
taggio. Egli stesso, per le ragioni della capota Eleonora, sua
madre, stendeva qualche pretensione anche sul Portogallo ; ^ e
rispetto all'Inghilterra, quando gli venisser meno altri titoli, non
erano per mancargli appiccagnoli di matrimoni opportuni.'*
Cosi pareva a lui d'andar ricomponendo l' unità e V universa-
lità dell'impero; e immaginando siffatti disegni tutto intento
alla politica esterna, si trovava poi sempre alle prese colla
interna divisione dello stato germanico, che gli fiaccava ogni
proposito e lo condannava a desideri incapaci cosi di soddisfa-
zione come di freno.
Degli armeggii nuziali toccò a lui principalmente sopportare
la delusione e il dispetto; ma le integrità nazionali, determinatesi
per fatto spontaneo e quasi inconsciente, si difesero senza con-
sapevolezza de'propri diritti e senza rispetto de' propri fatti,
come suole accadere in tutti i primordi delle umane e civili
evoluzioni, dai pericoli del riassorbimento imperiale. I trattati fu-
rono chiamati parole e alle parole si cercò togliere valore, as-
* DuMONT, Corpi diplomatique, t. iv, p. 1*, pag. 72. Machiavelli, Decennale 29,
V. 61 e aeg.
Onde che '1 gallo per partito piglia
Far pace con Fernando e gli concesse
Per sua consorte di Fois la figlia;
E la sua parte di Napoli cesse
Per dote di costei e '1 re di Spagna
Li fece molte larghe le promesse.
« Chmel, in Bibl. der litler. Vereint^ voi. x, doc. clxxxvi.
' Rankis, Oeschichten der romanischen und germanischen Wdlherj pag. 185.
* V. Instruction a noz amez et feavtloc^ messire Sigismond de Frawernherg, etc. de ce
qu'ilz auront affaire de notre part, entemble ou uparement a notre treS'Chier et tres-
ame frere le roy Henry d'Angleterre; in Ciìmbl, Urhunden, etc. nella Bibl. d. Citt. Ver. x,
pag. 279: « ce quo notre dit feu filz luy a fait declairer par le dit seigneur de Chaulx,
touchant Talliance de mariage d'entre lui et notre fille Marguerite d'Àustriche et de Bour-
goingne, etc. »
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354 CAPO QUINTO. [libro
sottigliandole; ^ il giuramento solenne de* re di Francia quando
ascendono al trono - « quant ils siegent a la couronne » - fu
allegato a discolpa degli spergiuri, circa ogni altra cosa « qu*Us
accordent ou promettent après ».^ Ma ride Giove agli sper-
giuri degli amanti, 3 cosi spergiuravasi lietamente da quei gio-
colatori di maritaggi, i quali apparecchiando le nozze di Claudia
col figlio di Luisa di Savoia, erede presuntivo del trono di
Francia, gittavano i semi delle rivalità personali tra Francesco
e Carlo, simbolo delle nazionali avversioni, fomite delle future
lotte tra Francia e Germania.
Immezzo a'guasti de' matrimoni principeschi, le repubbliche
use a chiamarsi libere, trescavano intente a voltare Tuna a
danno dell'altra i malumori delle corti. Vedemmo già che rete
d'odi nostrani e forestieri fosse gittata sopra Venezia; Firenze
aveva accomunato la fortuna sua con quella di Francia; Pisa
non aveva speranza che nell* Impero ; Siena, Lucca, Genova
erano interessate a sorreggere Pisa; e Genova soprattutto,
per cagione dei commerci suoi, facevasi a parteggiar per
la Spagna."* Ciascuna pertanto di queste città, e con esse Ve-
nezia, sulla quale pendeva già il colpo combinato e certo, era
esposta a soggiacere al contracolpo incerto della politica in-
ternazionale. L'oratore dei Fiorentini alla corte di Francia,
Francesco Pandolfini, con trista e sottile accortezza serviva
all'egoistica utilità della sua repubblica. Egli ne' suoi dispacci
trasmetteva notizie che oggi ci fanno fremere d'orrore e d' in-
dignazione, quando si ripensa ch'esso scriveva colla sicurezza
che i Dieci e la Signoria ne avrebbero per fermo goduto. —
Un giorno è il Rubertet che gli dice: « e' sarebbe a proposito
levare questo nidio di Siena allo Imperatore, non perchè questo
anno sia per passare, ma acciocché per lo avvenire non abbi
1 V. Lettre» de Louis XII et du card. d'Am&oise, Brasselles, 1712, t« i, 43, « car it
n'y a ea que parolles ». Ibid. II cardinale d^Amboise scrive airarcidoca Filippo, a* di 1^ di
settembre 1504 : « combien qu'il me eussent tenu parolles de bailler et restituer le royaame
à voas moDsieur au protfit de monsieur yotre fila et madame Glaude, toutesfois depuis ils
avoient bien pansé, et que lenr sembloit que leur conscience ne seroit jamais bien deschargée
si ne se rendoient au Roy Federic et que dei le commancement c*& toqjours esté leur in-
tentioq et que sMls ont tenu quelques autres languages, c'a esté pour avoir paix ».
* Le Glat, Négociatione dipìomatiqueSj t. i, pag. 138.
* Shakespeare, Romeo and JuUet, act. ii, so. 2^.
* Desjardins, Négotiations dipìomatìqi^etj t. ii, Lettera éU Fr. Pandolfini da BloU
a* dÀ 10 nov. 1505: « e che si ricordino che gli Spagnuoli hanno il Regno di Napoli libero,
e che un pontefice bisogna stia con loro, per la sicurtà; e che li genovesi dipendono assai
da loro per hauere sempre gran mobile in Ispagna, e che senza Genova male si possono
conservare lo stato di M lano ».
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secondo] cupidigie REPUBBLICANE. 385
causa di pensarci. ^ — Un altro giorno è il re che, alludendo alle
turbolenze de* Genovesi, gli confida come aveva disegnato pu-
nire qualche errore commesso da loro, e che questa era la via
a castigarli, e che ne trarrebbe ad ogni modo qualche danaio.
« E commendando io (seguita il Pandolfini) il disegno di sua
maestà, quella soggiunse: — Io amo più presto e' danari che il
sangue, l'opposto di quello che si fa in Italia ».2 — E circa un
mese dopo: « Io penso presto dare loro una bastonata che
vi maraviglerete. E aggiungendo io, (il Pandolfini sempre):
poiché mandano danari in Pisa, è segno ne anno assai, sua
maestà rispose: « Lasciateli fare, state a vedere che io li con-
cerò bene >.3 E come ciò non bastasse, il fiorentino ambascia-
tore aggiunge: « io qualunche volta ne ò avuto occasione, ò
fatto sempre quello che richiede il debito verso e' Veneziani >.
E dire che ancora non a tutti gì' Italiani questi tempi com-
paiono vili!
Del resto, Genova era anch'essa un'opportunità, come Bo-
logna. Forse niun'altra città in Italia aveva fazioni così molte-
plici, così rugginose, così accapigliate, come quella repubblica
mercantesca. Adorni e Fregosi, nobili e popolani, mercatanti e
plebei la dilaceravano; tanti ceti erano e tanti odi, pronti,
purché la parte contraria non istesse sopra, ad accollarsi anche
il giogo degli stranieri; e la riviera provenzale, che, s'acco-
stava così acconciamente alla ligure, pareva solleticare la cu-
pidigia di Francia ad incorporarsela. Chi è signore di Genova,
tiene malgrado chi che sia la chiave d' Italia,'* dicevasi da' Fran-
cesi, e però si consigliava tenerla « en amour et crainte ».
Laonde Genova, come a scongiurare il pericolo prossimo, s'era
per tempo afiermata camera dell'Impero lontano; aveva tenuto
lo stemma imperiale dipinto sulla fronte della grande aula del
Palazzo; impresso il grifo nella propria moneta; ^ e quando
si condusse a cedere il dominio di sé stessa a re Carlo sesto,
volentieri erasi sobbarcata all'obbligo di portare su' propri ves-
* Desjabdims, op. cit., t. 11. pag. 161.
« Ibid., pag. 189, « die 25 ottobre 1506. » — Però a ragione scriveva Mabin Sanuoo,
Chronicon Venetum in Muratori, Script, t. xxiv, pag. 163: « non v'è cosa al mondo che
co* francesi non s'acconci per danari ».
> Ibid. « die 24-28 noverabris », pag. 192.
* Jean d*ActuN| Chroniques, ad ann. : « Car quiconqae est seigneur de Gènes maigré
tout le monde aura son entrée dedans le pays d'Italie ».
' et. Senarbga, De Rebus Qen%^ensibtu in Muratori, Scriptores, t. xxnr, 575. GiaSTi-
MiAKi, Storia di Genova, lib. vi. Foglietta, Istorie di Genova, lib. xii. Sbmkbnbbrq, Im-
pera germanici jus oc possessio in Genua ligustica ejusque ditionibìM, pag. 250.
ToMMASiNi - Machiavelli. 25
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386 CAPO QUINTO. [l
siili da una parte l'arma di Francia, e dall'altra, quasi val-
vola di sicurezza per l'indipendenza pericolante, quella del-
l' Impero.
Ma nel 1502 il Ravenstein in mezzo agli apprestamenti
delle feste con cui Genova s'apparecchiava ad accogliere Luigi
duodecimo, aveva fatto sparire dal palazzo comunale l'aquila
che fin allora v'era restata sempre, e appostovi in sua vece i gigli.
Il fatto parve brutto e indegno; malgrado ciò tutti stettero
cheti. Re Luigi ebbe desto solo il sospetto del popolo: niuna
simpatia, niun affetto; e Giovanni d'Autun, cronista cortigiano,
indarno in quella occasione provossi rappiccare, per via del
romantico amore di Tommasina Spinola, con qualcosa di geno-
vese la memoria del re di Francia. Cotal leggenda che non
à elemento in sé che non ripugni alla storia, non ebbe eco
nel popolo, il quale non intese mai nulla di quella tradizione
e di quel fantasticato intendio.^ Bensì quell'amoroso re par-
lava di Genova al Pandolfìni, come d'una città per cui non si
anno certo tenerezze platoniche. Le frasi consuete, con cui
accennava le intenzioni sue verso quella erano: ^ darle una
mazzata », « imbrigliarla per vari versi, in modo che non abbia
più in futuro a dubitarne ». Gl'intendimenti erano belli e fer-
mati : « levare via San Giorgio, pigliare quell'entrate lui, fare
un buon castello dove al presente è il fanale ».^
E a recar ad effetto questi divisamenti quando le occasioni
mancassero, era facile provocarne. Le divisioni feroci tra plebe e
nobili infuriavano: quest'ultimi avevano trovato facilmente ap-
poggio fra i gentiluomini francesi: un po' più di spinta che si
desse alle cose, e i disordini sarebbero nati, e la necessità di
rimetter ordine avrebbe dato agio e pretesto al re per condurre
la propria bisogna.^ All'incontro la plebe ligure, cara al papa
popolano, ligure, insoffrente del nome francese, irritato contro
il cardinal d'Amboise che pareva disturbargli ancora il papato^,
sentiva piuttosto solletico che conforto dall'autorità del pon-
^ V. A. Nbri, Osservazioni criticfie intorno all'aneddoto di Tommasina Spinola e
Luigi XTIf nel Giornale ligusticOy anno vi, pag. 183-198.
* Desjardins, op. cit., t. II, pag. 197, 216, 2221.
> Jean d'Autun, Chroniques, ad ann. : Il Ravenstein prevede « ce qne poarroit estre
-cause de convertir division civile en ribellion pnblicque ». V. Molini, Documenti di storia
italiana, voi. i, pag. 47-53, il « Memoriale de le cosse accadute in la subUvatione de iì
popoli de Oenes ». — « Et primo che li mali governi e cativi comportamenti usati per li
oificiali et ministri del Cristianissimo re nostro in dieta città e Riviera e Valle hanno cas-
sato in grandissima parte diete sublevatione ».
« QuRrTA, lib. vili, pag. 152: « (El cardinal de Roan) era el absoluto goviemo del Rey
de Francia; y pasclo en platica, offreciendole el Reyde Romanos de faaorecerle para qne
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BBCONDoJ RIVOLTA DI GENOVA. 387
teflce, si che il Fleurange ebbe a scrivere che quella di Genova,
in fondo fu guerra di preti.^ E non pur vi mettevano le loro
bizze Giulio secondo e il cardinale di Rouen ; ma il Roquebertin,
luogotenente, vi aguzzava puntigli fra lo Chaumont, nipote
del cardinale, e Filippo di Cleves, conte di Ravenstein, regio
governatore, che a questo era nemico. Tuttavia malgrado tanti
incitamenti sciagurati, in sul principio il popolo genovese aveva
senno: opponeva giustizie alla provocante superbia signorile,
facendo tutto in nome di Francia. Mancavano gli autori, scrive
il Senarega,* più che le opportunità alle sedizioni; né papa
Giulio poteva disporre di forze valide a sostentare apertamente
la plebe che gli era a cuore; aveva anzi dovuto sopportare
mortificazioni e minacce da quel re che tutti sapevano essere
nelle mani delFAmboise. ^
Ma alla francese provocazione fu facile mutare, quando
volle, il dissidio interno in esterna ingiuria. I Francesi d'allora
non intendevano che fosse democratia : il nome di tribuni della
plebe che risonava in Genova, offendeva le loro orecchie feu-
dali ; gli assalti che la popolaglia faceva alle ville e ai castelli
de' nobili erano giudicati ribellione aperta alla Francia. Il po-
polo furiosamente aveva deliberato ritogliere Monaco ai Gri-
maldi ; assunto capitani da Pisa per condurre l'assedio di quel
luogo forte, sul quale non potevano accampare diritto che per
privilegio imperiale; ^ dunque Genova implicitamente si affer-
mava camera deir Impero, dunque si ribellava; e re Luigi le
piombò sopra a compiere gli avari disegni, manifestati al Pan-
dolfini.
fuesse creti'lo sumo pontiiice, lo que el desseava, no solo con ambicion, pero con odio grande
que tenia al papa Julio ».
1 FLEURANTfR, MemotTes, a proposito della guerra di Genova» cap. vi : « et puis donc
qu'avons entrepris à parler dea prestres je veux bien que sachiez qu'ils feurent cause de
Tentreprise dudict voyage, dont bien en print au Roy, comme vous diray cy-après ».
' Senarega, De rebus genuensibuSy loc. cit., pag. 583; « potius auctor seditionis quani
occasio defuisse videtur » — ibid., pag. 585: « quotidie literae intercipiebantur in quibus
spem oinn«3in eorum (nobilium) coUatam fuisse apparebat, dicentes impossibile videri tan-
tam in vulgo fere diuturnam constantiam ».
* Desjardins, op. cit., t. II, pag. 2^: « (Il Re) aveva fatto intendere al papa che, so
lui si travagliassi delle cose di Oenova, che subito gli rimetterebbe messer Giovanni in
Bologna, soggiungendo che lo potrà fare con una lettera solo; e mi donerà anche cento
mila ducati ».
* « Privilegium Maanmiliani I dalum Vìgevani die 20 seplembris 1496 » in Domont
Corps diplom.f t. iv, p. 1*, pag. 172". LUnio, Codeco it. dipi, t. ii, 2119. Sknkenbbbo, Im-
pera germ. jus ae posseaaio irt Oenua Ugtutiea, pag. 118. Di Monaco cosi scrive il D*àu-
TUN, mettendo il discorso in bocca ai popolani di Genova: « c'est la place de Monigue,
qui est assise sur la mer et marchissant à not terree, «ntre le comté de Nisse et nos fins ».
— « et tellement, que si une fois pouvoìt estro entro nos mains, le roy de Franco par sou
"dict pays de Prnvence ne pourroit avoir entn^ sur nous ».
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388 CAPO QUINTO. [libro
Spense con forche e mannaie i capi popolari, impose alla
città grave taglia, abolì franchigie e privilegi; < fece una
fortezza, fortissima di tutte Taltre delle quali al presente si
avesse notizia: perchè era por sito e per ogni altra circostanza
inespugnabile, posta in su una punta di colle che si distende
nel mare, chiamato dai Genovesi Codefa; e per questo batteva
tutto il porto, e gran parte della terra di Genova colle bom-
barde » ^ e tuttavia dopo aver percosso e stretta colla fame la città,
— senza pungiglione — < non utitur aculeo rex cuiparenius >,
con questo motto sulla divisa, il giorno che v'entrò col terrore
si lusingava di darle a bere la clemenza sua. Due giorni dopo
il Pandolfini scriveva a Firenze: « questa maestà sarà manco
secura di Genova, che prima ».^ Il fatto provò vera TafiFerma-
zione dell'ambasciatore, e il Machiavelli ebbe poi ad annoverare
anche quella del Capo di Faro tra le fortezze inutili.
Se non che Giulio secondo di questa sottomissione di Ge-
nova erasi profondamente indispettito. Quando il cardinale di
Narbona, Francesco di Clermont, andò a dargliene notizia da
parte del re, lo vide, lette le lettere, impallidire nel volto,
avendone per tutta risposta un : non ci credo.^ S' immagini poi
l'Imperatore che scalpore movesse di questa ingiuria novella,
inflitta alla maestà deir Impero, coiraccompagnamento di tutti
quei segni offensivi, che certe volte ai potenti paiono più ol-
traggiosi dell'oltraggio sostanziale. L'aquila dell'impero cac-
ciata via dal fiordaliso, il grifo imperiale tolto via d' in sulle
monete gli parevano affronti da dover sollevare in un momento
tutta Germania, se questa avesse avuto il sentimento dell'im-
pero, come l'aveva lui. Che se la non si scoteva questa volta,
in cui l'offesa era prossima, in cui Bertoldo di Magonza, il più
infenso oppositore che Massimiliano avesse mai incontrato fra
i principi elettori, era morto; se non faceva ora il suo sforzo
supremo, quando erasi mostrata già disposta ad assecondarlo allor
che voleva fare il passaggio a Roma, non c'era a sperare che
in altro momento riuscisse più muoverla.
Intima pertanto ai principi e alle comunità germaniche
una dieta pel di 27 d'aprile, il martedì dopo la festa di San
Marco, a Costanza, deciso o a far riconoscere le ragioni del-
l'Impero in Italia, riconquistando colla forza l'autorità caduta
^ Macbiavblu, Discorsi^ ii, 24.
' Dbsjahdims, loc. cìt., Dispacci del 28 aprile-i^ maggio 1507, pag. ^5.
' Jbam d'AutuNi loc. cit., ad annum.
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BBCOifDo] CONVEGNO DI SAVONA. 389
in discredito, impegnandosi cioè contro la Francia in una guerra
a oltranza e fatale ; o a non portare la vanità d' un titolo che
lo rendeva capo illusorio ed illuso della cristianità- — 4f Piut-
tosto duca d'Austria, ma duca; che imperatore e vituperato >,
aveva egli già detto altra volta agli elettori,^ e ora si appa-
recchiava a ripeterlo colla stessa solennità e colla lusinga di
far maggior impressione ne' suoi tedeschi.
Questi apprestamenti, com'era naturale, davano a pensare
non poco e a Francia, e a chi teneva per la parte francese;
e soprattutto a chi non sapeva, nel gran duello ch'era alle
viste, da che parte gittarsi. La Francia recentemente aveva co-
minciato a considerar l'Impero come qualcosa di inen fiacco
che non avesse creduto prima; sia che veramente gli sembrasser
mutate le intrìnseche condizioni di esso, sia che guardasse il
nemico coU'occhio cauto di chi già sente la mischia vicina.*
Ora il re di Francia e quel di Spagna s'erano incontrati in
Savona "a convegno. Ferdinando, già abboccatosi col pontefice
ad Ostia, n'aveva portato l'animo mal soddisfatto; che, richiesta
a Giulio secondo l' investitura del reame di Napoli, gli era stata
rifiutata. Era dunque naturale che l'avversione di lui e quella
di re Luigi pel papa ligure, il quale si era immischiato nelle cose
di Genova, si concertassero insieme, e che TAmboise se ne
giovasse per indurre i due re a pensare, come dicevasì, alla
riformazione della chiesa; alla deposizione cioè di quel papa
molesto, al quale egli aveva dovuto cedere in conclave e cui
era sempre in ismanie per surrogarsi. Dappoiché quel pontefice
non era amico della Francia che avevalo beneficato; non inten-
deva la politica necessità che doveva gittar sempre il pontifi-
cato alla parte francese ogni volta che la Francia stava contro
all'Impero; non sentiva più che cosa per la santa sede signifi-
casse il re cristianissimo. ^ Così pensava l'Amboise, inaugurando
1 Nella Relazione di Zaccaria Contarini (ann. 1502): « E rimporador, si dice, Mt do-
ni intcs totiui orbis, tamen di lo terre franche à pocha intrada e ne son di quelle non pagano 0
a r imperio; adéo il re a ditto più volte vorria esser duca d*At]8tria, perchA saria stimato
di:ca, che imperator e vituperato ». — Cf. Rankb, DeutaeJis Oasehiehte im Zeitalter der
ReformatUm, voi, i, pag. 98.
* Dbsjabdins, loc. cit., pag. 155. Dispaccio de* 20 die. 1505. « Costoro stimano le cose
dello Imperio molto più che forse non pensono le S. V., per essere al presente li elettori
tutti uniti alla volontà della Cesarea maestà, etc. »
> MoNTAiGLON, RécueU de poésiea franooUet du XV e XVItUcle, pag. 138.
Mais est centra, tousjours, le temps passe
Quant on a veu de Romme deschassé
Quelque pape, pareillement les siens,
Ainsi qu'on lit és livres anciens,
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300 CAPO QUINTO. [LiBEa
quella politica cardinalizia che bastò a non far pesare sul go-
verno e sul popolo francese il giogo della intromissione ec-
clesiastica.
Ma ben diversamente intendevala Massimiliano; il quale
vedeva con dispetto l'adescamento che la politica di Francia fa-
ceva alla chiesa, e rammemorava a questa che tutto quel bene
che i papi riconoscevano da Carlo Magno, avevanlo ricevuto
dall'eroe franco, non meno imperatore che tedesco; ^ e trovava
assai logico che per l'ideale connubio fra il pontificato e
l'impero, il pontefice si tenesse sempre saldo alla parte im-
periale e germanica. Anzi, spingendo la logica e l'antiveggenza
sino alle conseguenze estreme, gli pareva che fosse a studiare
il modo onde quel connubio si rendesse possibilmente indissolu-
bile. La tattica del re di Francia, che metteva gì' interessi ec-
clesiastici della nazione nelle mani d' un cardinale soggetto e
signor suo nel tempo medesimo, gli sapeva mal sicura. D'altra
parte egli, il re sapiente, il Weiss kunig, riscaldato dagli uma-
nisti italiani e germanici che l'attorniavano,^ a restituire l' im-
pero romano nello splendore della sua antica grandezza, sapeva
che l'imperatore romano aveva già portato il titolo di pontifex
maximus; però pensava sarebbe stata utile faccenda per lui,
nell'andare ora a Roma, ripigliarsi la dignità d'imperatore e
di pontefice insieme.^ A questo partito un qualche cardinale,
Les roys fran^is en son aiége papal
L'ont restably; de quoy très crestiens
Sont appelez; c*est le point principal.
^ V. il Manifesto pubblicato da Massimiliano nella Dieta di Costanza, in MUllbr,
Rnehi-Theater-Staaly 560-575, allegato dallo làoBR, Ueber Kaiser Maximilian's I VerhaU^
niss zum PapsUhum^ nelle Sitzungberichle der Wiener A*., voi. xii, pag. 2i9, « Was
Karl der Grosse den Pàpsten gegeben, das gab Er aus kaiserlicher WUrde und Macht,
ala ein gebomer Deutscher und nicht als Franzose ».
* Cf. ZiNGERLB, Beilrdge zur Geschichte der Philologie^ Innsbruck, ISSO. De carmi-
nibu9 latinis saeculi XV et XVI ineditia^ passim. Stba.uss, Ulrich won Hutlen^ pag. 56
e seg. — E Angelo Cospo bolognese, nella sua dedica a Massimiliano della versione della
storia di Giovanni monaco, pubblicata a Venezia nel 1517 insieme alla traduzione di Dio»
doro siculo fatta dal Poggio : « plurima sunt huius animi tui exempla, sed memorandam
atque insigne maxime, quod audito Caesarum, qui Romae aut Byzantii regnarunt, historiam
graece scriptam esse a Jeanne Monache, in eam venisti sententiam, uti illam latinitate &
quopiam denari studeres, verbumque illud nobile protuleris: cupere te omnibus viribua
instaurando romano imperio opitulari ».
* V. Estratto àeìV Istruzione di Massimiliano imp. a Giorgio di Neideek^ vescovo di
TrentOj d, in Costanza a* dH iO git*gno iS07, edito sull'originale della bibl. viennese dallo
JaGBB, Silzungsberichte d, k. Ah. d, W. voi. xn, pag. 43S. « herauf gewenndt und unnsem
anslag gemacht liaben gen Rom zu ziehen, und Babst und Kaiser zu verden. » — E nella
lettera a Paolo di Lichtenstein, «Brixen 16 sept. 1511 »: « ac constituerimus pontiflcatom
romanum, si quoque modo ad illum pervenire possemus ambire ac appetere; in id omnes
nottras cogitationes ab eo tempore semper conjecimus; namque domi docti sumus et ita
sese res ipsa habet, nihil nobis honorabilius nihil gloriosius, nihil roelius obtìngere posse,
quam si praefatum pontificatum, ad nos proprie pertinentem, imperio nostro recuperaremus »,
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secondo] MASSIMILIANO VAGHEGGIA IL PONTIFICATO. 891
cui poco più 0 poco meno di confusione nella chiesa non dava
noia, sembra l'incoraggiasse; e a chi ben pondera la diversa
ragion dei tempi, verrà fatto di leggieri di ravvisare in quello
men forse impossibilità che pericolo. Poiché in fondo a questa
idea, che a' nostri tempi per consuetudini e pensieri mutati
par quasi inconcepibile, v'era il presagio dei tempi che s'av-
vicinavano, in cui la potestà civile e religiosa si riunirono
e compenetrarono novellamente; v'era la base accomodata dal
pregiudizio classico, su cui era facile a Massimiliano fondare
la pretensione propria. Né la sua qualità di laico per rispetto
alla chiesa poteva parer grave ostacolo; il concilio di Basilea
non aveva egli eletto a papa un laico nell'ottavo Amedeo di Sa-
voia? Pertanto, papa Giulio aveva cagioni di sospetto, di diffi-
denza, d' irritazione per ogni lato. Che se nel campo ecclesiastico
da parte dell'imperatore poteva temer meno, paventava vederselo
colle sue fantasticherie cesaree fra le mura di Roma. D'al-
tronde r ira sua più profonda era contro Francia, contro l' Am-
bo ise, e non ammetteva possibili vie a placarla. ^ Di soprappiù
siccome tanto il re quanto il cardinale s' industriavano a rabbo-
Cf. Letlres du roy Louis XII, t. in pag. 324. n Voltaire, il quale non conosceva il primo di
questi documenti, giudica di questo disegno di diventar papa solo quando Massimiliano intese a
procurare che Qiulio II lo nominasse a proprio coadiutore con diritto di futura successione :
«C*estcette année(1512) que Maximilien fait proposer à Jnles de l'accepter pour son coadjuteur
'lana le pontificat. Il ne voyait plus d*autre manière de rétablir Tautorit^^ imperiale en Italie.
Cast dans cette vue qu'il prenait quelque fois le titre de pontifex maximua, k Texemple dee
empereurs romains. La qualité de lai'que n'était point une esclusion au pontificat. L'exemple
récent d'Ainédée de Savoie le justiflait. Le pape s'étant moqué de la proposition de la
coadintorerie, Maximilien songe à lui succèder; il gagne quelques cardinaux: il veut
emprunter de Targent pour acheter le rest des voix & la mort de Jules, qn'il croit pro-
chaine. Sa fameuse lettre à Tarchiduchesse Marguerite sa Alle en est un témoignage sub-
«istant encore en originai ». (Voltaire, Annalea de l'Empire^ ad ann.) — V* è più intuito
storico in queste parole del filosofo di Ferney che nelle numerose scritture cui questa pre-
tesa imperiale al pontificato diede occasione. V. Taccurata notixia bibliografica che di queste
dà lo JiioBR, loc. cit., pag. 199 e seg. — Del resto lo J&gbr medesimo nella sua dotta dis-
sertazione non riesce a provare con saldi argomenti che Massimiliano ponesse mai gli occhi
sul cardinale Adriano da Castello come sopra un proprio candidato alla sedia pontificia.
1 Fra le Requestea du pape nelV arresi du Roy des Rommait%s in Montaiqlon, lòc.
cit., pag. 140-141, si legge :
Premierement, si bien je rememore
Il requeroit qu*on Iny rendisi le More
Et quMl fust mis a'ran^on sans remise,
Que Génes fust en liberté remise
Et tiercement que messire Mercure
Luy fust livré pour mettre en chartre obscure,
Lny mettant bus. pour son cas ma^^onner
QuMl a de fait (cuvdè) Tempoisonner.
Pour la quarte prétend que, se voyage
On ouvre an roy des Rommains le passage
Quintement, veult par vindication
Les registret de la legation,
Et au surplus, sans cause iurisdicque
Veult en ses mains ravoir la pragraatique, etc.
n MoNTAiGLON annota che il Mercure a cui accenna la canaone possa esser forse Carlo
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398 CAPO QUINTO. [libro
nacciarlo, lisciarlo, scusarsi ; egli, clericalmente inorgogliendo.
deduceva ch'essi sentivansi ritrosi all'azione, perch'eran deboli,
E veramente il fianco infermo lo avevan mostrato all'as-
sedio di Genova, quando re Luigi, che co' Fiorentini erasi van-
tato di non volersi giovar nelle imprese sue se non di soldati
forestieri, provò in quella fazione la poca fermezza de' Francesi
a' petto agli Svizzeri ed eccitò il malumore di questi. Cosi che
papa Giulio s'era avveduto che chi riuscisse ad alienarglieli,
gli porterebbe via a dirittura le migliori sue armi.
Ma se l'arrendevolezza francese giustificava queste sue in-
duzioni, l'altera durezza veneta tradì coU'ostentazione i computi
ch'egli faceva sulle forze di quella repubblica. Egli le mo-
strava una inimicizia occasionale; ma non voleva infrangerne la
potenza, che pur troppo supponeva maggiore di quel che in vero
non fosse; ben§ì disegnava piegarla ad aggiogarsi alla chiesa; ne
questo gli era sperabile se prima coll'autorità pontificia non
l'avesse ridotta a prostrarsi a Roma per un momento, per ri-
sollevarla poi subito come potente braccio della chiesa e d'Italia.
La punizione de' torti procedimenti di Giulio fu nello sbaglio del
computo. Egli che istigava i Francesi contro a Venezia, che
incorava i Veneziani a negare il passaggio all'imperatore per
venire a Roma, mandava presso a Massimiliano Bernardino
di Borbone, sire di Mercoear, che fu airassedio di Genova e divenne più tardi connestap
bile; similmente avverte: « on appelait la légation les pays séparés des Etats romains
proprément dita et placés sons le gouvemment temporel du pape ». Ma forse Mercure, è
pseudonimo mitologico che s'accorda con altre indicazioni del componimento. A pag. 190,
per esempio, si legge:
« Saturno et Mars par aspec inhumain
Ont le coeur gres gonfie comme une yragne
Et aux pays quMlz tiennent soubz leur main
L*eflfbsion du pauvre sang humain
Vont poursuyvant par champ vai et montagne »
e non sarebbe difficile che dopo Saturno e Marte quel Mercurio fosse li collocato per adom-
brare il cardinale di Rouen, il quale a cagione della qualità sua poteva ben rappresentarsi
come un caduceator fra gli dei ; ed era accusato presso a papa Giulio d* insidiargli la vita.
Cf. Bbosch, op. cit., cap. v, pag. 137 e l'estratto di lettera airoratore veneziano in Francia,
da lui citato. (Arch. ven. Sen. secr. yl, fol. 213) : « In questi zomi siamo sta fatti certi
che la St& sua fece lezer una letera al orator franzese agente appresso ley, la qual pareva
fosse scripta da Venetia, et significasse che la Bm sua se dovesse guardar la vita per le
insidie li faceva el Rmo Rothomagense legato ». La lettera è in data de* 4 febbraio 1507.
È poi evidente che pei « regislret de la légation » sono a intendere i registri della lega-
zione di Francia, già concessa al card. d'Amboise da Alessandro VI « concessione, dice
il Guicciardini, che per esser cosa nuova, e perchè divertiva (ancora che non vi fosse
compresa la Brettagna) molte faccende e molti guadagni dalla Corte di Roma, fa riputata
cosa molto grande ». {Storia d'Italia, lib. v). Potrebbe anche essere che il « m«ssirtf Jf«r-
curt » sopra citato fosse quel tal Mercurio, di cui è proposito ne* Diarii di Mabik Sanudo
(t. IV, pag. C2 per una Copia di letera da Lion di Piero Aleandro de*S6 gitano Ì5(H.)
il quale spacciavasi pel figliuolo di dio, faceva prodigi, era tenuto da re Luigi in totto
qnell*onore che può aversi ad uomo : « Beato quello che qtkando egredUur lo poi veder et
faonorar ! Raro apparet, et uno complectar verbo : tenet artem. » — V. più oltre Introd., 1. ▼
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8BCOKD0] N, MACHIAVELLI OSSERVA IL CARVAJAL A SIENA. 308
Carvajal, cardinale di Santa Croce, in qualità di legato^ col-
l'incarico di sorvegliare l'andamento delle cose in Germania,
d' insistere con stimoli, più che non gli fosse riuscito con brevi
e con nunzi, a'danni di coloro che il re de' Romani aveva già
chiamato gl'infedeli d'Italia;* e quand'altro non si potesse,
d'avvisare del pericolo in tempo.
Il cardinale parti da Roma a' di 4 d'agosto per la via di
Siena, A' Fiorentini, che si confortavano della passata dell' impe-
ratore col non crederla, e volevan trarre argomento d'ogni
minima apparenza per congetturare gli avvenimenti spera-
bili, parve che non fosse da trasandare d'osservar bene il
traino del cardinale, quanto fosse solenne, come ei fosse accolto,
chi gli facesse le spese, con che maniera di donativi venisse
onorato; cose tutte assai piccole e lievi; ma chi non sa quali
conclusioni usan trarre i politicanti da un po' più o un po' meno di
cerimonie? e quanti darebber segno d'arguzia se la non avesse
ad esercitarsi che sopra fatti gravi e con induzioni propor-
zionate? Si spacciò dunque il Machiavelli, il quale per tutte
queste cose pareva in cancelleria l'uomo più adatto.
Egli arrivò a' di dieci a Siena che il cardinale si tro-
vava ancora ad Acquapendente; la sera appresso Niccolò al-
berga a San Quirico, luogo pel quale le genti del Carvajal
dovevano passare; ma questi se ne va invece a Pienza, dove
i Piccolomini lo anno invitato. Cosi il corteggio si divide in
due: Niccolò dietro al cardinale manda un cavallaro, ed egli
invece si rimane a San Quirico a numerare i cavalli, e gli
accompagna finché sìa bene « sgocciolato ogni cosa ». Som-
mando le due compagnie trova che l' insieme « non aggiugne
a centodieci cavalli »; tuttavia il maestro di casa e i corti-
giani, — « faccie che paiono la maggior parte di loro usciti dalle
stinche » — dicono che ne à seco centocinquanta: «e fanno per
far numero più onorevole >.* Del resto i signori non ospitano
il legato a pubbliche spese ; questi alloggia nel vescovato, i gen-
tiluomini per le case di cittadini, la ciurma per le osterie. Bensi
al Carvajal offrono un presente di cose mangerecce, di cui il
Machiavelli trasmette la nota; come cosa che allora non aveva
meno importanza che non abbia oggi il menu d' un banchetto ofiì-
^ QiTBiTA, op. cit. lib. vin, pag. 152 « Venecianos, qne el R67 de Romanos Uamava
lot Infideles de Italia ».
* Machiayblli, Cammù^ons terza a Siena, lettera 2^. ^ Tutta la commissione ta. spe-
dita con tre lettere « die x, xii, xiy augusti Senis ».
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3W CAPO QUINTO. [libbo
cialci Peraltro il popolo di Siena aspetta V imperatore a gran
festa: 4f è desiderato da tutti; donne notizia alle S. V. perchè
in simili accidenti le voluntà de' populi sogliono essere disforme
a e'capi loro ».^
Questo inciso non era gittate là senza qualche intenzione.
Nella terza lettera di questa commissione, il segretario ag-
giunge poche parole che possono parere la dichiarazione di
quell'affermazione sua. A Pandolfo, dice lui, questa venuta del-
l'imperatore dispiace assai, « come colui che sta bene e non
vede più guadagno né travagli ». Se non che il Petrucci, circa
un mese innanzi, aveva ricevuto una lettera di Massimiliano
4c con molti particulari in sua esaltazione, la quale lui comunicò
alla Balìa e a più arroti, e se ne onorò assai ». Il Petrucci
non crede alla passata dell'imperatore; se mai passasse, stima
ch'ei non farebbe bene a nessuno, altro che a' Pisani; pensa
tuttavia che gli Svizzeri e i A^eneziani non tengano fermo e
ch'ei non verrà. « Nondimeno e' si va preparando prima di far
credere qui che lo 'mperadore li sia amico, per tórre favori
a'malicontenti; secondo, di fare con effetto che sia, benché infino
ad iermattina ei non avessi ancora auto lettere dal mandato
suo 2 allo 'ny^eradore >.
Quest' ultime parole di Niccolò sono una specie di spiega-
zione e di commento a quelle prime; dappoiché é lecito con-
getturare che in Firenze le cose andassero assai diverse da
Siena. E veramente, più che congetture, si avrebbero afferma-
zioni esplicite che ce ne certificherebbero, se l'autorità del Guic-
ciardini trovasse certo riscontro nei documenti contemporanei.
Egli infatti racconta che Massimiliano, convocata la dieta a Co-
stanza, mandò un uomo a sollecitare il Governo e la città di
Firenze < a volgersi alla via sua », ^ indirizzando il suo messo
con una lettera di credenza non già al Gonfaloniere perpetuo,
come sarebbe stato naturale e conveniente; ma ad Alamanno
Salviati, che gli era nemico ; che però non favoreggiava l'al-
leanza francese; e che si considerava come il capo autorevole
e potente del contrario partito.
Un tal procedere indegno e strano potrebbe sembrare del
tutto incredibile, se non si avesse a fare con quella potestà
< Machiavelli, loc. cit., lett. 1".
* n VbttohIj Viaggio in Aìemagna, pag. 121, dice che grinTÌati da'Sanesi airimp^
ratore erano Domenico Placidi e Anton da Venafro.
* GuicciABDim, Storia fiorentina, cap. 30, pag. 345.
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MCOKDo] IL SODBRINI VUOLE UN SUO FIDATO IN GERMANIA. 3»
che, sapendo d'essere riguardata dall'universale come il fonte
d'ogni civile diritto, poteva accomodarsi co' fatti a tutto suo
piacimento ; potrebbe sembrar del tutto incredibile, se non fosse
appunto il genero d'Alamanno Salviati che lo riferisce; ma
d'altra parte il Guicciardini medesimo nella sua maggiore storia
tace affatto di questo particolare; né si ritrova negli archivi
fiorentini o in quei dell'impero vestigio alcuno di quella lettera
che Massimiliano avrebbe scritta al Salviati. Tuttavia, se del-
l'esistenza di quella lettera e d'ufficiali trattative iniziate dal-
l'imperatore con altri che col capo dello stato ci è lecito du-
bitare, non è a discredere ch'ei lasciasse incitare gli oppositori
del Sederini, « perchè sapeva che lui, come il Guicciardini asse-
risce, non si discosterebbe mai da Francia >.^ Da' malevoli anzi,
si notava che il cardinale Francesco aveva in Francia entrate
e benefici per più migliaia di ducati: Sederini e Francesi erano
pertanto una cosa sola, e avrebbero accomunate le sorti loro;
ma avrebbero saputo strascinar seco anche quelle della città?
Eh, le città non si lasciano facilmente pigliare a'capelli ! * le
voluntà de'popoli sogliono esser disforme a'capi loro », scri-
veva Niccolò. — A Pandolfo Petrucci basta godersi l'appoggio
dell' imperatore lontano ; non lo brama prossimo, anzi lo
teme; ma pur egli sa preoccupare la via a' malcoltenti e fin-
gersi lietissimo della venuta di lui, E che fa invece Pier Se-
derini? ricorda egli l'esempio di Pier de' Medici cacciato dalla
sua città faziosa, quando la politica esterna gli afforzò contro
la fazione nemica? sa egli prendere una iniziativa coraggiosa
e precludere al Salviati la strada di danneggiarlo? sa mostrare
all'imperatore che il capo dello stato in Firenze è egli solo e
non altri? — Disgraziatamente il Machiavelli aveva già avuto
saggio del contrario; e in quel tristo saggio c'era andata anche
un po' di mezzo la persona sua.
Il Sederini, a' primi rumori della dieta di Costanza, per
vedere un po' come le cose procedessero, erasi proposto di
mandar in Germania nient' altro che un uomo; uno cioè, se-
condo il solito, che vedesse, che osservasse, che riferisse, e
nulla più. A questo disegno in massima non trovò opposizione;
ma non appena si trattò di destinare l'uomo che doveva an-
dare, allora le contradizioni s'affacciarono subito ed irritanti.
Il Sederini « vi voleva uno di chi e' si potesse fidare >;* così
. 1 OuicciABDiNi, Storia fiorentina, capo xxx, pag. 347.
* OuicciASDiNi, Storia fiorentina, cap. xxx, pag. 940.
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396 CAPO QUINTO. [libbo
dissero i suoi malevoli e aveva scelto a questo effetto il Machia-
velli. Ne nacque un gridio senza fine: il Gonfaloniere non
vuol sapere d'altri che degli arnesi suoi, di ferri di bottega,
di satelliti; c'era in Firenze flore di giovani da esercitare con
vantaggio in questa maniera di commissioni; le leggi avean
provveduto perchè venissero adoperati; ma lo stato diventava
partigianeria e fazione ogni di peggio.
Si mutò la scelta, sperando sedare ì rumori; il Machia-
velli, eh' erasi accinto a partire, disfece i suoi preparativi, e
andò Francesco Vettori, ^ con mandato generale di vedere e di
riferire, ma senza facoltà né di concludere né di trattare.
Parti il Vettori a' di 27 di giugno. Egli era giovane di
trentatrè anni; era già stato de' Dodici e degli Otto; poi po-
destà di Castiglione aretino; ma l'officio ora affidatogli, per
fermo se non il più alto, era il più arduo che potesse toccargli.
Ei lo aveva ottenuto a malgrado del gonfaloniere ; andava in
un paese ove le comunicazioni gli sarebbero state difficili;
sapeva di lasciare i suoi cittadini divisi nelle intenzioni,
ne' fini, ne' mezzi della loro politica; però, incerti rispetto a sé,
sospettosi degli altri, avrebbero fatto scarse e tarde provvi-
sioni all'occorrenza, e del male che fosse per seguitarne sareb-
bero stati prontissimi a gittar la colpa sopra l'uomo mandato.
Con una simile prospettiva c'era di che sentirsi sgomenti ; ma il
giovane scettico e sottile seppe provvedere a' casi suoi.
Tenne per l'andata la via di Verona e del Brenner,
donde avanzò sino a Costanza, ove la dieta era raccolta.
Quivi alloggiando all'albergo medesimo con un ambasciatore
del conte di Traietto, entra a conversare con lui in lingua la-
tina e s'informa di quanti prelati, quanti principi, quanti ora-
tori di comunità siano intervenuti a quella riunione : il vescovo
di Trento, quel di Coirà, il coadiutore del vescovo di Brixen,
il vescovo di Costanza, quel di Basilea, di Salisburgo, di Bam-
berga, d'Augusta, di Virzburgo, di Worms, di Spira; gli arci-
vescovi di Magonza e di Treviri anno risposto all'appello; quel
* Francasco di Piero di Francesco di Pagolo di Orannosso di Neri di Boccaccio Vet-
tori era nato nel 1474. — V. il Ricordo Ae' Magistrati che io Francesco^ etc. Vettori ho
avuto, nota tratta dal Codice autografo del Viaggio in Alemagna, e pubblicata dal Hsn-
MONT nell*A.rch. stor. app. t. yi insieme al Raccolto delle cuùmi di Francesco e di Pagolo
Vettori. — Al Machiavelli in questa occasione scrìveya Alessandro Nasi, commissario, da
Cascina « die xxx julii mdvìj »: Piacerai cha ti cha....88i la Imperiai commissione, poiché
Mi sacriflchato in tutto, et credo sia molto al proposito, masime tuo, troyarti più presto a
Firense che in Thodescheria, come dischorreremo una yolta quando saremo insieme » —
(BibL Nas. doc. M., busta iv, n. 57).
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8EC0KDO] FRANCESCO VETTORI IN GERMANIA. 897
di Colonia si era scusato « perchè sondo molto grasso non
si poteva quasi muovere; ma vi era un suo procuratore ».^
De' principi v'erano due figli del conte Palatino, il duca Fede-
rico di Sassonia, il marchese Joachim di Brandeburgo, il duca
di Wurtemberg, il duca di Brunswich, il burgravio d'Assia;
poi un numero infinito di conti, i quali tuttavia non avevano
che un solo rappresentante nell'adunanza, che' v' interveniva
in nome di tutti; e finalmente v'erano le comunità e le leghe.
Ben presto il Vettori ebbe ad accorgersi che le difficoltà
che prevedeva, gli erano a dismisura accresciute pel segreto
impenetrabile di cui alla corte imperiale si circondavano tutte
le deliberazioni. Gli ambasciatori eran tenuti lontano; notizie
non se ne sapevano; agl'italiani, eh' eran parecchi e con op-
poste mire, non restava se non incontrarsi la mattina nella
chiesa maggiore, e quivi accattar novelle o scambiarsi conget-
ture vicendevoli circa la passata, intorno a cui premeva egual-
mente a tutti d'aver certezza.
Tra Massimiliano e la Dieta passavano intanto grandi pro-
messe: egli amministrerebbe le future conquiste col consiglio
degli stati dell' Impero ; tutto rimarrebbe all' Impero quel ch'ei
conquisterebbe di terre e popoli, di città e castella; sarebbe rista-
bilita, secondo le conclusionifermate alla dieta di Worms nel 1495,*
la curia camerale, che da tre anni non funzionava; la dieta
dal canto suo aiuterebbe Massimiliano a conseguire la corona
imperiale e contrasterebbe a quelle imprese del re di Francia
che fossero a danno dell'Impero germanico. Di soprappiù un'am-
basciata degli stati imperiali alle leghe degli Svizzeri mette-
rebbe in chiaro le cose anche con quelle; fossero indipendenti,
ma tenessero le parti dell'impero, non favorissero Francia;
altrimenti la Germania reputerebbe gli Svizzeri pe' Turchi
suoi! 3
* Pr. Vettori, Viaggio nella 'Magna, descrizione ch'egli scrisse al ritorno, nella vil-
letta sua di Ceppesello, più per dar luogo a racconti sollazzevoli e poco decenti, che per
fornire di proposito storiche notizie. Ciò non ostante il Rkumont, (Arch. stor. app. vi, se-
rie 1^, pag. S64), la giudica « non già priva dMmportanza per i ragguagli intomo alle con-
dizioni di quei paesi e dei loro abitanti » ; e il Rankb, Deutsche Geschichie, t. i, pag. 107,
a proposito del racconto fatto dairoreflce di Ueberlingen, osserva esser questo un bel-
l'esempio del come la storia trapassi in mito : « es ist das v leder ein fìeispiel, wie die
Oeschichte auf der Stelle zur Mythe wird: in Einzelnen ist alles unrichtig, das ganze nicht
vòllig ohne Wahrheit ». — Questa Deseriiione del viaggio nella Magna fu pubblicata a
Parigi dal Salvi nel 1837. È divisa in cinque libri ; rimane interrotta prima dell'arrivo del
M. in Alemagna. Nel libro quarto è compresa una commediuola in un atto, sconcia e
di poco pregio, intitolata: « La Costanza da Casale di Monferrato ».
* Ranke, Deutsche Geschichte^ t. i, pag. 114.
' Rakkb, loc. cit. pag. 116: «i Crott verleihe uns den heiligen Geist, ruft ein Mitglied
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398 CAPO QUINTO. [umo
Tanto accordo manifestatosi questa volta nella dieta te-
desca dava luogo a credere che Massimiliano potesse dire sol
serio, che questa volta ei varrebbe a provare, secondo che
delle sue pretensioni motteggiavasi in Francia:
.... que da tous les humains
L'aigle il estòit et chef de tout le monde,
À qui pape, roys et ducs, pour le moins,^
Doivent honneur de la bouche et des mains.
Il Vettori partecipava al governo fiorentino tutti questi mo-
tivi d'apprensione ed insisteva perchè in mezzo a* fervorosi ap-
prestamenti altrui, la patria sua non si rimanesse a considerare
inoperosa. Del resto sentiva tutto il cruccio della propria con-
dizione: egli era stato mandato senza commissione speciale,
senza qualità che lo facesse spettabile, senza facoltà di trattare
o di concludere, senza danari; ed aveva che far con persone
le quali volevano parlar poco, subito stringere, pigliar danari
a ogni modo, e accontentarsi tanto meno diflacilmente, quanto
si desse loro danari più pronti. Invece a Firenze pareva che
questo fosse un di que* casi in cui la miglior risoluzione pos-
sibile stesse nel fatale < godersi il beneficio del tempo ».
Infatti, il tempo cui nocerebbe? pensavasi; a credere che l'im-
peratore scendesse davvero in Italia, pareva ci fosse sempre
agio; quando anche ei vanisse, sarebbe sempre a vedere fin dove
gli sarebbe dato arrivare.
« L*aquila vola e non si sa ancor dove » >
cantavano i poeti volgari; e poteva pur darsi che a quell'aquila
fosse contesa la via di Roma o intercetta a mezzo. Belereste,
solo quando il popolo scorgesse prossimo il pericolo, sarebbe
possibile indurlo a votare una nuova imposta; cosa che senza
una necessità imminente era risguardata per diflicilissima; e
di questo danaro si satollerebbe allora l'ingordigia imperiale
che non curava altro. Sotto la stretta della necessità anche
Francia non avrebbe potuto pigliare in mal verso la conclusione
d'un trattato coli' imperatore; né forse dolersi dell'abbandono
della alleanza infruttuosa seco, quando pur importasse mai
giungere insino a questo. E cosifiatte argomentazioni erano poi
aus, wenn wìr nichts ausrichten, werden wir die Schweizer mit Krieg tlberaiehn, sie f&r
unsero TUrken halten mtissen ».
^ MoNTAioLON, Récueil de poéties fìrancoises des XV et XVI.iiéeles, t, vi, pag. ISO,
V Arresi du Roy des Rommains,
* Valbntinblli, Regeslen znr deutseher Oesehichte negli Atti della r. Accademia
delle Scienze di Monaco^ volume ix, pagina 589, cita « epigratnmata tria eaudcUa vX
dicunt ».
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«■CONDO] LA « PRATICA » PROPONE N. MACHIAVELLI. 399
Tiemaggiormente afiForzate dall'intenzione recondita ch'era nei
governo di fare in modo che non si movesse nella questione
della politica esterna un passo del quale la parte avversaria
potesse vantaggiare nella città. Così per evitare che questo
accadesse, si restava nell'inazione, non amando i nemici del
Sederini che coli' Impero si venisse ad aggiustamenti per via
di danaro; mentre d'altro lato gli amici del Gonfaloniere, e il
Gonfaloniere stesso, non intendevano di mandar solennemente
ambasciatori a Massimiliano, come avrebbero preferito coloro,
mirando in questo partito un appiccagnolo per cangiare l'indi-
rizzo della politica esterna.
Veramente le persone di questi ambasciatori, già da pa-
recchio elette, ma non mandate mai, pareva fossero state pro-
prio scelte di proposito a dispetto del Soderini. Di soprappiù
erasi dato a questo dispetto l'aria della necessità. Si trattava
di propiziarsi l'imperatore; e a tal eflFetto come non mandargli
ambasciatore quell'Alamanno Salviati cui egli aveva particolar-
mente accarezzato, quasi indicando l'uomo con cui gli sarebbe pia-
ciuto di preferenza trattare ? Con Alamanno erasi dagli Ottanta
accoppiato Pier Guicciardini, oculatissimo e non per certo be-
nevolo verso il Gonfaloniere perpetuo; tiepido bensì e capace
d'impacciare i fervidi col suo tepore. Infatti, non volendo par-
tire con mandato indeterminato e senza facoltà di concludere,
aveva contribuito a far accettare il mezzo termine dell'andata
del Vettori; ed ora che questi tempestava colle sue lettere,
avvisando che gli apprestamenti concessi dalla Dieta (dodici-
mila uomini, da accrescersi al bisogno sino in trentamila) ^ do-
vevano essere su'campi pel san Michele, in settembre, ^ ecco
le fazioni tornare alle prese colle mene loro; ma questa volta
il Soderini co' suoi amici seppe strappar la vittoria.
Egli non si fidava del Vettori e non intendeva per alcun
modo che gli ambasciatori andassero. Nella discussione ch'ebbe
luogo in seno alla pratica, furono ventilate proposte o di' man-
dare al Vettori bozze di capitoli, o di spedirgli a dirittura la
commissione, o di mandargli per allora una lettera semplice,
attendendo lo svolgersi dei fatti e il seguito delle trattative.
Quest'ultimo partito raccolse per diversi motivi grandissima
maggioranza. Se non che, quantunque fra gli opinanti non
mancasse chi dichiarava d'aver piena fiducia nella prudenza di
1 JaCBB, loc. cit.fpag. 227.
• Guicciardini. Storia fiorentina, capo xxx.
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400 CAPO QUINTO. [libbo
Francesco Vettori, una voce si levò a consigliare gli si desse
compagnia « che hauessi notitia di questa cosa )^Ml consigliatore
era Piero del Nero, devoto al gonfaloniere, congiunto di paren-
tela con Niccolò Machiavelli^. Il del Nero trovò eco in Guglielmo
de' Pazzi e in Piero Lenzi, e sebbene quei che vedevano traspa-
rire già la segreta intenzione del Gonfaloniere insistessero nel-
l'osservare « che Francesco era uomo prudente e da maneggiare
la cosa con più benefizio potrà »,3 ne seguì che il segretario
Machiavelli fu spedito quel giorno stesso con tutta celerità in
Alemagna. Cosi la tenacia flemmatica del Gonfaloniere venne
a capo della cosa; ma se per fortuna non si fosse abbattuto in
persone assai prudenti, Tostinazìone sua non sarebbe certo riu-
scita proficua né allo stato ne in particolare a lui.
Non è a credere che il Vettori e Niccolò fossero prece-
dentemente legati d'amicizia reciproca. Messer Francesco, nel
principio del suo Viaggio sopra citato, narra come, facendo la
sua prima sosta a Barberino, fu colpito al suo arrivo in quella
villa da un tamburare e tumultuare di gente. Era giorno di
festa e il conestabile faceva mostra della nuova milizia. Per
quell'occasione entra in alcune considerazioni intorno alla
nuova ordinanza, e v'aggiunge, per bocca dell'oste, ^ certo bia-
simo, che per fermo avrebbe risparmiato se all' idea e all'af-
fetto del Machiavelli, che a quest'ordinanza portava amore di
padre, non si fosse sentito estraneo. Malgrado ciò, da questa
legazione d'Alemagna il giovane patrizio e il segretario fioren-
tino uscirono cordialmente e per la vita amicati.
Niccolò prese al suo partirsi la via di Svizzera, sia che
il sentiero pel Brenner gli paresse impacciato, essendo che
novecento tedeschi si sapevano mossi giù con un cumulo di
intenzioni : « mutare lo Stato di Genova, rimettere e' fuorusciti
in Parma, nella Mirandola e in molti altri luoghi.... »5 ««
1 V in appendice il verbale di questa Consultai « die 17 dicembre, 1507 ».
> La parentela affettuosa con Piero del Nero è affermata dal M. nella lettera del
29 novembre 1515 da noi sopra citata a pag. 217. In casa di lui, quando Niccolò ammo-
gliatosi s'assentava le prime volte da Firemse, lasciava la Marietta, sua donna.
* V. app. citata.
* Vettori, Viaggio in Alemagna, lib. i.
6 Arch. fior. Dieci di Balia. Legazioni e Commesserie. Lett. missive, n. 31 a e. 93. ~
Questa lettera, pubblicata primieramente dagli editori ultimi delle Op. del M., (Legax. al-
l' Imp. lett. 1') reca la data « die xxi novembris i507 » — vi si dice : « avanti che Gianni
Abate arrivassi qua con la tua de* vi.... avàmo espedito di qua Nicolò Machiavelli in poste
e per la via di Ginevra ». — Il Machiavelli parti, come vedemmo aU7 di dicembre; per-
tanto nella data sopra recata è erronea la menzione del mese ; eipiegabile Terrore perchè chi
dettava aveva innanzi forse l'avviso del Vettori « de' 30 del passato ».
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secondo] iV. MACHIAVELLI IN SVIZZERA E NEL TIROLO. ' 401
troppo pochi e per troppe cose! — sia che sembrasse che tutto
il nodo della questione imperiale stesse in Isvizzera, e che un
buono sguardo dato addentro nelle condizioni del paese dei
confederati dicesse più che non una diuturna permanenza in
Germania.
Sulla strada di Lombardia Niccolò capita male; lo tolgono
in sospetto ; lo esaminano tritamente, e per paura che non gli
cerchino indosso (egli così racconta) si vede costretto a strap-
pare la lettera di commissione. Questo incidente in Firenze
forse non dovette spiacere a tutti; può essere che Niccolò ne
desse contezza da Aiguebelle in una prima lettera che certo non
arrivò. ^ Quivi ei lascia le poste: scrive novamente da Ginevra
« per dar notizia del suo essere », ^ accenna a queste sue
lettere * dubitando lui stesso « se fiano comparse ». Arrivato
finalmente a Bolzano, significa ai Signori tutto quello che nel
cammino, da Ginevra a quivi, à udito e veduto « acciò possiho
meglio conietturare le cose di qua ». ^ — E in questo scritto è una
mirabile descrizione delle condizioni in cui vede il paese de' Sviz-
zeri, secondo i particolari di fatto e di diritto che attinge ora
da un «uomo discreto» di Freiburg « uso nelle cose d'Italia»,
e stato già nel dominio fiorentino capo di bandiera,'* ora da
maestro Arrigo Isaac, il fiammingo compositore di musica di
cui già parlammo^ il quale aveva donna in Firenze* ^ Con costui
che talvolta era adoperato da Massimiliano stesso in maneggi di
stato, come accennammo, è a credere che allora di musica non
s'intrattenesse. Ma né da lui né dal savoiardo oratore di Carlo
* Machiavelli, Commisaiùne àW Imperatore, ed. ult. pag. 253, I^ett. 2". « Scrìssi da
Gabella a* di 12 alle S. V. » — Questa lettera de' 17 gennaio mise dieci giorni ad arrivare
a Firense. I Dieci nella risposta al Vettori scrivono di Niccolò : « ci dispiace grandemente
lo essere state necessitato stracciare le lettere che portava, perchè, avendole condotte, tn
arestl potuto più particularmente intendere lo animo nostro e pigliare più certa regola
circa il concladere questa pratica, quando la si abbi a fare, etc ». — V. M. Opp. Comm.
cit. ed ult. Lett., 9. ^
« Id. ibid. Lett. 3».
' Machiavelli, ibid., Lett. 3''.— Niccolò partito a'di 17 di dicembre, scrisse da Ai«
guebelle il 22; da Ginevra il 25; giunse a Bolzano il di 11 di gennaio, « ritenuto tanto
tempo dalla lunghezza del viaggio, dalla malignità delle vie, e dalla qualità del tempo la
cui siamo, e di più per avere a combattere con e'cavalli stracchi e trovarmi allo stretto
del danaio ».
* n Daoubt, Machiavel et lés Suisses, memoria inserita nel Mus^e Neufchalelois, 1877,
pag. 183-192, nota a proposito di questo friburghese: Ce portraitdans sa vague generalità,
«st tei qnMl peut convenir à dix ou douze des magistrats habiles et belliqueux que comptait
alors la République des borda de la Sarine », e cita : « Peter Falk, Thierry d'Englisberg,
Pétermann de Faucigny, Guillaume et Nicolas RejfT, Ulrich Schenwly, Hanz Loupper,
Hanz Krummenstoll, Hanz Techtermann, Nicolas de Praromann, Pierre Adam, Pierre
Tavernier ». *
« V. sopra a pag. 101.
Tommasini - Machiavelli. 23
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402 CAPO QUINTO. [Li^mo
il Buono, Amedeo de Viry ^ gli vien fatto di conoscer la piega
che prendono, o accennano a prendere, gli avvenimenti poli-
tici. Invece, per quel che risguarda le cose de' Svizzeri, questa
sua lettera si può avere in conto d'uno di quegli scritti fon-
damentali su cui si appoggiarono poi quelle relazioni che
più tardi vennero inserte nel cosi detto Tesoro politico.^
Niccolò non era il solo oratore che a que' tempi, gittando lo
scandaglio per misurare le forze dell' Impero, credesse che
l'inclinazione alla bilancia tra Francia e Germania fossero
per darla gli Svizzeri. Del medesimo avviso son gli ambascia-
tori veneziani, i quali acutamente intendono a scrutare le ra-
gioni di sopravvento che l'una o l'altra nazione à probabilità
di guadagnare su' popoli delle leghe. Se non che Venezia, la
quale superbamente chiamava il re di Francia figliuolo di
San Marco, la quale si dava a intendere di avere a figliare
l'Italia dentro cui non capiva,* poteva anche concorrere cogli
altri seduttori de' Svizzeri ^ a suscitare screzi tra costoro
co' propri tesori, mentre invece Firenze e i mandatari di lei
erano costretti a limitarsi alla parte di chi osserva e fa in-
duzionì.5
Le osservazioni del Machiavefii alla corte imperiale sono
così, in questa occasione, d'indole politica e speculativa a un
tempo. Come politico ei guarda sottilmente a' fatti, riconosce
come il corpo principale de' Svizzeri « sono dodici comunanze
collegate insieme le quali chiamano cantoni » strette salda-
mente da vincoli giuridici in un attivo consentimento, per modo
> OuicuBNON, Hittoire généalogique de la RoydU maiaon de Sawie, pag. 104. Di questo
medesimo Amedeo barone de Viry è parola nella lettera con cui Carlo il Buono accompagna
i suoi ambasciatori a Massimiliano e al re Cristianissimo quando 1* invitano ad accedere
alla lega di Cambrai contro Venezia « prò recuperatione nostri regni Cypri ». V. op. cit.
t. lYf pag. 431.
• V. Tesoro politico, parte i, pag. 337, parte 2*, pag. 235 e seg.— Cf. Albew, Rela-
zione degli ambasclatoH Veneti al SenatOf serie i, voi. vi, la Reiasione di Qermania, dì
VntcENZo QuiRiNi, 1507, pag. 39-43.
> Macuiavblli, Discorsi, libro in, cap. 31. — Mabin Sanudo, Diarii, t. v, coL 829
(marzo 1508) : « Ttem è da saper, in questi giorni in diversi lochi di la terra Tonno posti
boletini de 1* infranscripto tener, quali par che Italia chiami Venecia l'aiuti centra Va-
lentino :
Madre tu dormi et la tua figlia è in noglia
Poropeio fuze et Cesar la dispoglia.
Svegliate, Madre, et trarala di doglia ».
* Cf. Cbmbl, UrXunden, Briefe und Actenstiiche zur Geschichte Max's I und teiner
Zeit nella Bibl. dei Utter. Vereins in Stuttgart, voi. x, pag. 317-320, doc. cczxxiv.
' Firenze non pretendeva gareggiare che di scaltrezza colla Repubblica veneziana.
V. Mabin Sanudo, Diarii, iom, n, 663, la Canzone fata in Fiorenza contro Vinitiani:
Se San Marco à testa e borsa
« Altri à nari e cervello.
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secondo] impressioni CHE IL M. RICEVE DALLA SVIZZERA. 403
che «quello che nelle loro diete è deliberato, è sempre osser-
vato da tutti, né alcun cantone vi si opporrebbe. E per questo
si abusano coloro che dicono che quattro cantoni ne sono con
Francia e otto con lo Imperadore, perchè questo non può es-
sere, se già nella loro diete e' non lo deliberassino. E quando
lo deliberassino, sarebbe male servito l'uno Re e peggio l'altro >.^
Di fronte alla coesione de' dodici cantoni stavano la lega
Grigia e i Vallesi; « dua altre qualità di Svizzeri », le chiama
il Machiavelli, accennando forse a cagioni etnografiche d'un
fenomeno che lo maraviglia, perchè non sa intendere come tra
que'cantoni oltre al numero di dodici si faccia debole il vincolo
dell'unità e della concordia, quasi che l'influsso della forza
d'attrazione nelle consociazioni civili oltre quel numero certo
cessi di manifestarsi. Verrà la volta in cui di questo esempio
vivo giovandosi, e ragguagliandolo a consimili esempi traman-
dati dalle antiche storie (le dodici tribù anfizioniche, le dodiqi
città della lega etrusca, la lega achea, gli Etoli), s'inge-
gnerà sorprendere filosofando, o meglio sospettare, fantasiando
sulla ripetizione di questo fenomeno storico, l'accenno ad un
limite naturale, ad una necessità, ad una legge organica
della società umana.^ Ma per ora ei s'accontenta dì rile-
^'arne il resultato pratico : « queste due parti, dic'egli de' Sviz-
^^J^i, non sono collegate in modo con e' dodici cantoni, che non
^^ssino deliberarsi contro alla deliberazione di quelli: inten-
^Ojlsi. bene insieme tutti per la difesa della libertà loro », ma
^^ ^i imperatore o il re di Francia possono sperare di trarli
^ ^k, loro e « chi mancherà dell' una sorte potrà avere del-
*- -^i^ACHiAVBLLi, lett. cìt. I oomi (Ielle dodici comananze o cantoni, tali quali gli dà il
^»c<2lxm avelli, sono i seguenti: « Filiborg, Berna, Surich, Lucerna, Baia, Solor (Solothnrn),
\3ri» Xx%«5rìval (Untervalden), Tona, Glaris, Svizer, Saphusa». Ò per inesatta informazione
0 ^^"^ «t^er male ricordato è evidente che il M. sostituisce Thun (Tona) in luogo di Zug;
cot»<» ^^ettaroente à il Quibini, loc. cit.
* C?f. Machiavelli, Discorsi, lib. ii, 4.
' ^Bkf ACHiAYELLi, Commiss. cit Lett. 3^. — Nell'Apo^ra/b Barberiniano il testo di questa
\e\^«X'%. derivò, come di consueto, dal quademuccio ove Niccolò gittava la prima copia delle
sue lettere. Offre infatti parecchie varianti dal testo tratto dall'originale nell'archivio fio-
rentltìo. Neir ultimo inciso da noi citato si legge, per esempio: « sicché a chi manca del-
l'una Berte, potrà avere deiraltra avendo danari ». — Similmente ove il testo a stampa
reca: « Venne qui sabato nuove, come mille cavalli ecc. » Nell'apoyra/'o succitato si trova:
* ^Qnxìe jeri qui medesimamente nuove, etc. » La lettera del M. à la data de* 17 gennaio
^^^ che cade in di di domenica, ed ò certo però che lo jeri era precisamente in giorno di
«acuito. Se non che, la correzione fatta nel testo della lettera spedita ai Dieci, mostra, a
nostro giudizio, che nella copia ritenuta sul quadernuccio presso di sé, il Machiavelli aveva
prima inserita male la notizia, che dovò trarre da precedenti appunti del Vettori, antici-
pandola, per errore, di una settimana ; errore che sulla copia poi corresse.
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404 CAPO QUINTO. [libro
Certo che chi paragona i dati di fatto che sulla costituzione
degli svizzeri oflFre la relazione di Vincenzo Quirini co' cenni
che ne tramanda in questa lettera il Machiavelli, trova maggior
pienezza d' informazioni nello scritto dell'oratore veneto ; trova
che questi è più esplicito nel divisare gli eflFetti che dalla
politica condizione di quei popoli è per esperimentare chi fa
trattato con essi o si giova delle loro armi; che questi assai
meglio dichiara il pericolo nel quale incorre chi gli assolda
altrimenti che per elezione delle Comunità; che può restarsene
all'occasione burlato, quando i frei herren, i venturieri, sian
per trovarsi di fronte agli stendardi delle leghe, contro a' quali
è loro in ogni caso interdetto combattere. Naturalmente il Ma-
chiavelli nel suo sollecito viaggio osserva e descrive di volo;
è istrutto da persone meno sagaci o meno sincere che non quelle
da cui attinge il veneziano ; nel suo Rapporto delle cose della
Magna, non torna a discorrere distesamente de' Svizzeri ; ma
nel confronto che altrove fa di questi cogli Etoli, commentando
un passo di Livio, ^ mostra piena consapevolezza di quello stato
di cose che il Quirini nella sua relazione diffusamente dichiara*
E tanto l'oratore veneto quanto il segretario fiorentino
scorgono fredde verso l'imperatore le popolazioni elvetiche,
subornate dall'oro di Francia; come emissari della quale il Qui-
rini cita un Piero Mafrosini e un Niccolò secretarlo; ^ il Ma-
chiavelli, « due oratori che anno atteso a circuire tutti i can-
toni ed anno in pubblico e in privato avvelenato tutto il paese ».
Questi erano l'uno il vescovo di Rieux, Pierre Louis de
Voltan e l'altro quel luogotenente Roquebertin che già ve-
demmo immischiarsi ne' garbugli di Genova. Le mene di costui
e più forse quelle del vescovo; l'aspetto del duomo di Co-
stanza, ove il Machiavelli s' intrattenne con due milanesi e col-
r Isaac; la vista probabilmente dell'aula dove s'assembro già
il famoso concilio, che seco aveva poiiato tanto traino di lus-
surie e d'immondizie tra la semplice e fiera gente di quei paesi,^
indussero forse il Machiavelli a pensare che gran disordine
^ T. Livio, Hislor., xxxii, 34: — « an quod a sociis eorum non abstinnerim, justam
querellam habent, cum ipsi prò lege hunc antiquitus morem servent ut adversus socios ipsi
V 8U0S, publica tantum auctoritate dempta, juventutem suam militare sinant et contrariae
saepe acies in utraque parte aetolica auxilia habeant ». — Cf. Machiavelli, Discorti, ii, 4.
' QuiBiMi, Relaz,di Germania, loc. cit., pag. -12, Machiavelli, Comm. all'Imp., loccit.
* Voltaire, Annalea de l'Empire, an. 1415: « On j disputaitde luxe, de magoificence:
qu*on en juge par le nombre de cinquante orfévres qui vinrent s'établir à Constance. On y
compta cinq cents joueurs d* instruments ; et ce que les usages de ce temps-la rendent très-
croyable, il y eut sept cents dixhiùt courtisanes sous la protection du magistrat de la ville ».
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ascoNDo] IL MACHIAVELLI E IL VETTORL 405
non avrebbero potuto fare le mali arti della corruzione eccle-
siastica tra que' buoni Svizzeri, i quali allora agli occhi suoi
parevano « i soli popoli che vivessero e quanto alla religione
e quanto agli ordini militari secondo gli antichi ». ^
Del resto con queste sue considerazioni pel capo, Niccolò
ora proceduto innanzi, notando ogni particolare che potesse
dar sentore degli apparecchi di Massimiliano. A cena presso
il De Viry, egli aveva appreso dal cauto orator di Savoia che
l'imperatore attendeva a far delle sue genti tre teste: Tuna a
Trento per la via di Verona, l'altra a Besangon per la via
di Borgogna, la terza a Carabassa verso il Friuli.* Ora, se
così stavan le cose, grandi movimenti d'arme s'avevano a mo-
strare per il paese. A Niccolò invece non accade se non vicino
a Costanza, per certe ville fuori della strada, udire qualche
strepito di tamburacci, primo ed unico segno di soldatesche,
che gli si ofiFra per tanto spazio di sentiero, quant'è da Ginevra
a Memmingen. Che cosa erano? racimoli di fanterie, gli si dice
da alcuni, da altri: paesani che festeggiano. A Memmingen
trova l'avanguardia delle genti del duca di Wurtemberg (Ber-
tinberg), un quattrocento cavalli circa, irresoluti se e dove si
vada o si stia. Tutto ciò lo conferma nel pensiero che la dieta
di Costanza ^ abbia partorito un berlingozzo come le altre ».^ —
Giunto ad Innspruck, colla fiducia di incontrarvi il Vettori, gli
si dice che questi si era partito da due giorni andando in volta
per seguitare quando il re e quando il cardinale di santa Croce.
Niccolò prosegue pertanto per Bolzano, trovando circa
tra questo luogo e Innspruck altri cento cavalli. Presentatosi
a Francesco Vettori, gli conta della necessità in cui era capi-
tato di stracciare le lettere ed espone a voce la commissione
^ Machia YBLLi. I>iscorai, i, 18.
' « A Carabassa per la via del Friuli » scrive il Machiavelli (loc. cit. Lett. 3^). Questo
luogo è probabilmente presso il « Carvaneas mons » delle tavole di Mercatore, i monti Kara-
vanken che sovrastsuio alla valle dell'Isonzo. Of. Jani Ptbrhi PI^'CII de vitis Ponlif.
Tridentf lib. vi, pag. 37. « Ptolemaens. . . . sub occasjti Venetiae Bechunae posuit et eorum
civitates Vannia Carrabacam, Brecinam etc. » ed. Mantuae mdxxxxvi. Forse la località di
Karabassa, dove Massimiliano adunava truppe per discendere in Italia, doveva essere non
lungi da Raìbl, e forse vicino a Predil, dove già ab antico esisteva un fortilizio di confine.
A poca distanza dal villaggio di Ealtwasser, e proprio dirimpetto a Predil, v* ò la « Kaar
Spitze » e la « Kaltwasser Spitze ». — Iacopo Valvasonb da Maomago {Descrizione dei
paui e delle fortezze che si hanno a fare nel Friuli, ed. Venezia 1876, pag. 6), scrive : « il
qual luogo di Plezo (Predil) chiamasi la porta, dove io vidi una rocca antica, custodita da
un capitano tedesco con pochi soldati. Quivi si paga a sua Maestà la gabella ecc.»— No-
tiamo per incidenza che nel Dictionnaire de la langue d'Oc, THomnorat registra « troum-
par la carabassa » spiegandolo « frauder la calebasse ou la gabelle ».
■ Cf.AsN. Stlvius in /pp., lib.i, ep. lxxii, de Diaetis Germanicis: « Foecundae sunt
omne^diaetae, quaelibet in ventre alteram habet». (Ed. Basii, pag. 553).
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406 CAPO QUINTO. [libro
sua; i Fiorentini erano disposti dar airimperatore sino alla somma
di cinquantamila ducati, ma bisognava cominciare dairoffrirne
trenta e stiracchiare per far tutto il risparmio possibile. La somma
sarebbesi poi pagata in tre rate : la prima cioè, quando quegli con
l'esercito fosse in una città situata tutta dentro a' confini d' Italia,
la seconda in Toscana, la terza dopo tre mesi a Roma o dove sì
potesse meglio. In correspettivo i Fiorentini domandavano, quanto
al tempo presente e futuro, che sua Maestà confermasse loro
« tutte le preeminenzie, iurisdizioni, onori e tituli, promettendo
in questa sua venuta, stanza e tornata di Italia non molestare
né alterare in modo o per via alcuna né il presente governo,
né le terre, luoghi, castella e entrate loro; ma mantenerli in
quello essere e in tutto quello stato e con quelle leggi e magi-
strati che usano, posseggono e in cui sono di presente, senza
eccezione alcuna, e in modo vi venga ancora dentro il contado
di Pisa ». Queste cose sua Maestà doveva prometterle e obbligarsi
ad osservarle « per sé, sue genti e soldati, si Tedeschi come
Italiani, e che ci sia il consenso dei Principi e Baroni suoi e
Elettori dell'Imperio », facendosi precetto a' mandatari d'insi-
stere, perché anche questa volta non fosse omessa la formola
« sane prvcerum et baronum suo?'um accedente consensu >• ^
usata nei privilegi concessi a Firenzq dagli antecessori di lui.
Questo pel presente e pel futuro : quanto al passato poi i
Fiorentini sapevan troppo che se Massimiliano avesse voluto rac-
capezzare tutti i gravami che, in via di giure o di fatto, poteva
raccogliere ed opporre contro di loro, essi non ne sarebbero
usciti salvi. Che, se Genova, per ischermo e come a salva-
guardia dell'indipendenza sua rispetto a Francia, aveva talvolta
intrattenuto suU' orizzonte il .fantasima dell' imperatore, Fi-
renze per contrario erasi fatta a dirittura a tentare colla corona
imperiale i re francesi, per indurli a gareggiare di pretensioni
coi Cesari, per chiamarli a contrastare e sopraffare nella pro-
vincia di Toscana l'ascendente germanico. E però già Enrico
settimo, accusatala di fellonia, di sopprimere con ingiuria e dispetto
dell' impero finanche il titolo suo proprio di re dei Romani, le
aveva gittate sopra il bando imperiale con violenza vana. * Da
quella bandigione in poi erano trascorsi due secoli circa; c'eran
corse di mezzo altre incoronazioni ; ultima quella di Federigo III,
> Archivio fiorentino. Dieci di Balia. Legaxione e CommÌMione, n. 31, e. 131. ~ Opp.
ed. ult. legaxione xkit, Lett. 9. •
* Cf. Pbbtz, Monum. Germ. hist., iv, pag. 520.
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secondo] adescamenti FIORENTINI A* RE DI FRANCIA. 407
padre di Massimiliano, nel cui passaggio disarmato a Roma, la
città d'Amo, parata nella sua pompa più magnifica, erasi umiliata
fino al suolo ; ^ contuttociò la condanna non mai eseguita non era
stata mai neppur revocata. Né Firenze aveva mutato politica;
ma accortissima e debole, compera, sentiva di poter capitare a
temerne forse ancora qualcosa, quando Massimiliano avesse voluto
armeggiare col diritto storico, arme che non manca mai alla pre-
potenza, che riesce anzi a renderla più oppressiva col darle
aspetto di legalità. E di questo diritto storico tanto più la
città aveva paura, in quanto, per dir vero, era stata la prima
essa a dar esempio di mettere letà remota a servigio delle utilità
prossime, solleticando i reali di Francia colla storica illusione che
i successori di Carlomagno, almeno rispetto a Firenze, eran dessi.
Donato Acciajuoli, composta quella suaFito di Carlomagno
che ben presto andò per le stampe in compagnia delle Vite di
Plutarco, Tebbe dedicata a Luigi XI, esaltando la Gallia, che
in lui aveva sortito un monarca le cui virtù rendevano imma-
gine dell'eroico re de' Franchi e de' Romani, che aveva restau-
rato Firenze distrutta dai Goti. E quel Francorum del testo
latino godeva certezza d'esser interpretato in volgare per ft^an-
dosi 0 francesi o tutt'al più franceschi. Nei capitoli del 1494
fatti dalla città con Carlo ottavo si torna ad alludere espres-
samente ai meriti di Carlomagno cui Firenze voleva andar debi-
trice anche della sua appellazione odierna; ^ e Carlo ottavo,
che aveva l'identico nome di quello, finisce appunto per mordere
^ TRBiTZSAUBRWBm, Dbt Wffiss Kunig, pag. 22: « und als der kanig nahend zu der
stadt Florens kam, da sein Jme entgegen goritten, die mechtigsten voa der Stat, za mal
kostlichen, in vast kostperlichen klaidem von seyden von gold samat und von scharlach,
wol bey tausend pherdeiv, und haben den kunig herrlich emphangen, und sein alle far den
knnig nider geknyelt, une Jm die Schiusi zu den Thoren uberanntwurt, und sich und die
Jhren mit leib und mit guet, dem kunig diemuetigelichen empholen ».
* Areh. Storico ital. serie i, t. i, pag. 864: « advertens sua Christianissima Maiestas,
quod Carolus Magnus huias urbis fuit primus restaurator et nominis ]^luentiae in Floren-
tiam mutator ». Anche l'atto di Donaziona d'Andrea Paleologo a Carlo Vili dell* Impero
di Trebisonda e Costantinopoli « actum Romae in Ecclesia S. Petri in Montorio, anno 1494,
pontif. sanctiss. D. N. Alexandre d. p. pp. vi, Ind. xi mense septembris, die sabati sexto »
rogato « per Franciscum de Schracten de Florentia » (cosi stampò il Foncbmagnb dalVori-
ginale mandato in Francia per mezzo del duca di Saint-Agnan; cosi legge l'apografo ri-
posto in luogo di quello nel protocollo d'atti rogati dal notaio Camillo Boneimbene (Arch.
de* notai capitolini, n. 188, ora nell'Arch. di Stato in Roma. Probabilmente sarà a leggere
Ser Aeti, o qualcosa di simile) civem romanum » chiama Carlo ottavo « velut alter Carolna
Magnus, ex caelo missus, divino aspirante numine». L'originale nella Bibliothéque iVa-
tionale non fu reperibile; in un frammento d'apografo che quivi conservasi (Collection
Duputft voi. 505, fol. 32-86), la notizia del quale dobbiamo alia cortesia del signor Elib
Bbrgbb, non si trova il nome del notaio. La copia h fatta circa l'anno 1630. Cf. Fomcb*
MAGNE, Éelaircìssemens hiatoriqueB néì\e Afemoiret de VAc. d'Inaer.et belU» lettres., t.xvii,
pag. 572-578. E il Machiavelli nella lettera « ex Bles, die 13 augusti » della sua Com"
missione alla Corte di Francia del 1510, (Arch. fior., Lett. ai X,ci, f. 100, p. 326): < Questo
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408 CAPO QUINTO. [libro
all'amo fiorentino, per pretendere, per offendere le prerogative
deir imperatore, e non solo in fatti, ma anche col cerimoniale. E
si badi che questa seconda maniera d'offesa non paia men sostan-
ziale, quando era invece più acuta ; perchè quand'anche da un
potente si compia un fatto brusco ad ingiuria d'un altro, il quale
non abbia la voglia o la possa di muovere guerra, quel fatto
può talvolta essere sopportato colla dissimulazione, attenuato
colle parole, scusato colle intenzioni, compensato, e sino a un
certo punto lasciato cadere senza che sembri una provocazione
diretta e intollerabile. Ma quando un re di Francia entra a
Napoli con pompa imperatoria, porta una corona chiusa in capo,
nella destra il pomo orbiculare, e, ottenuta segreta cessione dal
despota dei Romei dei diritti suoi sopra Costantinopoli e Trebi-
sonda, si fa chiamare augustissimo,^ e intende farsi il campione o
il giocattolo dell'ellenismo e atteggiarsi ad imperatore d'Oriente
in Occidente, allora è impossibile non avvisare in quelle
forme, in quei simboli usurpati, la volontà decisa e manifesta
di el Re è tornato qui in Bles, ed appresso desinare il Cancelliere, dopo un grande esordio
de' meriti di Francia verso Firenze, cominciando infino da Carlomagno, e venendo al re
Luigi presente, mi disse », ecc.
^ V. FoNCBMAGNE, loc. cìt., pag. 556 e seg. Il trattato summenzionato, di cui, come ben
osserva il Foncemagne, tacciono tutti i cronografi francesi del seguito di Carlo ottavo, e gli
storici dei tempi a noi più prossimi, può appena considerarsi per un fatto vero nella vita di
esso re. Egli infatti non v*assi8te, non vi partecipa, non à dato mandato ad alcuno nò per
combinare raccordo, uè per far veruna stipulazione. Ali* atto rogato dal Benimbene inter-
vengono il despota Andrea Paleologo da una parte, e dalPaltra il « R.nu D. Cardinalis
Gorcensis vice et nomine praefati Cbristianissimi Regis Francorum prò quo sciens sa adhuc
non teneri, nec obligari, sed teneri et obligari volens sponte cum infrascripta conditione
et reservatione de ratho et rathihabitione per eumdem Serenissimum et Cbristianissimum
Regem.... usque ad festum omnium sanctorum proxime futurum non declaverit donationem
bujusmo^i ratam babere nelle ». Anche la ratificazione dunque d*un trattato, fatto ad in-
saputa del re, aveva ad esser tacita; lo che mostra quanto timore si nutriva che fosse
cognito questo brutto garbuglio, e che Massimiliano avesse a risentirsene. Ciò non di meno
« un laborieux et savant terivain de nos jours (aggiunge il Foncemagne, alludendo al Le-
gendre de St.-Aubin) a prouvé che depuis Clo\is jusqu'à Louis XV le titre d'empereur n'a
pas discontinue d'dtre joint à colui de roy de Franco ». lì Séoub, Vis de Charles VITI,
t. I, pag. 309, accenda appena che mentre re Carlo soggiornava ad Asti nel fascino amo-
roso della bella Soleri, « on vint lui annoncer qu*Andvé Paléologue, cet béritier legitime
de Bysance qui l'attendait à Rome, lui offrait ses droits à l'empire grec pour le modiqua
prix de neuf à dix mille ducats de pension ou de revenus. Le Grec se reservait seulement
le despotat de Morée, erige en fief qui reléverait de l'empire ». Tutti i Greci dovevano in-
sorgere a favore del monarca francese: chi aveva ordito la cospirazione era stato l'arci-
vescovo di Durazzo, chiamato dal Cominbs, Memoiret^ « si leger en paroles »; ma la con-
giura fu scoperta per fatto della repubblica di Venezia, di cui il Séona, op. cit., t. ii,
pag. 150, buon militare e cattivo filosofo, riprende in questo fatto il machiavellismo ante
Machiavellum: « Le malheur voulut quo ce fut jnstement pour cotte méme nuitoù Venlce,
instrnite de la mort de Gora, avait secrétement fait mettre dans son port un embargo ge-
neral. Armes, argent, papiers, pian et noms des conjurés, tout fut saisi; l'arcfaevéque et
sa suite furent enfermés dans un fori; leur secret fut odieusement livré au làche sultan,
qui le pied sur les vaisseaux, tout tremblant encore, était prét à fuir. U ne se rassura
qu'après avoir fait égorger quarante mille chrétiens, sacrifiét au machiavéliqus et sordide
inUrét d'une république cependant chrétienne ».
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«CONDO] ISTRUZIONI DE' MANDATARI, ' 409
d'usurpare e di provocare; è impossibile non sentirsi nel duro
procinto 0 di raccorrò la sfida o di mostrare acquiescenza al
danno proprio e all'onta che derivano dal non far le vendette.
E Massimiliano in quel procinto aveva fremuto di non poter
dare e a Firenze e al re di Francia, nient' altro che una le-
zione di storia, e di dover semplicemente notare Toffesa a
libro. 1 Ed ora che v'era probabilità ch'egli scendesse ag-
guerrito e inasprito pel lungo rovello, i Fiorentini espres-
samente chiedevano, in vista di tutti que' precedenti, ch'egli
abolisse e annullasse « ogni trasgressione, eccesso o delitto,
de' quali potessero essere imputati : « e cosi ogni pena e con-
dennagione fatta contro a di noi, se veruno ne fussi fatta per
lui 0 per li suoi antecessori, e ci finisca di ogni debito con-
tratto per alcun tempo, o seco o con la Camera imperiale, o
entrate di qualunque sorte, che si potessino dire essersi appar-
tenute o appartenersi loro, ^ in modo che lo effetto di questa
prima parte sia che la maestà sua e la Camera imperiale fino
ad oggi, non ci possa addomandare alcuna cosa per veruno conto ;
né possa muoversi contro veruna azione per molestare le cose
nostre, o aggravarci di altre spese ».^
Questa lettera de' Dieci, irta di cautele, riserve, antiveg-
genze, sospetti, fu destinata a surrogare la commissione che il
Machiavelli aveva dovuto strappare in viaggio; a questa si richia-
mano in seguito, ^ siccome a documento in cui il Vettori do-
veva trovare i termini e l'estensione del mandato proprio. Ed
ora che il segretario gli è giunto dappresso, le dichiarazioni
di fiducia da Firenze gli piovono più che amplissime : « diciamoti
liberamente che tu faccia e non faccia con buono animo, quello
che tu intenderai esser meglio, che sarà accettato da noi con
1 Mabin Sanudo, Diarii, voi. i, pag 849-50. « InUrutiùne Aata Aalre àe* romani a li
oratori mandali a Firenze » : . . . « dicentque ipsi domini oratores Caesaream majestateni
reheroenter admirari qnod florentini, qui ex antiquo imperìalis jaris sunt, ita assistant his
malignis incoeptia regia Franciae centra salutem totius Italiae imo etiam centra suain prò-
priam utilitatem et commoduip. Non enim negant ipsi fiorentini suam civitatem a Carolo
Magno romanomm imperatore restauratam et privilegiis ac omni ornamento decoratam
foiste; qui quidem Carolus, etsi rex Franciae fuerit, romanorum tamen imperator fuit, et
ex imperiali patria, idest ex Brabantia, natus quae in inferiori Germania sita est ; ut ea
beneilcia Caroli Magni, non tantum francorum regi quantum romanorum imperatori tribuenda
sint, nam etiam pater Caroli Magni in Franconia. Oermania patria natus sit ». — 1\ Guic-
ciABDiM, Storia d*ItaUa, lib. viii, parla d*« un libro, che si conservava a Spira, nel quale
erano scritte tutte le ingiurie fatte per il passato dai Re di Francia ali* Imperio e alla na-
sione degli Alemanni.
* V. Macbiavblli, Commin. cit., lett. 15, ove spiegasi di che debiti si tratti.
* Macbuvbllx, Gommitene cit., Lett. 9.
« Id. ibid., Lett. 13.
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410 CAPO QUINTO. [libeo
quella fede e bontà che tu Tarai fatto ». — Il Machiavelli
dal canto suo non risparmia accorgimenti perchè al Vettori
la sua presenza non faccia ombra, né sia male interpretata a Fi-
renze come cosa voluta a forza e per proteggere interessi per-
sonali di alcuno.
Però nel poscritto della sua prima lettera da Bolzano, à
il buon tatto d'aggiungere : « quando per alcuna ragione vostre
signorie volessino mi fermassi qui qualche dì, il che io non
credo, o mi mandino danari, o scrivine a Francesco me ne dia
sopra di loro; benché Francesco infino a qui non mi abbi mai
negato cosa veruna, ma sopra di me ». — Per parte loro i Dieci
si rivolgono destramente al Vettori : « Niccolò scrive che desi-
derebbe tornarsene, avendo satisfatto alle commissioni sue; e
noi non sappiendo se ti accade servirtene di costà, non li aviamo
dato licenzia ; però scriverrai quello te ne occorre, e facendo
conclusione in questo mezzo, se ne potrà allora tornare con
tale conclusione per via sicura ». Questo era un dir chiaro,
che Niccolò doveva restare sino alla fine de' negoziati ; di so-
prappiù al Vettori si raccomandava < di provvederlo ancora di
qualche somma di danari » e s'aggiungeva : « per altra nostra
gli scriverreno quello che abbi ad fare ».^ — Francesco non in-
tese a sordo: «al Machiavello, in mentre arò danari per me,
non ne mancherà ancora ad lui : nègiudico, per cosa del mondo,
fussi bene lo richiamassi; ma prego Vostre Signorie che sieno
contente ci stia tanto che le cose sieno composte; lo stare
suo è necessario; nondimeno quando accadessi cosa che impor-
tasse il venir suo e il cammino non sia molto pericoloso, son
certo che lui non recuserà ogni fatica e pericolo per amore
della città ».2 — E i due fiorentini seppero trattare quella specie
di vicinanza coatta con tanto rispetto scambievole che ne
nacque un'amicizia perenne.
Il Machiavelli distendeva le lettere che il Vettori firmava,
si recava dove questi gli commetteva ; ma era il consigliere in-
timo, fidato, autorevole in cui Francesco godeva rimettersi, da
cui lasciava volentieri determinare la scettica indecisione sua
propria. Ben è vero che in quest'occasione l'incertezza non era
tutta conseguenza della tempra di Francesco, che l'ambiguità
delle circostanze, la difficoltà di conoscerle, di rischiar con-
getture lo lasciavano naturalmente titubante intorno a partiti
1 Machiavklli, Commi»», eit.f Lett. 9.
« Ibid. Leu. 12.
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secondo] segreto DELLA CORTE IMPERIALE. 411
che si volevano far dipendere del tutto dairarbitrio suo.^ De' pre-
paramenti che i Tedeschi facevano, delle risoluzioni che piglia-
vano le diete, dei movimenti dell'imperatore non si poteva
saper nulla. Massimiliano era misterioso; Cipriano di Sarnthein,
cancelliere del Tirolo e vicecancelliere della curia del re
de' Romani* vantavasi che il motto: imposui ori meo custodiamo
avesse ad essere suo epitaffio; la nazione era segretissima^
mantenendo col segreto il credito proprio; però naturalmente
indispettivasi contro chi non dissimulasse di stare a scrutarla.
— « Io avrei mandato Niccolò drieto alla Corte, scrive il Vet-
tori, come l'altro dì, sendo qui lo mandai a Trento; ma a
costoro dispiacerebbe ; né si possono disubbidire; e forse né lui
né io staremmo poi ne la Magna; e però mi bisogna ubidire
a' costumi del paese >.5
A Trento Niccolò assistette ad una cerimonia, il significato
e l'importanza della quale o non gli apparve pienamente al-
lora, 0 acquistò valore quando ebbe a considerarsi per un
precedente, cioè in seguito; o, come cosa tutta formale, non
sembrò al segretario degna di particolar menzione. ® Ei vide
«una processione solenne dove andò la persona dell'imperatore
con li araldi imperiali innanzi, e con la spada nuda » ; grande
accompagno di principi e di signori lo seguitavano: giunta la
^ Macbiatblli. opp. Commisa. dt., Lett 9. 1 Dieci al Vettori : « die xxix januarii 1507 » :
« è tutto posto in arbitrio tuo, con intencione che ta abbi in ogni accidente e prò e contro
ad fare per la città il meglio che tn potrai ». Il Ouicciabdini dalle lettere di qnetta Com-
missione scritte dal M. trasse, come avremo agio d^osservare, molti particolari per la sua
Storia d'Italia, (lib. vii passim.)
* Cipriano Serentano, o da Sarnthein, si trova- ne* documenti della cancelleria impe-
riale, sottoscriUo Semthein, Serteiner e Semtheiner (Cf. Cbmbl, loc. cit. pag. 6, 116, 121, etc.)
con varietà non insueta e non dissimile da quella che occorre nel cognome e nella firma
del nostro Machiavelli. V. quel che dice di esso Serentano il MallinciCrot nella Com-
mentatio de Archi-cancellarii» S. R. Imperii oc Cancellarti» Imperiali» Aulae^ pag. 428^
fra i Collécta Arehivii et CaneeUariae jura del Wbnckbb. Il Guicciardini {Storia d'Italia,
lib. vii) cita il Serentano a dirittura come « segretario di Massimiliano ». — Nella Reta-
tione del Contabimi {Diarii del Sanudo, t. iv, 094) ò notevole il seguente passaggio in-
tomo ai cancellieri dell* imperatore : « à cambiato li secretarii hauia prima ; bora (1503)
ne ha uno, nominato domino Mattio Lanch dil quale fa stima, il resto pochi da conto ».
* Iabobb, Ueber Xaiter Maximilian*» I Verhaltni»» sum Papstthum, loc. cit. pag. 235.
* Machiavblli, Commi»», cit., Lett. 3*, citando le parole di Amedeo de Viry : « questa
nasione è secretissima ; e lo *mperadore esercita questo suo secreto in ogni qualità di cosa,
perchè se e* muta alloggiamento, e* non manda innanzi il cuciniere se non un*ora, cammi-
nato ha un pezzo, perchè e* non s* intende dove e* vadia ».
' Ouicciabdini, Storia d'Italia, lib. vii : « segretissimo di natura, non comunicava ad
altri i suoi pensieri ; e perchè fossero meno noti in Italia, aveva ordinato che il legato del
pontefice, e gli altri Italiani non seguitassero la persona sua, ma stessero appartati in luogo
fermo fuori della corte ».
* Machiavelli, ibid. 13«.— Non ebbe allora ad avvertirne l' importanza neppure il Qubìta,
il quale soltanto annotò (lib. viii, pag. 158). « De Bolzano se fue en principio del mes de
hebrero a Trento; j hizose alli cierta solenidad, y cerimonia, que acostumbran hazer los
Rejes de Romanos quando se van a coronar ».
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412 CAPO QUINTO. [libro
processione nella chiesa, il vescovo Lang significò, al popolo
il passaggio a Roma, che intendevasi, a somiglianza di un giu-
bileo, inaugurare con quel preambolo di pompa. In questo, Mas-
similiano, quantunque non ancora coronato, non ostante la
consuetudine, dichiarava d'assumere il titolo d'imperatore eletto.
Non c*era plenipotenziario papale che approvasse o contra-
stasse rinnovazione, la quale maravigliò i diplomatici e fu poi
riguardata come primo esempio imitabile. * Nessun re de' Romani
dopo Massimiliano aspettò più l' incoronazione a Roma per in-
titolarsi imperatore ; né la cosa, che a' Germani piacque, ebbe
certo a dispiacere a' pontefici, i quali di Roma avevano comin-
ciato a tenere la signoria. Ma nessun imperatore udì più ne' vol-
gari italici il dantesco invito a risollevare la città latina, ^ dopo
che Massimiliano ebbelo petrificato ne' distici de' suoi umanisti.
Quel che parve emancipazione era in fondo abbandono spon-
taneo, restringimento effettivo ed inconsapevole dell'autorità
^ OoicciABoiNi, Storia d'Italia, lib. vii : « Massimiliano, venuto a Trento per dare
principio alla guerra, fece fare il terzo di di febbraio una solenne processione, dove andò
In persona, avendo innanzi a so gli araldi imperiali, e la spada imperiale nuda, nel pro-
gresso della quale Matteo Lango suo segretario, che fu poi vescovo Qurgense, salito in
su uno eminente tribunale, pubblicò in nome di Cesare la deliberazione di passare ostil-
mente in Italia, nominandolo non più re dei Romani, ma eletto imperatore, secondo hanno
consuetudine di nominarsi i re dei Romani, quando vengono per la corona». L* Hbidbn-
HBiMER nel diligente suo libro sopra citato « Petrus Martyr AngUriut und Sfftn Optu 9pìr
itolarum » pag. 173-177 esamina con molta' cura le fonti storiche che ragguagliano di
questa solennità imperiale. Mostra anche una volta, oltre il Rànkb (in App. aì voi. i della
Déuttche Oetchichte, « usber einé ungedruekte Lehenabetchreibung Max't » pag. ^7 e
segg. quanto siano poco attendibili le notizie date dal Fuoobb, Spisget der Shren dea
Erxhautet Otitreich, il quale pone la ceremonia a* di 10 del febbraio e la fa compiere dal
legato papale. Riconosce nella lettera di questa commessione del M. l'autorità deiraffer-
mazione di sinceri testimoni di veduta; xiconosce che né il Vettori, nò forse lo Qurita det-
tero importanza a quella specie d*emancipazione dalla Chiesa che l'Impero iniziò in questa
occasione ; ma dopo il passo che del Ouicciardini abbiamo arrecato, ci pare men che
esatto ch'egli conthiuda : « Vettori hat aie nicht erkannt und ebensowenig Ouicciardini,
dem dessen Depeschen vorgelegen haben mtlssen *. L'Hbobwiscb, Gwehichte der Regie^
rung Kaiser Maanmilians des Ersten^ voi. ii, pag. 00, dice di Massimiliano: «mUndlich
kSnnte man ihn schlechtweg Romicher Kaiser nennen; dass Er aber in Schriften das
Beywort eines erwàhlten Kaisers zu brauchen gut fdnde, gesch&he blos aus dem Omnde,
den Pabst nicht auf den Gedanken zu bringen, als ob man die Kronung kttnftig nicht
mehr wollte durch ihn verrichten lassen. Pabst Julius war mit der Nachricht sehr su-
frìeden, da es gerade sein Wunsch war, den Kaiser von Italien abzuhalten und er in der
Ertheilung des blossen Titels nichts bedenkliches fand ». — Rak^k. Deutsche Geachichte
im ZeitaUer der Reformation, loc. cit. : Denn dass der titel < Kaiser » auch ohne die Kro-
nung in Rom gebraucht werden konnte, var eine inhaltsschwere Neuerung ftir die WQrde
eines deutschen Konigs. Die Nachfolger Maximilians haben den kaiserlichen Titel nromit-
telbar nach ihrer Kronung in Aachen angenommen ».
• Dantb, Purg.f vi, 118,
< Vieni a veder la tua Roma che piagne ».
Cf. in Zikoeblb, De Carminibus latinis saeeuli xv et xvi ineditiSf pag. 74, la Querela
Urbis Romae ad Divum Maaimil. Caesarem :
« Advenias, te Roma sibi dominumque patremque
Postulati hanc capias Maximiane viam ».
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SBCONDoJ LA CERIMONIA DI TRENTO. 413
imperiale ; ^ che mentre quegli gittava via da un lato le forme
e i segni d'una dominazione, che diramandosi dal centro della
cristianità s'intitolava però romana e distendevasi fin dove la
cristianità arrivava; mentre egli trasentiva quell'impulso na-
zionale che rendeva germanico V impero e che aveva per opposta
via già determinato i suoi sudditi e l'impero stesso a resistergli;
egli e il suo popolo sognavano ancora che non pur da Roma,
ma, discacciati i Turchi di Costantinopoli, da quella Costan-
tinopoli stessa agognata dai re francesi, si daterebbero oramai
diplomi imperiali, ricongiunti sotto un capo germanico l'im-
pero d'oriente e quel d'occidente indegnamente divisi.^ Cosi
sempre nell'illusione, nel yagheggiamento, nella pretesa del-
l'antica dominazione universale le novelle monarchie nazionali,
cozzanti fra loro s'andavano riducendo inconsciamente dentro
a' limiti naturali. Tanto è vero che cosi gli uomini, come le
istituzioni e le nazioni accade sempre che intendano tardi e
per accenno estrinseco la pubertà e la vecchiaia loro.
Il Machiavelli del resto non era uomo da guardare a simboli
e sapeva bene che non per formolo cancelleresche si stabilisce
l'indipendenza o la preponderanza d'un regno. Bensi aveva pa-
rato dinnanzi un grave problema; nella soluzione del quale dove-
vano egli e il Vettori rintracciare la linea di condotta che in
quel frangente per la Repubblica fiorentina conveniva seguire.
Il problema consisteva nell' indagare le cause per cui un paese
naturalmente forte, industre, ricco, come la Germania, si di-
1 Rankb, Deuttch€ asichichte, loc. cit. : « Oans yerschiedene Motiye bevogen ihn
dazu : aof der einen Seite der Anblick der m&chtigen Opposition, auf die er stieas, so dass
er schon fUrchtete, es werde ihm nicht gelingen, nach Rom za kommen ; aaf der anderen
das Geftlhl der Macht und Unabh&ngigkeit dea Reiches, dem er die PrarogatÌTOi der Christen-
heit das oberste Hanpt zu geben, auf alle F&Ue retten woUte ».
* Ci. SoLTAU, Ein hundéri Deutscfie hislorische VolKsliedery pag. 201 :
« Àch got frist ym lang sein leben
Bisz er sich auch mag geben
Christlichen glauben sumeren
und das erst loch serstoren
Das gschicht trenn er wirt wertreiben
den tflrcken, und sich och scbreiben
Zu Constantinopel Kayseer
O herr got verleih ym die eer ».
È singolare che mentre Massimiliano per gelosia di Francia nudriva cosi fantastiche pre-
tensioni, poco innanzi mostrasse al re di Spagna ben diversa e assai più politica disposi-
zione. Cf. QuBrrA, loc. cit., t. yi, lib. vii, pag. 115 (. : « Despnes en la segunda habla que
tnvieron con al Hey, el uno de los embaxadores dixo, que el Rey de Romanos, por mo-
strar el amor que tenia al Rey le queria dar y renunciar el Imperio de todo lo de Italia,
con el titulo: y retener para si solamente lo de Alemana, de suerte que quedasse y se in-
titulasse Emperador de Alemana y el Rey Catholico fuesse Emperador de Italia; y que
para osto le darla todo su derecho; y lo ajudaria, basta adquirir el dominio della ».
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414 CAPO QUINTO. [lib«o
mostrava nella vita internazionale fiacco, quasiché disinteres-
sato, immobile ; nell'avvisare se quelle condizioni non naturali
erano passeggiere e mutabili, e, in quest'ultimo caso, se la
mutazione era per riuscir probabile, vicina, subita; trattavasi,
in una parola, di valutare l'importanza politica e la costanza
dell'Impero.
Altra opera non era possibile condurre agli oratori delle di-
verse Provincie d'Italia per trarsi di quel labirinto in cui erano
tutti egualmente cacciati. Niccolò v'aveva ritrovato il cardi-
nale Carvajal, che v'era pel papa; ma in ira a Massimiliano
il quale gli aveva detto : « mostrerebbe a tutto il mondo che
sapeva far la guerra senza il papa e senza re ». ^ — V'avea
trovato per Siena Domenico Placidi e Anton da Venafro, il quale
ultimo anche dal Vettori si celebrava siccome « nelle cose
degli stati molto esperto e di lingua tanto atto a persuadere,
che pochi ne avea pari ». ^ Tuttavia mentre il papa non aveva
sino allora dato altro che ^ buone parole all'imperatore», chi
s'era già gittato a dirittura a dargli danari era Siena. Tanta
decisione pareva effetto della fina astuzia di Pandolfo e de' suoi
consiglieri, i quali vedevano che, a fare trattato con Mas-
similiano che desse assicurazione completa, finch'egli era in
Germania, sarebbero andati di gran danari, e col massimo pe-
ricolo di averli gittati al vento, se realmente egli poi non riu-
scisse ad effettuare il passaggio. Dall'altro lato il non aver
fatto nulla, nel caso che Cesare davvero e venisse e vincesse,
sarebbe tornato totalmente a rovina. Ci aveva ad essere tuttavia
un'uscita, e questa era nell'accomodarlo d'un imprestito di
somma non grave, ora ch'egli trovandosi in gran bisogno di
danaro non avrebbe ricusato nulla; ora che coU'imprestargh
dimostravasi aver fiducia nella sua venuta; ora che gli si dava
mezzo di ostentar come credito questi debiti che contraeva; ri-
servandosi poi, quando la fortuna lo favorisse in Italia, di
rimettersi non senza speranze a discrezione di lui. ^ Ma per
Firenze questo medesimo mezzo termine non approdava, dap-
poiché essa come città guelfa, come città francese, come città
presa di mira da Massimiliano e tiranna di Pisa aveva a temere
troppo maggiori danni che non Siena; non avrebbe potuto far
imprestito tenue e sapeva troppo < come si prestano e' danari
^ Machiavelli, Commissione cit., Lett. 14.
* Vbttori, Viaggio d'Alemagna, pag. 121.
* Machiavelli, Ioc. cit., Lett. 43.
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•ECONDo] MASSIMILIANO ACCAREZZA I VENEZIANI. 415
a' re, e come si rendano >. ^ Il duca di Ferrara timoroso del
forcipe di Veneziani e Francesi, entro la cui stretta trovavasi,
faceva mancar le lettere all'oratore, per aver modo di consi-
gliarsi secondo che gli avvenimenti portassero. E cosi si rego-
lava Mantova, e cosi Lucca; dappoiché tutti stavano cogli occhi
intenti a' moti di due popoli liberi, da cui le due più poderose
monarchie d'Europa parean dipendere; aspettando vedere come
si condurrebbero gli Svizzeri col re di Francia « in cui consi-
steva, quanto alla guerra, il vincere di costui », secondo che
il Machiavelli e il Vettori rilevavano; * e che farebbero i Ve-
neziani coli' imperatore, il tesoro de' quali da taluni si reputava
nervo di guerra. ^
Massimiliano per verità, ora li lisciava eccitandoli con ogni
maniera di carezze e d' inviti a convenir seco, mandando loro
quando il frate da Landriano, generale degli Umiliati; ^ quando
Costantino Areniti, esule Comneno, zio della marchesana di Mon-
ferrato; quando prete Luca Rainaldi suo consigliere e segretario ; ^
ora li minacciava per mezzo del dottor Rabler commissario suo
che avea stanza in Bologna.^ Se non che essi, che sentivano di
non aver riparo quando l'imperatore vincesse, si mostravano
^ Màchiayblli, loc. cit.
* Macbiavblli, Comm. cit., Lett. 17.
* Id. ibid., Leu. 18. £ in un dispaccio del Quirino de* 27 di maggio, allegato dal
Brosch, op. cit., pag. 336 : « cossi come el danaro è il principal fondamento de la guera,
credo che in trovarlo consista etiara la maxor dii&cultà ».
« Id. ibid., Lett. 14 e 10. Nel Rapporto delle cose della Magna, ed. Opp., voi. vi,
pag. 314 : « fece ultimum de potentia di avere i Vinixiani, ai quali mandò il fra Bianco,
mandò Prè Loca, mandò il Dispoto della Morea e i suoi araldi più volte ». Cf. Valenti-
KKLLi. Regesten sur deutacher Oetehichte, loc. cit., pag. 589, 502, 597.
& Machiavelli, Comm. cit.y Lett, 5 e 11. 'NeWExemplum lUerarum McucimiUani regia
Romanorum ad Uluslriat. Dominium venetunt (Marin Sanudo, Diariif t. iv, col. 641) si
legge : « Rediens ad nos ex urbe honorabilis Lucas de Renaldis, praepositus in Strasburg,
secretarios noster, etc. » Prete Luca aveva rassegnato nel 1503 la sede vescovile di
Trieste. Ne* Diari medesimi (t. iii, 837) ò chiamato « pre' Lucha di Renaldi da Pordenon. » —
* Machiavelli, (loc cit., Lett. v, xi) lo chiama « Rabelar »; da Marino Sanudo (Dia-
rio ros. vi) è detto Rabeler. V. la sua diceria al Senato veneto riferita dal Romanin, Storia
documentata di Venezia, voi. v, pag. 180. Egli fu dottore e consigliere accettissimo di
Massimiliano. L'unico documento che lo riguarda, nel R. ed I. Archivio di Vienna, comu-
nicatoci con {squisita cortesia dal signor barone Arnetb, ci dà notizia che nella prima
metà d'ottobre 1514 egli era morto e V imperatore pagavagli un debito superstite : « K.
Maximilian I an Wolfang Haller, Hauskammerer su Innsbruck, — « Als du weilend unsemi
rate doctor Johannsen Rablern zu seiner auslosung zu Ynsprugg 88 gulden rein. Bar ge-
lìhen und gegeben hast inhalt seiner handschrift dir deshalben zuegestelt, und dieweil aber
derselb unser rate mitlerzeit mit tod abgangen und dieselben 23 fl. rein. noch nit bezalt
hat, demnach emphelhen wir dir mit ernst und wellen, daz du dich der bemelten 28 fl. rein.
von dem einkomen unsers hauscamerambts zu Ynsprugk deiner verwesung genzlich beza-
lest und alsdann unserm dlener Albrechten Verr der berurten unsers rats obligacion zue-
stellest und das nicht lassest; so sol dir suih gelt in deiner kunftigen raitung fur gut
ausgab gelegt und aufgehebt werden ».
Actum Ynsprugg am 14 tag Octobris anno, etc. im 14 (1514).
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416 CAPO QUINTO. [libro
meglio inchinevoli ad incarnarsi con Francia, la quale « in ogni
luogo difendeva ed esaltava le cose loroj^.^ Tuttavia questo in-
teressato corteggiamento di competitori non era per durare a
lungo alla repubblica dell'Adriatico, ricca e male armata;* che
anzi il Machiavelli prevedeva come essa lo avrebbe pagato caro
il di che i suoi corteggiatori le si fossero posti contro con ini-
micizie congiunte ; e pur troppo doveva computare fra i van-
taggi degli oltramontani due infermità in cui sapeva consistere
Tordinario stato d' Italia, infermità « le quali anno fatto onore
infino a qui a qualunque Tà assaltata, che sono: essere tutta
esposta alle ribellioni e mutazioni e avere triste armi; d'onde
n'è nato e' miracolosi acquisti e le miracolose perdite». ^
Con questa dolorosa certezza delle patrie miserie, nel-
l'impossibilità di ricevere da' signori lettere per mezzo non in-
certo e non sospetto, di mandarne altrimenti che per man di
venturieri e mendicanti, ^ nell'impossibilità di prestar fede agli
1 Machiavelli, loc. cit., Lett. 18.
« Machiavelli, loc. cit., Lett. 18. Ibid., Lett. 19: « Luca da Monte Varchi, stato vo-
stro conoestabile, è venuto qui dal campo de* Viniziani, e riferisce avere tristissime fan-
terie, e se costoro si conducono alla campagna, che le faranno trista prova ».
* Machiavelli, loc. cit., Lett. 12.
^ Machiavelli, loc/ cit., Lett. 13: « Questa Maestà ha messo diligentissime guardie
che nessuno possa passare in Italia sanza lettera sua; il che ha ordinato perchè nessuno
possa riferire di bocca de*8uoi preparamenti ».^ Id. ibid., Lett 14: « Oltre alli altri di-
spiaceri questi dna mi ammazzano ; lo essere discosto dalla corte e non potere né mandare
né ricevere lettere da vostre signorie ». — Ibid., Lett. 20: « Vostre signorie quando ci man-
dano, si sforzino trovare uomini tedeschi, o che ci sieno pratichi perchè possino condarre
le lettere più segrete e più facili, e questi sono venuti, dubito non sieno lasciati tornare ».
— Talora le stesse cautele impediscono di trarre utilità da alcuna lettera che recapita
bene : « la quale, per essere in cartapecora, e (dal cavallaro) messa in un pane, e per
questo prima inumidita, e poi secca, non si potette spiccare se non in pezzi, e non ho po-
tuto leggere se non il quarto, e quello interrotto » (Lett. 21). — n Vettori che prima spac-
ciava la sua corrispondenza per mano di Raffaello Rucellai, quando questo mezzo gli
venne meno, è ridotto a mandarne « alla ventura per le mani di dutf birboni che venivano
in Italia ». (Ibid. Lett 13). — Che il vocabolo « birbone » abbia comunemente avuto presso
di noi significato di plebeo camminatore ed erratico non è dubbio pe* numerosi esempi che
s* incontrano, in cui questa parola è impiegata ad esprimere una idea affine a quella di
mendicanti, zingari, ebrei, vagabondi ed altre simili qualità di persone o di condizioni. Ma
se c'è accordo circa questa antica significazione del vocabolo, la discordia, forse a cagione
del significato ora in voga, è intomo alla derivazione etimologica. Da alcuni infatti, siccome
accrescitivo di birba^ lo si deduce dal latino v^rpiM o verpa; uomo libidinoso e tristo [Vpe.
della Crusca ed. ult.) ma in tal caso non può intendersi per qual maniera si possa giusti-
ficare il significato antico, che pure è costante e certo e che dà l' idea di camminatore
e di tapino insieme; altri arrivano a trarlo fuori persino dalla voce « busbo », ma
sempre nel più moderno significato d*uomo tristo e da rei partiti. Noi ci permettiamo
affacciare il verbo gotico hvairban che esprime T idea d'andar errabondo (in tedesco ioan-
deln, mpiTtariiv. Cf. Dibffbnbach, Vergleichendes Wlirterbuch der gothischen Spraehe,
t. II, pag. 597) siccome lontano progenitore della controversa parola. Osserviamo inoltre,
ciò che gli etimologi non avranno difiSeoltà d'ammettere per lo scambio che in italiano
accade assai frequente tra le labiali, (cf. Dibz, Oramm. des langues romanes, ediz. fr.
pag. Z29) : che tra la voce italiana birbone e la francese fìripon, dedotta naturalmente da
friper, corre grande analogia. Di fHper il Brachet {Dictionnaire itymoìogique de la Uingue
fran^aise) afferma essergli incognita Porigine, il Littré, (Dici, de la langue fìrancaìte) nota
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RECONDo] RAPPORTO DELLE COSE DJ LAMAQNA. 417
occhi e airorecchie proprie, per quel che concerneva le occor-
renze della giornata, posto che Massimiliano pareva mettere
il segreto ad usura; non restava a Francesco e al Machiavelli
se non dal computo delle forze trarre argomento delle pro-
babilità, discorrere, commessi dicevano, la cosa in universali.
Questo lavorìo industre e penoso dei due mandatari fiorentini,
nelle cui lettere s'intravede la fatica che loro costa e i gradi
per cui procede, apparisce come in riassunto nel Rapporto delle
cose di Lamagna che il Machiavelli presentò ai signori, secondo
era stile, il di appresso alla tornata sua.
Questo Rapporto, di cui il Machiavelli forse troppo si
compiacque, fu germe d'altre consimili scritture del segretario
fiorentino intorno alFargomento medesimo, ^ nelle quali ci è
dato anche una volta, insieme all'osservazione della realtà este-
riore, che Niccolò con Y intuito suo potentemente aff'erra, avvi-
sare il conio personale e subbiettivo con cui egli impronta le
cose delle quali il suo pensiero s'impadronisce; eie dato sor-
prendere la formazione, la determinazione occasionale di nuove
massime pratiche, che in altra stagione poi egli o dimostra
come teoremi, o enuncia come precetti, o anche come paradossi
sostiene contro i contemporanei reluttanti.
L' indole romanzesca di Massimiliano, il comico contrasto
per cui questi sempre afiaccendato nella politica esterna, col
desiderio sempre intraprenditore, sempre splendido per incli-
nazione, è astretto a vivere continuamente alle prese colla po-
litica interna della Germania, ad essere in ogni sua impresa
trattenuto per mancanza di mezzi e insieme a profondere
quel po' di danaro che gli sdrucciola per le mani, come se ne
avesse superfluo, è spettacolo da provocare fortemente la fan-
che il Diaz lo trae dallo scandinavo hripa, « procéder avec grande h&te ». Tuttavia crede
che il primitivo significato di fripon avesse ad essere principalmente quel di gourmand,
ghiotto, derivando friper da berry e spiegandolo « lécher la sauce d'un plat avec la lan-
gne ». — Ciò non ostante il « procéder avec grande bàte » dello scandinavo hripa mostre-
rebbe ancor più la parentela delle preindicate parole nelle due diverse lingue.
> Vi anno tre scritti di Niccolò Machiavelli intorno alle cose germaniche. Il primo è
il « Rapporto fatto que$to di i7 giugno i508 » Il secondo, nel quale richiama quello già
composto « alla giunta mia anno qui » è del 1509; potè forse essere un accessorio della
commissione data a Oiovan Vittorio Sederini e a Piero Ouicciardini, quando andarono ora-
tori a Massimiliano, e s'intitola: « Discorso sopra le cose della Magna e sopra l'Impera-
tore». — « Finalmente i « Ritratti delle cose della Magna» appaion composti sullo scorcio
dell'anno 1518 o in sul principio del 1513 facendosi in essi menzione e della giornata di Ra-
venna (11 aprile 1512) e della guerra mossa « ultimamente » dal re di Spagna a quel di
Francia in Quienna. È ad annotare che del Rapporto e del Discorso di Niccolò ebbe a far
suo prò Francesco Ouicciardini nel libro xxx della sua Isl. fiorentina. Cf. pag. 348-340, etc.
ove riproduce persino il motto latino detto dall'Imperatore alla dieta di Gostanza: « Ego-
possum ferre Ic^reSj volo eliam honores». V. pji Machiavelli, Discorsi lib. ii. cap. 19.
ToMMASiNi - Machiavelli. 27
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418 CAPO QUINTO. [lobo
tasia di Niccolò, facile a cogliere il lato drammatico d*ogni
cosa.i Nelle lettere scritte a nome del Vettori ei lascia ben
sfuggire qualche celia prudentemente dissimulata circa questa
strana condizione di cose : « né a questo Re, per quello che
appare, manca altro che danari > — « Che V Imperadore abbi
assai soldati e buoni nessuno ne dubita; ma come li possa te-
nere insieme, qui sta il dubbio: perchè non li tenendo lui se
non per forza di danari, e avendone da un canto scarsità per
sé stesso, quando non ne sia provveduto da altri (che non si
può sapere) ; dall'altro sendone troppo liberale si aggiugne dif-
flcultà a diflBcultà; e benché essere liberale sia virtù ne prin-
cipi, tamen e' non basta satisfare a mille uomini, quando altri
à bisogno di ventimila ; e la liberalità non giova dove la non
aggiugne ».^ Ed ecco un altro germe occasionale d'uno di quei
molteplici assunti per cui più tardi il Machiavelli prese a coz-
zare sul campo della teoria con le massime avute allora per
sicure e intangibili da quei molti che ini fatto di repubbliche e
principati ne immaginavano di quelli « che non si [sono mai
visti né conosciute essere in vero ». ^ In questo caso pre-
sente egli s'abbatte nella massima che il principe Jdeve essere
necessariamente e con tutti e in ogni occasione liberale ; che
se questo é a ritenere in generale d'ogni principe, a più forte
ragione, e in modo più particolare sembra debba credersi del-
l' imperatore. E la reazione contro cosiffatto asserto è come il
portato teorico che nel massimario politico (del jsegretario fio-
rentino si aggiunge per questa sua commissione J germanica.
Probabilmente fin da questi tempi traj[i politicanti italiani
raccolti a fantasticare in Tirolo dietro la corte di Massimi-
liano, dall'una all'altra dieta, senza indirizzo possibile alle loro
trattative, senza conoscenza di quel che accadeva, di quel che
preparavasi, ebbe ad agitarsi accademicamente la questione
circa quella maniera di prodigalità del re dei romani; a con-
trapposto della quale mettevasi la parsimonia di papa Giulio
i Machiavelli. Commissione cit., Lett. 13. Qurita, loc. cit., lib. viii, pag. 152 1.: «esU
fae sienipre la condicion y suerte del Rey de Romanos, que en todas sus pretensiones, y
differencias pidia sempre mucbo mas de lo justo, y ordinariamente venia a contentarse con
harto menos de lo que era bonesto ».
* Machiavelli, Commissione citata, Lett. 12. Cf. Il Principe^ capo xvi : « la liberalità
usata in modo che tu non sia temuto ti ofTende ». Il Quiriki, Relazione di Germania, loc.
cit., pag. 27, scrive di Massimiliano: « È ancora amato perchè dona quello che ha e la-
lora quello che non ha ». E più oltre, calcolando le rendite ordinarie e straordinarie di lai
in 400,000 fiorini, aggiunge: « Si può dire che il Re de*Romani, per il mal governo che ha
avuto ed ha dei danari, non possa aiutarsi delle sue entrate in ninna impresa »,
> Machiavklli, Il Principe, cap. xv.
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MCowDoJ OPINIONE DEL M. CIRCA LA LIBERALITÀ DE'PRINCIPL 4W
o la miseria del re di Spagna. Dalla contradizione forse il pen-
siero del Machiavelli a questo proposito uscì fin d'allora bello
e formato ; forse a chi gli obbiettava che quel che a un pon-
tefice 0 a un re di Spagna non disconvenivasi, mal si addiceva
ad un Cesare, fin d'allora il Machiavelli rispose : < Cesare (l'an-
tico Cesare che talvolta pareva avesse a dar norma a chi re-
putava aver ereditato diritti dal nome di lui) era un di quelli
che voleva pervenire al principato di Roma; ma se poiché vi
fa venuto, fusse sopravvissuto e non si fusse temperato da
quelle spese, avrebbe distrutto quell'imperio. ^
Ma quel che positivo apparisce in questa commissione e
relazione del Machiavelli si è che i Fiorentini ne sanno delle
cose della nazione tedesca troppo meno dei Veneziani. * Un solo
sguardo che si getti sulla presso che contemporanea relazione
di Vincenzo Quirini ^ basta a persuadere dell' immensa difierenza
che intercede fra questo scritto cosi logico, cosi completo, cosi
libero da pregiudizi subbiettivi dell'orator veneto e il Corre-
lativo Eapporto del Machiavelli, il quale invece a ogni pie
sospinto lascia trapelare gl'influssi che cospirano a sviare
l'autore dal vero, a renderlo senza dubbio più sottile che accorto.
Il Quirini comincia dal fornire ampia e particolare notizia geo-
grafica del paese, distinguendo confini e provincie, comunità
e governi signorili, temporali ed ecclesiastici. Indi riassume per
sommi capi il procedimento storico per cui l' istituzione del-
l' impero ebbe a trapassare nel corso della sua organica evo-
luzione. Misura poscia l'autorità dell' imperatore, secondo le
fondamenta giuridiche, e pone a rimpetto di essa il computo
della sua potestà effettiva, soggiacente agli attriti di singoli
interessi contrastanti, modificata secondo la personale virtù e
la prudenza dell* Imperatore. Esamina in seguito la qualità dei
soldati, il numero che può trarsene e la bontà dell'artiglierie
1 Machiavelli, Il Princip0, capo xvi. Vedi particolarmente tatto il paesaggio : « E se
alcuno dicesse Cesare con la liberalità pervenne ali* imperio, ecc., ove par veramente ri-
prodotto l'andamento e il contrasto d*una discussione. Il Wiskbmann, Darstellung derin
DeuUchland zur Zeit der Reformation herrtchend&n NationaìdhonomiscJien Ansichten,
Leipzig, 1861, pag. 36 a proposito di questo passo del Machiavelli cita parecchi incisi e da
Tacito e da Plinio che paiono confortare Topinione del segretario fiorentino. Noi vedremo
a suo luogo se in questo caso le dottrine classiche soltanto, o Tautorìtà in genere più che
i fatti valessero a determinare la sentenza del Machiavelli.
s Machiavelli, nei Ritralti dalle cose della Magna^ pag. 328, lo confessa : « E i Vini>
siani per il commercio ch'egli hanno con i mercanti delle comunità della Magna, in ogni
cosa ch'egli hanno avuto a fare o trattare con l'Imperatore, l'hanno intesa meglio che
alcuno altro, ecc ».
* V. Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti, serie i, voi. vi, pag. 1-58. La relaziona
del Quirini fu da lui letta in Pregadi nel dicembre 1507.
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ito CAPO QUINTO. [hmm
e degli ordinamenti della milizia ; valuta i redditi, rassegna i
modi di spesa, enumera le malleverie di credito, gli espedienti
economici che sono nelVarbitrio di Massimiliano ; espone le ra-
gioni delle relazioni di lui coi principi, di questi colle terre
franche, delle terre franche coi vescovi ; accenna alle lotte da
lui durate con Bertoldo di Magonza, il quale con sé « tirava
la maggior parte delle terre franche per esser savio e molto sti-
mato da esse », ^ accenna alla guerra per la successione feudale
del duca Giorgio di Landshut,* al favore che dopo la morte del-
l'arciduca Filippo il Bello, si è accresciuto all'imperatore fra i
principi secolari « parendo loro che la corona possa cascare, da
poi la morte sua, in ciascun di loro ; né dubitano dei nepoti di
Sua Maestà per esser molto piccoli e non atti da qui a venf anni
ad esser eletti a tanta dignità»; ^ discorre esattamente della
condizione de' Svizzeri rispetto alla Germania; delle vie che
questa avrebbe a piombare in Italia a' danni della repubblica
di Venezia, quando si decidesse a nimicarla; é insomma uno
scritto pensato, e condotto con ordine eccellente in ogni suo
particolare, con riguardo a tutte le utilità escogitabili per la
repubblica veneta.
Il Machiavelli invece troppo dilata l'angusto ambiente in
cui è capitato, pur trascurando di darne il disegno; e troppo
soggiace alla preoccupazione della tradizione classica, cui
davasi allora valore troppo convenzionale d'indubitabile espe-
rienza. Però giudica di tutta Germania da quel po' di Sviz-
zera e di Tirolo che vede; di quella splendidezza di vita
che menavasi nelle corti de' nobili e per le città ricchis-
sime dell'Hansa,^ ei non sa che ben poco ; non sa nulla di quel
che già Agostino Patrizio aveva verificato; ^ di guel che già
Enea Silvio Piccolomini aveva veduto a' suoi tempi ;^ al quale
i QuiRim, loc. cit., pag. 31.
* Cf. Ramkb, Geschiehten der romanischen und germanischen V'ólker, pag. ISO e seg.
* QuiBiMi, loc. cit., pag. 33.
* Cf. Fbbttao, Aus dsm Jahrhundert der Reformation fra i Bilder aui der dewttchen
Vergangenheit, yol. ii, parte 2", pag. 220 : « In den patricierfamilien der grossem Reichs-
stfidte .concentrirte sich weltroiUinische Bilduog, Wohistand und die Freude um Genuss.
welche sich oft in schlechtem Ratlinement aasserte, aber auch Kunat und Handnwerk su
den besten Leistuogen ermuthigte ».
<^ Auo. Patbitii, Epistola ad Jacobum card, Papiensem, apud Fbbhkr, 1. ii, pag. 143:
« Est Germania (ultra quam nostri homines credant) magnifica et pulchra et illi antiquae,
quam Caesar, Strabo et Tacitus aliique describunt, fortuna et morìbus valde dissimilis ».
* Abnbas Sylvius, De moribut Oemtanorum in Opp., pag. I(fi4: « Quod suppellectilea
vestrae demonstrant et onustae auro argentoque mensae. Nam quod diversorium apod voa
est, in quo non argento bibatuf, quae mulier non dicimus generosa, sed plebea non auro
iiitet. Quid torques equitum et eqnorum frena ex auro purissimo referamns. Et tot calcarìa
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tócowDo] PRECONCETTI CLASSICI DEL MACHIAVELLL 4SI
magnificare Teleganza e lo splendore della vita germanica e
ragguagliarne la venustà colla proverbiata leggiadria ond'erano
superbe le città d'Italia, sembrava ideale non altrimenti lu-
singhiero che al Machiavelli quello di celebrarne la frugalità
e la vita sobria. Tanto difficile era allora alle genti latine
afferrare pienamente il genio della vita germanica, quanto
forse è ora alle tedesche connaturarsi Y indole della civiltà
latina. Un po' di pregiudizio dall' un lato o dall'altro c'era
allora e c'è sempre; ma allora gli encomi d'Enea Silvio pare-
vano in Germania più accettabili che quelli del Machiavelli, ^
i quali peraltro furono risguardati piuttosto con compiaci-
mento che con esame, ^ e sospettati talvolta non già per non
ischietti, ma forse per meno che veri.
« Della potenza della Magna, egli scrive, veruno non può
dubitare; ^ perchè ella abbonda d'uomini, di ricchezze e d'armi.
et vaginas gemmis tectas et annulos et baltbea et tboraceii et galeas auro fulgentes. . . —
pauper ipse ingenio fuerit qui Germaniam pauperem attinnaverK. — Vcdiasi anche la de-
Bcriaione che egli fa di Vienna, di Francforte e di Lubecca: « sed omnibus praestat Lu-
beciun altissimis aedibus templisque munitum ornatissimis » etc.
» Ulrich von Hutten, Heroicum de non degeneri Statu Qermanorum:
« Quid dìcam ut in urbibus ipsis
Tot veniant cultus, tot opes. tam splendida cuncta
Ut nulli nobis ausint certare nriores!
No8 etiam argentum noe nobile niittimus aunim,
Nos legiinus geinmas et Buccina prisca recenti
Sperninms invento; tanta est industria, tantum
Crevimus ingeniis ».
* Gbrvi^us, Geschichte der florentinischen historiographie, Vienna, 1S71, pag. 97: « S«ine
Ritratti von Frankreich und Deutschland beweisen, wìe scharf er in die EigenthUmlichkeiten
der Volker einzugehen verstand. vie eindtingend er die politische Lago, den innam Zustand
fremder Lander, die Natur der Nationen und der Regierung beurtheilte ». — Knibs, N.
Machiavelli als VoVuwirthschaflUcher Schrifìsleller^ nella Zeitschrift fur die Qe$ammte
Staatswitsenschaft. Tubinga. 1S52. pag. 250: « In welchem Oegensatx (co* Ritratti di Francia)
zeìgt sich daneben das Bild, welches Machiavelli von den Zust&nden Deutschlands entworfen
hat! Dem « nach fremdem Gute lUsternen, znr Verschwendung geneigten Franzoses. der
ftusserst geschickt stiehit und durch die politische Knechtung niedertr&chtig geworden Ist »,
Btellt er den sparsamen, in freiwiliiger Aermlichkeit lebenden, rechtschaffenen, fromraen,
auf seine Freiheit eiferstichtigen und stolzen deutschen Stadtbtlt^er gegenuber; frellicb aber
auch der unbedingten Gewalt der friinzosuchen KÒnige, die auf der kemhaften KraftfUlIe des
deutschen Landes sich erhebende schmale, schwankende Macht eines Maxirailians ». Mundt,
Machiavelli und der Oang der europdischen Polilik, Lipsia. 1S58, pag. 20 : « die (Gesandt-
Bchaftberichten) aus Frankreich und Deutschland sind zu voUst&ndigen Gem&lden dieser
Lander ausarbeiteten » — È facile rilevare da*sopra citati passaggi come la costante riva-
lità politica tra Francia e Germania abbia potuto per lungo tempo far velo a giudizi equa-
nimi intorno a questa Relazione del segretario fiorentino, e come la sollecita dififbsione che
queste, a preferenza d'altre scritture di lui, trovarono per le stampe, essendo state pubbli-
cate la prima volta nel 1532, fece andar troppo accarezzate alcune opinioni delle quali nella
stessa Germania il medesimo Kniess e il Mundt scossero il credito; questi riconoscendo
come il Machiavelli avea visti i Tedeschi de* tempi suoi « in einem fabelhaften, der Wirk-
lichkeit nirgend entspreckenden Lichte »; quegli osservando in genere che vi sono alcune
massime d'economia che il Machiavelli formula « vo sich von der Gegenwart ganz abwendet
und rtickhaltloss ftlr das alte Rom versenkt ».
* Machiavelli, Commit». alVImp.^ Lett. 14: « La potenza della Magna ò grande, e può,
volendo lei in uno momento risuscitare una impresa morta, non che fare più gagliarda
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4» CAPO QUINTO. [ubbq
E quanto alle ricchezze, e' non v'è comunità che non abbia
avanzo di denari in pubblico ; ^ e dice ciascuno, che Argentina
(Strassburg) à parecchi milioni di fiorini; e questo nasce, perchè
non anno spesa che tragga loro più denari di mano, che quella
fanno in tener vive le munizioni ; nelle quali avendo speso un
tratto, nel rinfrescarle spendono poco. E anno in questo un or-
dine bellissimo, perchè anno sempre in pubblico da mangiare,
bere, ardere, per un anno ; e così per un anno da lavorare le in-
dustrie loro, per potere in una ossidione pascere la plebe e quelli
che vivono delle braccia, per un anno intiero, senza perdita.
In soldati non ispendono, perchè tengono gli uomini loro ar-
mati ed esercitati. In salari ed in altre cose spendono poco,
talmentechè ogni comunità si trova in pubblico ricca». — «E
se io dico che i popoli della Magna sono ricchi, egli è così la
verità; e fagli ricchi in gran parte, perchè vivono come poveri;
perchè non edificano, non vestono e non anno masserizie in
casa ; ^ e basta loro abbondare di pane e di carne, e avere
una stufa (stuòe) dove rifuggire il freddo. Chi non à del-
l'altre cose fa senz'esse e non le cerca. Spendonsi indosso due
fiorini in dieci anni, ed ognuno vive secondo il grado suo, a
questa proporzione, e nessuno fa conto di quel che gli manca,
ma di quello che à di necessità ; e le loro necessità sono assai
minori che le nostre; e per questo lor costume ne risulta,
che non esce denaro del paese loro, sondo contenti a quello
che il lor paese produce ; e godono in questa lor vita rozza e
libera, e non vogliono ire alla guerra se tu non gli soprappaghi
questa eh* è viva ». Id. ibid., Lett. 19 : « in fatto la Magna pnò assai ; e non ha se non a volere
e da un*ora all'altra può volere e fsre ». E Lett. 20: « E se mi fnssi detto la Magna h
potente e da un'ora a un'altra può far gran cose, rispondo che questa potenza della Ma-
gna, Vostre Signorie la sanno come me; e se voi avessi voluto starvene a questo, voi ne
aresti commesso che io facessi ; ma volendo che io mi rapporti a quello che 3i fa e noQ
a quello che si potrebbe, fare* altra risoluzione.
1 Machiavblli, Convmi». aU* Imp,, Lett. 13: « perchè nella Magna è più di una co-
munità si ricca, che potrebbe provvedere a molti più danari che non ha bisogno ».L'He-
aBWiscH, Ge8chicht0 der Regierung MaximiUans /, t. i. pag. 79 traduce il passo da noi
citato dei RUratti delle cote della Magna del M. e in tutto il capo 2P della sua storia
offre una bella pittura dello stato della Germania in quei tempi. Tuttavia nella narra-
zione non cita la Commitsione dei Vettori come sua fonte storica, ma si rifa selo al Guic-
ciardini, non essendogli quella accessibile a* tempi in cui scrisse.
* n QoiRiNi, loc. cit.: « Vivono tutti i principi abbondantemente, e più etmautnana
nella gola che in altro. Vestono miseramente, né usano troppa pompa nella famiglia ». "
* I Gentiluomini hanno tutti per costume abitar in qualche castello fuori delle città, ovvero
in corte di qualche principe, ovvero tra monti in lochi solitari. Vivono e vestono misera'^
mente, e sono poveri, inimici de'cittadini, e tanto superbi che per ninna cosa del mondo si
apparentariano con chi facesse mercatanzia, e né pur si degneriano praticar insieme con
loro ».... « I cittadini delle terre franche sono tutti mercatanti, vivono abbondantementOi
« vestono male, ancora che tra loro vi siano de'ricchi assai ».
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secondo] mire pratiche E PRECONCETTI CLASSICI DI NICCOLO'. 423
e questo anco non gli basterebbe se le comunità non gli coman-
dassino>. ^
Da tutta questa maniera di descrizione apparisce come gran
parte di quel magnificare che fa il Machiavelli, la vita rozza
e libera, le necessità del popolo tedesco assai minori che le
nostre, sia da attribuire a un'occasione tolta dall'irritato
sentimento di lui per ferire col contrapposto i costumi artificiosi,
le abitudini spenderecce, i raffinamenti d'un lusso, non infre-
nabile per leggi suntuarie, di Firenze e d'Italia; opponendo a
tutto ciò la sordida grettezza di chi si spende addosso due fio-
rini in dieci anni, e nell'angustia delle cose proprio indispensa-
bili alla vita riduce fieramente le necessità sue. Ma questa è
pretta esagerazione, simile a quella di quei moralisti i quali
non avendo molta fiducia né alla efficacia della propria persua-
• siva, né alla virtù o all' intelletto di coloro cui predicano, si
affannano a mettere scrupoli al posto della coscienza-
Se non che il fatto rilevante è questo, che il primo accenno
del Machiavelli a principi e teoriche di politica economia ap-
parisce primieramente all'occasione di questa sua commissione
in Germania e nei Rapporti e Ritratti che ci tramandò di essa.
Naturalmente quei principi e quelle teoriche ei non l'enuncia,
come colui che conosce abbastanza gli uomini in genere e la
particolare condizione sua in ispecie, per intendere che a lui
^ Nei Ritratti delle cose della Magna, scritti, come già dicemmo, circa il 1512, il Ma-
chiavelli aggiunge particolari che meglio indicano i preconcetti pratici che lo scrittore ebbe
in vista neirordinare questo componimento e l'influsso dell'antichità classica che operava
sn Ini. Cosi, a cagion d'esempio, nell* intensione di meglio accreditare, coll'esempio tolto di
Grermania, V istituzione delle milizie fiorentine e Tosservanza dell'ordinanza sua, soggiunge :
« Tengono gli uomini loro armati ed esercitati, e i giorni delle feste tali uomini, in cambio
di giuochi, chi si esercita con lo scoppietto, chi con la picca, e chi con un arma e chi con
un'altra, giocando tra loro onori e simili cose. I quali intra loro poi godono in salari!, et
in altre cose spendono poco. Talmente che ogni comunità si trova in pubblico ricca ». Chi
non intravvede poi in quest'ultimo inciso un'allusione chiarissima alla sentenza (Sallust..
Bellum Catilin.: « prò his nos habemus luxuriam atque avaritiam, publico egestatem,
privatim opulentiam ». Similmente, ove toma sulla cura che i Tedeschi mettono a esclu-
dere il più che possano ogni importazione di merci per non far uscire danaro dal paese ;
anzi a fame entrare di quel di coloro che cercano « delle loro robe lavorate manual-
mente », è evidente accenno al passo di Cesare, (De bello gallico, lib. iv, cap. 2;: « Mer-
catoribus est ad eos aditus, magis eo, ut quae bello caeperint, quibus vendant babeant,
quam quo ullam rem ad se importar! desiderent. Quin etiam jumentis, quibus maxima
Gallia delectatur, quaeque impenso parant pretio. Germani importatis non utuntur; sed quae
tunt apud eos nata, prava atque deformia, haec quotidiana exercitatione summi ut sint
laboris, elflciunt ». In genere può dirsi che né nel Rapporto^ né nei Ritratti della Magna
si trovi veran richiamo della Qermania di Tacito. È poi notevole il seguente passo del
PuFBNDORP, De Statu Imp. German., cap. vii. per quel che potò valere, secondo la di-
versa ragion dei tempi, rafferroazione di Cesare e quella del Machiavelli : « Et quibus
aliunde importatis utitur (Germania) vel eorum quae exportantur copiam non excedunt,
vel talia sunt, ut facile iis carerò possint Germani, si luxuriam compescere, aut socor-
diam ineptiamque nossent exuere ».
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-484 CAPO QUINTO. [libbo
non conviensi metter fuori dottrine o consigli ; ma suole questi
e quelle adombrare e, per cosi dire, incorporare ne' fatti per
modo ch'egli ottiene facilmente che si rilevino, e che chi inav-
vertito ne sugge, volentieri se ne imbeva, e li caldeggi poi come
indovinamenti e trovati propri e li ponga in opera, o raccolga
in essi un'altra conferma dell'opinione sua. Che anzi Niccolò
si guarda puranche di allegarli come indubitabili o di tenersi
responsabile dell'osservazione di essi, ma di soprappiù dichiara
che le cose che dice, non le dà « come ragionevoli e vere, ma
come cose udite >. ' Ora, a noi non è dato determinare se la ca-
gione di questo primo accenno sia a riconoscere nel termine
di ragguaglio che il segretario incontra primieramente fra le
condizioni commerciali ed economiche della Germania e quelle del
suo paese, termine di ragguaglio che forse eragli precedentemente
mancato ; o se siano pregiudizi paesani o preconcetti suoi, cui
procaccia a questa guisa uno sfogo occasionale. Egli vede il
grande risparmio che alle finanze delle comunità germaniche
è recato dal non dover queste spendere in pagar mercenari od
eserciti stanziali ; e il restitutore della milizia statuale di Firenze
gode che questo vantaggio possa collocar la rinnovellata istitu-
zione sempre in più certa luce. Egli osserva la grande utilità
che deriva all'industria tedesca dal lieve costo dei salari; il
guadagno maggiore che in Germania traggono gì' industriali da
ciò che il forte che proviene loro nelle mani è delle fatture e
opere di mano, con poco capitale loro d'altre robe ; vede come
di questi loro manufatti «quasi condiscono tutta Italia»;* e vede
Italia e la sua Firenze soprattutto intenta già da parecchio a
guardarsi dai « molti forestieri di più regioni i quali si chiamano
Lombardi », che le mettono paura di staccare tutto il danaro
dalla città e dal paese ; ^ e come colui che riguarda lo stato se-
condo il concetto che ne rendeva l'antica civiltà classica, è
naturalmente tratto a farsi eco di quelle dottrine economiche
tutelanti e proibitive che già circa la seconda metà del secolo
decimoquinto avevano preso in Firenze gagliardamente ad agitarsi
contro chi sosteneva la libertà e la spontaneità de' commerci.-*
1 Machiavelli, Rapporto della Magna, ediz. ult. pag. 316.
■ Machiavelli. Ritraiti delle cose della Magna.
* PoBLMANN, Dia Wirlhtchaftspolitih der Florentiner Renaissance und das Princip
der Verkehrsfreiheit, Lipsia, 1873, App. iv, pag. 150.
* PoBLMANN, op. Cìt, Introdui., pag. vii: < ....aobegegnen wir allerdingsindarswetten
H&lfte dea 15 Jahrhanderts sehr wìchtigen Fortschritten ira Siane moderner Freiheit, «a-
dererseits zeigt sich jodoch anch wieder auf verschiadenen Oebieten der Wolkswirthachaft
ein Abfall von einar frilheren liberaleren Praxis oder eine Verach&rfung der bereita vorhan*
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teKCONDo] PRIMI ACCENNI A POLITICA COMMERCIALE NEL M. 425
Forse il Machiavelli per pregiudizio d'amor patrio, stimolato
dal contatto collo straniero, ripensa ed applaude a quelle mi-
sure legislative per cui i consoli di mare in Firenze vennero
già nel 1423 incaricati di studiar le fondamenta del fiorire e
del languir dell' industrie e d' introdurre nel paese i mestieri
che non vi s'esercitavano, col fine di non mandar danaro fuori
di quella provincia; né la cattiva prova fatta dei dazi di pro-
tezione sull'introduzione dell'armi e degli allumi era bastata a
far aprir gli occhi agl'illusi; anzi pare che il Machiavelli colle
opinioni insinuate in questo suo Rapporto della Magna, tenda
quasi ad afibrzare « il consiglio di quei savi » - così almeno si
chiamavano da sé stessi - i quali « inducti maxime per la expe-
r lentia de' perpignani » ^ credevano provvedere allo sviluppo
delle belle e copiose merci indigene, « prohibendo le forestiere
e strignendo l'arte a farne a sufficienza».* Ma d'altra parte
non è cosa agevole (ed esempi anche posteriori al Machiavelli
lo anno dimostrato) che un grande politico senta il concetto
dello stato in tutta l'intensità s-ua, cerchi d'estrinsecarlo nella
forma più lata secondo l'impulso nazionale, e non dia nello
sdrucciolo di teorie economiche proteggitrici e proibitive.
Se non che, il pregio essenziale del Rapporto della Magna,
il pregio che malgrado i preconcetti subbiettivì e personali à
procacciato a questa scrittura del segretario fiorentino l'am-
mirazione de' posteri è la diagnosi sicura ch'ei fa di quella
condizione politica che infirmava la vigoria e l'abbondevolezza
della Germania; che non lasciava risentire nulla di quella pro-
sperità, di quella potenza né all' imperatore né all' impero ; che
inchiodava con ordini viziosi la virtù natia del popolo e ad ogni
forza opponeva una resistenza che elide od estenua. — « Gli
Svizzeri sono inimicati da tutta la Magna, le Communità dai
principi, ed i principi dall'Imperatore ». — I principati temporali
danen, aof Beschrfinkoiig nnd Beformandung gerichteten Tendenzen. ~ Ibid., pag. 103,
ÌOi, ~ Ibid., pag. 199, dopo aver recato in meuo la sentenxa del B5ckh, StcMUhaushaltung
der Athener, i, 74, in cai alferma che neirantichità « aller Verkehr und Handel aia bedingt
darch den Staatenvereine betrachtet wurde », aggiunge : « Es ist derselbe Standpunkt, der
als roaassgebend fUr die Theorie derZeit in Machiayelli's yolkswirthschaftlichen Anschau-
ungen tiervortritt und der aneli in der Praxis den sch&rfsten Ausdruck in jener ftlr die
>virth8chaftliche Existenz dee Individuums nnter Umstiinden geradesu vemichtenden Rflck-
Bichtslosigkett gefunden hat, mit weìcher Florena und der Staat der Renaissance Uberhaopt
daa òkonomische Interesse der Einselnen den Gesichtspunkten der Staatsraison untervarf ».
^ Perpignani dicevansi, dal luogo ove si fabbricavano, certa specie di pannilani ordi-
nari ma sottili.
■ Arch. riform., Provvisioni (1487 st. fior.) mn. 179, fol. 164. — Cf. Pohlmanm, Die
WbthschafUpoUtik Aer Plùrentiner Renaissance und das Prineip der Ver^hrsfireiheU,
pag. 109 in nota.
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426 CAPO QUINTO. [libko
sono assottigliati dalla successione ereditaria che gli scompar-*
tisce; e questi e gli ecclesiastici vengono poi abbassati dal*
r imperatore che contro a loro favorisce i comuni « in modo
che gli arcivescovi elettori, e altri simili, non possono nulla
nelle comunità grosse proprie ». Queste, franche o imperiali che
siano, delle libertà loro gelose, e non punto sollecite d'accre-
scimento, « quello che non desiderano per loro, non si curano
che altri lo abbia». — Però a soccorrere l'Imperatore quando
è in bisogno e ad esse fa appello, o sono lente o « lo pagano
di diete ». — Di soprappiù: * par forse cosa strana a dire che
gli Svizzeri e le comunità siano inimiche, tendendo ciasche*
dune di loro ad un medesimo segno di salvare la libertà e
guardarsi dai principi; ma questa lor disunione nasce, perchè
gli Svizzeri, non solamente sono inimici ai principi come le
comunità, ma eziandio sono inimici ai gentiluomini; perchè nel
paese loro non è dell'una, né dell'altra spezie, e godonsi senza
distinzione veruna d'uomini, fuor di quelli che seggono nei
magistrati, una libera libertà». ^
Ecco l'impero: a questa guisa Niccolò coll'occhio sagace
d'esperto meccanico afferra rapidamente il congegno intricatis-
simo, il complicato scattare di grappi e rattenute che infre-
nano e difficultano il moto politico della grande Germania*
Niccolò vede lo sperpero delle forze onde risulta rumore ed
ineflScacia d'opera nell' imperiale compagine ; « rumor de pigne
vote » come in Italia si giudicava, secondo gli effetti. ^ Ma argu-
tamente risalendo alle cause il Machiavelli scopre come ivi
ogni impulso s'abbatte a una reluttanza, dimostrando l'antitesi
fatale che è fra la tempra del popolo tedesco, e l'istituzione
che esso non può rigettare, che è costretto a risguardare come
un diritto, come un privilegio, come una gloria per cui è inchio-
dato al passato; ma che per nulla non si riscontra colla qualità
del genio suo nazionale. Pertanto una cosa è naturalmente la
forte e ricca Germania; un'altra artifìziosa e fiacca V Impero,
di cui la nazione ad un tempo teme e disdegna esser vittima e
non può esser arbitra. A questa conclusione i Veneziani, accorti
ed interessati a tener gli occhi indagatori sulla potenza che
stava loro a' confini, erano venuti prima del Machiavelli, o per
lo meno insieme con lui ; ma il Machiavelli à il merito d'aver
i Macbuvblli, Rapp. cit., Cf. Discorsi^ \\h. 2, e. xix.
• et. Archivio storico iul., ser. i", App. 11", pag. 279, Noliiia d' iBabella Estense»
doc. L, Lettera di Oirolamo eremita al marchete di Mantova, Roma, 21 aprila 1506.
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BBCOKDO] COMICO RITRATTO DI MASSIMILIANO, 427
preceduto colla sua disamina il Pufendorf ; e forse, poiché il
Rapporto della Magna comparve alla luce quando ancora le
« Relazioni venete » si guardavano gelosamente negli archivi
della repubblica, forse à anche quello d'aver ispirato all' illustre
giurista sassone il libretto famoso in cui questi, simulando
nome e indole italiana, discute la natura del cosidetto romano
impero, vi riconosce tutti i danni d'una mal ordinata monar-
chia e d'un confuso sistema federativo. *
Ma passando poi dall' indagine delle cose allo studio delle
qualità personali dell'Imperatore, il Machiav/elli ci porge tal
dipintura della persona di Massimiliano da far contrapposto
bizzarro coli' impressione che si ritrae da quella specie d'auto-
biografia leggendaria del giovane e saggio re (Weiss Kunig)\
quasi a una bisantina immagine di santo, goffa e maestosa
insieme nella paurosa immobilità che non pare umana, si
metta a fronte un ritratto fiammingo, condotto con quella mi-
nuta ironia di particolari che pur nell'aspetto d'un grande,
studia s' intravegga l'animalesco della vita comune degli uomini.
Ed aggiungasi inoltre che il Machiavelli non risguarda punto
per un grand' uomo Massimiliano ; anzi poiché questi gli offre,
come vedemmo, un addentellato alla formazione e alla mani-
festazione delle sue paradossali idealità politiche, ne lo fa vit-
tima, come è naturale, dando rilievo ed efficacia comica a' tratti
che disegna di lui, non già falsamente, ma si rischiarandoli
di luce artificiale, piuttosto che esagerandoli. Cosi che se nella
romanzesca narrazione sopraccitata* il giovane e saggio re sa
^ Lo scritto « dtf Stalu Imperii germanici » di Samuele Pufbndobf, sotto il pseu-
donimo di « Severinus da Monzambano » e colla falsa data « Veronae apad Franciacum
Oitilimn 1667 » usci a, Ginevra in questo anno medesimo ; e malgrado le proibizioni delle au-
torità civili ed ecclesiastiche ottenne diffusione immensa. Secondo il Moskr {Biblioth,
jur. pubb. pag. 552) se ne ristamparono oltre a trecentomila esemplari in Germania, e
Inattenzione dell* Europa intera ebbe ad esseme attratta. Cf. Bluntschli, 0eschicht9 de$
àUgemeinen Staatsrechta und der Polililt, Monaco, 18d7, pag. HO e seg.— La falsa daU
da una città d* Italia ò apposta airopuscolo del Pufendorf con finissimo sentimento del-
Topportunità, e lascia sospettare, per questo fatto medesimo, che probabilmente allo scrit-
tore stava dinnanzi la memoria dello scritto del Machiavelli, per cui in Italia erasi reso
agevole anche dopo Carlo V, e la guerra dei trentanni, far buon computo delle forze e
delle infermità dell'Impero.
* Marx, TRxrrzsADBWBTN, Der Weiss Kunig, eine Erxehlung icon den Thaten Kaiser
McueimUian des Ersten^ pag. 59-9S, passim. « Wie der Yung Weiss Kunig aus aigner be-
wegung lemt schreiben — lemnt....die sieben freyen Kunst....dieKunst des stemsehens....
die Schwartzkunst.... in der Ertzeney lemt,... die handlung des secretariambts,... vindisch
und behamisch,... malen.. .. musica und Saytenspil,... in der Muntz lernt,... wie der yung
Weiss Kunig kUnstlich was mit der Artalerey ». — E conforme al giudizio del Machia-
yelli, nel Sunto della Relazione di Vincenzo Quirini che dà il Sanudo, Diarii, vn, 199, più
incisivo che non Toriginale deirambasciatore : « Massimiliano da 49 a 50 anni, buono, vir-
tuoso, religioso, forte, liberale, quasi prodigo, adeo tutti l'ama, ma manca di pradenzia,
non ha buon judicio, va continue a cazza, à gran fantasia con Pranza ». E il CoNTARiNr,
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' 423 CAPO QUINTO. [libro
tutto, impara tutto, cominciando dalle sette arti liberali, dal-
Vastrologia, dalla medicina e terminando all'arte notaria, al-
l'artiglieria ed a quella anche più nera della magia, tanto
ch'ei sembra che né cielo, né terra possan bastare a tendere un
calappio, un tranello a questo mitico tipo d' imperatore ; Nic-
colò lo rappresenta invece come uomo « la cui fàcile e buona
natura fa che ciascuno ch'egli à d' intorno lo inganna. Ed àmmi
detto uno de' suoi, che ogni uomo ed ogni cosa lo può ingan-
nare una volta avveduto che se n'è ; ma son tanti gli uomini
e tante le cose, che gli può toccare d'essere ingannato ogni
di, quando e' se ne avvedesse sempre ».
Queir « un de' suoi » che il Machiavelli allega in questo
caso, è probabilmente il medesimo vescovo Luca Rainaldi, che
altra volta espressamente cita, chiamandolo alla maniera ve-
neziana «pre'Luca>, come uno dei primi che Massimiliano
adopera ; sulla bocca del quale mette quest'altra specie di rag-
guagli. — « L' Imperatore non chiede consiglio a persona, ed
è consigliato da ciascuno ; vuol fare ogni cosa da sé, e nulla fa
a suo modo,^ perchè non ostante che non iscuopra mai i suoi
segreti ad alcuno sponte, come la materia gli scuopre lui è
svolto da quelli ch'egli à intorno e ritirato da quel suo primo
ordine ; e queste due parti la liberalità e la facilità che lo
fanno laudare a molti sono quelle lo minano ».
Ciò posto, agli oratori fiorentini non restava che fare bilancio
delle contradizioni che un tale stato di cose e una simil natura
di uomo metteva loro dinnanzi : Massimiliano è ricchissimo del
suo particolare, « gli stati suoi gli danno d'entrata seicento
mila fiorini senza porre dazio alcuno; cento mila fiorini gli
vale l'uflSzio imperiale.* Questa entrata è tutta sua e non Vk
di necessità obbligata ad alcuna spesa, perch' ei non tiene gente
d'arme, non paga guardie di fortezze, né ufficiali delle terre,
perché i gentiluomini del paese stanno armati a sua posta, le
Relax, ne* Diarii del Sanudo (t. y, col. 003) : « E in li Stadi di Germania non he robellion
come in Italia, tuttavia non amano esso rè de* romani. EI qual re à bone parte, è reli-
gioso, libéralissimo, human, gajardo, sa tutte le lengue, ecc., ma non sta fermo in una
conclusione ».
> Pertanto con accorta e bassissima adulazione Fr. Medulla, oratore del re cristianis-
simo gli dà la soia scrivendogli a* 10 mano 1510: « Non desunt, Cassar, tibi qui etsciant
et velint amplitudinem Caesareae Majestatis Vestrae ; sed ego rogo te, Caesar, placeat te
ipsum videro, te ipsum comparare et tuae Majestati per te ipsum consulere. Aliom qui tibi
melius, quam tu ipso, consulat, habes, Caesar, profecto nemmem ». Chmel, Urkwndef Briafe
und Aeténsiueké sur OBteMehte Mase*» I und ieiner Zeit, nella Bibk d0S Uterar. Ver^lm,
Stuttgart. X, pag.469.
* Macuuvblu, loc. cit., pag. 316.
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SKCONDO] COMICO RITRATTO DI MASSIMILIANO, 4»
fortezze le guarda il paese, e le terre anno i loro borgomastri
che fanno loro ragione ». Ma quelle sue ricchezze gli sfumano
nelle mani ; que' gentiluomini armati a sua posta non lo ser-
vono, perchè egli à il principale suo odio contro a' principi ;
e questi, quand'anche non gli facciano opposizione nimicandolo,
lo ritengono col non aiutarlo : « quelli che non ardiscono fargli
guerra, ardiscono negargli gli aiuti ; e chi non ardisce negar-
gliene, à ardire, promesso ch'egli n'à, di non gli osservare;
e chi non ardisce ancora questo, ardisce ancora di differirli, '
in modo che non siano in tempo che se ne vaglia». Né le città
sono punto invogliate di conquiste, poiché « le comunità sanno
che l'acquisto d' Italia sarebbe pe' principi e non per loro, po-
tendo questi venire a godere personalmente i paesi d'Italia,
e non loro ; e dove il premio abbia ad essere ineguale, gli
uomini mal volentieri egualmente spendono. I fanti poi ch'egli
accozza da Austria e Cruatia, per non aver danari stanno due
dì, e poi se ne vanno ». ^ Però, se ogni moto dell'imperatore ri-
mane contrastato, dubbio, inceppato, difficile; sarà forse per mo-
strarsi smisurato e spaventevole quand'ei pur riesca una volta
a determinarsi, «perchè i bisogni a Massimiliano sono per cre-
scere colla vittoria » e non mutando lui modi « se le f rondi
degli alberi d'Italia gli diventassero ducati, non gli baste-
rebbero ».
Questa previsione terribile mette la. febbre addosso ai due
mandatari fiorentini i quali, mentre osservano a che lievi fila
di contingenze è appiccata la sorte della loro città e della loro
patria, mentre sentono che la pratica loro non giova e non
basta governarla colla sola prudenza, veggon d'altronde che
a Firenze, da quei che son discosti, tutto si pretenderebbe mi-
surar colle seste e a braccia piccole, e nelle commissioni che
mandano, « filano tele si sottili che è impossibile tesserle ».2
Frattanto non v' è risoluzione accorta che dalle probabilità degli
avvenimenti non venga giustificata e schernita a breve inter-
vallo: tanto in politica è insufficiente virtù la prudenza sola.
Anton da Venafro, Pandolfo Petrucci, Siena parvero bene
assicurati con quel loro primo accomodamento di danaro ; ^ e
* Machiavelli, Comm. cit., lett. 20.
* Machiavelli, Comtniss. aU'Imp., Lett. 20. — Ibid. Lett. 6: « II Lango oggi mi disse
che voi eri volati essere troppo prudenti e mai non avevi voluto credere la passata del-
r Imperatore ». — Cf. anche Lett. 21.
< Machiavelli, Rapporto della Magna, ediz. cit., pag. 317: « molti giudicavano savi
coloro che penavano più a dargli danari la prima volta, perchò eglino non avevano a pe-
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430 CAPO QUINTO. [libeo
poco tempo dopo, il Machiavelli dee convincersi che e quanto
si desse e quanto si fosse già dato non era per esimere dalla
necessità di arrendersi a nuove e più gravose requisizioni. Che se
r imperatore prometteva, obbligandosi, « quod non possit petere
aliam summam pecuniarum», voleva che innanzi a petere si
mettesse jure, per aver sempre campo di chiedere a prestito,
quando gli piacesse o n'avesse d'uopo, e non avesse altra azione. ^
Pertanto sempre in nome del Vettori, Niccolò Machiavelli-
scriveva ai Dieci: « Vostre Signorie non si fidino punto di
questa commissione datami, ma mi dieno nuova commissione
e più presta possono, e certa, sanza mettervi condizione al-
cuna >. ^
Infatti i commissari avevano avuto il mandato d'offrire a
Massimiliano sino a fiorini cinquantamila, pel pagamento dei
quali avevan facoltà di promettere una prima rata < quando
r Imperatore fosse con l'esercito nella prima città posta tutta in
Italia». — Ma questa prima città, posta tutta in Italia poteva
esser Trento, poi che, per quel che dicevano i paesani a que'due
fiorentini : « Il confino intra Italia e Alamagna era più qua
che Trento uno miglio >. ^ Ora la condizione di pagare a Trento
nare anche più a dargliene la seconda ». Cf. Commiss. all'Jmp., lett. 43. È nel Cortigiano
del Castiglionb, lib. ii, cap. 08, il seguente motteggio a proposito di questo pagamento
fatto da Siena all' Imperatore : « In Ferrara ad un convito in presenza di molte gentildonne
ritrovandosi un fiorentino ed un sanese, i quali per Io più, come sapete, sono nemici; disse
il sanese per mordere 11 fiorentino: noi abbiam maritato Siena allo Imperatore, ed averoogli
dato Fiorenza in dota; - e questo disse, perche di que'di s*era ragionato che Sanesi ave-
van dato una certa quantità di danari allo Imperatore, ed esso aveva tolto la lor prote-
zione. Rispose subito il fiorentino: Siena sarà la prima cavalcata (alla franzese, ma disse
il vocabolo italiano); poi la dote si litigherà a bell'agio ».
> Machia VELLI, loc. cit., pag. 318. « Quando messer Pagolo a' di ventinove di mano
fece quella domanda, io, spacciato Francesco da lui, andai a trovarlo col capitolo fatto
della commissione vostra » ecc. — Cf. Commiss. all'Imp. Nella Lett., 20. cita una lettera
dei Dieci de' dì 15 d'aprile la quale « conteneva l'avviso della ricevuta della mia de* 29 di
marzo ». — Questa lettera dei 29 marzo 1508, in cui era accennato l'episodio tra Paolo de
Lichtenstein e il Machiavelli, che questi introduce nel Rapporto della Magna, manca a
questa Commissione e non ritrovasi nell'Archivio di stato fior.
> Id., Commissione dt., Lett. 13.
• Id., ibid., Lett. 4», Cf. Vettori, Viaggio in^lAlemagna, pag. 58 « Trento.... piccola
città posta sull'Adige ma molto abbondante, perchè ancora sia tra' monti, ha tra essi qual-
che miglio di piano che produce assai grano e vino, e nei monti sta il bestiame. Signore
della città ed in temporale e spirituale ò il vescovo, ed egli piglia l'entrata delle gabelle
ed ogni altra cosa. L'Imperatore, come duca d'Austria e conte di Tirolo, vi mette un ca-
pitano, il quale tiene le chiavi delle porte e fa eleggere fra i canonici il vescovo come
pare a lui, perchè sempre lo vuole confidente, perchè il loco è di grande importanza in svi
confine d'Italia e della Magna, benché sia posto in Italia, perchè il fiume del Lavis, di là
da Trento cinquanta miglia, divide l' Italia dall'Alemagna, secondo dicono quelli del paese »
— Cf. Jani Pthrbi Pinoii Maktuami, De origine urbis Trid.^ Mantuae, 1546: « Volunt
nonnulli Bjlgianum, quod distat Tridento circiter quinque supra trìginta millia passuum
ad Athesim oppidum, qua in diversas Germaniae partes iter est, inter utramque nationem
medium esse, ibique terminari Italiam, moti his rationibus, vel potine coniecturis, quod
ejus loci indigenae Germano atuntur idiomate, inde vero Tridentum usque, quae habitant
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HBCONDo] L'IMPERATORE « MAOIS NOMEN QUAM PRAESIDIUM ». 431
poteva essere doppiamente pericolosa: prima di tutto perchè
l'andare coU'esercito sino a Trento non avrebbe punto dimo-
strato che Massimiliano sarebbe di certo passato più oltre in
Italia ; e in secondo luogo perchè per entrare in Italia, quando
gli riuscisse, aveva tre altre strade, < o per il Friuli, o per
la Valtellina, o per via di Borgogna > in modo che facendogli
questa offerta di Trento, crederebbe essere dileggiato ». ^ E i
Dieci, a raccomandarsi subito specialmente per quella prima
ragione, che il pagamento « non si abbi a fare a Trento, ma in
una città d'Italia che non sia posseduta dall'Imperatore»:^
tanto fluttuavano incerte le cagioni di decidere e cosi spesso
cangiava la marea.
Similmente quando Massimiliano, illuso sino al punto di
credere che « in Italia non fiabebat amicos praeier Venetos » ^
cerca gratuirsi costoro coli' invio di araldi e di messaggi,* senza
staccar mai le pratiche, senza smettere uffici, pare prudenza
de' Veneziani che questi scoprendolo «tanto più debole quanto
più si gitta loro dietro » sentano sempre più scemarsi la voglia
dell' alleanza sua « non conoscendovi dentro alcuna di quelle
cose perchè le compagnie di stato si fanno, che sono o per
esser difeso, o per paura di non essere ofieso, o per guadagno »
e vedendo « d'entrare in una compagnia, dove la spesa e il
pericolo era loro e il guadagno d'altri ». ^
E parve altresì prudenza che i Veneziani resistessero quando
l'Imperatore, scarso di partiti, non appena essi gli anno dichia-
rato di non accordargli il passaggio se non disarmato, com'era
^entes sermonem imitentur, utraque lingua immixtum »;.... «Tridentum autem urbem etsi
nostra tempestate multas ob res inter Qermaniae .confÌDia adnumeretur, et Eps tridenti-
nus, uti ex Imperli principibus unas tractetur, veterum tamen scriptorum confessione in
Italia esse, ut subsequens sit, qui Tridenti sunt, eosdem et esse Italiae terminos, sed bis
refragatur multorum sententia, qui disputant Germanos a Latinis montium jugis dividi,
idque ex eo quod ipsimet vidisse aìBrmant probatum iri volunt ». Il Malfatti nella dotta
Risposta [Archivio di fiM. romanza 1878, p. 155), alla memoria dello Schkbllek {Deutsche
und Romanen in Sxid-Tirol und Venetien) cita il passo della lettera del Vettori ^opra-
indicato, ed osserva: «sarebbe stato veramente un cavillo di Massimiliano a dire Trento
città tutta in Italia, dappoiché faceva parte dell'Impero; ma che cosa avrebbe potuto dar
colore di verità al cavillo se non la lingua, i costumi e le tradizioni degli abitanti? »
» Id., ibid., Lett. 13.
• Id., ibid., Lptt. 9.
> Machiavelli, Rapporto della Magna^ loc. cit., pag. 313.
* Id., Comm. cit., Lett. 5 e 11.
» Machiavelli, Rapporto della Magna, Cf. Diècorsi, lib. ii, cap. xi « si debbe notare
che le leghe si fanno co' principi che non abbino o comodità di aiutarli per la distanzia del
sito, o forze di farlo per suo disordine o altra sua cagione, arrecano più fama che aiuto
A coloro che se ne fidano ».... « come interverrebbe ancora a quel principe, che confidatosi
di Maissimiliano imperatore, facesse qualche impresa, perchè questa è una di quelle ami-
cizie che arrecherebbe a chi la facesse magis nomen, quam praesidium ».
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432 CAPO QUINTO, [libbo
passato suo padre, ^ senza mettere tempo in mezzo, gli assalta.
Questo assalto per cui Massimiliano immaginava 'indurli a ricre-
dersi * vien risguardato come un partito capriccioso e fantastico;
e già sembra che i Veneziani s'oppongano bene e gagliardi, quasi
abbiano certezza che le ferite recate all'Imperatore, la Ger-
mania non le sente per sue e non le vendica. Già, destinato
a guardia del Friuli Bartolomeo d'Alviano, il conte di Piti-
gliano a custodia del veronese, per rappresaglia dell'occupazione
del monte d'Asiago e de' sette Comuni sopra Vicenza fatta dai
Tedeschi, i Veneziani prendono Pordenone nel Friuli, rompono
i fanti imperiali a Cadore, acquistano Codroipo, San Lorenzo,
Gorizia, Trieste; e nel Tirolo, al Castel della Pietra, macellano
mille e trecento fanti tedeschi in modo, che appena trecento
ne scampano e gli altri tutti difendendosi muoiono. ^ Cosi di due
eserciti dell'Imperatore, che contavan ciascuno « meglio di
sei in settemila persone », l'uno è battuto, l'altro è tenuto in-
dietro.^ Massimiliano, stizzito di non aver potuto congiungere
le sue schiere con quelle dell' elettore di Brandenburg, spaurito
da lettere in cui gli si ostentano le vittorie di Venezia, solle-
citando aiuti che non poteva fornire, s'appiglia al solito espe-
diente delle speranze sue e convoca ad Ulma un'altra dieta,
confidandosi che sia per riuscirgli di strascinare almeno la lega
sveva in suo soccorso.
Ad Ulma invita gli ambasciatori delle potenze che, veden-
dolo più asciutto, più necessitoso, e malconcio, giudicavano più
sicuro stargli discosto, senza punto credere che da Ulma
fosse per uscir maggior risaltato, che da Costanza. Il Carvajal,
col quale i mandatari fiorentini eransi più confidentemente ri-
stretti, perchè, strumento di papa Giulio, maneggiava le cose
direttamente a danno dei Veneziani, non si moveva. Al Vettori
era sopraggiunta una doglia ad un braccio, si grande chegl'im-
^ Machiavelli, Comm. cit., Lett. 11, « e facessi intendere ad questa Maestà, che sa
voleva passare come passò il padre, sarebbe ricevuto e onorato; quando altrimenti, non
erano per riceverlo ». — Cf. La risposta del Doge all'ambasciatore cesareo Leonardo Ri-
naldis (cod. mare, mclxxx) riportata dal Romanin, op. cit, voi. v, pag. 181 e seg. « con-
fortiamo reverentemente la Cesarea Maestà si degni, come si conviene alla sua bontà,
imitando il suo serenissimo genitore, andar a prender la sua coronazione pacificamente e
non con tumulti bellici e strepiti d'arme perchè questo principaliter incumbe alla sua su-
prema dignità, ecc.
* Il Machiavelli scrive: « credendo per avventura farli ridire ». Le edizioni anteriori
all'ultima anno: « ridere» (!).
> Machiavelli, Comm. cU., Lett. 16. Cf. Egobb, Geschiehte Tyrols, voi. ii, pag. 33
e segg. Hegewiscb, loc. cit., parte ii, pag. 89.
* Machiavelli, Comm. cU , Lett 10.
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SBCONDO J IL MACHIA VELLI INFERMA. 433
pediva lo stare a cavallo»;^ però pregava di licenza i suoi
signori e dichiarava che se mai il cardinale fosse per recarsi in
Svevia, manderebbe seco il Machiavelli. Ma questi ancora, o per
lo stimolo del clima montano cui era insueto, o per le fatiche
della vita randagia e cavalchereccia, in breve ebbe a infermar
di cistite.^ Di che prese sgomento, e sospirò la patria. ^ In tali
frangenti i due fiorentini opinarono che fosse meglio non se-
pararsi Tuno dall'altro, poiché oltre all'essere mal andati della
salute, per trasmettere o ricevere un avviso tra loro due, alla
distanza di circa seicento miglia, ^ sarebbe andato un mese; né
dappresso e' era probabilità di veder nulla meglio che discosto.
Intanto per intermedio del vescovo di Trento, che avea vana-
mente assediato Riva, andavasi apparecchiando una tregua fra
r Imperatore e i Veneziani, i cui progressi spaventavano anche
la fedele contea del Tirolo. ^
Questa tregua stava per essere il cardine fatale su cui sareb-
besi girata la fortuna d' Italia. Non poteva non esser accettata
dall'Imperatore, cui necessitava aver agio di rimpennarsi; non
potevano ricusarla i Veneziani, che a lungo non avevano forze
* Machiavelli, Commi». cU., Lett. 16.
* Machiavelli, Ioc. cit., Lett. 20 : « A Niccolò è venuto un accidente, che potrebbe
riuscire importante, e questi medici non sanno se tale cosa nasce da pietra o da altri umori
grossi che lo faccino orinare con gran difflcultà. Sarebbesene venuto a curare di costà, se
le vie fussino aperte ». — Questa lettera è in data del di 30 maggio. Agli 8 di giugno il
Vettori aggiunge : « Niccolò fra due o tre di ne verrà a cotesta volta per venire a curarsi,
e io non V ho potuto tenere. (Ibid., Lett. 21) — Finalmente « die 14 junii in Bologna » Nic-
colò ragguaglia i Dieci come parti da Trento « Sabato passato a* di 10 .... non possendo
venire presto, ritenuto dalla mala disposizione ».
s Anche Giov. Antonio Campano (cf. Frbher, Ioc. cit., t. ii, pag. 153. De ComitiU
RatisponenSj anno i472) stanco della dimora germanica esclamava : « O soles, o coeli, o
Deorum domìcilinm Italia! quando, quando? Paviensis mi, hoc gravissimum est nobis,
carere Italia ».
^ L*edlz. ultima reca con manifesto errore di stampa: «per essere di qui (da Trento)
alla corte (a Ulm) 6000 miglia ». Di questa lettera de'di 8 di giugno, oltr'essere due copie
in cifra nell'Arch. fior. (ci. x, dist. 4, n. 93, a e. 316 e 318), si à anche (a e. 324) il deci-
frato di mano del Bonaccobsi. Quivi a pag. 325 si legge: « et quando fusai ito là et Nicolò
qua per esserci di qui alla corte sexcentomiglia harei penato un mese », ecc.
» Chmel, Aìilenitiiclte etc, BiU. der litter Ver., pag. 300 e seg. « die 6 junii 1508. Die
Stathalter und Regennten tu Innsprugg der k. Mt. »: « Nun haben wir. E. Kays^ Mt.
vormals offt geschriben, daz in vermilgen der grafschafit Tyrol nit ist, den zwayen grossen
machten, als Franckreich und Venedig, sich enndthalten und desshalben aufs hochst er-
mands und ersuecht daz sich E. Mt. den lannden eylennds naheru soli, und unns mit volkh
und gelt zu hilff komen, haben auch E. Kays Mt. daneben antzaigt, wie Oortz, Portnaw,
Velgrat, Wyppach. Kramann. Neuburg, Tibeln, dnrch die Veindt eingenommen und zu be-
sorgen, daz Triesst und Sanndt veyt am Phlaum (Fiume) sich auch nit lanng halten wur-
den ». — Cf. Machiavelli, Comm. cit.y Lett. 28. « Né mi pare che il contado di Tirolo,
sopra chi si posa fino a questi in questa guerra sia sufficiente contro alla voglia di Fran-
cia e Viniziani, condurre costui in Italia».... «Le cose della guerra di qua sono procedute
cosi, ma dalla parte del Friuli vostre Signorie avranno inteso a quesVora, come i Viniziani
hanno tolto air Imperatore Gorizia, Portonon, Triesti, e, per dire in una parola, ciocché
gli avea nel Friuli » — Circa l'assedio di Fiume, v. Lett. 10 e 213.
Tommasini - Machiavelli. 28
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434 CAPO QUINTO. ["»«<>
da tenere il campo, e dopo T eccidio alla Pietra, sentivan già
che la Germania intera romoreggiava minacciosa contro di loro
e contro tutta Italia; ^ né vedevano via o verso alla loro
sicurtà quando l'Imperatore riuscisse mai a vincere.^ D'altra
parte avevano addosso l'alleanza francese, grave a loro e a
tutti in Italia. Trecento lance, seicento arcieri, quattromila
fanti del re cristianissimo sotto il comando del Trivulzio erano
stati spediti insino ad Ala in loro aiuto; ma i portamenti
di costoro furono tali (giunsero persino ad assaltare il prov-
veditore Emo) da dare a credere che se l'intendessero piut-
tosto col nemico. ^
Frattanto il papa il quale « avrebbe voluto che i Viniziani
avessino patito fortemente in questo primo assalto )>; ^ il papa
« che, per essere papa, pensava che ognuno l'avesse a riguar-
dare e desiderare di averlo seco», ^ mostrando d'adoperarsi per
la pace, soffiava forte sul fuoco, intanto che trattavasi quella
tregua, per cavare da quell'intervallo di bonaccia il principio
della tempesta di cui aveva mestieri. Il Machiavelli accenna
appena nella sua lettera un « Niccolò Frigio, mandato dal
cardinale per ordine dello Imperatore »; ma quale si fosse
l'opera di questo arnese del pontefice, ci venne poi bene sve-
lato nelle lettere di Luigi da Porto. ^ Del resto, a stornar la
tregua, bisognava ben parlare di pace ; ma per riuscire a pa-
cificare la Francia e l'Imperatore insieme, per riuscire a farli
andar di conserva anche in via transitoria, pareva che troppi
ostacoli si dovessero superare. Massimiliano era per inclinar
mille volte piuttosto ai Veneziani che l'avevatio provocato, che
^ Machiavelli. Comm. cil., Lett. 16, « la qual cosa ha irritata tutta la Magna contro
ad Italia, e massime contro a'Viniziani ».
« Id. ibid., Lett. 18.
* Cf. RoMANiN, op. cit., voi. V, pag. 186.
* Machiavelli, loc. cit.
» Id. ibid., Lett. 18.
* Machia VKLLi, loc. cit., Lett. 17: « Quanto alla paco ella è favorita, massime con il
Cristianissimo, dal re di Spagna e Inghilterra e fone dal papa f e il legato ha detto averne
di già scritto al re di Francia; ed è vennto di Lombardia, e forse di Francia pochi di sono
un Niccolò Frisio > ecc. — Luigi da Porto, Lettere storiche dalVanno i509 al iSSS, ed.
Lemonnier, pag. 23 : « la quale (lega contro i Veneziani) a' di passati fu trattata per conto
del papa da messer Niccolò Frisio, uomo italiano, il quale è stato gran tempo in queste
corti d'Italia, ed al presente soggiorna in Roma con Bernardino Carvajal. cardinale di
Santa Croce, da' servizi del quale V ha tolto papa Oiulio per adoperarlo nel già sigillato
trattato, essendo uomo gentilissimo e ingegnosissimo, e ciò che più vale, puro di mente e
vero stimatore de' beni del mondo; come quegli che, espertissimo del vivere, li conosce
a fine essere fumi ed ombre». Questo messer Niccolò Frisio viene rappresentato anche dal
Castiglione {Cortigiano, lib. i, 5, ii, 99, ni, 3, 28) come uno dei frequentatori della corto
d'Urbino. Il Bembo lo chiama «nomo germano ma avvezzo ai costumi della Italia ». Fini
per rendersi monaco nella Certosa di Napoli l'anno 1510.
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BBCONDo] TREGUA FRA MASSIMILIANO E I VENEZIANI. 435
non ai Francesi che l'avevano ingannato. E una delle grandi dif-
ficoltà che la Francia accampava per unirsi all'Imperatore era
il non sapere « con che coscienza si potesse lasciare e' Vini-
ziani>.i Ma non tornava arduo persuadere all'Imperatore esser
più facile « trarsi la voglia di venire a Roma con lo accordo
di Francia che con la guerra»; ne alla Francia poi sarebbero
venuti meno gli artifici per mostrare « d'essere in certo modo
forzata lasciare i Viniziani al grido ». ^
Questi intanto giudicavano poter condurre l'accordo con
Massimiliano quando volessero ; credevano che l'accordarsi
con lui fosse un indebolirlo più, perchè la Germania sarebbe
stata raddormentata con quell'accordo ; che l' indeboliniejato
sarebbe riuscito di tanto maggiore, quanto più nel trattato pro-
cacciassero per sé condizioni favorevoli. Pertanto parve loro la
migliore delle cautele che si concludesse la tregua lunga; i te-
deschi la domandavano per quattro mesi ; essi la volevano per
cinque anni ; fu stabilita per tre. Vollero inoltre a fondamento
delle trattative Vuti possidetis, patto a cui i mandatari cesarei
si adattavano malvolentieri; ma i Veneziani tennero duro; e colla
tenacia e colla superbia del trattato, invece di quotare il sen-
timento nazionale germanico, lo provocarono a maggiore irri-
tamento. Gli stessi agenti imperiali noi dissimulavano, dichia-
rando nella conclusione ch'erano per accettare quel che piaceva
a dio, agli uomini, al diavolo. ^ Poco andò che la minaccia
francese contro i Veneziani espressa dallo Chaumont al Ma-
chiavelli di « farli attendere a pescare »4 fu ripetuta in distici
alla corte di Massimiliano, ^ e che la canzone volgare del po-
polo tedesco imprecò contro a Venezia l'ira di cristiani e di
Turchi, s — « Quasi tutti gì' Italiani ch'erano nella corte del-
^ Machiavelli, loc. cit., Lett. 16. — Il re di Francia aveva sovente ripetuto all'ora-
tore veneto: « Non voglio né accordo né pace senza voj signori venetiani et.... contra
quelli offenderanno el stado vro farò come farìa de mi medesmo ». Dispaccio Condulmbr
da Bourges tra i Disp. Francia Con». X, nell'Arch. Venet., estratto citato dal Brosch.
op. cit., pag. 337.
> Id. ibid., V. anche Lett. 10.
» Cf. De Leva, op. cit., pag. 104.
* V. sopra a pag. 302.
* Cf. ZiNGERLB, op. cit., pag. 85:
« Piscatum redeant Veneti; piget ista dedisse
Ingratis saperos regna tenenda viris ».
« SoLTAU, op. cit., Ain O^dicht von Ungehorsame der Venediger, pag. 204 :
« Das Tilrcken hayden unnd die Cristen
Sich umb dein misstat zamen rusten
Die dn am romischn kaiser hat bgange ».
L'autore della canzone si appalesa negli ultimi due versi :
« So dicht ich nach der waisen rat
als hanns Schneyder gesprochen hat ».
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496 CAPO QUINTO. [libbo
l'Imperatore » credettero specialmente che dopo tal tregua «la
Germania si avesse a riunire e l'Imperatore a gettarsele in
grembo » ; * credettero che questi per necessita si sarebbe pie-
gato anche ad accettare capitani in nome dell'impero; come,
per accordarglisi un esercito poderoso, s'intendeva già d' im-
porgli alla dieta di Costanza; credettero che i principi elettori,
a riavere l'onore dell'impero medesimo precipitato sì basso,
volentieri avrebbero fornito potente appoggio : — « E la tregua,
dicevano, non darà loro noia, come fatt^ dall' Imperatore e non
da loro». 2 Ma il Machiavelli, paradossale anche in questa
occasione, con quelli altri Italiani non consentiva. Egli era ben
riuscito insieme col Vettori nel pratico scopo di preservare la
repubblica fiorentina da una contribuzione gravissima, quando,
malgrado i rovesci delle armi imperiali, Paolo di Lichtenstein
voleva a questa far pagare anche più cara l'assicuraìsione e
« la conservazione » propria ; ^ egli aveva saputo tenersi in
bilico col Sarnthein, dando parole a chi stava coU'acqua alla
gola, senza che quelle parole portassero con sé compromessa;
ma quando trkttavasi di congetturare le generali probabilità
delle condizioni politiche, o sia per ispirito di contradizione o sia
per forza di quella logica a tutta oltranza, che certe volte diventa
in pratica un pregiudizio; per forza cioè di quella persuasione ac-
quistata nella disamina della costituzione imperiale, per cui gli
pareva impossibile che un moto grande, un segno di compattezza
potesse uscire per allora dalla Germania; Niccolò non poteva
credere che alla repubblica di Venezia sovrastasse in conse-
guenza di quella tregua, un'ora terribile; non sapeva partecipare
a questa che gli altri Italiani chiamavano speranza ^ e cui ama
vano « rimanersi appiccati », come pur troppo si verificò. Non
già che gli facesse ribrezzo la sorte apparecchiata a Venezia;
tutt'altro. I Fiorentini ben avevano cospirato insieme cogli altri
stati a dipingerla per la città « che voleva occupare la libertà
d'Italia »; ^ e Niccolò avrebbe goduto di vederne preparata la
ruina certa. La questione è in ciò solo : che alla speranza che
gli altri ne nutrivano, ei non sapeva affidarsi allora.
Ma molto non andò che a Cambray ^ si trovarono insieme
1 Machiavelli, Rapporto della Magna.
« Id., ibid.
* Machiavelli, Comm. c»(., Lett. 17.
* Machiavelli, Rapporto della Magna, in Ane.
5 Machiavelli, Comm, cit., Lett. 14.
* V. in MoNTAiGLON, Recueil etc., t. v, pag. 120, la Complainie de Venise. Ivi, a pag. 122
« Cambray, cité scituée dans TEmpìre
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SECONDO J LEGA DI CAMBRA Y. 437
il cardinale d'Amboise, sempre col logoro del suo papato in
su gli occhi, e Margherita d'Austria, animo acerbo e gelido,
figliuola di Massimiliano, sposa rifiutata di Carlo ottavo, vedova
di Giovanni di Castiglia e di Filiberto di Savoja, proposta re-
centemente a moglie d'Enrico settimo d'Inghilterra; preparati en-
trambi dalle mene astute di papa Giulio a stringer trattati per
conciliare le difierenze del duca di Gheldria coU'arciduca Carlo,
nipote dell'Imperatore; peristabilire le relazioni de' feudi dei
Paesi Bassi eolla Corona di Spagna; per concedere l'investi-
tura del ducato milanese aire di Francia; ma soprattutto per
istringere in congiura tutte le potenze d'Europa ad oppression
di Venezia. 1 L'ipocrisia consueta metteva in campo la crociata
contro il Turco a pretesto dell'unione, a motivo del patto cru-
dele, con cui i potenti dividevansi le vestimenta dell'altera re-
pubblica, che non aveva saputo far sentire alle italiche provincie
nel nome d' Italia ninna fraternità d'amore per la comune madre;
che non aveva saputo ispirar loro niuna fiducia in sé come in
maggior sorella; ma coU'egoismo mercantesco, più che colla
minaccia d'un'egemonia politica, aveva spaurito e irritato si-
gnorie e repubblichette, le aveva avvilite davanti agli stra-
nieri, * non aveva steso loro la mano, quando questi le con-
culcavano; ^ erasi ridotta a comperare e mendicare fuori d'I-
talia un po' di favore dalle città elvetiche,^ lusinghiere a chi
Pour toy j 'empire et suis en doleance,
On y forgea la paix quo prince inspire ;
Tout d*ane tire me donner grief martyre
Et desconfire mon trésor et chevaoce » etc.
1 DuMONT, Corp» dipi., t. iv, p. 1^, pag. 114 e sgg.
* n Condnlmero, diceva in questi stessi tempi al re di Francia: « Sire io stupisco che
questo Re de* Romani, quando ben fnssemo soli, se persuadi absorbime intro un colpo
come se fusseroo Luchesi o Pisani ». — V. V Estratto in Bbosch, op. cit., pag. 337-338.
* Nella Complainta de Venite sopracciUU, pag. 124, s'introduce questa città ad
eirclamare :
« Aux genevoys je devoye prendre exemple » etc.
* Chmbl^ Urltunden, Briefe und Aktenstuclie ecc., loc. cit., pag. 317-320, doc. ccxxxi.
— Ulrich, fryher der hohensax, e Hanns di Kungsegg, cavalieri scrivono a Massimiliano
in data de' SS aprile 1509: « .... och mit unns geredet, unnd si befrembde, das die Vanedyer
durch das Etschlannd in die Pundt komen sind, och das die Vanedyer fttrgeben, wie si by
Ewr. Mt. bericht finden ; och die Schwyxser sagen, wie das nnser gnedige frow Margreth
unnd der cardenal von Ruan ansleg gemacht, ob besser zum ersten an die Schwytzer odor
Vanedyer, und wan die Vanedyer herunder syen, sy es daun an jnen.... — .... also habe er
jenen geantwurt, es sy nit, dann der kinìg von Franckreich hab si vorbehalten und ussgeno-
men in disem vertrag. — .... Der kung hat dem von Tschamon (Chaumont) geschriben stili xu
stend mit dem krieg bis er kume. Item die Vanedyer ; unsser Goldj ist ein Vanedier unnd
der ander brUder ain Franczoss; und Sagt man, si habind die verrathery zugericht, das
er sich hab lassen fahen, das jnnen das gelt von Franckreich blibe unnd den Vanedyer
nemen si flux gelt ab.... — .... och so thOrren si nit zu den Vanediger, wam Ewr beder
Mt. ayns syen, das er lug, dann die Vanediger tribind seltzam brathick mit jm : si wellend
och Italia haben und in vii land in Franckrich und tutsche land zustellen und die hern
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438 CAPO QUI STO. [libro
le allettava coiroro, facili a dar orecchio a chi le metteva in
sospetto per la loro libertà.
Del resto, al papa le città di Romagna; all' Impero, Verona,
Padova, Vicenza, Rovereto, Treviso; a Massimiliano come arci-
duca d'Austria il Friuli e l'Istria; la Lombardia al re di
Francia ; i porti del napolitano, Trani, Brindisi, Otranto, Gal-
lipoli al re di Spagna; a quel d'Ungheria la Dalmazia, al duca
di Savoia Cipro, ecco lo spartimento che il nefando trattato
disponeva. Toccava così al re di Francia allora muovere primo
le armi contro la repubblica serenissima, accusata a quei
tempi di non aver gentiluomini e d'astiare però la dardanide
nobiltà francese, a quella guisa che poi dal Bonaparte, quand'ei
la distrusse, fu incolpata di nimicare quella francese democratia
di cui non era capace.^ Per Massimiliano la tregua conclusa
non doveva impacciare il ritorno alle ostilità oltre il termine
in cui, minacciate contro Venezia le censure ecclesiastiche
con una bolla di papa, la repubblica vi fosse incorsa, get-
tandosi da sé stessa in bando dalla cristianità. Cosi l'armi
spirituali e le temporali insieme dolosamente s'adoperavano a
fiaccarla; cosi, dopo oppressa Genova nel Mediterraneo, col-
l'oppressione di Venezia sull'Adriatico tendevasi a compiere
il fatale annientamento d' Italia. Restava Firenze in piedi, Fi-
renze che tanta parte aveva avuta e tanta gioia nella caduta
delle repubbliche rivali, e a cui le male arti non dovevano frut-
tare né libertà, né potenza. Ma la lotta che s' iniziava in questa
vertriben, danim not sy das man ainandorn halt odor es wurd jnen baiden nit wol en-
chiessen ». Già precedentemente gli Svizzeri, nelle loro lotta contro a Massimiliano, eransi
voltati verso la repubblica di Venezia. V. Marik Sanudo, Diarii, t. ii, col. 746-48. Copta
ài alcune lettere de'aguizarij dimandano aiuto a la Signoria contro il re di romani.
' MoNTAioLON, loc. cit., Le cry de joye dei Francois pour la delivrance du pape
Clement septieame de ce nom, pag. 2SÒ:
« Gentilz Francois de la grant Troye antique
Du preux llector jadis fajctz e tissus
Qui descendit de celle antique souche
De Dardanie », etc.
Su questo classico arzigogolo che faceva discendere i Francesi da Franco, figliuolo dì
Ettore, appoggiandosi sopra un passo di Ammiako Mabcbllino {Hist.j lib. xii), scherza il
Voltaire, Diclionn.philos.: «passe encore pour Enee; il pouvait aisément chercher un
asile au bout de la Méditerannée ; mais Francus, Als d'Hector, avaìt trop de chemin à
faire pour aller vers Dusseldorf, Vorms, Ditz, Àldred, Solms, Ehrenbreitstein ». Cf. Mauh
Sanudo, Diarii, voi. i, pag. 286, neW Exemplum literarum regia Franciae ad archit'
piscopum magunlinum et reliquos eleetoret imperii: « Nostis illos (venetos) nostis quam
sint alienorum dominationum usurpatores famosissimi, ut potè qui plurimas Eccleaiae ac
imperii terras nullo jure occuparunt, et centra jus fasque retinent, ipsi qui nobilitatis
expertes, solos nobiles oderunt atque insectantur ». E Napolbone, Correspondancef
19 maggio 1797: « Venise va en décadence depuis la découverte du Cap de fìonne Bspe-
rance et la naissance de Trieste et d'Ancóne; elle peut difficilement survivre aux coups
que nous venons de lui porter; population inepte, luche et nuUement faite pour la liberté ».
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secondo] giudizio CHE IL MACHIAVELLI FA DELL'IMPERO. 439
nostra penisola non era tale da lasciare fidanza di salvezza ad
alcun membro della nazione. Questa non sentiva sé stessa ed
era suo destino che la civiltà del rinascimento in lei iniziatasi,
in lei prima morisse ; che la sua morte fosse primo principio
di rigenerazione ai popoli scesi a combattere sopra i campi
d'Italia la lotta della loro novella vita.
Frattanto, come già vedemmo, per T Italia il periodo me-
dievale erasi chiuso. Niccolò Machiavelli che a Roma aveva
avuto acutezza da scernere la diversa condizione di vita che
s'era già foggiata il papato, osserva in Germania come ancora il
medio evo perduri; come, malgrado i mutamenti incoscienti, quivi
la società s'aggrappi ancora alle vecchie forme che l'impa-
stoiano; come per questa tenacia di pregiudizio v'intristisca il
germoglio spontaneo della vita nazionale; come questa me-
desima vita nazionale trapelante da ogni fatto, sia travisata
sempre, agli occhi di chi que' fatti determina, dalla illusione
di un passato vivo nelle fantasie soltanto ed inefficace.
Cosi Massimiliano vuole che all' impresa del suo passaggio
a Roma sia annesso il nome comune della Germania; e contro
al re di Francia tien ritte le pretensioni dell'antico impero uni-
versale. Ne già vien riconosciuta l'antipatia di razza che spinge
a contesa i due popoli vicini ; ma bensì pare che sia la corona
di Carlomagno e il retaggio di lui, par che sia la successione al-
l'lìnpero d'Oriente che minacci 1' imperatx)ria maestà dell'Occi-
dente; pare che siano la vecchia e la nuova Roma, che spin-
gono ad accapigliarsi due principi i quali della Roma nuova e
della vecchia possono appena armeggiare col nome. Quindi
un seguito di gelosie, di disegni presuntuosi, di diffidenze pro-
vocatrici, di vagheggiate usurpazioni; un seguito che poteva
parere infinito, per ciò solo che cosi non se ne aspettava mai il
termine, come non se ne giustificava la causa. Massimiliano
che per via della vantata successione di Carlomagno dete-
stava e combatteva l'ambizione di Carlo ottavo e di Luigi duode-
cimo, s'adombrava ancora per via di Giulio Cesare, se mai papa
Giulio del cui ponteficato era cupido, s'affibbiasse per pura
rettorica il cognome di questo. E ciò malgrado contrastando
sempre coll'arme spuntata dell'allegoria, ch'era stata il miglior
argomento del più fitto medio evo, e disdegnando come impe-
ratore di Germania stare a fronte del pontefice sovranuccio
nell'antica proporzione planetaria della luna col sole, secondo
la vecchia immagine guelfa; sull'alto del carro trionfale che
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440 CAPO QUINTO. [libeo
Vilibaldo Pirkeimer ideava e Alberto Dùrer disegnava per Mas-
similiano era scritta l'arrogante epigrafe, forse già più pro-
testante che ghibellina:
QUOD IN CELIS SOL HOC IN TERRA CeSAR EST.*
Ma fuori di tanta nebbia d'allegorie e di fantasmi spun-
tano fatti certi che il Machiavelli avvisa ed interpreta, come
presagi dell'età nuova. Egli compisce in corte dell'imperatore
l'osservazione incominciata a Roma e alla corte del papa; e
rileva come non siano più questi due elementi, imperatore e
papa, i termini della grande antitesi,, i poli, per cosi dire, della
vita politica in Europa. Dappoiché il pontefice rattratto entro
l'angustie della civil signoria s'arretra in seconda linea, scade
ad essere uno sfruttatore di forti, un rivenditore d'Italia; ma
la Germania grande, poderosa e disgregata, quella che delude
r Imperatore suo e tuttavia non sa sottrarsi a lui per t^ma di
non spogliarsi una gloria, è presso a uscir fuori del medievale
- viluppo tra durezze e fatiche secolari, inaugurando la fatale
tenzone col regno più compatto, colla unità nazionale meglio
composta, meglio saldata in Europa nel secolo decimosesto.*
E noi vedremo tra breve il Segretario fiorentino, non appena
l'occasione gli si off're di tornare in Francia, con istudio grande
e quasi con presentimento, far computo della natura e delle
forze di quel regno ch'era chiamato ad essere nuovo termine
d'antagonismo all'impero.
^ PiBCREiMER, Opera politica et hi$torica, V. Tediz. di Francoforte, mdcx, in cui è ri*
portato r intaglio bellissimo del carro trionfale.
* Machiavelli, Ritratti delle cose della Magna. Precisamente in questo componimento
che, per ordine cronologico, è V ultimo ch'egli condusse intomo alla Germania, c*è 11
raffronto fra l'Imperatore che non può valersi dei principi a sua posta, ma solo qusndo
pare a loro, e il re di Francia presente e quel « che fece già il re Luigi (undecime) il quale
con le armi ed ammazzarne qualcuno, li ridusse a quella ubbidienza che ancora oggi >>
vede ». Questi Ritratti delle cose della Magna ebbero pertanto ad essere composti dopo
Ritratti delle cose della Francia.
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Capo Sesto
CADUTA DI VENEZIA E DI PISA. — IL MACHIAVELLI E LA FRANCIA.
....la gonte di Francia malaccorta
Tratta con arte ove la rete è tesa.
(AaioBTo, Orlando JUriOBO, e. xxziii, 22).
....1 Francesi non s'intendevano dello Stato.
(Machiatklli, Il Principe, cap. iii). ,
Le slngulter e 'est que Tagent employé par
les Flofentins pour négocler contre Pise et Se^
amles, Venise et Génes, c'est-à-dire pouf
obtenir la rulne de l'Italie, était Machlavel
pauvre homme de genie, asservì à transmettrc
et traduire les pensées des sots, intermédialr<'
obligé entre l'ineptie du gonfalonier Soderini
et celle du cardinal d'Amboise. On le volt
dans ses lettreR, falsant le pied de grue à la
porte du cardinal, traité négligemment par
lui, menacé des valets de nos gents d'armes.
qui serrent de prés sa bourse. Bourse vide
s'il en ftit!
(Michelet, lìiatoire de Frante,
t. VII, pag. 223).
Nella tempesta di tante nimistà irrompenti sopra a Ve-
nezia parve balenare a Firenze il buon momento di riaver
Pisa. Quando il Machiavelli fu di ritomo, trovò che duemila
fanti della sua prediletta ordinanza sei-vivano insieme colle genti
d'arme a dare il guasto fin sotto alle mura di quella povera
città; ^ modo di guerra barbaro e corrompitore della buona
milizia. ^ Non aveva egli atteso per questo con tanta cura,
con tanta sollecitudine a ristorare le fanterie dello stato;
bensì per addestrarle « a domare il nemico colle scorrerie e
colle giornate»; ed ora ch'ei tornavasene a Firenze, pieno
l'animo delle cose osservate nell'andata all'imperatore, delle
* BoNACcoBSi, Diario^ pag. 134.
* Machiavelli, Diicorsi, lib. ii, cap. xix : « E come e* si vede per quello esser vero,
quanto alla fanteria, quello che nelle istorie si narra; cosi dovrebbero credere essere veri
ed utili tutti gli altri ordini antichi. E quando questo fosse creduto, le repubbliche ed i
principi errerebbero meno; sariano più forti ad opporsi ad uno impeto che venisse loro
addosso; non spererebbero nella fuga; e quelli che avessino nelle mani un vivere civile,
Io saperebbero meglio indirizzare, o per la via dello ampliare, o per la via del mantenere;
6 crederebbero che lo accréscere la città sua d'abitatori, farsi compagni e non sudditi,
mandare colonie a guardare i paesi acquistati, far capitale nelle prede, domare il nemico
con le scorrerie e con le giornate e non con le ossidioni, tenere ricco il pub-
blico, povero il privato, mantenere con sommo studio li esercizi militari, sono le vie a
fare grande una repubblica, ed acquistare imperio ». — V. in Guicciabdiki, Storia fioren^
Una, cap. xxx, pag. 351, come il Soderini pigliasse a furore la proposta del guasto nel
contado pisano.
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442 CAPO SESTO. [libro
repubbliche di Lamagna, « ben regolate colle leggi e co' co-
stumi, proibite d'acquistare, solo ordinate a difendersi, collegate
unicamente fra loro, compagne e non suddite Tuna dell'altra »,*
vedeva invece le repubbliche italiane, avversatesi con furia
esiziale, insidiatesi scambievolmente la vita, correre o isolate
od accapigliate alla loro estrema rovina.
Dicemmo già come la sorte di Pisa poteva far compas-
sione ai fiorentini medesimi, senza che loro fosse lecito darne
sentore. ^ Tanto meno poteva riuscire al segretario della seconda
cancelleria di sottrarsi all'esecuzione delle risoluzioni crudeli,
che dai magistrati prendevansi per giungere al ricupero di quel
possesso fatale, per cui eransi alienate da Firenze tutte le
altre provincie d'Italia, rimanendo tutta Toscana in arbitrio
della prepotenza straniera, amica o nemica che la si dimostrasse.
Toccò pertanto al Machiavelli d'esser preposto al guasto, sotto
il commissario di Cascina, Niccolò Capponi. ^ Cosi quegli torna
subito a' suoi battaglioni, fa nuovi arrolamenti ne' vicariati della
Val di Nievole, di San Miniato e in altre parti del territorio in-
tendendo a condurre la commissione con ogni prestezza. I Dieci
gli aveano dichiarato non volere che « cento fanti più o meno
avessero ad essere causa non solo di differire o impedire il
disegno, ma di disturbarlo al tutto con danno e vergogna della
città » ; ^ gli avevano dato danari in mano per provvedere alle
spese inevitabili; tuttavia al commissario scrivevano pochi giorni
dopo: 4f que' danari è necessario bastino a ogni modo, perchè
di qua non bisogna aspettarne più ;» ^ e altrettanto ripetono
al Machiavelli. Si fanno tutti gli sforzi possibili; Niccolò non
lascia luogo intatto; e malgrado ciò l'impazienza della città è
tanta che il Goufaloniere medesimo quasi rimprovera Niccolò
« che il guasto proceda freddamente. » ^
Al re di Francia intanto non garbava che Firenze, l'unica
alleata sua di qua da' monti, racquistando Pisa e però disinteres-
sandoglisi, sfuggisse di mano a lui; pertanto, prima le consigliò
di ristare dalle offese, affacciando che la questione di Pisa non
era cosa di sua sola spettanza, ma che importava al papa, al re
^ Cf. Tacito, Histor., lib. f, cap. 51 : « nec aoeios ut olim, sed hostes, et fHctùs vo-
cabant ».
• V. più sopra a pag. 147, in nota.
3 Pitti, Vita d'Ant, Giacomini, loc. cit., pag. !^ e segg.
* Bibl. Naz., Doc. M., busta iv, n. 143.
^ Macuiavblli, Leg. XXV, edìz. ult., pag. 341.
« Bibl. Naz., Doc. M., busta iv, n. 178.
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secondo] corruttela DE' ministri e della corte. 443
cattolico e anche alla signoria di Venezia; ^ poi le mandò am-
basciatore un ciarliero napoletano, Michele Ricci, che nell'en-
trata di re Luigi a Genova aveva avvilito questa città italiana
avanti al re francese. Lo mandò per far rimostranze e delle
trattative intercedute coir Imperatore, e degli apparecchi che si
sollecitavano per stringer Pisa, e per intendere chiaro se Fi-
renze fosse per desistere quand'egli le ordinasse a dirittura di
non molestare i Pisani. Ai Fiorentini per le due prime lamentanze
non mancavano giustificazioni da allegare; all'ultima questione
rispondevano francamente, opponendo i capitoli fatti col re nel
1502, a tener de' quali sarebbe loro stato sempre libero ricu-
perare coU'arme il dominio proprio ; aflFacciando, oltre a' capitoli,
le ragioni di naturale giustizia, secondo le quali pareva non
fosse lecito proibir loro ij conseguimento di quel fine per cui
avevano speso il sangue e pagato a caro prezzo la protezione
reale.
Pochi mesi prima il re medesimo, quasi vantando il gran
beneficio conferito, diceva loro : « Sapete voi che io ò sfidato i
Pisani?... — sapete voi quello che voglia dire sfidarli?... — io
ò mandato un araldo in Pisa, per notificar loro che si guar-
dino da me, e che io gli pubblico inimici miei, per essersi loro
travagliati contro me per i genovesi ».^ — Ed ora invece si
presentava con nuovi amminicoli per succiare ancora una volta
la città protetta, o minacciava far entrare il Trivulzio in quella
assediata. E ci vollero centomila scudi tutti per lui; e altri
cinquantamila al re di Spagna, per guadagnarne l'acquiescenza;
i ministri dovettero tutti esser satolli ; ^ dopo la qual cosa
1 T)e8j\rdins, NégociationSf etc, t. ii, pag.258: « 19 mai 1508. Lyon ». - {Rif. Atti
pubblicL Cartapecore^ f. vii. Francia 300. Arch. fior.) : « Le Roy enjoint aux Florentins de
suspendre, qnant i. présent, tonte attaque contro Pise et le tefritoìre de son conte... pour
ce qne ceste matiére touche non seulement à nous, mais à notre Sainct Pére le pape, au
Roy Cathotique, notre bon frère, et à la Seigneurie de Venìse; et que nous tons avons
interest qu'il y ait aucnn potentat en Ytalye pour faire offense, attendi! Teffort que le Roy
dea Rommains a fait et voulu faire au grant dommage et préjudice de tonte l'Ytalye ».
' Desjardiks, loc. cit., t. II, pag. 2S7.
» Scrive il Guicciardini, St. d'Italia, lib. viii: «Oltre che fu bisogno promettessero
di donare a' ministri dei due re venticinquemila ducati, de* quali la maggior parte si aveva
a distribuire secondo la volontà del cardinale di Roano ». — E Alessandro Nasi e Gio-
vanni Ridolfi, avvisano a' Dieci aver dato al Rubertet « la consueta mancia » per cui
ei si offre « in omnibus ad posse suum ». Cf. Desjardins, Négociationa dipl.y t. ii, pag. 258.
Ibid., pag. 272: «Di nuovo (Rubertet) ci affermò il legato non saria per pigliare niente,
ma che sa aria bene caro fussi fatto onore ed utile a Chaumont come a se medesimo ».
Questi fatti non s'ignorarono in Francia. V. La triomphante mort de monsieur le legata
in cui TAmboise confessa al re: «et m'ont fait les dicts Florentins plusieurs presens
et dons ». — Così il Michelet, tra i moderni (Histoire de France, t. vii, pag. U)8) di
lui ebbe a scrìvere : « Toute sa vie il eut secrétement une grosse pension de Florence.
de quoi il fit l'aveu au roi à son Ut de mort «. — Questo spiega alcune affermazioni del
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U4 CAPO SESTO. [lasao
a' Fiorentini venne abbandonata la loro vittima ignuda. Trat-
tato vile, se mai ne fu ; ^ ma bisognò piegare il collo :
Bisognò a ciascuno empier la gnla
E quella bocca che teneva aperta, *
scrisse il Machiavelli, e sarebbe stato anche peggio se quei
potenti non avessero già « messo la sorte » ^ sulle ricche vesti-
menta di Venezia.
Né Firenze pertanto si die più riposo: tolto a' soldi il
Bardellotto, un corsale da Portovenere, e suo padre, il Bar-
della, per impedir le vettovaglie a Pisa e sottrarle ogni spe-
ranza di soccorsi genovesi, bruciò Viareggio a' Lucchesi; poi
strinse lega triennale con essi domandando gabella del solo
venti per cento, e del resto accordando loro libertà di commerci,
purché alla città assediata venissero meno anche i soccorsi
di Lucca. ^ Galeoni e brigantini guardavano il mare, fanti e ca-
valli la campagna ; le foci di Fiume morto e di Serchio, pre-
cluse; un ponte di legname sulFArno, fortificato con bastioni
dall'una e dall'altra ripa doveva impedire ogni approccio; pa-
reva che la Capraia e la Gorgona s'avessero a muovere an-
ch'esse per compiere la biblica imprecazione di Dante sulla
città moritura. 5
In breve non si credè che il Machiavelli solo in campo
M. circa la Natura de' Francesi (v. ed. ult., voi. yi, pag. 312): «Chi vuol condurre una
cosa in corte gli bisognano assai danari, gran diligenza e buona fortuna ». •— « Quando
non ti possono far del bene tei promettono; quando te lo possono fare, lo fanno con dif-
ficoltà o non mai ». — E nei Ritraiti delle cose di Francia (ibid., pag. 308): « La natura
de* Francesi è appetitosa di quello d*altri, di che insieme col suo e dell* altrui è poi
prodiga ».
> QuRiTA, loc. cit., t. vili, pag. 178. « Fue està platica muy deshonesta y de gran in-
famia à estos principes ; por que por este camino tan vergongoso, e indigno, de quien ellos
eran, y de su magestad, y grandeza, vendieron la libertad de a quella Senoria en tan vii
precio: bauieudo hecho confian^a dellos; y se determinaron de ayudar à la Seiioria de
Florencia; y los florentines se obligaron de valer à los Reyes, para la defensa de sos
estados. De manera que hauìendo comprometido los pisanos sus diflerencias in poder de
ambos Reyes, ellos se concertaron con color de convenir à la paz universal de pronunciar
de manera, que Pisa fusse reduzida al poder, y dominio de Florentines ».
« Machiavelli, Decennale II, v. 155-156,
* Dbsjabdins, loc. cit., pag. 256.
* Coro* era naturale, Lucca non vedeva salute per sé, a petto alPegoistica democratia
fiorentina, se non nella resistenza di Pisa. Nei Sonetti politici e burleschi inediti dì An-
tonio Cammelli, detto il Pistoia, Livorno, Vigo, 1809, pag. 6, leggesi:
« Senza sonar lento
Canti pur Lucca questo motto verde:
Trista la barba mia se Pisa perde ».
< Nei Capitoli delV acquisto di Pisa fatto dai Fiorentini Vanno i40€^ di Giovanni di
Ser Piero, {Arch. Stor. it., serie i, t.vi, p. 2>, pag. 266) già leggevasi:
« Lor contro essendo fortuna e destino
Per far delTaspra crudeltà vendetta
Di roesser Piero e del conte Ugolino ».
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secondo] y. machiavelli solo in campo. 415
potesse bastare; ^ egli col Giacoraini aveva ricreato, vivifi-
cato, educato le ordinanze de' militi; altri doveva condur-
gliele in Pisa. Non si credè che un commissario solo, quello
* Il Guicciardini {Storia fiorenUna^ cap. xxxii) ci porge a questo proposito argomento
a distender probabilmente una piega recondita dell'animo di Niccolò Machiavelli. Quegli
scrìve al luogo indicato (pag.SSl): « Le quali cose perchè si facessino con più ordine e più
riputazione, non si trovando in campo pel pubblico altri che Niccolò Machia-
velli cancelliere dei Dieci, vi furono eletti dagli Ottanta commissarii generali Jacopo
e Alamanno Salviati, con grandissima reputazione di quella casa; ma trovato poi che tutti
a dua insieme avevano divieto, sondo Alamanno di meno fave, rimasono Jacopo e Antonio
da Filicaia. E perchè Jacopo essendo di collegio rifiutò, fu in suo luogo Alamanno ; e cosi
Antonio da Filicaia e Alamanno Salviati andarono commessarii in quello di Pisa; e lasciato
Niccolò Capponi in Cascina per le provvisioni necessarie. Alamanno andò a stare a San
Piero in Grado, e Antonio a Librafatta al governo del campo che era dall'altra parte
d*Amo ». — È chiaro pertanto, e per confessione d*un interessato, come potè esserlo un
genero della fatta del Guicciardini alla grandigia del suocero, che questi commissari furono
creati non tanto per necessità se ne sentisse, quanto per più riputazione della cosa; e che la
grandissima riputazione, in seguito della scelta ridondò poi alla famiglia Salviati. È chiaro
parimente che i commissari si crearono per non lasciar solo in campo il cancelliere de* Dieci,
qnel cancelliere che era stato il riordinatore delle fanterie statuali e che le aveva me-
nate'a stringere Pisa; quel cancelliere il quale, spedito al campo con piena balia, dopo
essersi già tanto affaticato per raggiungere il Une voluto, ora co' nuovi commissari usciva
di scena. Egli non lasciò segno manifesto del suo rincrescimento; che non mai parlò
all'universale della sua persona Anche fu cancelliere; ma veggasi quel che scrisse poi
ne*Di8cor8i, lib. ni, cap. xvi, nel brano già da noi recato in nota a pag. 370, dopo cui se-
guita : « E benché e' non si vedesse evidentemente che male ne seguisse al pubblico per
non v'avere mandato Antonio, nondimeno se ne potette fare facilissima coniettura; perchè
non avendo più i Pisani da difendersi né da vivere, se vi fusse stato Antonio, sarebbero
stati tanto innanzi stretti che si sarebbero dati a discrezione de* Fio routini. Ma Mndo loro
astediati da capi che non sapevano né stringerli né sforzarli, furono tanto intrattenuti
che la città di Firenze gli comperò, dove la gli poteva avere a forza. Convenne che tale
sdegno potesse assai in Antonio: e bisognava che fusse bene paziente e buono a non de-
siderare di vendicarsene o con la rovina della città, potendo, o con l'ingiuria d'alcuno
particolare cittadino ». — In queste parole di Niccolò è facile scorgere che non manca né
sdegno né esagerazione, quando le si mettano a riscontro col passo sopra recato del Guic-
ciardini. Sull'autorità di lui i biografi del Giacoroini citarono il fatto con le medesime pa-
ToJe sue, senz'altra riprova. (Cf. Nardi, Vita di Antonio Giaeomini, pag. 197. Prrri, loc.
cit, pag. 249). Gli altri storici non ne parlano e solo il Nardi {Storie di Firense, lil). iv)
afferma: «Abbiamo ben udito dire, quando si venne all'impresa dell'assedio e della spe-
dizione dei commessari, detto Antonio essere stato tentato dal gonfaloniere di giustizia, e
domandato se, essendo fatto uno de' commessari per quella guerra egli accetterebbe, e
quello aver risposto (ma non senza sdegno) che essendo diventato inutile per la sua grave
malattia, era oggimai tempo di lasciarlo riposare, e nonio sottoporre altrimenti a* giuochi
di fortuna ». Quello ohe avrebbe irritato il Giacomini sarebbe stata dunque la proposta
d'aver compagni in quella commesseria, non l'esclusione. L'avrebbe forse il Nardi udito
a dire dal Machiavelli? — A ogni modo è chiaro che nel segretario fiorentino a questo tempo
circa, venne meno quell'alta fiducia, quella grande simpatia per Alamanno Salviati, dimo-
stratagli colla dedica del primo Decennale; ed è pur certo del pari che Ala^nanno Salviati,
non vedeva di buon occhio il Machiavelli, come quegli che si protostava fratesco e che,
seppure non credeva che Niccolò mancasse di fede religiosa, gli scriveva netto : « son certo
non te n'avanza molta ». (Bibl. Naz. fior., Doc. M., busta iv, n. 52. Alamanno Salviati
cap fi N.M. in Firenze - Pisa, a' dì iiijo d'ottobre* 1509). J)e\ secondo Decennale ^oì si à
solo un frammento che non va molto oltre a questi tempi, e l'eroe, se per questo secondo
decennio di vita fiorentina ve n'ebbe, è il Giacomini, che tanto virtuosamente aveva
operato per la ricostituzione della milizia. — Circa a' malumori interceduti fra il Machia-
velli e Niccolò Capponi, commissario di Cascina, veggasi una lettera del Bonaccorsi (Bibl.
Naz., Doc. M., busta iv, n. 80) speditagli «in castris die prima quaresimae i50 */» »
nella quale si esprime cosi: « Io ui rispondo poche parole alla parte toccante el ' caso
del Commissario uerso di uoi ; il che non è punto piaciuto allo ufìtio. Pure e' più potenti
sempre hanno ad hauer ragione; et a loro. si ha ad hauere respecto. Uoi solete pure es-
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446 CAPO SESTO. [libbo
USO a campeggiare con que' fanti, potesse essere a sufficienza;
il racquisto della città non era più una fatica, si riguai dava
come una gloria prossima e tanto grande da potersene co-
prire in parecchi. Chi l'aveva preparata, condotta, meritata,
potevasi pure lasciar da parte senza pericolo : Pisa non aveva
più né difesa ne viveri. Antonio Giacomini, il commissario,
il capo di tutti gli eserciti, l'ordinatore di tutti gli assedi era
allora malaticcio, aveva diritto al riposo, non doveva aversi
a male di trovare compagni al trionfo. Bensì trattavasi con
uomo che dell'onore era tanto avaro, quanto del proprio da-
naro era prodigo, ^ due virtù che una repubblica democratica
sfrutta e mal riconosce; ma quell'avarizia non metteva paura
a chi sapeva com'egli amasse marzocco, a chi sapeva che
non era uomo capace, per suo risentimento personale, di in-
giuriare la patria. Però quando si vennero a scegliere altri
due commissari, oltre al Capponi, per quello sgocciolo d'im-
presa; palleggiatosi prima tant'onore Jacopo e Alamanno Sal-
viati, finalmente Alamanno e Antonio da Filicaia se lo strappa-
rono. — « Incapaci a stringere e sforzar coll'assedio, » li disse
il Machiavelli; ma questo giudizio non è scevro d'asprezza né
forse di risentimento,* e le relazioni che intercédettero in se-
guito fra il segretario e i commissari probabilmente non val-
sero a scemare il malumore che la nomina loro aveva già in
lui cagionato.
Il posto del Machiavelli a San Piero in Grado fu occupato dal
Salviati; Antonio da Filicaia a Ripaf ratta guardava i monti; il
Capponi era rimase a Cascina ; il segretario passato prima alle
mulina di Cuosa in Val di Serchio, si trasferì quindi a Poscia
per ordinare e comandar fanti, stimolato dal Capponi e da' Dieci
ad afi'rettar le leve con la maggiore celerità possibile, a solle-
citare per tutti i versi « perchè, come scrivevano, una hora
sere patiente et saperui gouernare in simili frangenti, benché questo fla di poche mo-
mento, hayendo ad stare discosto; et se una o dua lettere lo hanno ad contentare, sarà
poca fatica. El superius con chi parlai hiarsera lungamente di questo (si capisce che il
Bonaccorsi accenna al Gonfaloniere) mi commise uè lo scriuesse, et che io ui confortasse
per suo amore ad hauer patientia, con altre parole da hauerle chare et stimarle assai ».
* Il BusiNi, Lettere a Benedetto Varchi, ed. Lemonnier, pag. 275 : « Quanto al Nardo,
non sapeva che egli avesse scritta la vita di quel prode uomo Antonio Giacomini al quale
il Machiavello dava tanta lode quanta sapete, e lasciò di lui quel bel verso:
«Avaro dell'onor, largo dell'oro»;
e il Nardo lo conobbe e potette sapere assai cose di lui, ecc. »
* Oltre le lodi dal Machiavelli stesso altrove prodigate al Salviati, sappiamo del Fi-
licaia ch'egli fu «assai valente» e severo ed animoso, ma ostinatissimo in ogni cosa».
(Cf. Susini, loc. cit., lett. xi, pag. 115).
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aacoNDo] * IL MACHIAVELLI E I COMMISSARI, 417
portava el tutto. » ^ — Ed egli da Poscia si ritorna alla foce
di Fiume morto, ove Antonio da San Gallo con altri maestri
di legname attendono a fornir Topera del ponte; provvede
inoltre a far rizzare gli alloggiamenti per fermare al coperto
le soldatesche, facendo tagliar alberi d'in sul luogo e fog-
giarne pali; procacciando da Lucca il legname che occorreva
per gli aguti; ricevendo assi d'abeto da Pistoia; curando l'ar-
rivo di biada, di strame, di pane, di vettovaglie; disponendo i
fanti che gli piovono addosso da Firenzuola, dal Mugello, dalle
Ripomarance; distribuendoli a fare spianate, a riempier fossi; ve-
gliando il compiersi della palafitta in Amo; proponendo egli
medesimo di farne un'altra che asserragli l'Ozori. « Tanta
operosità, si molteplice, si provvida in ogni parte cui rivol-
gevasi, va lietamente soddisfatta dell'approvazione che gli
giunge incessante e dalla città e da' commissari. I Dieci gli
raccomandano di far risparmio delle forze, di « non ten-
tare la fortuna né mettersi a pericolo senza bisogno, perchè
quando in Pisa non entri cosa alcuna, si sarà fatta un'ottima
fazione, » ^ di guardare a star sicuro, di « stimare el nimico, ^"^
d' impedire che dalla città assediata escan bocche disutili.
E Niccolò lotta colla ritrosia della natura e colla per-
vicacia degli uomini, co' temporali che sbattono la marina
e rendono impossibile l'accesso dalle foci di quanto occorre
per lavorare alla palafitta, colla malizia de' capitani di bri-
gantini, che abbandonano il littorale , senza che la tempesta
gli scacci, e lasciano entrar in Pisa le biade e il grano di
Tarlatine da Città di Castello. Niccolò non sì lamenta già di
esser mal secondato, non scusa il male, ma lo rimedia con-
ducendo egli stesso a una bella e presta fazione i suoi fanti
di Valdinievole, i prodi scoppiettieri, che dan bella prova di
1 Bibl. Naz., Doc.M., busta ly, e. 122. DBcem^oiri Ub,Bi Baliae rep. fior. Machiavello
ucr, nostro carmo.Cito cito. A ».— E nel medesimo giorno gli ripetono (Àrch. fior., Lett.
dei Disci, n.91 a c.48t. , ediz.ult.. t. y, pag. 347-4S): «Confidiamo assai in Te, et siamo
certi che per te non ha ad mancare : pare la cosa è ridotta in termine, che non possiamo
fare altro che sollecitare qualunque si troua fuora per conto di questa fazione. Et perchè
noi stimiamo che tu arai faccende assai, però voliamo ritenga teco tommaso Baldovini e
te ne serva ad mandarlo innanzi e indrieto e per conto di vettovaglie e di ciò che altro ti
accadessi ».
* « Lesole o TOsole» scrivono il Machiavelli, i Dieci, il Capponi per quel che oggi si
dice POseri od Ozori, Tantico Auser. II canale dell' Ozori recava al Sercbio le acque del
lago di Sesto di Bientina, immettendo in esso anche il canal Rogìo, TOzoretto, la Pescilla
e il Onappano. Nella Cronica Pisana del Mabanooni, si cita: (anno d. MCLVI) « turrem
quae est super pontem Ausaris ».
» Macbia^'blli, Covnmiss. al campo, ediz. ult., lett.ix.
♦ Id., ibid., lett. XV.
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44S CAPO SESTO. * [libbo
saper coraggiosamente combattere per la patria. ^ Poi va a
Lucca, nella prima settimana del marzo, a far rimostranze
energiche, però che si continua, nonostante le convenzioni e le
leghe, a vettovagliar Pisa, a gettar bricciole sul capo della ve-
stale moritura. I Lucchesi gli si scusano, promettono, spediscono
un mandatario a dar soddisfazione; a pregarlo che quando egli
abbia sentore di nuovi inconvenienti ne scriva prima a Lucca
che a Firenze; perchè possano « farvi rimedio più presto e
senza odio » ; insomma, di passivi che erano a non soccorrere,
diventano attivi a vegliare che niuno soccorra l'affamata. *
Niccolò frattanto spinge innanzi i lavori d'asserragliamento e
li compie : « Abbiamo fatto tre ordini di pali, scrive, quindici
per ordine, fasciati di listre di ferro, perchè i pisani non li
possine sciorre né tagliare; e le listre vengono tutte sotto
l'acqua, in modo che non crediamo che a guastarle e' si met-
tano, non si possendo stare con un grande loro agio; potreb-
bono bene tragettare il barchereccio per terra; il che gli
terrebbe a bada in modo che l'uomo sapendolo, potrà più
facilmente prevenirli »... — ...« potranno guastare con tagliare,
ma bisognerà loro tempo, il quale non possono avere molto
sicuro con due eserciti addosso: vedremo ora come se ne go-
verneranno ».^
Fatto finalmente un altro campo a Mezzana per cui s'in-
tercettava ogni comunicazione colla Val di Calci, Pisa provava
il soffoco, la disperazione della stretta estrema. Come già l'an-
tico conte di Donoratico sentiva chiavar l'uscio di sotto alla torre
^ Il Machiavelli stesso ragguagliò di questa fazione e i Dieci e i Nove (V. Bibl. Nas.,
Doc, M.f busta iv, n. 123, Novemriri or^num milititie rep. fior. N. M, iscr. nro. Ex pa-
latio fior, die 28 febr. lóO^-g ». — La lettera del M. pur troppo andò smarrita, avendosi a
deplorare, per quanto apparisce, la perdita di non meno di 81 lettere di questa Commi»-
sione al campo sotto Pisa. Esse recherebbero le date seguenti: 1508, 85 agosto N. M. in
Ponte ad Era; 26 agosto N. M. in Cascina. ISO»-» , 13 februarii N. M in Pescia ; 14 fé-
bruarii N. M. in Pescia; 16 februarii N. M. in Foce di Fiume Morto; 17 februarii N. M.
in Foce di Fiume Morto; 10 februarii N. M. in Foce di Fiume Morto; 20 februarii N. M.
in Foce di Fiume Morto ; 21 (?) februarii N. M. in Foce di Fiume Morto. 150*-» febbr. 22
(2 lett.), 25, 26, 28 marzo, 1, 3. 4, S, 10 (due lettere a Niccolò Capponi; aprile 13, lettera
ai Dieci, nella quale era un Discorso delle cose del Campo, di cui i Dieci lo lodano.
• Arch. fior., Lett. ai Dieci, n. 90, e. 390. (CI. x, dist. 4, n.93). In questa lettera Nic-
colò indirettamente, ma con molta astuzia, dà sentore di non trovarsi soddisfatto della
cooperazione dei commissari : « È stato o^i da me messer Agostino E(^emardi cittadino
lucchese, mandato a me da quelli signori a farmi intendere come hauendo Vostre S.rìe
scripto loro una lettera un poco soprammano, fondatiui in su gli aduisi mia, voleano farmi
intendere che erano per fare ogni opportuna prouui sione per Tad venire, che i Pisani non
fussino prouueduti; e se e' non V haueuano fatto infino ad qui» naseeua perchè si fon-
davano che V.re S.rie ci prowedessino loro, et facessino per tutto guardare in modo
che i Pisani non potessino andare et uenire ». Cf. il citAto passo de* Discorsi^ lib. ni,
cap. XVI.
* Machiavelli, lett. cit.
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secondo] il machiavelli A PIOMBINO, 449
della fame, così essa si vedeva la morte certa e prossima d'ogni
intorno, senza più scampo; e allungare almeno quell'ora d'agonia
fu l'ultimo sforzo della sua difesa. Cercò patti da' Fiorentini,
patti che la salvassero dall'esser vilipesa e calpesta nell'op-
pressione imminente; nutrendo lusinga che non si sarebbero
rifiutati i suoi nemici di calare ad accordi, perchè loro non
importava altro che rimpossessarsi Jpresto di lei comunque fosse,
ed essa nell'accordo poteva nascondere il germe di più pro-
spere lotte. Né era tutto gioco di speranze che le faceva
credere probabile la buona riuscita. Il gonfaloniere Sederini
aveva già tentato pratiche di trattato per via d'un sensaluzzo.
Non s'era concluso nulla, ^ ma i Fiorentini, sempre più mer-
canti che soldati, più proclivi alla compera che alla conquista,
avrebbero abboccato facilmente l'amo proteso loro dalla dispe-
razione. A' di 10 di marzo infatti Niccolò Machiavelli riceve da
Empoli lettere del Filicaia e del Salviati, con un ordine de' Dieci
incluso, ch'ei si rechi prontamente a Cascina a conferire con
essi. Quivi gli partecipano la commissione, ch'eragli stata decre-
tata quel dì medesimo, di condursi immediatamente a Piombino
presso a Jacopo d'Appiano, il quale, informata la Repubblica
che i Pisani scorati erano sulla via di cedere, ma che quelli
che s'erano a bella posta recati con salvacondotto presso di lui
non volevano entrare in particolari circa le condizioni della
resa, se non veniva spedito da Firenze un mandatario a discu-
terle, sollecitava perchè qualcuno vi fosse inviato a questo
efifetto. — « Farlo per uomo prudente e con manco demonstra-
zione si può » parve alla Signoria il miglior consiglio, e diede
tale incarico al Machiavelli, il quale per avventura era l'unico
che in quella congiuntura fosse capace di praticare saviamente
la politica della guerra.
È ben vero che la commissione sua recava fra le prime
istruzioni quella di osservar bene che coloro che trattavano
n'avesser mandato espresso, altrimenti rimontasse subito a ca-
vallo; per non mostrare che i Fiorentini fossero per impaniare
nelle parole. E vero che il governo gli dichiarava la propria
intenzione, ch'era piuttosto di tastare il guado che d'altro,
raccomandandogli di non compromettere l'onore e la dignità,
né dare animo ai Pisani col mostrar voglia dell'accordo: ma
è pur vero che in tutti gli uomini di stato quella voglia c'era,
> QuiccuRDiMi, Storia fiorentina, cap. xxx, pag. 352.
ToMMASiNi - MachiawUl. 29
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450 CAPO SESTO. [libbo
e che niuno di essi confidava tanto ne' battaglioni dell'ordi-
nanza, quanto il Machiavelli o il negletto Giacomini, i quali
naturalmente li riguardavano come il miglior argomento della
guerra e della politica.
Niccolò parte di campo a*d\ 12; giunge a' dì 14 in Piom-
bino, sulle 20 ore; ^ mezz'ora dopo comparisce davanti al si-
gnore di quella terra. Costui, progenie degli Appiano, che ave-
vano già signoreggiato e fatto la prima vendita di Pisa al
Visconti, riservandosi la signoria di Piombino, dell' Elba e di
pochi altri paesi; seguitava la politica tradizionale della sua
casa, vogliosa d'aver pace nel gran duello che si combatteva
fra le due repubbliche d'Arno. * Se non che, in tanto trambusto
poteva a* suoi maggiori ed a lui toccar bene in sorte di rimanere
illesi, quando e' si conservassero estranei e neutrali alla lotta; ma
che avessero potenza od affetto per comparir mediatori autorevoli
ed efficaci, era assai dubbio. Però le parole del Machiavelli a
Jacopo paiono, in questa occasione, più di chi mette in avviso un
debole a non assumere l'aspetto di complice involontario, che
di chi gli sa grado d'essersi interposto per condurre un ravvi-
cinamento. E per questa parte è mirabile la lettera con cui
Niccolò ragguaglia i Dieci del procedere di tutto il suo colloquio
coU'Appiano e dell'abboccamento cogl' inviati di Pisa; singolare
contesto di dignità sdegnosa e di fredda impazienza, che non
lascia cader nulla alla presenza altrui, ma mostra, come stretto
nel pugno, il seme di speranze e di timori non vani e immediati.
Niccolò sul principio non vorrebbe neppur vedere quei
messi, poiché il signor Jacopo non sa dir certo se coloro anno
autorità e mandato di trattare; vorrebbe rimontar subito a
cavallo, secondo l'istruzione, e partirsene; ma l'Appiano lo
prega a riflettere che l'udire non nuoce, che non può aggiun-
gere né tempo né coraggio agli assediati; che bensì toglie loro
l'appicco di far querele per tutto il mondo che una loro amba-
sceria solenne e sincera non sia stata neppure ascoltata. 'Tanto
che il Machiavelli si piega a udirla; e i Pisani s'inoltrano —
erano un venti circa tra della città e del contado — facendo
maraviglie e lamenti per prima cosa, che mentre credevano
trovare due o tre cittadini e de' più gravi per trattative di tanto
» Arch. fior., L«g. di N. M., ix, lett. 1».
* Cf. RoNcioNi, Ittorie pisane^ pag. 907. - Gio. di Sbb Piero, CapUoH, loc. cìt.,
ag.250.
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BBCONDo] TRATTATIVE DELLA RESA DI PISA. 451
rilievo, fosse siato spedito quivi appena un segretario, il quale
non veniva neppure dalla città direttamente.
Ma questo era tasto da non provare. Niccolò secco dichiara
ch'ei non à a dir nulla perchè essi dicon nonnulla; — dicano
qualche cosa se vogliono eh' egli dica qualcosa. — Replicano i
Pisani aver detto assai, chiedendo sicurtà della vita, dell'onore
e della roba loro. Il Segretario soggiunge che gli anno a di-
chiarare che sicurtà propongono, se vogliono ch'ei risponda; «e
se la sicurtà fosse ragionevole e onorevole, non se ne man-
cherebbe, perchè la Signoria di Firenze vuole ubbidienza da
loro, né si cura di loro vite, né di loro robe, né di loro
onore ». — Per sicurtà essi offrivano tutto quanto il paese
sino alle mura di Pisa, restando la città riasecrat^-sino al-
l'esito finale delle trattative. —
— Ma questo era offrire di quel che già Firenze possedeva.
— E coloro : sì, ma senza alcun titolo legale.
— Allora Niccolò, volgendosi all'Appiano : « Ora è chiara,
disse, la signoria vostra, che costoro, l'anno dileggiata, e la
dileggiano; perchè io credo che se vi avessero detto questo
prima, o se voi lo avessi creduto, voi non avreste voluto pi-
gliare tal carico, né intromettervi in una cosa che avesse questa
riuscita. Pure, poiché la cosa è qui, acciocché per sempre la
signoria vostra e quel popolo di Pisa intendine lo animo nostro,
e che voi e loro sappiano come questa pratica si abbia a maneg-
giare, io vi dico che quando voi non siete d'animo di metterci
Pisa in mano, libera con tutto il dominio e iurisdizione, come
era avanti la ribellione, che voi non pigliate questo affanno di
venire qui, né altrove per trattare accordo, né anche diate questa
briga a questo Signore, né ad altri. E cosi, quanto alla securtà
della vita, roba e onore vostro, quando voi non siate d'animo
di volerne stare alla fede dei nostri Signori, voi medesimamente
non pigliate briga di affaticare persona per composizione alcuna,
perchè la fede dei miei signori non à fino a qui avuto mai bisogno
di alcun mallevadore; e pure quando la ne avesse bisogno, nes-
suno mallevadore ci basta. Ma la più ferma e la più vera se-
curtà vostra à da esser fondata in sulla liberalità vostra, che
voi liberamente veniate a mettervi in grembo dei miei signori ».
E qui il Machiavelli rivoltosi a' contadini, appigliandosi a
trar vantaggio da quella discrepanza di sentimenti, da quel diverso
modo d' intendere l'utilità, che sempre distinse gli abitanti delle
città da quelli delle campagne: « della vostra semplicità m'in-
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458 CAPO SESTO. [l
cresce, prese a dire accortamente, perchè giuocate un giuoco
dove non potete vincere ; perchè se i Pisani vincessero la gara
loro, e' non vi vorrebbero per compagni, ma per servi e tor-
nereste ad arare; dall'altro canto, se Pisa sarà sforzata, di
che ad ogni ora voi potete dubitare, perderete la roba e la
vita, e ogni cosa ». ^ A questo punto messer Federigo del Vi-
vaio, un di quei della città, cominciò a gridare che Niccolò
voleva dividerli, che questi non erano termini convenienti. — I
contadini non fecero verbo, ma, il Machiavelli osserva: « mi
\ parve che gustassino quelle parole ». — E le erano davvpro an-
date diritte e a fondo ; poiché, quando egli aggiunse che, non
volendo la pace, avrebbero più guerra assai che non vorrebbero;
GiovanIau4i^VTCO," un di loro, proruppe con parole « alte ed
efficaci »: < noi vogliamo la pace, noi vogliamo la pace, imba-
sciatore ! > *
Ciò non di meno il Machiavelli partissi senz'altro frutto
che d'aver aperto una grossa fenditura fra cittadini e rurali,
obbligandoli a scoprire le loro intenzioni opposte. La natura
era poi per maturare quell'opera, conducendo i borghesi e ì
villani a sopraffare la fazione militare, che sola e tiranna
aveva preso a spadroneggiare in Pisa. ^ Un frate predicatore,
che non aveva mancato di predicar quaresima e digiuno alla
città affamata, venuto al campo nelle mani del Filicaia, non
esita di raccontare, a tripudio de'nemici, i dolori che quivi à ve-
duto: « li Pisani non possono più, la miseria vi è maggiore che
la non si dice... i tristi governano, una parte degli uomini che
sono di miglior qualità desiderrebbono lo accordo >; vorrebbero
che il frate stesso s' interponesse a trattarne, impetrando prin-
cipalmente tre domande: « prima di tutto, il perdono di qualunque
cosa; poi, securtà che fussi loro osservato; in terzo luogo, che,
dando loro la città e contado liberamente con giurare fedeltà
perpetua (la quale cosa dicevano che non era stata data da
principio dai loro padri), vorrebbero avere preminenza, come
qualche altra città del dominio della signoria di Firenze >. ^ —
^ Machiavelli, lett. cit.
« Id., ibid.
3 GuicciABDTNi, /Storta fiorentina, cap. xxix, pag. 382; cap. xxx, pag. 389 e segg. ~
Machiavelli, lett cit.
« Lettera d*Antonio da Filicaja « ex castrìs apud sanctam Jacobuni, die 14 aprilis
1500 ». È tutta autografa del Machiavelli, meno un poscritto in cui il commissario dà no-
tizia che quegli è partito per rassegnare i fanti negli altri accampamenti, e aggiunge: « Oli
ho imposto che tomi poi qui, come ne scriuono le S.ri«V.re, che non potrei aver più caro
che averlo appresso ». La citiamo sulla fede dell'edix. ultima (voi. v, pag. 395-397), non
esibendoci riuscito conoscere T indicazione dell'autografo.
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SBCONDO] AGONIA DI PISA. 453
Povera Pisa, come già sente e dice la morte sua ! Pisa, che già
aveva mostrato sul mare galee « che parevano montagne, irte
non di cespugli, ma di lance e di spade >; ^ Pisa, che aveva fatto
tremar di spavento le più grandi isole del Mediterraneo, preso
Salerno ai Saracini, conteso ai Genovesi la Corsica, vendicato la
morte di Cristo sugi' infedeli di Sardegna, * conquistata Maiorca e
Minorca, sbattuto il littorale di Barberia, bruciata Mehdia, steso
il proprio dominio sulle coste tirrene sino a Civitavecchia, gran-
deggiato sotto gì' imperatori svevi come principal ghibellina, e
fatto insieme da alfana alla chiesa; ^ è per morire, disseccata
per la soverchia ampiezza della sua vita, per avere spaziato in
troppo largo campo d'azione sul mare e oltre mare, inavvertita
del brulicame di piccoli nemici prossimi che, ingagliardendo del
sangue suo, la consumavano; muore, perchè nessun fiume vivifica
due città, ed Arno fu meglio allettato da Firenze, che seppe
volgere gli umori guelfi di Toscana a tutto rigoglio proprio,
e domò per tempo quel ghibellinismo incivile per cui Pisfi ebbe
a piangere. ^ Pisa afibga presso alla foce, e Firenze, discosta
dalla marina, si crede in ordine per navigare ; ^ non sa se il
trionfo che le spetta sulla città rivale sia pe' peccati di quella
o pe' propri meriti, ® ma la conquide e la stermina implaca-
bilmente, come spinta da un impulso naturale, cui segue sotto
la lusinga della utilità propria; e tuttavia Pisa, colla veggenza
d'una moribonda, sa che Firenze non godrà dell'acquisto.
Frattanto Niccolò, invitato dapprima con gran mistero e
in tutta fretta a recarsi alla città, col maggior numero di fanti
^ Amari, Diplomi arabi deU'arch. fior., xix.
* Cf. Sardo, Cronica pisana nelVArch. storico it., t. vi, p. 2*, pag. 70.
* Cf. Mansi, Tetti di lingua inediti, Roma, 1816,. a Lamento di Pisa, pag. H9:
« E te, romana chiesa
PrincipalmeDte capo di giustixia
Aggi compassione alla mia gran tristizia,
Ingegnati adoprar per la tua alfana ».
* Cf. Maranoonb, Cronaca pisana nell'Archivio storico italiano, t. vi, p. 8', serie 1*'.
pag. 55:
« Heu doleo Pisa; de me stirps una recisa
Me saepe dat pessntati. Caput essem, vix ita pes sum.
Hoc genus in matrem furit, urit viscera ».
< Cf. Amari, Diplomi arabi, voi. i, pag. 232: Nota et informatione a voi measer Carlo
di Francesco Federighi e Filice di Michele Brancacei, cittadini fiorentini, ecc.; * et che
inaino a qui non s*è nauicato è per non auere auuto marina; ma che bora Tabbiamo per
lo acquisto di Pisa, siamo in ordine di nauicare';... et perchè a noi debba esser con-
ceduto quello si domanda, et maximamente tutto quello avevano i pisani, che ora attiene
a noi ».
* V. ne' Commentari sull'acquisto di Pisa di Qimo Capponi la diceria di lui al popolo
Pisano (ed. Barbèra, pag. 388): « Onorevoli cittadini, noi non sappiamo se pe* vostri pec-
cati o pe' nostri meriti iddio ui abbia condotti sotto la signoria del nostro comune, ecc. »
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•454 CAPO SESTO. [libw
che può, ^ vien di nuovo spedito immediatamente in volta ai
tre commissari; tutta a lui lasciandosi la briga d'arrolare,
rassegnare e tramutare le fanterie; tanto che, se già Biagio
Bonaccorsi per celia l'aveva chiamato capitan generale, * egli
medesimo va man mano sentendo che quella milizia è fatto
suo più che altri non reputi, e lo afferma. E quando i Dieci
gli lasciarono intravedere l'intenzione di destinarlo a soffer-
marsi a Cascina presso Niccolò Capponi, col qual commis-
sario non gli era già stato tanto facile trovarsi in buoni
termini, com'uomo che poco amava la libertà e meno l'ordi-
nanza, ^ scrive che cotesta fermata non gli pare puntò utile,
« perchè quivi può stare ogni uomo d'ogni qualità; e se io vi
stessi, non sarò buono né per le fanterie né per nulla. So che
la stanza sarebbe meno pericolosa e meno faticosa — (questa
non é lieve sferzata pel grande affare che tenea quivi il com-
missario) ; — ma se io non volessi né pericolo né fatica, io non
sarei uscito di Firenze; sicché lascinmi vostre S."* stare infra
questi campi, e travagliare fra questi commissarii delle cose
che occorrono, dove io potrò esser buono ad qualche cosa,
perchè io non sarei quivi buono ad nulla, e morrèvi disperato ».
Presso il Capponi sembra non volere rimanere neppure il
Serragli, che i Dieci vi avevan mandato insieme con Niccolò.
Né al Machiavelli mancò occasione d'attriti e di gelosie anche
^ Bibl. Naz., doc. M., busta rv, n. 125.' « Decemviri liberi, et baliae N. M. secr. fior,
ove sia per via /T^J?' Ex palatio fior, die 5 aprilis 1509 ». — Le lettore 43, 44, 55 della
Commissione al campo contro Pisa Dell* ultima edizione dell* Opp. del M. sono dirette dai
Dieci al Segretario e notate, due con le sigle « N. Jkf.», e una « iV. Malcla. » nel margine
estremo inferiore. (Bibl. Naz., doc. M., busta iv, n. 126, 127, 129). — La seconda è man-
data « in sua absentia a Francesco Serrali! », e Francesco Serragli infatti Taperse e mandò
poi a Niccolò. (Cf. Lett. 48, ed. ult. della Legaz. al campo contro Pisa, pag. 400). Ora,
oltre gli originali della Biblioteca Naz. sopra citati, si à di queste lettere anche U
copia ne* Registri dei Dieci. Il Villari (op. cit., voi. ii, pag. 103) rimprovera agli editori
che le abbiano pubblicate « senza punto spiegare come mai il Machiavelli potesse da Fi-
renze scrivere lettere al Machiavelli nel campo di Pisa ». E a^iunge : « Pare che, con-
servando egli sempre l'ufficio di segretario dei Dieci, la cancelleria continuasse qualche
volta a porre in fine delle lettere d'ufficio, secondo l'uso, il nome del segretario, sia io
esteso, sia con le sole iniziali, anche se il titolare era assente. Né le lettere, né la firma
sono, com'è ben naturale, di mano del Machiavelli ». — Per parte nostra dobbiam constar
tare che questo fatto è tutt'altro che singolare, e che non poche lettere d'altri segretari ì
quali erano, per cosi dire, i titolari nell* ufficio cancelleresco, appariscono notate della
loro sigla, quand'anche non sian firmate da loro. Cosi occorre la nota « Bart. Scala » o
« Marcellus » anche in documenti non firmati effettivamente né dallo Scala, né dall'Adriani.
• Bibl. Naz., doc. M., busU iv, n.79. « Qi^m nosli (Blasius) N. M. Plorentiae die car-
nescialis ISO»-» ». Comincia: « Magnificus Generaìis CapUanetts (sic)... Io non vi scriverò
più, ecc. »
• Il Bosmi {Lettere al Varchi, pag. 24) e' informa come Niccolò Capponi anche nel 1527
ebbe ad essere accusato presso il popolo, perché « non voleva ordinare cosi utile milizia
per la libertà sua ».
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SBCOKDO] AGONIA DI PISA. 455
col Salviati, a cagion de' fanti; ^ tanto che Tunico commissario,
col quale non trapela che il Segretario avesse a dissimulare
disaccordo in queste congiunture, è il Filicaia, la fanteria del
quale loda, con paterno orgoglio, come la migliore che di que'
tempi potesse essere in Italia. * Il Filicaia medesimo consente
ad esaltare la fede e la virtù de' militi del Casentino, quando,
adunatili per dar loro le paghe, li vede ardenti inginocchiar-
glisi ai piedi per impetrare che mai non siano lasciati andare
prigioni, « aggiugnendo che avendo ad morire con le armi in
naano per cotesta repubblica, mai lo recuseranno; e se si fa-
cessi mai battuta ad le mura, e' vogliono essere e' primi ad
entrare dentro, ^ pregandomi di essere adoperati in qualsiuo-
glia fazione pericolosa».
Ma di fazioni pericolose pur troppo a cagione di Pisa non
c'era più ad aspettarne. L'opera del Machiavelli si ristringe
oramai a portar le paghe da un campo all'atltro, a riunire le
compagnie spezzate, a ridurle sotto a' loro capi. A questo ef-
fetto, a' 18 d'aprile lo veggiamo lasciare il campo di Mezzana,
andarsene in quel di Valdiserchio, procedere a'dì 21 verso San
Piero in Grado; indi provvedere all'approvigionamento dei
campi, rimuovere gì' inconvenienti che lo rendono difficile, la-
mentarne da Pistoia il disordine che rendeva egualmente pos-
sibile e dannosa « oggi l'abbondanza, domani la carestia ». ^
Ma in Pisa il digiuno cominciava a poter più che il dolore, più
che l'amore della libertà. Il guasto era compiuto ; la desolazione
stava alle porte, per le vie della città cadeva la gente d'inedia.
Documenti che ci descrivano particolarmente le scene d'orrore
di quest'agonia estrema non ne restano: nessuno aveva forze
o voglia da registrare più quei patimenti ineffabili; nessuno
scriveva i verbali delle angosciose consulte, ch'erano le ultime
del libero comune; non ve n' à traccia nell'archivio pisano e
tutte le congetture per cui ci si rappresentano quelle ore ama-
rissime, si fondano sopra notizie d'origine fiorentina. La natu-
rale diversità d'interessi e d'afifetti che il Machiavelli aveva
> Bibl. Naz.y doc. M., busta iv, n. 39, Lettera d'Alamanno Salviati * in caatris die
xxvmj aprilis 1509, N. M, in castris apud Mezsanam », pubblicata fra le Opp. di N. M.,
edix. ult., t. ▼, pag. 409-10. — Anche nella lettera di Niccolò ai Dieci «ex castris Floren-
tinoram apud sanctum Petrum in Grado die xxi aprilis m.d.viiij » appariscono gli sforzi
che il segretario è costretto fare per poter « satisfare a questi commissari ». (Arch. fior..
Lettere ai X.ei, f . 94 e 418, ult. ed. Opp. di N. M., pag. 404-409).
* Arch. fior., Lett. ai X.ci, ci. x, dist. 4, n. 98, f. 94, a e. 402. La lettera scritta a
nome* del Filicaia ò autografa del Machiavelli.
* Machiavelli, Opp., ed. ult., t. vi, pag. 411-12, Lettera * ex Pistorio die xviij maij 1509 »
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456 CAPO SESTO. [libbo
stimolato destramente a Piombino fra gli uomini della città e
quei della campagna, recava le sue conseguenze immancabili.
Un'ambasceria, composta di contadini per due terzi e di citta-
dini pel rimanente, volevasi mandare ad aprir trattative coi
commissari. L'esorbitanza del numero che il contado in quella
pretendeva assicurarsi, diceva chiaro l'intenzione e lo scopo che
proponevasi. Oramai non si noveravano più d'un venticinque
persone in tutto il Consiglio pisano che si reputassero ostili
all'accordo ; * e se questo non si concludeva, si teneva certo
che sarebber morti di fame la metà del popolo; le derrate
mancavano; chi aveva ancora un po' di vitto per qualche dì
lo rinserrava, lo nascondeva; gli ospedali, le chiese, l'opera
della fraternità avevano esausto i redditi loro a sostegno della
città moribonda. Né già si quistionava più circa il partito da
prendere; ma circa la caduta più decente della repubblica.
Designare su quattro abitanti della città otto del contado per
un' ambasceria a' commissari fiorentini sembrava misura inef-
ficace e sconveniente insieme. A che avrebbe approdato tanta
disuguaglianza di numero? a mostrar la maggior renitenza d^i
cittadini ad un fato inevitabile, il più facile accasciamento
della natura villana sotto le percosse e il patimento; nulla più.
Ora, a' contadini essere in maggioranza di cinque contro a
quattro, più per loro malleveria che per bisogno, poteva bastare.
Parve che tali riflessioni capacitassero le menti, non d'altro
curanti che della resa ; quantunque poi il fatto (o fosse in seguito
di determinazione o d'artificio o di caso non possiam dirlo),
portò che i cittadini che andarono fossero cinque, e quattro per
converso i contadini.
I commissari frattanto, avvisati della cosa, erano conve-
nuti tutti e tre in Val di Serchio, per procedere di comune
intesa; cercando per ogni via di metter fiducia ne' Pisani, che
quando volessero arrendersi, troverebbero dalla parte di Fi-
renze « più clemenza, più securtà, più beni che non saprieno
domandare >.^ A' di 24 di maggio i nove ambasciatori, prov-
visti di salvacondotto, s'abboccarono su' fossi con Alamanno
Salviati;3 il giorno seguente partirono con lui per Firenze,
dove furono alloggiati onorevolmente in san Piero Scheraggio.
Cinque di vi stettero a discutere e preparare una bozza di con-
1 MAOHiAyELLi, Commisaione cìt., lett. 64, ed. olt., t. v, pag. 481.
* Machiavelli, Commissione al campo contro Pisa, ed. ult., lett. 57, pag. 414. La let-
tera, quantunque scritta in nome dei tre commissari, è autografa del Machiavelli.
» Id., ibid., lett. 60.
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SBCONDo] SUBMISSIO CIVITATJS PISARUM. 4Sa
menzione, per l'accettazione della quale sei di loro a' di trenta
tornarono, in Pisa. Quella convenzione s' intitolava a dirittura
la Submissio civiiatis Pisarum. Per essa i Pisani « con umiltà
e riverenza supplicando d'essere, essi e i loro posteri in perpetuo,
accettati per sudditi dall'eccelso dominio fiorentino >, venivan
da Firenze ricevuti a maggior gloria di Dio e di san Giovanni,
rimettendosi loro ogni ingiuria pubblica e privata, dal tempo
della ribellione in poi ; cosi ancora, ogni interesse, ogni spesa so-
stenuta per la guerra, ricomperando Firenze a proprio vantaggio
le tasse delle misure e del suggello che Pisa aveva ceduto ai
propri creditori; lasciando a' Pisani certi proventi delle gabelle
a favore della ricostituzione del monte di pietà, concessione che i
frateschi volentieri facevano; restituendo a quelli l'amministra-
zione dell'Opera della Misericordia alla Carraia di sant'Egidio,
in quella condizione di fatto e di diritto in cui era dieci anni
prima della ribellione, quando la partigianeria politica non s'era
ancor tutta sbramata nel patrimonio de' poveri; * obbligandosi
a non imporre nuovi tributi, a esigere solo per metà durante
i dieci anni prossimi la solita gabella delle grasce; a riscuo-
tere soltanto, decorsi i prossimi vent'anni, la metà del tributo
che pagavano innanzi al novantaquattro; purché fin d'ora la
città soggiacente facesse omaggio del palio a san Giovanni, al
santo patrono, al santo potente della città dominatrice. I con-
tadini delle potesterie di Cascina, di Vico, di Ripafratta, dei
borghi e sobborghi di Pisa erano favoriti con le concessioni
medesime. Ma quel che alla città veniva tolto per sempre era la
vita autonoma, l'impero, la giurisdizione, il governo; eserci-
tasse pure le industrie, eccetto quella de' drappi di seta e del
battiloro; conciasse pur cuoi, tingesse pure berrette, diventasse
pure una succursale di Firenze; Arno non avrebbe mai più
incontrato due città sulle sue ripe. De' Pisani chi voleva re-
stare a godersi tranquillamente i beni mobili e immobili nella
patria decapitata, poteva; ma chi preferisse portare sotto altro
cielo il dolore della libertà perduta, quand'ei ne facesse di-
chiarazione dentro lo spazio di due mesi, trovava il cortese
comune di Firenze che s'obbligava ad acquistargli i beni im-
mobili per giusto prezzo, sopra perizia che due cittadini fioren-
tini, a sua richiesta, ne avrebbero fatto. Queste condizioni che
chiudevano in sé tanta durezza quanta era necessaria a ster-
> V. la nota airart. 5 della Si*bmts8Ìo civitalU Pisarum, in appendice.
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458 CAPO SESTO. [libbo
minare e spremere una città rivale, tanta mansuetudine quanta
convenivasi a piegare sotto il giogo la cervice d'uomini av-
viliti dalla necessità, ma generosi e capaci ancora di violenza
disperata, furono dagli ambasciatori pisani presentate al Con-
siglio del popolo.
I Fiorentini credevano aver fatto miracoli di magnanimità
scendendo a patti così vantaggiosi coi vinti, risparmiando il
ferro, il fuoco, il saccheggio a una terra ribelle, combattuta per
quindici anni. Ma quelli che dovevano pronunciare la sentenza
di morte per la patria loro, quelli che avevano dato ogni cosa
per essa, e speravano almeno colVaizzare a ferocia i vincitori
farli segno all'odio e all'obbrobrio del mondo, non potendo più
ostare all'approvazione certa dell'assemblea fiaccata, mettevano
innanzi indugi. I contadini allora, insofferenti d'essere menati
più per le lunghe, serrano il palazzo; intimando a' rinchiusi che
nessuno più n'esca, se non dopo risolto. I popolani contempora-
neamente adescati dal pane proteso loro alle tagliate, accorrono
a centinaia, s'avanzano pel campo nemico, danno la conclusione
per fatta, mostrano l'umiltà e l'abbandono della fame; ma i
commissari fiorentini alternando ora un po' di larghezza, ora
alquanto rigore, riescono in parte a domesticare le turbe, e ad
aggiungere simultaneamente sproni più forti per accelerare la
risoluzione finale. Se alla dimane la cosa non fosse ferma, mi-
nacciano non dar loro più pane, trattare gli usciti come nemici;
ma questi assicurano che la conclusione non può mancare, par-
lano come chi getta via il pensiero per seguitare a trarre il
fiato, e rientrati in città si stringono attorno al Consiglio del po-
polo, ove ancora rimane « qualche legno torto ». ^
Di quella estrema consulta nulla ci è dato conoscere da
fonte pisana: il nome glorioso degli ultimi reluttanti, il gemito
estremo di Pisa è involto nell'eterno silenzio. Solo i Fiorentini
ne seppero gli efietti, che furono: il ritorno degli ambasciatori
a Firenze, le ratifiche del trattato. Ma « e* vi fu delle fatiche »,
scrive il Filicaia, « e se e' non fussino stati li uomini del con-
tado che vi si trovorono, egli uscivano a rotta di palagio > . ^
Finalmente, sottoscritta e ratificata la capitolazione, trattavasi
di fare l' ingresso dentro le mura della città, di farlo coU'ora
felice, 3 di godervi il trionfo, d'eternare colla memoria del
^ Machiavelli, Opp.» ed. uh., Commitsions al campo contro Pisa, lett. 69, d'Antonio
di Filicaia ai Dieci, « ex castris apad sanctnm Jacobnm, die 4 junii m.d.viuj ».
3 Ibidem.
3 Bibl. Nax. fior., doc. M., bnsu tv, n. 40. Lettera di Lattanzio Tedaldi a N. M. «die
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SBCONDO] PRETENDENTI ALLA GLORIA PEL RACQUISTO DI PISA. 459
fausto successo il nome di chi credeva avervi validamente con-
tribuito.
E chi non lo credeva in quello sparpagliamento di pic-
cole forze che la repubblica democratica aveva messo in
gioco, in quella fitta di pretensiose vanità che aveva fomen-
tato ? Il Soderini e i Dieci prima, ^ i tre commissari poi, pare-
vano più che ogni altro aversi con buon diritto a far belli
dell' avvenimento. Tra i commissari, il Salviati pretendeva
più che altri la palma per le trattative condotte; * e dire che
Pisa aveva ad essere la tomba sua ! ^ In cancelleria, e fuori
5 Janii 1509 »: ~ « Nicholo fratello charìssimo salutam etc. Io vorrei che tu dicessi a chom-
messarìi che havendo a pigliare giovedi la possessione di Pisa che inessono modo essi
entrino avanti le 12 ore et Wt* ma se possibile è, onnino a ore 13 passate di poche poche,
che sarà hora felicissima per noi. Et se giovedi non 8*avessi a pigliare, ma si venerdì,
medesimamente a hore 13 et uno poche poche poi; et non havanti le 12 !/«. Simile sa-
bato mattina, quando non s*avessi el venerdì. Bt quando non si possa osservare né tempo
né ore, faccisi et piglisi quando si può in nomine domini. Et questo dirai per mia parte
ad Antonio da Filichaia. Et at te mi rachomando che Xrispto di male ti guardi. Vale.
Lattaniio Tedaldi in Firenze ».
» n Oats, Carteggio inedito d'artisti (t. ii, pag. 110-11), pubblica il seguente nota-
raento apposto dal Vespucci nel minutario della cancelleria, Lettere ai X.ci, f. 126, infine:
« Bini isti libri feliciter finiunt, recuperatis videlicet Pisia longa obsidione et fame. Quod
factum est cura, labore atque soUertia cum magnificorum Decem, tum vel maxime 111. mi
vexilliferi justitie perpetui primi, qui quidem ad id redactus fuerat, ut prae sollecitudine,
prae anxietate, praeque vigilantia Pisas ipsas recuperandi, neque noctu neque interdiu
nequiret quiescere, quique, nisi ad votum res successisset, excedere e vivis viteque recu-
sare (quod atfirmare ausim) cogeretur. Verum concedente Domino ejus intemeratae Virginis
precibus, hac die viij Junii 1509 in uenerdi, ingressi civitatem Pisarum Fiorentini Pisis
quam letissime potiti sunt. Quod felix faustumque sit fiorentino populo! Neque te, Lector,
id fugiat a literis D. Decem fuisse hoc temporis Blasium Bonaccursi, ipsumque dictasse
quidquid bisce libris continetur, suaque manu quasi per totum scripsis^e. Ego vero Augu-
stinns, unus ex minimis adiutoribus in cancelleria, in rei memoriam hoc scriptum mea
raanu reliqui ».
* Questo emerge più specialmente dalla Storia fiorentina del Guicciardini, «in cui il
giovane autore non seppe guardarsi dal mostrarsi soverchiamente fautore e del padre e
del suocero. In questa (cap.xxxni, pag. 3S9 e segg.) è detto che i Pisani «cominciando
a prestare fede a Filippo di Puccierello, e avendo qualche confidenza che Alamanno
(Salviati) avessi ad essere buono mezzo a fare osservare le cose promesse, si voltorono
alla via dello accordo » (pag. 391). E più sopra ei racconta che quel Filippo di Puccierello,
fuggitosi a Lerici da Piombino, ove intervenne insieme cogli altri Pisani presso l'Appiano
alPabboccamento col Machiavelli; domandò poi ad Alamanno un salvacondotto, per venirgli
a parlare a san Piero in Grado, ove con lui si mise d'accordo per tentare una composizione
« innanzi che la ultima necessità gli costrignessi ». — Sarebbe forse per alludere a queste
trattative, che Niccolò scrisse già che i Pisani furono avuti da Firenze per compera, « dove
la gli poteva avere a forza »?. (Discorsi, lib. in, cap. xvi). Nella Commissione al campo
contro Pisa^ cosi com'è alle stampe, lett. 44, s'accenna che i Pisani volevano che due
almeno degl'inviati di Pisa rimanessero a Piombino, « cioè messer Federigo dal Vivaio e
Filippo di Pucciarello » ; poi, nella lett. 50 (ed. ult., v, 402 e segg.), s'accenna alla partenza
da Pisa del commissario genovese, e al fatto che «ad Lerici, Serezana e la Spezie sono
favoriti in modo e intrattenuti e' Pisani », che se non vi si rimedia i Fiorentini sarebbero
per patirne gran danni. Finalmente, in una lettera de* commissari Salviati e Capponi ai
Dieci (ibid.jlett. 65, pag. 422), si parla della partecipazione dell'accordo concluso, mandata
da Filippo di Puccierello per mezzo del suo fratello Andrea.
> Cf. Guicciardini, Opp. inedite, voi. x. Ricordi autobiografici e di famiglia, pag. 81:
« Ricordo come a' di 24 marzo 1509 a ore dieci piacque a Dio chiamare a sé la benedetta
anima di Alamanno Salviati mio suocero, il quale mori in Pisa ; dove essendo capitano
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460 CAPO SESTO. [libro
di questa, tra le armi, c'era chi riconosceva il valore dell'opera
e degli sforzi che il Machiavelli aveva fatto, chi gli attribuiva
gran parte del merito di quel racquisto ; ^ chi voleva che ai
fanti ordinati da lui fosse serbato l'onore dell'entrata solenne
nella città caduta. Ma il Machiavelli sdegnava che in quel-
l'ora si fosse in tanti a menar vampo d'un trionfo che, in fondo,
era una compera; e non un pensiero corresse a chi davvero
aveva caiupeggiato efficacemente, a chi era riuscito col rinno-
vamento delle milizie statuali a rende possibili due fatti, cui
le soldatesche conduttizie non sarebbero a quei tempi mai
bastate: a stringere fedelmente l'assedio, a occupare la città
senza saccheggio e senza rapine.* Il Machiavelli vedeva eter-
narsi in marmo la memoria della vanità altrui; ^ e gli doleva
il cuore e gli fremeva il pensiero di non poter incidere su
ammalò pe* disagi sostenuti nella recuperazione di quella città in campo a san Piero in
Orado e altrove, e forse ancora da poi per la aria di Pisa; e dopo una lunga malattia
che durò centotrentatrè di, rimettendogli ogni di la febbre e non restando mai netto, morì
detto di avendo già finito lo utficio del Capitano ».
1 Bibl. Nas., doc. M.. busta iv, n. 43, Lettera d'Agostino {Vespttcci) a N. M., sscr.
fior, in Pisa. Questa lettera importantissima, come testimonio deiropinione di chi sapeva
bene qual'era stata Topera del M. e neirordinare le fanterie e negli ultimi ottantanovc
giorni che aveva passato scorrendo da un campo airaltro. fu parecchie volte pubblicata
e citata. Primieramente dall* Amico, Vita di N. M.^ pag. 321, quindi dagli editori ultimi
delle Opp. di N. M., voi. v, pag. 431, con alcune ìnesattezse. La citano il Mordenti, Diario
di N. Machiavelli, pag. 281; il Villabi, op. cit., voi. ii, pa^. 107. È del seguente tenore:
« O io m* inganno o la lettera venuta per il Zerìno fu vra. Qui non è possibile potere
esprimere quanta letitia, quanto jubilo et gaudio tutto questo populo babbi preso della
nuova della recuperatione di cotesta città di Pisa. Ogni hnomo quodammodo impasa di
exultatione; sono fuochi per tutta la città, ancorché non sieno le 21 bore; pensate quello
si farà stassera di nocte. Io tomo a dirvi che non mancherebbe se non che il cielo ci mon-
strassi qualche letitia lui, non sondo possibile li huomini e grandi e piccoli posser mo-
strarne più. Prosit V0&Ì8 lo esservi trovato presente ad una gloria di questa natura et non
minima portio rei. Quando ui degniate di rispondermi due versi di vra mano, dati in Pisa,
fttl mihi erit jucundius nilque acceptius: vale. FlorentiaeSjunii 1509. tuus fllius (ed. ult.
« si suus ») Augustinus. » — « Post."* Nisi crederem te nimis superbire oserei dire che voi
con li vri battaglioni tam bonam navastis operam ita ut non eunctando sed accelerando
reslitueritis rem florentinam. Non so quello mi dica. Oiuro dio tanta è la exultatione
hauiamo, che ui farei una Tulliana, hauendo tempo. Sed deest penitus. » — E il Casa-
vecchia pur esso da Barga, « die xvij junii mdviiij »: « Mille buon prò vi faccia del gran-
dissimo adquisto di cotesta nobile ciptà, che neramente si può dire ne sia suto cagione la
persona vra in grandissima parte: non però per questo biasimando nessuno di cotesti no-
bilissimi commissari, né di prudentia né etiam di solecitudine » (Bibl. Nas., doc. M., bu-
sU IV, n. 4^).
* In Roma la fasione colonnese, che favoriva i Sederini, celebrò il racquisto di Pisa,
glorificandone Marcantonio Colonna « et fu di questa il degno capitano | Marchantonio Colonna
alto et soprano ». V. il poemetto intitolato: La resa de Fisa et le guer \ re tra pisani el
fiorenti | ni facte da quindeci an \ ni in qua, sine loco et anno, ma pubblicato certa-
mente subito dopo la resa, com*è chiaro alla penultima ottava:
« T*arei qui scritto e patti o mio lettore
ma anchor di lor non ho intelligenza
et della verità tutto il tenore,
ma come hauti Iharò da Fiorensa
contsrolli che a tutti è gran honore ».
* La scritta si legge ancora sulla poru maggiore del palazso comunale di Pisa, e reca
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secondo] il GIACOMINI NEL IL DECENNALE DEL MACHIAVELLL 461
monumento più perenne della pietra, più osservabile a' posteri,
il nome del Giacomini e non già il proprio. Poi si racconsolò,
forse pensando che i rimatori possono forse al mondo sopraffare
gli epigrafai, e col secondo decennale provvide che un'ora di
vanità non illudesse i posteri.
Pisa giacque: le famiglie civili esularono dalla città; i
Sismondi, i Torti, gli Alliati, i Buzzacarini ebbero sulla terra
la sorte medesima degli ebrei. Tre quartieri della città verso
tramontana restarono in breve disabitati; ^ dopo poc'oltre a
mezzo secolo i rimasti in Pisa, discendenti di famiglie pisane, di
poco eccedevano in numero i settecento: e il bianco campo
santo, sì tristamente bello, ebbe ad essere reliquia, testimonio
e simbolo della repubblica morta.
In Firenze tripudi, * invidie. — Al Nasi e al Pandolfini,
oratori in Francia, re Luigi, udita la nuova del fausto ricu-
pero, con allegria non scevra di boria e di pretensione a ri-
conoscenza, diceva: « Voi siete pure venuti il primo potentato
d'Italia. Come vi chiamerete voi ora? serenissimi o illustris-
simi?... egli è pur così; voi siete i più grandi ». — Infatti,
insieme col tramonto di Pisa, era accaduto un altro grande
rovescio; tanto rovinoso e inopinato, quanto potè parere quello
la data fatale dell' ingresso de* Fiorentini :
RBCBPTiS'rDEDITIONEM PISIS QUADRIMESTRI TRIV" CASTROI^ OBSIDIONE
ANTONIUS FILICARIA ALEMaIFJVS SALVIATUS ET NICoLàUS CAPoNIV
CO^r.TRES FLoR. CvM EXERiCTV
VRBE INGRESSI POSUERE
ANNO M . D . VIIIJ . DIB . Vili . IVNIJ .
1 V. Arch. pisano, Riforme dall'anno 1504 al 1550,^ni8.^membranaceo : « (1)1 nome sia
dello omnijiot^te et imortale iddio padre figliuolo et spo sco et della gloriosissima madre
sua madona sca Maria et del precursore di ylTu Xpo M sco Johannj baptista di M sco
pietro M sco paulo et di tutta la celestiale corte del Paradiso et ad exaltatione della sca
chiesa catbolica et gloria et bonore et exaltatione dello imperio fiorentino et della catbolìca
parte guelfa et a pace quiete et consolatone della cipta di pisa et deglbuomini di quella
(I)tem attendendo li prefati reforraatori la cipta di pisa essere in modo dishabitata
dalla parte di verso tramontana dove antichamente erono tre quartieri di decta cipta che
con dispari et poco congrua divisione si può mantenere a quartieri come solea già essere,
deliberorono et ordinorono per pit\ comodità del popolo et acciocbè li ofiicii più congrua-
mente si distribuischino che dieta cipta sia distinta p. tertiero ».
' V. il poemetto sopra citato, La retta de Pisa, etc.
« Se festa fatta fu per auella sera
non tei so dir che.creao in mongibello
tanto foco no e quanto fui n'era
in alto più che la tor di babello
et despaciato nn fante a tal maniera
verso Roma ne venne ardito e isnello,
con gran prestesa g^ìonse, a tutti disse :
che eran nnite di Pisa le risse ».
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462 CAPO SESTO. []
della Francia a Sédan, nei nostri tempi; la potenza di Venezia
avanti i confederati di Cambrai era in un momento venuta
meno.
Pure di tanti nemici suoi due soli s'erano per insino allora
levati in armi: fiaccamente il papa, per mezzo del crudele nipote
Francesco Maria della Rovere, successo a Guidubaldo di Mon-
tefeltro nel ducato d'Urbino; invadendo e mettendo a sacco e
a fuoco il territorio di Faenza ; impetuosamente i Francesi, pas-
sando l'Adda con re Luigi, lo Chaumont e il La Palice. Incontro
all'impeto loro l'Alviano e il Pitigliano, eccellenti generali
de' Veneziani, ma due, e in disaccordo tra loro e alle prese coi
commissari, eransi fatti innanzi con forze presso che eguali alle
nemiche; ^ s'erano lasciati cacciare nella necessità di combat-
tere; ed avevano ricevuto a Vaila, come scrisse il Machiavelli,
« una mezza rotta >, * la quale bastò a metterli tosto in com-
pleto disordine. E si badi che il Machiavelli scrisse una mezza
rotta, quando lo sgomento, da un lato, e la gioia dall'altro, ave-
vano cospirato -già ad esagerare l'importanza della perdita, sino
a farla parere, cosi a Venezia come a' nemici, una rotta com-
pleta, una disfatta a dirittura; e quando la soddisfazione di
esser riusciti i Veneziani a scamparla da un pericolo mor-
tale gli ebbe imbaldanziti sino a nascondere, difendere e cele-
brare i partiti che la sola fiacchezza ebbe consigliato loro in
un frangente, dal quale sarebbe stato impossibile risorgere, se
l'insipienza degli avversari non avesse cospirato a loro van-
taggio. Del resto, stando al referto del Grumello, ^ testimonio
di veduta, rimase sul campo una montagna di morti, che fu
da lui computata di circa a quattromila; altri gli fé' ascen-
dere a sei e ad ottomila; il Muratori ammise che potessero es-
sere un diecimila circa, ma, colla sua solita prudenza di giu-
dizio e semplicità di espressione, avvisò che Biagio Bonaccorsi,
il quale ne registrò quindicimila e più, «slargò bene la bocca >.'*
> V. in RoMANiN, op. cit., t. ▼, pag. 208, la relazione dell'Alviano, tratta dai IHarii del
Sanudo, t. XVI, pag. 210.
* Machiavelli, Ditcorti^ lib. ni, e. 31.
* Gbumbllo, Cronaca, pag. 112.
* Muratori, Annali d'It., ad ann.~ La fonte cui attinse il Bonaccorsi, per dare questo
eccessivo numero di vittime alla parte veneta nella rotta d*Agnatello, ebbe ad essere pro-
babilmente il poemetto popolare contemporaneo intitolato: Spattento de Italia - Historia
de la horrenda guerra de Francesi: e del glorioso Evangelista Marco; con U lafnento
suo del ano M. D. IX. Et ogni sua successo nouamile còposta per U eultissimo giouene
Francesco Maria Sachino da Mudiana. La stampa è in caratteri gotici : ne trovammo ud
esemplare nella Bibl. Angelica in Roma. Miscellanea 7/c 22. — In essa si legge:
« E chi desiderasse pur d* intendere
la gente che mori del nostro campo
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SBCONDo] LA «3f£ZZA ROTTA* DEI VENEZIANI A VAILA. 463
Il -Machiavelli pertanto, chiamando quella battaglia una mezza
rotta, mostra non aver apposto fede all'esagerate notizie giunte
in sulle prime a Firenze e raccolte dal coadiutore della se-
conda canceUeVia; con^e non gliene appose neppure il Guicciar-
dini. ^
A ogni modo, non si può per fermo dare a quella batta-
glia l'importanza della rotta dei Romani a Canne; ove i set-
tantamila morti non erano incerti, ove un esercito straordi-
nario, un settimo degl'Italiani atti alle armi, ebbe ad esser
distrutto; ove un Annibale co' suoi alti concetti politici, tendenti
a disciogliere il forte aggregamento di Roma^ aveva mano
libera e fortuna seconda. Se non che il concorso d'alcune cir-
costanze estrinseche, e l'esser effettivamente riuscita tanto fa-
tale alla repubblica veneta la giornata di Vaila, quanto poteva
riuscire a Roma quella di Canne, valse a solleticare le formali
analogie dei retori. L'audacia dell'Alviano s'appaiava legger-
mente alla sconsigliatezza di Varrone; la cautela del Pitigliano
alla prudenza d'Emilio Paolo. Re Luigi faceva parallelo ad
Annibale, il Trivulzio al Maharbal di Livio, l'Adda all'Aufido.
Quando a Venezia la notizia della disfatta arrivò « era la
Sensa, > ^ la consueta festa dell'Ascensione, in cui il doge spo-
sava il mare; e per quell'anno le nozze sue furono un lutto. Così
a Roma, mentre s'aveva a festeggiare il sacro anniversario di
Cerere, giunse la novella di Canne, e s'intermise la pompa.
Ma in pari tempo quivi si compressero i gemiti e si provvide
alla patria strenuamente e con dignità; e i legati campani,
mandati a esporre che, se Roma voleva aiuto, un campano
avesse a farsi console, furono con indignazione espulsi e dal
littore messi fuor delle mura; ^ e ai Petelini, fra i Bruzi ri-
masi nell'amicizia romana che chiedevano aiuto, fu risposto
a ciò no habia più parole a spendere _
perche a pensarui sol mi strugo e avapo
tra auei fugirno e che s'heben a rendere
e chi di morte sentiron T inciampo
fur quatordeci milìa in una schiera
se di quel Ceretan Thistoria è nera ».
^ Il GuicciABDmi nella Storia fiorentina (pag. 396) fa ammontare le perdite de* Ve-
nesiani « circa a mille cavalli e undicimila fanti » ; nella Storia d' Italia (lib. vin) si
esprime poi cosi: « alcuni affermano esseme stati ammazzati ottomila, altri dicono che il
numero dei morti da ogni parte non passò in tutto seimila ».
■ Marim Sanudo, DiarUf t. tiii, f. 213 : « Erra la Sensa ma tutti pianzeva, quasi fo-
rastieri niun vi viene, niun vedeva in piaza, li padri di Colegio persi, e più il nostro Boxe,
che non parlava et stava come morto e tristo ». — Livio, Hist., lib. xxii, cap. 56; tum
privatae quoque per domos clades vulgatae sunt, adeoque totam urbem opplevit luctus,
ut sacrum anniversarium Cereris intermissum sit, etc. »
» Livio, Hist., xxm, 6.
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46A CAPO SESTO. [li
che si tenessero in fede e provvedessero a sé stessi, come il
tempo portava; ^ contrastando l'equanimità di Roma verso
i popoli soci e la sua fede nel proprio impero colla dispera-
zione di quelli e colla imprudenza di Cartagine vincitrice. Ma
i Veneziani invece s'accasciarono, e disperando subito a quel
primo colpo, trapassarono dall'insolenza folle del giorno in-
nanzi, all'abbandono * e all'umiliazione bassa del dì seguente;
« perderono non solamente tutto lo stato loro per ribellione, ^
ma buona parte ne dettero ed al papa ed al re di Spagna per
viltà ed abiezione d'animo, e in tanto invilirono, che manda-
rono ambasciadori allo imperadore a farsi tributari; e scrissono
al papa lettere piene di viltà e di sommissione per muoverlo a
compassione. Alla quale infelicità, cosi insiste il Machiavelli,^
pervennero in quattro giorni, e dopo una mezza rotta; perchè,
avendo combattuto, il loro esercito nel, ritirarsi venne a com-
battere ^ ed essere oppresso circa la metà; in modo che l'uno
dei provveditori che si salvò, ^ arrivò a Verona con più di
^ Litio, Hist., xxiii, 20. « Patres circumspectis omnibus imperii viribns faterì coacti
nihii jam longinquis sociis io se praesidii esse, redire domum, iideque ad ultimum expleta,
confiderò sibimet ipsis in reliqnum prò praesenti fortuna jusserunt ».
* Mabim S anudo. Diarii, loc. cit. « Et fo parlato per tutti quest' nltlma volta prò vi-
sione di mandar il Doxe in persona fino a Verona per dar animo ai nostri e a le zente, et
forli consieri appresso, il qual movendosi andria 500 zentilhomeni con saa serenità a sne
spexe. Tamen si parlava e in piaza e in pregadi sule banche et quali di Colegio nonvo-
leano meter la parte, né il Doxe si oferiva andarvi. Era ditto questo a soi fioli et Ihoro
dicevano « Il D^xe farà quello vorrà questa terra » Tamen è più morto che uiuo.... —
Concludo zorni catiui, vederne la nostra ruina et nium non provbdb: Dio volesse faste
sta fato Taricordo io dissi, e voleva far se intraua sauio ai Ordeni, che fui diaconsigliato
a intrarvi, et me ne pento, di mandar a tuor cinque over seimilia Turchi, e mandar secre-
tarlo over ambasciadore al Turco, ma bora è tardi ».
* Nel poemetto sopra citato del Sacchino da Modigliana, si legge :
« non ui fu terra si fiera e gaiarda
che volesse patir solo un oltragio
0 aspettare un colpo di bombarda
Bergamo, bressa, crema, e carravagio
se ressen come udirno della rotta
senza sentir le trombe una sol botta ».
E vi si racconta, in seguito, come Padova, Verona, Vicenza
« più frodi steton che i cucumeri
e r insegne levor per vituperio
senza ueder persona de T imperio ».
* E nel Decennale Secondo ^ v. 193:
« Io non potrei si tosto raccontami
Quanto si presto poi de Viniziani
Dopo la rotta quello stato sparve ».
& Qui la sintassi è alterata.
* De* provveditori non era in campo che Andrea Gritti; Oiorgio Corner, ammalato, era
stato confortato dallWlviano a partirsi « perchè non era bisogno di uomini inutili ». Cosi
nella Relazione di lui. Veggasi Romanin (loc. cit., pag. 209). Né il Gritti riparò a Verona; ma
quella parte dell'esercito che scampò prima a Peschiera, a Verona « non fu volata ricevere »
scrive il Romanin (pag. 218), laonde il Senato ebbe a ordinare che pel buon esempio li po-
teva che il provveditore v*entrasse con tutte le forze : ma quell'ordine non fu eseguito, e
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SBCONDO] AVVILIMENTO DI VENEZIA. 465
▼enticinquemila soldati, intra pie e a cavallo. Talmentechè se a
Vinegia e negli ordini loro fusse stata alcuna qualità di virtù,
facilmente si potevano rifare, e dimostrare di nuovo il viso a
la fortuna, ed essere a tempo o a vincere o a perdere più glo-
riosamente o ad avere accordo più onorevole. Ma la viltà del-
l'animo loro, 1 causata dalla qualità de loro ordini non buoni
nelle cose della guerra, gli fece ad un tratto perdere lo Stato
e l'animo ». ^
La severa sentenza di Niccolò, breve, tremenda, vera, e
trovata tale anche da chi è uso riconoscere come allora il mi-
glior senno civile d'Italia aveva stanza a Venezia, conviensi colla
sostanza de' fatti e rivela una tendenza particolare dello scrit-
tore, per cui questi, prescindendo da ogni accidentale ragione
di forme politiche, risguarda un sano vivere umano come opera
d'arte, e però l'à in pregio finché per quell'arte si riescano a
determinare le funzioni organiche del corpo sociale ; ma quando
all'arte venga surrogato il congegno, quando contro alle ne-
cessità non si metta altro che espedienti e compensi, quando non
s'ottenga altra coesione, altro moto se non per via di mecca-
nica, allora ei non ravvisa cagioni né di vita, né di credito, né
di rispetto per una compagine irresistente alla corruzione.
Ma prescindendo da queste considerazioni, di cui ci occorre
per ora a questo luogo solamente far cenno, conviene tuttavia
osservare che non è già che il Machiavelli non vegga e non ri-
conosca quanto di meno infermo, a petto alle costituzioni delle
altre repubbliche italiane, sia in quella di Venezia; non è già
ch'ei non senta come questa per una parte vada immune dal
fradicio per cui tutte l'altre repubbliche sono già putrefatte; ^ ma
dopo essere stati vanamente accampati alla pianura per alcun tempo, come dice il Dubos^
Histoire de la ligue de CambraU pag. 131, si ritirarono a Mestre.
1 et. Luigi da Porto, Lettere storiche, ed. Lemonnier, pag. 62 : «da Vinegia, 29 mag-
gio 1509»: ~ I provveditori, pieni di avvilimento e d'nna certa sonnolenza, si possono
veder cento volte al giorno sbadigliare e stirare le membra, come se la febbre aspettas-
sero; e non più l'usato altero amore del loro grado ritenendo, fuor di modo umili e dome-
stici si mostrano, anche inverso persone indegne della loro domestichezza. Né a tante av-
versità si sa per celere urgenza fare alcuno provvedimento; si questa città si vede av-
vilita ed il governo pavido e smarrito. E già alcuni nobili vinigiani, abbraciandomi e
piangendo, mi anno detto: «Porto mio, non sarete oggimai più de* nostri». — E volendo
io render loro la solita riverenza, mi dissero: chMo noi facessi, perciocché eravamo tutti
conservi in una potestate ed eguali ».
* Machiavelli, IHseorsi, lib. in, e. 31. — Brosch, op. cit., pag. 172, scrive a questo pro-
posito : Niemand hat die Haltung der Signorie nach dem Schlage von Agnadello im allge-
meinen, nnd insbesondere ihre unter tieflter Demttthigung fortgesetzten BemUhungen um
dtts Papstes gnfidige Huld und Verseihung so streng gerichtet, wie Machiavelli. Und doch
hat wieder Niemand die Geschichte dieser tlber Venedigs Zukunft entscheidenden Tage in
wenigen Sàtzen so meisterhaft zusammengefasst, wie der geistesmachtige Florentiner ».
* M\cuiAVBLLi, Cf. JDiscorsif if cap. i.9.
ToMMASiM - Machiavelli. 30
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466 CAPO SESTO. [libro
bensì vede come per altra parte questa ancora soggiace al me-
desimo flagello: la diffidenza de* propri concittadini, delibarmi
proprie; alle quali quando avesse ben provveduto, sarebbe riu-
scita a fondare « una nuova monarchia nel mondo », ^ allac-
ciandosi, come Roma, in qualità di socie l'altre provincie d'Italia,
sbarrando la strada agli stranieri che ora la vilipendono e Top-
priraono, * senza bisogno di contrapporre i Turchi a' suoi cri-
stiani crocifissori, senza timore di sarcasmi e d'abbandono dalle
città sorelle. ^ Ma purtroppo invece, nell' incontrar la guerra
coi Francesi, Venezia sa che v'è V Italia da assicurare da tanti
sospetti;^ nel sottostare al disastro della sconfitta, sa che i
paesi di terraferma, inariditi da lei a suo proprio rigoglio, go-
dono dei mali che essa prova, e le si sottraggon festanti come
gli Ebrei dal giogo dei Faraoni; ^ pur troppo, quand'essa è « in
sullo smalto » ^ vede i possessi di terraferma sparirle, parte
rubacchiati dal Papa, parte invasi dalle armi di Francia, parte
occupati « col nome solo » dall' Imperatore; vede i porti di
Puglia cedere senza contrasto al re Aragonese: tornarle di
^ Machiavelli, Arte della guerra, lib. i.
• Cf. Recveil de poésies francoites des XV et XVI si^clea t. i, pag. 5>; Lei Régréts
de Messire Barthelemy d'Alìkenne et la eharw>n de la defense de$ Venitién»:
« Ne vous meslez jamais de faire guerre,
Veniciens; croyez-moy, si vous p]aÌHt;
Vous avez tant par tout voulu conquerre,
Quo Ton vous a abaissé vostre plait ! »
3 Nel citato Spauento d'Italia, del Sacchino, Venezia è introdotta a osclamare:
« O Genova restata in scorza e spoglia
non far del Vangelista alchuna risa
che se ridessi ben Tu non hai voglia
O Florentia mia cara acuto ingegno
se mia poss&nzia fusse unita tieco
ancor non temerei di chi mi stracia
e s el primo son io tu verrai meco ».
• RoMANiN, op. cit., t.v, pag. 2(fó: « Alvise Mocenigo savio di terraferma propose che
passando TAdda, le truppe veneziane avessero a gridare Italia e libertà e portassero uno
stendardo colle parole Defensio Italiae acciò i popoli milanesi e d'altre terre si persua-
dessero non essere V intenzione dei Veneziani volta ad alcuna conquista, ma solo a libe-
rare Milano e cacciare i Francesi dall' Italia. Ma la proposizione, qualunque ne fosse il
motivo, non fu neppur ballottata »•
• A. Oloria, ih Padova dopo la lega stretta in Cambrai dal maggio all'ottobre ^509,
cenni storici con documenti, Padova 1863. — Annali del Bruno : « Isto interim (4 giugno)
Verona et Vicentia cum suis terrìtoriis se dederunt sachre cesaree maiestati, iato
antera interim Alphonsus dux Ferrane habuit totum policinium sine aliqua contradictìone
et armorum strepitu quia omnes libenter ibant de manibus Faraonis et de servitale
Egipti». -> Oltre il citato scritto del Gloria, ove secondo le informazioni attinte agli
scritti del Buzzacarini, dello Spazzarini e del Bruto, siam ragguagliati delle relazioni fra
Venezia e le sue terre soggette dopo la battaglia d'Agnadello, veggasi la bella Lettera
del medesimo prof. Olobia al conte Agostino Sagredo in difesa deiropuscolo sopraccitato,
in cui questi afferma che per troppo amore a Venezia altri « dimentica che i tempi del
Grìtti eran pur quelli del Machiavelli » (pag. 7).
• Machiavelli, Decennale II, v. 178.
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«BCOKDO] SPAVENTO D'ITALIA, 467
Ferrara discacciato il Visdomino, e man mano non restarle più
nulla di tutto quel suo stato fiorito. Cosi repentina miseria non
può non agitare il pensiero d'ogni provincia italica; non può
non eccitarle sentore dell'infermità propria, spavento del rischio
prossimo, comune, inevitabile:
— « Che fia degli altri se questo arse et alse
In pochi giorni, e se a cotanto impero,
Qiustizia e forsa, ed union non valse? » - *
Che fia di Firenze, di quel suo gran barone San Giovanni,
insuperbito per l'oppressione di Pisa?... egli ode da lungi la
minaccia profetica del vangelista:
— « E s'el primo non' io tu verrai meco *, —
e dee prepararsi anche lui a cedere il campo alla fortuna e
ai santi de' Medici.
Ma per gran ventura d' Italia e di Venezia, fra tanti stra-
nieri che le piombarono addosso, c'era chi non sapeva vincere,
chi non sapeva combattere, chi voleva piuttosto guadagni che
battaglie; c'era lo sgomento del pontefice per una mina ch'egli
aveva cagionato, ma che non avrebbe mai creduta né si facile,
né si pronta, né si piena. E poiché per tutte queste cagioni
Venezia potè riaversi, e le terre invase accorgersi che la peg-
giore di tutte le servitù é la soggezione agli stranieri, in breve
la scaltrezza de' Veneziani e l'adulazione della loro fortuna,
adoprarono a disperder le memorie e a contessere l'apologia
di quella negazione dell'arte politica, per cui il Machiavelli
ebbe a rampognare già l'avvilita Repubblica; come se questa,
co' fatti, non si fosse prostrata già tanto all'Imperatore da non
aggiungerlo vitupero la bassa orazione del Giustinian; ? come
se il pontefice non l'avesse a sufficienza umiliata sotto le verghe
ecclesiastiche; ^ come se la fiacchezza del suo primo procedere
1 Machiavblli, Decennale 11^ v. 181-183.
' È superfluo riepilogare a questo luogo la controversia circa l'autenticità di quella
orazione. Cf. Ddbos, Histoire de la ligue de Cambrai, lib. i, parte i. Villarz, Dispacci
d'Ant. Oiu8tinian, voi. i, xxiv-v, e la 'dotta recensione di questa pubblicazione fatta
dal Saltini neW Archivio storico italiano, t. xxvii, serie dr\ in cui si dà il testo del di-
scorso del Giustinian che messer Piero de* Pazzi, ambasciatore fiorentino in corte di Roma,
insieme con un dispaccio de' 7 di luglio, spediva alla Signoria, copiatolo tutto di sua mano.
> Nel citato Spauenlo d' Italia, Venezia lamentosa esclama :
« O santo padre, o Giulio glorioso
ris^uarda Marcho eh a Te genuflexo
chiede mercè, pietà, pace, riposo ». —
Cf. Brosch, Papst Julius II, pag 175: « Gleich am ersten Tage nach der Schlacht bei
Agnadello ging im venezianischen Senat der Antrag durch : dem Papst die Herausgabe
der romagnolischen Besiirangen der Republik sofort anbieten zu lassen. Die Cardinale Gri-
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4eS CAPO SESTO. [libUo
verso le città sottoposte, quando si sentiva smorta; e la crudeltà
ostentata verso di quelle ricadute In sua forza; non equivales-
sero alla vergogna d'averle abbandonate; di averle, secondo la
cosa si colori poi con imbratto di classici rettoricumi, sciolte dal
giuramento.
Del resto, malgrado le furiose violenze, i conquistatori
sentivansi pur obbligati a tener qualche ragione di quel ch'erano
avvezzi a chiamare il diritto; e l'imperatore, vivo fonte di
questo, levava tutto quel vantaggio che poteva di quella loro
preconcetta necessità. Il vittorioso re Luigi gli aveva pagato
centosessantacinque mila scudi d'oro per l'investitura del du-
cato di Milano; sessantamila ducati avevagli dato il Papa, ce-
dendogli oltracciò gran somma tratta di collette, di perdoni e
giubilei, fomento di guerra, come osserva il buon Nardi.^ Eransi
ricomperati anche i Fiorentini, per quarantamila ducati, da
sborsare in quattro rate, con tutte quelle assicurazioni, promesse,
investiture, remissioni, formalità che parevano bastare a dar
il miglior affidamento apparente e legale a chi sentivasi intrin-
secamente fiacco e malsicuro. Tutto questo era riuscito a Mas-
similiano « col nome solo » ; dacché con le armi non era mai
venuto a capo di nulla. Pochi Tedeschi s'erano appena affacciati
sul lago di Garda, nel Friuli, e sopra Vicenza; la quale aveva
aspettato a lungo chi venisse a insignorirsi dì lei; * Leonardo
Trissino per quarantadue giorni gli aveva mantenuto divota
Padova; Verona era stata messa dal re di Francia nelle mani
di Andrea da Borgo, il quale al popolo che gli correva incontro
gridando: Imperio, imperio, persuase gridare Austria e Tirolo
e se ne andò. Massimiliano aveva fatto il solenne ingresso in
Vicenza, recandosi dietro « tutti i fuorusciti del mondo » ; si
era accostato pauroso a Verona, e tornatosene poi in Germania.
Trattavasi frattanto per Firenze di soddisfargli al pagamento
della seconda rata; e il pagar bene, cioè in modo da non dare
mani nnd Corner soUten durch Ducalschreiben ermachtigt werden deo Antrag Sr. Heiligkeit
zo QQterbreìten ». — Cf.RoMANiN, op. cit., v, pag. 219 e segg., ove allega dai Secreta, xli,
pag. 188 (23 maggio): « Quanto vemni aspecta a le altre terre di terraferma, che abiamo,
quali sono sottoposte a lo imperio, ex ntinc siamo contenti de recognosser quele da sua
imperiale Maestà et darli annuo censo honesto et conveniente come parerà a sua Maestà ».
~ E in una lettera a Massimiliano (Secreta, tLii) 3 giugno : «^Occupata sunt fere loca
omnia quae quondam fiierant Mediolan. status. In reliquis locis nris felices aquilas et signa
vra victricia erigi mandabirous ut qui sub umbra et protectione vestra cesarea nos consti-
tuimus et nuUum alium patronum et defensorem volumus quam vram imperatoriam Celsi-
tudinem ».
* Nardi, Storia di Firenze, lib. v.
* Da Porto, Lettere Storiche, pag. 88.
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SBCONDO] IL MACHIAVELLI A MANTOVA. • 469
appicco a ripetere, doveva parerle briga assai grave, dopo il
famoso arzigogolo dello « iure petere », accennato dal Sarn-
thein ai due mandatari in Germania. Tuttavia se in compagnia
dei cavallari fu mandato il Machiavelli ad effettuare il paga-
mento della somma, non è tanto a credere che altr' uomo non
si giudicasse più che sufficiente ad ostare alle possibili cavil-
lazioni, a circondar il fatto colle opportune solennità che ne
guarentissero Tefficacia; quanto che, dovendo il pagamento aver
luogo a Mantova, parte nelle mani di Bonifazio da Sarego,
gentiluomo veronese; parte in quelle di persona che avesse
espresso incarico dall'Imperatore; da Mantova, il Segretario
aveva agio, senza troppo ridestar l'attenzione e il sospetto al-
trui, di spingersi un poco più innanzi, verso Verona o dove
fosse meglio a proposito, per sorvegliare da vicino le contin-
genze e darne ragguaglio. Munito di credenziali e di commen-
datizie per Matteo Lang, il Gurgense, e per la marchesana di
Mantova ^ (il marchese trovavasi allora prigioniero a Venezia)
il Machiavelli parti di Firenze a' di 10 di novembre e viaggiò
cauto, inavvertito e sollecito, arrivando in cinque giorni al suo
destino.
Il di medesimo erano giunti a Mantova Pigello Portinari,
fiorentino, usato ne' negozi dell'Imperatore; e raesser Anti-
maco, ch'era stato già segretario del marchese, e poi, discac-
ciatone, aveva trovato luogo egli pure tra i faccendieri di Mas-
similiano. Era questi l'azzeccagarbugli più perfetto che il re dei
Romani, con quella sete che aveva di danari, potesse adoperale
a riscuoterne. Gli aggiramenti e le sottigliezze che seppe met-
tere in giuoco per cercare di compromettere la legalità del
pagamento furono tuttavia deluse per la prudenza di Niccolò.
Quegli aveva provato « secondo la consuetudine molto ma-
gnificante de' curiali » * di dargli a intendere i portentosi
apprestamenti fatti dalla cesarea maestà per battere i Vene-
ziani di verso Bassano, mentre contemporaneamente sarebbesi
atteso all'assedio di Legnago. E in quel mezzo che i danari
si stavano contando, circa le ultime ore del pomeriggio; e il
Portinari e messer Antimaco avevano stabilito col Machiavelli
di proceder poi insieme con lui alla volta dell' Ipiperatore; ecco
^ Bibl. Naz., doc.Jtf., basta ly, n. 133. ~~ Machiavelli, Commissione a Mantova, ed. ult.,
t. V, pag. 436-437.
" Machiavelli, Lett. «ex Mantua die xvij nov^mbris m.d.viiij » {Arch, Legax. del M.,
n. X, lett. l»).
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470 CAPO SESTO. [libro
sopraggiungere in una lettera del vescovo di Trento notizie
che sembrano turbare i due mandatari, e ordine per essi di
condursi, con quella somma di danari che avevano esatta, im-
mediatamente a Verona, dov'egli, il Neideck, trovavasi gover-
natore in nome di Massimiliano. Essi dovevano partir subito, e lo
avrebbero fatto in compagnia di Niccolò; ma questi aveva com-
missione di non pagare altrove che a Mantova, e dichiarava es-
sergli forza attenersi strettamente ai termini della commissione
sua. D'altronde gli era anche necessario aspettare che fosse
acconcio Tistrumento di pagamento del Sarego, ch'oragli stato
presentato prima da persona senza mandato, e steso in tal
forma che il notaio aveva avvisato non potervisi far sopra
né pagamento, né rogito. I mandatari imperiali lo circonda-
rono allora, gli dimostrarono confidenza, gli parteciparono che
quelle lettere sopraggiunte avvisavano come Vicenza erasi ribel-
lata il dì innanzi; che v'erano rientrati i Veneziani, che non
si conoscevano bene i particolari, ma temevasi del peggio. In-
fatti il provveditore Andrea Gritti aveva ricevuto ordine di con-
dursi a quel racquisto; ^ e il vescovo di Trento temeva forte
non si riuscisse a tener Verona.
Da tutti questi discorsi il Machiavelli non si lascia tutr
tavia smuovere, e il pagamento e il rogito del contratto vien
l'imandato al giorno appresso. Ma anche il dì appresso, nuove
difficoltà da parte di Antimaco strascinano in lungo la stipula-
zione. Egli non vuole nella quietanza dichiarar di ricevere
quella rata per secondo pagamento, « perché diceva che non
aveva notizie del primo, e ad altri non ne prestava fede ». Ciò
nulla meno si riuscì finalmente a trovare una scappatoia che
lasciasse impregiudicate le diffidenze reciproche. Il pagamento
venne efiettuato, e questo fu causa, come gl'imperiali confessa-
rono.schietto, che allora Verona all'Imperatore non isfuggisse.*
Niccolò si reca poi a visitare la bella marchesana da cui è
« umanissimamente » ^ accolto. Quel gentile esempio di donna.
Isabella d'Este, cui gli affetti della famiglia e della patria erano
piena e naturale delizia; quella che faceva ogni anno cele-
brare un ufficio « nel di del fatto d'arme di Parmesana (cioè nel-
l'anniversario della battaglia del Taro) per le anime di quelli
> Cf. RoMANiN, loc. cìt., voi. V, pag. 238.
* Machia VILLI, ComnUu. a Mantova, lettera « ex Verona, die 22 novembris m.d.vuij »
(Arch. fior., Legaz. M.» X, lett.4*).
* Machiatblli, loc. cit., lett. 6^ (Arch. fior, Légaz. M„ n. X, lett. 2).
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SBCOMDO J IL MA CRIA VELLI A MANTOVA, 471
nostri valorosi homini quali persero Ja vita per salvare It^.lia»;^
quella che, tra le feste del maritaggio di Lucrezia Borgia, invi-
diava da Ferrara al proprio consorte il bene di vedere in viso
il figliuolino suo e stargli vicino, tremava in questo momento
per r incolumità dello sposo e del figlio. Il marchese era ca-
duto prigione de' Veneziani, in un borgo del veronese, colto al-
l'agguato e tradito dai villani, che lo diedero, in mano a coloro
di cui era stato l'antico condottiero.* Tratto subito in Venezia di
notte, immezzo al canale coperto di barche, tra'lumi fuori delle
finestre, il popolo gli aveva gridato dietro : « appicca, appicca
il traditore ! » ^ Era poi stato chiuso nella torricella sopra
il palazzo, circondato da scolte che gli facevano le guardia
« chiamando come si fa in li castelli » ^ tanto da impedirgli
il sonno. Trattato a questa guisa non si sa che cosa non fosse
a temere per lui nella disperata città che aveva spento il Car-
magnola.
Inoltre il figliuolo di lui, appena nell'età di nove anni era
alla madre chiesto in ostaggio dall' Imperatore, dai Francesi e
dal Papa. Questi tre tormentatori d'Italia lo volevano nelle mani
come sicurtà dello stato di Mantova, rincalzando la loro do-
manda prima con preghiere, poi con istanze e finalmente con
minacce. La povera madre s'andava schermendo dalla tem-
pesta, che le sbatteva il cuore e le minacciava la città e la
■famiglia, con prudenza virile e con garbo donnesco. Era coi
Fiorentini in relazione di buon'amicizia; ma essi non potevano
recarle alcun giovamento reale, remoti e costretti com'erano
a noleggiare la loro libertà sdruscita. Però, dopo scambio di
cortesi parole, Niccolò s'accomiata e accingesi a proseguire il
viaggio, vedendo chiaro che Mantova è tal luogo dove non si
può saper il vero di quel che accade, « dove nascono, anzi
piovono le bugìe e la corte n'è più piena che le piazze ».^
Lasciato il rogito de' pagamenti fatti nelle mani di Luigi Guic-
ciardini, che doveva presto tornarsene a Firenze, il Machia-
» Arch. storico, serie 1», app. H, pag. 248. — Ibid., pag. 307. — Cf. Bquicola, Commen-
tarii Mantuaniy lib. iv.
' Machia VELLI) Arie deUa guerra, lib. i « (I Veneziani). . . non avendo dominio in terra,
erano armati in mare, dove ferono le loro guerre virtuosamente e con Tarmi in mano ac-
crebbero la loro patria. Me venendo tempo ch'eglino ebbero a far guerra in terra, per di-
fendere Vicenza, dove essi dovevano mandar un loro cittadino a combattere in terra, ei
soldarono per loro capitano il Marchese di Mantova. Questo fu quel partito sinistro, che
tagliò loro le gambe del salire in cielo e delPampliare ».
* Mabin Sanudo, BiarU, ne, 42.— Romanin, loc. cit., v, pag. 228.
* Mabim Sanudo, Diariiy x, 187.
^ Machiavelli, Comm.cit.f lett. 3 (ed. ult.)
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478 CAPO SESTO.
velli arriva a Verona, a' dì 21 di dicembre. Quivi apprende i
particolari della presa di Vicenza ; ^ apprende che Massimiliano
si trova ad Avio,* che à comandato nel contado di Tirolo un
uomo per casa; e si ferma in due persuasioni: l*una che l' Im-
peratore farà anche questo, <( come gli altri fatti suoi » ^ e Taltra
che il nodo della guerra avrà certo ad essere ivi.
Verona del resto, a somiglianza di tutte quelle città in cui i
Veneziani avevano dominato, era divisa in due fazioni, spropor-
zionate per numero, ma contrastanti per forze. Accarezzata, la
plebe era tutta ligia alla Repubblica di S. Marco e si gloriava
marchesca; i nobili, al contrario, tenuti in poco pregio, e talora
anche oppressi, parteggiavano per T Impero. Ma siccome l'Impero
era debole ed accattava soccorso di fanti spagnuoli e di raccogli-
ticci, e riceveva limosine di soccorsi francesi, che temporanea-
mente, per sino a che giungessero istruzioni da re Luigi, aveva
largito il Trivulzio, que' nobili fondavano le loro speranze su
Francia; * tuttavia la paura s'era impadronita di tutti. Le soldate-
sche cupide, feroci, indisciplinate, diverse per natura e per vizi,
s'azzuffavano per le strade, crescendo comune nella cittadinanza
il gravame e l'odio degli stranieri; ^ tanto che sarebbero di-
ventati marcheschi anche i gentiluomini, se il timore della
crudele Repubblica non li sopratteneva. Venezia del resto, non
avendo racquistato che Vicenza, aveva ottenuto ben poco, poi-
ché per lei il vero punto strategico era Verona la quale chiu-
deva ad un tempo il passo ai Francesi e ai Tedeschi.* Stavan
> Sono descritti da Luigi da Pobto, Lettere storiche, nella lettera 36, da Vicenza
« addi 16 novembre 1503 ». Ed. Lemonnier, pag. 141.
■ Machiavelli, Comm. cit., Iett82 nov. 1509.** Questa lettera neU'edic.Oamb. (t. t.,
pag. 312), in cai fa primieramente pubblicata, reca: « Lo imperadore si trova ad Acci ». —
Nell'ediz. ultima (t. v, pag. 442): « ad Avi ». E cosi l'autografo.— Trattasi della borgata
detta Avio, sulle rive dell'Adige, alle falde del Baldo, dalle cui cime precipita il torrente
Aviana.
' Machiavelli. Decennale Secondo:
« E benché fusse aiutato da vai,
E da Francia, e da Spagna, nondimanco
Fé* questo come gli altri fatti sui ».
E il SiSMONDi, Histoire des r^p. {<., t. x, pag. 171, traducendo e fiaccando l'epigramma
del poemetto popolare machiavellesco : « Maximilien s'étoit conduit dans cette guerre comm»
dans toutes les précédentes ».
^ Machiavelli, Comm. cit.., lett. «Ex Verona, die 22 novembris m.d. viiij»: «Questi
della terra che non vorrebbono mutarsi, e e' Tedeschi, hanno ogni loro speranza ne* Fran-
cesi, e non ragioneno più cosa alcuna dei provvedimenti della Magna ».
* Machiavelli, Comm. ctt., lett. « Ex V<H'ona, die vij decembris m d, viiij.
* Machiavelli, lett. cit., « die :i2 novembris », nella quale aggiunge : « Sono in queata
città 4 luoghi chiusi che si guardone, e di qualità che, forniti bene, vorrebbono assai tempo
ad espugnarli, dove sono in guardia fanterìe tedesche, e infra tutte non aggiungono ad
mille. Sonci poi tremilacinquecento altri fanti infra Spagnuoli e Italiani : ecci circa mille
o mille dugento cavalli ».
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«■cordo] il machiavelli a VERONA. 478
pertanto le sue fanterie accampate a San Martino, le arti-
glierie disposte all'approccio, i villani arrabbiati, prontissimi
ad irrompere a favore di lei; ma tuttavia essa andava uccel-
lando air intomo per tastare il popolo della città, lusingan-
dosi averlo indifferente almeno, se non amico ; ed esitando di
impegnar battaglia con tanta moltiplicità d'avversari e guar-
dandosi specialmente di più irritare il re di Francia. Questi,
com'era noto, di quella cittì aveva una gran voglia, e l' Im-
peratore, a cui in seguito del trattato di ripartizione, sarebbe
spettata, non era sufficiente per allora né a difenderla, né a
conservarla.^ D'altronde re Luigi, quantunque riconciliato con
lui, non aveva intenzione di rendergli a grato un cosi grande
servigio ; e Massimiliano sapeva che la minaccia che a lui op-
poneva di riconciliarsi coi Veneziani per cacciarlo d'Italia non
sarebbe stata presa sul serio, se non dai nobili veronesi ; i quali
dubitando che i Francesi non ricevessero ordine perentorio di
ritirarsi immediatamente a Peschiera, si sentivano i Veneziani
di nuovo e subito addosso. Tutta una notte che le genti di Francia
stettero armate a cavallo fu mortale terrore per que'gentiluo-
mini. Il Machiavelli presente a que'spaventacchi, alle prove di
devozione fanatica, se non eroica, che i villani rendevano ogni
giorno al dominio veneto,^ all'armeggio fatale di due sovrani,
che per diverse cause si debilitavano a vicenda, definisce con
mirabile acutezza la loro condizione rispettiva: « Questi sono
due re, che l' uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro
la vorria fare e non può; e quello che può la va a suo pro-
posito dondolando. Ma Dio voglia che si apponga, perchè, se
considerassi quello importa la innata disperazione di questi
paesani, li parrebbe mille anni di tórre loro dinnanzi ad li
occhi quello esercito, in che li sperano, né penserebbe ad al-
cuna altra cosa; ma se mantengono con questi modi a' paesani
la disperazione, e a'Viniziani la vita, credesi... che in un'ora
possa nascere cosa che farà pentire e re e papi e ciascuno di
non avere fatto suo debito ne' debiti tempi », —
Infatti i Francesi, disegnando assicurarsi la linea del Mincio,
riescono ad ottenere da Massimiliano la cessione del castello di
Valeggio, per cui signoreggiano il fiume sino a Peschiera; i Ve-
neziani accarezzando le plebi della città e delle campagne, « sopra
^ Machiavelli, loc. cit., lett.«ex Verona, die 24 noTembris. m.d.viu) ».— Ibid. «die
prima decembris m.d.viiij ».
* Machiavelli, loc. cit., lett. « die 26 novembris *.
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474 CAPO SESTO, [libro
quello che è credibile », ^ e raccozzando quante armi possono
intanto che que're stanno a bada l'uno dell'altro, ritrovano il
loro senno, e « in tutti que' luoghi de' quali si rinsignoriscono,
fanno dipingere un San Marco, che in cambio di libro à una
spada in mano, d'onde pare che si sieno avveduti a loro spese
che a tenere li stati non bastano li studi e e' libri ». * Atten-
dono intanto a costruire certe opere di fortificazione, « certa
tagliata » scrive il Machiavelli, che se fosse loro lasciata fare
« dicono questi periti del paese » che sarebbe difficile, mentre
dura r inverno, poterli andare a molestare verso Vicenza.^ Nel
tempo stesso dentro Verona, Tedeschi, Spagnuoli, Guasconi, s'az-
zuffano per le strade, tanto che il soggiornare in questa città
diventa pericolosissimo: ^ gli unici che anno danaro e ne danno
sono i Francesi; ma tutto quel raccogliticcio d'armati non può
andar innanzi, perchè non c'è chi lo comandi. Attendesi lo
Chaumont, presso cui trovasi già orator di Firenze il Pan-
dolfini. Massimiliano seguita frattanto, secondo il consueto, a
disegnar le sue diete ora a Kempten ora ad Augsburg, e a
volersi lontani, secondo il solito modo, gli ambasciatori. Però
il Machiavelli non vede più l'utilità di trattenersi quivi o di
proceder oltre in viaggio, sia a cagione delle cose francesi,
sia delle germaniche. Delle persone à tratto tutta quella co-
noscenza che gli era mestieri per dar giusto valore alle loro
parole e argomentare de' fatti; di questi à narrato quanto era
certo e congetturato quanto era probabile. Tornato a Mantova
per evitare pericoli non necessari e non far dimora inutile,
descriva sotto l'aspetto militare l'acconcezza della città di Ve-
rona, come quella « che à assai similitudine con Firenze »,^
acciò che i Dieci <c sentendo per lo avvenire parlare di essa,
intendine meglio il tutto ».
In questa descrizione, imitata poi dal Guicciardini, il Ma-
chiavelli dà il primo accenno delle sue belle disposizioni natu-
rali all'arte della fortificazione. Riconosce come assai forti le
1 Machiavelli, Comm.ctt., lett.« ex Verona, die 29 novembris m.d.viiij ».
' Machiavelli, Comm, eit., lett.« ex Verona, die vij decembris m.d.viiij ». — Cf. il
Capitolo dell'Ambizione a Luigi Guicciardini, v. 158:
« San Marco alle sue spese, e forse invano
Tardi conosce, come li bisogna
Tener la spada, e non il libro in roano ».
' Machiavelli, loc. cit., « ex Verona, die viij decembris ».
* Bibl. Naz.. doc. Jlf., bnsta iv, n. 138. « I Dieci a N. M., ex pai. fior, die vjij dee 1500 »:
« e però noi eravamo risoluti scriverti che atteso il pericolo che si portava di cotesta terra,
la stessi avvertito ad levarti in tempo, che non te ne seguissi danno e disordine a noi »
* Machiavelli, Commisi, cil., lettera « in Mantova, a' di xij di dicembre M.D.viiq».
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SBCONDoJ SUA DESCRIZIONE DI VERONA. 475
rocche di San Piero e di San Felice < più per il sito che per
la muraglia »; ma non porge alcun sentore d*essere addentro
in quello studio né per pratica né per notizia scientifica. Più
tardi, avvalorato dal contatto con insigni architetti militari, egli
nobilita questa medesima descrizione e se ne giova incorporan-
dola assai convenientemente nelle < Istorie fiorentine ».^ Ma in
questo mezzo egli è pieno d'inquietudine e mostra ai Dieci un
vivo desiderio di ritornarsene. « Poi partì' di costi, scrive, non
ò mai auto di costà alcuno avviso » ; * le faccende domestiche
gli cagionano brighe, per un grosso piato che aveva in Roma
innanzi alla cancelleria ecclesiastica; probabilmente compro-
mettevasi il dominio di benefici che dovevan servire a sosten-
tamento di suo fiatello Tetto, che sulla fin di giugno dell'anno
precedente gli aveva fatta rinunzia della sua metà del retaggio
paterno, in seguito a transazione condotta per Francesco Nelli
e Piero del Nero, deputati da' fratelli a comuni arbitri. ^
^ Machiavelli, Istorie Fiorentine, iib. v, 8-24. Cf. la descrizione del Guicciardini, .Storta
d'Italia, Iib. viii: « La città di Verona, nobile e antica città, è divisa dal fiume delPÀdice;
fiume profondo e grossissimo, il quale, nato dai monti della Magna, com'è condotto al
piano, si torce in sulla mano sinistra rasente i monti, ed entrando in Verona, come n*è
uscito, discostandosi dai monti, si allarga per bella e fertile pianura. Quella parte della
città che è situata nella costa con alquanto piano, è dall'Adice in là verso la Magna; il
resto della terra, che è tutto in piano, è posto dall'Adice in qua verso Mantova. In sul
monte alla porta di San Giorgio è posta la rocca di San Piero, e due balestrate distante
quella, più alta in sulla cima del po^io, è quella di San Felice; forte Tuna, e l'altra
assai più di sito, che di muraglia; e nondimeno perdute quelle, perchè soprafanno tanto
la città, resterebbe Verona in grave pericolo... — Ma nell'altra parte, separata da questa
parte del fiume, è Castelvecchio di verso Peschiera, posto quasi in mez^o della città, e
che attraversa il fiume con un ponte; e tre balestrate distante da quello, verso Vicenza
è la cittadella ; e tra l'una e l'altra si congiungono le mura della città dalla parte di
faora, che rendono figura di mezzo tondo; ma dal lato di dentro si congiugne loro un
muro edificato in mezzo di due fossi grandissimi, e lo spazio tra l'un muro e l'altro è
chiamato il borgo di San Zeno, ecc. » — Che il Machiavelli desse particolare importanza
alla descrizione della città di Verona, insinuata in quella sua lettera dei di 12 dicembre,
ci è provato anche da ciò che nella Btbl. Naz. fior, fra i Doc. M. (busta vi, n. 55) si trova
dì quella un estratto autografo, probabilmente contemporaneo allo scritto ufficiale mandato
ai Dieci. Il Rankb già per primo {Zur Kritik neuerer Geschichtschreiber. pag. 153) fece
ragguaglio fra le modificazioni introdotte nel testo che si legge al luogo indicato delle
Isterie fiorentine, e quello di primo gitto, che si à nella lettera 20 della Commissione a
Mantova e in quelle circostanze, (ed.ult., v, pag. 460). Se non che le osservazioni fatte da
lui riguardano solo l'eleganza dello stile, l'esattezza della dicitura, le parole scelte. A noi
sembra che questa almeno, fra le varianti molteplici, dinoti a dirittura una diversa condi-
zione neir intelletto dello scrittore, determinata forse dalle relazioni ch'egli ebbe poi col
Sangallo e con altri famosi operai nell'arte del fortificare:
Lett. ctt.(pag. 461)
« e da l'una ad l'altra (dalla Rocca Vecchia
alla Cittadella), da la parte ai fuora, è il muro
della città che fa uno mezo tondo».
Ist. fior., 1. V. 8 XXIV.
dall'una delle quali, dalla parte di dentro,
si parte un muro, che va a trovar l'altra, e
fa quasi come una corda all'arco che fanno
le mura ordinarie della città, che vanno dal-
l'una all'altra cittadella ».
* Machiavelli, loc. cit., lett. « ex Verona, die viij decembris, m.d.viiij ».
> V. Ed. ult. Opp. M. Cenni biografici intorno a N. Jlf., premessi al voi. i, da Luigi
Passerini (pag. lviii).
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176 CAPO SESTO. [ubbo
Quella rinunzia era stata probabilmente effetto d'accordi,
per cui Totto avviato per la carriera ecclesiastica ma non an-
cora ordinato presbìtero, ^ quando si fosse trovato nelle oppor-
tune condizioni giuridiche, sarebbe stato eletto e presentato a
quei benefici ecclesiastici su' quali la famiglia Machiavelli pos-
sedeva diritto di patronato. Tali erano le chiese parrocchiali di
S. Vito e Quirico alle Sodora, o quella di Sant'Andrea in Per-
cussina. Se pertanto, si fosse messo in questione il diritto dei
patroni, se l'esercizio in qualsiasi maniera ne fosse stato im-
pedito, se quei benefici fossero divenuti litigiosi, il domestico
assettamento di Niccolò avrebbe dovuto gravemente risentirsene.
Però egli sin dal principio di novembre, per l'intermedio di Bar-
tolomeo RufBni, suo subordinato ed amico in cancelleria, nominò
procuratore in quell'affare un Roberto da Poscia, sollecitando,
che la cosa potesse essere spedita col procedimento più ra-
pido, e procurando che le raccomandazioni più potenti non
^ Lo fu solo dopo il 5 geimaio del 1510, secondo che risalt» da una Pergamena di
provenienza Ricci, nell'Àrch. di Stato in Firenze « nonis Januarij pont. ^ni Julìi ppe ij
anno septimo » nella quale gli vien concesso di ricevere Tordine del prHsbiterato. Questa
ò intestala come segue: « Ludovicus miseratione divina tit. S Marcelli presbiter cardinalìs
dilecto viro Totto Bernardi Machiavelli clerico flor.oo » — In un^altra pergamena della pro-
veniensa medesima e nello stesso Archivio, « a. 1515. indict. ly die vero mercurìi quarta
mensis Julii pontificatus Sxu in Xpo patris et dni uri dui Leonis d. pr. pp.e X an. iij »•
Pietro Andrea Gammaro. bolognese, vicario del card. Giulio de' Medici, gli concede la
chiesa parrocchiale di S.Andrea in Percussina, rassegnata liberamente da Giovan Pietro
Machiavelli. In quella si leg^e : « Nobilitas generis, vita ac morum honestas alìaque probi-
tatis et virtutum merita super quibus apud nos fide digno comraendaris testimonio, merito
nos inducit ut illa tibi favorabiliter concedamus quod tuis commoditatibus fore conspicimas
opportuna ». Di Totto si anno parecchie lettere a Niccolò, dalle quali apparisce ch'egli
soggiornò per qualche tempo in Roma. Oltre quella già citata da noi più sopra (pag. 7S
in nota) alleghiamo le seguenti : Bibl. Naz., doc. M., busta i, n.8, lett. « a di xxvij d'agho-
sto. T. M. egr. viro N.di M. Bernardo M. in Francia * — Ibid. busta iii, n. J84, « T. M-
eg. V. N. M. secr. ac mand. fior, apud P. maximum, al nome di Dio ad xxj di nouembre 1503».
— Ibid., busta in, n. 38. « Totto in Roma eg. v. N. M. s. f. Florentie a'di xxvj di settem-
bre 1501 » — Ibid., busU IV. n. 121 « id. eod a di xv di marzo 1504 ». — - Ibid., n. ISO
« T. M. in Roma, N. M addi 25 di maggio m d.vj » — Totto venne a morte nel l&SS.
come comprova un'altra Pergamena dell'Archivio di Stato di Firenze {provenienza Ricci):
« Anno d. J. m d. xxvij indictione xm* die vero mercurìi xviij mensis Junii, electionis ad
pontif. Rmi in Xpo patris et domini nostri domni Hadriani VI. Sanctorum Johannis et pauli
pbri cardinalis Dertusen. anno primo », nella quale si legge- « cum itaque parrocchiales
Ecclesie invicem perpetuo unite Sanctorum Viti et Quinci alle Sodora florent. dioeces.per
obitum hon. viri Domini Tetti de Machiavelli clerici fior, illarum olim ultimi et immediate
rectoris et possessorìs extra romanam curiam nuper defuncti vacaverit et vacet ad prae-
sene, nos (Horatius Lelius Otriculanus) scientes quantum diuturna Ecclesianim vacatio
ipsis soleat esse dannosa, et nolentes dictas Ecclesias propter vacationem homi aliquod io
spiritualibus vel temporalìbus pati detrimentum sed eisdem et illarum indempnitatì quantum
cum deo possimus ex injuncto nobis ollitio provvidere...— ...visa electione et praesentatione
de Te (Gìannozzo di Roberto Pucci) coram uobis facta p hons. virum Nìcholaum olim do-
mini Bernardi de Machiavellis civem flor.aa patronum dictarum Ecclesianim existentem,
ut dicitur, ac vice et nomine seu nominibus domini balthassaris olim petri clerici, Philippi.
Alexandria Joannis Pauli et Baptistae Bonansegne Joannis Gherardi Caroli et fratrum olim
Frane. Nicolai Alexandri et Alexandrì et fratrum olim Laurentii omnium de Machiavelli^
predictis nobilium florentinorum suorum in dictis Eccles. compatronorum, etc *
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secondo] protesta DI DIVIETO A DANNO DEL MACHIAVELLI. 477
mancassero ad aiutarne la riuscita seconda. Ma, a quel che
sembra, il litigio di Roma ne trasse con sé un altro in Fi-
renze, e forse coiravversario medesimo avanti alla curia del
potestà, nel quale intervenne per lui come procuratore Piero
del Nero, suo congiunto zelantissimo ed attivo sino air impor-
tunità.
E poiché queste liti ebbero forse a destar collere e stre-
pito, e gl'interessi irritati a sfogarsi per ogni via maligna,
Niccolò sentì finalmente arrivargli all'anima un colpo fiero e
già da un pezzo formidato. Ne lo fece avvisato una lettera
segreta di Biagio Buonaccorsi, mandatagli incontro sulla via
del ritorno, a trattenerlo dovunque fosse: « tcbi sit>, — Era
scritta nella seconda ora della notte e del seguente tenore:
« Niccolò honorando — Io mi sono mosso ad scriuerui la pre-
sente, perchè el caso che sarà narrato da pie è di tanta im-
portantia che non può essere maggiore, et non uè ne fate befie
et non lo transcurate et non uscite di quello che io vi dirò
per cosa del mondo, perchè e' sarà uno de' potissimi remedii
ad riparare alla mina vostra et di altri ; et a questo fine ho
prevenuto col mandarvi allo incontro. E' farà domani octo dì
che uno turato con dua testimoni andò ad casa el notaio
de' Conservatori, et presente loro li dette una notificatione, con
protestarli se non la dava; et conteneva che per esser nato
voi di padre etc, non potete ad modo alcuno exercitare lo
oflìcio che voi tenete etc. Et benché la cosa sia stata in facto
altra volta et che la legge sia in favore quanto lo può, nien-
tedimeno la qualità dei tempi et uno numero grande che si è
levato ad bociare questa cosa et gridarla per tutto, et minacciare
se non è fatto eic.^ fa che la cosa non è in molto buon termine
et ha bisogno d'uno grande adiuto et di una delicata cura in-
torno ad che io fino ad questo punto, da l'hora che mi fu da
nostri amici facto intendere, non ho lasciato indrieto cosa alcuna,
et di dì et di nocte; in modo che io ho mollificato assai li animi
di qualcuno; et dove la logge era da chi cerca disfavorire etc.
stiracchiata per mille versi et datoli sinistre interpretazioni, è
un poco posata. Nientedimeno li adversarii sono assai et non
lasciano ad fare nulla; et il caso è pubblico per tutto, fino
pe' bordo gli, in modo si può fare alla scoperta, et é aggravato
da infinite circunstantie ; et prestatemi fede, Niccolò, che io non
vi dico la metà delle cose che vanno ad torno, et avanti che
io producessi la legge, era messa per cosa indicata. Io l'aiuto
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178 CAPO SESTO. [libio
per tutti mezi : cosi fa Piero del Nero, al quale io fo hora per
hora intendere tutto; perchè è facto el medasimo a me da chi
non vuole lasciare minare et voi et me. Sono stato solleci-
tato questo punto da chi vi ama, et è persona che voi ne fate
capitale, ad scrivervi che voi soprastiate dove vi trovate et
non torniate per nulla, perchè la cosa si va mitigando, et
sanza dubio harà miglior fine non ci sondo voi che essendoci,
per più conti; et poi io fo delle cose che non fareste uoi, et
pure son necessarie; perchè tutti li homini vogliono essere
ricognosciuti et honorati et pregati, ancoraché le cose sieno
chiare; et pare conveniente che chi serve ne sia ringratiato
et pregato prima et ripregato; ad che quanto voi siate apto,
lo lascio indicare ad voi. Insomma per uno de'potenti remedii
a questo male, che è tanto grande che vi farebbe paura, è lo
stare absente qualche di, tanto se ne vegga al fine; et perciò
vi mando la presente, sollicìtatone da altri, pure persone pri-
vate, ma di tanta qualità che si può manco errare ad fare
cosi che altrimenti. Li altri vostri compagni sono prompti alla
difesa, se basterà: che a' di passati in un caso simile è cosi
poco giovato che ha facto risuscitare questo. Se io vi dicessi
non bavere mai dormito poi accade questo, crediatemelo; perchè
voi ci havete tanto pochi che vi voglino aitare, et io
non so donde venga. Di nuovo indico facciate quanto siete
consigliato et non uscite et fate uno presupposto che io non
aorabri scuro, come voi solete dire, ma che sia molto più; et
havendoci lo interesse mi doverresti credere, perchè tocca più
ad me che a voi. Non altro ». —
Questo documento che a' tempi nostri mette mille dubbi
pel capo a chi lo considera, ed obbliga a minute ricerch? chi
tenta delucidarlo, era, com' interviene in tutti i casi consimili,
della massima chiarezza, non diremo solo agi* interessati, ma
alla maggior parte de' contemporanei in Firenze. Tanto che
gli eccetera, in cui qua e là c'imbattiamo, è manifesto che
non erano li per nascondere nulla né a quelli né a Niccolò;
che erano reticenze di pudore e non di segreto; e che nep-
pure per noi medesimi rappresentano l'incognita della equa-
zione. E bensi per efi'etto di quella luce di crepuscolo in cui
il passato si rappresenta allo storico, anche quando sembra
essergli meno incerto e più prossimo, che l'afierrare e il rico-
noscere facilmente il valore di termini, altra volta certi e per-
spicui, ne' suoi problemi gli è reso diflScile. E però anche a
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«BCONX>o] L'ECCETERA DEL BONXCCORSL 479
noi non rimane, per rispetto a questo nostro, che andar sotti-
lizzando con quel po' d' industria che si vuol da' biografi; i quali
debbon toccare talvolta anche di quelle minutezze aneddoto,
sulle quali una più ampia storia felicemente sorvola.
Ciò posto, il primo dato che ci porge la lettera del Bonac-
corsi è un fatto, una protesta segreta per un divieto legittimo.
Circa ai 20 di dicembre, un uomo coperto nel volto, probabil-
mente colla persona avviluppata in un di que' sacchi, che val-
gono a distintiva di confraternite, e non recano altra apertura
o spiraglio che i buchi degli occhi, un turato, comparve in-
sieme a due testimoni innanzi al notaio de' conservatori di
legge, lanciando querela d'incapacità contro Niccolò di Ber-
nardo Machiavelli, poiché a lui s'era lasciato occupare un uf-
ficio al quale aveva divieto per forza di legge. Questa que-
rela, 0 notificazione, o protesta che si fosse, accennava ad
una legale incapacità che derivava in Niccolò per riguardo
del padre; « poiché suo padre era... » — e qui l'^cce^era prudente
o ossequioso del Bonaccorsi. Ora, se l'archivio dei conservatori
di legge ci fosse giunto intatto ed intero, non sarebbe stato forse
difficile ritrovarvi la querela presentata allora contro di Nic-
colò, e il riguardoso eccetera del Bonaccorsi sarebbe così deci-
frato e distrutto; quantunque l'esito che sorti poi l'afiare potè
probabilmente esser cagione che fino d'allora si distruggesse in
quella cancelleria un documento anonimo e nocivo. Ma, d'al-
tronde, ad eccezione di poche reliquie del secolo decimoquinto,
si può dire che solo dall'anno 1549 in poi le carte de'conser-
vatori di legge della Repubblica fiorentina ci siano pervenute
con sufficiente pienezza; de' tempi anteriori manca gran parte;
della querela contro il Machiavelli non si trova orma. Per-
tanto non essendo a sperar nulla dalle indagini, ci conviene
sopperire risicando congetture, le quali pure non trovano altro
fondamento che nella lettera di Biagio e nell'interpretazione
di essa.
Ora é da osservare principalmente che in questo scritto, il
sentimento da cui il Bonaccorsi apparisce commosso é non tanto
un grande aflfetto, quanto un grande timore pel caso di Niccolò;
di guisa ch'ei sembra prendere la cosa più a cuore che questi
forse non farebbe; paventa anzi che il Machiavelli non l'accusi
di veder nero, « di aombrar scuro » più che non sia mestieri, o
per naturale meticolosità che gli conosca o,per altre ragioni che
momentaneamente l'impauriscano. E infatti, come coadiutore, sa
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480 CAPO SESTO. fLiBio
che gli sovrasta la medesima sorte del titolare, e che se il
Machiavelli è rimosso dall'ufficio suo, dovrà anch'egli sgom-
brare dalla cancelleria. Quindi si fa ad insistere perchè Nic-
colò s'apprenda fermamente al consiglio datogli di tenersi as-
sente; ripari alla mina propria « e di altri >; ceda ad una
benevola autorità; all'autorità «di chi non vuole lasciare rui-
nare et voi et me ». — Chi poteva essere questo consigliere
autorevole, questa persona di cui Niccolò « faceva capitale »,
se non il Sederini? chi altro poteva consigliarlo con pienezza
di facoltà, più che di giudizio, a indugiare il ritorno suo? e come
sarebbe stato possibile, se il pericolo fosse veramente stato
si grande, una tiepidezza, un animo si confidente in Niccolò;
s'egli non sapeva d'aver tanto nelle mani da sventare tutte le
cospirazioni, da ridurre al silenzio tutti i malevoli, da trovarsi ad
agio cogli statuti, colle leggi e cogli avvocati che le torcessero?
d'aver che fare con un processo che era per lui una saetta
previsa, contro la quale aveva già da gran tempo opposto lo
scudo e preparato difese?
Osserviamo bene. L'incapacità legittima di Niccolò non ci
è detto nella lettera da che impedimento derivava; ma ci si dice
che esso « era stato in fatto altra volta » e che presentemente
«la legge era in favore ». E ci si aggiunge di soprappiù: « avanti
che io producessi la legge, era messa per cosa giudicata»; ossia
prima che, accampando una disposizione più recente di diritto,
si afiacciasse la seguita abrogazione d'un 'antica costituzione di
legge, la sentenza circa la querela dei Conservatori pareva de-
cisa, e con disfavore sicuro. Ora, prescindendo dalla fiacca ipo-
tesi d'una mala fede, tanto negli accusatori quanto ne' giudici,
non men grande che vana, come sarebbe possibile spiegare una
qualità d'ignoranza che non escusa, l'ignoranza del diritto ne' le-
gisti ; e un difetto di conoscenze negli assalitori spinto sino al
ridicolo, l'ignoranza delle armi proprie; se non si suppone
che la legge con cui questi intendevano colpire Niccolò, la
legge donde traevano argomento per l'interdizione di lui dal-
l'ufficio, avesse ad essere nella città assai più notoria, più
chiara e di assai più frequente applicazione dell'altra, la
quale veniva in appoggio del Segretario? se non si suppone
che agli armeggioni non potesse punto cader nell'animo che
la legge, de' quali essi facevano la fortezza loro, potesse aver
patito tacite abrogazioni o deroghe, e che quell'arme ch'essi
agitavano fosse spuntata? Or bene, la legge, il testo giuridico
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SBOONDo] L'ECCETERA DEL BONACCORSL 481
che per proprio carattere avesse eccellenza di valore, latitudine
e sopreminenza su tutte l'altre della città, erano gli statuti, le
riformagioni ; contro di cui Niccolò non poteva levare a suo
sostegno, se non la provvisione per la riforma della cancelleria
del 1498, per la quale a chiunque interveniva nel Consiglio
dei richiesti era data facoltà di nominare, nell'elezione del
cancelliere, qualunque persona gli piacesse meglio « non oh-
stante alcuna prohibitione a divieto ».
Se non che di quale proibizione potevano intendere gli sta-
tuti nel caso del Machiavelli? — Gli statuti contemplavano due
modi di divieti o d'interdizione ; alcuni erano universali e per-
petui, altri temporanei e particolari, alcuni inerenti alla per-
sona, altri trasmessi per vizio d'origine; cessavano alcuni col
variare delle condizioni del cittadino rispetto alla città, altri
rimanevano invariabili e insanabili per sempre. Qui nel caso
nostro, il Bonaccorsi ci mette sulla via di ricercare fra gl'im-
pedimenti ereditati la cagione dell'incapacità di Niccolò: — « per
esser nato voi di padre etc. ». Ora, che cosa poteva essere
stato mai il padre di Niccolò per inabilitatile il figliuolo alla pi^o-
fessione di notaio e di cancelliere? un moroso nel pagar le pre-
stanze, i tributi, alla città? * ma né fra le numerose carte della
famiglia de' Machiavelli, né nei pubblici registri v'à sentore di
questo debito paterno. Bernardo anzi, per mantenersi l'ufficio
di tesoriere della Marca, doveva aver condotto la vita propria
in maniera da non dar pretesto che gli fosse diminuita quella
fiducia che all'esercizio delle sue attribuzioni era necessaria.
Molto meno poteva essere stato un ghibellino, che in tal caso
non avrebbe potuto ottenere alcun ufficio per sé, non che ren-
derne incapace la jprole sua. E poi, fosse egli stato soltanto
debitore dell'erario pubblico o discendenza di ghibellini, si sa-
rebbe però fatto nella città del caso di lui quel chiasso pet-
tegolo, quel rumore scandaloso «fino pe'bordegli», e «ag-
gravato da infinite circostanze », che pareva che il ridicolo
stesse a covare la vergogna? D'altronde perchè mai prima
dell'istituzione dell'ordinanza, prima che Niccolò trascorresse
con tanta ampiezza di patenti e di commissioni pe' vicariati e
le potesterie, prima ch'ei fosse in campo l'anima dell'impresa
» Cf. statuto pop. et com. Flor.y lib. v, rubr. ccxlvii, pag. 754 : « Et quod aliquis qoi
sii véì esAet in fatarum notarius, qui seu eias pater vel patruns, vel frater camalis ex
eodem patre non solvit praeatantias in civitate Fiorentina hactenns ad mìnas per tempos
viginti annoram completorum, non possit etc. »
ToMMAsiNi - Machiavelli. 31
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482 CAPO SESTO. [libro
di Pisa non apparisce che nulla si sia tentato per rimuoverlo
dal suo posto nella seconda cancelleria? forse che prima egli
non aveva nemici? o a questi era incognito il vizio d'origine
di Niccolò? 0 sembrava loro ch'ei fosse meno vulnerabile come
semplice notaio? o le invidie accumulatesi dì per dì, non tro-
varono prima acconcia occasione a prorompere?
La maniera medesima con cui questa volta erasi presentata
la querela ai Conservatori di legge c'induce a credere che non
fosse questo «il primo tentativo che si faceva per quel verso, nel-
l'intenzione di nuocergli. Un « turato con due testimoni » non
sarebbe comparso pubblicamente, se già prima qualch'altr'accusa
segreta, gittata nascosamente nel tamburo destinato ad acco-
glierle, non avesse fatto prova di cadere nel vuoto. Ora, non ci
sembra inutile rammentare a questo proposito che, circa alla metà
di maggio del 1507, era stato concesso a Niccolò Machiavelli un
documento solenne « in fidem suae originis > ^ Quel documento
lo dichiarava nato nella famiglia dei Machiavelli « ingenuis
parentibus et honestis maioribus >; lo diceva figlio di Ber-
naMo, e nel testo ufficiale doveva per certo andare scevro di
quelle inesattezze che, sia per inavvertenza, sia per altro mo-
tivo, si riscontrano nella copia fattane sul registro di lettere
de' Signori, ond'è a noi pervenuto. In questa copia il nome
del padre di Bernardo è sbagliato.* Se non che non sapremmo
intendere in forza di qual legge, quando pur si volesse ammet-
tere che Bernardo Machiavelli fosse nato fuori della famiglia
legittima sarebbe da ciò potuta discendere in Niccolò alcuna
incapacità giuridica all'ufficio di cancelliere, non che ad altri
incarichi pubblici. C'era veramente una disposizione statutaria,
una rubrica che proibiva certi uffici della repubblica a chi
« in rei veritate et realiter »3 non avesse sortito i natali da
> V. più sopra, pag, 377, nota 8.
> Tutti i documenti concorrono a comprovare che il padre di Bernardo e l'avo di Nic-
colò Machiavelli si chiamasse Niccolò di Boninsegna. Cf. la portata di B. di N. di B. Ma-
chiauegli del popolo di Santa Felicita di Firenze dell'anno 1498 innanzi gli officiati del ca-
tasto, edita dal Passerini, M. Opp., ed. ult., pag. lv e seg. Il padre di Bernardo era già
morto nel 1475. come attesta una pergamena nelFArch. di Stato flor., proveniente da casa
Ricci, nella quale, in data del detto anno a'di 21 d'agosto Bernardo, vien chiamato « oUm
Nicholai de MachiaueUis ». Ora la patente di nobiltà e legittimità (Arch. fior., ci. x, dist. i,
n. 119, a e. 186) reca « Nicholaum Bernardi Jacobi*— È molto probabile che in questo
fatto non si abbia a riconoscere se non un errore dell'amanuense commesso per incuria,
0 per non aver interpretato rettamente una cattiva minuta, in cui era facile, per somi-
glianza d'elementi, prendere abbaglio fra le due parole Jacobi e NicolaL
* Stat, fior, cit., rubr. ccxLv: » Decemimus et jubemus quod aliquis, qui in rei ve-
ritate & realiter non sit, et seu non fuerit, ve! esset natus in sua origine
& nativitate de legitimo matrimonio non possint deinceps ullo modo, vel vigore habere,
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MCONDo] MISTERO DOMESTICO ^BELL'ORIGINE DEL M. 483
legittimo matrimonio: ma quella disposizione non riguardava
punto i nati di padre illegittimo. Pertanto il tirare in campo
l'illegittimità di Bernardo a spiegare la ragione del divieto
in Niccolò Machiavelli sarebbe supposizione gratuita e insuf-
ficiente al tempo medesimo. Che, se alcuna questione ebbe a
sorgere circa Torighie di lui che romanticheggiò sulla nascita
di Castruccio, questa ebbe forse ad essere agitata e discussa
con quelle forme e per un di quei processi ^ il cui eco ar-
riva, come scrisse il Bonaccorsi, fin nei postriboli, rumoreggia
per alquanti di e poi si spegne, non senza lasciar qualche
sentore di sé nelle generazioni che succedon più prossime. * E
forse non fu per tutta rettorica che, come vedemmo, si ripe-
tevan solo dalla vena poetica della madre le qualità eredi-
tarie dell'aperto ingegno di Niccolò; e niun vanto domestico
gli si moveva dal padre. Forse fu solo per le militari com-
missioni compiute da Niccolò nel contado e nel distretto fio-
rentino che s'immaginò di poterlo colpire colla citata ru-
brica degli statuti. Ne certo è da attribuire ad altro che a po-
chezza d'animo del Bonaccorsi la paura che quegli potesse per
vigore di proibizioni legittime esser rimosso dall'ufficio di can-
celliere; paura che nel coadiutore era in tanto più viva, in
quanto ei temeva il suo proprio pericolo nel danno dell'amico;
ma dalla provvisione di riforma della cancelleria, quella paura
poteva essere di leggieri e interamente quotata. Del resto,
quando pur vogliansi da noi mettere da parte tutte le suppo-
sizioni uggiose e sgradevoli, sporge sempre sopra tutte le ipotesi
questa certezza, che nell'origine di Niccolò Machiavelli v'à un
obtinere, vel aliqualiter exercere offitium prioratas artium et vexilliferatus ìustitiae & gon-
falonieratus societatum populi, et duodecim bonorum virorum mercantiae civitatis prae-
dictae coromunìs praedicti, vel aliquod ipsonim offitìorum, et seu offitium sex conailiarioruin.
Nec possit habere, obtinere, vel aliqualiter aliquo tempore exercere aliquod offitium alicuius
vicariatus, uel capitaneatus, comìtatus, vel districtus Fio re nti ae, ant civitatis,
uel terrarum, uel civitatis Pistorii & seu offitia potestariarium terrae Prati — Civitatis
Aretii — Castiliouis fiorentini — Terrae Collis Vallis Elsae, aut civitatis Pistorii — Sancti
Geminiani — Monti» Politiani, Terrae Barghae — Mutilianae — Terrae Sancti Miniatis
fiorentini, vel aliquod ipsorum offltiorum potestariarum dictorum locorum, vel alicuius eorum,
et seu aliquod offitium alicuius vicariatus, aut capitaneatus, quod deinceps prò dicto communi
Florentiae ordinatum fuerit sub poena librarum quingentanim f. p. in quam qui contrafecerìt
incurrat ipso facto prò qualibet vice communi Florentiae, & in qua intelligatur ex tunc
ipso facto condemnatus, et quidquid centra lieret sit irritnm & inane et ab offitio intelli-
gatur remotus, nec illud habeat vel exerceat quoquoroodo».
^ Nei medesimi Statuti, lib. ii, rubr. ii, pag. 115, viene stabilito che: «in qualibet
causa probari possit de morte, de tempore mortis cuiuscumque personae, filiatione &
patemitate, etiam per publicam famam per quatuor testes » etc.
' Cf. Campanella Atheismus triumphatus, cap xviii. « Iste autem Machiavellus fa-
mìlia quidem nobilis, sed bastardus, omnium scientiarum fuit expers et tantummodo astu-
tiam quandam ex historia rerum hausit humanarum ».
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484 CAPO SESTO. [libbo
mistero, che si vuol rispettare, ma non si può distruggere; che
non gli nocque presso i contemporanei, e che a noi basta, per
debito di biografi, avere accennato.
Il Machiavelli, com'era ben prevedibile, si guardò dal se-
guitare il consiglio di Biagio e dell* « autorevole persona ».
Dacché il tenersi lontano sarebbe valso Come un tuflfarsi da
sé nel torto e un provocare l'ingiuria. Egli venne invece a
guardar in viso gli avversari, e a' due di gennaio ricomparve
imperturbato in Firenze. La tempesta cessò, senza lasciar mate-
riale danno, ma squarciando una ferita di grave dolore neiranimo
del Machiavelli. A Mantova, ov'egli erasi trovato in compagnia
di Luigi Guicciardini, inconsapevole della bufera che gli si le-
vava alle spalle, aveva trascorso con lui in celie e in baie. Aveva
quivi mostrato agli amici un'altra sua « cantafavola >; proba-
bilmente parte del secondo decennale, che non fu mai più com-
piuto; e ad una lettera di Luigi, nella quale questi gli stem-
perava in parole alcune sue delizie erotiche desideratissime,
aveva risposto artiflziosamente, cercando con un'avventura forse
tutta fantastica e architettata a contrapposto della descrizione
di Luigi, stomacarlo. ^ Ma, tornato in Firenze, sentendosi la prima
volta addentar forte dall'invidia, disperatamente ricorre alle
muse, 2 forse, come Petrarca, « perchè cantando il duol si dì-
sacerbi » ; e flagella ancora con la terzina dantesca l' ingrati-
tudine umana, « nata quando la gloria dei viventi spiacque
alle stelle ed al cielo » per far che un cittadino « mieta con-
^ Arch. fior. Carle strozziane, f. 139, e. 211. La lettera fu edita male dair Usigli frale
Opp. di N. M., Firenze 1857, a pag. 1U2. Reca la data « in Verona, die viij decembris 1509 ».
— L'avventura in essa narrata non apparisce più vera che il matrimonio di Niccolò nella I>9-
scrizione della peste. Chiude con questi particolari : « Io credo che mi avanzerò di questa
gita qualche danaio, et vorre'pur giunto a Firenze fare qualche trafflcoszo: ho disegnato
fare un pollaiolo : bisognami trovare un marulflno che me lo governi : intendo che Piero di
Martino è costi sufficiente: vorrei intendessi da lui se ci ha el capo, e respondetemi perchè
quando e* non voglia io mi procaccierò d*uno altro. De le nuove di qua uè ne Batisfera
Giouanni ; salutate Jacopo e raccomandatemi ad lui e non sdimenticate Marco. Aspecto l&
risposta di Gualtieri ad la mia cantafauola »,
* Machiavelli, Capitolo dell'Ingratitudine a Giowxnni Folciti:
« Giovanni Folchi, il viver mal contento
Pel dente delT Invidia, che mi morde
Mi darebbe più doglia e più tormento
Se non fusse che ancor le dolci corde
D*una mia cetra, che soave suona,
Fanno le muse al mio cantar non sorde.
Cantando dunque cerco dal cor tórre
E frenar quel dolor de' casi avversi
Cui dietro il pensier mio furioso corre.
E come del servir gli anni sien persi,
Come infra rena si semini et acque
Sarà or la materia de* mie* versi ».
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secondo] « CAPITOLO DELL' INORA TITUBINE ». 485
trario al seme che à disposto >, e sia indotto forse a trapas-
sare il segno del viver civile e, per sottrarsi alle ingiurie della
propria patria, a diventarne tiranno; bieca ingratitudine per
cui ebbe ad essere contristato Scipione e corrotto Cesare. Di-
stingue poi i tre modi in cui essa mostra il proprio veleno
secondo tre diverse maniere che v'ànno d'ingrati: coloro i
quali senza pur remunerarlo confessano il beneficio; quelli che
lo dimenticano e lo negano; quelli che finalmente lacerano e
mordono a tutto potere il proprio benefattore:
Questo colpo trapassa dentro all'ossa;
Questa tersa ferita è più mortale,
Questa saetta vien con maggior possa.
Mai non si spegne questo acerbo male
Mille volte rinasce, s'una more,
Perchè suo padre e sua madre è immortale.
E come io dissi, trionfa nel core
D*ogni potente, ma più si diletta
Nel cor del popol quand'egli è signore.
Questo è ferito da ogni saetta
Più crudelmente perchè sempre avviene
Che dove men si sa, più si sospetta.
E le sue genti d'ogni invidia piene
Tengon desto il sospetto sempre, et esso
Oli orecchi alle calunnie aperti tiene.
Niccolò a questo punto sente fastidio e ribrezzo del po-
polo; r ingratitudine del quale lo colpisce come un fatto ina-
spettato e contrario alle sue idealità politiche. E veramente, Kedik
Ahmed pascià, conquistatore di Gaffa e di Otranto, vincitore
di Djem e di Kasimbeg, dopo aver dato il regno a Bajesid, fu
ricompensato di morte per comando di lui; ^ Consalvo, che con
genio militare, con avvedimenti politici insuperabili, con for-
tezza e versatilità d'animo degna d'un'odissea, aveva saputo
tener fra le armi soldati senza paghe, condurli a combattere
I Machiavelli, Capii, cit., v. ICS e segg.
« Acomatto bascià non dopo molto
Ch'egli ebbe dato il regno a Baisitte
Mori col laccio intorno al collo avvolto.
À le parti di Puglia derelitte
Consalvo et al suo Re sospetto vive
In premio delle galliche sconfitte ».
V. intomo all'uccisione di Ahmed, L. db Hammer, Oetchichte dea Osmai^ischen Betcks,
vol.«n, pag. 284. Secondo notizie solo di fonte europea, egli sarebbe stato fatto ucci-
dere il di 18 novembre 1482 (6 schewall 887), dopo un convito. — È osservabile che il
M. non accenna punto a questa tradizione; ma, come bene avvisa lo storico sopra men-
zionato : « Der Streich war nicht Ausbruck giihen Zornes, sondem lang zurilckgehaltener
Ungnade ». Circa i sospetti di Ferdinando intorno al Gran Capitano, per cui sulla fine del 1507
lo ricondusse in Ispagna a seppellir la sua gloria, veggansi le co nsiderazioni critiche del
Db Lbva, op. cit., voi. i, pag. 07 e segg.
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486 CAPO SESTO. [libbo
e vincere i Francesi; cacciar questi quasi dal regno che aveva
con Ispagna spartito; ammansare i popoli assoggettati; durare
ogni estremità di disagi nella guerra, sostenere una dignità
maravigliosa nelle trattative pacifiche, parere in 'breve T im-
magine identica del suo stesso sovrano ; fu da Ferdinando por-
tato via d'Italia come un rivale, gabbato con promesse non
mantenute, lasciato senza concessione d'onori.
Ma in questi due casi gl'ingrati eran due principi, e il Ma-
chiavelli ammetteva già che la sconoscenza stesse tra le vilissime
necessità del principato nuovo ;^ né tuttavia poteva capacitarsi che
questa avesse ad essere anche necessità o natura nel popolo, alla
cui libertà poteva anzi tornare estremamente dannosa. Niccolò,
ch'era salito a' pubblici uffici col divincolarsi della democratia
dalle strette de' Medici, ch'aveva tutelato con schiettezza e op-
portunità di cure la malferma repubblica, che sapeva d'averla
armata lui, che vedovale sorto in grembo un esercito, per
quanto esiguo, devoto davvero allo stato; non voleva pensare,
il giorno in cui i malevoli l'addentavano, e tanti facevano di
que'suoi morsi le grasse risa, e tanto pochi c'erano che lo volessero
aiutare, ei non voleva pensare che un popolo avesse ad essere
più ingrato d'un re. Ben aveva egli veduto i suoi Fiorentini
alla prova, nel non riconoscere la virtù e l'amor patrio dei
Giacomini; ma non credeva ch'ei potessero trascorrere sino
all'ultimo stadio dell'ingratitudine, a rendere cioè pe' benefici
avuti l'ingiurie e il vituperio. E se non fosse stato il senti-
mento del proprio dolore, Niccolò non avrebbe voluto cogli
occhi suoi ravvisare nella democrazia spensierata e tirannica
le chiazze del fango, onde questa aveva provato bruttar lui. A
quella convinzione penosa si provò a repugnare in seguito,
quando, sebben avesse sentito fino alle midolla come la repub-
blica oflFendeva i cittadini che avrebbe dovuto premiare, e so-
spettava di coloro cui avrebbe dovuto più confidarsi, il tempo
ebbe sparso l'oblio sull'asprezza del suo dolore, e l'anarchica cor-
ruttela dei nobili gli fece intraveder prossimo un principato vile.
* Machiavelli, Cf.col Principe^ cap. vii, ix e i Discorsi^ i, 29; il Capitolo cit., v. 171:
« E vedrai come i mutator di stati
E donator di regni sempre mai
Son con esilio o morte ristorati.
Perchè se uno stato mutar sai
Dubita chi tu hai principe fatto,
Tu non gli tolga quel che dato gli hai;
E non ti osserva poi fede, né patto ;
Perchè gli è pia potente la paura
Ch'egli ha di te, che l'obbligo contratto»
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secondo] popolo e PRINCIPE INGRATI. 487
Allora, quantunque ei non potesse mettere in dubbio l'ingrati-
tudine popolare, scusò il vizio colla cagione men sozza, e : almeno
i popoli, concluse, non sono ingrati per avarizia; e quando, lo
siano per sospetto, sempre lo son meno dei principi, e sempre pel
troppo amore di libertà.^ Così velò la contradizione di questa
colla sua prima sentenza,* in omaggio a quel vivere libero
^ Machiavelli, Discorsi, i, 29.
> La contradizione a noi non sembra dubbia, benché non siasi fin qui posta in rilievo ;
che, malgrado l'apparente conformità d' idee, nel capo sopra citato òq^ Discorsi e in questo
Capitolo deW Ingratitudine, si giunge dal Machiavelli a conclusioni diametralmente op-
posta. Poiché se ne* Discorsi conchiude: «che usandosi questo vixio deir ingratitudine o
per avarizia o per sospetto si vedrà come i popoli non mai per l'avarizia la usorno, e
per sospetto assai meno che i principi, avendo meno cagione di sospettare»; afferma in
quel Capitolo che l'ingratitudine:
« trionfa nel cuore
D'ogni potente, ma più si diletta
Nel cor del popol, quand'egli è signore.
Questo è ferito da ogni saetta
Più crudelmente perchè sempre avviene,
Che dove men si sa, più si sospetta, » ecc.
Ora a noi sembra certo che il Capitolo in versi sia stato scritto occasionalmente, ed assai
prima del capo da noi posto a riscontro della poesia. E gli ai^omenti che ci anno indotto a
questa persuasione sono i seguenti : i^ L'accenno che il M. fa « al dente dell* invidia che
lo morde >; indicazione che non sarebbe stata acconcia ad altra stagione della vita di lui;
che egli, uscito dalla cancelleria, ebbe ad essere piuttosto oggetto di compassione che
d' invidia. 2^ L'aver indirizzato i suoi versi a Giovanni Folchi, cosa che dopo il 1513 il M.
avrebbe fatto con minore probabilità, dopo che quegli, sospetto di congiura contro i Me>
dici, ebbe ad essere gittate in fondo di torre a Volterra; la qual ragione à più valore che
in sulle prime non sembri, se si consideri che il M. si guardò sempre dal dedicare i suoi
componimenti a persone sospette e impotenti. 2P Nel citare « il premio delle galliche
sconfitte » dato a Consalvo, il M. dice di « rivoltarsi a' moderni esempi » e indica come il
Gran Capitano « al suo re sospetto vive » (v. 168). Nel capo 29 soprallegato poi, quan^
tunque rechi in mezzo l'esempio medesimo siccome intervenuto « ne' nostri tempi » e cognito
a « ciascuno che al presente vive », dipinge in questa guisa i portamenti di Ferdinando :
« prima gli levò la obedienza delle genti d'arme, e dipoi gli tolse le fortezze, ed appresso lo
menò seco in Spagna ; dove poco tempo poi, inonorato mori ». — Pertanto convien
mettere ben oltre al 12 dicembre 1515 la data di questo scritto ultimo, e riportare quella
dell'altro ad un tempo in cui, vivo Consalvo e ricondotto in Spagna, il M. potesse essere
a* suoi concittadini oggetto d'invidia e di calunnie. È chiaro parimente che nei Discorsi il
M. intese a rispondere sottilmente dell'osservazione che forse ebbe a muoverglisi di non aver
citato altro fatto della ingratitudine di Roma se non quello verso Scipione, « perchè della
sua ingratitudine si può dire che non ci sia altro esempio....; perchè Coriolano e Ca-
millo fumo fatti esuli per ingiuria che l'uno e l'altro aveva fatto alla plebe ». — Di Giovanni
Folchi, che al Machiavelli fu carissimo, si anno poche notizie negli storici. Il Cambi {De-
lizie degli eruditi toscani, voi. xxii, pag. 5) ne scrive : « Giovanni di Simone Folchi ebbe
delle fune e confinato nella Rocca di Volterra per 5 anni, morto 1518 ». — Ci fu dato
nell'Arch. fior. {Partiti e deliberazioni degli Otto di custodia, a. 1512-13 a carte 42t.) ri-
trovare la condanna di lui, del tenore seguente:
« Die secunda martii Ì5i8.
* Spectabiles Domini Octoviri etc.
« Pro conservatione presentii optimi et pacifici Status et regiminis Populi Fiorentini
vigore cuiuscumque eorum, dictique eorum officii auctoritatis potestatis et balie eisdem,
eorumque officio quandocunque et quomodocunque data concessa et attributa: et audito et
intellecto plurìes et pluries et multotiens Johanne infrascripto : Et visis et consideratis que
videnda et consideranda fuerunt: servatis servandis et obtento partito secundum ordina-
menta, deliberaverunt, condemnaverunt et confinaverunt dictum infrascriptum.
« Johannem Simonis de Folchis ad standum et permanendum in fundo Àrcis Veteris
Civitatis Vulterrarum per tempus annorum quinque proxime futurorum, initiandorum die
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488 CAPO SESTO.
ch'era per lui e per la città mancato, e che gli sapeva forse assai
maggior bene d'ogni altro male che avesse prima recato seco.
Ma, chetato il rumore, sepellito silenziosamente il grave
cruccio fra le ordinarie faccende della cancelleria, Niccolò in
due mesi e mezzo di vita modesta e occupatissima neirufflcio
suo, risarei lo strappo maligno recatogli alla riputazione; e la
necessità de' tempi che sempre più si facevan grossi e torbidi
ebbe presto a richiamamelo fuori. La prima occasione che si
colse fu piccola e però esente da invidia.
Ghino de' Rondinelli, potestà a Sansavino, da un pezzo
aveva già ragguagliato la Signoria di Firenze d'un insulto che
i sudditi fiorentini della comunità di Gargonza avevano recato
a quei dell'Armaiuolo, appartenenti al territorio sanese.^ Era
questione di confini, resasi col trarla in lungo più acerba; e
il Machiavelli mandato in Valdichiana ad accomodarla, impiegò
sette giorni ad appianar le cose, e a' di 20 di marzo tornò,^
per ripigliare più vigorosamente in mano la cura dell'ordinanza
militare.
Frattanto le vicende esteriori mutavano aspetto con una
rapidità tanto precipitosa, da togliere il tempo alla sorpresa e
a' provvedimenti insieme. Gli oratori di Venezia, nel portico di
San Pietro in Roma, fra le verghe sospese de' penitenzieri s'erano
prostrati in mala fede a terra, davanti al soglio di papa Giulio.^
Questa soddisfazione formale alla schernita città del Tebro
poteva bastare,'* e il pontefice, aperte le braccia alla repub-
blica ribenedetta e rinsuperbita, trovava pretesto a distaccarsi
pian piano, come capo della chiesa universale e padre de' fedeli,
qao dictus Johannes in fundo Arcis predicte immissus fuerit. In quem fundom et locum
predictam presentare se et introire debeat die quo in dictam Arcem veterem appularìt; «t
teneatur et debeat dictus Johannes dieta congnia actendere et observare sub pena rebellis
Communis Florentie, et conflscationis omnium honorum suorum.' Et post dictos quinqne
annos de quibus supra. dictus Johannes non possit exire, nec quomodolibet dimitti vel
relaxari ex fundo Arcis predicte, nisi obtento partito per octo fabas nigras per officìom
dictonim Dominorum octo custodie et balie Civitatis Florentie ; et non aliter quo quo modo »■
1 Arch. fior., Lett. ai Dieci, ci. x, dist. 3, n. 130 a e. 38. Lettera *die?!0 Tbris 1509».
■ V. ed. ult. Opp. M., t. I, pag. lxxv, Io stanziamento pubblicato dal Passerini.
* et. in Brosch, op. cit., app. x, la descrizione dell'assoluzione; e ibid., pag. 290 e segg-,
la protestano nulUlatis agendorum.
* I Veneziani burbanzosamente eransi testé chiamati eredi del senno, della virtù, della
grandezsa di Roma antica. Cf. Mabin Sanudo, Diarii, vi, 155, Epitaphium clarisnm s»-
natoris Marci Sanuti:
« Unica Marcus erat romano lingua senatu
vox patribus venetis unica Marcus erat.
Cesserat in venetos romana potentia patres
in Marcum Marci cesserat eloquium.
Roma effceta diu, muta est; fecunda virorum
urbs Marco haud poterit nostra carere suo! »■
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«TCONDO] GIULIO SECONDO ADESCA GLI SVIZZERL «9
da queUa lega di Cambrai, da lui, come principe crudele e
doloso, promossa; e andava man mano scoprendo la radicale
sua nimicizia verso la Francia.
Per questo impulso gli uomini ch'ei sceglie a strumento,
cambiano repentinamente qualità e fortuna. Il duca di Ferrara,
entrato già nella lega come gonfaloniere di Santa Chiesa, ne
esce scomunicato, in odio al papa che lo maledice e perseguita,
perch'egli vende a* Francesi in Lombardia il sai di Comacchio.^
Air incontro, rivestito di quella dignità il marchese di Mantova,
vien tratto fuori della Torricella da' Veneziani, che rendendolo
a libertà per voler del pontefice, bramerebbero farlo essi capitano
generale, di prigion loro ch'egli era.^ E Marcantonio Colonna,
testé lasciato partire dal soldo de' Fiorentini, già con suflScienti
forze e col favore della parte Fregosa è indirizzato a tentar la
rivolta di Genova; dacché è sempre il papa ligure l'incitatore
vano della sua Liguria, l'ansioso vendicatore della servitù di lei,
che vuol muovere tutte le forze possibili a oflFesa di Francia;
che non riuscendo ancora a collegare né Spagna, né Inghilterra,
né Imperatore a' danni di essa, la spossa tuttavia sottomano, to-
gliendole il nervo dogli eserciti suoi, que' mercenari che re Luigi
aveva vantato al Pandolfini come i soldati di cui intendeva
sempre valersi,^ quegli Svizzeri, che precisamente all'assedio
di Genova avevano insultato all' insuflScenza de' fantaccini fran-
cesi. ^ E per l'ambizione ecclesiastica, per la volpina sedu-
zione del vescovo di Sitten vien fatto a papa Giulio d'aggio-
gare al. carro della Chiesa il taurino e prode sangue d'Elvezia.-'^
Matteo Schinner, cui basta un cappello cardinalizio, é uomo
adatto a sbattere l'Amboise sempre cupido del papato; Matteo
* Cf. Luigi da Porto, Leti, storiche, pag.228. — Cf. Cuononz, Agostino Chigi il Ma-
gnifico, note 9, 10, 11.
* Cf. Mabin Sanudo, Diarii (ed. 1837, t. ii, pag. 49) : « Et il principe comenzò & dirli,
come qnesta terra e questo stato l'amava molto, et sempre hauia desiderato ogni suo ben.
e voluto farlo Capetanio sonerai di presone nostro che l'erra, et havia manchà per li soi.
Poi disse che Dio hauia uoluto per ben de Italia, che quello non si havia potuto far per
una via si facesse per altra, perhò il papa, qual è ditto padre di questo stato, et ha
deliberato scaxiar Francesi de Italia, e liberar prima Zenoa, la qual fin borra dia aver
fatto movesta, ecc.» — La bolla papale con cui il marchese ottenne il gonfalonierato di
Santa Chiesa trovasi nel Dumont, Corps dipìom, , t. iv, parte i, pag. 131.
* V. più sopra, pag. 371 e 892.
* Jban d'Autun, loc. cit. « Ainsi mesprisoient iceulex Aleraands les pietons Francois,
disant, que sans le sécours de leur Ligues, les gens d'armes à cheval de Franco n'au-
roient seur renfort de leurs pietons ».
s Flbubange, Mémoires, cap. l, dipinge Matteo Schinner tramezzo a' suoi Svizzeri
« comroe ung regnard qui presche les poules ». E il Guicciardini, Storia d'Itaìia. lib. ix :
« (il vescovo di Sion) la cui autorità era grande in quella nazione, e il quale non cessava
con somma efficacia di orare a questo effetto nei Consigli e di predicare nelle chiese ».
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490 CAPO SESTO. [libbo
Schinner, potente a voltare a' soldi della Chiesa i compatrioti
suoi, mestieranti di guerra, bisognosi e avidi del danaro, nel
momento che la decenne alleanza loro col re francese è spi-
rata, e questi lesina loro le sue provvisioni, facendo inopportu-
namente Taltero co* rozzi montanari, cui il pontefice è pronto
a ricomperar ad un patto l'anima e il corpo. E si rumoreggia
infatti che e'son già presso a vendergli l'uno e l'altra; e la
baldanza accresciutasi al fiero Della Rovere dà novella ap-
prensione d'inattesi tramutamenti. Disoprappiù la fortuna, quasi
volga essa stessa a rimuovere ogni impaccio all'andare avven-
tato e fatale di lui, gli stende sul letto di morte anche il car-
dinale di Rouen, l'uggioso pruno degli occhi suoi, lasciando-
glielo stecchito quando egli era più suU' imbizzarrire nella
bramosia della tiara. ^
La corte vaticana e la cancelleria apostolica pe' rischi
cessanti e i lucri emergenti che seguivano, alleluiarono a
quella morte; dappoiché colla vita del cardinale finiva la le-
gazione di Francia e i guadagni de' benefici vacanti tornavano
a Roma.* In corte del re cristianissimo all' incontro si pian-
geva cordialmente la perdita di quell'uomo, che quantunque
a' di nostri dagli stessi scrittori francesi sia riconosciuto per
una mente angusta, un animo irresoluto, un impasto vano di
cupidità e di lascivie,^ a' suoi connazionali, de' quali ben seppe
attirarsi l'aflFetto, parve allora un portento di saggezza e d'acume
politico. I panegirici che di lui si anno, quei del Le Gendre e
del Baudier, ci provano per fermo che ni un cardinale riuscì
mai a farsi ben volere dal popolo, come lui. Egli fu esaltato
sopra tutti i predecessori e i posteri in quell'ufficio, sopra un
la Forest, un de la Grange, un Balue, un Brigonet, un Birago,
1 Louise de Savoie, Son journal, ed. Pétitot, voi. v, serie 1" : « Le 25 de may 1510,
environ midi, à Lyon, aux Célestins, mounit monsieur le legat George d*Amboise ». — Cf.
Baudieb, Vie du cardinal d'Amboiie, pag. 246: «II mourut à Lyon le vingtcinquiesme jonr
de may de l'année 1510, sMgé de cinquante ans ». — Le Gendre, Vie du card. d'A.,
pag. 321 : « lì expira sur le dix heures du roatin, prononcant la première parole du sjm-
bole, le 25 may 1510, la dix septième année de son epìscopat, la douziesme de son mini-
stèro, et de son ago la cinquantiesme ». — All'esequie di lui s'associò un accompagno
« de onze mille prestres, douze cens prélats et de deux cens gentilshommes ». — V. Triomphe
des obseqttes du dit sieur legat in seguito all'opera del Le Gendbe.
* Paride de Grassi, Diario ms., ad ann. 1510, dopo riferita la nuova della morte del
Rotomagense, dice di lui : « quod fuisset causa omnium malorum quae fuerunt multis anais
in Italia, tam in bellis et mille scandalis, quam etiam in paupertate totius romanae curiae ;
nam ipso omnia, ut Legatus in Galliis concedebat, quod papa hic Romae concedere non
consuevit, et propterea omnis romana curia, et praesertim cancellaria letata
est in morte illius, cuius anima requiescat in pace, amen».
« Cf. Ddmesnil, Histoire de Jules II, pag. 140-1, Paris, 1873. — Michelet, Histoir»
de France, t. vii, pag. 198.
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secondo] il machia VELLI E IL CARDINALE D'AMBOISE. 491
un Richelieu e un Mazarino ; sopra tutti gli altri cardinali mi-
nistri degli stati europei.^ Pure, in mezzo a tanta adulazione di
contemporanei, cinto di tanta potenza, non mai cimentato dalla
cattiva, schernito spesso dalla buona fortuna, se quell'uomo udì
mai una voce libera e dignitosa che gli parlasse il vero, fu
quella del coraggioso Segretario fiorentino.
Niccolò era piccolo, minimo rimpettó a lui; ma forza di
logica e amor di patria gli davano valore di propulsare gli
insulti lanciati dal cardinale di Rouen alla fiacchezza d'Italia.
— «Gl'Italiani non s'intendono della guerra, avevagli detto
burbanzosamente l'Amboise a Nantes; e questa verità tristis-
sima era penetrata aguta nel cuore del Machiavelli. — Ma « e i
Francesi non s' intendono dello stato, replicò egli subito al car-
dinale avventuroso, altrimenti non lascerebbero venir la Chiesa
in tanta grandezza » ; * che precisamente allora avevano dato
braccio inconsulto alla potenza del Valentino.
Ora, questa risposta, che, a chi non fu testimonio di quei
tempi, può sembrare più bella che vera, acquista grandissima
eflSlcacia quando si risguarda come l'ultima conclusione della
requisitoria, che fece il Machiavelli contro la direzione data
dal cardinale alla politica francese nel primo decennio del se-
colo decimosesto. — « È cosa veramente molto naturale e or-
dinaria desiderare di acquistare, scrive Niccolò,^ e sempre quando
gli uomini lo fanno che possono, ne saranno laudati e non bia-
smati; ma quando non possono e vogliono farlo a ogni modo,
qui è il biasimo e l'errore. Se Francia adunque con le sue
forze poteva assaltare Napoli, doveva farlo; se non poteva, non
doveva dividerlo. E se la divisione che fece coi Viniziani di
Lombardia meritò scusa, per aver con quella messo il pie in
Italia, questa meritò biasimo per non essere scusata da quella
necessità. Re Luigi à dunque fatto questi cinque errori: spenti
i minori potenti, accresciuto in Italia potenza a un potente,
messo in quella un forestiere potentissimo, non venuto ad abi-
tarvi, non vi messo colonie». Questi cinque capi d'accusa, ed
un sesto che poc'oltre nel citato luogo del Machiavelli appa-
risce sottinteso 4 furono altrettanti chiodi per cui la gloria del
* Cf. Le Gendrb, loc. cit.
* Machiavelli, Il Principe, cap. ni.
* Machiavelli, loc. cit.
* Id., ibid. — Il sesto capo d*accasa a cai s'accenna è la concordia tra il re di Spagna
e r Imperatore, quella che il Guicciardini {Storia d'It., lib. viii) disse conclusa « per poco
consiglio del cardinale di Roano, che non considerò quanto questa congiunzione fosse male
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492 CAPO SESTO. [uBVt
più popolare fra i cardinali di Francia rimase confitta al suolo;
ne bastarono gli antimachiavellici a sconficcar quelli, né i pane-
girici a sollevar questa ; né il Roederer fece prova di buona cri-
tica quando contro le affermazioni di Niccolò si sforzò produrre
argomentazioni di contrarie ipotesi.^
Il cardinale di Rouen rimane pertanto anch'esso, fra gli
agitatori del suo tempo, come un cieco che obbedisce all'im-
pulso di forze recondite, che, senza coscienza del fine, senza
intuito del risultamento estremo, spinge le genti francesi sopra
il suolo italiano ^d accozzarsi coU'altre genti romaniche e colle
tedesche; e, fatto piuttosto per determinare le reazioni che per
misurar la portata dell'azione sua, non riesce ad alcuno dei
fini cui mira, non soddisfa nessuna delle sue brame; muore
senza aver toccato quel papato, cui aveva talvolta sagrificato
l'utile della patria; muore senza aver abbassato l'Impero di
cui conosceva la fiacchezza, e di cui pure invidiava pel suo
monarca il fascino e la parvenza; senza aver fondato nulla
che gli sopravviva, con tanti tesori e tanto sangue di Francia
in vane conquiste gittate. Egli muore e papa Giulio l'accom-
pagna col suo ghigno sacerdotale in articulo mortis; e Mas-
similiano pensa che al pontificato massimo usurpato rimane un
attentatore di meno; muore, e il Segretario fiorentino, logico
e ineluttabile come la morte, dalla cancelleria di Palazzo
Vecchio gli pronuncia sulla bara la fredda e incancellabile
sentenza, registrata nel Principe: « i Francesi non s' inten-
dono dello stato ». —
a proposito delle cose del suo re; condotta a perfezione, perchè parendogli forse che il
farsene autore gli potesse giovare a pervenire al pontificato, se ne interpose con grandis-
sima diligenza e fatica». — E il Machiavelli, loc. ctt. in fine: « E per esperienza si è
visto, che la grandezza in Italia di quella (della Chiesa) e di Spagna, è stata causata da
Francia; e la rovina sua è proceduta da loro».
* RoEDRREB, Louis XII 6 Frattffois /, e. iv, pag. 33w « Tous les historiens, et parti-
culièrement le président Hénaut, ont attrìbué la perte de ses conquétes en Italie à cinq
fautes capitales, qui ont été iudiquées par Machiavel dans son livre du Prince et qa*ils
ont crues bien manifestes. 1. lì ruina les faibles. 2.11 fortifia un puissant..., etc. En effet
si Louis XII eAt laissé les petites puissances dans leurs vigueurs, il eùt péri par lee pe-
tites puissances. S'il ne se fftt allié avec Alexandre VI, il eùt péri par elles et par luì
réunies. S'il n'eùt appelé Ferdinand, il n'eùt pu conquerir Naples et eùt succombé devant
Alexandre VI. S'il eùt habité l'Italie, il eùt perda la France et l'Italie ».— Ibid., pag. 363:
« Les uns (des historiens) lui ont reproché, sur la foi de Machiavel, de les avoir mal con*
Ques (ses conquétes), mal conduites, mal terrainées. Les autres, plus judicieux, mais non
plus justes, lui ont reproché de les avoir entreprises. J'ai prouvé que les prémiers n'avaiect
pas entendu Machiavel : que mal concues et mal conduites, dans le language de cet ^ri-
vain signifiaient, con^ues et conduites lojalement (?) ; que mal terrainées ne signifiaient pas
terminées sans fruit, car Machiavel reconnoit que la réunion de la Brétagne à la France fat
le fruit des guerres d'Italie (!?); mais terminées sans tous les avantages qu'one insigne
mauvaise foi aorait pu se ménager ».
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SBCONDoJ IL MACHIAVELLI NUNZIO ALLA CORTE DI FRANCIA. 493
Ma men che inutile tornava l'intendersene agl'Italiani,
sprovvisti, com'erano, d'ogni buon ordine, deboli e fra loro
astiosi. E pur troppo la morte del cardinale di Rouen lasciando
incerta e in mani insuete l'amministrazione degli affari, dava
ai nemici della Francia un agio maraviglioso a nuocerle, e
lasciava sospesi e in balìa degli avversari i fautori dell'al-
leanza francese. Pure, quel che la destrezza politica poteva
valere in condizioni cosi difficili, Firenze e il Machiavelli lo
mostrarono; e se i partiti da loro proposti fossero stati seguiti,
si sarebbero forse evitate sciagure e vergogne; ma rado è che
i consigli s'accettino per la sola cagione ch'e'son buoni; e
sempre inefficace è il consiglio dei deboli.
Firenze, com'era naturale, posta in mezzo, fra il pontefice
furibondo e i possessi francesi di Lombardia, atterrita dal
presagio veneto:
— E 8* il primo son io tu verrai meco —,
impossibilitata a rimanere in bilico nella lotta che apparec-
chiavasi, vedeva in questa il pericolo supremo di quel ch'essa
chiamava la libertà sua ; vedeva la scabrosa necessità di dis-
simulare, non fosse altro, l'intenzione di restar neutrale
fra i contendenti. Al primo riaversi de' Veneziani, al primo
sentore che il papa si valeva de' Svizzeri, alle prime dimostra-
zioni che quegli e i Francesi le fanno per indurla a dichiarare
da che parte la sia ^per gittarsi, essa pensa, se è possibile, di
dar consigli, d'esercitare un arbitrato di pace; tenta d'indu-
giare almeno il prorompere della guerra; e a condurre nego-
ziati cosi difficili, manda in Francia Niccolò Machiavelli, con
qualità di nunzio,^ per sino a che altro oratore non siavi spedito.
Il Segretario parti, a'di 24 di giugno,* munito non solo di
commissione, d'istruzione e di credenziale da'Dieci, ma accom-
pagnato ancora da una lettera particolare di Piero Soderini,
che è l'unico documento rimastoci ad attestare la qualità della
missione affidata allora al Machiavelli. A noi non è dato poter
fare paragone fra gli ordini che il Gonfaloniere perpetuo im-
parti in questo scritto al cancelliere della seconda cancel-
leria, e quelli tracciatigli da' Dieci in tale congiuntura. Noi
> V. Arch. di Stato fior., Istruzioni e Missive, reg. 34 a e* 4t. « Mittimas ad Cristia-
nissimam Majestatem vestram nuntium nostrum Nicolaum Maclavellum civem et secre-
tarinm nostrum >.
* V. lo stanziamento pubblicato dal Pabsbbini, loc. cit., pag. LXXvi.V.la notainApp.
bXV Analisi degli Apografi di G. de' Riccia § xu. —
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4W CAPO SESTO. [libio
non possiamo sapere se anche questi abbiano voluto dichiarare
quel che messer Piero commetteva a Niccolò d'affermare
a re Luigi : « io non posso credere che la patria mia possa
avere alcuno bene, senza l'onore e il bene della corona di
Francia, io non stimo l'uno senza l'altro ». — Ma sappiamo
bensì che oltre queste proteste di devozione immutabile e ve-
ramente eccessiva, che il Machiavelli dovea ripetere anche
da parte del cardinale di Volterra, egli aveva ancora ad in-
citare sua maestà a tenere i Veneziani battuti, a provocare il
re d'Ungheria che movesse loro guerra in Dalmazia,^ «perchè
se perdessero quelli luoghi, sarebbe al tutto la rovina loro, ne
il rè arebbe più a dubitare che risurgessero > ; quando questo
non riuscisse, basterebbe temporeggiarli colla guerra, tenersi
ben congiunto coU'Imperatore, non rompere col papa, « perchè
se un papa amico non vai molto, inimico nuoce assai, per la
riputazione che si tira dreto la chiesa, e per non gli potere
far guerra de directo, senza provocarsi inimico tutto il mondo ».
Del resto nel temporeggiare con tutti era il gran consiglio del
Sederini, e nel raccomandarsi la sua speranza.
Ora, dal contrasto fra queste meschine istruzioni e l'opera
grande, coraggiosa e fedele, che Niccolò cercò di condurre in
Francia a prò della patria e del gonfaloniere medesimo, risulta
lucidamente la sovrana capacità politica che in lui s'ascondeva
e che avrebbe potuto recare effetti mirabili, s'egli non fosse
stato ministro d' impotenti o consigliere di chi non s' intendeva
dello stato. Non ci fanno difetto i ragguagli di questa com-
missione; che anzi, a differenza delle altre da lui disimpegnate
in condizioni difficili e di luogo e di tempo e di materia, poche
lettere egli ebbe a scrivere in questa che non recapitassero
al loro destino.* Ne sovrabbondano i manoscritti, avendosi a
* Fra l'Ungheria e Veneria intercedevano, specialmente per sospetto della pot«nf a d>
Massimiliano, relazioni cordialissime d'amicizia. Cf. Marin Sanudo. DiarU, vi, 3i8: « X^W-
di Hongaria dat€ a Buda del segretario twstro. Chome il re si havia raso la barba; ert
varito, 0 andato a messa; et la raina è graveda e à dito a esso secretano, per esser fioU
di la Signoria, voi questa Signoria li provedi di mandarli una comare la lievi dil suo parto,
qual tien certo sarà uno fiol maschio, che sarà tutto vostro ».
» Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 151. Leti, de' Dieci al M, «ex palatio fior. die 3 au-
gusti M.D.x. Sarà con la presente copia di una nostra de' 28 del passato, et roandansi p«r
insino a Milano ad posta, per causa che hauendola mandata dua volte et per il Botietp«r
il Basciani, l'uno espedito da noi, l'altro da altri, sempre sono state ritenute ad Pam*:
et inoltre Bacocco, che venne stamani da Lione, ci disse esserli state tolte in Alessandna
tue lettere de' 26 tutte aperte. Questo disordine non A stato piccolo, et fino ad qoi P"*
haver nociuto più alle cose del re che ad noi ; perchè ne sono state anche ritennte assai
che andavono ad Milano» ecc. V, anche una lettera de' Dieci a Francesco Pandolfini ora-
tore presso lo Chaumont a Milano, pubblicata dagli editori ultimi delle Opp. del M. (voi. vi,
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SBOONDO] DIVERSITÀ SELLE LETTERE DJ QUESTA LEGAZIONE. 495
disposizione della critica il testo officialmente spedito, la mi-
nuta e più minute talvolta, od autografe di Niccolò o trascritte
nel copiario dal Ricci, e notate per sommario dal Machiavelli
medesimo ne' suoi registri. Ma forse appunto perciò che di ma-
teriali non era penuria, tanto chi li mise insieme, quanto chi
se ne giovò a edificare, poco s'affaticarono intorno alla scelta
e alla classificazione di essi. Com'era ben naturale, essendo tra-
scritto nel copiario del Ricci e in quel del Tafani il testo ri-
cavato dalle carte rimaste presso Niccolò Machiavelli, si ebbe in
questo più spesso il disteso delle prime minute o il sommario
de' registri di lui, che non quella più precisa e più cauta espres-
sione di pensiero, che il Machiavelli recò a perfezione nelle
lettere officialmente inviate. Pertanto mentre quest'ultime sa-
rebber dovute sembrare a giudiziosi editori la lezione prefe-
ribile a tutti gli altri contesti, ^ il biografo non poteva dispen-
sarsi dal mettere a comparazione gli uni cogli altri, colla cer-
tezza di sorprendere in questo studio qualcosa meglio che sem-
plici minuzie filologiche.* L'indicazione di nomi, per esempio,
pag.51 in nota) intorno a questo proposito.— Stando al contesto d'una minuta (Arch. flotf^
reg. X, Missive, 340-9) della lettera dei Dieci al M. « die 29 junii m.d.x. » (Bibl. Naz. doc,
M., busta V, n. 142) nella edizione ultima pubblicata senza data, del Machiavelli sarebbero
giunte anche altre lettere in data de*«xix giugno, tenuta a' di xx », de' di xxiìij dello stesso
mese che oggi più non si trovano. — Nella lett. 10 e 13 (ed. ult., vi, pag. 25) vien fatta
menzione delle « poste regie », delle « poste del Re » istituite già da Luigi XI, cf. Oomines,
Mémoireè, 1. v, e. x e la Dissertazione sulle poste degli antichi del Collbschi, pubbli-
cata in Firenze nel MDCCXLVI < nella stamperia ali* insegna di Apollo » ; in cui si ra-
giona assai adequatamente delle poste regie di Francia.
^ Neirediz. ultima curata dai sigg. Passerini e Milanesi si tenne generalmente questa
norma ; la Oambiagiana dette più sovente lezioni più simili a quella del ms. di Giuliano
de' Ricci. Nell'App. che apporremo al voi. ii, contenente la notizia degli autografi del M.
da noi consultati apparirà più chiaramente la ragione delle discrepanze fra le diverse pub-
blicazioni. In genere, dove l'edizione si fece sugli apografi, manca la parte notata in cifra,
a meno che il decifrato non siasi trovato negl' interlinea.
' Cosi, nella lettera di N. M. ai Dieci « die 13 augusti, ex Bles », il testo cambiagiano,
ripetuto nelle susseguenti edizioni, fu prodotto dall'apografo del Ricci. Nell'ultima edizione
soltanto comparve quello originale dell'Archivio di Stato ; e fra questo e l'altro incontrano
varianti che anno importanza di piccole rivelazioni storiche. Ad esempio :
Ed. ult. (vi, 66-68)
«...ed appresso desinare el cancelliere
con gli altri cinque del Consiglio mi feciono
chiamare, ed il cancelliere dopo un grande
esordio » ecc.
Ed. Camb. (v, 364-66) :
« ...ed appresso desinare monsig. l'Ora-
tellis (secondo il ms.barb. < l' Ortellis ») con
gli altri cinque del Consiglio mi fecero chia-
mare » ecc.
Dì questo Oratellis od Ortellis i traduttori francesi dell' Opp. di N. M. non si occupano
punto. Il BucHON {(Euvres complètes de .V. M., Paris, 1S37, t. ii, pag. 512) si contento di
osservare : « Je ne puis redresser ce nom. Machiavelli estropie souvent les noms francai»
en Italien ». Ma il M. seguita in questo la pratica de' suoi contemporanei d'ogni paese, di
scrivere cioè i nomi secondo il suono nella pronuncia inteso. Quel che è più probabile in
questo caso è che i copisti, trattandosi di cognome, non sapessero ben leggere nell'ori gì
naie del Segretario fiorentino. Non sarebbe egli possibile che in luogo di l' Ortellis od Ora-
tellis questi avesse scritto Bochetel, e che si trattasse precisamente di quel pei%onaggio
di tal nome che appunto insieme con Florimondo Robertet e con Roberto Gedoin era se-
gretario della finanza?
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J96 CAPO SESTO. [libro
che certe volte nel testo officiale vien supplita con reticenze
o con designazioni generiche o con allusioni, spesse volte oc-
corre schietta nelle prime copie, siccome quella in cui la più
discreta segretezza non ancora à posto in gioco tutte le cau-
tele sue. Ma questa segretezza, più naturale e necessaria a chi
governa gli affari de* fiacchi, non trovava alcun riscontro nella
politica sbadata e spavalda della corte francese. Il Rubertet
diceva tutto con tutti, faceva nomi, dimostrava intenzioni, mi-
nacce, preparativi.^ Che grande contrasto colla corte imperiale,
colla Germania muta, diffidente, imperscrutabile ! E la prossi-
mità di questo contrasto, e i preconcetti classici per cui la
Francia de' Valois dagli umanisti, in certo modo, si riguardava
ancora collo stess'occhio che la Gallia de* tempi di Cesare; ed
oltracciò, l'aperta corruzione dei ministri, volti sempre cogli
occhi dov'era loro proteso un dono, dove li adescava la con-
sueta maìmnona iniquiiatis,^ predisponevano l'animo del Ma-
chiavelli a poca simpatia per gli uomini coi quali era mandato
a negoziare e colla nazione che essi sgraziatamente rappre-
sentavano.
Giunto a Lione, a' di sette di luglio, vede già che e* è chi
si letica i diecimila ducati rimessi a' banchieri di quella città,
da esser pagati in segretezza, come donativo, al cardinale di
Rouen, per la morte del quale erano rimasti giacenti ed incerti.
Ma lo Chaumont siccome nipote del cardinale, e il Rubertet
siccome quegli che dava a intendere ai Fiorentini di portar per
loro pondus diei et aestus, ^ vi stavan già cogli occhi addosso,
e l'unico modo che il Segretario indica a non perderli è farli
pagare a' due pretendenti la metà per ciascuno, in conto della
loro porzione. Segue poi il cammino per Blois, ov'è la corte,
e quivi, ricevuto dal Re, con grandi amorevolezze per la Re-
pubblica: — « Segretario, questi gli dice, io non ò nimicizia
né col papa, né con alcuno, ma perchè ogni di nascono delle
amicizie e delle inimicizie nuove, io voglio che i tuoi Signori,
^ Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 152. Lett. de^Diaci al M., in cifra col decifrato del
M. « die 3 augusti m.d.x. Però fia bene parlarne con Rubertet et mostrarli che qaesta
larghesa in conferire e* pensieri loro reca disordine ad loro et noi ha messo in gran pe-
ricolo ; e tutto diceua la Maestà del re avea conferito al Tiboli ».
> V. sopra a pag. 810.
* Macbiatblli, Commissione 3^ in Prancia, leU. 10. Il Flbubangbs, Mémoires, cap. xlu,
scrive : « Le trésorier Robertet, qui pourlors gouvemoit tout le royanme, car depuis que
monsienr le légat d*Àniboise mourut, c*estoit l'homme le plus approché de son maistre et
qui sf aveit et avait beaucoup vecu, tant du terops du roy Charles que du roy Louis ; et
sans point de faulte, c^estoit l'homme le mieux entendu que je pense guéres avoir veu et
de meilleur esprit » ecc.
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8EeMiB«>] IL MACHIA VELLI ALLA- CORTS DI FRANCIA. 497
senza^ dimorare punto, si dichiarino di quello, e di quanto vo-
gliono f!gire in mio favore, quand'egli' occorressi che' il' papa o
altri molestasse o volesse' molestare gli stati miei che io tengo
in Italia; e manda* uno apposta subito, perchè io ne abbi ri-
sposta presto, e me lo faccino intendere o^ a bbccah o p^er let-
tere, còme pare a loro, perchè io* voglio sapere chi è mio amico
o mio inimico; e scrivi loro a rincontro, che io per salvar lo
stato loro, oflFro tutte le forze di questo regno er venire con la
propria persona >.i E dopo liii il Rubertet rimasto a solo col
Machiavelli, insistendo con maggiori conforti: non ci può es-'
sere che la morte, gli dice, che trattenga il re dallo scendere
in Italia; e ormai a- questo viaggio egli si è avvezzato; né', com-
piutolo, vorrà trattare accordi se non colla spada.
Niccolò seguitai poi nello stesso giorno a render visita ce-
rimonialmente agli uomini n\ioviy che, morto TAinboise, 4^si'
trovano a governare *i? Tra questi principalissimo il vescovo
di Parigi, Stefano Poncher; il quale, uom dabbene, non era
stato mai tra' fautori^ non mai tra i lodatori delle conquiste
francesi in Italia. Deiranimo mite, della serena intelligenza di
lui il Segretario rende bella testimonianza a' suoi Signori: «È
costui . d*' ingegno riposato e tenuto savio, e veramente ei non
posse' parlare più discretamente delle Signorie vostre e dèlie
cose che al presente si veggono surgere; & discorse quanto il
papa errava a^ vtolere senza cagione alcuna, per far male ad
altri, mettere in pericolo sò^ e tutta Italia; e che se questa
guerra^ andava innanzi, è un pezzo che non fu mai- vista la
maggiore e la- più ostinata; perchè il re, quanti più benefizi
à fatto al papa, e quanto più à desiderato Tamicizia sua, tanto
più gli sarà crudèle inimico e perseguiterallo nello stato e
nella i persona, e; crederà essere scusato e con ttrtto il mondo
e con Dio >>. — Peròùl Poncher esorta' i Fiorentini ad esser
<c bttoni francesi», soggiungendo: «quando ii papa fosse ini-
mico, non vi à a ritenere questo, perchè il re non dubitò fare
contro al papa (aHempi d'Alessandro sesto) per salvarvi lo
stato nelle cose d'Arezzo e obbligò il figliuolo (il Valentino)
ad andane colla correggia al collo a ^trovarlo in 'Asti; sicché
voi' gli avete' orai a render l'opera e scoprirvi a buon ora, a
ci& che il benefizio sia più grato, il ch^ potria> tornare in be--
nefizio vostro >. —
1 MACBtAvciiU, CommiMfOfM 3*" ali»' Corte d4 Francia, Iett.l0-(e4. uh:, yz, pag. 17).
> MÀCBiAirBt.Li, ComfRÌ8tion9 cit., letti xi, (ed. uh.)
ToMMABiNi - Machiavelli. 32
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498 CAPO SESTO. [libro
Al re che domandava un dichiarazione sollecita, al vescovo
che consigliava una dichiarazione amica, come rincalzando,
seguitava il cancelliere Giovanni de Ganai, il quale da « uomo
caldo e tutto collera » visitato per terzo da Niccolò, esordì
« con una grande rimesta » data contro ai Fiorentini, perchè
essi avevano tolto il loro ambasciatore dalla corte del Cristia-
nissimo, e dato licenza a Marcantonio Colonna, espressamente
perchè n'andasse col papa.
Le recriminazioni si fanno ogni di maggiori e Niccolò dee
spendere non poca industria a quotare le facili e continue ir-
ritazioni. Omette di visitare il vescovo d'Amiens e il signore
di Boucicaut « due altri de' primi del Consiglio » perchè i con-
siglieri reali « in su questi moti stanno sempre insieme e non
si possono avere alla spartita > . Apprende dall'ambasciatore di
Spagna e da quei cesarei, dei quali quivi n'è due, uno stan-
ziale, l'altro spedito recentemente con commissione apposita, che
l'Imperatore e il re di Francia son tra loro nella più stretta e
perfetta unione « e che quella maestà non è mai per disunirsi
con questa ». — « Ora, soggiunge Niccolò, se li è vero lo sco-
prirà el tempo ». —
Visita l'oratore del pontefice « che è un signore vera-
mente dabbene, e molto prudente e pratico nelle cose di Stato »
e gli sembra ch'ei sia « tutto male contento di questi moti, e
tutto maravigliato come questa cosa sia così ad un tratto ve-
nuta al ferro ». — Non sa su che forze possa fondarsi il papa,
non à ragguaglio di sorta. « Dissemi bene, scrive il Machia-
velli, che quando e' pensava che guerra poteva esser questa, e
in che modo assaltata e difesa, se ne raccapricciava tutto, e
in ultimo li dolo delli errori che si erano fatti in Francia e
in Italia, de' quali e' poveri popoli, e e' minori principati sarieno
e' primi a patirne, e che da lui non era rimasto di mettere
ogni pace ». Ma quell'uom dabbene ormai alla pace non 'cre-
deva più; né altro Niccolò ritrasse da lui.^
Di questo nunzio pontificio sì degnamente animato da sen-
timenti umani, così commosso al pensiero della miseria d'Italia,
che il furibondo pontefice provocava, è singolare che ne il Ma-
chiavelli disse mai il nome, né indicò la qualità. A quanto
pare, volle occultarlo di proposito,* ed ebbe forse ad esser
^ Machiavelli, Comm. cit., lett. xi (ediz. ult.]
* Questo risulta specialineute dalla comparazione delle minute apparecchiate dal M.
col testo delle lettere spedite. Citiamo, ad esempio, la lettera in data « die 3 augusti 1510
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SBCONDo] IL VESCOVO DI TIVOLI. 499
pregato della maggior riserva dall'oratore medesimo, il quale
sentiva che grande pericolo era l'attentarsi a farla da paciero
quando papa Giulio offriva al mondo lo spettacolo strano d'un
pontefice bellicoso.
Quell'oratore del resto era il vescovo di Tivoli, Camillo
Leonini; recentemente succeduto in quella sede al proprio zio
Angelo, uomo espertissimo d'aflFari, trasferito all'arcivescovato
di Sassari. La famiglia Leonini godeva fra le altre casate ti-
burtine di grande autorità e potenza per le vaste ricchezze e
le nobili aderenze sue. Stretta co'Tebaldi e i Coccanari nelle
fazioni baronali di Roma diramate alla campagna, aveva par-
teggiato per gli Orsini contro i Fornari, i Zacconi e i Marescotti,
i quali, dediti alla parte colonnese, soggiacquero. Ne' diflScili
tempi borgiani i Leonini non perderono punto autorità e favore;
furono accettissimi a papa Giulio, al quale Angelo era avvinto
per lunga e intima comunione di vita. Il cardinale de' Medici
li corteggiava, vagheggiando unione di parentado con essi, ed
oggi, sulla facciata della chiesa di San Domenico in Tivoli ancor
si veggono insieme annestate l'arme de'Leonini e de' Medici. ^
in Bles » che gli aitimi editori delle Opp. di N. M. dettero per la prima volta secondo il testo
deir Archivio di Stato fior. {Lett. ai Dieci, f. 100, e. 200) e che precedentemente era pub-
blicata secondo la lezione AéiV Apografo Ricci (V m. App., § xv). Ora, gli editori sullodati
invitano con ragione i lettori ad attendere alle notevoli differenze tra le lettere del Mar
chiavelli secondo le antecedenti edizioni e quelle edite secondo il testo da loro recente-
mente pubblicato. Se non che, dov'essi son meno nel vero, è nell'assegnare la cagione di
queste discrepanze di lezione ; che certo non è nel pubblicar essi quelle lettere « copian-
dole dagli autografi» per la prima volta; poiché anche Oiulian de' Ricci copiava dagli
autografi di Niccolò; ma si quegli autografi non erano i medesimi; e se maggior valore
d'autenticità, per quanto aveva portata politica, è da attribuire agli scritti pervenuti
a' Dieci, siccome più accuratamente deliberati e corretti, quelli che rimasero presso del
Machiavelli, come scrittura di primo getto, non àn minore importanza storica, e talvolta
danno lume a rischiarar circostanze rimase oscure in quelli. Cosi nella lettera indicata,
dove nel testo della Cambiagiana, che riproduce quel dell'apografo del Ricci, è detto
chiaro : « ed avendo spesso questi ragionamenti con l'oratore del papa, al quale dolgono
infino all'anima questi movimenti. Rubertet mandò una sera per Giovanni Girolami, il
quale fa qui faccende, in questa corte, di Monsig. di Volterra », in quello dell'Archivio
di Stato è supplito a questo modo : « ed avendo spesso questi ragionamenti con uno uomo
qui di grande autorità, al ^uale dolgono infino all'anima questi movimenti, Rubertet mandò
una sera per Giovanni Girolami, el quale fa qui certe faccende in questa corte come sa
Alessandro Nasi » ; ed ognuno intende la causa e il valore della mutazione. Né l'oratore
del papa vi è mai più nominato, ma designato solo e costantemente come « l'uomo d'au-
torità che di sopra si dice », « quel tale », ecc.
^ Bartolomea nipote del card. Giovanni de* Medici andò moglie di Vincenzo, fratello
di Angelo Leonini. Sulla sepoltura del vescovo dì Sassari nella cattedrale tiburtina fu scol-
pito il seguente distico, non meno a onore del morto (1517) che a rampogna de' contem-
poranei :
« Si similes essent alii. quae partica tela
Relligio metuit nunc metuenda forent».
Cf. AnT. Fr. LoLLi, Annali storici della cUtà di Tivoli, lib. vi, cap.4, ms. nell'Arch. di
Stato di Roma. — Ughblli, Italia sacra, t. i, col. 1312. La famiglia Leonini era de-
votissima a papa Giulio. Del vescovo Angelo, quando ei toma oratore a Venezia nel de-
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TiOO CAPO SSSTO^
Qra» papa Giulio, destro conoscitore degli uomini, ave^a
divisato afruttare a vantaggio della sua guerra, la pietà e la
mansuetudine del buon vescovo, fatto a bella posta per soffer-
mare e intrattenere con religiosi e caritatevoli conforti le po-
derose armi del re di Francia. La carità del sacerdote combi-
nandosi colla devozione della regina brettone, sarebbe stato
freno tenace e inavvertito a ogni deliberazione celere del re,
e il pontefice avrebbe riso e trionfato così d'un- nemico inutil*
mente, forte.
Il Leonini dunque, in piena buona fede e colla persua-
sione di far cosa utile alla cristianità e conducente alla salute
d'Italia, cominciò a mostrare il disegno e l'opportunità d'una
mediazione fra il pontefice e il Cristianissimo. Ma una simile
mediazione non poteva sorgere d'iniziativa sua, e convenivasi che
una terza potenza, inframmettendosi, la concordasse. Chi avrebbe^
potuto assumere cosi bell'ufficio più acconciamente che la Si-
gnoria di Firenze, ben accetta ad entrambi gli avversari, da-
tutti e due sollecitata a dichiarare a qual parte intendeva ade-
rire, e collocata siffattamente tra' due belligeranti che, quando
questi venissero alle mani, la si sarebbe trovata in mezzo al-
l'urto loro? C'eran pertanto tutte le ragioni d'interesse e di
convenienza perchè il Machiavelli accettasse di raccomandare
la proposta fatta al suo governo. Egli vedeva i gravi pericoli
che l'acerbo dissidio fra papa e re suscitava e alla sua città
e al Soderini soprattutto, che personalmente si confidava in
lui. * Laonde, d'accordo col nunzio papale e col Rubertet
strinse Giovanni Girolarai, il quale ivi in corte faceva gli
affari del cardinal di Volterra, a partir subito per Firenze,
cembro 1503, è detto ch'egli è « servitor del ponteflce, stato anni 18 in casa soa ». (Mawn
Sanudo, Diarii, (v, 477-47^). — Rispetto a Camillo Leonini, il cardinale di Volterra cosi
esprlmevasi al M. : « Havete in corte lo arcivescovo oratore pontificio, homo prudentis-
8imo et che vale assai. Siamo certi vi vederà volentieri et per nostro amor, perché è
amicissimo; conservatevelo che ne farete capitale et ne caaerete fructo assai et aiuterete
Tuno Taltro al bene comune ». — (Bibl.Nas,, doc. M., busta iv. n. 111). Franciacus card.
VoUerraniM bcMlicce XII SS. Aplort4m pbr cardinalis tp. v. y. M* aro Ecc.— Reip. Fior,
apud X.<"«"* Rggem compatri nro Car.^o « Florentiae xxviii jonii m.d.x ». — Ci mara-
viglia che i diligenti editori delle Legazioni del M. (edis.ult) non abbian creduto che
questa lettera fosse a dare in luce fra la corri spondensa del Segretario nella presente
commissione in corte di Francia; tanto più che da questa si rileva come i propositi
di mediazione tra il pontefice e il re Luigi partissero anzi tutto dairaccorto cardinal di
Volterra. Egli infatti, poco sopra, stimola cosi il fidato Segretario: « confortiamovi, oltre
allo offltio che farete per la patria usar omni diligentia che si tenga in buona unione co-
testo prìncipe alla S.tA del papa, il che non solo è per giovaro alloro: ma a noi, et a tutta
Italia ».
^ In una sua lettera « addì 26 luglio 1510 » lo apostrofa « egregie amico noster caris-
sime». (Bibl. Nas.. doc. M., busta v, n. 61).
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SBCOtfDo] FIRENZE MEDIA TRICE TRA IL PAPA E LA FRANCIA. 501
a ^persuadere la Signorìa e segnatamente il cardinale Sode-
rini ad accettare prontamente l'ufficio di mediatore * perchè
gli altri principi sarieno per guastare, volgendo a loro prò tale
inimicizia ».^ Il Girolami prima di partire, d'accòrdo con Niccolò,
chiede udienza dal re, per valutar meglio le disposizioni di lui,
dimostrandogli « le baratterie che gli erano state fatte sotto »
da chi volle condurlo a quei termini d'oppoìBiziotie col papa.
— « Ma che volete voi eh* io faccia?, risponde il re: il ptfpa
mi à battuto, e io non sonò per dichinarrai mai, sono per sop-
portare tutto, fuori che pèrdere dell'onore e dello stato mio.
Ma io vi prometto betìe, che ^ il papa fata venso di 'me dimo-
strazione d -amore quanto è un nero à'ùgna, io ne -fatò *tta
braccio; ma altrimenti non sono per procedere ».* ^—
I fautori della mediazione poteano aver più che abbastanza
delle dichiarazioni di sua maestà; e Niccolò si affretta a scri-
vere ai Signori, facendo le scuse s'egli è entrato in trattative
alle quali non era autorizzato, dissimulando sotto le scuse i
consigli suoi: — « Le Signorie vostre soao prudentissime ed
esamineranno quello scrivo è quello riferirà loro Giovanni e
.piglierannoci su buono partito: ma tutto bisogna con
celerità. Io non ò fuggito. queste pratiche, giudicando che alla
città vostra non potessi venire il più pauroso infortunio che
l'inimicizia di questi due principi, per quelle ragioni che in-
fino e' ciechi e sordi veggono e intendono; e tutti quelli modi
che ci sono da pigliare per condurre l'accordo, Ò -giudicato
buoni; né veggo, diventandone vostre Signorie mezzane, che
le ne possine altro che guadagnare; perchè, o e' riuscirà o no;
riuscendo, ne seguirà quella pace che noi speriamo e togliamo,
e fuggesi quei pericoli che la guerra ci potrebbe arrecare a
casa; e tanto più ci fia la satisfazione vostra, quanto voi ci
avrete più parte, facendovi obligati il re e il papa, per li quali
non si fa meno che per voi. Quando ella non riesca, questa
inaestà vi resta obligato, avendo voi fatto quello che gli à con-
sentito, e datogli più giusta •cagione di fondare le querele sue
contro al papa nel cospetto di tutto il mondo; né il papa
potrà dolersi di voi, avendo persuaso la paòe, quando ei non
la voglia, e voi gli facciate contro nella guerra. Tutte queste
< Machia vBLLiy Comm. cH., lett. « die 8 aug. 1510 ».
* ìifACi^iA VELLI, loc. cit. Cf. Anàlisi dell' Apogr. G. de'Ricei, ^ xiv per le varianti del
tèsto di questo passaggio. L'àbtaud, op. cit., voi. i, pag. 191, dopo aver tradotto: «Si le
pape fait un pas de la longueur du noir de Tongle, le roi fera un pas d'un bras de long »,
osserva : « voila une bien sfngulldre expression pour une communication politique ».
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502 CAPO SESTO. [libro
ragioni mi anno fatto implicare volentieri in questi maneggi.
Quando vostre Signorie lo approvino, io Tavrò caro; quando
che no, mi escuseranno, perchè, secondo questo modo qua,
non potevo giudicare la cosa altrimenti ».
Questa lettera di Niccolò era scritta a' tre di dell'agosto:
la sera del primo di settembre il Girolami tornava a lui. La
pratica di Roma era intavolata, ma v*era poca speranza di
buon approdo. Il papa andava dicendo che con re Luigi avea
la pace già bella e in tasca, quando ne volesse, e intanto rin-
gagliardiva le offese.^ Nuovi tentativi di rivolta in Genova,^
l'occupazione di Modena per tradimento de' Rangoni, ^ lo stringer
Ferrara coll'arme del duca d'Urbino, l'arresto del cardinale
di Auch,4 che proponeva termini d'accordo, la tortura data a
^ Machiatblli, ibid., lett. «in Bles, die 27 angusti 1510»: «Costoro sanno come el
papa va dicendo che à con questo Re la pace nella scarsella e tanto più si sdegnano ».
* Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 146. I Dieci al M. «die xn julii 1510». Arch. fior.,
LetU ai Dieci, f. 100 a e. 203. N. M. ai Dieci « die 26 julii ». — Ibid., f. 100, e. 360. —
Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 151 «die 3 augusti M.D.X. » I Dieci a N. M. (ed. ult.,
lett. 23). — Bibl. Naz., doc.M , busU v, n. 67. Leti. S. Antonio Della Valle nolarituegr.
mcUori meo N, M. mandatatfo fior, apud X.«»«»»» r» .«•»• ma.*«tem^ « ex Florentia, die iii angusti
M.D.X. » Neirediz. ult.( Comm. cit,, lett. 24) trovasi men che esattamente stampato: «chi
guadagnassi il vescovo di Lione farebbe tosto co' Svizzeri uno gran passo ». Neirautogr.
leggesi, naturalmente: «il vescovo di Sion». — V. anche la lett. J^, ibid. — Parimenti
nella LeUera da Roma copiata dal M. a tergo a quella dei Dieci a lui diretta in data del
di « vii augusti M. D. X. » (Bibl. Naz., doc. M., b. v, n. 139, ed. ult., lett. 26 in nota) certo
per errore tipografico, si è lasciato scorrere (pag. 55) : « e si diceva che monsignore di
Guisa veniva qua, e ora s'intende che va al re di Francia», in luogo di «monsignore dì
Gursa », come reca l'autografo, e conforme al vero.
« Bibl. Naz., doc. M., b. v, n. 137. I Dieci a N. M. «die x aug. 1510». — Ibid., b. v,
n. 68, luUantu Vallensis N. Jlf. « die xxv aug. m. d.x ». Arch. fior., Lett. ai Dieci, f. 100,
n. 443, N. M. ai Dieci «die 27 augusti 1510». Ibid., / Dieci aU'AcciaiuoU « die 29 augusti
1510» (ed. cit., Iea44) — Bibl. Naz., doc. M., b. v, n.70, Lett. di ter AnL detta Valle a
.V,3f.«a dì 30 d'agosto 1510».— Lett. di N. M.ai Dieci, ed. ult, Ice cit., lett. 51.
* Guglielmo di Clermont, nipote del morto cardinale d'Amboise.— Cf. Bibl. Naz., doc.
M., busta v, n. 113 e 146. IMI. de' X.f* a N. M. « die 4 et xii julii 1510 ».— In quesUè
inesattamente stampato (ediz. ultima, t. vi, pag. 12) : « e (il papa) dopo la ritenuta, del car-
dinale di San, secondo che pare a noi, non ha fatto alcun reservo ». L'autografo à, come
di consueto : « del cardinale di Aus ».
Rettifichiamo in quest' incontro altri errori sfuggiti alla revisione nell'ediz. ultima, in
altre lettere di questa Commissione medesima:
Ediz. ult., loc. cit., tvi, pag. 61, lin. 18:
« ... perche la superbia et la potenza loro
non li tirassi bassi ».
Ediz. ult., loc. cit., t. VI, pag. 08, lin. 9:
« ... Abbiamo tentare dì levare delle gente
sue che abbiamo ampliato lo stato, che tutti
e' suoi soldati sono sudditi della Chiesa, e
ancora non siamo senza gran timore, ecc. »
Ediz. ult., loc. cit., t. VI, pag. 102, lin. 34 :
« Rubertet solo è chi lui sa: e tamen con
consenso del re, hanno dato principio ad
quello che lui portò ». (Le altre preced. ediz.:
« è che sa »).
Autogr. Arch. di Stato, Lett. ai X. «, f. 100 a
c290:
«... perchè la superbia et la potenza loro
non li tira si bassi ».
*Autogr. Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 70
(in cifra):
« ...Habbiamo tentato di levare delle gente
sue né se ne po' hauere perché ha tanto am-
pliato lo stato che tucti e' suoi soldati sono
subditi della Chiesa. E ancora non siamo
ganza grande timore, ecc. »
Autogr. Arch. di Stato, LetU ai X. «. f. 100 a
e. 48i:
« Rubertet solo et chi lui sa hanno dato
{principio, ecc. » — (Sotto la formola : et chi
ui sa vien dato a intendere con prudente
reticenza, com'è già stato osservato, l'ora-
tore del pontefice).
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secondo] arti del papa, INERZIA DEL RE DI FRANCIA. 503
un mandatario del duca di Savoia trattato da spia,* undicimila
Svizzeri chiamati giù dall'Alpi a pericolo della Lombardia,
erano le celeri e furibonde opere del pontefice. Attonito e
inerte il re confessava che dopo la rotta data a' Viniziani, non
aveva potuto mai dimesticare quell'uomo;^ e tuttavia, accat-
tando la pace da lui, a' fatti rispondeva solo con minacce ed
apprestamenti. « A un uomo che non dice bugie » (ecco un'altra
delle solite perifrasi con cui il Machiavelli designa il vescovo
Leonini) re Luigi usava dire: «L'Imperatore mi à più volte
ricerco di dividermi seco l'Italia: io non l'ò mai volsuto con-
sentire, ma il papa questa volta mi necessita a farlo ».3 E pro-
testava « ch'egli sarà per fare la più onorevole guerra che an-
cora si sia vista in Italia. E il disegno suo è temporeggiare
questa vernata e fermar bene il pie con . Imperadore ed In-
ghilterra, e' quali come avrà guadagnati, non stima cosa al-
cuna Spagna; e dice a chi lo vuole udire, che lo tiene re in
Gastiglia; e per guadagnarsi i dua prenominati, e' non perdo-
nerà a cosa alcuna. Ordina in questo mezzo questo concilio
gallico, e qui sono già arrivati assai prelati e attendono ad
ordinarsi per la giornata deputata ad Orliens, dove si leverà
la obbedienza al papa; e quando l'Imperatore e Inghilterra
ci concorrine, creeranno un nuovo papa, e a tempo nuovo
scenderà con tanta gente in Italia, che la sua non fia guerra,
ma fia uno viaggio infino a Roma ».^ Quanta imperizia in tutti
questi disegni reali! quanta poca conoscenza del momento e
delle persone, e che sciupo inconsulto delle forze proprie ! Re
Luigi vuole 4c temporeggiare la vernata », e papa Giulio va in
persona a campeggiar la Mirandola, sfruttando il verno che
gliene ghiaccia i fossati ;5 re Luigi vuol trarre, contro il pon-
tefice, Arrigo VIII d'Inghilterra, e Giulio se l'à già adescato
^ Arch. fior., Lett. dei Dieci, reg. 34, a e. 34t. AWoratore Acciaiuoli « die ij sept. 1510»
ed. uh., VI, pag. 109.
* Machiavelli, ibid. « Entrò dipoi con di molte parole in dolersi dei portamenti del
papa, dicendo che dopo la rotta data ai Vinixiani, mai lo aveva potuto dimesticare ». —
Cosi i mas. — Le stampe, prima delPediz. ultima : « mai lo aveva potuto dimenticare ».
" Machiavelli, C^omm.cit., lett. « die 9 augusti 1510, in Bles ». — Cosi, secondo l'Apo-
grafo di Oiulian de' Ricci. V. App., 9 xiv. Secondo la Copia abbreviata mandata con la
successiva de' dì 13 (Arcb.fior., Lett. ai Dieci, f. 100, e. 290) il medesimo periodo direbbe:
« Et il re di Francia ha usato dire: che non dice le bugìe; il re d'Inghilterra mi ha più
volte pregato che io mi divida l'Italia seco; io non ho mai voluto, ma il papa ad questa
volta mi necessiterà ad farlo ». Cf. fra le Urkunden, Briefe und Aclenstìicke tur Ges-
chichte MaximiUans I und seiner Zeit {Bibl. des literar. derin Stuttgart, vol.x, pag. 329
e segg.) la lettera del Semtheiner airimp. « IS3 ag. 1510».
* Machiavelli, Comm. cit., Lett. ai Dieci «ex Bles, die xviii augusti 1510».
'^ Machiavelli, Arte della guerra, lib. vii.
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304 CAPOSB^O. \v
.col meretricio iuKrio .della rosacd'oro; ^ c0 al .Baiohridge, lamba-
spiatore inglese a JEloma.ed arciyescoYo idi Yarls;, à -lasciato in-
travedere il cappello cardinalizio. JS.e Lui^ provoca ad un oon-
cilio generale rjniperatore; e questi .non'Ohiede di <m;eglÌQi»nia
da tal .concilio generale vuol egli uscir iponiteflce; né laom già
in Orleans od in Tours ria sede del suo concilio; ma .in :Fi-
xenze come Ncittàche, oiltre ad essere ànjtalia, ne*iasti conci-
liari resa già .irecentemente celebre ,pal sformale ricongiungi-
mento della chiesa ,grepa colla latina, gjisembna il se^io -^lu
acconcio per recarvi ad effetto ;)a sua riunione fantasticata ddla
potestà pontificia colla K^esartea, nella 'pe^sona propria. £ tparò
invia Pigolio .Portinari. alla. Soneria fioreoiitìna, al igonfaloniere
.e .al ^cardinale .Soderini, promettendo loro un tatnto hene, come
corire^pettivo ,alla sovvenzione dlvaltri cinquantamila ducati dbte
in tal congiuntura richiede.*
Sp Firenze fosse ,più che mai spaventata a tali proposte,
a tali prospettive di lotta certa e irrecoAciliabile col fiero pon-
tefice, che ei;a fr^ tanti inoperosi potenti il 30I0 attivo, il «olo
phe .non dava .tregua e che CQglieva Toccasione .all'agguato,
•non occorre dirlo. Il ^Machiavelli ^oprawegliando i*ingiros-
sai:e di tanta tempesta, stimola \ Signori ì%cqìò /bì ebrighino a
mandar al .re di Francia Toiratore .designato e apprendansi
a partiti pronti e decisi. « Le Signonie ivostre, ei scriye, cor-
rono in quetsta guerra fra el papa ed el d^ duoi pericoli;
Tuno, se chi vi sarà amico perdessi; Taltro :»e Francia si .ac^
.cordasse con Timperadore *con danno vostro; sicché (Sarebbe
bene che lo imbasciatare vostro ci fosse innanzi al Gurgen^e.
J^ quegli Italiani che sono qua,, ohe anno che perderei, giudi-
cano, a voler fuggire ^questi pericoli, bisogni prima fare
qgni cosa per vedere se el papa si potessi accordare seco; e
quando questo non si possa fare, mostrare ad el re come ad
tenere ad freno un papa non bisogna tanti imperatori, né fare
tanti romori; perchè l'altri che per Tadrieto li anno fatto
guerra, 0 e' l'anno ingannato, come fece Filippo Bello, 0
eTàano fatto rinchiudere in castello Sant'Angiolo da' suoi
baroni, li quali juon sono si spenti che non si potessi trovar
> E08COB, tifeof Leo X, ti, pag.843, ed. Londira 1872.— Huns, Hiitory of Enfiìani.
voi. Ili, pag.416.
* V. in Appendice : Inttructio de hiia, q%te agere et trafilare deket prò nfibi» et no-
mine nostro cum magniflcis nostris et sacri Jiomani Imperii fideUbut dileetis fìexaifffo
justide et hailia cioitatis nostre imp^ialis Florsntie honorabilis fidelis .nobis diteetut Pi-
geUus Portnarius seeretarius noster.
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flBQONBoJ CONSIGLI DEL MACHIA VELLI AL RE DI FRANCIA. 605
modo ad racGanderli; ^ e con Rubertet, nell'andare ch'io feci
iermattina seco, non ragionai d'altro, mostrandoli tutti e*mo-
•delli (Che gì eerano deiltro, e dicendogli, oltra di questo, ohe
'facendo .guerra ad el papa apertamente, essi non potevano
•vincere se non jcon loro .pericolo ; perchè «e e' la faranno soli,
grùntendevano quello che la sti tirava dreto; se la faranno
accompagnati, fconverrà che partischino l'Italia con un
compagno, ccn él qmale li aranno poi à fare una guerra
di nuoTio, molto più pericolosa erbe quella :gli avessino
ffatta con el papa. Egli mi consentì tutto, né sarebbe da di*
operarsi di non imprimere loro questi .modegli nel capo, quando
fussi qui più'di.unoiitalianDidi autorità che ci si affaticasse».^
Ma Niccolò era solo; non aveva estrinseca autorità di consiglio;
•osservava Je JCOBe da un punto così insolito, le faceva parer così
vere, ma cosi crude, che più fermavanla mente a -chi le udivta,
che non ^ne ^risvegliassero l'operosità. Rubertet rimaneva per-
•eos8o;>gr intelletti della corte, più ecclesiastici o guerreschi ohe
statuali, sentivano inevitabile un contrasto col capo della chiesa;
e questa necessità, a t^ui eran meno preparati, era quella da
{Cui men sapeano soìlevarai. Fosse rimase in vita il cardinale
idi Rouen, questi avrebbe forse saputo rizzar l'ambizione «uà pro-
pria, puntellata da tutte le 'forze di Francia, coiiitro la furia ocu-
lata ma nuda dal pontefice; e quella passione tutta personale
sarebbe forse bastata in que' frangenti a dar valido impulso alla
yoilitica francese, vii Machiavelli s'accorge pur troppo che se
iquell'ambizione sola forse avrebbe potuto toner adora ri luogo
della migliore scienza di .Stato, se quella ambizione sola sarebbe
bastata a far presa per istrascinare, qmando ne fosse d'uopo,
la neghittosità del governo a partiti decisivi, ora, mancando
quella, non c'era via di riscossa. — « Dio voglia, esclama Nic-
colò, che el tempo non scopra a danno del Re e d'altri, quello
importi esser morto el Legato; perchè, vivente lui, Ferrara
•non pativa mai tanto;® perchè el Re, non essendo uso minu-
> et. Bbobcb, PapMt luHus II, pag.4^, ove rileva tatto IMmforUnsa della •condotta
4lel MaGhiavelli in questa congiuntura. Pare che il re di Francia facesse qualche caso
ablla istigazione e del consiglio del Segretario fiorentino. DifaUi il Guicciarmmi (Gloria
^'Italia, lib.]() dopo aver detto delle macchinasioni per la rivoha ordita da Roberto Orsini,
Pompeo Colonna, Antimo Savelli, Pietro Margano e Renio Mancini, contro papa Giulio,
aggiunge : « questi si sapeva, che ricevati danari dal -re di Francia si preparavano infino
.innanzi alla giornata (di Renenna) per molestare Roma ».
* Machiavelli, « Cofrìa abbreviata delia mia de' dt 9 d'ago iSiO». Arch. fior., Leti, ai
Dieci, f. 100, e. 890.
* Cf. Luigi da Pobto, Lettere itoriche, ed. Lemonnier, pag. 155: « Al 4)apa non bar
.stanra lo sterminio recato dai Veneti nel fersareae ». Il Bboscil, op. cit., «ita àe,* Diarii
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506 CAPO SESTO. [libbo
tamente ad governare queste cose, le straccura; e questi che
le governono ora non pigliene per loro medesimi autorità ve-
runa, non che di fare, ma di ricordare che si faccia e cosi mentre
che el medico non vi pensa, e il servigiale lo straccura, el
malato si muore. E parlando io oggi con Rubertet, venne un
dipintore che portò l'immagine del Legato morto, in sulla quale,
dopo un sospiro disse: « 0 padrone mio, se tu fossi vivo, noi
saremmo con el nostro esercito ad Roma! » ^
Niccolò à bel ricordare ai Francesi, ai suoi Signori, al
Sederini che, « poiché il re è volto tutto a questo disegno di
tempo nuovo, ne risulta che Ferrara patisce, e potrebbe pa-
tire qualcun altro »; à bel presagire ai Francesi che, se Fer-
rara soggiace, perderanno « la Toscana e qualunque fosse
loro amico da Ferrara in là ».2 II re, che in Francia è arbitro
di tutto, 3 è deciso diflFerire a marzo la sua venuta; tutti co-
loro che lo contorniano, sono avversi a una nuova spedizione;
né il popolo é disposto a sopportare aggravio d'altre spese
straordinarie. Con tutto ciò il re verrà, se lo vuole e se vive;
ma, fallitogli ogni termine di conciliazione col papa, desidera
che i Fiorentini si sbraccino partigianamente, durante quella
vernata, a favor suo; e in compenso tende loro l'esca di Lucca
e del ducato d'Urbino. Papa Giulio, all'incontro, stringe Fi-
renze con minacce di pericoli e immediati: chiama il console
della nazione in Roma, chiama l'oratore e minaccia tutti di
gettarli in castello;^ tiene il dominio loro terrificato per l'armi
di Giovan Paolo Baglioni; ^ vuol tirar la città per forza o per
amore a voglia sua < parlando largamente che delibera mu-
tare questo governo che è troppo franzese ».^ — Ah, il Ma-
di Marin S anudo (xi, 170) ud frammento di lettera del Donato, da Rimini : « il papa disse
haria creto che fino le femine di Venetia fusseno andate contro Ferrara ». — Cf. I^Abiosto.
Crlando furioso, in, 52.
^ Machiavelli, 6'omm. cit., lett. « in Bles, die 2 septerobris 1510 ». — L'ediz. ultima
delle Opp. (t. VI, pag. 104) nota d'averne pubblicato il testo secondo l'autografo della Bibl.
Naz. fior., busta i, n. 47. Ora, nella Bibl. Naz. al luogo citato si trova solo la minuu di
questa lettera, mancante della sottoscrizione e de' seguenti incisi : « e ritraggo assai di
buono luogo, come dicono (de' Svizzeri) averne già fermi otto Cantoni » e tutti gl'incisi dopo
queste ultime parole : « Le provvisioni di Ferrara si dissono per altra, né per questa si
replicheranno. Valete ». — L'edizione ultima à invece, più giustamente, riprodotto l'orìgi-
nale mandato ai Dieci che realmente si trova nell'Arcb. di Stato, Carteggio resp. ai
Dieci, t. lOl, c.7-8t. (cl.x, dist. 4, n. 109).
* Machiavelli, Comm. cit., lett. « die 5 septembris 1510 ».
* Machiavelli, Comm. cit , lett. « die 5 sept. »: « perchè quando il volere sta in unOf
li altri poi ne vogliono quello che esso ». — Cf. Ritratti di Francia.
* Bibl. Naz., doc. M., b. v, n. 150. / Dieci al M. * die 28 julii 1510».
« Bibl. Naz., doc. M., b. v, n. 124. / Dieci al M. «die xxij augusti 1510».
« Bibl. Naz., doc. M., b. v, n. 70. Ant. Della Valle a N. Jlf. * a di 30 d'agosto 1510».
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SBcoKDoJ IL MACHIA VELLI TORNA IX ITALIA. 507
chiavelli, pieno d'ira per quello spirito diabolico che il papa à
nel corpo, vorrebbe bene, che la sua cara città, la sua repub-
blica fosse altrove collocata, acciocché, scendendo a suo tempo
l'impeto oltramontano, essa restasse illesa, e « ancora a cotesti
preti toccassi di questo mondo qualche boccone amaro » ! ^ —
ma gli fa spavento che la Signoria e i Dieci non sappiano spic-
carsi da una perniciosa neutralità, non si capacitino che « Toc-
casione à poca vita », che, « se avranno a dubitare di stro-
piccio e spesa, potranno anco sperar di molto bene; e se si
correrà qualche pericolo, non si maneggiò mai cose grandi
senza pericolo»;* gli fa spavento che un re di Francia, ad
un papa, che gli si lancia innanzi con fanti e cannoni, risponda
con arzigogoli di controversie teologiche, e gli promuova un
concilio addosso, per discutervi « se al papa sia lecito muover
guerra a un principe cristiano inaudito e non citato; se un
papa che à comprato il papato e venduto i benefizi, se un papa
del quale si provi infiniti obbrobri, si debba reputare papa». E
questi era quel re che a Giulio secondo voleva dare « una
mazzata daddovero » ! ^
Niccolò cede il luogo, sconfortatissimo, all'ambasciatore fio-
rentino che soprarriva ;^ convinto oramai che re Luigi è uc-
ciso dalla consapevolezza delle sue stesse forze, infeconde; dalla
fiducia che, scendendo a suo tempo, con esercito grossissimo,
potrà rimediare a tutto « senza stimare che in questo mezzo
possa capitar male alcun suo amico ».s — A sadvar con op-
portuni consigli quest'amico, — il Sederini — rivolge oramai
Niccolò tutto il suo animo, ma non con migliore presagio.
Soggiornando in Francia per quattro mesi,^ egli erasi ben
preparato a ottemperare all' ingiunzione de' Dieci : — « ingegne-
ràti tornare ben informato delle cose di costà »J — Aveva ac-
quistato personali conoscenze alla corte, frequentato i ritrovi
della città, esaminato i costumi, partecipato alle gaiezze e
fi' guai pubblici. Una tale « Janna » della quale T Acciainoli
gli fa cenno in una sua lettera,^ sembra averlo in Blois alcun
^ Machiavelli, Comm. cit., Leti, ai Dieci « die xxviij augusti, ex Bles ».
^ Machiavelli, Commiss, cit., lett. «die 5 septembris 1510».
' Machiavelli, Comm. cit., lett. «in Bles die 2 sept. 1510».
"• Roberto Acciaiaoli.
^ Machiavelli, Comm. cit., «ex Bles, die 24 augusti 1510».
* Giorni 118, da' 24 di giugno, a' 10 di ottobre 1510. V.gli Staiuiamenti pubblicati dal
Pa8sbbu(i, loccit., pag. lxxvi-vii.
' Lett. de' Dieci al M, « die xii sept. m.d.x ».
* Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 05. Lettera di Roberto Acciajuoli a N. M.:
•« Sp.''* Comp." Io ebbi Tultima vostra da Lione, & mi son riservato a risponderli per
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508 CAPO SÈSTO. [libro
:poco adescato; ma «Toratope aggiunge allusioni ciròa alla
« Riccia » 'di Firenze, capace d'avergli forse già fatto dimen-
ticai^e la « Janna » ; brutto sentore di lascivie
O d*altra vanità con si breve aso^
che, come a Dante, così ad altri grsdndi fece talora gravare
in giù l'ali dell'intelletto; o^forse-contrappesó l'irrequieto im-
pulso a spingersi con quelle ^ad altezze ove ia mente dispera.
Se non che la dimora francese non fu tutta «lieta per Niccolò;
legli contrasse il morbo ohe in quel tempo infieriva micidiale
^tra il popolo, e del quale ebbe ad esser lioCco il re stesso. Fu
fletto la coqueluohe, né l'etimologia della parola è ben certa.
« La mi à lasciato, scriva Niccolò della sua Malattia, tina dis-
posizione di stomaco si trista, che non mi piace eosa alcuna;
e per arroto, a Parigi, *è una morìa si {grande, che ve ©e
muore più di mille el di »>.' I medici he ripetevano la cagione
expectare lo arrivar vostro in Firenxe, dove io penso che per grazia prima di Dio, & poi
della Janna vi siate condocto salvo, & allo arrivar di qua barete forse rivisto la Riccia,
la lettera dal thesaurier Robertet credo fossi pagata alla prima dfmatida ^a quel de 500,
e «quali se non fussin ben chiari, io son chiaro io assai bene che è buon messane a ven-
derci ogni volta elle 'frovassi comperatore : Non so se *b vostri meiterà nel conto de 500,
OMdo di DO per non guastare el numero. Moìislgnor Cùattrèfoys attende k scoprir pmesi
& far scorrerie, & perchè io mi sono impancato in su quel Gian Diponte me Vò tirato di
qua 'di riviera per dsirli più lunga corsa. L* imììascttitoi^ di Mantova alla htirbk vostra
oomperò di sua mano a queste mattine certi pescion da una bella figlia, & 'dice lo fece
per farvi dispecto, & io vedendo chi vende appruovo per ben facto, & el primo venerdì
Itene calo andhMo, ma ndn lo dite a Nencio'che griderebbe come un pazzo, et crederebbe
ohe io havessi un bel tempo. Delle condocte nostre intenderetene la riuscita allo arrivar
Mostro: Et come Piggello è venuto per consiglio vedete se Tamioo ha poca faccenda, &
tsome può mai far nulla quando va per consiglio a dhi non tesoYVe nulla, che non pnò
calzar meglio questa cosa, che un che non fé mai nessuno efecto si consìgli con chi acn-
chora non ne fa mai alchuno, sopra che mi pare che lo habbiamo tractato secondo la na-
tura sua & no>stra. E mi pare vedere «Il Casa & Francesco & Luigji venirvi a trar di casa
apresso lo arrivar vostro, A menarvi a un solino o in SancU Maria del Fiore per votarvi
et intendere tutte le cose di qua: Ricordovi che quanto più vi terrete in repotatio&e più
vi stfcaerainno, si che datele loro a spizzico '& beccatello : ìk racomandatemi tal voha a
loro, et dite al mio Compare Casa che m'abbi per raccomandato in questa solitudine: se
non che io non mi ricorderò di lui, se noi passereno e monti, & che io li farò saccoman-
toare quello spedahizzo di fava. Delle cose di qua sendovi comune le pnbUiclie non dirò
altro. Et a voi mi racomando. Vale. Ex Blesis. Die vij octobris m.d.x.
« ì)ice Monsignore di Qoattrefoys che li facciate bone uno ^ che ha pagato j^ ìa
lOttcAra che Tha facta buona al granattiere.
« Comp. RoB. Ac, Or.
(Di fuori) « Sp.i> Viro Niccolò Maclavello
Secret.* Fior.»* Compri Car.""«
In Florentia».
* Damtb, Purgatorio, xxxi, 60.
* Machiavelli, Commiss. cH., lett. « va Bles, die 84 àtigusti 1510 ». — MttÉlui, Hi-
•toirs de Franee (anno 1510), pag. 835 : « Il courut en Franco une maladìe poptolaire, non
toutefois contagieuse, quMls nomoient la coqueluche, à cause quo comme un coqu^lochon
elle affubloit la teste, les espaules, et les reins avec des douleurs insupportatries, une flèvre
frénétiqiie et un dégoust de toutes viandes, •|>^cial6ment de vin. Peu de ^gens en furent
•xeinpt, grande multitude en mourut, et les medecms «*en sadnmt trouver le rémedes, en
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BBCONOO] RITRATTI DELLE COSE DELLA FRANCIA. 509
da influsso d'astri^ i predicatori da castighi dì Dio, per certe
malei canzoni che erano in voga; la moltitudine credula e su-
perstiziosa ricorreva ad; amuleti e mandragore,* di cui forse
il MachiaFolli sentì appunto in questa occasione stimolo a no-
vellare o farne argomento di alcuna opera d'arte, in cui l'in-
gegno suo, naturalmente drammatico, si disfogasse.
Certo è che di questa dimora in Francia che è la più lunga,
ch'egli vi fece, ebbe a portare la più piena conoscenza delle
cose di quella nazione; e l'Acciaiuoli, nella lettera citata poco,
sopra, figura già come, al ritorao di lui in Prranze, il Gasa,
Luigi Guicciardini e Francesco Vettori, sian per farglisi alle
coste e trarlo seco in disparte. « per votarlo e intendere tutte-
le cose di qua >.^ Gli elementi principali adunque pe'suoi Ri-
tratti delle cose della Francia, i più particolari appunti, onde
poi ebbe a condurre la scrittura che ci è stata tramandata
sotto questo titolo, egli dovè sommariamente raccoglierli in
questa gita. Gli restava a dar buona forma alla sua rela-
zione, ^ ad armonizzare i dati della sua esperienza personale
aurìbueroDl la cause à l'influence des astres ». — Cf. Desrubllbs, Traile de la Coque-
Ittche, Paris, 1827. pag. 28, che ne trae retimologia o da coqxMlicot : « piante dont la fleur
servait à préparer un looch pour les malades; d*autrea croient qu'il derive de cuculus,
capacbon. — Cf. Littré. Dici, de la langue francaise.
^ Il Fblibibn, Histoire de Paris, t. ii, pag. 811, allude già fin dairanno 1429 alla su-
perstizione francese delle mandragore, accennando alla predica d*nn tal frate Richard
di quell'anno : « Le prédicatenr vint aussi à bout de faire brQler plusiears madagoires,
mandragores, ou mains de gioire, qne beaucoup de gens gardaient sottement et sapersti-
tieusement, dans la persnasion qu' ils ne seroient jamais panvres, tant qu'ils les conser-
▼eroìent dans da linge propre ou des étoffes de soie ».
« Vedi Lett. cit., pag. 508*
* Che un primo abbozzo di questo scritto dovesse essere del tutto ruvido e non cosi
destinato alla pubblicazione ci viene comprovato da alcuni incisi, riboccanti di formule
latine, non solite nelle ordinate scrittìire di Niccolò, evitate, per quanto fu possibile poi
agli editori, con traduzioni letterali. Se ne può aver saggio nel seguente brano : « L'ufficio
del gran cancelliere è merum imperiumj et può graziare et condennare a suo libito etiam
in eapitalibui sine consensu regi». Può rimettere i litiganti contumaci nel buono di; può
conferire i benefizi de consensu regis; tamen perchò le grazie si fanno per lettere reali
sigillate col gran sigillo reale, però lui tiene il gran sigillo. Il salario suo è diecimila
franchi Tanno e ij mila franchi per tener tavola <». — Le edizioni ledono tutte al luogo di
quest'ultimo numero « undicimila », ma la cifra, data a quel modo da un manoscritto della
Biblioteca Nazionale fior., di cui più oltre terremo ragione, è la più verosimile. Lo stesso
caso si ripete ove Niccolò discorre dei maestri di casa del re : « E dipoi il gran maestro,
che successe in luogo di monsignor di Ciamonte, è monsignor della Palissa, il padre del
quale ebbe già il medesimo ufficio, che ha ìj mila franchi, e non ha altra autorità che es-
sere sopra gli altri maestri di casa ». Ora, poiché il salario degli altri maestri di casa è
« chi mille franchi, chi più e chi meno come pare al re », cosi è più probabile che al luogo
indicato debba lecersi duemila e non « undicimila » come le edizioni danno. — È oltre a
ciò notevole che molte altre notizie e considerazioni sottili intomo alle cose di Francia
furono dal M. poi disseminate in parecchi luoghi delle Opere e che avrebbero trovato
posto acconcio in questi Ritratti, s'egli li avesse condotti a polimento ; come sarebbero una
più particolareggiata descrizione della forma del governo, dell'amministrazione della mi-
lizia, della costituzione e autorità del Parlamento, della bontà delle artiglierie, delle sara-
cinesche a graticola, ecc. {Ct Principe, ni, xiii, xix. — Arte della guerra, lib. i e vi).
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510 CAPO SESTO. [libbo
colle tradizioni etnografiche deirantichità classica; ed a com-
piere cosiffatto lavoro, distrattone forse prima dall'agitazione
politica che non dava agio a quiete opere nella cancelleria,
ebbe probabilmente ad attendere dopo il ritorno dall'ultima
sua commissione in Francia, quando agli altri esempi già da
lui annoverati a prova del carattere che i Francesi sogliono
dimostrare nella guerra, potè aggiungere anche quello più
recente della battaglia di Ravenna.* Ma l'inciso in cui si ra-
giona di questa battaglia sta come da sé ; può essere stato pro-
babilmente oggetto d'una insinuazione posteriore; e ne assume
l'apparenza quando si ponga mente che lo stato delle relazioni
della Francia coi popoli vicini, così com'è descritto in tutta
questa relazione, la notizia minuta delle cose e degli uffici
^ A nostro credere, la forma dì questo passaggio nei RUraiti di Francia, à tutta 1* im-
pronta d'una posteriore insinuazione; (V. Opp, del M., ediz. ult.. t. vi, pag. 300) la quale
comincerebbe alle parole : « Il medesimo interveniva a Ravenna agli Spagnuoli » e termi-
nerebbe a pag. 301 (lin. 2) colle parole : « non fu tanto grande strage ». — Del resto il Ma-
chiavelli descrive a questa maniera il carattere de* Francesi, rispetto alla guerra : « I Fran-
cesi sono per natura più Aeri che gagliardi o destri, ed in un primo impeto, chi può resi-
stere alla ferocità loro, diventano tanto umili, e perdona in modo Tanimo, che divengono
vili come femmine.... e però chi vuole superare i Francesi si guardi dal primo loro impeto;
chò con lo andarli intrattenendo, per le ragioni dette di sopra, li supererà. E però Cesare
disse, i Francesi essere in principio più che uomini, e in fine meno che femmine ». — Come
è facile rilevare, anche questa citazione del Machiavelli è erronea, ed egli stesso ebbe a
correggerla quando n^' DìÈConi (lib. ni, cap.36) ricordò quanto Tito Livio più volte dice:
« che i Franciosi sono nel principio della zuffa più che uomini, e nel successo di combat-
tere riescono poi meno che femmine » alludendo al passo del lib. ix, cap. 28 Hiiìor.:
« Gallorum quidem etiam corpora intolerantissima laboris atque aestus fluere. primaque
proelia plus quam virorum, postrema roinus quam feminarum esse ». — Cf. CoBio, Hi$taria
di Milano, parte v. « Ma il conte Francesco Sforza gli confortava che stessero di buon
animo, che presto gli porgerebbe aiuto, et considerassero ancora che i Francesi nel primo
impeto sono più che huomini». E nello Spavento d'Italia, poemetto sopra citato:
« Credete a me eh* io so la loro usanza
Perch*io conosco la furia di Pranza».
E Alvisb Contabini {Relaz. venete^ ed. ALBéai, voi iv, pag. 240) : « Dei costumi e natura
dei Francesi in universale è veramente cosa degna d'ammirazione che quasi tutte quelle
qualità, che si legge negli autori antichi di 1500 e più anni, che in quei tempi aveva la
nazione francese, le medesime si vede essersi conservate sino al presente, com*ò Tesser
furiosi e impazienti; e però nelle guerre e battaglie son nel principio più che uomini, enei
fine manco che femmine. E per questo si vede che nei tempi passati chi ha potuto so-
stentar il primo impeto de* Francesi, col tempo straccandoli, e lasciando intepidir quel
primo ardore, li ha facilmente superati, non vi essendo per loro alcun maggiore inimico
che Taspettare ». — Il Voltaibb, Dici, philos : « Le fond du Francala est tei aujourd*hui
que Cesar a peint le Oaulois. prompt à se résoudro, ardent à combattre, impétueux dans
Tattaque, se rebutant aisément ». — Lo Jomini, Précia de l'art de la guerre, pag. 77, con-
ferma con esempi moderni Tantica sentenza: « Les Francais... dont les vertus militairs
n'ont jamais été mises en question quand ils ont été bien conduits, ont vu souvent de ces
alerts qu*il est permis de nommer ridicules. Qui ne rappelle Tinconcevable terreur panique
dont rinfanterie du maréchal de Villars fut saisie après avoir gagné la bataille de Fried-
lingen (1701)1 la méme chose eut lieu dans Tinfanterie de Napoléon apròs la victoire de
Wagram, lorsque Tennemi était en ple'me retraite. Et. ce qui fut plus extraordinaire encore,
c*est la Jéroute de la 07<ne demi-brigade au siège de Qénes, ou 1500 hommes fuyaient de-
vant un peloton de hussards. tandis que ces mémes hommes enlevèrent deux jours après
le fort du Diamant, par un des coups de miUns le plus vigoureux de rhistoire moderne ».
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8BCONDO] RITRA TTI DELLE COSE DELLA FRANCIA. 311
della corte, 1 l'assenza d'ogni tratto tendente a dipingere l'in-
dole personale del re e la falsa direzione della politica di lui,
che il Machiavelli giudicò poi tanto severamente, ci rappre-
sentano condizioni di tempo anteriori a quel della battaglia
di Ravenna e dell'ultima commissione di Niccolò in Francia;
ci rappresentano un tempo in cui le cose erano ancora più in
bilico, gli animi più aspettanti, la fortuna francese meno esposta
a pericoli, le faccende ecclesiastiche meno turbate, meno ac-
cennanti a procella; i Fiorentini men trepidanti e meno indi-
> I nomi degli alti dignitari dello stato e degli ufficiali della corte di Francia, come
li dà il Machiavelli, non sono facilmente riconoscibili a chi li ragguaglia co' dati degli
storici e cronisti francesi contemporanei Ciò parve al Deltuf « une étranges manie ». Com'ò
naturale, il Segretario fiorentino li notò secondo che udiva, trasportando i suoni della pro-
nuncia francese d'allora nella scrittura italiana. Gli editori poi. interpretando male Io
scrìtto, rincararono la dose delle difficoltà, tanto che il venirne a capo parve cosa ardua
agli stessi traduttori francesi delle Opere del M. I signori del consiglio del re, i consiglieri
dì stato, vengono, per esempio, indicati a questa guisa : « monsignor di Parigi (Estienne
Poncher, garde des sceaux de Franco, en titre d'office. Il etoit le cent-deuxièsme Evesque
de Paris » Ct. Jban lb Féron, HUtoire dea connestables, chanreliera et gardea de^ sceauoc,
maréachaucCf admiraucc, sur^intendans de la naviffation etgenerauac desgaléres de France,
Paris, 1658). —Monsignor « di Buonavoglia » (edd. ult. e 1843) « di Buovaglia » (edd. 1857, 1852,
Cambiagi 1782) che il Buchon traduce : « les èvéques de Paris et de Beauvais ». La copia
manoscritta della Bibl. Naz. fior., doc. M., busta vi, n. 83, lascia leggere « di busecall » o
« busciall » e questi sarebbe quel medesimo che della lettera « ex Bles. die 21 julii 1510 »
nell'edìz. ultima è chiamato « monsignore di Bucciaglia » e nelle precedenti Bunicaglia. U
DsLTur (Essai sur M. avee la traduction Uttérale du Prince et de quelques fragments
historiques et lUtéraires)^ pag. 184, lo tramuta in « Bonnechose » ; il Buchon nella versione
della lettera suindicata lo rende per « Boucicaut ». — Il bagli di Amiens, monsignor di Bussi
(Michael de Bucy, vescovo di Bourges) e il gran cancelliere (Jean de Oanay, chancelier
de France. Tbsskbad, Histoire chronologique de la grande chancellerie de France ^ i, 78).
V. per la descrizione del carattere personale dei membri del Consiglio regio la bella let-
tera del M. «ex Bles, die 21 julii 1510». — «L'ammiraglio di Francia.... è ora Prejanni ».
Di costui, come del « capitano Pregianni », è menzione in una lettera dei Dieci all' Ac-
ciainoli «die ij septembris 1510». (M., Opp., ediz. ult., voi. vii, pag. 14). Cf. Marim Sa-
ndro, Diarii, VI, 543 : « il re di Pranza à spazà pre lam, capitanio di 5 galle armate in
Marseia per le cose di Zenoa (febb. 1507). Ibid., vn, 36; ibid-, 87, ove è detto «capitanio
de questa riviera de Zenova », e ibid., vii, 50 « capitanio de Pranza ». Era Prégént de
Brìdoux. Il M. scrive « ora » e ciò significa che questo inciso è posteriore al 1510, epoca
in cui mori Carlo d'Amboise, signore di Chaumont, che fu ammiraglio, dopo il Graville, per
insino a quel tempo. Parimenti « il gran maestro in luogo di monsignor di Ciamonte è mon-
signor della Palisse » cioè « Jacques de Chabanes seigneur de la Palisse et de Pacy ou
Passy ». — I comandanti degli arcieri deputati alla guardia della persona del re che il M.
chiama « monsignore Dubegni Cursores e il capitano Qabriello » sono il conte d'Aubigny,
Jacques de Carsol, e Oabriel de la Chastre. (Cf. Baudibr, op. cit.) — Quanto ai capi
de* gentiluomini del re che il M. dice esser due, uno per ogni cento gentiluomini, è assai
probabile che sia corso un grosso svarione, e che gli editori abbiano dato per indicazione
di due persone quella che non ne designava che una medesima e sola. Il testo infatti
dice: « et ogni cento hanno un capo che soleva essere Ravel e Vidames ». Il Baudibr, loc.
cit., allega: «le marquis de Rothelin capitaine de cent gentilhommes de la maison du
roy ». II Buchon, traducendo il passaggio del M. scrive : « Cent hommes formant une com-
pagnie, dont le capitaine est ordinairemefat un vidaroe ». — È pertanto assai verisimile
che d'un solo « Rothelin Vidame » siansi foggiati i « Ravel et Visdasmes » contro le in-
tenzioni del M., il quale se avesse voluto indicare due persone, piuttosto che una, non
avrebbe messo il veibo in singolare, ma bensì avrebbe scritto «solevano» in luogo di
« soleva ». È ovvio poi il significato di vidame e di vidamie in Francia, come titolo di
feudo ereditario.
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512 OAPO SESTO. [ubbo
spettiti d' un'alleanza serbata da: loro con tenacia irragionevole*
e senza frutto-
Pongasi mente oltracciò, a questa flatto: che laddove ogni
altrx) rapporto, composto dal Machiavelli à radice manifesta
nelle lettere della commissione precedente (e crediamo avierlo
dimostrato abbastanza in tutto il corso idelFopera); questi suoi
Ritratti di Francia paiono piuttosto indipendenti dalle con-
dizioni transitorie e occasionali^ dellà< politica quotidiana; e se •
qualche appicco li ricongiunge co* carteggi ufficiali di lui, ciò
incontra piuttosto colle lettere di questa commissione del 1510,
che di altre posteriori.^ E siffatta: osservazione c'induce pur
anche ad argomentare che i Ritratti di Francia del Segre-
tario fiorentino, non furon tanto il resultato della temporanea
osservazione sua nella dimora fatta alla corte del Cristianis-
simo, quanto il portato dell'inveterato risentimento delle con-
tinue pratiche, provocato in lui dalle infide vicende della po-
litica francese nelle relazioni con Firenze e con l' Italia. Per-
tanto ci par fuori di dubbio che non si possa mettere accanto, .
come membro d'un corpo istesso colla relazione accennata,
l'altro scritterello più breve e più mordace intitolato: Della na-
tura de* Francesi. Infatti gli esempi che in questo si allegano
rivanno tutti ad avvenimenti più remoti, all' Elntragues, al.
campo francese sotto Pisa, al Valentino, alla richiesta di Mon-
tepulciano dai Sanesi;^ mentre invece n^' Ritratti si parla già
della giornata di Vaila e vi si ragiona degli Svizzeri come di
vicini pericolosi per la Francia, senza punto far motto né-
delle condotte che dal re erano usi ricevere, né della sedu-
zione fatta loro per maneggi dal pontefice. Oltre a ciò, nella
Biblioteca Nazionale fiorentina ^ v' à una copia dèi Ritraiti di
Francia e d' Alenuigna, che non è autografa, del Machiavelli,
ma certo è scrittura contemporanea e proviene dall'archivio
mediceo; la quale, mentre offre non poche e non lievi varianti
coi testi già impressi,"^ manca d'alcuni incisi, e non comprende
* Cf. Riiralti di Francia, ed. alt., loc. cit., pag. 310: « Non si tiea adesso tavola per
nissuno. dopo morto il cardinale di Roane. Perchè il gran cancelliere non ci è, fa l*atBcio
Parigi ». — Ibid. « et in facto Rubertet et monsignere di Parigi governano il tutto ». —
Comm. cit., lett. «die 21 julii 1510» «Monsignore di Parigi, uno di quelli che oggi si
trnovono ad governare».
* Lo scritto Della natura dé'Franeesi, non occorre che negli Apografi del Ricci,
S XXXV, e nel barberiniano pag. 111-112. V. in Àpp., loc. cit. Ebbe pertanto a restar sempre
fra le carte private del Machiavelli.
s Bibl. Naz. ìlor., doc. M., busta vi, n. 83.
* Forse ebbe ad esser cognita agli editori delle Opp. complete di N. M. FIrence, Usi
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secondo] ritratti delle COSE DELLA FRANCIA. 513
affatto quel codazzo Della natura dei Francesi, che s'appiccò
poi al testo della relazione primitiva. Ci lascia insomma chia-
ramente intendere quel che dalle attente osservazioni già tra-
spariva; che cioè di questo rapporto, come intervenne di tutti
gli altri compilati dal Segretario fiorentino, v'ebbero parecchie
redazioni; che da un primo nucleo di scrittura ufficiale si ge-
nerarono man mano molteplici copie, le quali accolsero col
tempo modificazioni di forma, accrescimenti occasionali, ag-
giunte che non mutarono gran fatto del primo fondo; ma che
possono illudere il criterio di chi vi faccia computi cronologici
intomo. Ora benché il testo ultimo, quello a stampa, siccome
il più comprensivo ebbe ad essere il più diffuso e il meglio ac-
cetto; non è diflScile a chi l'esanima, riconoscere che lo scrit-
terello della Natura dei Francesi, apposto presso a quello come
per nesso logico dagli editori, se ne dovrebbe trovare le mille •
miglia distante, dacché, non s'incontra .mai prossimo su' ma-
noscritti, dacché le idee, in quello appassionatamente accu-
mulate, vi si veggono parte incorporate e parte corrette o ri-
fiutate; ^ dacché il risentimento nazionale é il movente che
gli, 1857, i quali attinsero per lo meno ad una copia di questa copia, seppure non trascu-
rarono l'esatta lezione del testo.
^ L'unica allusione del Machiavelli che ci occorra nella Commissione del 1510 circa
la Ni^ura de'Francesif è nella lett. 28 della medesima (ed. ult., Opp., t. vi, pag. 60) nella
quale si dice : « La natura loro è essere ordinariamente sospettosa, e tanto sospetton più
di voi, quanto e' vi hanno per più savi e per uomini che desiderate meno arrischiare le
cose vostre ». Questa affermazione si raccoglie forse nella più concisa^ sentenza dell'altro
scrìtto (ediz. cìt., vi, pag. 311) : « Sono piuttosto taccagni (taquins) che prudenti ». — Circa
all'altra: « sono più cupidi de' danari che del sangue », cf. più sopra a pag. 385 la risposta
data da re Luigi all'oratore Pandolfini, dai Dispacci del quale sembra desunto l'inciso ag-
giunto dal M. Cf. Desjabdins, op. cit., t. ii, pag. 189. — Tutte le altre caratteristiche,
secondo le quali Nicolò efficacemente tratteggia il nati^rale de' Francesi, si possono ricon-
durre a questo capo: «badano più al presente che non al passato o all'avvenire; sono
varii e leggieri ». E tali qualità, siccome costanti per ogni tempo e proprie della razza
celtica, vennero dagli stessi connazionali facilmente riconosciute. Il Taine, fra i recenti,
nelle Origines de la France contemporaine, 1. 1, pag. 315 : « il est Fran^ais, c'est à dire
excitable et communicatif, aisément jetó hors de son assiette et prompt à re^evoir les
impulsions étrangères, depourvu du lest naturel que le tempórament flegmatique et la con-
centration de la pensée solitaire entretiennent chez ses voisins Germains ou Latins ». —
Cf. TopiNARD, Anthropologie, pag. 431, il quale allega l'autorità del Bruce, {Handbooh
of elhnology, Londra, 1863) : « Le Frangais tient des trois grandes races dont il derive.
Par son caractère brillant et belliqueux, sa passion de parade et d'effet, son enthousiasme
soudain, qu'égale un dócouragement facile, sa promptitude à se laisser gouvemer par des
chefs militaires, son goùt pour les arts et les omements,' son entrain, sa légèreté, sa ga-
lanterie, il est franchement colte ». — Lo Spencer, Sociologie, cap. vi, pag. 130: « La France
ne cesse de déraontrer au monde, dépuis trois générations que s'il est une chose impossible
c'est d'altérer les caractères essentiels d'une organisation sociale au moyen de ré-arran-
gements effectués révolutionnaìrement ». — Le altre particolarità che il M. de' Francesi
accenna come contrapposto all'indole nazionale degl'Italiani anno aspetto di condizione
transitoria e attestano, più che altro, la permalosità di vicini disposti da natura a ben vi-
vere separati e però gelosi, nelle loro relazioni di prossimità, per sospetto dell'indipendenza
reciproca. Quindi la taccia che i Francesi « stimino in molte cose l'onor loro grossamente,
ToMMASiMi - Machiavelli. - 33
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514 CAPO SESTO. [ubbo
aguzza ogni sentenza del Machiavelli in quell'embrione di com-
ponimento, in cui intende a tratteggiare T indole francese per
contrapposto a quella italiana; mentre le idee che svolge nei
-Ritraiti di Francia, anno una parte tutta oggettiva, che è la
migliore, e nasce dall'osservazione propria del Segretario; e per
.altra parte possono tutte spiccarsi da pochi sommi capi, quali
sarebbero la tradizione classica più o meno sincera, e ora si-
gnoreggiante colla violenza d'un pregiudizio, ora sfruttata
come una sentenza autorevole a prò dell'opportunità; * la no-
tizia più 0 men completa, più o meno esatta della storia con-
e disforme al modo dei signori italiani » non à importanza oltre la contingenza storica che
potò provocarla. Cf. Goicciabdini {Si. d'Italia, lib. ix) : « il re di Francia anendo meno ri-
spetto alla dignità che alla quiete, esser disposto a consentire molte cose di non piccolo
pregiudizio al Duca (di Ferrara) ». — Similmente Taltra affermazione che i Francesi « sono
inimici del parlare romano e della fama loro » indica il diverso stadio di civiltà cui la
, nazione Italiana e la francese erano già pervenute nel principio del secolo decìmosesto:
quella più colta e men ferma, questa più potente e più certa. Cosi il linguaggio opposto
al parlare romano, s'intende essere Tantico francese tra normanno e piccardo, quello del
Marot, del Gr^oire, del Lemaire de Belges, del Villon, V idioma volgare e nasionale, di-
spettoso del grammatiche^iar latino, al quale sta per toccare la sarcastica stretta di collo
da Pantagrael. (V. Rabblais, lib. ii» cap. 6. Comvtiént Pantagrttel rincontra ung lAmoauh
qui coiUrefaitoU le languaige Frantoi», Cf. Cbasles, Histoir^ d€ la liuératur0 €l da la
langué francaises pendant le XVI siècle). Ed è a osservare come iV M. desse in questo caso
alla romanità un termine d'antitesi non notato dal Pabis (Cf. Romania, voi. i, pag. 1-22)
e constatante il fatto, con una giustezza d'espressione, insolita negli scrittori dei tempi
suoi. Non è inutile ricordare a questo proposito il ritornello della ballata del Villom:
« Prince. aux dames parisiennes
De bien parler donnez le prix;
Quois quW die d'Italiennes^
Il n'est bon bec que de Paris ».
Del resto ò evidente che ne^MlratU di Francia del M., o si riproduce un motteggia allora
in voga tra gì* Italiani, temperanti coli* ironia Tamarezza loro e 1* infelicità patria; o nel
seguente inciso v* ò manifesta influenza della Relasione di Spagna del Guicciabdcu
(1512-1513), ed in tal caso sarebbe anche a rìsguardare come un notamente posteriore; e
ne à infatti tutta l'impronta, per essere collocato in posto ove non incontra alcun logico
richiamo : « La natura dei Francesi è appetitosa di quello d*altri, di che insieme col suo e
deiraltrui è poi prodiga. E però if Francese ruberìa con lo alito per mangiarselo e man-
darlo male e goderselo con lui a chi lo ha rubato. Natura contraria alla spagnuola, che
di quello che ti ruba, mai ne vedi niente ». Il Guicciaboini, loc. cit., Opp. ined., voi. vi,
pag. S77 : « però si dice che ò migliore signore il franzese che lo spagnuolo, perchè tutti
a due spogliano i sudditi ; ma il franzese subito spende, lo spagnuolo accumula ; e anche
lo spagnuolo per essere più sottile, debbe sapere meglio rubare ». — Certo è che gli Spa-
gnuoli medesimi proverbiavano i Francesi pel loro modo di scialacquare gli acquisti. Cf.
Mabin Sanudo, Diarii, iv, 468, ove da Lorenzo Soarez, orator Ispano, sì dice « Francesi
gana muchio e tiene poche ».
> Vedemmo già più sopra la falsa citazione di Cesare fatta dal Machiavelli, corretta
poi da lui medesimo ne* Ditcorsi. Tuttavia, dove egli chiama i Francesi « insopportabili
(secondo le edizioni : « incomportabili ») dei disagi ed incomodi » ed afferma che « con il
tempo straccurano le cose loro in modo, che ò facile, con il trovarli in disordine supe-
rarli », è chiara allusione a Cbsabb, De bello gallico, lib. iii, cap. xix : « nam ut ad bella
suscipienda Gallorum alacer ac promptus est animus, sic moUis ac minime resistens ad
calamitates perferendas mens eorum est». -~ Cosi l*«ut sunt Gallorum subita et repen-
tina Consilia » (ibid., lib. in, cap. 8) e il « sunt in consiliis capiendìs mobiles et novis pie-
rumque rebus student » (lib. iv, cap. 5) generarono il : « sono vari e lepori » del Ma-
chiavelli. Similmente in fondo alla dipintura etnografica, economica e politica che il Se-
gretario fiorentino fa del reame di Francia s* intravede il disegno già tracciato daCESABE
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secondo] ritratti DELLE COSE DELLA FRANCIA. 515
temporanea;^ T informazione minuta de' singoli offici della corte
e de* congegni amministrativi del regno.
{De beUo gaUieo, lib. vi, cap. 13): « In omni Oallia eonim hominum qui aliquo sunt nu-
mero atque honore genera sunt duo ; nam plebs paene serronim habetur loco, quae per se
nihil audet (— sono i popoli di Francia umili e ubbidientissimi.... sono per le terre tutti igno-
bili e gente di mestiere, e stanno tanto sottoposti annobilì, e tanto sono in ogni azione
depressi, che sono vili — ), et nullo adhibetur Consilio. Plerìque quum aut aere alieno aut
magnitudìre tributo rum aut injuria potentiorum praemuntur, sese in servitutem dicant
nobilibus, in hos eadem omnia sunt jura, quae dominis in servos. Sed de bis duobus ge-
neribuB alterum est druidum (i prelati) alterum equitum (i baroni), etc. L'avversione
dflgl* Italiani poi contra a' vani conquistatori del loro paese V indusse ad usuf ruttare 1 testi
classici a fondamento di contumelie rettoriche. (Cf. Pietro Mabtibb d'Anglkria, Opu8
Epistol., 121, 207, 208. E già a questo proposito aveva scritto Enba Silvio Piccolomini,
Kpp., lib. I, XI. « Mihi enim ut credas velim, nullum esse quae Qallorum superat ambitio-
nem: nostri preeterea inimici sunt, nec unquam nostri sanguinis hominem diligunt. Nam
cum sint ipsi pieni fastu, viderìque optimi velint potius quam esse, Italos oderunt, maxime
quo se prsecellunt. Et quia eos virtute nequeunt imitari, invidia prosequuntur. Et quibna
ipsi potissimum abundant vitiis, ea generi nostro ascribunt ».
> La prima parte dei Ritratti di Francia, ove il M. espone le cagioni per cui quel
regno à ingagliardito la propria compagine, riceve acconcio commento dalle opere del Lb>
GBNAI8, Hittoire de Louis XI, son iiècle, set eacploits comfM dauphin, ses dÀx ans d'admi-
ttistration en dauphiné, ses cinq ans de résidanee en Brabant et son régne, Paris,
Didot, 1874, e del Dcput, Histoire de la réunion de la Bretagne à la France, Paris, 1880.
— Laddove il M., dopo aver accennato alla presura di Luigi XII, nella giornata di Bre-
tagna, alla battaglia di Saint*Aubin du Cormier, scrive : « e fu disputa, morto che fu il
re Carlo, che per quel mancamento o defezione dalla Corona, lui dovesse aver perso il
poter succedere; et se non che lui si trovò uomo danaroso per la masserizia che aveva
fatta, e potette spendere, etc.; e dipoi quello che poteva esser re, rimosso lui, era piccol
fantino,, cioè monsignore d'Angulem ; et anche questo re, et per le ragioni dette, e per
avere qualche favore, fu creato re»; il presidente Hìnault {Nouvelle abregé chronolO'
gique de l'Hist. de France, t. ii, pag. 428) domanda: « ou Machiavel a-t-il pris qu*après la
mort de Charles VIII on soutint que Louis due d'Orléans ne pouvoit succèder, et étoit déchu
de son droit à la couronne pour avoir servi le due de Bretagne, qui estoit en guerre avec
la France 1 » Certo che quel periodo del M. i assai ingarbugliato e lascia concepire non
poco sospetto della esattezza storica circa i fatti che accenna ; ma tuttavia nella Re-
lation di sier Hironimo Zani 0I cavaiier venuto di Franta, fatta in Pregadi (maggio
1499) si fa cenno alle difficoltà che potevano esser opposte alla successione del duca di
Orléans: « fo gran ben per questo re che Carlo (VIII) morisse cussi presto, perchè da poi
mezodi cadete in leto amalato et la sera morse : questo perchè quelli baroni et chi lo con-
sigliava lo havia fato far testamento, né mai istituiva herede questo re presente, ma la»-
sava ad altri, perchè in Pranza è molte signorie govemade per dono. (Mabin Sanudo,
Diarii, II, 762). — Machiavelli: « Il re di Francia si serve sempre 0 di Svizzeri 0 di Lan-
zichinèt, perchè le sue genti d'arme, dove si abbia nemico opposto non si fidano dei Ona-
sconi. — Cf. Du Bbllat : « Vous connoissez tout anssi bien que moi quels gens de guerre
sont le Francais à pied. Tout notre reAige et esperance gissait és Lansquenets et Suisse »
— Cf. Relaz. di Fb. Qiostiniani, pag. 212 (ed. Albìbi, t. 2^, serie 1^). — Machiavelli:
« I prelati di Francia traggono due quinti delPentrate e ricchezze di quel regno ». — Il
ZoBZi aveva già computato : « il terzo de 1* intrada di Pranza è di chiesie, né etiam paga
niun di la corte ». — Il Tainb, op. cit., pag. 18, fondandosi sul rapporto del Treilhard fatto
in nome del comitato ecclesiastico {Moniteur, 19 dio. 1789) osserva circa i beni del clero fran-
cese : « Ses biens valent en capital prés de 4 milliards ; ils rapportent de 80 à 100 millions,
à quei il faut joindre la dime, 123 millions par an, en tout 200 millions, somme qu'il fau-
droit doubler pour en avoir l'équivalent aujourd'bui; outre cela le casuel et les quétes, etc. »
Cf. VoLTAiBE, Histoire du Parlement, cap. xi. ^ M. : « Sono i popoli di Francia umili ed
ubbidientissimi, ed anno in gran venerazione il loro re ». ^ Cf. i Ritratti delle cose della
Magna, ove il M. dice che l'Imperatore non à ridotto i popoli di Germania in condizione
« da potersene valere a sua posta, e non quando pare a loro, come fa oggidì il re di
Francia e come fece già il re Luigi, ecc.» Flbubangr, Mémoires, eh. x: «monsieur
Tevesque de Ource, son ambassadeur allemand, lequel avoit accostumé de venir souvent
en ambassade vers le Roy, luy prier qu'il voulsist avoir pour excuse sa mauvaise dili'
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516 CAPO SESTO. [libbo
Ma prima di procedere ad avvisare le qualità intrinseche
di questa relazione del Machiavelli, convien premettere che
gence, en quoi il ne poavoit point si bien eslever les Alleroans comme le Roy faisoit les
Francois ». Matteo Dandolo, Relax, di Francia (1547), Relax, venete, serie i, voi. iv,
pag. 72. « E dirò qui alla S. V. quello che Sua Maestà ini disse a certo proposito rìdendo
che Massimiliano imperadore soleva dire: l'Imperatore essere il re dei re, perchè i suoi
suggelli sono principi e potentati cosi grandi che non gli obbediscono se non gli pare; il
re cattolico essere il re degli uomini, perchè quelli si possono chiamare uomini d'ingegno
e di guerra, e rispondono anche da uomini quando loro viene comandata una cosa piat-
tosto che un'altra; e il re di Francia essere il re d^Ue bestie, perchè in qualunque cosa
che comandi o voglia, è ubbidito subitamente, come l'uomo dalle bestie; per il che pre-
tese il re farmi capace del potere del suo regno ». — In generale il M. non tiene alcani
ragione delle particolari relazioni della Brettagna col rimanente del regno di Francia. Ore
parla dei cinque Parlamenti non allude in alcuna guisa ai Grands Jours di Nantes; né
accenna ai cangiamenti introdotti da re Luigi XII per istabilire la giurisprudenza del
Parlamento di Parigi e nel dar forma a quelli di Normandia e di Provenza. Ora, oltre il
' Parlamento di Rouen, istituito da re Luigi per un editto « donne au Moutils sous Blois
au mois d'avril 1479 » egli aveva ancora emesso un altro editto « donne a Lyon au mois
de juillet 1501 portant érection du Conseil souverain de Provence en parlement dans la
ville d'Aix ». V. Tessere A n, Histoire chronologique de la grande chancellerie de France,
1. 1, 97. — Di queste omissioni d' informazioni si potrebbe forse fare appunto al M., se
non che il Voltaire nella sua Histoire du Parlement^ k un capitolo (xiv) intitolato:
2)e$ grande changements faits sous Louis XJI, trop negligés par la pluparl des histo-
riens » ; onde in qualche parte può essere scusato il mandatario fiorentino se non registrò
quello cui gli scrittori e cronisti francesi stessi contemporanei non dettero sufficiente
rilievo. È tuttavia assai a maravigliare che né nelle Commissioni né nei RUrcUii di
Francia, il Machiavelli tenti in alcun modo di dar la prosopografia di Ijuigi XII, come
già tracciò quella di Massimiliano ne' Ritratti della Magna. — Annota poi erroneamente:
« gli studi primi sono quattro : Parigi, Orliens, Bourges e Poitiers; e dipoi Tours ed Angers,
ma vagliene poco». Cf. Jobannis Limnaei, Notitiae regni Franciae, t. ii. pag. 430: «Ma-
chiavelli catalogus non imperfectus modo, sed et in eo vitiosus, quod Turonensem nominat,
quae nunquam extitit ». — Dove il M. espone le ragioni per cui il re di Francia pretende
il dominio nel ducato di Milano, tutte le edizioni recano : « Tra le femmine ne fo una che
si chiamò madonna Valentina, e fu maritata al duca Lodovico d' Orliens, avolo di questo
re Luigi, disceso pure dalla schiatta di Pipino». Gf. a questo proposito l' importante
pubblicazione del Faucon, Le mariage de Louis d' Orleans et de Talentine Visconti, la
domination fran^aise dans le Milanais de i387 à 1450, Paris, 1882. Il ms. soprindicato
(Bibl. Naz. fior., doc. M., busta VI, n. 83) scagiona il M. del grossolano errore, leggendoviai,
in luogo di «disceso»: «...dicesi pure della schiatta di Pipino ». — Ora, pongasi a rim-
petto di quel « di cesi » un passo àeìV Instrutione data dal re de' romani a U oratori man-
dati a Fiorenza (Marin Sanudo, Diarii, 1. 1, 890) : « sciunt et omnes, hunc Carolum (Vili)
francorum regem non esse de linea Caroli magni, sed ex Ugone Capoto invasore regni
Franciae originem habuisse; adeo ut si de vero rege Franciae disputandum sit, procol
dubio reperiretur verum regem Angliae, verum etiam Franciae regem esse et censori de-
bere, sicut et nunc anglorum reges sustinere contendunt » ; e si parrà invece quanto pm-
dentemente il M. accennasse in forma dubitativa al vanto interessato dei Capetingi, fatto
incredibile in Italia per la tradizione messa in voga dalla terzina dantesca:
« lo fui radice della mala pianta
Chiamato fui di là Ugo Ciapetta:
Di me son nati i Filippi e i Luigi
Per CUT novellamente e Francia retta >
{Purg., XX, 43-51),
e ben cognita in Francia, come apparisce nella Ballade de l'Appel de Villon :
« Se fusto des hoirs Hue Capei,
Qui fut extract de bouchene ».
Similmente l'accennato ros. dove le edizioni leggono: «danari due ciascun giorno e per
ciascun cavallo per lo stallaggio », dà invece : « d. xii ciascun giorno » ecc. — Dove Nic-
colò scrive : « Le ragioni che pretendono avere gì' loghilesi sul reame di Francia e più
fresche, ritraggo e trovo esser queste », è chiara allusione al trattato di Troyes, àe*ÌÌ di
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SKCONDO] RITRATTI DELLE COSE DELLA, FRANCIA. 517
se Firenze rispetto alla Francia trovavasi in quella condizione
medesima, che Venezia rispetto all'Impero; nella condizione
cioè di sperarne e di temerne più che d'altri e di avere però
miglior ragguaglio del paese a cui l'avvincevano i suoi più
vitali interessi, Niccolò pel Rapporto delle cose della Magna
trovò riscontro nelle relazioni degli ambasciatori veneti e
l'opera sua potè parere superata dalla loro, ma ne* suoi Ri-
tratti della Francia uscì alla sua volta originale, seguitato
per gran pezza e talvolta copiato dai relatori veneziani me-
desimi, ^ e riguardato come autorità sòlidissima per tutto il se-
colo decimosesto.
maggio 14^. Terminano i Ritratti di Francia con un lieve accenno alle condizioni eccle»
siastiche dell* Inghilterra : «Gli arcivescovadi d'Inghilterra sono due; vescovadi ventidue,
parrochie cinquantadue mila». Il M. probabilmente di quel di Oodor e Man fece due
vescovati distinti. Quanto alle parrocchie d'Inghilterra, il loro numero ò men lontano dal
vero di quel che sia quello delle parrocchie di Francia, cosi come vien dato dalle edi-
zioni assai erroneamente. È singolare che nella Relazione di Francia del Contabimi
(ed. Albébi, serie i, voi. rv, pag. 28), che è dell'anno 1492, si legge: « ...nel qual
regno si divulga (e quelita è l'altra cosa che mi pare incredibile e pure m' è stata affer-
mata e giurata per vera) che vi sono 1,500,000 parrochie. Traendo dunque da ogni dieci
parrochie un franco arciere, che è una cosa minima, darla 150,000 franchi arcieri e tanto-
più quanto potesse accadere o bisoguare ». — Il Machiavelli invece scrive : « In ciascuna
parrocchia di Francia è un uomo pagato di buona pensione della detta parrocchia, e si
chiama il franco arciere, il quale è obbligato tenere un cavallo buono, e stare provvisto
d'armatura ad ogni requisizione del re. Quando il re fussi fuori del regno per conto di
guerra o d'altro, sono obbligati a cavalcare in quella provincia, dove fusse assaltato il
regno, o dove fusse sospetto ; che secondo le parrocchie, sono un milione e settecento ».
— Il Segretario fiorentino pertanto mostra d'aver più precisa conoscenza dell'ordinanza di
Carlo VII, data a' 23 d'aprile 1448, per cui si comandava un arciere ogni parrocchia, fatto
immune da tributi e però detto franco. (Cf. Monstrblet, Chroniques^ voi. in, pag. 6t.
E VHistoire de Charìn VII nella raccolta del Oodbfrot, pag. 347, 427) ; ma erra strana-
mente circa al numero delle parrocchie, che vengono computate per que' tempi in sedici-
mila ed ascendevano a 40,000 circa l'anno 1660. V. I^ nombre des Ecclédastiques de Francai
ristampa del 1876, Paris, Lisieux, pag. 46. Quindi o egli ebbe ad essere tratto in errore
da false affermazioni, come il Contarini, e ci par meno probabile in chi sapeva che « fra
molte cose che demostrano lo homo quale e' sia, non è di poco momento el vedere come
egli è facile a credere quello che gli è detto » (v. sopra a pag. 150) ; o forse scrisse anche
il numero delle parrochie in cifre arabiche, e i trascrittori nel copiare equivocarono, e le
edizioni resero l'equivoco. — Come i francs-archiers fossero berteggiati in Francia non al-
trimenti che i fanti dell'ordinanza del M. dalle cicale in Firenze, l'attesta l'epitaffio nel MO'
nologue du frane archer de Baignollet attribuito al Villon :
« Cy gist Pemet, franc-archier
Qui cy mourut sans desmarcher,
Car de fuyr n'eut onc espace,
Lequel Dieu, par sa saincte grace
Mette ès cieulx avecques les ames
De francs-archiers et des gens d'armes
Arriere des arbalestriers ».
1 Cf. fra le Relazioni venete intorno alla Francia quelle di Marino Oiustinian (1535),
Fb. OiusTiNiAN (1538), Marzko Cavalli (1.546) (serie i, voi. i, ed. Albàri), Matteo Dandolo
(1547), Giovanni Cappello (1554), Giovanni Sobanzo (1558) (ibid., voi. ii). Michele So-
riano (1562). Cosi, Matteo Dandolo ripete l'errore delle parrocchie «le quali dicono es-
sere un milione e settecento » a proposito delle istituzioni dei franchi arcieri. E il Soriano
(loc.cit., pag. 114) à il seguente passaggio che il lettore può da per sé comparare coU'o-
mologo del M. ; « Il governo dello Suto è tutto in mano dei nobili e dei prelati- Servono
i prelati di consiglio, ma non di opera, e i nobili dell'uno e dell'altro; anzi si sono con-
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618 CAPO SESTO. [libro
Ora, a chi considera il punto di veduta da cui il Ma-
chiavelli osserva il regno di Francia è impossibile che sfugga
il costante riflesso che le considerazioni fatte già sull' intrinseca
qualità dell'impero germanico gli gittano sopra. Tanto che
si sarebbe quasi tentati a dubitare se l'antitesi, che secondo
la sua descrizione apparisce negl* istituti e nel costume de' due
paesi, sia tutto effetto d'intrinseca e nativa diversità delle re-
gioni e de' popoli, o non v'abbia punto di preconcetto nel-
l'animo dello scrittore. Se non che il riscontro che può aversi
dalle fonti storiche paesane e contemporanee risulta tutto a
vantaggio del Machiavelli, il quale, dopo questo esame, più
particolarmente dimostra l'impronta profonda del genio poli-
tico di cui segnò questa breve opera sua.
Come già per la Germania, cosi ora ei si fa per la Francia
ad esaminare la relazione che passa fra le condizioni naturali
della nazione e le economiche; fra la regione e gli uomini che
la popolano. Ei ben l'avvisa « per la grandezza sua e per le co-
modità delle grandi fiumane grassa e opulenta »; ben la vede
piena di abitatori operosi ed industri, turgida di ogni maniera
di produzioni; ma quel turgore è un ingombro e quella piena
uno stagnamento della fluida vita. Ed in questa occasione il
cancelliere della repubblica mercantesca scruta, per verità con
occhio d'economista più sagace e più sincero che non fece in
Grermania, le cagioni del contrasto fra la natia feracità del
suolo e degli uomini, e le consuetudini e le leggi onde si dis-
forma e corrompe in ventraia idropica tutto quell'umor d'ab-
bondanza, trattenuto o scolato a sperpero. L'ordinamento del
vivere francese comparisce al Machiavelli tale, quale la Francia
stessa ebbe a ravvisarlo al termine violento di quel che oggi
chiama antico regime: tutto sofibcato sotto una grande piramide
d'oppressione al cui vertice poggia il re, alla cui base geme
il volgo umile, prono e laborioso. Un gran despotismo tem-
perato appena dagli epigrammi, come parve al Carlyle; ^ ma
non più incerto, come per il passato, « quando la Francia non
era unita per i potenti baroni che ardivano, e bastava loro,
pigliare ogni impresa contro al re » ; * un despotismo raggra-
teDtati molta volte di lasciare tutto l'onore delle deliberasioni ai prelati, sapendo che
Tesecuzione ha da toccare a loro».
> Carltlr, Hiatory ofthe French revolution, 1. 1, pag. 53. Cf. Sbyssbl, ffist. de LouùXII:
« les Francois ont toas jours ea licence et liberté de parler à leur Tolonté de toutes gens
et mesme de leurs princes, non pas apres leur mort, tant seulement, mais encore en leur
vivant et presence ».
* Machia VBLU, RUraUi di Francia.
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SBCONDO] CONDIZIONI ECONOMICHE DELLA FRANCIA. 519
vaio bensì per le scaltre arti di Luigi XI, per via delle primo-
geniture baronali e per i retaggi dei più potenti fra i nobili,
che 4c essendo tutti del sangue reale, sperano che, in mancanza
d'eredi più prossimi, possa la corona quando che sia ricadere
in loro »; un despotismo confitto tenacemente con branche
feudali è il mostro che spreme e sugge tutto il sangue vivo
della nazione.
A Niccolò non riesce intendere qual sia l'entrata ordinaria
o straordinaria della corona, quantunque ne domandi a molti,
perchè ciascuno gli dice « essere tanta quanta il re vuole >J
Gabelle, taglie, preste « che rado si rendono », tutti modi illi-
mitati per cui il regio tesoro impingua. E giù da quell'apice
reale digradando man mano la grande pianta parassita si stende
e rigonfia, lasciando sfruttati ed esausti gli organi su cui tenace
s'abbarbica. Direttamente suddite alcune terre del monarca,
altre lo sono delle castella e delle abbazie. Dappoiché evvi op-
pressione ecclesiastica, come ve n'à monarchica e nobilesca.
Solo, poiché la nazioìie sopporta ogni soggezione, ogni gravame
interno, ma l'esterno abomina e scuote; v'è una sanzione
prammatica che la tutela dal pastorale tosamento di Roma.^
« Assai vescovati, del resto, anno il temporale e lo spirituale ;
e poi avendo per il vitto loro cose abbastanza, tutti li danari
che pervengono loro nelle mani, non n'escono mai, secondo
1 Sbtssbl: « La taille qui se leve sur le penple est arbitraire », pag.63 t.
* M.: « I benefici! di Francia per virtù di certa loro prammatica ottenuta già lungo
tempo fa dai pontefici, sono conferiti da* loro collegi, ecc.... e se qualche volta el re volesse
derogare a tale prammatica, eleggendo un vescovo a suo modo, bisogna che «si le forze, ecc. »
— Cf. P. PiTHou, Hittoùre contenant Vorigins de la pragmatique Sanction, Paris, 1652,
e VHistoria originis pragmaticas sanctionis Biturigibus editae, procurante re gè Ca-
rolo VII, anno i439, etc. in Fbancisci Pimsonu, Car. VII Fr. regi» pragm. eanetio, Pa-
rìsiis 1666. — La prammatica era odiosa ai pontefici perchè li privava della collazione
dei benefici, in cui era la grande utilità e tutela del supremo grado gerarchico ; ed anche
perchè teneva desta la memoria del concilio di Basilea, da cui poteva dirsi lucita. Innu-
merevoli e indicibili gli artifici della curia romana per ottenerne Tabrogazione sotto
Luigi XI, Carlo Vili, Luigi XII, conseguita poi da Leone X nel convegno con Fran-
cesco I a Bologna. ~ Quanto importasse al clero che fosse mantenuta può giudicarsi
dalle Sarangues de Jean db Rblt à Louis XI pour le malntìen de la Pragmatique
tanction. Pertanto il re di Francia traeva partito di questa gelosa tenacia del clero per
imporgli decime e angherie, col presupposto « quod ubi tractatur de commodo et in-
commodo regniy tractatur de commodo et incommodo pragmaticae santionis ». Cf. Zac-
caria CoNT ARim, iZtfloz. di Francia, loc. cit.,pag. 22.Marin S anudo, DiarU (a. 1496) i, 219,
annota : « in rei verUate, più Francesi non recognoscevano alcuno beneficio ecclesiastico
dal pontefice romano ». — « À la verité, scrissero gli Stati radunati in Tours a Carlo VIII,
si la pragmatique qui fut re^ne et accordée à Bourges l'an 1438 n'y eut remediè et que le
Roy n*eut miajuatice sue et diteipline en chevalerie, ce Rojaume eùt été à totale perdition,
saas jamais se pouvoir resoudre » Cf. Dijoubt, Inttitution d'un prince, i. iv, pag. 29 e segg.
Il Maurbnbbbcbeb, Getchichte der katotìschen Reformation, pag. 30, scrìve: «die prag-
matische Sanction 1433 in Frankreich war ein entschiedener Sieg des Landeskirchlichen
autonomen Prinzipes».
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5W CAPO SESTO.
l'avara natura de' preti e religiosi; e quello che perviene
ne' capitoli e collegi delle chiese, si spende in argenti, gioie,
ricchezze, per ornamenti di queste: in modo che fra quello
che anno le chiese proprie e quello che anno i prelati in par-
ticolare, fra danari ed argenti, vale un tesoro infinito. Nel
consultare e governare le cose della corona e stato di Francia
sempre intervengono in maggior parte i prelati; e gli altri si-
gnori non se ne curano, perchè sanno che le esecuzioni anno
da esser fatte da loro » ; però nobiltà ed alto clero si confon-
dono insieme come per entro un amalgama nel quale trovano
l'affidamento e l'utilità reciproca.
Sopra i sudditi poi l'autorità dei baroni « è mera » ; e ciò
vuol, dire che la si stende sino a quella ferrea forma, entro la
quale ebbe a gittarsi il diritto, quando si intitolò ^jus gladtt»;
di guisa che il Bridoye del Rabelais giudica e rende sentenza a
tratta di dadi.* Delle prestazioni personali che aggravano le plebi
il Machiavelli non parla, ma riconosce che « le opere manuali
vagliene poco o niente per la carestia de'danari »; dacché la
sovrabbondanza d'ogni grascia è ingombro su'mercati deserti e
causa della viltà ne' prezzi. « E nasce perchè non anno dove
finire le grasce loro, perchè ogni uomo ne ricoglie da vendere;
in modo che se in una terra fusse uno che volesse vendere un
moggio di grano, non troverìa perchè ciascuno ne à da vendere.
Ed i gentiluomini dei danari che traggono dai sudditi, dal ve-
stire in fuori, non ispendono niente, perchè da per loro anno
bestiame assai da mangiare, pollami infiniti, laghi, luoghi pieni
di venagione d'ogni sorta; e cosi universalmente à ciascun
uomo per le terre. In modo che il danaro perviene tutto nei
signori, il quale oggi in loro è grande e però come quelli popoli
anno uno fiorino, li pare essere ricchi ».^
— Cosi il Segretario fiorentino riconosce ed esprime il con-
trasto delle condizioni economiche tra la Germania e la Francia.
Quella, abbondevolissima, non fa uscire danaro dalla nazione
perchè non à mestieri d' importazione, né esporta se non ma-
nufatti; questa sarebbe ricchissima d'ogni ben di dio, ma il
1 Rabelais, Panlagruel, cap. xxxvi, «Comment Pantagrael assiste aa Jogement du
Jage Bridoye, lequel sentenctioit les procès au sort des dez ».
* Srtssbl, Histoire de Louis XII, sembra invece che accenni ad alto presso dei tì-
veri : « Tellement qae la tierce partie dn royaume generalement est reduicte à cultore de-
puis trente ans, mais plus de ce regno que de tont l'autre temps precedent.Et non poor»
tant si se soustient le pris des vivres haut, qui est argnment evident qa'il 7 a grande
multitude de peuple, puisque tant des vivres si deduisent ». Ma probabilmente a cagion
delle guerre ebbe a seguitare questo momentaneo rialzo ne*preszi delle derrate.
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secondo] ritratti DELLE COSE DELLA FRANCIA, 521
soverchio delle derrate giacenti le invilisce il prezzo di ogni
prodotto e le fa scarseggiare la moneta per modo, che questa
perde quasi la qualità di merce universale. Pertanto la Ger-
mania internamente regola la vita sua più libera, più provvida,
più mobile, più poderosa; ma all'esterno, per cagione di quel
suo più impacciato che complesso organamento politico, appa-
risce invalida, tarda, disposta a perturbamenti ed offese. La
Francia invece è tutta nel suo re, si muove a posta di lui,^
cerca colla guerra la rivendicazione de' suoi commerci, il rial-
zamento al valore dei propri prodotti, l'oblio dell'intima e in-
discutibile oppressione sua. È di soprappiù gittata dalla natura
in tale postura geografica, ch'ella debbe aver gli occhi d'ogni
intorno, per desiderare o temere. — « La natura de' Francesi
è appetitosa di quello d'altri, di che insieme col suo e dell'al-
trui è poi prodiga >. Teme poi di tutti; e l'odio e il timore so-
pravvivono ancora alle cagioni che li determinano. — « Teme
assai la Francia degl' Inghilesi per le grandi incursioni e guasti
che anticamente anno dato a quel reame; in modo che nei
popoli quel nome Inghilese è formidabile ». Ma ben s'appone
il Machiavelli quando osserva che la nazionalità costituitasi è
ancora inconsciente, che quei popoli non distinguono, come la
Francia ^è oggi condizionata altrimenti che in altri tempi;
« perche è armata, sperimentata et unita, e tiene quegli stati
in su che gì' Inghilesi facevano fondamento ». Dagli assalti di
Spagna la proteggono le ardue e sterili bocche de' Pirenei;
da' Fiamminghi l'assicura il bisogno delle vettovaglie che questi
traggon di Borgogna e di Piccardia, e del commercio ch'essi
fanno principalmente sulle fiere di Francia. De' Svizzeri teme
assai per la prossimità loro e le fanterie agguerrite, da cui si
guarda coll'artiglieria, di che quelli difettano; e co' luoghi ben
muniti e l'armi de' feudi. « Dalla banda d' Italia pur troppo non
temono, rispetto alli monti Apennini, e per le terre grosse che
anno alle radici di quelli » . Ma non basta : — « dalla banda
d' Italia non temono per le ragioni dette, e per non essere in
Italia principe atto ad assaltarli, e per non essere Italia unita,
come era al tempo de' Romani » ; verità fatale e rimasa infe-
conda per secoli, insino a noi.
Pure è in Italia il vecchio e astioso pontefice che li di-
1 Cf. Machiavelli, Ritratti delle cose deUa Magna, edi2. uh., t. ti, pag. 325^ Ibid., Ritratti
di Francia, pag. 30^1. E nella Commisa. cit., leti. « die 5 septembrìs » : « Non voglio man-
care di dire ad le Signorie vostre, come alcuno qua difflcnlta el passare del re in Italia
per tre giuste cagioni.... — A questo si replica che queste medesime cose si sono dette
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522 CAPO SESTO. Li'O^o
sfida e li chiama barbari, che non fa computo de' Pirenei e
solletica il re d'Aragona a sormontarli; e non si persuade
de' nuovi fondamenti della unità francese; e solletica Arrigo
ottavo a valicar le marine e tentarne le coste; e s'avvalora
del malo animo de' montanari di Svizzera, per accenderli a un
odio contro il re Luigi maggiore della avarizia loro; e non si
perturba della congiunzione apparente che vede essere tra il
re di Francia e l'Imperatore. Ben intende lo scaltro ligure
che quell'amicizia non è durevole; che basta a guastarla il
buon successo dell'uno e la gelosia dell'altro, che nel mante-
nerli in continuo contrasto giace la sicurezza del principato
ecclesiastico; che a raffreddare l'impeto delle loro forze già
mal conserte basta mantenere un po' d'appicco alle pratiche
della pace. E sfrutta tutti i pacieri, da Giovanfrancesco Pico a
Matteo Lang, il burbanzoso gurgense; dal cardinale di Nantes,^
la cui britannità mette in giuoco verso il re francese, al pio
vescovo di Tivoli, mandato in volta con commissioni limitate,
sottili, non sincere. Né si spaventa della ribellion di Bologna,
né della fuga dell'esercito ecclesiastico condotto dal dappoco
e crudele duca d' Urbino, che gli pugnala quasi in sugli occhi
il cardinal di Pavia; né del concilio che gli vogliono intimare
addosso colla minaccia di giudicarlo e deporlo dal seggio pon-
tificale. Papa Giulio anzi preoccupa subito la via a' suoi avver-
sari, e convocando lui il concilio lateranense, fa rinviliare quel
di Pisa a conciliabolo. I Fiorentini aspettano dall'alleanza fran-
cese la restituzione di Montepulciano? ma papa Giulio aggio-
gando alla propria fortuna anche la scaltrezza di Pandolfo
Petrucci, vuol che da lui riconoscano anche quella restituzione,
e che intendano bene che lui vuol tolti di mezzo i Sederini,
francesi per sin nell'ossa; e lascia già alla città intravedere
i Medici fra le lance di Spagna.
dieci anni fa, ed egli sempre à passato e ripassato quando li è parso; perchè quando
il volere sta in uno li altri ne vogliono quello che esso ».
^ GuicciAKOiMi, St. d'Italia, lib. ix : « ordinò ancora che il cardinale di Nantes, di na-
sione Brettone, invitasse come da sé il Triulzio alla pace». Cf. Qubffa, op. cit.,lib. n,
cap. xvni. Ibid., csp. xxiii, dice del cardinale di Nantes: « que era Breton 7 avia tido
embaxador del Rey de Francia» .... « la Reyna le favorecia, corno a privado, y naturai
Breton ». — Il cardinale di Nantes era Roberto Guibe, per messo del quale papa Oinlio
accarezzava furbamente le tendenze autonomiche della Brettagna, la quale, nelle questioni
ecclesiastiche aveva mostrato sempre inclinazione diversa da quella del rimanente del regno
di Francia: «Pendant le grand schisme, scrive il Dupct {Histoire de la réunion de la
Bretagné à la Franee, t. i, pag. 10), la Bretagne a refusa de reconnaitre les papes d*Avi-
gnon, auxquels obéissait le roste du rojaume. En 1438 elle repousse la pragmatique sano-
tion de Bjurges, et reste pays d*obedience ».
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Capo Settimo
I MEDICI E I SODERINI — CADUTA DELLA LIBERTÀ FIORENTINA
IL MACHIAVELLI RIMOSSO DAGLI OFFICI.
Io sento ambltlon, con quella scola
Ch'ai principio del mondo el elei sortllle
Sopra de' monti di Toscana vola:
E nominato à già tante faville
Tra quelle genti si d'invidia pregne
Ch'arderà le sue terre e le sue ville.... ^
(Magdiavklli, Capitolo deU'ambùsione).
La buona fortuna de' Franzesl ci tolse mezzo
lo stato ; la cattiva et torrà la libertà.
(Machiavilli, postilla fiM. de'Framr
menti storici).
II motto del Machiavelli, che abbiamo posto ad epigrafe
del presente capitolo, fu da lui notato in margine, quando, nel
Disteso degli avvenimenti dell'anno 1495, accennava alle mire
del duca di Milano e degli altri suoi collegati, per abbassare
i Fiorentini, soli amici di Francia.
Dopo i fatti della discesa di Carlo ottavo, quella di Nic-
colò non era predizione diflScile ; tuttavia il modo incisivo e ta-
gliente con cui fu da lui espressa, la fé' parer quasi una pro-
fezia, a compier la quale papa Giulio implacabile raccoglieva
tutte le proprie forze, senza che gli venisse fatto puranco
sperar buona riuscita. L' Imperatore, più che mai bramoso del
pontificato massimo, s'era anche più impermalito per certe vel-
leità cesaree del pontefice belligero,^ infatuato nella sua guerra
gallica; onde non pareva possibile indurlo a mutar la tregua,
stipulata a forza co' Veneziani, in una pace, e dalla pace poi
cacciarlo dentro a una lega con essi. Poiché tale era il fascio
1 II Ma. Vat. 5SS5, voi. ni, p. 609, reca male : « ch*arderà le sue terre e *1 suo oyile » ecc.
• Cf. Léttres du Roy Louis XII, t. i, pag. 261. Lettera d'Andrea de Burgo e P. de Moten
a Margherita d'Austria « ex Blesis die xxj lulii 1510. Marcus Àntonius Columna Neapo-
litanus et Octavianus Fregosius congregatis Luce quatnor centum equestribus et altquo
numero peditum ex improviso profecti fuerunt Spediam, illamque cesserunt, proceduntqae
ut alia loca illius Oenuensis Dominii turbent et occupent, utunturque in illis motibus papee
lulii Ciesaris, notet Serenitas Vostra, quod nominapt eum papam et Csesarem,
et simul utuntur nomine Imperatoris et Regis Aragonum ». — Aggiungasi a questo, che il
cesareo veni, vidi, vici aveva fatto capolino nella scritta d'un arco trionfale eretto in Roma
in via de' Banchi pel trionfo di Giulio : « vibtuti bt qlobub sancti pontificu auctobib
PACI8 LiBBRTATiSQUit : VENI, VIDI, VICI ». — Cf. Sanudo, DiarU, vn, 64.
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524 CAPO SETTIMO. [libro
di forze che Giulio secondo agognava stringere, tenendosi, nel
re di Spagna, in' serbo l'alleato più cauto, il men sospettato,
il solo che potesse occupare Italia in nome della Chiesa; e
che del vincolo di vassallaggio, che nella sua qualità di re
di Napoli aveva verso di questa, sapesse farsi un'arma a
proprio vantaggio.
Ma frattanto, l'Imperatore si serbava unito con re Luigi,
e i successi dell'armi accrescevan baldanza a' Francesi in Lom-
bardia ; Bologna non sapeva in che mani avesse a cadere, ve-
dendo alle sue mura soprastare e fuggirsene ora lo Chaumont,
ora il pontefice; incerta, fra i Bentivoglio e la Santa Sede, di
chi fosse per oppressarla. Il duca di Ferrara seguitava con
prodezza la parte di Francia. Gli Svizzeri, a' quali il papa a^eva
girato il danaro delle vendute indulgenze, ^ non eran comparsi
sopra Genova; ma calati appena a Varese senza artiglieria e
senza ponti, dopo poche scaramucce, voltando per Como, scom-
parvero; sedotti, a quanto sembra, da miglior mercato e spa-
ventati dall'umido verno, malcontenti del papa che ingiuriarono,
chiamandolo ingannatore; abominati e infamati essi pure da lui,
che si diceva ingannato da loro.^
Il cardinale Schinner, che, ottenuta appena la porpora, aveva
dovuto scappare travestito, e a gran periglio, da' suoi conna-
zionali scissi e furiosi, seguitava tuttavia per impulso di Giulio
a far loro assaggiare il danaro ecclesiastico e ad allettarli per
la prossima primavera.^ L'Imperatore alleato di Francia e i
Veneti intanto scaramucciavano predando e struggendo paesi,
1 pQbblichiamo la seguente partite dai Regittri di conti ài papa QiuUo secondo, nel-
TArchivio di Steto di Roma, a comprova del nostro asserto:
Arch. di Stato, Regittri dare e avere di papa Giulio IT, m.d.ix. f. n. 2: — « La S^ di nro.
8. lalio papa secudo de* hanere a di xiiij di febraro due. duo milia doro de Cam. che sua
S^ fece pagare cioè mille p. mano de* fucheri per una cedula che doviano dare a sua
S** p. va, Christiano commissario delle indalgentie de Livonia et due. mille p. roano di m.
Augustine Ghisi a conto de una compositione eccìa circa la absolutione de Hieronjr, Fre-
scobaldi e compagni quali due. duo milia fumo inviati a m. Christophoro Welxer p.altre-
tanti eh. per soa Ira de cambio fece pagare a m. Alexandre Oabloneti da Man in bema
per condurre tremilia Scivissari come appare a libro delle recordantie a* et in questo a
conto Alexandre a e. 29 — due. 3!000 ».
* V. in Appendice il breve del papa a* Svisserì « datum Bononie sub annulo piscatorìs
die ultima septembris m.d.x. » — Lo traemmo dagli Annali autografi del Tizi nella Bibl.
Chigiana, t. vii, pag. 123-4. — Non dubitiamo della sua autenticità, ed è documento che
maravigliosamente ritrae la condisione degli Svizf eri nelle politiche vicende di que' tempi,
e 1* indole del furibondo e superbo pontefice. Forse il Tisi n*ebbe copia da quel Luigi Stella,
ferrarese, da cui riconosce altrove le informasioni che riceveva, chiamandolo « diligens homo
ac Julii cubicularius » (ibid. pag. 226). ~ Lo reputiamo inedito, non citandolo né il DoifBSKiL,
né il Bboscb, né il Gbbqobovius, il quale, per le reiasioni di papa Giulio colla Svìzzera,
attinse al Gldtz-Blotzhbim, Geschiehte der Eidgenoseen, che forse avrebbe potuto tro-
varne copia negli Archivi elvetici; ma a noi non riusci consulterò l*opera di lui.
* Rakrb, OeKhiehten der romanischen und germanischen Vólher, pag. S89 e segg.
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secondo] CADVTA delle REPVBBLICHE in ITALIA. 525
con tanta infelicità di popoli, quanta la storia non vale con
narrative a rappresentare. Ma un inciso notato da un parroco
di Belluno, a' primi di del settembre nel 1511, sul libro de' sa-
cristi è forse più eloquente ricordo che non sarebbe il rac-
conto diffuso di quelle affannose vicende. « In due anni e due
mesi, scriv'egli, abbiamo avuto otto signorie, ora i Veneti, ora
l'imperatore. Molti mali udimmo, molti vedemmo».^ E molti
ne restavano ancora a vedere e a patire alla misera Italia.
Ella soffriva tutta: dovunque erano stati principi, domi-
navano stranieri punto o male contrastati. Napoli, che aveva
durato imposte Serissime, minacciava levarsi contro Y Inquisi-
zione, non contro gli Spagnuoli;* Milano tollerava la insolenza
de' Francesi. Le repubbliche vedemmo scadere una ad una
insidiate, fiaccate, spente per malignità vicendevole; si che
ognuna che moriva imprecava con malo presagio alla superstite :
— Se la prima son io tu verrai meco. —
Cosi vedemmo Genova soggiacere, Pisa esser venduta da' re alla
tirannide democratica di Firenze ; Venezia aristocratica toccar
fondo, affogata quasi da una cospirazione europea; era la volta
ormai della repubblica d'Arno, ad opprimer la quale poche mene
di papa e di cardinali bastavano ; e il destino aveva pur troppo
congiunta a quella della libertà fiorentina la sorte del Machiavelli.
Come già narrammo più sopra, tanto gli amici di Firenze
quanto i nemici avevan visto di mal occhio quel racquisto di
Pisa, ond'ella s'era più rallegrata; di guisa che ed avversari
ed alleati avrebbero voluto aggrovigliarle di nuovo la que-
stione di quel possesso, per cui credevano aver modo di tenerla
in rispetto. Firenze, quanto a sé, giudicava che l'osservanza
dell'antica massima - che Pisa era a tenere colle fortezze -
l'avrebbe del tutto assicurata dal pericolo di perderla nova-
mente; e aveva però deliberato d'erigervi una nuova cittadella
più valida dell'antica, adoperando in quest'opera l'arte de'mi-
gliori architetti militari, e mandandovi Giambattista Bartolini a
commissario. Questi, sia che non fosse convinto della bontà
della massima, o non contento del procedere de' lavori, man-
1 Fr. Pellrgbiki, Memorie dei fatti di guerra dal i508 al Ì5i6 registrali nel libro
dei Sacriiti della cattedrale di Belluno, pag. 20. « Nota quod in duobus annis et duobus
mensibus habuimus dominationes octo, videlicet modo venetos, modo Imperatocem. Multa
mala yidimus et audivimus ».
« QuBiTA, loc. cit., lib. IX, e. XXVI i * De la alteracion que se movio en la ciudad de
Naples, y que se apaziguo con echar de aquel reyno los Judios ».
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526 CAPO SETTIMO,, [libeo
dava alla Balia di Firenze una relazione o discorso in cui con*
eludeva che, nel caso si perdesse la città, anche la cittadella
contemporaneamente si sarebbe perduta. Di che i Dieci im-
pensierirono e, consultato Giuliano da Sangallo, tennero che
prima di tutto importasse essere ben informati della condi-
zione di fatto in cui i lavori trovavansi. Spedironvi a que-
st'effetto il Machiavelli che, tornato di Francia, aveva ripreso
le sue cure, più militari che cancelleresche, e atteso, oltre un'an-
data a Siena a denunziare il trattato di tregua che fra sei mesi
era per iscadere con quella città, a dar principio alla cavalleria
statuale, descrivendo e accaparrando cavalli leggeri nel con-
tado. ^ Egli, andato a Pisa a' di 28 di decembre, era già tor-
nato a* 5 del nuovo anno, aveva già riferito circa l'operato
de' condottieri e del Bartolini e tenutone proposito con Giu-
liano e Antonio da Sangallo.* Questi trovarono che veramente
gli appunti mossi eran giusti, e furono immediatamente spacciati
a provvedere. 3 Ma non era questione di murar fortezze, per
*■ II M. impiagò tre giorni in questa sua andata a Siona, secondo à indicato negli stan-
ziamenti. La credensiale à in data dei 2 dicembre, e fu pubblicata dairAMico, Vita di N.
M., pag. 348 insieme a un estratto dal Registro delle Delio, della Bada di Siena, in cui è
notato : « Item in dicto collegio venit (5 die.) N. Machiavellus mandatarius florentinus qui,
presentatis literis credititiis, et ostensis ejus mandatis publicis, dedixit treguam nomine
dictonim ilorentinorum ». — Il Pbcci, Memorie storico^eriliche della città di Siena, t. i,
pag. 245, scrive : « il di 5 dicembre 1510 giunto a Siena mess. Niccolò Machiavelli è in-
trodotto nel collegio ». Il Tizi, testimonio oculare: « Quarta igitur novembris die, que iovis
fùit florentinorum sene ailViit orator mandata exequutus; qua ex re fuere nonnulli qui
existimarunt pandulphum petruccius (sic) cum potrò Sederino vexillifero perpetuo collu-
dere ut utrumque populum magis onerare valerent, etc.» (Cf. Sioisuunoi Titii, Histor.
tenent., autogr. chigiano, t. vii, pag. 128). È evidente che in luogo di novembri» il Tisi
dovea scrivere «decembris»; e che del resto il semplice scrittore si faceva eco de* male-
voli, i quali per far comparire malintensionato il Sederini, gli facevano colpa delle sue relv
sioni col Petrucci.
* Il Machiavelli s'assentò per questa cagione la prima volta a* di 13 di novembre,
tornando a* 29 del mese medesimo; la seconda volta da* 3 insino a* 19 di dicembre. Stette
inoltre tre giorni a Siena. Vedi gli Stanziafnenii pubblicati dal Passbbini, loc. cit.,
pSg. LXXVII.
* Il Promis nelle sue pregiate Memorie storiche dell'arte dell' ingegnere e dell'arti'
gUere in Italia dalla sua origine sino al principio del XVI secolo, Torino, 1841, pag. 58,
nota men che esattamente che, quando fu incominciata la fortessa di Pisa « il comune di
Firense mandovvi all'ingegnere San Gallo come operaio o commissario il Machiavelli.
Visitò egli i nuovi lavori e ne distese minuta reiasione nella quale, a modo suo, non tante
si trattenne a descrivere e lodare il fatto, quanto a notare gli errori commessi ed indicare
il modo di correggerli. Adunque, segue il Promis, in quell'anno era egli già assai ben
versato nella moderna architettura militare per sapere scoprire in una fortezza costrutta
secondo il nuovissimo sistema tante inconvenienze con tanta ssgacità ». — Ma a cosi gravi
conclusioni arrivò il Promis, partendosi dall'imperfetta e confusa pubblicazione fatta dal
Oatb {Carteggio d^artisti, voi. ii, pag. 116-120), d'un dispaccio e d'alcuni frammenti di
lettere de' Dieci di Balia al Bartolini, i quali documenti furono anche dal dotto scrittore
piemontese interpretati con eccessiva ampiezza di favore e di disfavore, per riguardo al
M. Questi infatti fu inviato con semplice veste di segretario e con mandato ad refe»
rendum, non già al Sangallo, ma al Bartolini ; né quel che riferi fu parer suo, ma processo
verbale d'una consulta di condottieri raccolta presso il Bartolini stesso; di guisa che se
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secondo] PISA E LA FAMIGLIA MEDICI. 527
assicurarsi il possesso di quella terra. Troppe cagioni a temer di
perderlo intravedevano i Fiorentini e nella loro politica interna
e neirestema. I Pisani naturalmente detestavano più che ogni
altro giogo quello della snervante superbia democratica, che
faceva veder loro un oppressore in ogni becero e in ogni ciana
di Firenze. E senza dubbio si sarebbero accomodati con animo
men dispettoso ad una tirannide qualsiasi, che, le due città si-
gnoreggiando con durezza e arbitrio eguale, pareggiasse i due
popoli in una servitù medesima. Né la famiglia Medici ignorava
la condizione e l'inclinazione di Pisa. Faceva anzi, ed aveva
fatto di tutto per abbracciare la causa della città oppressa; ^
ne avrebbe voluto impedire la sottomissione e, seguita questa,
intendeva che l'unico scopo cui le convenisse aver l'occhio
oramai, era un mutamento di governo in Firenze. Il cardinale
de' Medici s'accinse a lottare pel conseguimento di questo fine,
nella relazione notò piattosto gli errori commessi e indicò il modo di correggerli, queste
indicazioni furono non già prodotto del sno pensiero, ma esposizione di quel degli altri;
tanto era egli lungo in questa faccenda dal trattar Targomento «a modo suo»; tanto
lunge dal dar pareri al Sangallo, dal cui contatto potò invece assumersi quel pò* di notizia
circa Tarte della fortificazione di cui poi dio sentore nell'Arte della guerra. Nò era questo
il caso, come ben può avvisare il lettore, in cut s*appartenes«e al M. o ad altri di descri-
vere 0 lodare il resto del fatto. Farem solo rilevare come in un frammento di lettera al
Bartolini, in data del 13 gennaio 1510-1, edito dal Gatb (loc. cit., pag. 120) si faccia parola
« del cavare é* fossi di dentro della cittadella nuova » ; onde apparisce che 1* idea esposta
dal M. {Arte della guerra, lib. vii) di fare nelle fortezze « il muro alto e con mura di
dentro e non di fuora », gli venne probabilmente da Antonio da Sangallo e ne vide Tesempio
o il tentativo nella cittadella nuova di Pisa. Per quanto poi, rispetto alla pubblicazione
degr indicati documenti, risguarda il Gaye, occorre osservare come questi (pag. 117) con-
fonda tempi e cose, mettendo in nota al Dispaccio dei Dieci al Bartolini « die !^ de-
oembr. 1510 », un frammento di lettera scritta al M. nel tempo della guerra di Pisa, in
data de' 18 dell'agosto 1508. Quanto poi al testo della lettera « Ioanni baptiste bartolino
die V januarii 1510-1, basti accennare questa sola, fra le molte varianti, da noi osservate,
collazionando l'edizione col testo originale:
ed. Gate, pag. 120: « et però se in deota aut. (Arch. fior., ci. x, dist. iii, n. 130,
cittadella si truova artiglieria di più portata, e 128t) : « et però se in decta cittadella si
metterai* in cittadella nuova ». truova artiglieria di più portata che falco-
netto la trarrai solo et metterala in citta-
della nuova ; et quando e ti paressi da trarre
ancora et lasciarla solamente cogli archibusi
per maggiore artiglieria lo rimettiamo nel
juditio tuo; farane anchora trarre tucto el
salnitro ui si truova e mettoralo in cittadella
nuova consegnandolo appeso ad chi tiene
l'altra munìtione e di tucto ne darai ad viso
qui : vale ».
1 Marin Sanudo, Diarii, v, 1030 : (marzo 1504). — « Come el cardinal di Medici, dubi-
tando che Pisani non si accordino con fiorentini, al qual effecto il papa ò intento, eri fo
dal papa, dicendo a soa santità pisani amano la caxa di Medici, et tramando tal acordo,
saria bon Medici ritornassimo in Fiorenza, maxime perchò fiorentini, poi la morte di Piero,
non sono cussi contrari a essi Medici, come li ha riferito Bernardo Bibbiena. E che *1 papa
li ha risposto bone parole; et che li fazi constar la bona voluntà di pisani a caxa di Me-
dici, che farà il tutto ».
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528 CAPO SETTIMO. [lib»o
con quella pertinacia e quella scaltrezza ch'era dell'indole
sua. Non aveva potuto piegare il papa a favore di Pisa? collocò
già le sue speranze ne' cardinali francesi. ^ Gli mancavano
questi 0 scadevano d'autorità e di potenza ? ed ei si rifaceva al
pontefice. Aveva anzi iniziato una lotta palese, se non aperta,
col cardinal di Volterra in corte di Roma. Il suo nome era
dovunque quello del Sederini non stesse; il suo voto sempre
contro di questo; le persone, protette da questo, eran da lui o
attratte o bersagliate; si guerreggiava nella scelta delle spose,
nella nomina de' vescovi, ovunque apparisse un'occasione di
provar le forze. Filippo Strozzi, contro le minacce della Qua-
rantia, malgrado la volontà del gonfaloniere, s'era imparentato
co' Medici, sposando la Clarice, una figliuola di Piero. Il gonfalo-
niere ne fece un inferno; vide in questo maritaggio un caso di
stato. Voleva punito crudamente il giovane come ribelle, rivocata
la sua causa alla Signoria, cui egli presiedeva, sottraendola alla
competenza degli Otto di guardia e balia, alla quale l'avea de-
mandata; intendendo con questo giudizio colpire non solo il car-
dinal de' Medici, che aveva procurato con ogni industria di collo-
care a nozze in Firenze la fanciulla, ma anche i consigliatori del
matrimonio: i Rucellai, i Salviati, Giovan Battista Ridolfi egli
altri giovani, della parte dei quali lo Strozzi erasi fatto capo.
L'accusa segreta presentata al tribunale parve scritta con
gran finezza d'arte; e corse voce che fosse opera del Machia-
velli. ^ Potè forse essere; noi non abbiamo cagione di negarlo
0 d'affermarlo. Ma quella voce corsa designò certo all'odio de'
Palleschi e de' nobili il Segretario, da tutti risguardato sempre
più come uomo dedito interamente a' Sederini.
Neil' istesso tempo, la franchezza che s'ostentò dallo Strozzi,
la poca paura mostrata da lui e da' suoi del giudizio dei fog-
geitini, ^ la mitezza della sentenza nonché i mezzi termini
con cui veniva talora in parte elusa,^ dicevan chiaro che gli
1 M. Sanuoo, Diarii, t. vii, 549: (giugno 1508) «i qual cardinali francesi hanno dito
a* Medici, che stagino di bona voja, che presto si lùuterà governo in Fiorenza ».
* Cf . Guicciardini, Storia fiorentina, cap. xxxii, pag. 375 e segg. —V. Lorenzo Strozzi,
Vita di Filippo Strozzi, suo fratello j ed. Lemonnìer, pag. xx: «Cosi fa presentato agli
Otto secretamente, secondo Io stile degli ordini nostri, un*accasa di Filippo, con molta
arte e con molto ordine composta, si che per certo si credette che Niccolò Machiavelli
(che fu poi scrittore delle nostre Istorie, segretario allora della Signoria, e molto intrinseco
al Gonfaloniere) ne fusse, ad istanza del detto, l'autore ». — Cercammo indamo nelPAr-
chivio di Firenze Tatto d'accusa dello Strozzi.
* Guicciardini, Stor. fiorentina, pag. 378 : « e cosi chiamando foggiettini i popolari, si
facessi beffe del Consiglio e Governo popolare ».
* Pitti, Apologia de' Cappucci, pag. 315 : « . . . . dico che, avendo Filippo Strozzi
preso per donna la Clarice, figliuola di Piero de' Medici morto ribello, e nipote di Giuliano
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secondo] arti CORROMPITRICI de* medici. 589
avversari della repubblica guadagnavan terreno e favore.
Questi alle fanciulle delle migliori casate, in tempo in cui
nella città corrotta i matrimoni accadevano radissimi, facevano
di quando in quando balenar pratiche di nozze col giovane
Lorenzo, nipote del cardinale de* Medici, parentado ghiotto.
All'Alfonsina Orsini, la vedova di Piero, venuta a Firenze a
richiedere, trai beni confiscati del marito ribelle, la dote sua;
all'Alfonsina che aveva concluso quel primo matrimonio dello
Strozzi, rotto il ghiaccio, sarebbe stato meno difficile trovar
la via ad altre nozze opportune. *Nè la scaltra donna trala-
sciava mezzo di comperare animi; visitava, riceveva visite, cor-
teggiava, non già gli avversi alla democratia, ma i nemici
personali del gonfaloniere, i Rucellai, i Salviati ; ^ e nelle case
di costoro ebbe forse a incontrarla anche Niccolò Machiavelli,
scandagliato da lei nell'animo, dipinto a lei forse per men
soderinesco che non credevasi, poi che i Salviati aveano gu-
stato i riposti epigrammi del Decennale intorno alla « soda
pietra >.2
Frattanto casa Orsini cospirava a infiltrare i Medici dentro
Firenze per ogni via. Rinaldo Orsini rinunciava a bella J)Osta
l'arcivescovato della città; e chi gli successe, Cosimo Pazzi,
riconobbe da favore del cardinale Giovanni la promozione sua.
Il cardinale Sederini non seppe dissimularne la stizza, e le
due porpore in pieno concistoro s'aflfrontarono. ^ Le ire prò-
nippero in breve, rotta ogni simulazione; che la furia de' pro-
cedimenti di papa Giulio non era fatta per lasciare gli odi a
stagnare.
suo fratello similmente ribello, la giastisia doveva uscire di paese. — T.: Oh perchè? —
P.: Perchè altro è la ribellione di un cittadino privato, e altra è di colui, il quale è assue-
fatto a padroneggiare la patria, com'erano i parenti più stretti della Clarice. Ma perchè
quella criocca che alla fine arrosti Marzocco, era nella Repubblica potente, favorita dalla
fievolezza di molte buone persone, le quali non vogliono mai fare male a nessuno, lo giu-
dicarono per Tordinario. — T.: E* lo confinarono pure fuori dello stato.— P.: Si, ma e' lo
facevano, non ostante il confino, passeggiare di quando in quando la piazza. — M.: Oh
come può star questo, che non ne fusse gastigatol ^- P.: Quando veniva una mana di
Dieci della guerra fazionaria, faceva comandamento a Filippo, che sotto gravi pene, si
rappresentasse dinnanzi al magistrato loro; cosi lo trattenevano, in dispregio e scorno di
tutti i libertini ».
1 Nbbli, Commentare, pag. 99-100.
* V. a pag. 310 e segg.
• Marin Sanudo, Diarii Oaglio 1508), t. vii, pag. 5Sl : -e Et che in concistorio era
sta* conferito Tarzivescoa* di Fiorenza, vachato per la morte...., in uno de* Pazi, qual fo
promosso per el cardinal de Medici. Et che el cardenal Volterà disse: L*è homo da ben,
et quella caxa fo sempre contraria a* tyranni. Questo, perchè li Pazi alias amazorono Ju-
liano de* Medici etcEt che *1 cardinal di Medici 0 rispose, aziò fusse expedito. Et com-
pito di pronuntiarlo, esso Medici, con altri cardinali, andò verso Volterà, dicendo, a che
fin hauia dito quelle parole, alterandosi insieme assai », etc.
ToMMASiNi - Machiavelli. 34
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530 . CAPO SETTIMO. [libbo
Il concistoro era allora un microcosmo, e la lotta ecclesia-
stica, che cominciava ad agitare Y Europa, impegnava i cardinali
a scindersi in tante fazioni quante le nazioni e gl'interessi. I
prelati di Tours avevano risposto conforme ai desideri del re di
Francia circa le otto proposizioni loro sottoposte ; contro al pon-
tefice risollevando le temute idee del Gerson, le decisioni del
concilio di Costanza, le tradizioni della chiesa gallica. Ma alla
corte d'un papa violento e che governava da principe, i cardinali
non si sentivano sicuri. S'era veduto quello di Auch imprigio-
nato; quello d'Alby morto e, sospettavasi, di veleno.^ All' im-
provviso cinque di essi credettero, sfuggendogli di mano, prov-
vedere ai casi propri. Dovevano recarsi da Roma, strano a dirsi,
all'accampamento del papa belligero, presso a Bologna; ma. de-
viarono, e il Carvajale Francesco Borgia, vescovo di Cosenza,
giunsero a' 21 del settembre in Siena; e il dì appresso vi ar-
rivarono Federigo di Sanseverino e il BriQonnet, cardinale di
San Malo, e quel di Bayeux, Renato de Brie. I Francesi furono
ospitati da Pandolfo Petrucci, e presso quel tiranno scaltrissimo,
che sapeva uccidere tra' complimenti, stettero in gran paura
d'essere nelle vivande attossicati; * però ben presto partironsi
alla volta di Firenze, sicuro porto ai Francesi. Gli altri due, in-
vece, soprastettero alquanto cercando nell'arcivescovato, come
annota il Tizi, i volumi del concilio di Costanza e più special-
mente quel capo « concilium de decennio in decewnio esse
congregandum».^ E superfluo aggiungere che questi cardinali
fuggiaschi furono presto fatti scismatici e guadagnati tutti alla
causa di Francia e del Concilio, bandito contro a papa Giulio,
per la riformazione della Chiesa nel capo e nelle membra, e da
congregarsi, secondo che il re di Francia aveva scritto ai Fio-
rentini « en votre die de Pise ». ^ E alla scelta di Pisa erasi
adattato anche l'Imperatore, cui questa città parve a Firenze,
} V. fra le Lettre» de Ta)hìs XII, t. ii, pag. 45, la Lettera di Jean Caulier a Marghe-
rita d'Austria : « Ginq cardinaalx 8*en sont fuys de Rome & retirez à Florence, asscavoir
Messrs. de Saincte Croix, de Sainct Severin, trois de Franco et encores nng d'Espagne.
Le cardinal d'Àlby est mort à Rome & faict Ton doublé quMI n'ait esté empoisonné. I^
Maistre d'hostel Rìgault a prie Monsr. de Gurce voulloir escripre à Monsr. le cardinal de
Saincte Croix qo'il se voeulle conformer à Tadvis des aultres cardinaulx qui se sont re-
fugies avec ìny au dit lieu de Florence ».
* Cf. SiGiSMUNDi Tini, Hitì. aanens.f loc. cit.: « in Pandulphi edibus excepti insuper sunt,
plorimnm circa alimoniam atque dapes suspicati, ita ut conflderent nemini ».
* Labbé, Condì gener., tom. xvii. Act. Conc. Const., ses!^. xxxix, col. 700.
* Dbsjabdins. yégocialions diplom., t. ii, pag. 526. Lett. di re Luigi alla Signoria,
27 gennaio 1511. — Cf.in Goldast, Politica imperialia, pag. 1194^ la Convocatio generalii
Concini apud Pisam.
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SBCONDo] INSIDIE CONTRO I SODERINI. 531
che prima vaghegjgiava,^ preferibile, per esser quella di tradizioni
imperiali, già celebre ne' fasti conciliari, e posta sotto la giuris-
dizione de' Fiorentini ; ai quali così, malgrado la sottomissione
recente, la questione pisana si riaccendeva d'un subito. Il cardi-
nale Sederini ben ebbe l'accorgimento di resistere alle insi-
nuazioni del re e di Massimiliano; di non congiungersi con
coloro in alcuna manifestazione esterna contraria al pontefice;
noia, dicevasi da' suoi nemici, ed anche da talun degli amici, ^
che s'egli avesse saputo adoperarsi presso il governo fiorentino,
né Pisa sarebbe stata scelta a sede ,del concilio, né accordata.
E invece, concessa prima in gran segretezzja e per lo spauracchio
dei Medici, che anche i Francesi vincitori tenevano in mano,
era stata accordata poi per votazione amplissima del Consiglio,
quando le fazioni, cupide di gettare nell' imbarazzo il gonfa-
loniere, si trovarono facilmente concordi in una maggioranza
occasionale. 3
Il cardinale de' Medici, gettandosi all' incontro con lar-
ghissimo gioco alla banda del papa, n'avea guadagnato grazia
illimitata, eccitando in lui tanto malanimo contro al gonfalo-
niere perpetuo e alla sua famiglia, da non farlo guardar più pel
sottile a' mezzi d'estirparla di Firenze. E Prinzivalle Della Stufa,
che dimorava alla corte papale, ebbe coraggio d'andare a Filippo
Strozzi, uomo che il Machiavelli giudicò poi fatto apposta per
congiurg^re,-* a proporgli, incitato dal papa, da Marcantonio Co-
lonna e forse anche dal Petrucci, di tórre la vita s^ Pier Sede-
rini. Lo Strozzi astutamente rifiutando il pericoloso partito, lasciò
sfuggir Prinzivalle a Siena, e rivelò poi la trama. Ne segui un
processo per cui il Della Stufa venne condannato come ribelle,
o il padre di lui confinato a Certaldo. Di papa Giulio si scri-
veva: « le diable le chasse »; ch'aveva il diavolo addosso. ^ Le
porte di Firenze stetter chiuse; la città sembrò sbigottita; il
cenno che si potevano preparare e aspettare mutamenti era
dato. Non andò gran tempo che Piero di Tommaso Sederini,
nipote del gonfaloniere, ebbe ad esser ferito egli pure al
1 Cf. V istruzione delV Imp. a Pigolio Portinari, in Appendice.
* V. Nardi, Storie di Firenze, lib. vi: «E qui è da notare che il cardinale Sederino
aveva anche egli secretamente tenuto intelligenza con questi cardinali ».
• Pitti, Apologia de' Cappucci, pag. 307.
♦ Cf. BU8INI, loc. cit., pag. 115. •
» Nardi, Storie di Firenze, lib. vi. Pitti, Storia di Firenze, lib. ii, pag, 97. — Cambi,
Storia di Fir , pag. 247. Ammirato, Storie fiorentine^ lib. xxviii. Titii, Annales Sanenses, ms.
cit., t.vii, pag. 129. Cf. tra le Lettres de Louis XII, quella d'Andrea de Burgo a Mar-
gherita d'Austria « 4 & 5 gennaio 1510 ».
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582 CAPO SETTIMO. [i.
collo, e anche questa volta le porte della città stettero due
di serrate. ^ L* inganno e la violenza andavano in caccia de* Se-
derini; il sangue loro si cominciava a versar sulle strade; Tap-
prensione si destava ne* timidi, gli adoratori della forza stac-
cavano pian piano Tanimo dalla causa di quelli, in tanto che
la fortuna dei Medici ascendeva rapida e promettente.
Scrivendo al vescovo di Parigi, il Gurgense gli significa come
papa Giulio, sfuggito inopinatamente a morte malgrado le spe-
ranze,^ delegava tre cardinali, quel di San Giorgio, il Reginense
e il Medici a trattare gli affari. ^ Poi nel luglio, quando si
pubblicò la convocazione del concilio lateranense, a pie di quel-
l'atto, con partigianeria ostentata, il nome di Giovanni de* Medici
figurava tra quelli de' cardinali diaconi ; e quel del Sederini
non v'era. Questo lo metteva presso la curia in una irre-
parabile condizione d'inferiorità; né andò molto. che per dis-
petto a Firenze e per nuocere al partito soderinesco, il car-
dinale Giovanni fu eletto alla legazione di Bologna.^ Lega-
zione malauguriosa, dicevano i curiali memori dei molti prelati
che in quell'officio mal capitarono; dal cardinal Savelli, a
Francesco di Castel del Rio, cui toccò l'onore d'essere assas-
sinato da un Della Rovere; ^ e al Reginense, che, assunto ultimo
a quella dignità, fu rapito presso che subito dalla morte. Ma
la fortuna del Medici sfidava pregiudizi e malie, rivolgendo ogni
occasione a suo prò. Quella legazione lo innalzava a. vessillo
della politica antifrancese in Italia; la dignità gerarchica lo
facea agli occhi ecclesiastici venerando, e in Firenze v'era,
^ SioisMUMDi Tini, Ann. Sanent., t. tu. pag. 134.
* Lettres di* Roy Louis XII, loc. cit., t. n. pag. 08: « Le pape est toujours malade,
mais l'espoir de la mort n*est si grand quMl estoit passe quatre jours, & esticrvoix
qa'il fatt quatre mil oouveaulx gens de pied ».
> Ibid., t. n, pag. 163, Lettera del Gurgense al vescovo di Parigi da « Bolsano, 17
aprile 1511 ».
* Lettre» de Loui» XII, t. ni, pag. 75 e segg Ferry Garondelet a Margherita d'Au-
stria, da Roma, a 10 ottobre 1511: «et (le pape) a crée Legat de toute la ditte Roraaigse
ou lieu dadit feu Regine, le Cardinal de Medicis qui est Florentin, ayant grant part audit
Florence, pour povoir par ce moyen plus nuyre esdits Florentins, ausquels comme l'on
dict veult faire guerre, à cause qui consentent au Consille que Ton veult faire contre lay.
et quMIs ont baillé à requeste du Roy de Franco la cité de Pise pour ce faire, contre
Tordonnance & declaration quMl a fait en la publication d*ung anitre general Consile qui
veult faire dù consentement de tous les Cardinal s à ces Pasques cy à Rome. Dieu doint
que bien en avienne». Cf. Paris db Obassis, Diario ^ oct. 1511.
* Perchè questa non paia una nostra gratuita ironia, rechiamo dal Cod. vat. 3419,
pag. 59, il seguente epigramma del Maddalbno :
« D. M. Francisci Àlidoxii.
Moribus et vita Verres: Catilina cadendo,
Sed non, pugnando fortiter, interii.
Una tamen misero laus est. unumq. levamen
Non poteram dextra nooiliore peti ».
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WKJOKDo] / MEDICI E I SODERim. 58S
come scrive il Gambi, quella « spezieltà de* preti >, de' quali
ogni casa grande per Tutilità delle entrate n'avea qualcuno.*
A petto a tanta forza, a tante cagioni di preponderanza che
cosa potevano mettere in campo i Sederini ? la suprema auto-
rità del gonfaloniere perpetuo; ma nella repubblica democra*
tica, questi non aveva a sua disposizione che mezzucci, espe-
dienti parlamentari, ingegni di mèro apparato, a petto alla Si-
gnoria mutabile, alla Pratica malfida, al Consiglio grande vario,
fiacco,combinante secondo l'opportunità le maggioranze sue. ^ Ma
ih fondo, il gonfaloniere nelle deliberazioni non valeva che un
voto, ed era esecutore necessario di pubbliche volontà, delle
quali comprendeva spesso la determinazione obliqua, o l'in-
sidie nascose, senza poterle mettere a nudo, che non paresse
farlo per suo particolare riguardo.- Contro, agli Orsini, con
tanta efficacia medicei, ei non poteva opporre come soderine-
schi i Colonna^ Marcantonio era divenuto capitale nemico di
Firenze; Fabrizio costava troppo, e le Pratiche osteggiavano
come gravosa ed inutile la condotta delle armi loro.^ Piero Se-
derini era stato buon massaio della pubblica sostanza, avea tolto
dì mezzo il depositario del danaro del comune, sgravando il
bilancio dello stipendio fisso per quest'ultimo e delle perdite
eventuali che ne derivavano, sottraendo ai banchieri lauti emo-
lumenti d'usure.* Aveva pertanto malcontentato i nobili, non
solo come nobili, ma come mercanti; sul clero, per via del
cardinale di Volterra, non aveva quella presa, che potevano
bensì esercitare l'arcivescovo di Firenze e il legato di Bologna.
Per virtù naturale dell'indole sua, in quella scompaginata de-
Dflocratia recava l'obbiettivo del bene comune idealmente sen-
tito, senza rispetto a ceti, senza favori a persone, senza quella
bassa mira da demagoghi, si ovvia dove governa il numero,
^ Caiibi, St. di Firenze, t. ii, pag. 270.
* Guicciardini, Opp. inedite, voi. ii, pag. 280. Pitti, Apologia de* Cappucci, paf{. 907.
B Dbsjardiks, Ioc. cit., t. II, pag. 517-18: « (M. A. Colonna) servirebbe volentieri per
la metà manco condizione, a chi avessi a fare guerra a* Fiorentini che a qualunque altro ».
— Bibl. Vatic, ms. ottob. 2759, Consulte e Pratiche della Rep. fior., pag. 130t. « Die xxij
juHi 1512. — ....M. Matteo Niccolini: circa a Fabrìtio el medesimo per hauere prouato
questi Colonnesi insopportabili et per uenire in una spesa grandissima senja fructo ». eco.
* Cambi, .Scorta di Firenze, t. ii, pag. 242: «Chominciò nel principio di sua Signoria
a fare, che uno dei Magnifici Signori, che pareva fussi apto, fussi dipoxitario delle pe-
cunie del Chomune di dua mesi di loro Signoria, et chosi e* seghnitò per insino pi questo
di, et seghue; et avanti si pigliassi questo modo, si faceva Dipoxitario qualche mercha-
tante, che avessi buono credito, chon fiorini 50 d*oro el mese di salario, in modo che e* da-
nari che prestavano, si paghava inghordi interessi, chon danno grande del Chomune, et
per questa chagione ministrando questo danaio lui, cho* Magnifici Signori, però à voluto
renderne ragione al popolo ».
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534 CAPO SETTIMO. [libbo
di far uscire le piccole utilità de' volghi facinorosi dal sagri-
ficio pubblico. Però, come gonfaloniere perpetuo, poteva cre-
dere d'essere amato da chi veramente amava queirordinamento
dello stato; ma, lui come lui, non aveva fatto nulla per avvin-
cersi proseliti, per guadagnar partigiani. Aveva anzi messo tutto
l'amor proprio a far parere amabile la libertà per la schiet-
tezza di vita ch'essa domanda, come condizione fondamentale
della propria esistenza.
Ma dalla schiettezza trarre dignità, farla comparire virtù
forte e magnanima, tenerla alta cosi che la calunnia non la
denigri, che la meschinità non l'avvilisca coli' interpretazione,
che la villana intimità non la sfiorì col dito, era tale impresa
che al Sederini non riusci. Non già ch'egli non sapesse ispi-
rare il suo pensiero a grandezza; che del pensiero e del sen-
timento non si sforzasse ottener la concordia nell'animo suo
retto; ma l'espressione esteriore tradiva spesso in lui il di-
sagio della carne inferma, in mezzo a condizioni eroiche ti:^
cui la necessità lo cacciava, e in cui non poteva durare a
lungo, senza che la tempra del suo debole corpo ripugnasse
al violento impero dell'animo. Egli era pertanto incapace di
quella sublime ipocrisia che è dissimulazione dell' interna lotta,
e di cui non può fare a meno chi vuol farsi un'arma dell' ideale,
chi s' indossa un principio e vuol trionfare per esso. Per questa
cagione, con tanta sua virtù, egli ebbe a riscuotere dai con-
temporanei suoi, amatori di libertà, più compianto che ammi-
razione; per questa cagione, i nemici di lui, simulatori e fallaci,
trovaron la via di screditarlo agli occhi del popolo, nella fantasia
del quale ei non grandeggiava e non trovava difesa. Dacché,
c'era chi n'avea visto, e per cause piccole, le furie prorompenti,
sproporzionate, vane, sfidate ; cóme in occasione del matrimonio
dello Strozzi, quando il suo zelo contro a' ribelli, C9ntro chi coi
sacramenti corrompeva la repubblica, fu colorito per invidia di
parentado. C'era chi vedendolo piangere in Consiglio, quando non
si vinceva la provvisione del danaio, aveva riso della impotenza
democratica, di cui quegli credeva aver fatto la forza sua. Chi
vedendolo rompere in lagrime, tanto da venirgli men la parola,
nell'arringare il popolo, quando il Della Stufa provò d'attentargli
alla vita, avea goduto.* Cosi l'eloquenza di Piero spesso era sem-
brata feminea; femineo il suo armeggiare coi reconditi congegni
parlamentari, a fine di spuntare una deliberazione contrastata.
^ Cambi, loc. cit., pag.247.
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secondo] condizione DI PIERO SODERINL 535
Ma il dispregio che affettavano e provocavano, a' nemici
di lui non bastava. E' ne volevan 1* infamia, però che in quel
loro dispregio era più odio che disistima, più desiderio di ca-
lunniare che possibilità di nuocere. E alle calunnie schiude,
com' è naturale, più facile campo la politica esterna che V in-
terna, presso il popolo ombroso, che suppone male dovunque
non arriva cogli occhi; che mentre può agitare, dinoccolare,
stiacciare ogni quisquilia pur che abbia relazione cogli affari
interni, è costretto per le faccende esteriori riconoscere limiti
al proprio arbitrio e alla propria curiosità, imporre freni alla
disamina, star sulla fede per tutto quel che concerne ini-
ziativa, relazione, esecuzione. Oltre a ciò la natura medesima
de' negoziati e la qualità della Signoria con cui si conducono le
trattative, contribuiscono in gran parte a diffondere simpatia od
avversione non solo sopra il trattato particolare, ma ancora
sulle stesse persone che ne sonò intermedie. Aggiungasi, che
non è dato se non a* governi forti condurre la propria po-
litica esterna in modo ben diritto ed esplicito; e che appunto
nella medesima i governi deboli cercano il puntello, se mancano
di fondamenta, e trovano la leva che li rivolta, quando le
inteme fazioni li straziano. Agli stati fiacchi, cioè, le questioni
inteme diventano facilmente internazionali, e in Firenze, già
da parecchio, la setta più insidiosa s'era avvezza a collocare
tutte le speranze del tramutamento che bramava in città, nel-
Taggrovigliarsi delle relazioni esterne. Pertanto, o contrastava
a tutti que' disegni ch'eran per giovare al mantenimento della
repubblica libera; o, non riuscendo a eluderli, li calunniava.
Né al Sederini restavano per fermo partiti netti e sicuri;
dappoiché le armi francesi, malferme nell' Emilia, si ristavano
pur minacciose, ma sempre men che sollecite, nel settentrione
d'Italia. Però, se da una parte il gonfaloniere accettava i
buoni uflScì del pontefice per comporre le cose con Pandolfo Pe-
trucci e ottenere la restituzione di Montepulciano senza guerra,
dall'altra era stimolato dal regio governatore di Genova e
dallo stesso re di Francia a intendersi e far lega col Grimaldi,
signore di Monaco; perchè Monaco era, come vedemmo, pel
re di Francia, la chiave della riviera ligure. ^ Da queste di-
verse pratiche, scaturiva pel Sederini una duplice sorgente
d'odiosità; poiché gli uni con istizza vedevano ch'egli s'appar-
tasse da Francia, ch'ei tenesse bordone all'egoistica tirannia
^ V. a pag. 387 nota 4.
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586 CAPO SETTIMO. [u
del Petnicci; ^ il quale, per conservarsi il potere in mano, spo-
gliava la città di Siena del possesso di quella terra, e colle
armi fiorentine parea volesse tenere quasi in rispetto i con-
cittadini suoi ; gli altri andavano spargendo che era un' inde-
gnità, malgrado le benigne intenzioni del papa, parteggiare per
la barbarie oltramontana, e cospirare a opprimere Genova,
proprio nel momento in cui la signoria francese le gravava
sopra con maggior crudeltà, rizzando patiboli e spegnendovi
Giovanni Intonano, Domenico da San Piero, sbandeggiando
Girolamo D' Oria e il vescovo di Ventimiglia. *
E a tutte queste trattative lunghe e ardue benché pic-
cole, poiché, come il Guicciardini osserva a questo proposito,
«spesso le cose piccole non anno minori difficoltà né meno
difficili a esplicarsi che le grandissime >,^ era stato di mezzo
il Machiavelli, che i faziosi riguardavano come fatto apposta
per colludere col Petrucci e con Antonio da Venafro, capaci
di mene borgesche, odiatissimi non meno in Firenze che a Siena.
Satire e libelli bersagliavano in ambedue le città quel crudele e
astuto signore e T immorale e ambiziosa sua figliolanza.^ Lo
stesso Niccolò aveva coperto della sprezzante sua logica la « fra-
terna lite di Siena >, quella di Borghese e Alfonso Petrucci,
sorta airoccasione de* doni che Chiapino Vitelli recava loro,
menandone sposa la sorella.^
* TiTii, Hitior. unem., t. m, loc. cit
* FoaLiBTTA, nittor. g9nu€ni.y lib. xn.
* OuicciABOiNi, Istoria d'Italia, lib. ix. '
* SioiSMUicDi TiTii, Hist. sen&ns., ma. cit., t. vu, pag. 140: « Tntere* libelli in Pandal-
phum appendebantur famosi ». — Cf. Cambi, Istoria, loc. cit., pag. 295.
* A Boi non sembra dubbio che in que* versi dal Caditoio dell'Ingratitudine, in coi ti
accenna:
« Di queato caso eh* a Siena è segaito »,
e della « fraterna lite » debbaai intendere il suaccennato episodio, originato per invidia
de* donativi del Vitelli e occorso neiranno 1509, e non già l'altra contesa, onde poi sego)
la cacciata di Borghese, per opera principalmente di RafRaele Petrucci, nel 1515, coae
opina il PoLZDOBi, Op«r« minori di N. M.^ pag. 503 in nota. ~ B ciò. perchè le condixioni
politiche d* Italia descritte in esso Capitolo, rispondon meglio al vero, supponendole di
quello anzi che di questo anno ; perchè nella tersina che cominciji al v. 15S, si riproduce,
come notammo a suo luogo (pag. 474, nota 2), un pensiero del Segretario fiorentino, esposto
nella Lettera « ex Verona, die vij septembris m.o.vxit} » ; e perchè veramente lo scandalo
destatosi nel popolo per quel litigio del 1509 fu a un punto di roveeciare in Siena la si-
gnoria de* Petrucci. Cf. Pkcgi, Memorie storicO'Criticke della città di Siena, voi. i, pag. 24S,
e il Tizi, ms. cit. : « Res continuo per compita et artificnm tabemas vulgarì, ut divitam
solent, ita cepta est, ut nullo modo occultari nequiret. Medici protinua acciti, quaesita
remedia atque adhibita. Tam saevus enim frater in fratrem fnit, ut post illatum vul-
nus alind quoque ad exitium inferro tentasset ante fugam, ni restitisseit et clamasset
Alphonsus. Nomo est qui nesciat quo dolore afflicti parentes fuerunt, quave letitia odiantes
cives. Nec defuere qui dicerent Burghesium ad id facinus impulsum quoniam Alphonsus
lasciventem illum cum una ex sororibus deprehenderat », etc.
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8«coKi>o] IL MACHIA VELLI A SIENA E A MONACO. 537
Ma al popolo la logica non dà soddisfazione bastevole, e
l'ammirazione d'Anton da Venafro che il Segretario fiorentino
non dissimulava,^ porgeva facile pretesto a rappresentarlo sem-
pre meglio per uno strumento soderinesco, siccome quegli oralo
di Pandolfo. £ le cure assidue di Niccolò pel battaglione, l'essere
in continuo movimento per cappar fanti, caparrar cavalli, visitar
fortezze, ad Arezzo, al Poggio Imperiale, nelle valli di Chiana
e d'Amo e lo studio di lui per far nominare il Savelli a capo
delle fanterie raggravavano i sospetti.
A che tante armi? a che quel capitano? dell'ordinanza
molto si sperava e molto temevasi, secondochè s'aveva l'occhio
o alla resistenza che si credeva potrebbe offrire, all'occasione,
contro gl'invasori del dominio; o all'impedimento che se ne pa-
ventava da chi fosse per tentar qualche moto sovversivo nello
stato ; ^ da poi che il Machiavelli era stato un tempo anche tra
i fautori di don Michele.
D'altronde, sugli ufficiali della seconda cancelleria era pur
ovvio che ciecamente si rovesciassero le antipatie determinate
dalla natura de' maneggi esterni. A' dodici di maggio Niccolò
partiva per stringere col signore di Monaco, a sollecitazione
del re di Francia, un trattato d'amicizia e di navigazione per
dieci anni. ^ Sulla fine d'agosto poi si promulgavano capitoli di
pace e confederazione colla repubblica di Siena, per anni ven-
ticinque, ad intercessione del papa e del re di Spagna. "^ Era
chiaro che Firenze, trovandosi in fra due, tendeva a non schie-
rarsi dall'una parte o dall'altra, ma bensì a schermirsi annuendo
qua e là, dovunque l'occasione le paresse spoglia di pericoli, do-
vunque il dichiararsi amico non fruttasse nemici. E la mutabi-
lità delle contingenze giornaliere pareva incorar ^uasi a cam-
1 Cf. Machiavelli, Il Principe, c&p. xxn.
* V. gli StanziamenH per le indicate corrnmlssionl del M., pubblicati dal Passerini,
Ice. cit., pag. Lxxvn-Lxxix. Al Consulto per Vehxione del capitanot secondo gli appunti
forniti dagli Apografi àe\ Ricci (V. App., S xlih) assegnamo la daude'6di maggio 1511.
* Tornò a* di 5 di giugno, secondo che apparisce dallo stansiamento, pubblicato dal
PaSSBBimi, loc. cit., pag. lxxix. Si riferiscono a questa Commissione due documenti editi
dair Amico, op. cit., pag. 352-3, per cut apparisce come il re di Francia ed il governatore
di Genova ecciUvano i Fiorentini a far convensione col Grimaldi e pigliar con lui « qualche
assetto ». — Oli BfFeUi della convenzione che ti ha a fare con Luciano Grimaldi, signore
di Monaco (Bibl.Nas., doc. M., busta v, n. 163 — V. in App., Apogr. G. d. R., § xxxv),
possono valere di commissione per questa andata del Segretario al Grimaldi.
* TiTii, Histor , ms. cit., t. vii, pag. 148-9: « ...ex parte spectatissimorum offlcialum
Balie civitatis Senensis proclamatur ae denuntiatur qnod intercessione Sanctissimi pape
julii secundi nec non Catholice Majestatis hispanie Regie prò Btrurie pace et prò nostre
libertatis conservatione nec non regiminis presentis phedus et liga et confederatio ad
annos vigintiquinque Inter excelsam rempublìcam seuensem et magniflcos dominos floren-
tinis celebrata est cum capitulis modis ac pactis que in ipso federe continentur ».
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538 CAPO SETTIMO. [libbo
parla alla giornata. Morto lo Chaumont incapace, lascivo, fiacco,
al comando dell'esercito di Lombardia ebbe ad esser preposto
Giangiacomo Trivulzio, un uomo, nel significato più nobile e intero
della parola; e il dover stare di contro a lui, provetto generale,
pareva ben altra faccenda che non l'avere a trescar con Tinsuf-
ficenza d'un favorito, qual'era stato l'Amboise, vissuto tra giuochi
meretricii, morto supplicando l'assoluzione del pontefice contro
cui combatteva.^ Ma l'incertezza d'animo del re lontano, impen-
sierito e quasi scrupoloso egli pure per le proprie vittorie su
papa Giulio, ebbe presto a ridurre men che inutile la valentia
del Trivulzio. Il re di Spagna insospetti della potenza francese,
temendo per la sicurezza del suo regno di Napoli; e s'avvisò
che, ad assicurare i propri possessi in Italia, conveniva farsi
paladino della Chiesa. ^ Né trasandó intanto d'eccitare il gio-
vane re d' Inghilterra, suo genero, a collegarsi contro la Francia
e ad insistere co' suoi ufiìci perchè l'Imperatore, staccaiidosi
da questa, si rappacificasse coi Veneziani. Arrigo ottavo infatti,
nel luglio 1511, scriveva a Massimiliano a questo efietto; esor-
tandolo soprattutto a non fare convocar concilio, se non d'ac-
cordo col pontefice. ^ Questi, frattanto, al giovane re, ricco di
tesoro e ardimentoso, protendeva scaltramente il titolo di cri-
stianissimo, annesso alla corona di Francia, come un invito a
rinnovellare l'antiche guerre combattute dagl' Tnglesi sul suolo
francese; e cedendo all'avveduto consiglio di Ferdinando, —
quanto per iscacciare chiodo con chiodo - ut clavum, clavo,
truderet - come tutti dicevano, e come scrisse uno storico con-
temporaneo, ^ intimò pel maggio dell'anno prossimo, un concilio
universale a Roma, in Laterano, per la riformazione della Chiesa
nel capo e nelle membra, secondo la formola in voga.
Ora, mentre un tal fatto spezzava a re Luigi tutte quel-
l'armi spirituali che avea creduto impugnare contro il ponte-
fice, egli stesso cospirava improvvisamente a staccare da sé al-
leati e crearsene avversari, per puntiglio e senza ombra d'utilità.
E mentre avrebbe dovuto ingegnarsi di tenere stretto dalla sua
l'Imperatore bisognoso, gli lesinava aiuti contro Venezia perchè
non fossero i soccorsi francesi a dargli tutto il vantaggio; e
agli Svizzeri negava non solo l'aumento delle pensioni che
^ Cf. Da Porto, Lettere storiche, pag. 206 e segg. — Guicciardini, Storia d'ItaUa^
lib. IX.
> QuRiTA. loc. cit., lib. IX, cap. xxxv.
s Leltres de IjOuu XII, loc. cit., pag. 305.
« Borqii, Hist, de bello Ital., lib. vi.
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«ECONDo] SVIZZERI E IMPERATORE ABBANDONANO FRANCIA. 539
domandavano, ma anche il trarre vettovaglie dal ducato di
Milano, per far sentir loro che, se voleva, poteva aflfamarli.
Ora, gli uomini ninna potenza abbassano tanto volentieri
quanto quella che, come per libidine, vuol far sentir loro il ^uo
peso, senza proporzione col bisogno proprio, più offesa che danno
recando a chi soggiace; ninna abbassano più facilmente di
quella che dimentica le fondamenta sue e l'opportunità altrui.
L'Imperatore fu in breve raffreddo, e gli Svizzeri inimicati con
Francia, gittaronsi in braccio allo Schinner, procaccevole sempre
in prò del papa. Vero è che Giulio cadde in questo mezzo
subitamente malato, e parve e si die per morto. Francesi, Mi-
lanesi, Ferraresi, Fiorentini ne tripudiarono; ^ Roma pensò sol-
levarsi; i cardinali contrattarono voti; corse a tutti il pensiero
al conclave prossimo. Queir infermità e questa prospettiva val-
sero a dirittura a dare una nuova inclinazione agli animi e
produssero un mirabile effetto anche su quello di Massimiliano.
Questi che in sul principio disegnava introdurre nell'impero
qualcosa di simile alla prammatica sanzione francese, tórre le
annate al pontefice, stabilire una legazia permanente con su-
prema giurisdizione nell'amministrazione della chiesa tedesca,
e aveva dato incarico al Wimpheling di tracciargli un siffatto
programma di riformazione ecclesiastica, ^ mentre già teneva
col re di Francia nella questione del concilio, vide aprirglisi
per la morte del papa un orizzonte nuovo. Agognando sempre,
come vedemmo, il pontificato massimo, gli fu fatto balenare che
s'egli non s'appartava dalla chiesa universale, forse nel pros-
simo conclave sarebbe potuto riuscire eletto; forse i cardinali
italiani e spagnuoli avrebbero potuto votare per lui. L'astutis-
simo re Ferdinando l'accalappiò a maraviglia con questa lu-
singa, ^ sì ch'egli non potè più sottrarsene al fascino, neppure
^ V. Sommario di tre lettere avute di Roma del protìionotario lipomano a suo fra-
delo m.r ìUer.^to, a*di 27 d'agosto, edito dal Nabduccx (NuptiaU di M. Ant. Altieri, p. ix
e x): «Lo pontefice a' di 23 fu dito morto a hore 19. — .... FraDcesi, florentÌDÌ, milanesi,
foraresi hanno scrito et fato grande triumfo. Forse vivendo sua santità ne farà demostra-
tione ». Cf. ibidem, pag. xxi, V Avvito dello ttato della città di Roma nell' inflrmità di
Giulio 20 dato per m. Ant. Altieri all'IU.mo signor Renzo da Cere.
' MAuaBKBBBCBEB, GescHicHte der katholischen Réformation, voi. i, pag. 99.
' QuBiTA, loc. cit., lib. IX, cap. xxxvi. Papa Oiulio è per morire e Massimiliano spera
succedergli « porque los Cardenales Italianos y Espanoles estavan conformes, en que mu-
nendo el papa, no se hiziesse election de Pontiflce frances, ni de persona afficionada a està
nacion ; pues mostravan temer tanto esto, que para assegurarlo, vernian mas facilmente,
en que el Emperador fnesse eligido. Con una esperan^a tan vana comò està, conociendo
el Rey la condicion del Emperador, procurava de persuadirle, que se apartasse del Con-
cilkkbulo pisano ; y aprovasse elque el papa avia convocado para San Jean de Letran ».
La confidenza di Massimiliano nel credersi più che per l'innansi capace del pontificato^ poi
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540 CAPO SETTIMO. [ubbo
poi che il papa a delusione di tutti, fu guarito, e re Luigi co-
nobbe che l'Imperatore gli restava debole accosto e « facile
a dare la volta »,i se l'occasione capitava.
Frattanto Giulio secondo, risuscitato più violento colla
furia sua, e, dopo aver rasentato la morte, più amicato quasi
colla fortuna, vide approssimarsi il settembre e lo scismatico
concilio star per ragunarsi a Pisa; vide come i Fiorentini ave-
vano concesso quella sede e n'arse d'ira. Comminò l'interdetto
sulla città, sequestrò le robe de' mercanti in Roma, li minacciò
del sacco i richiamò sotto pena di ribelli i condottieri Savelli e
Còlonnesi ch'erano a* servizi della repubblica; nell'odio contro
ai Sederini diventò implacabile, e fissò d'estirparli da Firenze.
D'altro canto i Fiorentini avevan concesso con paura quel
che non avevano potuto negare; perchè l'armi francesi allora
s'accampavano vincitrici a Bologna; perchè il concedere allora
era loro sembrato un acquistar tempo, un dar luogo alla ra-
gione. Scrissero i Dieci subito al Tosinghi, oratore presso il pon-
tefice, e al Consolato della nazione in Roma per essere scusati
con questi argomenti e trattenere il furore di Giulio; intanto
che in Lombardia ed in Francia facevan pratiche per sospen-
dere i preparativi del concilio e la venuta dei prelati che l'a-
vevano promosso. Spedirono a questo effetto il Machiavelli, e
della scelta della sua persona dettero particolare notizia al
Tosinghi, quasi che il pontefice, che ben conosceva l'intelletto
e la fede del Segretario, dovesse trovarvi malleveria* tanto
per l'intenzioni del governo, quanto per la buona riuscita
delle trattative. E altra volta tornano, pochi di poi, a metter
che era morta 1* imperatrice Bianca Maria sua moglie, fin dal 31 dicembre 1510, erasi di
gran lunga accresciuta. Cf. Willt Bokhm, Hat kaiser Maaimilian I in Jahre iSii Papsl
werden wolUn f eine kritisehe untersuchung, Berlin, pag. 6. Molto acconciamente riprende
il BoEUM la trascuraggine del Lb Qlat nel dare in luce, con poca attenzione dello date
cronologiche, la raccolta conosciuta sotto il titolo Lettrei du roy Louis XII. — Massimi-
liano del resto s'apparecchiava a procacciarsi il pontificato con que*modi che sapevano
allora più sicuri. A Paolo di Lichtenstein scriveva a* di 16 settembre del nil : « Aber nach
dem solches ohn ein merckliche Summa geldes, die wir darauff legen, une gestehen lassen
mtissen, nìcht wol beschehen mag, haben -wir demnàch angeschlagen, su notturft vorbe-
rttrtes unsers fUmemmen uff zn sagen und versprechen den Cardin&len und etlichen andern
personen in diesen sachen zu verhelfen biss in die dreymal hundert tausent Ducaten za
gebrauchen, und dass solches allein durch Fugger Pannelch daselbst zu Rom entleiben,
gehaudelt. bestellt und zugesagt werde, und beschehen milsste ». » B cosi il papa soldava
Svizzeri col prezzo dell* indulgenze ; e 1* imperatore corrompeva prelati per andar con essi
alla ripesca del pontificato massimo.
> V. Lettera di Roberto AeciaiuoU oratore ai X»' « die vigesimaqnarta septembris 1511 »
di mano di N. M.
* / Xei a Pierfromcesco Totinghi « die viiij septembris 1511 », ed. uh., M., Opp.j t vi,
pag. 130 : « ci siamo risoluti mandare uno uomo ad posta fino a quel Cristianissimo re, a
fino a domandassera partirà, e fla il Machiavello secretarlo nostro », eCc.
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secondo] il machiavelli IN FRANCIA PER ORDINE DÈ^ DIECI. ' 541
innanzi «Tuorao quale si è mandato per ordine nostro solo
e ex motu proprio e non d'altri. ^ » — Così i Dieci. — Ma
che voleva dire quel « per ordine nostro solo », quell'^^ moiu
proprio, quel « non d'altri » su cui parvero insistere, quasi che
quella dichiarazione avesse particolare importanza per l'esclu-
sione che lasciava sottintendere? e chi avevano inteso d'esclu-
dere?... la Signoria o i Consigli?... è egli forse questo un esempio
di quell'autorità soverchia che gli stessi fautori della libertà
riconoscevano come un inconveniente, nel magistrato de' Dieci?*
Queste osservazioni piccole e minute non ci paiono da trasan-
dare, poiché valgono essenzialmente a rischiarare tutti i viottoli
per cui la men benevola disposizione della moltitudine poteva
concorrere contro del Machiavelli, in forza del suo stesso ufficio
cancelleresco. D'altronde, non sembra ammissibile che i Dieci
e il Gonfaloniere non procedessero d'accordo in questa que-
stioncf, e la natura stessa della commissione affidata a Niccolò
ne fa prova. Questi deve colla maggiore celerità possibile met-
tersi in via per Milano; scoprire a Bologna dove siano i car-
dinali avviati per Pisa, il Carvajal, il BriQonnet, il De Prie,
il Borgia, che si sapevano giunti pochi giorni innanzi fino a
Borgo San Donnino; dee, visitandoli, persuaderli a non venire
innanzi verso Firenze, notificando i pericoli che la città corre,
i danni che le reca e le minaccia il papa, gli aff'ronti che
potrebbero temere essi stessi venendo innanzi; perchè si dice
già che armi spagnuole stiano per sbarcare a Piombino, e che il
duca di Termini sia già fatto capitano del papa. Incusso paura
e sfiducia in que' cardinali, il Segretario dee proceder subito
per Milano, intendersi confidenzialmente con Francesco Pan-
dolfini, che stava oratore presso il signore di Lautrec, viceré
in Lombardia; e proseguir poi subito « con la medesima dili-
genzia e celerità » (formola che a noi spiega e ricorda come
si dicesse poi, e che volesse dire «viaggiare in diligenza») per
la via di Francia, e recarsi alla corte del re. Quivi, insieme
coU'ambasciatore Roberto Acciainoli, deve rappresentare al
1 L*ediz. ultima (voi. vi, pag. 153) reoa : « airuomo quale si è mandato per ordine no-
stro, solo e ex motu proprio e non d'altri ». — Ci sembra indispensabile o togliere affatto
la virgola, secondo Tautografo (Arch. fior.. Carteggio dei X^* , Legazioni, Commissarie,
istruzioni e missive, n. 83 a e. 15t), o apporla dopo la parola aolOi riferendo questa, come
un epiteto a « ordine nostro ».
* Pitti, Apologia ds' Cappucci, pag. 280: «Dove lascia egli il magistrato de* Dieci di
libertà e pace, eletto sempre nel Consiglio grande, di sei in sei mesi, de* più qualificati cit-
tadini del reggimento ? 1\ quale magistrato si poteva ragionevolmente dannare di soverchia
autorità, trattandovisi le cose importantissime della Repubblica ».
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542 CAPO SETTIMO. [libro
Cristianissimo « gì' interdetti, le censure, le guerre, gì' insulti
sopra corpi e beni », che la nazione fiorentina paventa da papa
Giulio; deve istigarlo a interrompere l'infelice prova d'un con-
cilio a cui l'Imperatore pensa «niente o poco», a cui non si
recava nessuno dei prelati di Germania, a cui paiono acceder
lenti gli stessi prelati gallicani, e che si sarebbe incominciato con
tre persone sole, parendo che anche gli altri cardinali nomi-
nati negli editti di convocazione, tergiversassero o differissero
con diversi pretesti la venuta loro. ^ Quando questo non riu-
scisse, Niccolò doveva ottenere almeno che fosse portata via
da Pisa e dal dominio fiorentino la sede di quel concilio. E se
non si potesse spuntar neppur questo, allora ricorresse ad in-
vocare « il beneficio del tempo », a indugiar due o tre mesi
tanto per dar tempo che il papa, com'era probabile, morisse.
Il Segretario partì a' di 11 di settembre, di buon ora; ^
a' dì 12 giungeva la sera a San Donnino; ove trovò i feardi-
nali, che albergavano tutti nel castello, meno il Carvajal, al
quale per esser lui come il capo de' dissidenti ejer saperlo più
affezionato alla città di Firenze, favellò per primo. Questi con-
dusse poi il Machiavelli a visitar gli altri colleghi in fortezza,
e a sopportare da loro una grandine d'argomenti di teologia e
di storia ecclesiastica, che essi contrapponevano alle politiche ra-
gioni del Segretario. — « Firenze doveva bene per amore a Cristo
pigliar questo peso, dicevano: tollerò già in Pisa, tre anni ap-
pena dopo l'acquisto di quella città, un concilio contro un
papa santo, cominciato dai cardinali; il sinodo stesso di Ba-
silea, aggiungevano, lo cominciò un abate; ed essi sarebbero
invece tanti cardinali e prelati, da fornir ben altr'opera che
quella». 2 — Ma l'argomento valido di que' preti ambiziosi, cia-
scun de' quali sognava il papato, ^ uno solo era; e Niccolò lo
1 Questi erano Federigo San Severino, Ippolito d'Este, Carlo Fieschi, Adriano da Cor^
neto. V. in Richbb, Hisloria conciliorum generalium^ lìb. iv, pag. 353, la Contoeatio Cte-
neraUs Concila.... per omnes quatuor nationes divulgata et pubblicata^ in cui si trovano
pienamente raccolti tutti gli atti relativi al Conciliabolo pisano. — Cf. Brosch, op. cit.,
pag. 231 e segg. Maurenbbbcber, op. cit., pag. 103 e seg.
* Lett. del M. ai X**' die 13 sept. 1511. Pisa fu acquisita a* Fiorentini il 9 ottobre 1406.
Il concilio di Pisa, cui i cardinali alludevano fu aperto il 29 marzo M09. — Cf. Lbnfakt,
Hiitoire du ConcU de Pise, pag. iv, 302-309. — La deposizione di Benedetto XIII e Gre-
gorio XII ebbe luogo nella decimaquinta sessione. V. gli Atti in Martènb, Thes. ncv.
Anecdot.ft. ii, pag. 1178. — Cf. Hbpble, Conciliengeschichte, ed. francese, t. x, pag. 283
o segg. È probabile che per « papa santo » s' intendesse dai cardinali indicare Gregorio. —
Il Grboorovius, Gesch. der Stadi Rom, t. vi, pag. 591 a questo proposito, scrive: « Das
Pisaner Concil, von Cardiualen ohne den Papst berufen, bildete eine Epoche in der Geschichte
der Kirche ».
> G. MoBONB, EpistoUie, nella Miscellanea di Storia patria^ i. ii, pag. 179; Stephano
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SBCONDO] IL CARVAJAL E IL MACHIA VELLL 543
scrisse ai Dieci con tutta crudezza : « Vostre Signorie, sei mesi
fa, quando il Concilio si pubblicò per a Pisa, dovevano prepa-
i"arsi a tutto quello che ne poteva nascere ». Del resto, poi-
ch'egli ebbe fatte a' porporati quelle risposte più opportune
che potè a stornarli dal venir a Firenze, quando li senti de-
cisi a recarsi a Pisa direttamente per la via di Pontremoli e
a chiedere « la scorta di trecento lance francesi e V intervento
della propria persona del viceré che li accompagnasse », mentre
il cardinale Sanseverino partiva per la Germania ad eccitare
l'Imperatore, pensò di correr subito a Milano, per ovviare a
questa ulteriore complicazione. ^
Frattanto il cardinale Carvajal gli aveva fatto balenare
la speranza che, tenute a Pisa due o tre sessioni, per compia-
cere ai Fiorentini, il concilio si sarebbe poi levato e trasferito
altrove.
Niccolò aveva badato a Borgo San Donnino tre giorni : ^
al Pandolflni si presenta sul primo mattino del di 14; poi, presi
accordi con lui, e vedendo che occorreva soprattutto ottenere
modificazione di voleri nel re, sulle ventidue ore del di suc-
cessivo, parte alla volta della corte. ^ Giunge, assai per tempo,
ai 22 di settembre in Blois: il giorno dopo insieme con Ro-
berto Acciainoli ottiene udienza. Il Rubertet era presente.
I Fiorentini espongono la commissione loro: si offrono, pur-
ché il concilio si spenga, mediatori per la pace. E re Luigi:
— « piacesse a Dio che voi la potessi condurre, che non é cosa
che ro tanto desideri!... ma se noi levassimo il concilio, il papa
non vorrebbe punto di pace ». Argomentazione che sembrava
, fatta a posta perchè altri gliela ritorcesse contro. Quanto al
trasferire la sede del concilio, il re aveva paura di disgustare
i cardinali; non voleva farlo senza consenso dell'Imperatore,
che temeva accattasse le occasioni per girargli sotto: lo potreV
bero ridurre a Vercelli, o in altro luogo, « dopo aver fatto a
Pisa la prima, la seconda e la terza stazione — che cosi la
chiamò — »,4 osserva il Machiavelli, cui nessun particolare
Poncherio ep. parisiensl (12 giagno 1512) : « cardinales concilii auctores. quorum quisque
pulso Julio^ pontiflcatura sibi pollicebantur ».
1 Lett. del M. ai Xci « die 13 sept. 1511 ».
» Dbsjardxms, op. cit., t. II. pag. 528. Lett. di Fr, Pandolflni ai Xa « 15 sett. 1511 ».
Machiavelli, ^iXt. ai Xa «addi 15 sett. 1511».
* La lettera di Roberto Àcciaìuoli ai Xci « die yigesimaquarta septembris, ex Blesio*»
è autografa del M. colla soscrizione deiroratore. Ve n*à due copie nell'Arch. lior., Lett.
ai Xci, f. 106 a e. 94 e 99.
* Id. ibid.
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544 CAPO SETTIMO. [libro
comico della conversazione sfuggiva. Re Luigi del resto non
credeva punto che tra il re di Spagna e il pontefice si prepa-
rasse alcuna convenzione: « aveva bonissime lettere e amba-
sciate da quella maestà », gli sapeva impossibile che volesse
frammettersi nella questione fra il pontefice e lui. Ai due Fio-
rentini non restava pertanto che vincere l'ultimo punto della
commissione: il temporeggiare. E circa a questo, il re era meno
alieno dal concedere, ma voleva bensì che la proroga fosse
dissimulata, che fosse il fatto che la recasse e non un atto qua-
lunque, che potesse compromettere il valore delle forme giuri-
diche finora scrupolosamente osservate. Sapeva certo che i car-
dinali non vorrebbero in ninna maniera recarsi a Pisa senza
il salvacondotto; di questo egli avrebbe loro trattenuto la
copia.
Il Machiavelli intanto ebbe agio di visitare ancora « mon-
signore di Tiburi », il vescovo Leonini, che, sempre ben inten-
zionato, rallegrandosi della venuta di lui, prometteva ancora
far buon ufScio col papa, sperava ancora nella pace possibile.
Ma Giulio, febbricitante, ribelle al male, ai medici, alla sua
stessa carne, rafibrzava la guerra, spiegava un'energia mirabile
di spirito, una tempra ferrea da poter cadere d'un colpo ma da
non soffrir languore. Quando ebbe nuova dell'invio del Segre-
tario fiorentino in Francia, lo giudicò un tranello per perdere
tempo; ^ mandò egli bensì a Firenze Guglielmo Capponi, vescovo
di Cortona, e poi il Simonetta^ a dichiarare che intende che
levino totalmente di mezzo il concilio pisano, mandino via i tre
procuratori che vi sono venuti ^ e promettano che i cardinali che
ne sono autori non saranno ricevuti nel loro dominio, o ful-
minerà immediatamente l'interdetto su Firenze e su Pisa. I
Fiorentini, sbalorditi dell'intimazione papàie da un lato, dal-
l'altro stretti dall'insistenza de' Francesi « e' quali vogliono che
la sia così, seguendo la regola, che qui non est mecum con tra
m^ esl*,^ tengono pratiche e consigli senza veder possibilità
di partiti ragionevoli o sicuri, fuori dell'indugio solito; e pro-
^ Leu. de' X«< a Roberto Acciainoli « die xiii sept. 1511 » (ad. nlt. Opp. M., t. ti,
pag. U9).
> Cf. Leu. de^X^i a Pier Fr. Tosinghi oratore a /Soma «die 15 septembris l5ll » (ed. ult.
Opp. M., t. VI, pag. 151 e segg.)
* QuBiTA, lib. n, cap. 30: « por otra parte, porque el escandolo fuese m^yor, el Conde
G^ronymo Rogarolo, j Antonio Cabeca de Vaca, y Lodovico Faella ambaxadorea del Em-
perador, y otroa trea procuradorea del Rey de Francia procederon en nonibre de ana prìn-
cipea, à bazer convocaci on del Concilio ».
* Leu. de'Xci a Pier Fr. Tosinghi « 13 aett. 1511 » (ed. uh. Opp. M., t. vi, pag. 145).
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SBCONDO] IL MACHIAVELLI IN LOMBARDIA E IN FRANCIA. 545
vano persuadere anche il nunzio < a differire la pubblicazione
delle censure e dell' interdetto fino a tanto si veda che frutto
fa l'andata del Machiavelli e in Lombardia e in Francia ». —
Ma, quantunque i cardinali a Roma opinino d'aspettare l'effetto
di queste trattative, il vescovo di Cortona e il nunzio partono
e lasciano pubblicar gì' interdetti. I Fiorentini se ne consolano :
« non faranno forse quelli effetti che nostro Signore à dise-
gnato».* Ne appellano tuttavia al futuro concilio universalis
ecclesiae, studiando bene di mantener l'equivoco e di non la-
sciare capire se con quella formola intendano appellare al si-
nodo pisano 0 al lateranense. E il pontefice intanto strascina
i principi dalla sua; promette loro ^ omnia fanda et nefanda »*
purché aderiscano al concilio da lui indetto a Roma; e quan-
tunque senta per la prima volta levarglisi contro l'obbiezione
che, essendo l'apostolo della cristianità diventato un sovrano
in Italia e in Roma, il concilio congregato nel Laterano non
potrebbe esser libero; ^ egli non pur riesce a farne riconoscere
la convocazione valida e legittima, ma si propone di compiervi
atti feroci contro il trono e la famiglia di re Luigi, intendendo
non solo a frangere la nazione francese, a scioglierla dalla
fedeltà verso il principe, a chiamarle sopra l'invasione britan-
nica; ma anche a strappare al re mogliero la sua donna bret-
tone, le cui nozze avea già pagato sì care ad Alessandro sesto.-*
Certo è che, se gli altri principi, secondo l'esposizione del pio
(purità, si servivano della fede per premitoio o per fuso, por
torcedor,^ non era ultimo il pontefice a mostrare il costrutto
1 Leu. de* X^* al ToHnghi, «die 20 sapt. 1511 ». (Ed. ult. Opp. M., t. vi, pwg. 158).
' 0. MoRONK, Epistolae < die 30 aag. 1512 » Archiep. barensi : « Compertum est Julìum
omnia fanda nefandaqne Caesari ac Ferdinando indulctunim, dumraodo concilio Latera-
nonsi per se indicto adhaereant».
> Filippo Dbcio, Consultum prò Ecclesiae auctoritale, anno m.d.xi, in Richbb, Hi-
storia condì, gener.^ t. iii, pag. 27): « Quis enim Romae auderet a sammo Pontiflce
ejuB villicationis rationes exigere, qui solitus est in eos saevire qui ejns voluntati repu-
gnant?» — I Dieci scrivevano, a proposito di questo famoso giureconsulto, al Tosinghi :
«die XIII sept. 1511 (li Cardinali) hanno fatto levare da Pavia il Decio e un altro dot-
tore di conto per menarli seco e cosi molti altri dottori per conto di quella Università». —
P. GuicciABDiNi, Storia d'Italia^ lib. x, lo chiama « uno dei più eccellenti giureconsulti di
quella età». — E il Dbcio {Consilia, 326, n. 1) commemora: « Io. Fran. de Guicchardinis
olim acutissimus scholaris meus Paduae e't nunc doctor clarissimus ». Cf. Saviont, Gesch.
des rbm. Rechts im Miltelalt, cap. lvii. V. Fé. Boeza, Vita D. Ph. Decii sive de Dexio,
con documenti importanti.
* QuRiTA, lib. IX, cap. 35; «(Il papa) propuso de tratar en el concilio (lateranense)
algunas cosas de grande importancia : corno era mostrar que la Reyna de Francia no era
legitima muger del Rey Luys; y que se auia de dar absolucion del juramento de fldelidad
a loB pueblos de Ouiana, y Normandia : para que le hiziessen al Rey de Inglaterra, comò
a su senor naturai; y offrecia de darle todo favor con las armas espirituales, y tempo-
rales ».
* Qdrita, lib. IX, cap 30: « Mas cada uno de estos principes tornava por torcedor la
ToMMASiNi - Machiavelli. 35
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54d CAPO SETTIMO. fuBRO
che poteva cavarsene a prò delle sue temporali faccende. Ei me-
desimo mentre il Machiavelli era tuttora in Francia, mentre i
Fiorentini speravano ancora nelle pratiche della mediazione e
dell'indugio, aveva fatto un colpo da maestro: concluso un
trattato di lega offensiva e difensiva colla Spagna e la repub-
blica di Venezia da aver vigore anche in caso ch'egli morisse,*
per la difesa e l'unione della chiesa, l'estirpazione dello scisma
e la ricuperazione di Bologna e di quanto mediatamente o im-
mediatamente appartenne alla Santa Sede. In forza del qual
trattato, sotto il comando di don Raimondo di Cardona, viceré
di Napoli, diecimila fanti spagnuoli, mille uomini d'arme e mille
cavalleggieri dovevano nel termine di due mesi passare in Ro-
magna. Il pontefice e il senato veneto ne avrebber corrisposto
lo stipendio mensile di ventimila ducati ciascuno, anticipando
due mesi. Il papa contribuirebbe anche all'esercito della lega
con seicento uomini d*arme, comandati dal duca di Termini,
luogotenente generale per la Chiesa. Qualunque de' confede-
rati conquistasse terre fuori d'Italia, guerreggiando contro chiun-
que s'opponesse allo scopo della lega, poteva ritenere l'acquisto
fatto jure belli; ma tuttavia il pontefice non si obbligava fuori
d'Italia a prestar altro aiuto, se non d'armi spirituali:^ riser-
vata facoltà air Imperatore e al re d' Inghilterra d'entrare in
questa confederazione, che per esser fatta tutta a beneficio della
chiesa, il papa comandava che si chiamasse santissima. * Ber-
nardo Dovizi da Bibbiena, la sera stessa della conclusione ne
scrive al cardinale Medici a Bologna.
caasB de la Fé, y de la reformacion del Estado Eclesiastico; no porque EUos curassen
mucho della, por el bien universa!, si no por sus propios respetos e intereases ». — Guic-
ciardini, Storia d'Italia^ lìb. x : « ...comprendendosi chiaramente che con la causa del Con-
cilio era congiunta principalmente la causa delle armi e degl* imperi, avevano i popoli in
orrore che, sotto pietosi titoli di cose spirituali, si procurassero per mexzo delle guerre e
degli scandoli le cose temporali ».
^ T. Rtmer, Foedera, t. vi, p. i, pag. 23. — A pag. 24 vi si legge la postilla seguente:
« Die octavo octobris, lectis capitulis in Concistorio secreto, exponente Sanctissimo Do-
mino nostro quod, si contigerit Sanctitatem suam ab hac luce migrare, aequum esse quod
praemissa tam per Regem Catholicum et Dominium venetorum observarentnr prò Defen-
sione Status et Libertatis Sa. Ro. Eccl. ac liberà creatione futuri Pontiflcis, saltem usque
ad Creationem huiusmodi », etc.
* Rysieb, loc. cit. : « et tamen sanctissimus Dominus noster extra Italiam aliquod prae-
sidium dare non teneatur, nisi armis spiritualibus, ut praefertur ». — A che aveva
approdato il dantesco:
Già si soleA con le «pad» far guerra, ecc.?
' Db^ardins, loc. cit., pag. 543, Bernardo da Bibbiena al card. Legato a Bologna:
« Conclusa, stabilita, ferma e sancita si ò stassera la lega, la quale Nostro Signore, per
essere fondata e fatta tutta a benefìcio della Chiesa vuole e comanda che si chiami San-
tissima ». — V. anche il Breve a pag. 550. — Nei Brevi al cardinal Legato il Pontefice,
non dà a questo altro titolo che di « Circumspectio tua » ; la qualità sola che, forse, gli
pareva necessaria a tutto queirarruffio.
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«BCONDo] IL CARDINAL MEDICI LEGA TO DI BOLOGNA. 547
Il papa gliene manda il di appresso la notizia ufficiale per
mezzo d'un breve, certo che il Medici debbo goderne e vedervi
dentro la rovina dei Sederini e la sottomissione di Firenze. E
dopo un -mese e mezzo, gli rimette il gonfalone della lega,
perchè egli medesimo lo consegni solennemente a don Rai-
mondo di Gardena; confidando ch'egli stesso, interessato a ve-
dere in quella della chiesa la causa della sua famiglia, prov-
vegga con circospezione a quanto è opportuno alla buona riu-
scita dell'impresa. A petto a tanta furia di cospirazione, che
cosa contrappone il governo di Firenze, la democratia minac-
ciata, la casata de* Sederini insidiata nella vita?
Quel che potevano volontà molteplici e cozzanti: collisione
€ incertezza di partiti all'interno, nelle relazioni esteriori neu-
tralità; la quale da tristo fatto che era, si voleva nobilitare
e rivendere come un principio. Però, non solamente a Blois
il Machiavelli, ma erasi mandato un altro segretario a Parma
« per ovviare, come scrivevasi, all'efifetto del concilio >.^ Ciò
> V. M. Opp., ed. alt., voi. vi, pag. 181. Lettera dei Signori ad Antonio Strozzi ora-
tore a Roma, die 28 dee. 1511. — L'altro segretario, di cui parla la lettera, fu Giovanni
da Poppi, il quale fu spacciato al Lautrec con la seguente :
létructione data a te Ser Giovanni da Poppi deliberata die 25 (Sept. i5il) per li ma-
gnifici Signori Dieci.
« Sor Giovanni voi chavalcherete domattina di buonhora in poste et con ogni diligentia
fino al Borgo a San Donnino o in altro luogo li vicino dove intenderete trovarsi quelli Re-
verendissimi Cardinali di Santa Croce, Nerbona et Cosenza, et presentatovi alle loro Si-
gnorie Revme con una lettera credentiale nostra, exporrete loro come havendo, che loro
disegnano venire di proximo ad Pisa, et menare con loro buona banda di gente d'arme
franzese, noi ce ne siamo forte maravigliati, et dispiacendoci questa ultima parte delle
genti sopra ogni altra cosa, vi habbiamo mandato là in poste ad ciò che T intendine se
e' vogliono venire ad Pisa nel modo che si è sempre ragionato, et come noi V habbiamo
concesso al Re, che e* possono : cioè venendo sanza gente d'arme, e colle persone sola-
mente necessarie al Concilio. Ma quando disegniassino menar con loro gente d'arme per
qualunche cagione si sia, che da bora noi protestiamo loro che non venghino perchè non
vi saranno ricevuti, et troveranno quella città chiusa con prohibire loro ogni commodità:
«t questa parte, perchè la è il tutto della Commissione vostra, tracteretela vivamente, et
la chiarirete loro bene et con parole larghe, et in modo che gì' intendine che menando con
loro gente d'arme, e' non entreranno in Pisa. — Faccende sempre, et in ogni replica una
medesima conclusione, che se verranno con gente d'arme Egli staranno fuora et manche-
ranno di tutte le necessità et bisogni loro. Crediamo che gli habbino a replicare molte
cose ; et in tali repliche è necessario che voi vi risentiate vivamente, et mostriate loro che
questa non è stata mai la intentione del Re, et le resolutioni nostre sono state in sullo
bavere sempre decto la Sua Maestà che gente non vi verranno : et che la guardia del Con-
cilio toccherà a noi. Dipoi che quel paese non la può sopportare et cagione non hanno di
diffidare o temere, perchè di noi possono meritamente confidare, havendolo promesso al Re,
al quale non mancheremo, havendo dato loro il salvocondocto, et essendoci ad loro requi-
sitione inimicati con il Papa con tanto charico et danno et travaglio nostro; narrando in
questa parte tucto quello che è seguito qui, a Roma et nella Marca. D'altri anchora non
hanno da temere, potendosi noi facilmente difendere trovandoci buona banda di gente, et
anche confidente al Christianissimo Re per bavere tanti condoctieri sua subdìti. Dove se
loro replicassino li grandi apparati del Papa o del Cattholico Re, la replica vi sia facile
con dire che li apparati grandi si prevederanno tanto avanti che vi si potrà provvedere,
et li piccoli non noceranno. Poi ci sono due altre ragioni molto potenti. L* una è che gli
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548 CAPO SETTIMO. [ub»
nulla meno, il concilio s'andava accozzando e stava per essere
inaugurato; e al podestà e al capitano di Pisa che domanda-
vano se si dovesse accordargli Tuso delle chiese e se fosse a
partecipare alla pompa dell' inaugurazione, la signoria rispon-
deva che lasciassero fare gli ambasciatori a quell'efFetto con-
venuti e de' fatti loro non s'impacciassero. Frattanto l'interdetto
ecclesiastico su Firenze e su Pisa era stato lanciato, atteggian-
dolo gli ecclesiastici in quel modo più scenico che potevano
verso i creduli, ^ a ciò men si avverasse la previsione male
ostentata al pontefice dal governo di Firenze, che cioè sul po-
polo e' non avrebbe forse prodotto quel!' impressione, che sua
santità se ne riprometteva. Ora, poiché s'era risicata questa
espressione, conveniva mostrare che si sapeva davvero resi-
stere air interdetto o con la forza, obbligando il clero all'eser-
cizio del culto; o coli' indifferenza, mostrando che far a meno
delle cerimonie sacre, non era impossibile alla città. Ma non
si fece né una cosa né l'altra; perchè i preti, « quella spezieltà
de' preti », non si volevano sforzare a disubbidire al pontefice,
per non esporli alla privazione de' benefici e non iscomodar le
famiglie; né si aveva fiducia che i Consigli avrebbero approvata
tale proposta; ma i frati, che nulla avevan da perdere, furono
bensì comandati che ufficiassero. Pure, se il governo avesse
voluto tener testa per questa seconda via, poteva; secondato
dal popolo, che dell' interdetto veramente si curava tanto poco.
hanno da pensarci più che qaalunche altri, se vogliono potere stare In Pisa, che con le
genti d'arme non fìa mai possibile che vi stieno. L' altra è che se noi le habbiamo con-
sentito a questo, et lasciato in preda al Papa la Natione et le robe, facilmente possono
sperare di bavere ad essere ricevuti aiutati et difasi da noi: et quando ogni altra ragione
manchassi, basterebbe, ad farci negare totalmente questo, il volere fuggire un carico grande
che ce ne risulterebbe di haver compiaciuto al Re una tal cosa, et che la Maestà Sua poi
non si habbia ad fidare di noi. Sonci poi, oltre a queste, infinite altre ragioni le quali vi
sono note per bavere inteso a questi dì tutto quello che si è praticato, et le quali voi use-
rete in sul fatto come vi accadrà. Subito che harete exeguito questa prima vostra com-
missione dareteci adviso del ritraete: dipoi non partirete senza nostra lìcentia: et nella
stanza vostra userete ogni diligentia d' intendere ogni motivo loro ; che genti sieno in quelle
circurastantie per poter venire ; quando sieno per partire et in quante giornate per condursi
a Pisa. Non sappiamo se Sanseverino sia ancora arrivato. Quando e* vi fussi, farete in-
tendere anchora ad lui il medesimo che alli altri, usando buona diligentia in tutto, quel
tempo che vi starete per poterci subito dare adviso d'ogni particulare degno di notitia. An-
cora vi ricordiamo stare principalmente in su queste due cagioni. La prima che non è pos-
sibile per la strectezza del vivere che le genti vi possino stare. L'altra che il condurre là
queste genti non è altro che tirare in qua quelle del Papa e del Cattholico et recarci una
guerra in casa: che è quello che noi non voliamo a prezìo .alchuno , et che può solo im-
pedire et guastare lo effecto del Concilio, offerendo loro dal canto nostro qualunque securtà
che sia possibile et conveniente. » (Arch. fior., class, x, dist. l, n. 105, Elezioni ed istru-
£ioni ad ambasciad., dal 1499 al 1512, pag. 174 e segg.)
1 Cambi, op. cit., pag. 206: «e fecìe fermare l'ufitio e le messe finire quelle erano
chominciate ».
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»BCONi>o] ACCATTO IMPOSTO AL CLERO. M»
che il papa ebbe ad essere il primo a sospenderlo per quindici
dì, senza che ne fosse ufScialmente richiesto; e s'affrettò, non
appena potè con decenza, a tórlo via. Tanto s'erano alienati
dalla chiesa gli animi dei Fiorentini!
Ma l'utilità de' singoli, come accade più spesso dove go-
verna il numero, stette sopra all'utilità comune. Così, quando
si vide che la guerra lunga e dispendiosa, che minacciava
Firenze, le veniva tutta da' maneggi del papa e degli eccle*
siastici, parve giusto occorrere a tanto spendio e a tanto tra-
vaglio, imponendo un tributo al clero, obbligandolo almeno a
un prestito forzato, o, come allora dicevasi, ad un accatto. Se
non che, la legge fu dovuta proporre due giorni e votar sei
volte prima che fosse approvata. Poi, ottenuta che fu ed eletta
una commissione d'otto cittadini a stabilire e regolare l'accatto,
quattro degli eletti rassegnarono l'incarico. Ed era naturale,
che non già gli uffici odiosi si accettano volentieri nelle de-
mocratie. Surrogati altri quattro, invece di quelli, e stabilite le
poste del prestito a ciascuno ecclesiastico, s'andava con fred-
dezza nel riscuotere, perchè il solo aver deliberato l'aggravio
sul clero pareva fatto d'un* audacia tale da bastare per al-
lora. Il gonfaloniere stesso voleva che s'andasse piano, e fre-
nava l'ardore degli ufficiali preposti alla riscossione della pre-
stanza, i quali animosamente avevan chiuse e suggellate le
botteghe dell'arcivescovado all'arcivescovo partigiano e nemico
della patria, che negava contribuire per nulla al mutuo.
Ma quest'accatto medesimo aveva offerto occasione di mo-
strar mal animo contro a' Soderini. Naturalmente, al cardinal
di Volterra, fratello del gonfaloniere, era stata posta la rata
più alta; e mentre questo solleticava il dispetto de' loro av-
versari, dava agio a calunniar le intenzioni di Piero, per la
tiepidezza che mostrava poi, nel far riscuotere la tassa che
feriva forte il fratello. Cosi, mentre il cardinale de' Medici
poteva sfruttare la chiesa a favore della sua casata, e ad op-
pressione della libertà fiorentina; i Soderini non potevano né
disporre delle forese dello stato, né non sentirsi feriti in seno,
quando, osteggiando la chiesa, provavano a colpir gli avversari.
Al cardinal di Volterra non restava se non andare a spasso
per il contado, e spiegar la sua diffidenza d'andare a Roma
con una metafora, che a que' tempi, non punto eroici, poteva
non parere vergognosa.^ Del resto l'alleanza di Francia, mentre
1 Cambi, Storia di Firenze, voi. ii, pag^. 272: « el chardinale da* Soderini s'andaua a
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550 CAPO SETTIMO. [libbo
gittava la repubblica in tanti pericoli, non accennava punto a
recarle sostegno. — « Le forze francesi, scriveva l'oratore da
Brescia, se bisognerà,» potranno securarli dello stato, ma non
già delle spese, de' travagli e della rovina de' sudditi loro ». —
Infatti la briga del concilio pisano cominciava a diventare tal-
mente grave, da provocare la Signoria ad atti di risolutezza
che non erano ne' suoi propositi. I cardinali scismatici, come
avevano annunziato al Machiavelli, insieme a' prelati di Francia,
passavano l'Apennino e venivan giù per Pontremoli, mentre
di Lombardia lye o quattrocento lance francesi sotto il comando
del signor di Lautrec, cugino del re, scelto dai cardinali a cu-
stode del concilio, dovevan muovere per servir loro di scorta.
Firenze era disposta a tollerar tutto, fuor che l'armi di chi
si fosse, dentro il suo dominio e, sopratutto, in Pisa. Roberto
Acciainoli e il Machiavelli avevano avuto commissione espli-
cita di dichiarare al re e a chiunque importasse in Francia, che se
que' cardinali di Milano venissero con genti d'arme a cavallo
0 a piedi, non sarebbero ricevuti, ma troverebbero la città
serrata, o disposta in modo che loro medesimi piglerebbero
partito di non venirvi.^ Questo non già per diffidenza, dicevano,
ma < per voler fare una questione e non cento »; perchè non
ricevendoli, non si doveva parlar d'altro se non di non averli
ricevuti; ricevendoli invece, sarebbero sorte ogni di e ogni ora
mille difficoltà, d'alloggiamenti, di vettovaglie, d' infinite cose.
Capacitato il re, spacciarono Francesco Vettori al cardinale
BriQonnet, « con ambasciata, scrive il Guicciardini,^ pari alla
spasso pel chontado di Firenze, perchè non si fld&aa a Roma, e diciena per auere el male
francioso non ai poteaa andare ».
> / Dièci a Roberto Aedaiuoli « die xxv septembris 1511 ».
* Guicciardini, Storia d'Italia, lib. x. — Ecco il testo della Istmctioné data a Fran-
Cesco Vettori horatore ai Cardinali iX Lombardia^ deliberata die 29 Septembris Ì5U:
« Francesco, tu cbavalcherai subito per la via di Lnnifpana et Pontremoli a trovare
li Revini Cardinali di Sancta Croce, Nerbona. Cosenza, Baiosa et Alibretth, quali a que-
st'hora si debbono essere levati dal Borgho a San Donnino per venire ad Pisa et mon-
stratoli sotto le lettere credentiali che bai da noi, exporrai loro come non ci sattisfacceado
della risposta data al Secretano nostro circa al menar con loro gente a Pisa, visto che
non obstante tutto quello che noi habbiamo fatto intendere, le genti pure s'inviino, et ben-
ché si dica, per fermarle ad Pontremoli et Serexana, nondimeno a noi pare potere ragio-
nevolmente dubitare, non potendo stare in quel luogo che le habbino a venire avanti,
non parendo verisimile per lo honore del Re et loro, che le habbino ad tornare indietro,
et ad poco ad poco stillarsi in Pisa et in quel contado, et che la necessità Thabbia ad fare:
et essendo totalmente contro a ogni bisogno nostro et promesse dateci sempre dal Re, è
necessario che un'altra volta intendine bene la intentione nostra la quale è deliberata ogni
qualvolta che noi veggiamo tali genti passare le Alpi, pensando per le ragioni dette che
le habbino ad venire ad Pisa, non ricevere né le Loro Signorie Revme né tali genti, et
non pensare ad altro che ad guardare bene et Pisa et tutto il resto di quel ConUdo, per
fare una quesUone et non cento. Et cosi tu in tal caso protesterai loro vivamente, et in
tal maniera che V habbino ad credere, come in facto ò la intentione et deliberatione nostra.
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SKCOKDo] XL CONCILIO PISANO INA UG URA TO. 551
sua superbia » intimandogli cioè, che se nel dominio loro egli
e 1 suoi colleghi fossero entrati con le armi, li avrebbero trat-
tati da nemici. Queir insolita franchezza sopraffece il porporato
burbanzoso che, giocando d'astuzia, rimandò indietro la solda-
tesca, ottenendo in grazia che restassero co' cardinali solamente
il signor di Lautrec e lo Chatillon con cinquanta arcieri. Il
poco numero, pensava tra sé il cardinal di Saint-Malo, avrebbe
dato occasione di far calare il molto; cosi vennero innanzi sino
a Lucca.
Il giorno dell'inaugurazione del concilio era imminente,
e Papa Giulio, traboccando di sdegno, faceva cose nuove: pri-
vava solennemente del cardinalato in concistoro i cardinali
ribelli; interdiceva la città di Lucca che li ricettava; accarez-
zava ì Fiorentini per quel po' di volto brusco che avean mo-
strato a' Francesi; sospendeva l'interdetto; faceva loro inten-
dere ch'ei non l'aveva già colla città, ma col gonfaloniere di
giustizia e colla famiglia Sederini, che la tenevano aggiogata
a Francia, da cui gli bastava staccarla. Frattanto venuto il pe-
nultimo di d'ottobre, e mandati innanzi l'abate del Subasio, Zac-
caria Ferreri, il protonotario D'Andrea, l'arciprete di Loches,
Giacomo Galand, procuratori del concilio, entrarono in Pisa anche
Le cagioni per le quali noi voliamo cosi tono molte, et per esserti note non si repliche-
ranno, cosi del non poter pascerle, come del recharci una guerra in casa: le quali due
cagioni ci hanno in modo persuaso questo ulficio, che noi non siamo per mutarcene; et
però bisogna che te ne risenta, et chiarischa loro bene che se le genti passano le Alpi, che
non yenghino né le loro Signorie, ne le genti più avanti perchè non le ricevereno; et che
ne voliamo prima scrivere in Francia, donde sempre si è ritraete et ci è stato promesso
che le non verranno. Crediamo che subito si replicherà che nel paese del Re le possino
tenere, et che noi non habbiamo che fare ; ma questo sarebbe vero quando elle vi potes-
sino stare, et non fussi loro necessario venire avanti per non tornare con dishonore adrieto.
Et in somma che questa loro passata di qua dalPAlpe a noi ò quel medesimo che venire
ad Pisa per le ragioni decte. Questo medesimo discorso bisogna che tu anchora facci con
Monsignore di Utrech et con quelli altri Capitani acciocchò intendine bene Tanimo nostro,
et non habbino da maravigliarsi quando e* venghino et non truovino le cose ad loro pro-
posito. È anchor necessario per aiutare questa materia che tu mostri loro che il venir
genti ad Pisa non giova alla sicurtà loro, ma il mandarle verso Bologna farebbe meglio
quello uficio che e* vogliono ; et che ci pare molto strano in questi tempi che gli habbino
levato le genti da Bologna per condurle ad Pisa; et che questo non ci pare altro che voler
condurre a fare la guerra in casa nostra, il che noi non voliamo per conto alcuno. In somma
il fine ed il tutto di questa commissione nostra non ò altro che fare intendere et chiarir
bene ognuno che il passar gente le Alpi, è volere condurre ad poco ad poco ad |^isa; et
questo non ci potrebbe dispiacere più, ne lo voliamo sopportare in alchun modo. Et però
siamo deliberati in tal caso non li ricevere, et negar loro ogni commodità, et non pensare
ad altro che guardar bene quella città et tutto quel contado. Nò dubitiamo haveme ad es-
sere imputati dal Re, havendoci sempre la S. Maestà decto che tal cosa non sarebbe. Ser
Giovanni da Poppi Secretarlo nostro aspecta risposta da noi al Borgo a San Donnino, la
quale li porterai tu et gliene manderai, acciò non stia là ad perdere tempo, et lo effecto
è che si venga ad trovare per fare ciò che tu li dirai ; al quale, arrivato che fla, tu ordi-
nerai che stia, o tomi, secondo che ti accadrà servirtene. » (Arch. fior., Disci di batta^
classe u, dist. 6, n. 208, cit.)
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I 5Sg CAPO SETTIMO. [Lwao
il Carvajal, il BriQonnet, il de Brie e l'Albret, il quale ultimo
avea maudato di rappresentare anche Filippo di Lussemburgo,
cardinale cenomanense, e Francesco Borgia, il cosentino, rimasto
' a Lucca infermo. Al di primo novembre si trovarono in pochi ;
i ma: pochi, osservò nella sua predica l'abate del Subasio, erano
stati anche gli apostoli del cristianesimo: pochi potrebbero
^ essere pertanto anche i riformatori della chiesa. ^ La prima
sessione era intimata a' dì cinque, e per quel giorno potevan
nascere tafferugli. La Signoria di Firenze aveva a suoi com-
missari in Pisa Rosso Ridolfi e Antonio Portinari, ma le pareva
prudente assicurare con nuove forze la città; e al Machiavelli,
I che a* di due di novembre era appena ritornato di Francia, fu
I dato incarico di partir subito il di tre alla volta di Pisa, con
! lettere pel signor di Lautrec e pe' cardinali, e con commissione
I segreta di levare trecento fanti e più se ne fosse mestieri, e
1 recarli a guardia di quella terra.^ Ma, era appena partito, che
I i Dieci gli mandavan dietro subito l'ordine, se le cose andassero
I quiete, come i commissari assicuravano, di non farne nulla, a
I meno che il bisogno non ne fosse certo ed evidente.
1 L'aver paura di far mostra di forze è precauzione di chi
n'à poche, e non è maraviglia che, quando si à tanta coscienza
della propria infermità, si sollevi o si fiacchi poi l'animo per ogni
fatto esterno che accade ; dubitando che ogni cosa, quand'anche
non abbia importanza di causa, non possa tuttavia restar senza
effetto; donde à origine la credulità ne' pronostici. Soprag-
giunsero a que'di casi strani, a sgomentare il popolo, e dar
agio a' furbi d'ogni fatta di colorarli secondo le proprie inten-
zioni. Un temporale terribile si riversò su Firenze: caddero
due fulmini, che parvero nell'impeto loro scrivere una sen-
tenza, urtando la lanterna della cupola nel duomo, la torre
della campana nel palazzo de' Signori, la camera del capitano
de' fanti, la cancelleria testé novamente acconcia ^ e certi gigli
> RicBBB, Hiaioria Coneil Gener., lib. it, pag. 410.
» / Di&ci a N. M, « die 3 nov. 1511 ». — Cf. Ammirato, Istoria fiarenHne, lib. xxvxn:
« benché i Dieci ▼'avesser mandato Niccolò Machiavelli con ampie commistiioni di metter
tante genti in Pisa, che in qualunque numero de* forestieri non se n'avesse a temere ».
• Nel PriorUta di Gio. dkl Nbbo (Bibl. Vat., cod. ott. 3098, pag. 621 e segg.) si legge:
(1511) « ...come si usciva dall'audiensa per andare alle camere a mano ritta, erano i neceasaij
e a mano manca era la Cancelleria delle lettere di M. Marcello di M. Virgilio allora can-
celliere maggiore della nra Sig'**, et feciono detta cappella (di palazzo) come al presente
si vede, e rifeciono gli agiamenti dove sono al presente allato alla Camera del notaio
de* Signori, et la Cancelleria si rifece, che alzorono sopra la porta di dogana di verso la
'mercanzia di pietre abbozzate, come era il resto del palazzo, et feciono due Minestrati in
su* due anditi, che Tuno di sotto va nella sala nuova del Consiglio grande, fatta l'anno 1496;
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secondo] tristi pronostici. 563
d*oro, ch'erano sopra la porta di palazzo.^ Ognuno voleva in-
travedere, tanto in quel che i fulmini avevano colpito che in
quel che avevano risparmiato, il presagio di quanto aveva tra
breve a succedere; dacché si sentiva l'impossibilità di rima-
nere più a lungo intatti; ed era radicato nel popolo un pre-
giudizio, che pareva frutto d'esperienza e d'osservazione, cioè
che: € innanzi che seguine i grandi accidenti in una città o in
una provincia, vengono segni che li pronosticano o uomini
che gli predicono ».^ Una saetta, alla morte del Magnifico,
e in sulPaltro andito che viene di sopra; e al piano della sala deirAudienza feciono la
Cancelleria, che dove ò la porta della Cancelleria in su d.* sala era ona flnestra, che
guardava in dogana, e Tanno innanxi 1510 si fece la scala naova; che va solo nella sala
nuova del Consiglio ». — Di qaesti riattamenti nel palazzo e nella Cancelleria parla anche
il Cambi, Ittorie, voi. ii, pag. 275
* Macbuvelu, Ditcorti, lib. i, e. lvi. « Sa ciascuno ancora, come poco innanzi che
Piero Sederini, quale era stato fatto gonfalonieri a vita dal popolo fiorentino, fusse cac-
ciato e privo del suo grado, fu il palazzo medesimamente da un fulmine percosso ». -^ A
suo luogo discuteremo quanto influsso, anche circa Topinione del M. relativa ai pronostici,
potè esercitare Tautorìtà de* classici. Qui ci sembra opportuno d'avvisare solamente come
di questa tempesta portentosa si facesse a' que' giorni un gran caso. V. Nardi, Istorie
di Firense, lib. v in fine, il quale parla per lo meno di tre folgori ; dell'arme del popolo
gittata da esse nell'immondezza; delle leggi e provvisioni fatte in quell'anno, asportate
pur via per la finestra della Cancelleria delle Riformagioni, d'una flguretta carbonizzata
a capo al letto del gonfaloniere ; delle stelle d'oro nella volta azzurra della cappella di
palazzo, scalfltte, scolorate da punture divisate a modo dell'arme dei Medici, ecc., nel
qual brano il Nardi deve aver raccolto tutte le dicerie popolari che corsero allora. Il
Cambi, Istoria, loc. cit., voi. ii, pag. 274, ne scrive nel modo seguente: « e le dua saette,
ne dette una nella lanterna della chupola, e roppe tin pezzo di chomicie, e fecie un pocho
d'apritura, e una nel chanpanile de' Magnifici Signori di Firenze, e roppe uno schaglione
della schala a chiociola va alla chanpana maggiore; e venne giuso nella chamera del
chapitano de' fanti, ch'è a lato a l'udienza degli Otto, e forò la volta, e fecie chadere di
molti chalcinacci in sul letto, che v'era a dormire un ciptadino de* Cherichini Barducci,
sostenuto a stanza degli Otto per certa questione tra altri Chenchini, nipoti, e chugini, e
dipoi andò nella Chancielleria delle Riformagioni, e aperse una chassa, e trassene borse,
dov'era il Chonsiglio degli 80, parte, e parte ne rimase, e dov'era molti previlegi d' Impe-
radorì e di Signori; e non fecie danno nessuno; e dipoi usci fuora sopra la porta del pa-
lagio, graffiò certi gigli d'oro chessono da que' marzocchi, e ritornò in Palagio per la porta,
e roppe un pezzo di schaglione della schala della chorte va a' Signori, e dipoi era un
Davitte di bronzo, di mano di Donatello in sth* una cholonna, che pòsaua in sur una
baxe, ch'avea quattro fogliami a* piò di detta cholonna nel mozzo della chorte del Pa-
lazzo, e roppe uno de' 4 fogliami in tre parti, e dipoi roppe un muro dalla parte degli ufi-
ciali del Monte, e forollo chome fussi di legnio; entrò nella stanza del Proveditore del
Monte e quivi fini. Ebbesi nella terra per cliattivo pronostiche » ecc. — Cosi ne accenna
parimente il gcRixA, loc. cit.. lib. ix, cap. xlii: « Se promulgò alli entredicho : y fue buelto
à poner en Florencia; j al mismo tiempo que se puso, sucedio un caso, que fue avido por
muy roaravilloso; porque sobrevino muy repentinamente una grande agua, con muchos
relampagos, j truenos : y una tan furiosa, y terrible tempestad, que à todo el pueblo causò
grande espanto; y parecio ser juyzio, y ira de Dios: porque cayò un rayo en la Iglesia
mayor: y de alli fue à dar en las casas de la ciudad, y abrasò, y derribo, y hiso mucho
estrago». Scriveva a questi tempi Pietro Martire d'Amqbisra, Epp., 465: «Prodigiis
misera undique exagitatur Italia, nec dum cessasse iram caelitum in illam praesagiunt ».
Cf. Bobcebarot, RéncAsaanet, pag. 420 e segg.; Hbidbnhbimbr, Petrus Martyr Anglerius,
pag. 37, in nota.
» Machia vsLLi, Discorsi, lib. i, cap. lvi. Cf. gli Estratti di Uturs <ed. uH., voi. ii,
pag. S3S-0) : « Ammalò Lorenzo - cascò addi 5 d'aprile la saetta in su la terrazza della
cupola - ... - mori Lorenzo addì 8 d'aprile ».' — E le Istorie, lib. vin: « ...e come dalla
sua morte ne dovesse nascere grandissime rovine, ne mostrò il cielo molti evidentissimi
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554 CAPO SETTIMO. [lib»o
aveva percosso 11 duomo nella sua più alta parte; il Savona-
rola aveva predetta la discesa di Carlo ottavo; non dovevano
le folgori questa volta preannunziar nulla? Alla moltitudine
pareva illogico non conchiudere il sillogismo della paura, e
Niccolò Machiavelli, maritando la superstizione volgare al pre-
concetto classico, tenne il pronostico nella memòria, e lo sgo-
mento nell'animo. In Pisa egli stava presente quando il sinodo
s'inaugurava; e al cardinale di Santa Croce, che gli aveva fatto a
San Donnino balenar la speranza di trasferire altrove il con-
cilio dppo le prime due o tre sessioni, consigliò, rammentan-
dogliela, discostarlo più che potesse, farlo in terra di Francia
0 in terra di Alemagna « dove troverebbero i popoli più atti
ad obbedire, che non sono per fare i popoli di Toscana ».
E i conforti del Segretario furono in questo anche meglio
aiutati da fatti; ostentando i Pisani ogni contrarietà e disprezzo
pe' cardinali, pe' Francesi, pel conciliabolo; poiché ben sentivano
che la era occasione di far dispetto a' Fiorentini, senza che questi
avessero modo a risentirsene. Che anzi, i Fiorentini stessi, parteg-
giando pel pontefice nemico, contro la loro patria e il loro governo,
parevano farla da buoni cristiani. Cosi a' cardinali venne ne-
gato l'uso de' paramenti sacri, quando volevan cantare la messa
dello spirito santo in duomo; anzi, le porte del duomo stesso
vennero di poi loro serrate sul viso.^ Fremevano i Francesi,
e il cardinale d'Albret sopra tutti, che, avendo fatto assegna-
mento su' tafferugli probabili a fine di provocare altre armi
dalla Lombardia, provò far grande scalpore per due falconi,
e godè, quando per caso o per artificio, due soldati della citta-
della si bisticciarono con soldati di Francia in causa d'una cor-
tigiana, tanto da seguirne una mischia presso al Ponte Vecchio.
Una nuova e più grossa e feroce il di appresso, quando già
il Machiavelli era partito alla volta di Firenze, tra i fanti
del battaglione e le milizie straniere, mentre nella chiesa pros-
sima di san Michele stava ragunato il concilio, parve decider
le cose e far intendere a tutti che, non che speranze, in quel-
l'arruffio giornaliero non c'erano che comuni pericoli. L'abate
segni, infra i quali raltissima sommità del tempio di Santa Reparata fa da uno fulmine
con tanta furia percossa, che gran parte di quel pinnacolo rovinò, con stupore e mara-
viglia di ciascuno ».
^ OoicciABOiMi, Storia d'ìtaHa, lib. x; Ammirato, Storie fiorentine, lib. xzvm: « f ur
chiuse loro arditamente le porte del tempio in sul -viso, attribuendosi gran parte di questa
dimostraxione a Niccolò Capponi, il quale arrivato la notte precedente a Pisa, si credeva
aver quest'ordine dal pontefice ».
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SBCONDO] IL CONCILIO SI TRASFERISCE A MILANO. 555
del Subasio avea già cercato nella sua concidne ai padri con-
fortarli teologicamente delle male accoglienze ricevute, com-
mentando il versetto « lux venii in mundum et dilexerunt
homines magis tenébras quam lucem ».^ Restava a' que' padri
pertanto scuotere la polvere da' propri sandali e mutar aria.
Cosi, tenutasi a furia la terza sessione in casa del Carvajal,
non senza dispetto, i cardinali deliberarono di trasferirsi a
Milano, ove indissero la prossima sessione, pe' 13 di dicembre,
nella gran cattedrale.^ Partirono poi con tanta sollecitudine,
che a' di quindici del novembre, Pisa era tornata in calma tale,
da non parere che mai vi fosse stato né concilio né Francesi.
Ma intanto quell'indecente spettacolo aveva discreditato tutti
coloro che n'erano stati autori o principali o tolleranti ; e Fi-
renze e. i Sederini, senza essersi riguadagnato il pontefice, si
ebbero cosi procacciato anche l'avversione de' prelati scisma-
tici. Papa Giulio, in questo mezzo, cedendo alle persuasioni
scaltre e non punto disinteressate di Pandolfo Petrucci, si di-
menava per guisa da cullare i Fiorentini nella loro neutralità,
non stringendoli mai tanto da indurli a pigliar partito; ma
preparando alla parte francese in Italia un colpo decisivo e
improvviso.
Apparivano di nuovo gli Svizzeri sul Gottardo, a mezzo
novembre, col vessillo sotto al quale avean vinto gi^ Carlo di
Borgogna, e che d'allora in poi non era stato più portato in
campo, colla minaccia scritta a lettere d'oro sul loro princi-
pale stendardo in cui « quei villan brutti », come gli chiamava
l'Ariosto, 3 s'intitolavano difensori della chiesa e domatori di
principi. Apparivano, trainando con loro le prime artiglierie
che il Gottardo vedesse;^ apparivano, tratti all'esca del loro
solito cardinale Schinner; di quel che in Firenze i popolari chia-
1 EvaDg. IoaD., 3. -- V. nel Richbb, loc. cit., la Seconda Sessióne del Concilio pisano,
pag. 423,
* RicBBB, op. cit., Decreta tertiae sessionis, pag. 433: « Itera qaia ex nuperrime
emersis ac intellectis in diesqne emergentibns caasis jnstissimis ac evidentissimis ab bis
qui praesertim buie sacro Concilio fauere debuissent suscitatis, locom
ipsnm Concini transferri oportere sancta haec Synodus animadvertit » etc.
* MuBATORi, Annali d'Italia, ad ann.; citando l'anonimo Padovano, ne riferisce la scritta:
« DOMATORBS PRINCIPUM, AMATORBS IV8TITIAB, DBFBNSOBBS SANCTAB ROMANAB BCCLESIAB » ;
onde r Ariosto, Orlando furioso, xxxiii, 43, cantò di re Francesco:
« che cosi rompe a' Svixeri le coma
che poco resta a non gli aver distratti,
si che il titolo mai più non gli adoma,
ch'usurpato s'avean que' villan brutti;
che domator di principi e difesa
si nomeran della romana chiesa ».
* Ranke, Oeschiehten der rom. und germ. Vdlker., pag. 270.
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556 CAPO SETTIMO, [ubbo
mavano paurosi « il cardinale svizzero ». Si prevedeva che questi,
cougiungendosi coll*esercito ispano -ecclesiastico di Romagna,
potessero cagionare all'armi francesi una rovina estrema. La
città, atterrita già da que' sinistri pronostici, ne fu scossa; la
fiducia nell'utilità dell'alleanza francese scoraggiata anche in
chi col cuore non avrebbe saputo smuoversene. Le lettere del
Pan delfini parla van chiaro, segnalando come la poca sicurezza
del re comprometteva a dirittura l'esito della guerra.^ Il car-
dinal Sederini, vista la mala parata, giudicava non restare a
far altro che raccostarsi al pontefice, e assicurarlo che Firenze
sarebbe entrata a far parte della lega. Era tardi. Papa Giulio,
ritorcendo l' infelice metafora del cardinal di Volterra, ghignava
ironico ; ^ e sapeva bene che né questi né il gonfaloniere per-
petuo disponevano più della città.
In tali strette, Niccolò Machiavelli, il solo che pur sapesse
alzarsi col pensiero sopra i colleghi atterriti della cancelleria,
vide soprastare alla repubblica una catastrofe inevitabile; dalla
quale chi sa se la persona e la famiglia di Pier Sederini, chi
sa se egli stesso, inviso per tante cagioni ai faziosi, sarebbero
usciti immuni. Guardare la morte coraggiosamente in viso,
era preveggenza per lui; poteva essere buon esempio per altri.
Ei fece il suo testamento noncupativo, nella cancelleria delle
Reformazioni, in palazzo. I suoi colleghi, ^ Antonio Vespucci,
Bartolomeo Dei, Piero Bonaccorsi, Filippo Lippi da Pratovec-
chio. Luca Ficini, Giovanni Biagi da Poppi, Bartolomeo Rufini
gli furon testimoni; ser Francesco Ottaviani d'Arezzo, notaio
delle riformazioni rogò l'atto.^ Provvide cosi Niccolò ai propri
figli, lasciandoli eredi ed assegnando loro a tutrice e curatrice
la madre, nella cui integrità ed affezione si confidava; libe-
randola d'ogni obbligo di compilazione d'inventario e di ren-
diconto; vincolandola appena, e solo in caso d'alienazione o di
obbligazione de' fondi, a procedere d'accordo col fratello Tetto.
i Dbsjardins, Negoclationi dipi, voi. ii, pag. 542. Pandolfini da Parma 23 nov. 1511 :
« ...le opere repugnano alle parole; il volere il re stando in Francia governare la guerra
che 8i fa di qua e regolare la epesa, mi par cosa male a proposito, e gli potria talvolta
causare qualche sinistro, perchè la distanza è troppa e le occasioni che nascono si per-
dono in quel tempo ».
* Dbsjaroins, loc. cit., pag. 558-9. Bernardo dìB ibbiena al Legato « Roma 18 die. 1511 » :
— « E venga quando vuole monsignor di Volterra, e porti che i Fiorentini entreranno in
lega e moveranno contro Francesi quanto gli piace! Ha nostro Signore due volte usato
dire: Sviszeri essere buoni medici del mai francese, perchè hanno si bene guarito monsi-
gnor di Volterra, che in un tratto ha potuto venir qua ove prima non poteva muoversi ».
• V. in App., n. III.
« Addi 22 novembre 1511.
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8BCO2fD0] PRIMO TESTAMENTO DEL MACHIAVELLI. 557
Ciò fatto, ei poteva coraggiosamente accingersi a servir la re-
pubblica e compiere il suo dovere a costo della vita. Ei non
dissimulava ad alcuno che v'eran da correr pericoli ; incitava
anzi, per quanto gli era lecito, ad incontrarli. Vedeva nel
corpo civile della sua Firenze farsi strada ogni dì più il prin-
cipio della dissoluzione; sorgere al contrario, come per fortuna,
inaspettati compensi a puntellare l'audacia del papa nemico,
sprovvisto di vere forze, e avventuroso pur sempre. ^ Quegli
Svizzeri che piovevano giù a sostegno di lui, non solo costrin-
gevano i Francesi a ceder loro il passo e rinserrarsi nelle for-
tezze, ma cavavano, in certo modo, il papa dalle mani del re
di Spagna; alleato che altrimenti l'avrebbe tenuto nella più
piena dipendenza da sé. Quel cardinale de' Medici nel campo
della lega era d' altronde V impedimento più forte perchè il
gonfaloniere, che sentiva come pure era duopo uscire dalla
neutralità, potesse pencolare da altra parte che da quella ove
i Medici non stessero ; da altra parte che da Francia^ la quale,
anche a causa de' recenti garbugli di Pisa, s'era alienata tutta
la simpatia de' democratici fiorentini, ed era naturalmente in-
visa ai partigiani de' Medici. Ora, i tempi erano mutati e il
Sederini non se n'avvedeva, ■ quantunque il Machiavelli pro-
vasse di farnelo accorto. Quando tra il bene della patria sua
e la causa francese fu comunanza d'intendimenti e di fini, Piero
era stato mediatore di relazioni politiche, che avean finito per
divenire suoi vincoli personali, sue necessità interiori, che gli
ottundevano il senso d'ogni altra esteriore necessità. Eran mutati
i tempi, ed egli non se n'accorgeva, e, per ridirla a ^ modo del
Machiavelli,* non si sapeva più riscontrare con essi. Oltre a ciò,
* Cf. Machiavelli, Il Principe, cap. xiii. — Id., Discorsi, lib. in, cap. 9: «Papa
lalio It procedette in tutto il tempo del suo pontificato con impeto e con furia; e perchè
i tempi Taccompagnarono bene, gli riuscirono le sue imprese tutte. Ma se fussoro venuti
altri tempi che auessero ricerco altro consiglio, di necessità rovinava ; perchè non arebbe
mutato né modo né ordine nel maneggiarsi ». — Questa sentenza del M. sembra ridurre
d*assai, quanto al pontefice, il giudizio del Brosch, op. cit., pag. 237. in cui chiama Giulio
secondo e Ferdinando il Cattolico « unter Europa's Hegenten die ersten Staatsm&nner der
Zeit » ; e risponde in certo modo a un'afTermazione di Francesco Vettori il quale scrivendo
a N. M. « a di 5 d'agosto 1510 » giudicava del pontefice : « non si può dire che, poi è in
quel grado, il governo suo sia stato di matto ». Bibl. Naz., doc. M., busta v. n. 66.
• Il Machiavelli, (Discorsi, lib. ui, e. 9, Ghiribizi a Pier Soderini in Raugia, v. App.,
Analisi dell' Apogr. G. d. R., § xxi, Capitolo di fortuna a G. B. Soderini) insistè sulla
necessità di riscontrare coi tempi il proprio modo di procedere; altrimenti avviene che
la sorte:
« non potendo tu cangiar persona,
Né lasciar l'ordìn di che il ciel ti dota
Nel mezzo del cammin la t'abbandona ».
Quest'ultimo componimento indirizzato a quello fra i Soderini che, come riferisce il Busimi
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568 CAPO SETTIMO. [libro
la lealtà, T indulgenza, l'amor della legge, che in lui erano
naturali, l'avevano confermato nel sentimento che una causa
buona à difesa intrinseca e bastevole nella bontà propria.
« Jusius ut palma florebit », era il motto del suo sigillo;'
e quando la slealtà, la periSdia, la prepotenza si levavano a
insidiare e offendere con le leggi gabbate la causa buona, ei
non sapeva farsi leone, non sapeva urtar gagliardamente le
opposizioni, sbattere gli avversari con tutta l'energia vitale,
per tema di sconfinare dal limite legittimo, d'uscire dalla
consuetudine civile, di cercar altra cosa che il trionfo finale
della giustizia: « Justus ut palma florebit » — Ma « chi pi-
glia una tirannide e non ammazza Bruto, e chi fa uno stato
libero e non uccide i figli di Bruto, si mantiene poco tempo »,^
gli, osservava reciso il Machiavelli; e il Sederini era per
dargli ragione, per consentirgli la verità di questa massima,
ma rispondeva voler prima cadere che compromettere con
modi straordinari l'esistenza nuova di quella forma di governo
democratico. Egli, il primo gonfaloniere perpetuo di giustizia,
non desiderava se non che ne potessero seguire altri dopo di lui,
in quella dignità; né si curava di morir lui in uflìcio, ma voleva
che quell'ordinamento politico, ohe colla persona sua si era
inaugurato, avesse ad acquistarsi l'amore e la fiducia di tutto
il popolo. C'era del resto la legge, che chiudeva la via di far
parlamenti e s'era spuntata da poco; la sanzione doveva per-
tanto colpire chi tentava violenze ; ma chi fosse per tentarne
non doveva sino a prova contraria essere sospettato; pareva anzi
che lo stato affettando sicurezza guadagnasse di credito.^ Ma era
{Lettere, pag. 37), educò « il Ferruccio glorioso, che quanto seppe ebbe da Oiovambatista »,
dovette essere scritto da Niccolò dopo la sua disgrazia e l'uscita dalla cancelleria. Del
non essersi riscontrato coi propri tempi del resto ei non fa colpa al Gonfaloniere perpetuo ,
ma riconosce solo che in ciò fu principalmente la causa della sua caduta.
^ Veggasene l'impronta in Silvano Razzi, Vita di P. Soderini; in fine della pref.
• Machiavelli, Discorsi, lib. ni, e. 3. — E circa affigli di Bruto, cf. G(7icciar2>u;i;
Reggimento di Firenze, 1. ii, pag. 213 e segg.
* Machiavelli, Discorsi, lib. ut, cap. 3 : « E questo è Piero Soderini, il quale si cre-
deva con la pazienza e bontà sua superare quello appetito che era ne' figliuoli di Bruto di
ritornare sotto un'altro governo, e se ne ingannò. E benché quello, per la sua prudenza»
conoscesse questa necessità, e che la sorte e la ambizione di quelli che lo urtavano, gli
desse occasione a spegnerli, nondimeno non volse mai l'animo a farlo. Perchè, oltre al
credere di potere con la pazienza e con la bontà estinguere i mali umori, e con i premi
verso qualcuno consumare qualche sua inimicizia; giudicava (e molte volte ne fece
con gli amici fede) che a volere gagliardamente urtare le sue opposizioni e battere
i suoi avversari, gli bisognava pigliare straordinaria autorità, e rompere con le leggi la
civile egualità; la qual cosa, ancora che dipoi non fusse da lui usata tirannicamente,
arebbe tanto sbigottito l'universale, che non sarebbe mai poi concorso dopo la morte di
quello a rifare un gonfaloniere a vita : il quale ordine giudicava fusse bene augumentare
e mantenere, lì quale rispetto era savio e buono: nondimeno e* non si debbo mai lasciare
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«BCOKDoJ IMPRUDENTE PAZIENZA DI PIER SODERINI. 559
logico forse aspettare che altri potesse succedergli in quel
magistrato in cui egli non sapeva mantenersi? era prudente
credere che, sopraffatto prima dalla furia e dagli inganni di
faziosi prepotentissimi, si sarebbe poi restaurato, dopo l'oppres-
sione, quell'ordinamento dello stato che non era fatto a prò di
partigiani, che non porgeva lusinghe né a clienti né a sover-
chiatori, che a mala pena aveva potuto andare innanzi finché la
coalizione malvagia de' diversi avversari non era riuscita pos-
sibile? — Messer Piero metteva ogni sua fidanza nel tempo,
nella fortuna, ne' tratti concilianti e benevoli che credeva do-
vessero scemare ogni di il numero de' suoi nemici e aumen-
targli quel degli amici. Egli era fresco in età, e credeva d'aver
agio a godersi il trionfo della causa santa e dei tempi liberi.
Bastava del resto che il pontefice collerico e moribondo chiu-
desse gli occhi, e le armi sarebbero tosto posate, e i rischi di-
leguati. Ma il Machiavelli a questa asseveranza di lui crol-
lava il capo compassionando, poiché quegli < non sapeva che
il tempo non si può aspettare, che la bontà non basta, che la
fortuna varia, che la malignità non trova dono che la plachi ».^
Il Machiavelli vedeva chiaro che il Soderini era per correre
l'ultima posta, che necessitava forse ai suoi fedeli di morire con
esso, e che era a bramare e a provvedere che eguale e con-
temporaneo tramonto non toccasse alla libertà.
Su questo proposito Niccolò non poteva aprirsi intimamente
se non col vecchio e venerando cieco Giacomini, il solo che amasse
la repubblica, il solo che avendo contribuito a crearle difesa
coU'esercito statuale, avrebbe potuto ne' consigli e nelle pra-
tiche opporsi 4c senza sospetto e senza rispetti » al gonfalo-
niere. Ma il Giacomini era malandato della salute e mosso da
parte; perché ad alcuni dispiaceva la franchezza colla quale
nelle Pratiche non dissimulava mai né opinioni né fatti; ad altri
la sincerità con cui amava il governo popolare.* E in Firenze
s'era oramai ridotti a questo, che non c'era chi pensasse di
poter fare opposizione al Soderini dentro l'orbita delle leggi.^
scorrere un male rispetto ad un bene, quando quei bene f'acilraente possa essere da quel
male oppressalo ». — Cf. Pitti, Istoria fiorentina, lìb. ii, pag. 100 e segg., ove si ripro-
duce, poco men che colle parole medesime, il giudizio e il fatto narrato dal M.
1 Macriaybll], Discorsi, lìb. m, e. 30.
» Pitti, Vita d* Antonio Giacomini, loc. cit, pag 255.
* Machiayelli, Discorsi, lib. i, e. lii : « Piero Soderini si aveva fatto riputazione nella
città di Firenze con questo solo di favorire Tuniversale; il che nello universale gli dava
reputazione, come amatore della libertà della città. E veramente, a quelli cittadini che
portavano invidia alla grandezza sua, era molto più facile, ed era cosa molto più onesta.
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^^'
5€0 CAPO SETTIMO, [l
La malignità, T invidia, la superbia aveano toccato un grado
d'esaltamento tale, che ai partigiani non bastava già il toglier
via l'uomo; ma le istituzioni si volevano abbattere, perchè
quegli aveva potuto armeggiare con esse. Fra lui e la Signoria,
fra lui e i Dieci^ fra lui e le Pratiche non solo non era più
armonia, ma discrepanza decisa; e* quella maggioranza stessa
su cui egli aveva potuto fin qui far assegnamento in Consiglio
grande, cominciava a vacillare o per timore, o per particolari
interessi, o per sazietà.
Così quando i Signori e Collegi gli avevano approvato
l'istituzione d'una quarantla speciale, d'un tribunale apposito
per giudicare de' delitti politici, il Consiglio degli Ottanta gliene
rigettava la legge, ^ lasciando che non a' quaranta, ma a' pochi,
corrotti 0 corruttibili, spettasse l'arbitrio di quelle sentenze.
Cosi quand'egli intendeva spingere vigorosamente la repubblica
all'alleanza francese e aiutare il re Luigi con tutte le forze,
votarono invece di mandar un ambascerìa al re di Spagna, per
tenersi propiziato il maggior potentato della lega; e Francesco
Guicciardini, il giovane ed egoista dottore di leggi che n'ebbe
commissione, non cessò mai più di vantarsi d'esservi stato pre-
scelto, quantunque ancora per età non eligibile a magistra-
ture, e di lamentar la ristrettezza del mandato affidatogli.* Ma
meno pericolosa e meno dannosa per la repubblica, preoccupargli quelle vie per le qaali
si faceva grande, che volere contrapporsegli, acciò che con la rovina sua rovinasse tutto
il resto della repubblica; perchè se gli avessero levato di mano quelle armi
con le quali si faceva gagliardo (il che potevano fare facilmente) arebbono po-
tuto in tutti i consigli e in tutte le deliberazioni pubbliche opporsegli sensa sospetto e
senza rispetto alcuno », ecc.
> Il Pitti, Storia di Firenze, lib. ii, loc. cit., pag. 100, dico che fu « il senato » che
non Tapprovò « dappoiché li favori, li rispetti e la corruzione impedivano il far giustizia
nel magistrato degli Otto e nel supremo ». — È evidente che per «senato » il Pitti vuol in-
tendere il Consiglio più stretto, relativamente al Consiglio del popolo. Quale si fosse Ta-
nimo del Machiavelli, quando vide naufragare la proposta istituzione della Quarantia ci si
rivela da un passaggio dei Discorsi (lib. i, capo vii) in cui egli cita «l'accidente seguito
in Firenze sopra Piero Sederini, il quale al tutto segui per non essere in quella repubblica
alcuno modo di accuse contra all'ambizione de* potenti cittadini, perchè lo accusare a otto
giudici in una repubblica, non basta; bisogna che i giudici sieno assai, perchè pochi sempre
fanno a modo de* pochi. Tanto che, se tali modi vi fussono stati, o i cittadini lo arebbono
accusato, vivendo egli male ; e per tal mezzo, senza far venire l'esercito spagnuolo areb-
bero sfogato l'animo loro; o non vivendo male, non arebbono avuto ardire operarli con-
tra », ecc.
« Cf. Fb. GruicciABDiNi, Storia d'Italia, lib. x. « Anzi, procedendo con queste incerti-
tudini, mandarono con dispiacere grande del re di Francia, al re di Aragona ambasciatore
Francesco Guicciardini, quello che scrisse questa istoria, dottore di leggi, ancora tanto
giovane, che per la età era, secondo le leggi della patria, inabile a esercitare qualunque
magistrato ; e nondimeno non gli dettero commissioni tali, che alleggerissero in parte al-
cuna la mala volontà dei confederati ». V. anche i suoi Ricordi autobiografici, pag. 85 e
segg. — Il Prrri, Apologia de' Cappucci, loc. cit., pag. 317 e segg., cerca ridurgli la ca-
gione del vanto; cita «^ T istruzione datagli da' Dieci, scritta da messer Marcello primo
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SBCONDOj y. MACHIAVELLI TORNA A OCCUPARSI DELLE MILIZIE. 561
chi ragguaglia le parole sue, le lettere di lui e del fratello
Iacopo, in quella sua commissione spagnuola, con le confuta-
zioni che in nome de' Cappucci contrappose poi loro il Pitti,
vede che specie d'umori fermentavano allora in Firenze. Cosi
ancora, da poi che il cardinale di Volterra era tornato a Roma,
si restava dairesigere l'accatto su' preti, contro il volere della
Signoria e per istruzione segreta del gonfaloniere; il quale
adescato dal fratello, più acuto e più ardito politico di lui,
voleva preoccupare la strada ai Medici, e pareva quasi dar
volta e abbandonare l'antica alleanza. Era naturale che di
quel fatto la Signoria si risentisse, e che chi in quella aveva
male intenzioni, ne traesse vantaggio, per opporre le delibera-
zioni di una Pratica, che avesse l'aspetto di secondare il Sede-
rini, a quella del Consiglio, che aveva decretato altrimenti. *
Cosi le membra dello stato con dispetto artificioso si facevano
a cozzar fra loro; cosi il Gonfaloniere perpetuo, a cui la mar-
maglia, come dicevano i nobili, aveva inneggiato fin allora,* si
perdeva in faccia ai popolari medesimi.
Il Machiavelli, a tal punto, usci d'ogni speranza che, visto
quell'insieme di persone e di cose, le condizioni politiche della
città potessero esser giovate in alcun modo da maneggi o da
consigli. Rimaneva ancora da attendere alle armi, da spe-
rare nell'esercito statuale, nell'ordinanza de' fanti; rimaneva da
preparar buone forze pel giorno in cui le forze soltanto avreb-
segretario », che fu pubblicata dal CANBSTRmi (Fr. Guicciardini, Opp. inedite, voi. vi,
pag. 3-10) più correttamente che non dal Bbnoist {GuicharàÀn)^ e gli appone T infàmia
d'aver accettato danari in dono da Ferdinando il Cattolico.
* V. OuicciARDiNi, Opp. inedite, voi. vi. Lettera di Iacopo Guicciardini a Fr. in
Spagna « 23-30 aprile 151!^ ». pag. 41. « Il Gonfaloniere poiché il cardinale andò a Roma
in qneste cose di Francia è ito molto freddamente, e pare che tutto si sia rivoltato da quel
che già era, come quello che è stato soffiato da Roma Nelle cose de' preti si raffreddò e
lasciògli fare ciò eh' e' vollono, quando questi ufficiali gli comiociorno a strignere, in
modo eh* e ci si bolliva assai ; e dua o tre volte si giuoco l'onore della Signoria, e lui
chiudeva gli occhi ». — Cambi, Istorie, voi. ii, pag. 286: «La Signoria ordinò una pra-
ticha di ciptadini per pigliare chonsiglio, chome s'aveano a ghovernare con questi preti;
di che sottonbra di charità raportorno appunto quello volevano e' preti — Di che la
Signorìa messe ad eifecto tutto et la mattina seghuente renderono e* danari e chomando-
rono agli uficiali non rischotessino ; che per la spetieltà di qualchuno de' Signori fu tutta
tal pratica a suo proponete; e a questo modo le leggio non hebbono luogho, perchè la
Signoria non avea alturità, né dovea uxarla, chontro a quello s'era fatto Chonsiglio gie-
nerale. E questo schrivo. perchè chi legierà vegga quanta poche giufititia era rimasta
nella Ciptà in questo tempo e pncha unione ».
* Nel poemetto La presa di Pisa, di cui più sopra tenemmo proposito, del gonfaloniere
si discorre a questo modo, con eccesso di lode che par fatto a posta per dispiacere ai gen-
tiluomini fiorentini:
« Al tempo che regnava el Sederino
degno Cóffalonier Pietro chiamato
che di consiglio passa ogni latino
& d'ogni anpla virtù dal ciel dotato ».
ToMMA.^iNi - Machiavelli. 26
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562 CAPO SETTIMO. [l
bero deciso della sorte della patria; ed ei tornò principalmente
ad occuparsi delle milizie.
Si trattava di collocar nuove bandiere nella provincia to-
scana di verso Romagna, e ne venne affidata la cura a lui, con
amplissime patenti.^ In questo mezzo, egli che per esperienza
aveva notato come la miglior maniera di persuader gli uomini,
circa l'opportunità d'idee reputate stravaganti o difficili, stava
nel presentarle loro già belle e in fatto; aveva posto insieme,
lungi dalla città anche questa volta, anzi alle pendici del do-
minio, un primo nucleo d'armamento di cavalli; duecento uo-
mini in tutto, i quali doveano servire di modello ad un corpo
di cavalleria, da lui ideato per spalleggiare i fanti, per sosti-
tuirlo alle genti d'arme de' condottieri, e tórre via lo sconcio
che accanto a' soldati statuali si mantenessero mercenari, e della
peggior qualità, come quelli che davano maggiori occasioni a
ruberie e, colle pretensioni nobilesche de' condottieri, ofiFendevano
il sentimento popolano dell'ordinanze medesime. Niccolò ne ac-
caparra in questa sua gita altri cento; gli ascrìve tutti alle ban-
diere di Valdarno, Valdichiana e Casentino, e promette a' Dieci
che pel fin d'anno < potranno valersi di que' trecento cavalli
in quei luoghi vorranno ».* Poi, coi criteri che già il lettore
conosce, in parte avendo in mira le antiche cavallate del co-
mune, in parte sottomettendosi alle necessità de'tempi, seguita
ad occuparsi, nei primi mesi del 1512, della inscrizione e del-
Tordinamento di queste nuove squadre di cavalli ; ^ fintanto che
il nuovo fatto parve cresciuto tanto, che l'utilità ne fosse vi-
sibile ai più, l'aggravio per la spesa non paresse soverchio,
e lo svilupparlo più ampliamento, senza una misura legisla-
tiva, sembrasse non concesso ai Nove. Fu però dato incarico
allora al Machiavelli di preparare una speciale proposta di
l^gge, per cui il numero dei cavalli si potesse recare sino a
cinquecento, almeno.
La provvisione, come di consueto, si presentò prima al Con-
siglio degli Ottanta, ove l'opposizione de' mali intenzionati era
preveduta da Niccolò, in tutta la bieca dissimulazione di cui
eran capaci. Della relazione con cui il Segretario l'accompa-
^ Bibl. Naz. Fior., doc. M., busto v, n. 156. PntenU per far leve d*uomim in Eo-
magna « addi 2 di dicembre 1511 ».
« Arch. fior. (ci. x, dist. 4, n.llO, Lett. ai X.d, fll. n. 108, e. 60). LeU. di N. Maehiik-
vegli ai Xs* « die 5 Xbris, ex Bibiena ».
* Bibl. Naz., doc. M., busto y, n. 73. Laurentiut MarieUui, commistariu* egr, viro
N. d. M. « ex Montopolitiano die iiij febniarìi m.d.xi » (st. e. 1512) raccomanda Jacopo
da Ricasoli suo parente « per uno capo della nuova ordinanza de* cavalli ».
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SBCONDo] FRAMMENTO CIRCA V ORDINANZA BE' CAVALLI. 5d3
gnaya ci rìman forse yestigio in alcuni frammenti conservatici
nell'apografo del Ricci,^ onde par chiaro che quei s'aspettasse
che i nobili l'avrebbero combattuta sotto colore di amar la
libertà sino alla gelosia. Ma a chi gli obbiettava il pericolo che
il contado armato sarebbe forse per non obbedire più alla città
prepotente e disarmata, si faceva innanzi a rispondere che dove
s'era dato l'arme ai fanti, si poteva pur dare ai cavalli; e poi,
« che chi pensa ad ogni inconveniente che può nascere, non
comincia mai nulla, perchè questa è una massima: che non
si cancella mai un inconveniente senza che se ne scopra un
altro; e sempre si pigliano le cose meno ree per buone ».* Fatto
sta che la legge con poche modificazioni fu approvata, entro
il giro di una settimana, tanto nel Consiglio ristretto che in
quello del popolo,^ e che quindi il Machiavelli si dedicò tutto
alla esecuzione di essa.
Invaghito dell'opera propria, Niccolò forse s'illudeva circa
il resultato immediato che quella avrebbe potuto recare. Per
lui non era dubbio che l'esercito statuale, composto a quel
modo, e sufficientemente esercitato, sarebbe potuto riuscir col
tempo l'unica, la più naturale, la più salda difesa della re-
pubblica. Ei non dubitava che i fanti di essa, assuefatti « al
menare della spada e al pigliarsi per il petto », ^ costitui-
rebbero il miglior fondamento, il vero nervo dell'esercito;
non dubitava che quei fanti e quei cavalli avessero a libe-
rare Firenze dalla turpe necessità di provvisionare ogni si-
gnorotto di Romagna e del Perugino, di farsi tributaria dei
suoi vicini; né credeva che fanti e cavalli statuali potessero
facilmente essere o surrogati da batterie di difesa o tenuti in
iscacco da potenti artiglierie de' nemici. — « La difesa della
città, diceva egli, si à a ridurre a difenderla colle braccia,
come anticamente si faceva, e coll'artiglieria minuta». L'e-
normi macchine, i mostruosi proiettili, secóndo lui, non val-
gono a sbaragliare assalitori strenui e compatti. — «Questa
è una massima, dice lui, che dove gli uomini in frotta e con
impeto possono andare, le artiglierie non gli sostengono ».5 E
^ V. in Appendice, Anali^ deWApogr. di G. d. R.y % xlii, noU 4*.
• Ibidem.
> Negli Ottanta addi 23 di mano ; addi 30 nel Consiglio grande. Le modiflcasioni pos-
sono desumersi, ragguagliando il testo edito e quello copiato ne* Regesti dal Ricci. V. in
App. V Apografo, 8 xli e la nota al documento.
^ Macbiayblli, Discorti, ii, cap. 17.
> Ibid.
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564 CAPO SETTIMO. [wbbo
contro la « opinione universale di molti » che in faccia alla
polvere esplodente e alle recenti ingegnerie d'offesa, il corag-
gio personale del soldato, la disciplina classica de' fantaccini,
l'armeggiare cavalleresco del medio evo, avessero perduto ogni
efficacia ed importanza, sostiene che gli uomini possono ancora,
non ostante le bocche da fuoco, mostrare la virtù loro com'ei
potevano anticamente, perchè anche ai tempi antichi « non
mancavano a chi difendeva le terre cose da trarre, le quali
se non erano così furiose facevano quanto all'ammazzare gli
uomini il medesimo effetto ».^
A servigio di queste massime erano sopraggiunti strepitosi
avvenimenti guerreschi, che Y ingegno sistematico del Machia-
velli considerò come novella esperienza, come argomento a
conferma delle sue convinzioni : il sacco di Brescia ® e la bat^
taglia di Ravenna.
Gli Svizzeri avevano deluso un'altra volta il pontefice,
che pure li corteggiava ancora, sempre per la lusinga di ve-
derli riversar sulla Lombardia. Del grosso esercito ausiliare
che gli costava tanto caro e non gli produceva effetti in Ro-
magna, papa Giulio si era lamentato aspramente, chiamandosi
assassinato dagli Spagnuoli, confessando all'oratore veneto di
non poter far altro, d'essere tutto nelle mani loro.^ È vero
che don Fedro Navarro, generale delle loro fanterie, aveva
acquistato contro Alfonso di Ferrara la bastìa importantissima
< Machiavelli, Diicorsif ii, cap. 17. — Con maravigliosa rassomiglianza a questa
sentenza machiavellica, Fbd. Auo. Wolf, nei suoi Prolegomena ad Homerum, xii, scrì-
veva: «Nimirum tanto magie admiramur veteres navigatores, quod iHos cursus soos re-
gere potuerunt sino pyxide nautica; nec forsitan omni militi hodie credibile fit, ante pulveris
nitrati inventionem Alexandrum vel Oaesarem tantas res egisse, tot mnnitissimas urbes
cepisse. Attamen habuerunt illi quod pulveris nitrati vìcem satis valide expleret ».
■ Machiavelli, loc. cit. : « Questo esser vero si è conosciuto in molte espugnazioni
fatte dagli oltramontani in Italia e massime in quella di Brescia; perchè sendosi quella
terra ribellata da* Francesi e tenendosi ancora per il re di Francia la fortezza, avevano
i Veneziani per sostenere l'impeto che da quella potesse venire sulla terra, munita tutta
la strada di artiglierie che dalla fortezza alla città scendeva e postane a fronte e ne*tìanchi
ed in ogni altro luogo opportuno. Delle quali monsignor di Pois non fece alcun
conto; anzi quello con il suo squadrone disceso a piede, passando per il mezzo di quelle,
occupò la città, né per quello si senti ch'ali avesse ricevuto alcuno memorabile danno ».
— l\ BoNACCORSi, Diario, pag. 16S, dice solo che l'esercito francese « trovò un poco d'op-
positione all'artiglieria », il Da Porto {Lettera, 65) che « il Foix avendo fatto smontare
circa 500 uomini d'arme con Biccm' (hache) in mano, cominciò a farli calare dalla rócca
contro la cittadella ». — Batard, Memoires, ediz. Oodefroy, pag. 265: « Les ennemis oyans
ce bruit deslacherent plusieurs coups d'arti llerie, dont entre les autres un coup de canon
veint droict donner au beau milieu de la trouppe du Due de Nemours, sans tUer ne blesser
personne ; qui feut quasi chose miraculeuse, considerò comme ils marcboient serrez ».
* Dispaccio del Foscari da Roma « JB2 febr. 1512 » in Marin Sanudo, sui. ms., recato
dal Broscb, op. cit., pag. 356: « lì papa si doleva molto di Ihoro e vedeva ì non valeano
nulla et che era sasinato da Ihoro sì che si duol assai, ma non poi faraltro et è in
man di Ihoro ». Cf. Machiavelli, Principe, cap. xiii.
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MCOKDo] CARDINALI LEGATI PRESSO I DIVERSI ESERCITL 505
sul Zanniolo, la quale rispetto alla città, poteva considerarsi come
la chiave del Po; ma il duca l'aveva ben presto ricuperata con
un eroismo degno della cortigianesca celebrazione nelY Orlando
Furioso.^ Raimondo di Gardena aveva tentato anche stringere
Tassodio di Bologna, ove coi Bentivoglio stava il presidio fran-
cese sotto Ivo d'Allegre e il signor di Lautrec. Ma le lunghe
considerazioni de' vari pericoli cui quell'impresa era per esporlo,
e il timore che il duca di Nemours non sopraggiungesse a ta-
gliarlo in mezzo o impediiigli rapprovvigionamenti, avevano fatto
comparire il Cardona si lento, si freddo, che si sospettava tutta
quella sua cautela nascesse da segrete istruzioni del re di Spagna,
per tenere a bada il pontefice. Questi, sempre più sulle furie,
sferzava amaramente il cardinale de' Medici, il quale, com'uom
di chiesa che s'impacciava delle armi, provocava il disdegno
de' generali spagnuoli, ogni volta che di quelle furie tentava
farsi l'interprete. Ed era strano spettacolo che, mentre il car-
dinale de' Sederini metteva tutta la sua speranza nelle fan-
terie fiorentine ordinate dal Machiavelli, sebbene con maggior
prudenza tra quelle non scorrazzasse, il Medici, legato pontificio
nel Bolognese, comandava fra Spagnuoli le armi ecclesiastiche,
mentre un altro cardinale, il Sanseverino, deputato dallo scher-
nito conciliabolo di Milano a legato di Bologna, « feroce e, come
il dipinge il Guicciardini, più inclinato alle armi che agli eser-
cizi o pensieri sacerdotali »,* stimolava tra' Francesi il genio
bellicoso dell'ardente Nemours a venire a giornata decisiva col-
l'esercito della lega. Che maraviglia che con tanta profanità
cardinalizia che gli spronava, i due eserciti s'appiccassero, pro-
^ Ariosto, Orlando furioso, iii, 53, dice:
le genti di Romagna mal condotte
contro ì vicini e lor già amici in guerra
8G n'avvedranno, inaanguìnando il suolo
che serra il Po, Santemo e Zanniolo.
* GuicciABDiKi, Storid d'Italia, lib. x.— In nn poemetto popolare contemporaneo inti-
tolato « El facto d'arme de Romagna con la presa de Rauena », del legato si fa questa
menzione :
« Fa del concilio statuito pisano
clie con lo esercito andasse un legato
el Qual se fé de drento da Milano
acio chel campo si vada asetato
e vedendo esser bon co Tarme in mano
iusto potente e di bon sangue nato
el cardinal elesser Federico
da Sansevrin Roberto el fìgliol dico ».
Questi ebbe la legazione bolognese nella quinta sessione del sinodo, tenuta in Milano « die
mercuri! undecima mensis februarii m.d.xii ». V. in Richer, op. cit., pag. 475 e segg., le
Litlerae Bononiensis legationis
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566 CAPO SETTIMO.
prio nel giorno della cristiana pasqua, sul paludoso piano ra-
vennate? La battaglia fu sanguinosa:
La gran vittoria contro Giulio e Spagna >
mise spavento a tutti. Il Pandolfini ne ragguagliò la Signoria
in un suo dispaccio officiale, descrivendola come « il più san-
guinoso e orribile conflitto che sia mai stato ne' nostri tempi e
eguale a tutti quelli che per le memorie antiche appariscono mag-
giori ».* Poemetti volgari con diversa partigianeria ne strombaz-
zarono; 3 a Francesco Guicciardini ne mandarono notizia in
Spagna il padre, il fratello Jacopo ^ e il Machiavelli stesso, accu-
sato da lui d'avergliene scritto < a passione, e massime circa al
numero dei morti, diminuendoli da una parte e dall'altra accre-
scendoli ».5 Può essere che, per desiderio di mostrare in questa
vittoria francese rassicurato il governo soderinesco di Firenze,
il Segretario, o di proprio impulso o per esagerato avviso o per
commissione espressa, ne scrivesse allora ingrandendo un poco
l'importanza di esso, o sperandone effetti maggiori.^ È certo
che per tutta la penisola ne corse sul primo momento un gran-
dissimo terrore. È certo che al papa parve già di sentirsi ac-
^ Ariosto, Orlanào furioso, cui, 55.
s Dbsjardins, op. cit., voi. II, pag. 581. Anche il Qubita, loccit., lib. ix, pag. S84t:
« pues fue una de las mas fiera», y crueles, y la mas sangrienta, y de major estrago qae
se vio en Italia en muchos siglos ».
* Si anno due poemetti contemporanei e popolari circa la battaglia di Ravenna.
L'ano, è opera del « Perunno da la Rotonda », ed è scritto con simpatie più spagnoole
che ecclesiastiche. Si descrìve in' esso « il Carvagial che menava le mano » ; vi si af-
ferma:
« qualunche legge ^ui pone ben cura
che da cento anni in qua sì fatte ^enti
non fu morta nò presa de tal vaglia
quanto che fu in questa ria battaglia».
E vi si conclude :
« ma Questa lor Victoria se pò dire
che fu danno comune senza mentire »:
È intitolato: El fatto darme fatto a Rauenna nel M.D.Xìj. A <fi X/ d« aprile; e noi ne
vedemmo nella Bibl. Angelica di Roma due edisioni diverse, Tuna delle quali in caratteri
gotici. L'altro componimento à per titolo « El facto darme de Romagna con la presa de
Ravena»f e sembra che l'autore anonimo per alcuni accenni dialettali, e per scrìvere:
« nostri francesi se mison più volte
al ordin tutti sotto soa bandiera»,
dovesse essere probabilmente di parte francese e lombardo.
* OoicciABDiin, Opp. inedite, voi. vi, pag. 36-51.
■ OuicciARDiNi, ibid., pag. 93.
* In seguito il Machiavelli {Discorsi, lib. ii, cap. 16) si limitò a commemorare la
battaglia di Ravenna, come quella che «fu, secondo i nostri tempi, assai bene
combattuta giornata». Cf. anche Discorsi, ii, e. 17; Arte della guerra, lib. n. — RUretti
di Francia. Nella lettera del Segretario del duca di Ferrara^ scrìtta « ex foelicibns Castrìs
Regiis apud Ravennam, die xj aprilis » si riferiscono particolarì assai conformi alle idea
del Machiavelli, rispetto allo spregio delle artiglierie : « Le genti da cauallo dil loro anti-
guardo, per quanto refTerisce il S.°' Fabricio disseno non uoler morire cosi miserabilmente
d'artiglieria, ma cum la spada in man j ». Veggasi in Appendice.
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secondo] la battaglia DI RAVENNA. 567
casciato sotto a' colpi del legato conciliare di Bologna, dello
scismatico Sanseverino, che voleva coll'armi francesi muover
diritto su Roma,^ portando prigione in sue mani con Fabrizio
Colonna, con don Fedro Navarro, coi marchesi della Palude, di
Bitonto e di Pescara lo scaltro legato pontificio, il cardinale
de' Medici.
Questa prigionia, queir inopinata vittoria francese volta-
rono per un momento in Firenze tutti gli animi; e non è ma-
raviglia se il Segretario della seconda cancelleria la magni-
ficò allora per qualcosa meglio che per una semplice < giornata
assai ben combattuta ». — Ne' giorni precedenti egli aveva
veduto tale un trascorrere di tutti i partiti, che se la fortuna
avesse arriso alle armi ecclesiastiche, il mutamento di governo
nella città sarebbe stato inevitabile. I male intenzionati Tavevan
detto chiaro e forte: < se il papa vince, guasterà questo Con-
siglio e rimetterà i Medici >;* tra le fazioni, non si mostravan
più dispareri, ma rabbia. Jacopo Guicciardini che scriveva al
fratello ambasciatore in Spagna, quantunque fosse in condi-
zione di dover usare ritegno, diceva francamente del gonfa-
loniere : « egli à da pregare Dio insieme cogli altri che amano
questo vivere, che le cose abbino sortito questo fine, perchè
se-I papa vinceva, si faceva un tristo giudizio delle cose
nostre >.
Ma quel che sopratutto stimolò forse allora il Machiavelli a
magnificare la vittoria di Ravenna fu l'attitudine malignamente
furba, furono gli sforzi quasi che subiti de' nobili e de' palle-
schi, per attenuarne l'importanza; giudicando da' resultati esigui
che se ne vedevano. Quando poi fu conosciuto che nella mischia
il duca di Nemours era morto (che fosse morto d'arma da fuoco
0 di ferro non importava ad altri forse che al Machiavelli);^
1 O1B.M0RQMB, Lettere latine nella Miscellanea di storia patria, voi. 11, edite dal
Pbomis e dal MttLLBB, pag. 178-180 « die 81 janii » ove s'accenna anche alla cagione che
trattenne il Sanseverino dal recare ad efletto il suo disegno : « Contra vero Jo. lacobus
Trivnltins Franciae marescalcus qui privatas in omni tempore simnltates cum Sansoveri-
nonim gente exercnit, gloriam pulsi pontificis et captae urbis Romae ab eis eripere co-
nabatur ».
» OmcciABOiNi, Opere inedite, voi. vi. Jacopo Guicciardini a Fr. in Ispagna « 23-30
apr. 1512», pag. 45.
s Per comprovare il suo assunto che, dopo Tuso delle artiglierìe « della morte de*ca-
pitaoi e de* condottieri ce ne furono, in ventiquattro anni che sono state le guerre ne* pros-
simi tempi in Italia, meno esempi, che non era in dieci anni presso gli antichi. Perchè
dal conte Ludovico della Mirandola, che mori a Ferrara quando i Vinisiani pochi anni
sono assaltarono quello Stato, ed il duca di Nemors, che mori alla Cirignola, in fuori, non
è acorso che d*artiglieria ne sia morto alcuno ; perchè monsignor di Pois a Ravenna mori
di ferro e non di fuoco».— {Discortii lib.ii, e. 17). È chiaro che quand'anche questo di-
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568 CAPO SETTIMO.
quando fu chiaro che l'unico genio guerresco che i Francesi
avesser mostrato in tante loro battaglie in quella s'era spento;
ch'essi, invece di seguitar la yittoria, s'andavano bisticciando
per la successione nel comando supremo, e ripiegando, come
chi non crede alla propria fortuna ; mentre i collegati e i fau-
tori de' Medici ritrovarono l'audacia loro, Piero Soderini che
aveva tratto appena un largo respiro di confidenza, che aveva
appena rinalberato una speranza, per le mene scaltre de' suoi
nemici fu pur ricacciato fittamente in mezzo alle angustie. Era
corso poco oltre un mese dalla battaglia di Ravenna, ed egli si
senti ispirato a far testamento. ^ Perchè? aspettava la morte come
s'aspetta un ladro che circuisce la casa, o si accingeva a sfidarla
animosamente? seguitava l'esempio del Machiavelli, compiendo
un atto di sereno coraggio; sentiva oramai il proprio capo
devoto alle furie che menavano strazio della patria e della
libertà^ o cedeva all'oppressione fiacca della malinconia? si di-
sponeva a morire in piedi e da principe, o scongiurava super-
stiziosamente la morte con quel timido pensiero che le gittava?
Questi erano dubbi che gli avvenimenti soli potevan chiarire.
Per allora si parlò in palazzo delle disposizioni di lui, com-
mentandone gli atti, improntati a quella mansueta bontà che
ciascuno gli riconosceva. In quel suo testamento e' s'era ricor-
dato degli amici più cari, di tutti coloro co' quali aveva avuto
relazione giornaliera: avea disposto per legato di quindici fio-
rini d'oro in oro, a favore di ciascuno dei cancellieri della
prima e della seconda cancelleria; di Marcello Virgilio cioè,
e del Machiavelli, che allora trovavasi a Pisa, per riordinarvi
la guardia della cittadella; non aveva dimenticato né i loro
coadiutori né i notai, i fedeli suoi che l'attorniavano e che
avrebbero potuto soffrire per cagion sua. Ma con questa man-
sueta bontà ei pareva atteggiarsi piuttosto a vittima che a do-
minatore.
scorso sta stato dal Machiavelli composto o letto circa il ISiS, il concetto di esso ebbe ad
essere già un pezzo prima determinato dall'esperienza attinta e dall'occasione continua d*oc-
cuparsi neirordinamento delle fanterie e de' cavalli) come il Segretario faceva, senza darsi
delle artiglierie alcun pensiero; mentre invece altri uomini di guerra come Federigo da
Urbino e Alfonso da Ferrara se ne travagliavano con si profondo sapere, chet come os-
serva il Burckhardt (Renaisiance, pag. 79), a petto alla lora scienza, quella di Massimi*-
liano imperatore poteva parere superficiale e leggera.
1 Fu fatto a* di 16 di maggio lol2 ; venne dato in luce colla VUa di Pitr Soderini del
Razzi, pag. 148 e segg. È notevole in questa pubblicazione, corredata di tanti documenti
relativi ad avvenimenti storici occorsi nel gonfalonierato di Pier Soderini, lo scndie manh*
feste d'escludere il nome del M. e d'allontanare, per quanto si potesse, la memoria di lui
da quella del gonfaloniere perpetuo, da cui era naturalmente inseparabile. Tanto poteva
ancora sugli splendidi editori del 1737 Io spauracchio del machiavellismo!
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SBCOKDo] JL CARDÌNALE DE' MEDICI A MILANO, 5«
Sì tristi e raumilianti effetti aveva dunque recato per lui
quella strepitosa vittoria di Ravenna! col re di Francia, che
pareva troppo in auge per non essergli ricusato nulla, riuscì
appena a stringere una lega, mal volentieri consentita da chi
aveva inviato il Guicciardini al re di Spagna. Quella lega era
solamente difensiva e macrissima, impregnando i Fiorentini a
fornirgli nella Lombardia quattrocento lance, contro promessa
d'averne da lui seicento, nel caso che Firenze n'abbisognasse.
Ma era stato appena ratificato quel trattato, che su' primi di
maggio, Piero Guicciardini scriveva, mostruosamente, al figliuolo
ambasciatore: « forse se si avesse a fare ora, si andrebbe più
adagio: questo non impedisce non si possa fare il medesimo
con Spagna; e quando voi credesti vi fussi disposto, sarà bene
lo facciate intendere qua, ma tutto governiate in modo non
paia sia nato da voi ».^ — Così la politica esterna si reggeva
anch'essa per cospirazioni, più o meno baldanzose, secondo che
il vento mutava e le parti si sentivano forti.
Del resto l'ottava sessione del conciliabolo in Milano aveva
deciso la sospensione di papa Giulio da ogni amministrazione
spirituale e temporale del papato. * Il decreto n'era stato affisso
con tutte le solennità alle porte della cattedrale; ma il Car-
vajal, il Sanseverino, i cardinali tutti seguaci dello scisma ve-
nivano ingiuriati e vilipesi, non men che a Pisa, dalla popola-
glia per le vie di Milano, ove la protezione dell'armi francesi
non li faceva parere più venerandi. E il legato de' Medici,
invece, prigioniero presso il Sanseverino, ossequiato per ispirito
di parte da' Trivulzio, da' Pallavicini, dalle casate più ragguar-
devoli, vedeva all'incontro prostrarsi a terra sul suo sentiero
i soldati di Francia, supplicanti l'assoluzione per aver pugnato
contro la chiesa, in servizio del proprio re;^ assoluzione che
il cardinale Giovanni concedeva con la plenaria facoltà deman-
datagli dal pontefice stesso, per mezzo di Giulio Medici, suo cu-
gino, ch'egli aveva spedito a Roma a mitigar l'impressione della
rotta di Ravenna e a rappresentare ne' veri termini la condi-
zione delle cose. Questi aveva saputo risollevare gli animi ab-
> OuicciABDiNi, Opp. in9dt(e, voi. vi, Lett, di Pigro OtUcciardini a Franeesco^ «3 mag-
gio \òìi ». Cf. Pitti, Apologia de'Cappueci^ pag. 318, ove il Guicciardini è Ucciato da* po>
polani nella sua legaiione di Spagna d'aver propiziato re Ferdinando « più per chi era
fuori che dentro ».
■ « Die XXI aprilis a Nati vitate Domini m. o. xn ». -^ V. il documento in Ricbbb, loc.
cit., pag. 537 e segg.
» RoscoB, lÀfe of Leo X, cap. vm.
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570 CAPO SETTIMO. [ubbo
battuti; e al papa, che non bramava di meglio che esser dis-
tolto dalle vie della pace, mostrava che si poteva ancora ben
fare la guerra. Le fanterie spagnuole, secondo ch'egli avea
riferito, s'eran portate cosi bene, che, malgrado la rotta, ave-
vano acquistato reputazione. Poteva esser faccenda di assegnar
loro migliori capi, e si fé' balenare V idea di rimandare il Gran
Capitano in Italia; * venivan gli Svizzeri, sempre dietro al loro
sinistro cardinale,* e questa volta coli' animo di dir davvero.
Già da' ventisei dell'aprile erano a Verona; s'aspettava che ve-
nissero innanzi, e il pontefice, impensierito già meno dell'osti-
lità francese che della protettrice padronanza spagnuola, salutò
in que' maneggevoli montanari la salvazione sua. ^ La cautela
di Ferdinando fece poi che Consalvo si determinasse a non
uscire di Spagna. I conforti del Guicciardini v'ebber forse parte
pur essi : « a voi s'appartiene più, così gli scriveva il Fioren-
tino, nell'età che voi siete, fare officio di vecchio savio che di
giovane volonteroso »,4 consiglio da dottore di leggi: laonde
il Machiavelli ebbe occasione di segnalare poi l'ingratitudine
reale.
Ma gli Svizzeri procedettero davvero, spazzando dell'armi
francesi la Lombardia. Il papa, rinsanguato, ricacciava fuori
il mal'animo; richiamava l'ambasciatore da Firenze; non ce-
lava d'avere < in su lo stomaco » ^ il gonfaloniere; e il car-
dinale Sederini dovea partirsene mogio. In mezzo a tanto tram-
busto, tornando da' bagni, muore anche Pandolfo Petrucci ; e
questa morte del tiranno, odiatissimo ai popolani, ^ gitta il go-
> QnicciABDiNi, Legazione di Spagna^ pag. 55 e segg.; ibid.» pag. SS. — V. anche ii
suo Diacono se U Gran Capitano debbe accettare la impresa di Italia (Opp. inedite, toI i.
pag. 268).
* lì MoBONB, loc. cit., pag. 205, ecco a che modo dipinge T indole dello Schinner, nella
lettera « Octavkmo electo Laudensi pridie idna Jolii 1512 » : « Caussas dissensionis plorì-
maa adduxit; sed (vis dicam) potissima est cardinalis imprudentia et, si dicere fas est,
imbecillitas. Proh, dii immortales, quantum est impatiens, quantum rationis expera, quan-
tum credulus, quantum ad suscipiendam iracundiam facilìs ».
' V. Lettera di Piero Guicciardini a Francesco « addi 3 maggio 1512 ». — Cambi, Istorie
di Firenze, loc. cit., pag. 298: « per paura d'uno chardinale suizero, che fu fapto da papa
lulio chera discieso in Lombardia a preghiera del papa con 25 mila sviseri ».
* OuicciABDiMi, Discorso se il Or. Capitano debbe accettare Vimpresa d'Italia, loc. cit.
* Iacopo a Fr. QaicciABDiNi, Opp. ined., vi. pag. 66, « addi 12 giugno 1512 ».
* Cambi, loc. cit., pag. 295: «L'anno 1512, del mese di giugno mori a Siena Pandolfo
Petrucci, che mori andando al bagnio; el quale Pandolfo s'era fatto tiranno di Siena per
modo, che dava e vendeva a' sua ctptadini gl'ufici di fuori, de' podestà, e vichari, e quelli
ciptadini che li chonperavano vi mandavano altri a ghovemare quelli popoli ; pensa che
gouerno, et giustizia era quella; e le chasse delle glabelle si votavano a chasa sua chome
Signore, e chon danari di detto suo Chomune, fecie fare un suo figliuolo Chardinale, che
ispese si disse meglio di scudi 40 m. Fecielo papa lulio 2P perchè avea dua figliuoli, e' quali
l'uno feri l'altro et però quello che feri l'altro fu fatto chardinale. » ^ Veggasi in Appen-
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SECOMDo] N. M. A SIENA PER LA MORTE DEL PETRUCCL 571
verno di Firenze in nuovi pensieri. Dacché per quella occa-
sione potevano in Siena levarsi improvvisi torbidi, che avreb-
bero avuto appicco in nuove e recenti risse; e trovavasi un
cardinale Petrucci in corte di Roma ; ed eran dubbie le dispo-
sizioni di Borghese, flgliuol di Pandolfo, verso Firenze; che do-
veva ravvisare e raflforzare in Siena il proprio antemurale contro
le offese pontificie.
Vi spedirono però Niccolò Machiavelli, ch'era a Fucec-
chio, e attendeva tuttora a sistemar buone guardie nella for-
tezza nuova di Pisa. Cosi, mentre i volghi delle due città
riandavano, commentandole, tutte le nefandità commesse da
quell'astuto sfruttatore di fazioni irrequiete, mentre la parti-
gianeria mentiva il dolore esagerando le funebri pompe, toccò
al Segretario fiorentino d'esprimere formalmente alla Balìa se-
nese il rammarico de' propri Signori per la perdita di quel
tant'uomo. Non possiam dire se la natura di quell'ufficio va-
lesse allora ad accrescere contro Niccolò calunnie di malevoli;
certo è che in progresso di tempo agli antimachiavellici egli ebbe
a pagarne lo scotto. ^ Ad ogni modo, le dimostrazioni da lui
fatte in nome del governo tornarono assai accette alla fazione
che allora in Siena governava. Borghese iu particolare assicurò
il Segretario che i Fiorentini potevano far conto di valersi di
quello stato « non altrimenti che d'una delle loro città », pro-
testando che voleva in tutto seguitare la fortuna della loro
repubblica. Ciò fatto, Niccolò tornossene a Pisa, lasciando Siena
in una condizione assai pacifica, benché l'uccisione d'un bar-
gello, seguita ne' di precedenti, sotto gli occhi stessi di Borghese,
e per opera di tutti parenti e amici di lui, facesse temere qual-
dice il brano delle Istorie senesi, mss. del Tizi, ove son riepilogate le accuse e le dicerie
che corsero in Siena alla morte di Pandolfo. È da notare che il Tizi, cosi povero di studi
e di critica, riferendo come una meraviglia il caso che il Petrucci, tiranno odiatissimo,
fosse morto nel proprio letto e non di morte violenta, accenna ai due versi di Giovenale
{Sat., Lib. IV, XII, V. 112-13), riportati anche dal M. {Discorsi, lib. in, cap. 6) :
Ad generam Cereris sine csede et vulnero pauci
Descendunt reges, et siccà morte tyranni.
Laonde è a credere che qne* due versi, secondo che la corrente delle idee portava, doves-
sero essere, da frequentissima citaxione degli umanisti e de* retori, passati nell'uso comune
anche di chi non era uso alla lettura di Giovenale.
> II Pbcci, Memorie storicO'crUiche della città di Siena, 1. 1, pag. 281, scrive del Pe-
trucci. con evidente errore cronologico e critico: « A molti per leggerissime calunnie fu
tolta la roba, colla quale non solamente sollevò la povertà de* suoi, ma gli arricchì gran-
demente, e ad alcuni di quelli non fu opposto altro, se non che, fatti troppo ricchi, impe-
divano l'uguaglianza e le faccende tra cittadini. Con tali sentimenti si regolava a tenore
appunto delle massime del Machiavelli, perchè come suo intrinseco amico, con
esso continuamente carteggiava, e gli communicava quelle stesse maniere, che si leggono
espresse ne* di lui scritti ».
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572 CAPO SETTIMO. [libro
che sturbo: « e non la rendicando, scriveva il Machiavelli,
pare che si dia loro troppa autorità e, vendicandola, par cosa
da far troppa alterazione >. ^
Questa può considerarsi come l'ultima fra le commissioni
d'indole politica che compiè il Machiavelli, quando non vo-
gliasi riguardar per tale anche la parlata ch'ei fece a' Priori
e al Consiglio di Montepulciano per confermarli nella fedeltà
verso Firenze.^ Dappoi che ci accade osservare come precisa-
mente ora, che i momenti più difficili, che le lotte supreme si
preparano alla repubblica fiorentina, il Segretario della seconda
cancelleria, colui cui gì' incarichi più gravi, più pericolosi, più
segreti erano stati confidati per T innanzi; colui ch'era stato
mandato già al Valentino, all'imperatore, a papa Giulio, alla
corte francese, a lato a coloro che avevan titolo d'oratori,
come assistente, come consigliatore, come riscontro, ora non
si spende più che in commissioni militari, sia che fra i Dieci
v'abbia chi lo conosce troppo sinceramente devoto alla repub-
blica che si vuole abbattere; sia che il gonfaloniere vegga
preclusa la via d'adoperarlo senza contrarietà; sia che manchi
la persona a cui l'ingerenza continua, l'ispezione suprema, l'e-
secuzione fidata degli ordini relativi all'esercito si possa o si
voglia commettere. Le patenti che d'altronde gli si rilasciano
per l'esercizio di siffatti uffici sono d'un'ampiezza maravigliosa
in un governo democratico. Al Segretario, siccome a dipendente,
si delega quell'autorità di cui i Dieci non avrebbero mai in-
vestito né il Giacomini, né alcun altro cittadino loro eguale.
Ai condottieri delle genti d'arme, a tutti i preposti a' cavalli
leggieri dell'ordinanza, a tutti i connestabili di fanti ordinano
obbedire ad esso Niccolò in tutto quello che comanderà, « non
altrimenti faresti al magistrato nostro quando alla presenza vi
comandassi ». ^
» Arch. fior., Filze di Lett. ai X.a, n. 109 (ci. x, dist. 4, n. 113), e. 264: N. Mgli secret.
ai Dieci, « ex Poggibonzi a di 5 giugno ». I passi da noi citati di questa lettera trovano
la loro illustrazione nel brano delle Storie del Tizi da noi recato in Appendice.
* V. Lettera di Giovambatiiata de'?lobHiai X.<^, « die xxtii junii m.d.xii », nelle Opp.
del M., edis. ult., t. vi, pag. 198. Ragguaglia in fine: «Niccolò Machiavelli parti jermat-
tina di qui, e andò a Valiano per veder quel riparo: dipoi al Monte a San Savino per poter
far testa fra 11 e Foiano, come per altra si scrisse ».
* Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 159. Il Oaddi, De Seriptoribus, etc. (tom. ii, p. 8),
si mostrò tanto più ammirato di un mandato cosi esteso concesso al Segretario floreotino,
quanto glien*erano men chiare le cagioni storiche: «Ego legi, scrive, quondam patentem
(sic appellant epistolam huius generis) amplissimam, in qua Florent. magistratus, vel sum-
mus vel summo par (ne dicam maior) in bellicis negotiis se. Decemviralis imperat ducto-
ribus aliisque capitibus ut Machiavello tanquam ipsi magistratui obediant».
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SBCOKiK)] FUGA DEL CARDINALE DE' MEDWL 573
Ma s' intendeva egli dunque di far capitale davvero delle
armi coscritte dallo stato, nel pericolo che pareva avvicinarsi
a gran passi, o si mirava ad eludere ogni speranza preconcepila
sulla validità di quelle forze, concentrandole dove non occor-
revano, tenendole disaffezionate a' capitani, dipendenti da chi
non poteva dipartirsi coraggiosamente di un punto dalle istru-
zioni ricevute, da chi non aveva la morale autorità di commili-
tone sui condottieri, ne d'uomo di guerra provetto innanzi a
coloro che gli commettevano ciecamente loro disegni ad ese-
guire? È impossibile dire quel che la città volesse, dove i pochi
bastavano a sviare e disperdere la buona volontà de' molti. Pur-
troppo il fradicio della vita democratica era penetrato nel mi-
dollo, e il tarlo della disunione c*era; purtroppo il mal talento
de' singoli s'aggiungeva ad infermare quel che il sospetto e la
grettezza del popolo lasciava ancor fievole e senza capo.
Si seppe in breve che il cardinale de' Medici era fuggito
di mano ai Francesi, giunto a Modena, atteso a Bologna. I
repubblicani schietti che segnavano sui prioristi di famiglia il
ricordo degli avvenimenti giornalieri; i « zazzeroni», per dirla
con frasi di quei tempi, « i zazzeroni che scombiccheravano su
pe'loro scartafacci ciò che dava la piazza», ^ lo notarono con
terrore. — « Iddio aiuti la povera Italia! », ne scrisse il Cambi. ^
Ma i santi fortunati di casa Medici aduggiavano già l'insuper-
bito patrono della città d'Arno. Venne il suo di solenne, e la
Signoria non convitò a desinare festivo gli ambasciatori, come
era consueta; non andò alla chiesa di lui a fare l'offerta so-
lita co' capitani di parte guelfa; non v'andò il gonfaloniere di
giustizia, avvisato che avrebber cerco di tagliarlo a pezzi. Egli
non era un Cesare, e sperava potersi riparare dagl'idi di
marzo ; non era temuto, ^ e si faceva paura da sé stesso, per
guisa che chi l'offendeva pigliava maggiore baldanza. Sciar-
rati via i Francesi d' Italia, più col terrore de' Svizzeri che
con altro, papa Giulio per far dispetto al Sederini e al suo
governo mandò un breve all'arcivescovo Pazzi, ordinandogli
far processioni d'allegrezza per quella cacciata. L'insulto amaro,
fatto coll'ordigno della fede e del culto, fu con metafisica in-
differenza sopportato nella città ^ che poteva generare e un
* Pitti, Apologia de* Cappucci, loc. cit., pag. 319.
* Cambi, Istoria fior., loc. cit., pag. 2OT.
' Cf. Machia VBLLi, Il Principe^ pag. xvii.
* Cambi, loc. cit., pag. 29S: « el papa mandò an brieve al Arciuescouo, che faciessì
procissioni, et allegrezza di tale chacciata de' Franzexi d'Italia, di che, faccendolo noto
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574 CAPO SETTIMO. [libro
Savonarola e un Machiavelli, ma non un genio che li incar-
nasse tutti e due ad un tempo, non un fra Paolo Sarpi. Visto
il pontefice che più egli spingeva, più trovava cedevolezza;
mandò insolentemente Lorenzo Pucci, suo cardinal datario, cit-
tadino fiorentino, a Firenze, e fece scrivere dall'oratore Strozzi,
ch'egli intendeva che il Gonfaloniere perpetuo rinunziasse
al suo ufficio, che i fuorusciti fossero riammessi nella città,
che questa entrasse a parte dell'alleanza ch'egli aveva stretta
coir imperatore, colla Spagna, coli' Inghilterra, cogli Svizzeri,
co' Veneziani a danni di Francia; egli, il pontefice del concilio
lateranense, cui tutti que* potenti avevano aderito.
Ben è vero che il cardinal datario npn ebbe coraggio di
spingersi sin dentro alla sua città, e ristette lontano un miglio,
a San Gaggio. Ben è vero che Pier Soderiili trovò nel suo cuore
eloquenza bastevole a rintuzzare la cauta alterìgia del prelato
e l'impeto sconfinato del pontefice; ma le parole non eran più
nulla; i fatti vili si moltiplicavano, s'intrecciavano; le simu-
lazioni bieche coprivan tutto ; ma le intimazioni fatte dal papa
dovevano giungere a Firenze da un altro lato.
I nobili non medicei, ma stizziti contro la repubblica de-
mocratica, e i vecchi palleschi si strinsero in combriccole, con-
giurando alla Paneretta de' Vettori, * mentre i diplomatici scal-
triti si eran dati la posta ad un congresso in Mantova. Quivi
si recava il Gurgense per l' imperatore, don Ramondo di Gar-
dena pel re di Spagna, gli oratori del papa, de' Veneziani, degli
Svizzeri ; e v'andò pe' Fiorentini Giovan Vittorio Soderini, il
quale, con Commissione di propiziare l'Imperatore, erasi già con-
dotto sino a Trento, per trovarvi il Gurgense, col quale tornò.
Quest'andata sua fu fatale. ^
a la nostra Signoria, se ne fecie praticha, efib chonsigliato lasciassino ubidire al Ardue-
scono, ma nessuno secholare non v'andò, né nessuna chonpagnia né di fanciulli, né duo-
mini, né magistrati, nessonossi le chanpane di palazzo^ né mostrò la Ciptit segnio nessuno
d'alegrezza, ma più tosto stana chon dispiacere et sospetione di mutamento di stato ».
1 Pitti, Apologia de' Cappucci, loc. cit., pag. 311.
■ Nel Cod. Vat. 5283 (pag. cxxvii), tra gli appunti raccolti in seguito dal Diario del
Bonaccorsi, da persona non certo sospetta di favorir la democratia, si legge la seguente
nota : « La ritornata de* Medici in Firenze fu stabilita in una dieta fu fatta prima a Man>
tova, doue si trovò il viceré di Napoli con monsignore di Oursia luogotenente dell'Impe-
ratore in Italia. Per la Signoria di Firenze vi si trovò ambasciadore M. Oiovan Vettorio
Soderìni, il quale era stato eletto ambasciadore al detto monsignore di Gursia et allo Im>
peratore, venendo lui in Italia. Et per la nostra città sarebbe stato meglio che vi fusse
stato ambasciadore più presto ogni altro che il detto M. Giovan Vettorio per rispetto del
Gonfalonieri suo fratello, che le lettere d'ogni altro credo sarebbono state più credute, et
accordatosi senza lasciar venire sul nostro l'esercito, et sarebbesi mantenuta la libertà
cioè il gouerno libero. Il detto M. Giovan Vettorio Sederini, dottore, ritornò in Firense poi
seguita la mutazione et fu di poi confinato », etc.
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MCONDO] CONGRESSO DI MANTOVA, 575
Nella Dieta di Mantova si doveva inventare un sovrano
per la Lombardia che, mentre riuscisse un pruno agli occhi
della Francia, fosse poi un nudo fantasma per gli altri poten-
tati, che ve lo collocavano; tanto da lasciare le vie aperte alle
cupidigie degli aspiranti, da non pregiudicare l'avvenire a nes-
suno, ma da lasciarlo maturare all'ombra d'un presente queto.
Fu facile l'accordo sul figlio di quel duca Ludovico il quale era
morto prigione a Loches, Massimiliano Sforza, ch'aveva vissuto
parecchi anni in Germania alla corte dell'Imperatore, ch'era cu-
gino dell' Imperatrice, e che avrebbe lasciato al papa disporre
dei benefici ecclesiastici ; a Svizzeri e Spagnuoli sperar doni e
provvisioni, sognare aggrandimenti eventuali alla repubblica di
Venezia.
Questa parte assettata, si pensò a Firenze, che bisognava ad
ogni modo sottrarre all'amicizia francese. Andarle addosso con
seimila fanti e mille cavalli, sotto al comando del Gardena,
cacciar via i Sederini, rimetterle in seno i Medici, pare che
fosse segretamente deliberato fin da principio ; ma tanto segre-
tamente e con tanto superfluo di simulazione,^ che quasi si di-
rebbe i prepotenti dimenticassero aver che fare con uno stato
debole; a meno che non si ammetta che per diffidenza reciproca
avesser poca intenzione di dare effetto a quel comune divisa-
mente. Il Gurgense del resto si tratteneva lungamente in di-
scorsi col viceré Gardena, evitando di ricevere l'ambasciatore
fiorentino. Poi gli dava a intendere che l'Imperatore non era
peranco entrato nella lega, che quando v'entrasse, entrerebbe
in modo che i Fiorentini vi avessero difesa. ^ L' oratore spa-
gnuolo a Roma intanto assicurava confidenzialmente che i Fio-
rentini non dovevano temer nulla delle forze di re Ferdinando:
da poi che il viceré sapeva benissimo come papa Giulio avrebbe
voluto cacciare il suo re d' Italia, non altrimenti che il re di
Francia; che se lo stato di Firenze cadeva in mano al cardinale
Medici, fatto legato di Toscana, questi non sarebbe se non cosa
1 Machiavelli, Lettera a %n%a Signora : « Concluso che fu nella dieta di Mantova di
rimettere i Medici in Firenze, e partito il viceré per tornarsene a Modana, si dubitò in Fi-
rense assai che il campo spagnuolo non venisse in Toscana ; nondimanco non ce ne essendo
altra certezza, per auere governate nella dieta le cose segretamente, e non potendo cre-
dere molti che il papa volesse che Tesercito spagnuolo turbasse quella provincia, inten-
dendosi massime per lettere di Roma non essere intra gli spagnuoli e il papa una grande
confidenza, stemo con Tanimo sospesi, senza fare altra preparazione, insino a tanto che
da Bologna venne la certezza del tutto ». — Cf. Vettori, Storia d'Italia, loc. cit., pa-
gine 289-90. — QuicciAROiNi, Legazione di Spagna, Lett. da Logrogno, «^-25 agosto 1512»,
loc. cit., pag. 83.
• V. in App. Lettera di Gio. Vittorio Soderini ai Dieci, « a' di 29 luglio 1512 ».
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576 CAPO SETTIMO. Ilibw
del pontefice imprudentemente aggrandito. E da Logrogno scri-
veva contemporaneamente Francesco Guicciardini che il re de-
siderava stringersi con Firenze; che non capiva con che fine
papa Giulio desse tanto favore agli Svizzeri, che gli doveva
bastare aver ricuperato Bologna; né poteva piacere ad alcun
potentato d' Italia ch*ei pigliasse Ferrara e « facesse del duca
d'Urbino un altro Valentino ».^
Dall'altra parte il pontefice dava ad intendere all'oratore
Strozzi e al cardinal Soderini ch'ei gli Spagnuoli abborriva
non meno dei Francesi; che vedeva ben chiaro come il Me-
dici, rimesso in Firenze colle armi di Spagna, sarebbe divenuto
strumento di queste; né avrebbe però fatto mai la pazzia d'aiu-
tarvelo. La congiura di Cambrai non fu per certo ordita con
slealtà maggiore.
L'unico che dava sentore del pericolo era l'imperatore;
quegli cui i Fiorentini eran disposti a creder meno, perchè pareva
a buon diritto il più interessato ad esagerarne il colorito, a fine
di rivender loro per danaro la solita sicurtà illusoria. * Andrea
de Burgos, uno de' segretari imperiali, diceva in Mantova a
Giovan Vittorio : « voi avete il fuoco a casa in ogni modo. Voi
non volete sovvenire l'imperatore, e l'imperatore lascerà ire
le cose a beneficio di natura : voi volete che vadino male, ma
noi le lasceremo andare male e peggio, e sarete cagione col
non ci aiutare, si consentirà loro ciò che vorranno, e ve ne
pentirete ». ^ — Questo « beneficio di natura » veniva così per
ricatto minacciato alla città, la quale voleva pur sempre « goder
quello del tempo »; ^ e si sarebbe acconciata piuttosto a presentar
di qualche donativo il vescovo di Gurk, come raccomandava
anche Giovan Vittorio Soderini ; ^ ma non intendeva né di met-
tersi bruscamente contro all'antica alleata, né soprattutto di
ricomperar troppo cara la libertà a prezzo d'oro. Pure gli Spa-
1 Fr. Ouicciardini, Legazione di Spagna, lett. cit.
* Il Salviati cosi ne parlava nella /Va/ùra, con molto senuo : « E* modi d'assicarani
sarebbe convenire con questi principi; et potendo farlo con tutti, farlo con patti conue-
nienti. Con lo Imperatore solo, non lo farebbe perchò non ui può offendere se non con le
genti del papa e Catholico, delle quali ci va tempo a potersene servire. E però a lui solo
non darebbe danari, nò al papa solo ancora ». — Vedi in Àpp. le Consulte » IVatiehe,
« die 30 julii 1512 », e segg.
* V. in Appendice: Lettera di Gio Vitt. Soderini, « data Mantne die septima Au-
gusti 1513».
^ V. in Appendice, tra le Consulte e Praticfie, quella « die 15 julii 1512 ».
* V. Lettera di Gio. Vitt. Soderini, « a* di 29 di luglio », in Appendice: « hauendo
veduto per experientia mal volentieri li ultramontani potersi conseruare in amicitia sanza
tali mezzi ».
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secondo] gli SPAOyUOLI SULL'APENNINO. òTJ
gnuoli si spiegavano abbastanza chiaramente. Il conte di Cariate
diceva all'oratore fiorentino d'essersi trovato quando anche il
cardinale di Rouen mercantava di rimettere i Medici in Firenze. ^
Il Burgos sosteneva conferir meglio all'utilità dell'Imperatore
che questi tornassero, i quali avrebbero pagato non una volta
sola, come la città negava, ma tante che sarebbe parso per-
petua ricognizione dall'Impero del dominio loro. Ma siffatti
avvisi la mala fede dei nobili, la gretteria popolare chiamava
spaventacchi ! — e i medicei pagarono.*
Firenze tuttavia si sentiva torcere in quelle pressure, ed
aveva eletto ambasciatore al viceré Cardona, Piero Guicciardini;
ma lo scaltro e vecchio patrizio potè ottenere escusazione dal-
l'incarico. Gli Ottanta scelsero allora Baldassarre Carducci,
amatore della libertà, fermo per indole e schiettissimo, che
andò fra quei subdoli come un pesce fuor d'acqua. Andò che
la Dieta era finita e che gli Spagnuoli venivano già alla volta
di Firenze. ^
Qualche provvedimento per tener loro il passo su pe' monti
del Mugello erasi preso per ventura, e si doveva in gran parte
alle sollecitudini di Niccolò Machiavelli, il quale molto oppor-
tunamente aveva pensato che se lo stato fiorentino dovesse in
quella congiuntura andar soggetto a un' invasione, Y invasione
sarebbe venuta certo da quella banda; dacché Ramazzotto, con-
dottiero a' soldi de' Veneziani, fra quelle montagne aveva amici
e congiunti ; ^ dacché da quella banda le condizioni del suolo
davano maggiori occasioni a scaramucce che a giornate cam-
pali ; né però i Fiorentini v'avrebbero potuto distendere e pro-
vare il battaglione de' loro fanti, l'aspettativa e la rinomanza
del quale giganteggiava, secondo fantasie. Quando il Machia-
velli seppe ch'eran comparsi i primi fanti spagnuoli presso il
Sasso, a Loiano, scrisse immediatamente per strappare ener-
» V. in Appendice, Lettera di Gio. Vittorio Sederini ai XM, « Mantue die 14 An-
gusti 1512 ».
* Pitti, Storia, lib. n, Ice. cit., pag. 99: « mandarono bene i congiurati diecimila du-
cati a Giuliano de* Medici a Mantova; con li quali appuntò col vicerò che movesse Teser-
cito da Modena verso Bologna, per rimetterlo in Flrenxe ». — In., Apologia de' Cappucci,
pag. 30S-309.
' V. Lettera di Iacopo a Francesco Guicciardini, « a* di 3 settembre 1512 », in Odic-
ciARDiNi, loc. cit., voi. VI, pag. 96 e segg.
* Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 88. Lettera di Antonio Conestabile m.co ^.Wo ^y. M. et
in assentia biagio (Bonaccorsi) « In Firenzuola, die iiij julii m. o. xii » : « Ho ricevuto la
lettera vria per la quale intendo che noi desideraresti di sapere tutti Rli amici e parenti
di ramazotto di queste montagne; della qualcosa amme ò impossibile a sapere il chuor
degli uomini », ecc.
ToMMASiKi - Machiavelli. 37
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97S CAPO SETTIMO.
gìche determinazioni ai Dieci. Ma questi, tepidamente
dogli trecento fiorini, gì' incnlcarano di non li spendere se pio-
prìo non vedeva certo che quelle genti venivano per assalire:
e quella era cosa da vedersi presto, giacché a Loiano gli Spa-
gnuoli non potevano star fermi e conveniva inoltrassero o tor-
nassero indietro: « Siamo a tre ore di notte e non vogliamo
pigliare partito da noi di levare altre bandiere, se non s'in-
tende altro ; e abbi rocchio che queste genti si mettino in luogy>
che non si tirino lo umore addosso o che certi fussino rooi,
che sarebbe cosa di troppo gran momento ! » ^ — Quando le
lettere di Niccolò furono lette negli Ottanta, ^ parecchi del
Consiglio applaudirono a* Dieci per quel che avevano latto; al-
cuni (e fu il Carducci tra questi) raccomandarono vi si
dasse per commissario « un uomo di conto »; ma Y\
che sapeva davvero che cosa significasse guerra e invasione,
l'uomo che conosceva la natura del suolo e quella de* fanti
che aveva già sventato il tentativo dell'Alviano, presso a San
Vincenzo, il Giacomini, si levò furioso a quegli avvisi del Ma-
chiavelli. Parlò in pubblico, parlò in privato : si offerse, benché
malato e cieco, purché gli dessero un pò* di marraiuoli, un
tremila fanti e centocinquanta cavalli, d'andar lui a costruire
allo Stale di Mugello, sull'alto Apennino della Futa, un forte,
che gli Spagnuoli' non oltrepasserebbero, o li farebbe morir di
fame, impedendo loro ogni approvvigionamento dalla parte di
Bologna. Ma, ebbe a scrivere uno de' biografi del Giacomini,
nei Dieci e nella Pratica trovò « li animi ostinati e le orec-
chie sorde ». ' — « Tanto a fortuna ehi ben fa, dispiace! »
notava il Machiavelli.
Si pensò invece di fare una testa di duemila fanti a Fi-
renzuola, castello sui confini tra la Toscana e il Bolognese,
opinando che gli Spagnuoli si sarebbero occupati ad espugnarlo,
per non lasciarsi dietro* le spalle quel corpo d'esercito e non
capitare ad essere serrati in mezzo. Il Tosinghi, il Zati, il Cambi,
commissari, attesero col Machiavelli a questi preparativi ; ^ ma
> Lett. de' X.«i al M., « die xxvnj julii, ora iij notte 1512 », in M., Opp., ed. ult., t. vi,
pa«. 201 -2.
' V. in Appendice, frale Consulte e Pratìehe, quella « die yeneris de mane 30 jalii 1512».
* Pitti, Vita d'Antonio Giacomini, pag. 257. — Il Nardi, Vita d'Ant. Glaeomini, non
mensiona questo episodio glorioso del sno eroe.
« Blbl. Naz., doc. M., basta v, n. 92. Fr. Zati sp. viro N. M. allo stato, « a* dì 30 lu-
glio 1512 ». — Id., eod., ibid , n. 93 — Fr. Z<Ui N. M. Floréntiolaet «« castro Searperiae,
« die XXXI Julii », n. 94. — Stefano Cambi dna N. M. in Vaglie o alla Searperiat « ex
Firenzuola, a* di 28, 29, 30 luglio » (loc. cit., n. 95, 96, 97). — La patente a favore del M.,
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SBOONDo] » .V. MACHIAVELLI E IL TOSINOHL 579
« eran panni caldi >, come ebbe a chiamarli scoratamente il
Tosinghi stesso, quando si videro gli Spagnuoli non curarsi per
nulla di Firenzuola, scender giù per TApennino sino a Bar-
berino, benché commissari, soldati e villani del paese serras-
sero loro dietro i passi in tutto il Mugello.
« Se non si fa una testa grossa a Prato, aggiungeva il
Tosinghi, veggo le cose nostre rovinare tutte >. ^ Ma se si avesse
o no a fare testa quivi fu oggetto di particolare consulta, cui
vennero chiamati i condottieri delle genti d'arme. Non sembra
che il Machiavelli fosse dell'opinione del Tosinghi, come non
lo furono i condottieri. Il Segretario avrebbe voluto impedire
con tutte le forze che gli Spagnuoli entrassero nel dominio;
entrati, gli premeva salvare il cuore dello stato, proteggerne
la capitale, mantenere nel popolo fiducia ch'ei poteva reggersi
ed aiutarsi ancora. ^ E il Soderini, convinto che questa era
l'ultima via di salvezza che rimaneva, fece venire a Firenze
novemila fanti del battaglione ; diede a ciascuno, di essi un fio-
rino; ne dispose ottomila tra porta al Prato e porta a Faenza;^
gli altri per le terre prossime; vi raccolse ancora duecento
uomini d'arme e trecento cavalleggieri, e così credette essersi-
assicurato da ogni sorpresa di fazioni. ^
Ma qui si manifestò apertamente lo screzio fra lui e i
Dieci; 5 alcuni dei quali in buona fede, altri in mala fede so-
« ex palatio nro, die 28 julii m. d. x.ii », à sottoscritta, come é naturale, secondo le pratiche
della cancelleria, dal medesimo « N. Maclauellus ».
^ Bibl. Naz., doc. M., busta v, n. 105. PetrusfrancUcuè de Tosinghia Commiss, genlis
y. M. a Firenzuola o dove fussi, « ex barberino Macelli die xx^ augusti m. d. xii ».
* Nella Lettera ad tuta Signora, scrìve: « Essendosi intanto a Firenze condotto buona
parte di gente, e ragunati i condottieri delle genti d*arme e consigliatisi con loro alla di-
fesa di questo assalto, consigliarono non essere da far testa a Prato, ma a Firenze, perchè
non giudicavano potere, rinchiudendosi io quel castello, resistere al viceré, del quale non
sapendo ancora le forze certe, potevano credere che venendo tanto animosamente in questa
provincia, le fossero tali che a quelle il loro esercito non potesse resistere ». Se nel pre-
cedente passaggio il Machiavelli riferisce da storico Taccennata deliberazione, limitan-
dosi a dir che « piacque, e in specie al gonfaloniere », ne* Discorsi (ììh. ii, cap. 30) esprime
nettamente il parer suo : « il cuore e le parti vitali di un corpo si hanno a tenere armate,
e non Testremità d'esso; perchè senza quelle si vive, ed offeso quello si muore; e questi
stati tengono il cuore disarmato e le mani e li piedi armati. Quello che abbia fatto questo
disordine a Firenze, si è veduto e vedesi ogni dì : che come uno esercito passa i confluì
e che gli entrano propinquo al cuore, non ritraeva più alcuno rimedio ».
' Cambi, Istorie; il Nardi, lib. v: « e cosi s'accamparono le genti d'arme dentro e fuora
delle porte al prato, a Faenza e san Gallo ». — Il Bonaccobsi, Diario, pag. 181: «I con-
dottieri delle genti d'arme... si accamporono alla porta a san Francesco poco di fuori;
benché di poi mutassino alloggiamento, et andassino alla porta a san Gallo ».
^ Lett. di Iacopo a Fr. Guicciardini, loc. cit. — Cambi, Istorie, loc. cit., pag. 305, \\
quale pone il numero de' fanti in sedici mila. — Machiavielli, Lettera a una Signora. —
Pitti, Apologia de' Cappucci, pag. 310.
* Iacopo Guicciabdini, loc. cit. : « e perchè il Gonfaloniere voleva governare le cose
all'usato e come pareva a lui, molti uomini da bene ci erono malcontenti ; ma non pote-
vono fare altro, massime vedendo l'universale averli scoperta gran fede ». Cambi, loc. cit.
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580 CAPO SETTIMO, ' [libso
stenevano che bisognava fortificar Prato per resister quivi va-
lidamente agli Spagnuoli ; per aver agio di prendere poi nella
capitale quei partiti che il successo avrebbe consigliato. Di
questo non volle sentir nulla il gonfaloniere, più convinto del
parere del Segretario, e tenace del proprio; al quale spogliare
la città di forte difesa non garbava punto. Ora, siccome un
fondo di verità stava in tutte e due le opinioni, e una gran
parte di pericolo si nascondeva in tutti e due i propositi, ne segui
che e gonfaloniere e Dieci diffidarono Tuno dell'altro e gli
apprestamenti che fecero, riuscirono sospettosi, dispettosi, in-
sufficienti.
Intanto il Carducci, arrivato nel campo spagnuolo, intro-
dotto da Antonio De Leva al viceré, ne scorge le intenzioni
ostili, dissimulate con fredda cortesia di modi che non provo-
cava a disperazione, ma non lasciava nulla a sperare. Il dia-
logo poi che l'oratore fiorentino ebbe col De Leva, maestro
del campo, ritratto da lui in una delle preziose sue lettere, ^
è d'una bellezza indicibile e rileva squisitamente la natura e
la condizione degli avversari. Condottolo all'alloggiamento, in-
vitatolo a cena, il De Leva ridendo prova insinuarglisi : « non
foste voi già ad una scuola col cardinale dei Medici ?» e scher-
mitosi il Carducci dalla proposta di visitarlo, l'altro gli domanda
quanti uomini d'arme faceva la città : « risposi più che trenta-
mila, scrive il Carducci. «Domandommi: il battaglione che fa?
(l'ordinanza cioè del Machiavelli). Dissi : aspetta le signorie vostre
per far buona guerra, quando vogliano guerra. Inoltre mi do-
mandò : come è oggi popolata Pisa ? dissi che di Pisani da guerra
c'era pochi, ma ben era guardata da gente d'arme e fanterie.
Domandommi se da' Fiorentini v'era stata fatta fortezza: dissi di
sì e fortissima ». Dopo aver tanto risposto, il Carducci cre-
dette alla sua volta interrogar lo Spagnuolo circa le intenzioni
che avevano: « domani, dissemi, tutto l'esercito e l'artiglierie
saranno a Barberino ».^
1 Queste furono pubblicate da Cbsabb Guasti in quell'egregia sua raccolta di docu-
menti relativi al Sacco di Prato (voi. ii), edita dal Romagnoli fra le sue Curiosità lette'
rarie inedile o rare. Noi ne rechiamo alcune in Appendice, per dilucidazione del nostro rac-
conto, avendole trascritte neirArchivio fiorentino quando non conoscevamo l' intenzione di
darle a luce nell'ottimo Soprintendente; tanto più che, a servizio degli studi storici, e ad
onore dell'umanità, sarebbe gran bene che le lettere del Carducci non istessero relegate
fra le rarità bibliografiche. Come può vedersi in Appendice^ la copia nostra, secondo appa-
risce dalle poche varianti, ebbe ad esser tratta da altro ms. che da quello di cui si valse
il comm. Guasti.
• Cf. Lett. Balthassab Carduccius orator fior, apitd III. Vicereffem NeapoUt. Hio-
gnificis dominis Decem. Lib. et Bai. «Apiani, die 23 aug. 15fò», in Appendice.
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«BCONDO] IL MACHIA VELLI NEL MUGELLO. 581
Infatti il giorno dopo il Tosinghi da Scarperia avvisa
correr voce dell'ingresso di duecento fanti nemici: lamenta il
loco debole e sfornito, gli uomini inviliti. Ansiosa la Signoria
chiama il Machiavelli in fretta a sé, per esser bene istrutta
di quel che accade. Questi riferisce che l'avanguardia spa-
gnuola col Legato e Giuliano Medici sono a Barberino e in
que* pressi; che anno preso il Panzane, villa di Tommaso To-
singhi, ucciso quarantacinque uomini, portate vie le donne,
messo il terrore fra' contadini. Le artiglierie - due bocche sole -
e il retroguardo sono ancora allo Stale; i villani tuttavia sa-
rebbero buoni marzoccheschi in Mugello : con ordine della Si-
gnoria e un capo che gli animi e' taglìerebbero a pezzi i nemici.^
Ma il Carducci avvisa da Appiano delle seduzioni, delle pro-
messe che mettono in giuoco i Medici: avvisa che Giuliano
accarezza tutti i contadini in cui s'abbatte: — « e tenete per dio
buona cura in Prato, raccomanda, perchè qui si parla molto
largo, e dicono quegli uomini essere bene volti al favore del
cardinale !» * — I Dieci pertanto, a' 25 di agosto, vi mandano
archibusi, falconetti, legnami, fascine; «lance no, che ne àn
poche e sanno che gli uomini dell'ordinanza ne sono ben for-
niti » ; ordinano rinettar fossi, rassettare mura, rivellini, ponti
levatoi — « noi stimiamo tanto il salvare cotesta terra quanto
questa propria », scrivevano. — Ma mentre alcuni congiurati
palleschi mandavano a vuoto le provvisioni di essi,^ la gara
fra i pareri de' Dieci e il Sederini si raccende; e il giorno dopo
il Machiavelli scrive al potestà di Prato e ad Andrea Tedaldi,
commissario: « a difender Prato secondo il parere de' con-
dottieri bastano due mila fanti »; trasmette l'ordine che ne
rimangan tremila ; gli altri che capitassero si mandino tutti a
Firenze ; si descriva e si ordini chi debba pigliar l'armi ; gli altri
non ne piglino, e guardino la casa loro >. ^
Frattanto, la sera del 25 d'agosto viene alla Signoria un
1 Guasti, S€teco Ai Prato, documenti, pag., 71-75 passim.
s Id., ibid., doc, n 3S. ,
> Pitti, Apologia de' Cappucci, pag. 310, dice del Guicciardini : « E' tassa il magi-
strato de* Dieci; una parte de' quali erano corrotti, et ei li chiama imperiti; gli altri, che
fecero il debito, furono beffati dalla violenza di alcuni giovani della fazione, i quali, tra-
versato la via a' mulattieri che vi conducevano i bariglioni di polvere e di palle, sotto co-
lore di essere urtati da quelle some nelle ginocchia, messo mano alle spade e spaventato
i vetturali, tagliarono, come per collera, le funi che sostenevano i bariglioni ; e caduti per
le fosse, furono lasciati stare da* conduttori. Cosi restò Prato senza quella provvisione a
discrezione di spagnuoli, e di qualche ministro pubblico, che li servi di coppa e di coltello ».
* Questa, e un'altra lettera de* Dieci a Lamberto Cambi, connestabile in Firenzuola.
fra 1 Documenti pubblicati dal Guasti (pag. 77 e 7S), sono di mano del Machiavelli.
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582 CAPO SETTIMO. ^ [libio
ambasciatore del viceré, domandando duramente udienza alle
tre ore di notte. Espone come il Cardona non vuol altro che
liberar Firenze dalla tirannide di chi la vuol aggiogata a' Fran-
cesi. Il papa stesso in un breve, pochi giorni dopo, professa
similmente di sforzarla a quel modo per farla libertor; basta
loro che il gonfaloniere deponga l'ufficio.
Piero Sederini trova in quell'ora una dignitosa risposta
allo straniero : « non era venuto a quel segno né can inganno
né con forza, ma vi era stato messo dal popolo; e però se
tutti i re del mondo accozzati insieme gli comandassero lo
deponesse, mai lo deporrebbe. Ma se questo popolo volesse che
lui se ne partisse, lo farebbe cosi volentieri, come volentieri
lo prese, quando senza sua ambizione gli fu concesso».^
Tale la riferisce il Machiavelli, quando l'ostentare an-
cora qualcosa di grande e di buono in Pier Sederini non era
punto per tornargli a Conto. Ma veramente Niccolò ne' momenti
estremi della libertà e della patria fu così fortemente eccitato
che, lusingandosi dalle parole e dall'atteggiamento del gonfa-
loniere, s'illuse che questi avrebbe saputo appigliarsi a riso-
luzioni degne d'un uomo antico e morir sul suo seggio civile,
sulla sedia curule, come un eroe. Forse, pensava lui, la vio-
lenza trascorrerà per le vie di Firenze; ma se l'insidie vili
non coglieranno nel sonno il capo dello stato, egli saprà mo-
strarsi a' marrani di Spagna venerando e più che umano, come
suo fratello, il vescovo di Volterra, s'era già mostrato alle turbe;
come Marco Papirio e il senato di Roma simillimos dis,^ ai
Galli saccheggiatori; e la libertà sopravviverebbe.
Radunò frattanto messer Piero immediatamente il Consi-
glio grande e parlò al popolo, notificando la proposta fatta dal
viceré, e dichiarando ch'era prontissimo ad andarsene a casa,
quando si giudicasse che dalle sue dimissioni dovesse nascere
la pace di Firenze « perchè non avendo egli mai pensato se
non a beneficare la città, gli dorrebbe assai che per suo amore
la patisse >. ^ — Tutti i gonfaloni commossi allora dichiara-
1 Machiavelli, Lettera a una Signora.
• Livio, v, -11.
* Machiavklli, loc. cit. — Iacopo Guicciardini, nella lett citata dice semplicemonte :
« fece in Consiglio più dicerie, parlando dei Medici quello che se ne poteva parlare ». —
Da questo inciso Fb. Ouicciardiki per amplificazione trasse fuori la solenne parlata che
mette in bocca al Sederini nella Storia d'Italia^ lib. xi. Ma mentre Iacopo nella soa let-
tera aggiunge : « che ci volevano lui e non i Medici ; con tante buone e affezionate parole
verso di uno che tanto brutte e disoneste disse inverso de* Medici, quanto era possibile a
dirlo», lo storico, non si sa su quale autorità fondandosi, scrive: « non era dubbio quello.
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fDo] OSTENTATA RISOLUTEZZA DEL SODERINI. 583
0 unanimi « di voler Ini, lui e non i Medici ! » tutti si
irono « di iuettere insino alla vita per la difesa sua ! » —
ita unione, tanto fervore della città mise nel gonfaloniere
elle persone di palazzo una fiducia si grande che credet-
) d'avere poco meno che la vittoria in mano. Il voto del
siglio avea schiacciato la fazione dei palleschi; e il Sode-
che, sino a quel punto non aveva mai voluto cedere alle
nuazioni ardite del Machiavelli, che non aveva mai voluto
:are « i figli di Bruto », la sera stessa fece arrestare in pa-
0 parecchi cittadini sospetti d'essere partigiani dei Medici.
Niccolò scrisse che i ritenuti furono « molti » ; ^ sembra
di poco eccedessero il numero di venticinque; ad ogni
lo erano un bell'ostaggio per tenere i faziosi in rispetto,
^giungevano le condizioni del campo spagnuolo ad accre*
:e la baldanza del Sederini. I Medici, per dir vero, v'in-
^^^3ntivano, come chi è sicuro del fatto suo: ma gli Spagnuoli
che avesse a deliberare il Consiglio, per la inclinazione che aveva quasi tutto il popolo di
mantenere il governo popolare; però con maraviglioso consenso fu deliberato che si con^
aenHtse aUa ritornata dei Medici come privati, ma che si diniegasse di muovere il gon*
faloniere del magistrato; e che quando gì* inimici stessero pertinaci in questa sentenza, che
con la facnltà e con la vita si attendesse a difendere la libertà e la patria comune ». —
Né il BoKAOCORSi nel Diario^ né il Nardi, né il PrrTi, neìV Istoria, fanno mensione del di-
scorso di Pier Soderini. Il Cambi, Istorie, loc. cit., pag 306 e segg., scrive ohe: «elQhour
falonjere parlò », ma riferisce che i gonfaloni ali* unanimità e con ardore votarono « che
per niente il Ghonfaloniere si partissi, né Medici tornassino, nò danari se gli desaino ». -»
L*ÀMMiBATO, Storie fiorentine^ lib. xxviii, seguitando il (Guicciardini, conia rettoricamente
la parlata e la deliberazione del ConsigNo « che dal permettere in fuori che i Medici ritor-
nassero in Pireose privati, ninna cosa s'innovasse e che, di ciò non contentandosi, biso-
gnando, s'assaltasse il campo ».
1 Maccbiavblli, Lettera a una Signora. Ci sembra indispensabile recare un esemplo
delle varianti che si anno fra il ms. e l'edisione, in questo solo passo del documento:
Edis.
« fo costretta la Signorìa a rilassare molti
cittadini i quali, sendo giudicati sospetti e
amici a* Medici, erano stati a buona guardia
più giorni in palazzo ritenuti, i quali, insieme
con molti altrì cittadini de* più nobili di que-
sta città che desideravano di ricevere la re-
putazione loro, presero tanto, che U martedì
vennero armati a palazzo ».
Ms. G. D. R. :
« f^ costretta la Signorìa a relsasare molti
cittadini i quali^ sendo giudicati sospetti et
amici a Medici erano suti ad buona guardia,
suti più giorni in palazzo ritenuti, i qu«li in-
sieme con molti altri cittadini de* più nobili
di questa città, che desideravono rihavere la
reputatone loro presono animo tanto, che
il martedì mattina vennono armati a pa-
lazzo », ecc.
Veggasi pel resto in Appendice VAnaUti dei Regesti del Riccia e. xix. — Quanto a* pri-
gioni, Iacopo Guìcciabdini nella lettera cit. scrìve che furono : « più cittadini, i nomi dei
quali saranno in una nota in questa ». -» Ma quella nota non fu probabilmente rinvenuta
dall'editore, il quale si contentò di annotare : « i nomi dei sostenuti leggonsi in tutti gli
storici ». • Non ne fa motto lo storico Fb. Guicciardimi. — Il Vbttobi (loc. cit., pag. 293) dice
unicamente che furono « circa venticinque ». Secondo il solo Pim {Storia, pag. 101), ecco i
nomi che si anno : « Bernardo e Giovanni Rucellai, alcuni Tomabuoni, con circa venticin-
que parenti e amici de* Medici ». — Non ne dicon nulla il Bgnaccgbsi, il Nabdi,' il Cambi
e rAuMiRATO. V. in Appendice la Nota di coloro ch*ebbero precetto di presentarsi alpa'
lazzo, ne* giorni SS, 24, 26, 27 d'agosto: altri furono requisiti a* di 28. Di tutti costoro ò
certo che parecchi ebbero ad esser subito dimessi. È osservabile che de* rilasciati a* di 31
si rogò regolarmente la deliberazione.
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584 CAPO SETTIMO.
afifamavano e volevano viveri. Dimandatone a Calenzano, erano
tenuti a bada da' commissari. Bernardo degli Albizi, quasi per
provocare la soldatesca, maltratta il trombetto spedito a ri-
chiederne; ma il viceré cui non importava gran fatto de* Me-
dici, e solo voleva danaro e uscita da quelle strette, propone
agli ambasciatori fiorentini di persuadere la Signoria a dargli
cento some di pane e conchiudere trattato con lui: egli nel
frattempo non innoverebbe nulla.
E qui il Machiavelli ci obbliga, per una singoiar menzione,
che fece di questo momento politico, a ricostruire in certo modo,
neir intervallo di queste trattative, la condizione transitoria
degli animi nella città e nel palazzo. Egli scrive, e con molta
ragione, che l'intenzione di quell'esercito era: « mutare lo
stato in Firenze, levarlo dalla devozione di Francia, trarre
da lui danari. Quando di tre cose e' ne avesse avute due, che
son l'ultime; ed al popolo ne fosse restata una, che era ]a
conservazione dello stato suo, ci aveva dentro ciascuno qualche
onore e qualche satisfazione ; né si doveva il popolo curare
delle due cose, rimanendo vivo; né doveva, quando bene egli
avesse veduta maggiore vittoria, e quasi certa, voler mettere
quella in alcuna parte a discrezione della fortuna, andandone
l'ultima posta sua; la quale qualunque prudente mai arri-
schierà se non necessitato*. Se non che queste ossei^azioni
giustissime Niccolò le intercala in un capitolo de'suoi Discorsi,
a comprova della massima seguente: — « Ai principi e re-
pubbliche prudenti debbe bastare vincere; perchè il più delle
volte, quando non basti si perde > ^ — colla quale massima
ei non può collegare l'esempio altrimenti che cosi : « doveva
bastare ancora al popolo fiorentino, e gli era assai vittoria,
se lo esercito spagnuolo cedeva a qualcuna delle voglie di
quello, e le sue non adempieva tutte ». — Per noi, che giu-
dichiam dopo il fatto, é chiaro che il guadagno di Firenze po-
teva consistere nel preservar ancora qualche cosa di quel molto
che dovea perdere e di quel tutto che perde; ma che non era
qui il caso di parlar di vittoria; e se il Machiavelli insinuò
al. luogo sopraindicato quella sua opinione d'allora, come un
dato d'esperienza, quando invece a servigio della sua regola
non gli avrebber fatto difetto esempì, che con quella serbas-
sero miglior proporzione e maggior legame logico, vuol dire
1 MACHiAyBLLi, Discorsi^ lib. n, cap. 27.
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8SCONDO] CONDIZIONE DEL CAMPO SPAGNUOLO. 585
che, come al solito, egli riparò poi all'ombra d*una massima la
memoria d'un suo sentimento e d'una propria opinion perso-
nale allora negletta; vuol dire che l'impressione vergine di
que' momenti di confidente incertezza, in cui la vittoria ci po-
teva essere e si poteva sperare, in cui c'era chi col desiderio
la credeva, gli rimase pur dopo inalterata ; e che fu a seconda
di essa, ch'egli potè, non del tutto illogicamente, esprimersi poi
a quel modo, quando era certo che non solo non ci era stata
vittoria, ma che avea arriso una lieve probabilità soltanto di
far minore la perdita. Infatti, l'illusione di chi governava e
consigliava in que' frangenti ebbe a essere grande: «il viceré,
scrive il Pitti, * non vedendo secondo le asseverazioni dei Me-
dici comparire li persuasi favori, stretto da' viveri, udì con
animo più benigno gli oratori fiorentini » ; e Jacopo Guicciar-
dini racconta non senza dispetto « che l'accordo si stringeva;
che già delle prime due cose non si ragionava più ».2 II Bo-
naccorsi nota l'angustia a cui il Cardona era ridotto: « o
tornar indietro con quell'accordo che avessi potuto, o fare ul-
tima forza di espugnar Prato, copiosamente pieno di vettova-
glie >. 3 II Guicciardini, lo storico, aggiunge che il gonfaloniere
erasi persuaso « contro la sua naturale timidità, che gl'inimici,
disperati della vittoria, dovessero da se stessi partirsi »; il Pi-
stofilo, che trovavasi all'accampamento degli Spagnuoli, scriveva
a' 26 dell'agosto a Ippolito d'Este: «se e' Fiorentini volessino,
credo potriano dare una bastonata e fare danno e vergogna a
questo campo ».^ — Ma il partito di negar le vettovaglie pre-
valse, cospirando in questo avviso i palleschi, i quali bramavano
che la disperazione persuadesse il Gardena al giuoco delle armi.
Il giorno appresso i nemici alloggiarono a Gampi. Il Soderini se
ne maravigliò. 5 « Ghi voi sapete, scriveva il Bonaccorsi a Nic-
colò, vuole ch'io vi facci intendere che voi sollecitate costi a
fare qualche provvedimento fate quello buono potete che il
tempo non si perda in pratiche ». —
Infatti delle Pratiche il gonfaloniere non voleva più sa-
perne e non a torto, perchè in quelle i medicei avevano stil-
1 Pitti, Storia, loc. cit., pag. 110.
* Iac. Quicciabdini, loc. cit.
' Bonaccorsi, Diario^ pag. 181.
* Guasti, Sacco di Prato, voi. ii, pag. 102.
* Bibl. Naz., Doc. M., busta v, n. 106. Blasius (Bonaccorsi). N.Macl. secr. in campo,
« ex palatio, die xxtij augusti 1512, bora 22»: « ... questo yenire el campo nimico stasera
ad Campi per alloggiami, non li piace punto et maravigliasene ».
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586 CAPO SETTIMO. [libbo
lato tutto il proprio veleno. Al Consiglio del popolo non ri-
correva, perchè poca utilità di consulta poteva attendersene;
sapendo d'aver quivi la maggioranza assicurata, ogni volta che
non chiedesse stanziamenti di danaro. Si fidava che il Segre-
tario facesse quel bene che potesse; non aveva più attorno nes-
suno e lo sgomento della solitudine lo pigliava. Venne il di 28,
e gli Spagnuoli dettero il primo Assalto a Prato: ruppero il
muro, sbigottirono i difensori; e nella notte passato il BiseD2Ìo,
fecero poi impeto più feroce. Occuparono, saccheggiarono la
terra, uccisero uomini, violarono donne e chiese, empierono tutto
di stupri e di sacrilegi. — E i fanti?... e il battaglione dell'ordi-
nanza?... e i condottieri? o vili, o aggirati dal tradimento non re-
sistettero: gittarono Tarmi, s'arresero, fuggirono. — « Gli Spa-
gnuoli rimasero stupiti che in uomini militari potesse regnare
tanta viltà e si poca esperienza ». — Cosi s'esprime con im-
passibilità crudele il Guicciardini, ^ che alle fanterie comunali
non aveva mai creduto, che le giudicava una fantasticheria de-
, mocratica del Machiavelli. Il Segretario fu ferito per tanta viltà
nel più vivo dell'animo. Oramai la reputazione di quelle fan-
terie statuali era perduta. Di quegli orrori pratesi si parlava
per ogni dove: l'ambascia, la ferocia, la delusione di que'giomi
fu eternata in poemi, in canzoni, epistole, narrazioni, ricordi.*
Lamentavano quei poveri cittadini, d'essere stati barbaramente
manomessi per avere avuto fede in Firenze e nelle sue milizie:
Perchè sttmaron qnel che si parlava
per la Toscana di questi soldati.'
Niccolò quando, nella sua lettera ad una signora bmie af-
fetta ai Medici, giunse colla narrazione al sacco di Prato, non
volle riferirne i particolari — « per non le dare molestia d'animo >.
— Ma quella molestia d'animo il cardinale de' Medici la portò
pur con sé fino alla morte. Vuol la leggenda che negli ultimi
suoi momenti Prato ancor lo atterrisse : <Praium me terrei !> ;*
e la tradizione domestica corse, che il Machiavelli facesse poi
1 GciCGiABDiKi, St. d'Italia, lib. xi.
> Ne raccolse, annotò, pubblicò primieramente Atto Vannucci. Cf. Archivio slorieo U.,
serie P, voi. i. Tre narrazioni del sacco di PratOf col poemetto di Stefano Quizzalotti,
in terza rima. — Ultimamente il Guasti, op. cit., voi. ii, Bologna, 18S0.
> Guizzalotti, Il miserando sacco di Prato.
* Cf. C. Guasti, loc. cit., Prefazione. — A. Vannuoci, loc. cìt , pag. MS e segg. —
Scipione db* Ricci, Memorie, t. i, pag. 52: « Fui pure assicurato che fra le filze di me-
morie attenenti alla chiesa di Prato ed esistenti presso una famiglia che vi ebbe un vica-
rio, vi sia un progetto del nostro segretario Niccolò Machiavelli dove si determinano anche
i confini della diocesi da assegnargli ».
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SECOimo] IL SACCO DI PRATO. ' 587
una proposta per determinare i confini diocesani di quella sven-
turata terra, cui i Medici dettero a intendere di voler ristorarla
del danno irreparabilmente sofiferto.
La notizia dell'atrocità commessa a Prato perturbò, spaurì
Firenze; si sgombrarono case e botteghe; le donne rifuggivano
ne' monasteri : non si voliere alloggiare in città i battaglioni
e le genti d'arme « perchè si diffidava di loro ».^ — •<( Non-
dimanco, scrive il Machiavelli, il gonfaloniere non si sbigotti ».^
— Ma era forte e serena fermezza la sua, per cui dinnanzi al
pericolo, vedeva più certamente tracciato il sentiero che gli
restava a percorrere?... — Ei si confidava « sulle grate offerte
che pochi di -avanti gli erano state fatte dal popolo >.3 Opi-
nione vana! notava il Segretario, conoscendo che gli uomini
« offeriscono il sangue, la roba, la vita, i figli, quando il bi-
sogno è discosto ; ma quando ti sì appressa, si rivoltano »; ^
ciò non ostante l'imperturbabilità di Piero era ancora degna
d'ammirazione.
Il Gardena dopo una vittoria non ammetteva più i patti
di prima; voleva più denari, voleva i Medici a ogni modo re-
stituiti nella patria e ne' beni; avrebbe a queste condizioni fatto
ancora l'accordo. E qualcuno «affezionato alla libertà »5 scon-
giurava il Soderini che adcettasse ogni patto, purché l'esercito
sgombrasse dal territorio : « i Medici, gli dicevano, rimessi con
le leggi non avrebbero avuto più autorità di quelle >; ma Piero
stava ostinato: avrebbe dato ogni somma di denaro, purché
quella genia tirannica restasse fuori ! — 0 la guerra o i Medici,
intimò invece il Cardona. E il sacco recente dato da' marrani
rimpiccinì il cuore di tutti. In Firenze « si temè degli Spa-
gnuoli, si temè degli assoldati, che non cogliessero occasione
di far disordine; si sperò nella novità >: si cominciò a dire che
« per salvare un solo non era da mettere a pericolo un popolo »,<^
« il timore cominciò ad essere accresciuto da tutta la nobiltà,
1 QuiccUKDiNi Ikt.y leu. cit.
* Machiayblli, Lettera a una Signora.
* Neir Apografo del Ricci, ma. A, il presente brano è dato a questo modo : « il gon-
faloniere non si sbigotti fondandosi in certe sue vane * oppenioni »; e in margine alPaste-
risco risponde questa nota : « le grate offerte che pochi di avanti gli erano sute fatte dal
popolo ». Oli altri Apografi, compreso il barberiniano, incorporarono nel testo la nota, la
quale entrò cosi anche nelle edizioni.
* Machiavelli, 7/ Principe, capo xvii.
* Vbttobi, Storia A* Italia, pag. 291. — Machiavelli, lett. cit. — Bonaccobsi, Diario. —
Odasti, Sacco di Prato, I^ettera degli oratori Ormannoszo Dati, Niccolò del Nero, N. Va-
lori, B. Carducci, « addi 30 agosto ».
' Iac. Guicciabdini, lett. oit.
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588 CAPO SETTIMO. [libeo
che desiderava mutare ìo stato ».i S'era già determinato di
fermare l'accordo a qualunque patto col Viceré, quando la
violenza incominciò a prorompere. Sulle due ore di notte del
lunedi, penultimo d'agosto (è il Machiavelli solo, testimonio di
veduta, che ci oflfre questi particolari), * data appena la com-
missione del trattato agli oratori, il palazzo rimase senza guardia.
Non è da credere che il terrore soltanto cagionasse questo ab-
bandonò: l'oro e il tradimento v'ebbero parte per certo. La
Signoria, scrive Niccolò, fu costretta a lasciar liberi i ritenuti.
In che modo vi fu costretta? furono i prigioni che tumultua-
rono? furono i loro consorti che sopraggìunsero a ripeterli? ^
si giudicò prudente, poiché tutto era spacciato, cominciare a
salutare il nuovo sole sorgente, prosciogliendo gli amici de' Me-
dici? impenetrabili misteri della viltà, che Niccolò non conobbe
o non svelò alla gentildonna, la quale non avea certo bisogno
che le si svelassero.
Per tutta quella notte in palazzo si stette trepidanti. Il
Sederini, rimase solo con sé stesso, ebbe a sentirsi già esau-
torato; e poiché «i figli di Bruto» erano alle porte della città,
non era incerto a cui nella dimane s'aspettasse soggiacere. —
Il martedì mattina gli sprigionati medicei della sera innanzi
si ripresentarono a palazzo coli'armi. Dovettero trovarvi guardie,
perché il Pitti parla di trecento fanti volterrani,^ e Jacopo
> Machiavelli, Lett. ad una Signora.
* Machiavblli, Ioc. cit. II Vettori, che dopo il Machiavelli ci offre la testimonianza
più autorevole, pone il fatto dell* invasione del palazzo e della richiesta dei ritenuti a dì
31 d*agosto {St. d'ItaUaf Ioc. cit., pag. 292). — II' Bonaccobsi non parla de* prigioni rila-
sciati e solo accenna airespulsione del gonfaloniere, « addi ultimo d'agosto ». — Iac. Guic-
ciABDiisi nella lett. cit. tace de* prigionieri e mette la cacciata del gonfaloniere « a* dì trenta ».
— Fr. Guicciardini, nella Storia d'Italia (lib. xi): «la mattina del secondo dì dalla per-
dita di Prato, che fu l'ultimo giorno di' agosto ». Il Pitti, Apologia de'Cappueci. pag. 311
e segg., sembra non contradire alla data del Guicciardini. — Il Nardi, Storie di Fir9ns€f
lib. V, non parla neppur egli de* prigioni rilasciati, ma « a di ultimo d'agosto » pone l'in-
vasione del palazzo, e lo fa occupare da « Francesco e Paolo Vettori, Baccio Valori, i ligliuoli
di Bernardo Rucellai, con più altri della medesima famiglia parenti stretti, o vero depen-
denti dall'autorità loro, e Francesco e Domenico di Girolamo Rucellai, Anton Francesco
di Luca d'Antonio degli Albizi, Gino di Neri Capponi e i figliuoli e nepoti di Piero Toma-
buoni, e altri di quella famiglia, e Giovanni di M. Guidantonio Vespucci, e altri a costoro
aderenti, che in tutto non ascendevano al numero di trenta persone ». A tanto, come ve-
demmo più sopra, si faceva ammontare il numero de* ritenuti in palazzo; cosi che questi
particolari del Nardi sembrano venire a conferma della narrazione del Machiavelli ; come
il Pitti {Apologia de'Cappuccif pag. 312) viene in appoggio del Nardi affermando che « co-
testi primi giovani che entrarono in palagio, vi entrarono con molti e non con pochi ». Vedi
in Appendice la Deliberazione per cui furono rilasciati.
* Pitti, Apologia de'Cappucci, pag. 312. — Storia di Firenze, pag. 102, dice che il
Sederini « quietato il tumulto di trecento volterrani (guardia del palagio) in suo favore su-
scitato, a casa il Vettori se ne andò ». — Quel tumulto non dovette esser cosa seria, se
non ebbe conseguenze e se tutti gli altri storici poterono non tenerne parola.
* Cambi, Ioc. cit., pag. 308. — Iac. Guicciardini, lett. cit. -
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secondo] il gonfaloniere PERPETUO È DEPOSTO. 589
Guicciardini accenna che i rivoltosi « passarono la catena quasi
per forza »A Quattro di loro giunsero al gonfaloniere: Baccio
Valori, Paolo Vettori, Gino Capponi, Anton Francesco degli
Albizi; e gì* intimarono di risolversi, giacché ei non doveva
permettere che la città andasse per cagion sua a preda e a
fiamme. La Signoria sedeva frattanto nel Consiglio degli Ot-
tanta, insieme colla Pratica. I congiurati avevano- poste le
sentinelle all'uscite : * non v'era scampo. Il gonfaloniere a' modi
insolitamente spicci di que' giovani rispondeva « con parole
grate ed umane, ma senza venire a conclusione »,3 cercando
godere anche una volta « il beneficio del tempo » ; e facea
per ritrarsi ad altra stanza, quando l'Albizi gli mise le mani
addosso, e, come il Vettori racconta, poiché, in questa nar-
razione, gli eufemismi delle storie interessate abbondano, « lo
prese per la veste », Il Soderini a quel punto si senti mancar
l'animo: egli non era né Mario né Cesare, né aveva forza col
gesto e col guardo d'atterrire chi l'assaliva. — « Campatemi
la vita » disse (e lo scrive il Cambi ^ che gli è tra' più afiezio-
nati). Coloro non volevano altro e « gliel promisono ». — 'E
negli estremi momenti, in cui aveva bisogno di persona fidata,
Piero Soderini chiamò Niccolò Machiavelli e lo mandò a Fran-
cesco Vettori, pregando che questi si recasse a lui. Il Vettori,
deputato dai Dieci a commissario sopra i soldati, consapevole
dell'attentato del fratello Paolo, e dedito ai Medici, « voleva (ed
è lui proprio che lo confessa) montare a cavallo per uscire dalla
città ». Nondimeno il Segretario valse a trattenerlo, a convincerlo
che il compiacere al gonfaloniere era cosa opportuna e pietosa.
Egli andò; ma si giustificò poi a* medicei che glielo rimprove-
rarono, come se fosse andato per obbligo o per forza.^ Trovò
^ Iac. Guicciardini, lett. cit.
* Machiavelli, lett. cit. : « occnpati tutti 1 luoghi per sforzare il gonfaloniere a partire ».
• Vettori, loc. cit
^ Cambi, Storia, loc. cit., pag. 306.
< Vettori, St. d'Italia, pag. 292: « Ed avendo inteso quello era seguito in palazzo, né
potendo essere contro il fratello, senza manifesto pericolo, né volendo per modo alcuno
essere contro al Gonfaloniere ed al Palazzo, voleva montare a cavallo per partirsi
dalla città; ma, facendogli Niccolò l'ambasciata per parte del Gonfaloniere, n'andò
subito a lui », ecc. — In questa transizione del 1512 è notevole per quasi tutti gli storici
fiorentini il proposito di riuscire apologetici di so e de* suoi, accusatori d'altrui ed ipocri*
ticì sempre, h* Apologia de' Cappucci tartassa, e spesso a ragione, il Guicciardini; e la
Storia del Pitti è tutta ordinata a contrastargli e stabilire i fatti oppostigli in quella. Il
Nardi (lib. v) fa digressioni per scagionare sé e Raffaello Nardi, suo fratello, di non aver
provvisto il castello di Campi, accusando, ma senza fare i nomi, uno o più del magistrato
do* Dieci. Il Machiavelli, nella citata lettera ad una gentildonna, le confessa che nell'e-
sporle il successo de* casi, « non à voluto inserire quelle cose che la potessero offendere.
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590 CAPO SETTIMO. [l
il Soderini « solo e impaurito », che gli si raccomandò di non-
essere offeso, che si mise sotto alla protezione di lui, e offerse
di lasciare il palazzo, pur che gli si desse certezza di non essere
ammazzato. Francesco se ne fé' dar parola dagli altri congiu-
rati, e questi proffersero, alla loro volta, di accompagnarlo si-
curo alle case sue. I Dieci « si cavaron cosi la rabbia Anal-
mente dr vederlo uscire >.^ Chi aveva simulato sin allora, fu
palese: «scopersesi Lanfredino e qualcun altro >, scrive Jacopo
Guicciardini, e anch'essi lo presero per mano, ad accompagnarlo.
Aveva in dosso una gabbanella di raso chermisino: potè giun-
gere sino al ponte a santa Trinità; poi non resse più « all'af-
fanno e alla paura ». Pregò i Vettori di ripararlo nelle case
loro, lung'Arno, dietro la loggia de' Frescobaldi; e ne fu com-
piaciutot Madonna Argentina, sua moglie, che non seppe eser-
citar mai, né per lui né per la cosa pubblica, l'efficace virtù
di una madame Roland, che non valeva per ingegno quel che
l'Alfonsina pe' Medici, levata di palazzo da alcuni nobili cit-
tadini, si chiuse nel monastero delle Murate. Paolo Vettori
strappava intanto ai Collegi radunati la deposizione del gon-
faloniere. E siccome questi indugiavano per non saper moti-
varla: « voi gli volete far bene a non cassarlo, esclamò, e
faretegli male, perch'io non posso tenere quel popolo, che lo
vogliono tagliare a pezzi ».* E cosi fu deposto, « e la notte ve-
gnente, conclude il Machiavelli, con buona compagnia, di con-
sentimento. dei Signori, si condusse a Siena». —
Quel « di consentimento de' Signori » era gittate li astu-
tamente per dare a credere che, se la violenza aveva avuto
qualche parte nel successo, non era mancata la legalità a san-
zionarla ; che poteva esser mutata la persona, ma la repubblica
stava ancora ritta e inalterata. Ma lo pensava o lo sperava
davvero il Segretario? — Egli era rimase in palazzo, poi che il
Soderini erane uscito; aveva assistito a tutto, era stato inter-
medio onesto di quell'azione disonesta. Non si era illuso mai
circa le intenzioni de' palleschi ; né aveva confidato gran fatto
nella prudenza e nella valentia del Soderini; ma di saper
morire con dignità e nella dignità, lo avrebbe"" tenuto capace.
Il testamento fatto, l'ostinazione mostrata, l'appello al popolo,
come miserabili o poco necessarie. Nelle altre si è allargato quanto la strtttessa
di una lettera richiede ».
^ Cambi, pag. 308. Iac. Guicciardini, lett. cit., pag. 101.
* Cambi, pag. 310.
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awJONBo] AVVILIMENTO DI PIERO SODERINI. 591
la risoluta risposta agli ambasciatori, la previsione delle umi-
liazioni che l'aspettavano, gliene davano argomento. I grandi
esempi delle storie antiche, il culto e la superstizione comune
verso ogni classica idea, l'esempio vivo del Giaoomini, che
« privato, era senza parte e senza ambizione alcuna; quando
pubblico, era solo desideroso della gloria della città e laude
sua e severo nel servare la pubblica maiestà »,i parevan dovere
incorarvelo. E quel meschino vi si era provato, e gli era parso
fortezza la testardaggine, singolarità l'isolamento; ^ ma la tempra
sua non reggeva neppure ad eroismi momentanei, come quelli
di Pier Capponi. Non aveva saputo prima somigliare a Bruto,
quando il Giacomini ve l'incitò; dovea perdere poi «insieme
con la patria sua lo stato e la riputazione ».^ Niccolò Machia-
velli non l'avea ritenuto mai, neppur da principio, per pietra
soda ^ della libertà fiorentina ; ma quando lo vide, dopo tanta
imprudenza, irresolutezza, ostinazione, tremare dinnanzi ai ca-
tilinari che l'opprimevano, innanzi ai traditori che sogghigna-
vano e l'avevano tratto all'agguato, innanzi alla moltitudine
che lo compassionava; quando lo vide tremando lasciar l'uflScio
supremo senza rassegnare neppure i poteri, senza neppure at-
tendere la formalità precedente della deposizione; tremando
.uscire di palazzo e mancar sulla strada, fin d'allora gli gridò
in cuor suo: anima sciocca! sentenziandolo al limbo.^
* MACHUVBI.LI, Nature A'w)mini fiorentini.
* Tutti gli storici, dfU più aderente alla casa Medici al più popolare e soderinesco. gli
rimproverano : « la vanità del suo consiglio, lo spavento, la perdita della riputazione e del-
Tautorità, l'irresolutezza, non provvedendo a cosa alcuna, né per la conservazione di sa
medesimo, né per la salute comune » (Gdicciardini, Storia d'/t., lib. xi) ; che non seppe
essere « principe né cattivo né buono », che « avvili e fu cacciato di palazzo, senza far
nessuna di quelle difese che ancora si sarebbero potute fare » (Nebli, Commentari, p&g. 109,
110, il quale è quello che soprattutto raccoglie il pensiero del Machiavelli), lì Vettori
(loc. cit., pag. 1^1) ipocritamente « che la mala fortuna della città lo ritraeva da fare quello
che conosceva essere a beneficio di essa ». — Il Nardi (lib. v), che non à intenzione di
biasimarlo, ma ne esalta la innocenza e la nettezza, racconta che conoscendo egli le ma-
lignità de* faziosi che lo volevano fuori di palazzo, « per fuggire ogni cagione di Beandolo,
se n*era voluto per sé stesso andare, ma non era stato lasciato partire dalla Signoria né
dagli altri cittadini che si trovavano presenti ».— Il Cambi (loc. cit., pag. 307): « e *1 detto
Ghonfaloniere non aveva persona che lo chonsigliassi, perchè non s*avea riserbato per-
sona, che volea fare ogni chosa dassè, chessegli attendeva al consiglio del popolo, era
viptorioso la ciptà ellù ». Nel ms. ottob. 2147 della Bibl. Vat., che contiene Narrationi de
alcune cose successe in Fiorenza dall'anno 252 ia%sino al i532 cavate da un priorista
(pag. 216), si racconta a dirittura: « a' di 31 d.^ Piero Soderìnl Gonfaloniere a vita si fuggi
di palazzo ».
* Machiavelli, Discorsi, lib. in, cap. 3^. Dice Invece del Giacomini (Nature d'uom.
fior): « Né veruna cosa forte, animosa o pericolosa era conceduta ad altri che a lui, né
altri più volentieri l'accettava. Donde non solo crebbe il suo nome in Firenze, ma in tutta
Toscana; e cosi Antonio, incognito' prima, ed oscuro, acquistò reputazione in quella città,
dove tutti gli altri chiari e. riputati cittadini Tauenano perduta».
* V. a pag. 309-310.
■ Y. VEpigramma in morte di Pier Sederini, a pag. 3S in nota. Parecchi anni dopo,
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592 CAPO SETTIMO. [libro
Ma quel che passava in cuor suo allora il Cancelliere della
seconda cancelleria non aveva né dritto né voglia d'esprimere;
dacché una naturai legge di convenienza gli faceva sentire
che dalla fede ch'egli era per mostrare a chi cadeva, si sa-
rebbe misurata quella ch'avrebbe saputo servare a chi stava
per sorgere. E poi ch'egli aveva atteso, sino agli ultimi sgoc-
cioli delle cose, a servir la libertà e il gonfaloniere con un fer-
vore d'affetto che poteva essergli attribuito a passione, cominciò
a raccapezzare quel che restava delle cose sue, a domandare
a sé stesso se egli, che non aveva né tremato né esitato, avesse
anche ad essere una vittima; cominciò a cercar la proporzione
fra sé e le vicende esteriori ch'erano per determinarsi, senza
aver altra certezza di termini che questa: da una parte cioè
la necessità, la brama di rimaner cancelliere, colla coscienza
di non aver in nulla demeritato del pubblico; dall'altra la con-
sapevolezza che, qualunque mai forma fosse per assumere lo
stato, i Medici sarebbero certo ritornati in Firenze.
Ora, ninno alla bella prima avrebbe ragione ai nostri
tempi di levarsi a condannare il desiderio di lui di restare
nella cancelleria al suo posto. Poteva ben essere nella città
chi lo avesse calunniato quale arnese soderinesco ; ma egli non
era entrato a' servigi della città co' Sederini né per mezzo di
essi; e se la fortuna di questi vacillava, la repubblica stava
ancora, né della necessaria persistenza della sua forma libera
era possibile levar dubbio, neppure ai nemici di lei più accaniti.^
Poteva bensì essere accusato di tendenze soverchiamente po-
TAmmirato (Storie fiorentine, lib. xxyiii, in fine) giudicava a questo modo del gran riduto
fatto dal gonfaloniere perpetuo : « Questo fine ebbe l'autorità e grandezza di Piero Soderini in
Firenze, uomo di buona mente e amatore della libertà della sua patria, e, ove dal timore
non era sopraffatto, di prudente e moderato consiglio; ma il quale restò in modo da que-
st'ultima azione oscurato, non si essendo veduta in lui deliberazione alcuna magnanima,
che se la pietà delle sue sciagure noi rendesse ancor oggi nella memoria degli uomini com-
passionevole, sarebbe di molto maggior biasimo degno di quello ch'egli non ò senza alcun
fallo reputato, perciocché gli uomini, i quali in ^ran fortuna sono costituiti, non solo a
quello debbono riguardare, che in danno o beneficio di sé stessi ò sol per tornare, ma uf-
ficio loro è di servare a lor sommo potere la dignità a quel grado in che soit collocati,
perchè l'altezza e chiarezza di quel luogo non resti nella persona loro macchiata; onde sarà
sempre celebratissìma la memoria di Michele di Landò, né disprezzabile per avventura sarà
quella di Cesare Putrucci, i quali soli fra tutti coloro che in quel palazzo si son trovati
in qualche pericolo, han mantenuto salda e inviolata con presto e valoroso avvedimento
la pubblica riputazione ».
» Fb. Odicciabdini, Discorsi poUlici, fra le Opp. inedite ^ voi. ii, discorso terzo, spe-
culando da Logrogno una nuova forma di repubblica, dopo la decisione della Dieta di Man-
tova di rimettere i Medici in Firenze, riconosceva essere il Consiglio grande « una sostan-
zialità necessaria » (pag. 275). — V. anche il Discorso quartOj ibid., pag. 318. ove riconosce
la gran difiicoltà di divezzare i cittadini dal modo di governo « popolarissimo e liberissimo »
cui son nutriti ed avvezzi. — Nardi, Discorso fatto in Venezia contro ai calunniatori del
popolo fiorentino, ed. Barbèra, pag. 265.
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SBCONDo] IL MACHIA VELLI BRAMA CONSBR VARE V UFFICIO. 5»
polari ; d'aver inclinato coll'animo, d'essersi adoperato col fatto
al trionfo d'alcune proposte incluse nella « sancia riforma »
del Cocchi; ed aveva realmente «riaperto il tempio a Marte»;
iniziato cioè, e compiuto l'ordinanza delle fanterie comunali.
Ma quelle fanterie s'eran tirato addosso tanto scorno nei casi
della recente guerra, che l'aver partecipato alla loro istitu-
zione poteva pesare gravemente come un addebito. Ma di
questo il Machiavelli meno s' impensieriva, convinto che d'armi
proprie necessariamente dovesse vestirsi qualunque governo; e
che, dove la democratia fosse per riuscir meno sciatta e invi-
diosa, quell'armi sarebbero agevolmente ordinate con mag-
giore saldezza, fornite di capi, nudrite alla disciplina e all'uso
della guerra. ^
Scendendo poi a considerazioni più minute e più vicine
alla persona di Niccolò, egli non era come vedemmo, ricco di
famiglia; né le sue abitudini spenderecce gli avevano fatto il
risparmio facile, quando de' suoi salari avesse pur potuto ca-
varne. Oltracciò le gravezze eran per assorbirgli non piccola
parte della rendita. Esercitare un officio per mantener con
decenza la famiglia che cresceva, eragli necessità a dirittura.
Ciò posto, per seguitare ad essere il Segretario della seconda
cancelleria nella repubblica di Firenze, ei poteva credere di
dover vincere opposizióni di fatto, malevolenze di nemici, so*
spetti nella fazione che trionfava; ma a ninno de' suoi contem-
poranei sarebbe potuto cader nel pensiero che il desiderare
e il procurare d'esser conservato in ufficio per mutazioni se-
guite neir indirizzo politico dello stato, ad ogni partecipazione
delle quali egli era nello stretto dovere di tenersi estraneo,
non gli fosse consentito dal rispetto d'ogni ragione di conve-
nienza verso di sé e verso altrui. Dacché il cancelliere d'una
Signoria non era già un officiale da razzolarsi in ogni cate-
goria d'uomini a favore di parte; né era facile voltarsi facil-
mente da questa ad altra professione; ma da lui si richiedeva
quel che, a' politicanti di fazione, come a di nostri, non era
chiesto ; la conoscenza perfetta in materia di stato, la pratica
estesa de' civili negozi, l'essere esperto notaio, possedere cioè
^ Cf. a questo proposito Fr. GuicciABDim, Opp. ineàUe, voi. ii, pag. 1^. Dicono terso,
il quale, quantunque sì dimostii anche in questo caso sopraffatto dalla sua natura scettica
e infetto da gretta gelosia democratica, riconosce che « questo fare la guerra coirarmi sue
proprie sarebbe per infinite ragioni sanxa comparazione più utile che l'armi mercenarie »;
ma aggiunge poi : « dare la somma a uno solo, ò pericoloso ; tenere molti pari ò confu-
sione ».
ToMMASiNi - Mòchiawlli. 33
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5»4 CAPO SETTIMO. [lib»o
Yars dictaminis, e Teloquenza, a tal grado da poter esser con-
siderato come l'eloquio decoroso e prudente, come « la lingua
de' suoi signori >, ' ed essendone la lingua, parerne esterna-
mente anche il pensiero; essere cioè di una fede e di un segreto
indubitabile. Questa la virtù massima, il requisito essenziale
all'ufficio; ad offrir certezza del quale ninna attestazione pote-
vasi offrir migliore, dell'osservanza usata già verso signorie, a
devozione di cui si fosse precedentemente prestata opera, per
quanto diversa od ostile. Tanto che l'aver mantenuto fede
sino all'ultimo alla fazione nemica soggiacente, lungi dal for-
mare una condizione incompatibile, si poteva accampare coi vin-
citori siccome un vanto ed un titolo ; ^ quasi fosse compito dei
cancellieri conservare nella loro persona l'unità degli stati mu-
tevoli, annestare le novità colle consuetudini, ricoprire la forza
colle forme legittime, e dove tutto per fatti interni ed esterni
poteva ne' nostri comuni non di rado alterarsi, essi restar sempre
incommossi.
Un simile stato di relazioni stabilitosi fra loro e il governo
in nome di cui parlavano, aveva due conseguenze diverse e
talora simultanee; dacché coloro i quali, per dirla a modo del
Segretario fiorentino, « tenevano una persona pubblica » ^ per
poco che ricordassero di possederne anche una privata,'^ per
poco che mostrassero passione propria in una causa o in un
consiglio, si riducevano» a sopportare inesorabilmente le vicende
dell'esito; e cadevano quindi come olocausto della parte gra-
vata. Quando poi si governavano con tanto rigore di cautele
quanto l'ufficio loro pareva richiedere, o per lo meno quando
se ne facevan coscienza; assumevano, senza avvedersene, una
tale consuetudine all'indifferenza degli eventi politici, quanta
^ V. a pag. 157 e segg.
■ Cf. MoBONB, Epistolae, loc. cit., « Illmo Maxìmillano Sfortiae duci Mediolani » (1512,
4 die), pag. 255: « Itaqae vel sola ratione coniicere omnes possunt, fidem hominis qnae
cum barbaris ad extremum usque remansit longe magis cum nostris et hiis cum qnibas
innata et adalta est, firmÌBsimam ardentissimamque fore, et quod naturale barbaronim
odinm non dimovit, longe minns alia quaecumque vi motam iri ». E nella lettera a Oio-
vanni Colla (pag. 261): « Ergo in fide defeci 1 fateor hostem me Gallis dici posse, qnod ipsi
patrìae et principi hostes sunt; sed non prius'eis adversatns suro, quam fuissem ab illomm
ditione atque orani vincalo liberatus, tam quod polsi juate fuerant, tum quod ipsimet reoa-
dentes peculiari decreto mihi ipsi indulxerant, ut mihi liceret futurum dominum quisquis
ille foret morari et eidem salva fldei existimatione obsequi. Quid igitur est, quod obiicere
mihi ipsimet hostes possint ?» — Con queste ragioni il Morone che, sotto la dominazione
francese nella Lombardia, era stato ampiamente adoperato da loro, credeva poter restare
a* servici dello Sforza, e vi restò.
» V. a pag. 158.
* Machiavelli, Prindps, cap. 22: « Quello che à lo stato d*uno in mano, non deve
mai pensare a sé ».
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•■cordo] lettera del MACHIAVELLI AD UNA SIGNORA. 505
può esser quella che» neirordine naturale, si richiede per l'in»
telletto d'un fisico; il quale avvisa e non crea le patologiche condi-
zioni che scruta. Di guisa che come la medicina, nell'esercizio,
diventa arte, la politica ridotta a osservatorio e casistica, diven-
tava mestiere. £ di tutti e due questi effetti ebbe appunto a ri-
sentirsi tanto la vita pratica quanto l'intellettiva del Machiavelli.
Per quel che concerne l'operativa, ora il Segretario senti primie-
ramente il bisogno di provvedere al rimedio ; ora che si trovò
solo e ricordò i maligni suoi, querelanti a' Conservatori di legge.
Visto che non c'era tempo da perdere, riflettè subito che il
miglior modo di persuadere i nuovi signori ch'egli non era
incompatibile collo stato nuovo, era il mostrare com'egli ne com-
prendeva 0 rappresentava l'origine legittima, quasi naturale
conseguenza di quello precedente, del quale egli era a* servigi.
Ed una lettera appunto che avesse le caratteristiche d'una rela-
zione officiosa, trasmessa a persona che fosse nella più prossima
relazione coi Medici, in forza del trattato riammessi, gli parve
un mezzo molto opportuno per accertare e giovare i suoi in-
tendimenti. Gli fu questa lettera domandata davvero, come
egli dà a credere nel preambolo, e fu veramente diretta a ma-
donna Alfonsina, come accenna, dubitando, il Ricci? ^ La prima
questione è di pura forma, premendo per certo più al Machia-
velli il rispondere che all' incognita gentildonna il richiedere
o il ricever notizie. Potè egli afferrarne in aria una oppor-
tuna e generica richiesta che gli faceva gioco ; o essa averlo
dimandato o per venirgli gentilmente in aiuto, o per sag-
giarlo e perderlo subito con feminea scaltrezza. Per altro se*
si riflette che Niccolò dichiara scriverle volentieri « si per
satisfarle, si per avere i successi delle novità onorato gli amici
di Vostra Signoria illustrissima e padroni miei » (è fuor di dubbio
che il Segretario intende designare i Vettori, i Rucellai, i Sal-
viati, non per anco i Medici i quali volevano essere ma non
venir chiamati padroni), le quali due cagioni gli cancellano
« tutu gli altri dispiaceri avuti, che sono infiniti », si vede
chiaro che non c'è buona ragione per credere la lettera indi-
» Il Ricci, Noiamenti premessi al Regesto, v. App., § xix, dopo aver indicato corno
destinataria di questa lettera l*Alfonsina, madre di Lorenzo Medici, aggiunge che : « po-
tette anche essere scritta a madonna di Furli », cioè a Caterina Sforza Medici, che fu
madre di Giovanni delle Bande Nere, la quale a questo tempo invece ets. morta. Il dubbio
espresso dal Ricci indica tuttavia apertamente che la designazione di madonna' Alfonsina
tti non la dette per essergli giunta da tradizione domestica, ma per congettura propria. È
quindi attendibile sino ad un certo segno e non esclude altre ipotesi.
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596 CAPO SETTIMO. [libbo
rizzata più all'Alfonsina Medici che non alla Clarice Strozzi o
alla Contessina Ridolfl, o alla Lucrezia Salviati, le quali due
ultime al cardinale de' Medici eran sorelle.
Del resto se si eccettui lajnenzione degl'infiniti dispiaceri
sofferti, con avvedutezza finissima il Machiavelli si guarda nel
contesto della lettera di fare alcun'altra allusione a sé stesso.
Evita ogni soverchio nell'espressione; ogni parzialità, ogni affetto
nella narrazione; < non volendo inserire quelle cose che po-
tessero offendere, come miserabili e poco necessarie, quell'illu-
strissima madonna >. È pur vero che di questo scritto ebbero
a formularsi due maniere di redazione, l'una anteriore, l'altra
posteriore a' di 16 di settembre; l'una in cui si narrava solo del
festoso ricevimento fatto a' Medici,^ l'altra in cui si trattava
della sconcia commedia per cui fu riformato il governo a be-
neplacito del cardinale, coljo spauracchio della violenza solda-
tesca, secondo il vecchio stile de' parlamenti, e coU'impostura
de' plebisciti scenici e tumultuari. Nel primo testo il pensiero
del Machiavelli non apparisce disinteressato, ma non s*abbassa:
nel secondo mendica artifici per adonestare fatti ch'egli giudica
in cor suo come biechi e tristi, e ricorre al: « rumore levato
a caso in piazza per il quale Ramazzotto co' suoi- soldati ed altri
presero il palazzo gridando palle palle, e subito tutta la città
fu in arme, e per ogni parte della città risonava quel nome;
tanto che i Signori furono costretti chiamare il popolo a con-
ciono, quale noi chiamiamo parlamento, dove fu promulgata una
l^gg^) V^^ 1^ quale furono questi Magnifici Medici reintegrati in
tutti gli onori e gradi de* loro antenati. E questa città resta
quetissima, ^ e spera non vivere meno onorata con l'aiuto loro,
che si vivesse ne' tempi passati, quando la felicissima memoria
del magnifico Lorenzo governava ». — Conclusione che avviliva
^ Veggast quanto accennammo in nota al g xix dell* Analisi degli Apografi di G.éLR.,
in Appendice. Ecco del resto la variante che occorre nel primo testo della lettera, trasandata
in tutte le edizioni: ~~ « ... si condusse a Siena. A questi magnifici Medici, udite le cose
successe, non parve di venire a Firenze, se prima non avevano composto le cose della città
col viceré, con il quale dopo qualche difficultà feciono raccordo ; et entrati in Firenze sono
st&ti ricevuti da tutto questo popolo con grandissimo onore et reintegrati in tutti li onori
et gradi de* loro antenati. Et questa città », ecc.
■ A di 16 di settembre mandavasi la seguente circolare ai potestà di Pisa, Volterra,
Poppi, Arezzo, Anghiarì, Borgo, Montepulciano, Mugello, Cortona, Lari, Vico : « La pre-
sente è per farti intendere come hoggi ad 82 ho re s*è facto generale parlamento Mcondo
Vordinario; nel quale 8*è dato pienissima auctorità a 50 cittadini di riformare tutto lo stato
della città; et le altre cose tucte sono quiete; ne ci è seguito uno minimo scandob imt la
grcMa di dio; né offeso alcuno; attenderassi ora quietamente ad comporre il resto: il che
ti si scriue per informatione tua ». — (Arch. fior.. Dieci di Balia, Carteggio missive 97, ci. x,
dist. 3, n. 138, pag. 58t.) Era a questo modo che i Medici potevano bramare che si scrivesse.
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secondo] / MEDICI TORNA TI IN FIRENZE. 597
Niccolò e non dava bastante soddisfazione agli oppressori;
poiché essi non erano venuti per dare aiuto ma, per pigliare
l'autorità ; né il rumore era stato levato a caso, né poteva darsi
ad intendere; ma bisognava fargli plauso e non scusarlo. Ed il
popolo era stato chiamato a conciono^ ma non si voleva confes-
sare che la Signoria v'era stata costretta; e non è dubbio che
se questo secondo testo della lettera capitò agli occhi de' Me-
dici, fu questo probabilmente che li determinò a non fidarsi
mai più del Machiavelli.
Del resto la natura degli avvenimenti che in que' giorni
si eran compiuti in Firenze aveva sopraffatto ogni proposito,
ogni previsione. Quando, non appena partito Piero Sederini, fu
visto l'Albizi audace andare a prendere, di suo capo. Giuliano
Medici e recarselo in casa senza aspettare che fosse colle vo-
lute formalità liberato del bando,^ non pochi credettero che il
Consiglio fosse spacciato e che la signoria medicea si sarebbe
affermata subito con insolita e cruda affettazione; * ed ebbe Nic-
colò medesimo ad essere fra coloro che cosi pensarono. Ma
poi, quando vide due di casa gli Albizi a nome e per mandato
di tutta la famiglia andare a scusarsi colla Signoria; quando
vide Giuliano e Lorenzo diportarsi modestamente in ogni cosa,
vestir senza pompa, passeggiare senz'accompagno, radersi al-
l'uso fiorentino, chiedere a' Signori il partito del loro riban-
dimento; quando osservò Giuliano render visita riverente ad
Antonio Giacomini, che stiacciò il cordoglio e l' ironia dell'anima
in un complimento, pur dì non dissimulargli il v^ro ; ^ credette
ancora che l'azzurra bandiera della libertà sarebbe rimasta a
sventolare al balcone di Palazzo, che la repubblica non fosse
cosi morta, come pretendevano i palleschi; che la fazione dei
nobQi, congiuntasi occasionalmente con loro, trescante fra il
popolo e i Medici,^ potesse ottener cangiamento d'uomini e non
d' istituzioni; e che i due più giovani rampolli della famiglia
1 Cambi, Storie, Ice. cit., pag. 311.
* Iac. Guicciardini, loc. cit., pag. 102.
* Il Pitti, VUa d'Antonio Oiacomini, pag. 265, rende il significato delle parole del Gia-
comiiii assai meglio del Nakdi, V. d. A. G. (pag. 188): « e salutatolo amorevolissimamente,
li rispose Antonio, che si doleva d*essere in quel grado cattivo ; perciocché sua Magnifi-
cenzia non avrebbe avuto a spendere quelli passi. La quale risposta, ancora che Giuliano
la ricevesse, che Antonio sarebbe andato per il debito suo a'visitare lui, penetrò in alcuni
maligni interpreti, che egli presumesse tanto di sé, che s'ei fosse stato sano, averebbe te-
nuto li Medici anche di fuora: onde avvenuto non sarebbe che Giuliano Tauesse auto a
visitare ». La riposta ironia del Giacomini avea il sapore di quelle di Niccolò Machiavelli.
* Machiavelli, Ricordo ai Palleachi, ed. Guasti, per nozse, Prato, 1868: «questi che
puttaneggiono infra el popolo et e Medici ».
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598 CAPO SETTIMO. [LmBO
tirannesca, si sarebbero acconciati facilmente a vivere da cit-
tadini, sotto le consuete leggi. Togliere il Consiglio grande al
popolo che l'aveva gustato pareva impossibile ad uomini gravi,
per quanto d'opinioni opposte, come il Nardi e il Guicciardini ;
parve impossibile ai venti accoppiatori eletti, dopo la deposi-
zione del Gonfaloniere perpetuo, per riformare lo stato secondo
i preconcetti de' nobili; i quali si contentavano di restringerlo,
di mettergli sul collo un senato, di ridurre ad annuo il gon-
falonierato; ma volevano reggersi a libertà. E quand'anche
i palleschi irritati del gioco, per non ceder la posta a' nobili,
istigarono il cardinale de' Medici a cancellare in furia quella
costituzione, quell'opera infruttifera che i nipoti di lui tollera-
vano 0 per inesperienza, o per oblio delle loro tradizioni dome-
stiche, 0 forse per segreta istruzione e perchè i nemici loro
si scoprissero tutti; quel traditore del Lanf redini e Jacopo Sal-
viati insistevano ancora a raccomandargli che punto non toc-
casse il Consiglio grande. 1 II cardinale pochi giorni di vita
lasciò alla costituzione de' nobili, nata a' d\ sei, morta a' sedici
settembre, quasi a schernevole compenso della loro momentanea
coalizione co' suoi fautori; e la soffocò ignominiosamente colle
armi di Spagna e de' mercenari.
Però mentre sino a' di sedici le reliquie del governo so-
derinesco s'erano ancora in parte tenute ritte, crollarono tutte
dopo quel giorno, per la prepotenza degli uni e la viltà degli
altri. Il gonfalonierato annuale, venne ricondotto a' due mesi
come era ne' felici tempi del Magnifico. Giambattista Ridolfl fece
anch'egli il gran rifiuto, « chiedendo, scrive il Pitti, che la
cosa passasse di maniera che paresse al popolo ch'ei fosse stato
sforzato »,^ — Due giorni dopo fu abolito anche l'ufficio degli
spettabili Nove della milizia, sciolti tutti i battaglioni e i ca-
valleggeri dell'ordinanza, ritirate le armi, con che ferita al
cuore del Machiavelli può bene immaginarsi. Gli antichi Otto
di pratica tornarono a surrogare i Dieci di libertà e di pace;
cosi anche il Segretario di' questi si senti cadere.
La Balia andava innanzi cauta ma sicura, senza punto far
caso che Firenze aveva avuto diciotto anni di tempo per divez-
zarsi da queste istituzioni. Circa la metà d'ottobre confinò Pietro
Sederini a Ragusa, dove erasi già rifugiato dall'ira del papa,
^ Pitti, Storia, lib. ii, pag. 104: « ... intra i quali Iacopo Salviati e Lanfrediao Laa-
fìredini lo consigliarono a non alterare in modo alcuno il Consiglio grande ».
■ Pitti, Storia, lib. ii, pag. 106.
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SBCOKDoJ PERSECUZIONI CONTRO I SODERINL 590
non potendo aspettarsi onesta accoglienza presso al re di Fran-
cia.i II ritratto di lui, appeso già per voto nella chiesa de' Servi
innanzi all'altare dell'Annunziata, ebbe ad essere squarciato e
tolto via.* Confinarono poi Giovanvittorio Sederini a Perugia
per tre anni, e altri tre nipoti di lui e di Piero, uno a Napoli,
l'altro a Milano, il terzo a Roma. Madonna Argentina rimasa
sola nelle Murate, stavasi, come dicevano i mordaci « più bella
che mai ». Eppure, a certi frati dellosservanza che le avevano
fatto da cancellieri, toccò d'esser tenuti parecchi di ne' ferri in
prigione; 3 altri tre frati di Santo Spirito per aver sparlato
andarono a' confini; i piagnoni, pel dolore di tante sciagure non
profetate andavan mogi; parevano aver rinnegato quasi il Sa-
vonarola, e i domenicani di San Marco « aver perduto il vero
lume». La sala del gran Consiglio, fatta edificare da fra Gi-
rolamo, erasi ridotta a quartiere di mercenari; il popolo non
poteva più nulla; e la città ciarliera, poiché molte persone già
autorevoli si trovarono rabbassate, e ciascuno avea tempo da
uccellare al paretaio, non dovendo né consultare d'affari pub-
blici né render voti, proverbiava : < ecci assai che di lume di
torcio, sono diventati lumicini », — « sonci rincarate le corde
da ragna, e rinvilite le fave ». ^
A Niccolò Machiavelli non era rimasto di tanti oflSci altro
luogo che quel di cancelliere della seconda cancelleria; ma
anche in questo non fu tenuto a lungo. ^ Oculatissimo, aveva
preveduto la rovina, s'era arrabattato quanto poteva per en-
trar nell'animo del cardinale de' Medici, p^r provarsi uom di
fede. Implacato contro de' nobili, che per l' imprudente loro
cospirazione avevano messo in mano la vittoria ai Palleschi ; im-
i V. QuicciABDiNi, Opp. iiMdite^ VI, pag. 123. Luigi a Fr. OuiedaréUni, 23 ottobre
1512: « è comune opinione che Piero Sederini e cosi li altri osservino i confini, e che non
andrà, come per molti si stimava, in Francia, per non essere in buona grasia apresso del
Rè». — Cambi, MarUf loc. cit., pag. 835. — Pitti, Storie, pag. 107.
* Odicciardini, Opp. inedite, ti, pag. 147 e segg. Leti, di ter Pandolfo de* Conti a
Fr. Ouicciardim,
* PriniA del parlamento e finché l'oppressioBe della libertà non tu ceru, anche alla me*
moria del Soderini si usarono maggiori riguardi. A Oiovan Battista dei Bartoli, capitano
di Cortona, scrìvevasi « die xij sept. »: — « et circa allarme di Piero Soderini che è sopra
la porta del palasse di cotesti S.ri Priori non habbiamo che dir nulla ; perchè non yellha-
uendo messa con ordine liro, tucto quello che ne delibereranno sarà bene deliberato ».
* OuicciABDiNi, ibidem.
> L* ultima lettera di N. M. nella cancelleria de* Dieci porta la data dei 25 d'agosto.
Cf. Vindice dei Minutari e Registri originali della Rep., contenente autografi del M. da
noi pubblicato in Appendice, n. it. — V. anche Fr. Mobdbnti, Diario di N. M., Firense,
1880, pag. 338. — Le carte relative ali* amministrasione pubblica nel tempo della libertà,
furono dai Medici riposte tutte nella cancelleria del magistrato dei Nove, secondo che ri-
ferisce il Pitti, Apologia àtf Cappucci, pag. 318.
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600 CAPO SETTIMO. [libbo
placabile come si suol essere con gli amici che passarono a
complici del nemico; con uno scritto pieno d'amarissima logica
bersagliandoli, s*adopró a metterli a' Medici in dispregio e in
diffidenza. I vincitori nutrivano intenzione di screditare la per-
sona del Soderini e, probabilmente, richiesero la cooperazione
del Segretario, che conoscevano poco ammiratore del gonfalo-
niere perpetuo, per riuscire, come dicevasi, « a scoprire i di-
fetti di Piero ». Ma il Segretario si schermi sagacemente da
questa proposta vile e perigliosa, e diede nuovo argomento di
quella fede verso il caduto, che gli pareva dovess'essere il mi-
gliore argomento alla considerazione di sé, presso i nuovi si-
gnori. — « Questo stato, scoprendo Piero Soderini, egli scrisse,
terrebbe reputazione a lui e non la darebbe a sé, ma a quelli
cittadini che gli erano nemici e che ne dicevano male, e fa-
rebbegli venire più in grazia del popolo, il che non é punto
a proposito di questo stato; perchè questo stato à bisogno di
trovar modo che sieno odiati e non ben veduti dal "popolo;
acciò che abbiano con tanta più necessità a stare uniti con lo
stato, e a quel bene e a quel male che starà lui. E se voi
ricercherete bene chi son questi che fanno questa calca, voi
conoscerete esser vero quello che io vi dico ; perchè pare loro
aver acquistato un odio grande colFuniversale, sendo stati nimici
di Piero, se non si trovi ch'e' sia un tristo e che lo meriti. E
vorrebbero purgare quest'odio per fare il fatto loro, non quello
de* Medici; perchè la causa della mala contentezza tra l'uni-
versale e i Medici, ngn è né Piero né la sua rovina, ma sì
bene l'ordine mutato ». ^
Similmente, quando vide che la Balìa ebbe nominato una
commissione d' inchiesta per riconoscere i possessori de' beni
de' Medici o presi in pagamento o comprati dal comune nel 1494,
per rivendicarli in ogni modo, rendendo loro il prezzo d'acquisto,
si permise scrivere al cardinale, raccomandandogli di non com-
piere un atto che avrebbe esposto la dominazione della fami-
glia sua a pericolo lungo, fatale e inevitabile; sconsigliando
il male all'uomo malvagio non già siccome cosa ingiusta, ma
come nociva, e rivelando gì' intendimenti del futuro autore del
Principe. ^
1 Machiatblli, Ricordo ai Palleichi del Ì5i2.
* Questo scritto, autografo neU* Archivio delle Riformagloni, fu pubblicato già dal Pas-
serini nel n. Wì del giornale politico io Statuto, a' 19 dicembre 1819. — Fu stampato
tra le Opere del M. solo nell'ediz. Usigli, a pag. 114/), la quale comprende undici lettere
del M. più che non sono nelle altre edis. delle Opp. di lui. Tre sole fra queste sono del
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secondo] N, machiavelli RIMOSSO DAGLI UFFICJ. 601
Niccolò chiudeva questo scritto con le seguenti parole : < Io
ricordo tutto con fede. V. S. R. secondo la sua prudenzia de-
liberi ». E il cardinale deliberò. I beni de' Medici furono ri-
conosciuti e rivendicati: della fede del Machiavelli non si seppe
che fare, ed a ragione. Essa pareva troppo franca, troppo lo-
gica, troppo intera per esser recente, a chi non badava che
era vecchia e che la venia di mestiere. La novella Signoria,
fatta dagli accoppiatori in novembre, a' di sette, cassò, privò e
rimosse totalmente dall' uflScio della seconda cancelleria e da
ogni ufficio ch'ebbe o fu solito esercitare come cancelliere dei
Dieci e per conto della loro cancelleria Niccolò di Bernardo
Machiavelli.^ Col titolare cadeva anche il coadiutore; così anche
Biagio Bonaccorsi soggiacque. Rilegati per un anno nel terri-
torio fiorentino, ebbero precetto e divieto per quello spazio di
tempo d'entrare in palazzo. Niccolò tuttavia ottenne permesso
un giorno del novembre, più largamente nel dicembre, un mese
a marzo e aprile, venti giorni a luglio di tornarvi a rendere
conti e dar necessario assetto a' suoi affari rimasti pendenti. ^
E per due anni almeno, in forza di proibizione statutaria gli
fu tolta ogni speranza di poter essere riassunto in quell'ufficio.^
A questo punto cessa egli di portar legittimamente il ti-
tolo di Segretario fiorentino, per prendere., a suo malgrado,
seggio tra gli scrittori e i filosofi della politica e della storia;
resto le inedite. — I cinque ufficiali creati per restituire le cose ai Medici, di cui si parla nel
componimento in questione, furono : Gherardo Corsini, Oio. Ridolfi, Bartolomeo Bonci, Ber-
nardo Gondi, Lorenzo Benintendi ; e vennero eletti a* di 29 settembre dalla Balia. Questa
data pertanto e* illumina rispetto a quella da attribuire allo scritto, che non ne reca. No-
tevole, che in questo si legga: «gli uomini si dolgono più d*uno podere che sia loro tolto,
che d*uno fratello o padre che fussi loro morto, perchè la morte si dimentica qualche volta,
la roba mai. La ragione ò in pronto; perché ognun sa che per la mutazione d'uno stato,
uno fratello non può risuscitare, ma e' può bene riavere el podere ; e se questo avviene ad
alcuno, avviene a' Fiorentini, perchò sono in genere più avari che generosi ». — Cf. col
cap. 17 del Principe.
^ Le deliberazioni relative furono pubblicata dal Passerini, Pref. all'Opp., voi. i, pa-
gine Lxxxiii. De* Prioriiti fiorentini che esaminammo, il solo che dia cenno della remozione
del M. dall'ufficio è quello da cui fu compilato il ms. ottob. 2147 (Bibl. Vat.), pag. 237:
« Anno d.o 9 novb. Mr. Nicolò Machiavelli Sec.rio della S.n» fu casso della balia et li fu
fatto sapere di non si partir di Firenze per x anni, et mr. Biagio di Buonacorso et ser Ni'
colò Machiauelli (erroneamente l'apografo Michelozzi) cancro de* X furono cassi de' loro
uffitii 9.
■ V. il testo di tutte queste deliberazioni, dato dal Passbbini, pref. all'Opp. del M.,
pag. Lxxxiii e segg. — Nella Bibl. Naz. di Firenze, doc. M., busta i, n. 69, si à di Niccolò
la Copia de' conti ds' dt^mila ducati di che le quietanze sono allegate, cioè Conto di 7 650
d'oro in horò hauti da la S.na per leuare fanti di Mugiello addi S8 di luglio Ì5i2 et
renderne conto di Nicholò di M. Bernardo Machiavegli; e il Conto di Nicholò di M. Ber-
nardo Machiauegli cancellieri^ di 500 ducati portò \seco quando partì da Firenze addk
Si d'agosto 1512 et di 1500 li fumo poi mandati da' dieci add^ 23 del detto mese per
saldare fanti e fare altre spese in Firenzuola et altroue ».
» Cf. Statuta populi et Comunis Florentiae^ lib. v, rubr. ccxxv e ccxcix.
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608 CAPO SETTIMO.
e a questo punto si termina il corso di quella sua ^ lunga
esperienza delle cose moderne >^ ch'egli presentò come propria
dote a Lorenzo di Pier de' Medici. Della « continova lezione
delle antiche », che insieme con quella egli aveva più cara e
stimata fra la sua suppellettile, qualche piccolo saggio avemmo
già occasione di togliere; ma resta ora a fame particolare e
piena disamina. La faremo ne' libri che seguitano, cercando
quel che del Machiavelli divenne post res perditaSj com'egli
diceva. * Non per questo ei potrà mutarci d'aspetto, che circa
a' quarantatre anni della sua vita, tutto l' uomo è in lui già
maturo, né v'à facoltà» recondita che debba ancor dare ger-
moglio. Di lui tutto l'uomo ci è noto. Noi lo vedemmo finora
impressionevole nel corpo e nell'anima, quando mutava il bel
cielo di Firenze pe' rigori oltramontani o per stanze meno sa-
lubri risentirsene facilmente, contrarre talora l' infernaità che
incontrava in quelle, e liberarsene ;3 cosi nella mente di leggieri
assimilare e fecondare ogni germe che trovava nelle circostanze
che lo attorniavano : francarsi, quanto potè, osservando genti e
paesi diversi, dal pregiudizio soggettivo; procurare d'immede-
simarsi con quel che gli appariva diverso, trovar appicco a re-
lazione, a comparazione con quello; sgusciarne, per dir cosi, la
causa intima; parlai:e colle parole degli uomini che avvicinava^
e dipingerli al vivo, lasciando trapelare le disposizioni sue al-
l'analisi or quasi da filologo, e ora da artista; ma dall'analisi
rapida e sottile risollevandosi pronto ad una sintesi comprensiva
e potente, a divinazioni e fantasie audacissime. I fatti per lui
* Machiavelli, Dedicatoria al m.eo LorenzOf premessa al libro del Principe.
■ Bibl Naz., doc. M., busta 1*, n. 78. Sulla coperta d'una relazione del M., circa lo
stato di fatto in cui trovavamsi le milizie, quando egli incominciò primieramente a descrì-
verne, si legge il titolo, scrittovi probabilmente quando egli riordinava le carte, restate
presso di sé dalla cancelleria. « La cagione dell'ordinanza, dove la si trovi, e quel che
bisogni fare. Post res perditM ». Vedi la nota 1', a pag. 361.
« Cf pag. 300; 433; 503.
* V. Estratti di lettere, ed. ult., voi. ii, pag. 156. Il re di Francia dice : «a ceste beare,
tout est gagnd ». — Lo Chaumont (v. a pag. 302): « non de rien dotte ». ~ « Quando avranno
fatto a Pisa la prima, seconda e terza stazione, che cosi la chiamò » (station per ms-
Sion). Legaz. xxxiv, lett. IS, ed. cit., voi. vi, pag. 166. — E (Leg. xxxii, lett. 22): « ha
comandato banda e retrobanda per la guardia del rè» (ban et arrière-ban, per retimologia
delle quali parole v. D'Abbois db Jubainvillb, La langue franque et le francais nella
Romania, 1872, pag. \4\). — tì6' Ritratti di Francia: «Denari due per uomo per i lingi.-
— ... e sono tenuti a mutare detti lingi. — ... i tesaurierì tengono Vargento e pagano se-
condo Tordine e discaric?ie de* generali (ed. cit., voi. vi, pag. 310). — « Piero da Fossan
che travaglia mercanzie co' Fiorentini » (legaz. xxiv all' Imp., voi. n, pag. 258, lett. 2>). —
E nella leg. al signor di Piombino « autorità di trattare e consertare, che questo vocabolo
disse clys usavano (i Pisani) », ed. cit., v, 388. — Da Verona «die vij decembris» scrìve:
« sensi divisi inflno in ventimila persone fra contadini e altri foresti » (leg. a Mantova, v,
455-56). — Sull'Adige vede foderi carichi d'ogni qualità di munizioni»: da vuoter (mhd.)
futter (Commiss. all'Imp., lett. 12), ecc.
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SBCOKDo] CARATTERISTICA DEL M. SEGRETARIO. 608
cristallizzano in massime, e nelle massime egli stesso ripara
quando la contradizione lo inasprisce o lo umilia ;i ma guarda
bene di non irritare l'altrui vanità con sue regole, e si con-
tenta scaltramente stillarne e ravvolgerne, come nocciolo, in
esempi. Dagli uomini sopporta ogni cosa* men che V inconse-
guenza, r inoperosità, le mezze misure. {Tra' forestieri ama e
comprende in una comunanza d'amore l'Italia; ma di qua dal-
l'Alpi non può amare più che Toscana e Firenze. À visto cader
Genova, e n'à goduto; Venezia, e l'à procurato; Pisa, e s'è
affaticato ad opprimerla; ed ora ch'ei vede Firenze ridotta al
capestro anch'essa, si domanda se proprio non siavi rimedio al
suo e al comune dolore. Tale ei ci si manifesta come Cancel-
liere dei Signori e de' Dieci; tale come testimonio e giudice
de' fatti ne' Quali ebbe maneggio, ne' quali gittò l' impronta del
suo pensiero/ Resta ora di ricercare in questo la traccia e l'ela-
borazione del pensiero antico; diversa, e vedrem di quanto, da
quella de' contemporanei di lui, che quella medesima antichità
idoleggiavano.
* Cf. a pag. 264; 337, ecc
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AGGIUNTE
Poiché, secondo l'ordine logico che ci proponemmo nel con-
durre il nostro libro, la storia critica del machiavellismo, ri-
sguardato e come empirismo politico e come pregiudizio spe-
culativo, ebbe ad occupare il principio del nostro lavoro e a
servire in certo modo d'introduzione generale al libro; segui
che, dopo la stampa di quella parte, essendoci venute a mano
opere da noi o vanamente cercate o non conosciute per l' in-
nanzi ; originarono nuove relazioni d' idee, non occorseci prima,
e la notizia bibliografica circa gli scritti risguardanti il nostro
autore e il sistema che da lui ebbe nome ci s'impinguò via
via. Né pertanto ci parve bene differire di mostrare al lettore
la buona volontà e la cura che ponemmo in non abbandonare
senza ulteriori diligenze l'argomento trattato e la materia pur
troppo già impressa da un pezzo. D'altronde, aggiungendo queste
noterelle, siamo ben lungi dal credere di aver esaurito il sog-
getto vastissimo e dallo spacciar per compiuta la bibliografia
machiavellica. Ci basterebbe solo, per dir così, che ogni rami-
ficazione d'idee, rispetto al machiavellismo e alla critica del
Machiavelli, fosse rappresentata, e, possibilmente, dal suo ramo
principale ed originario. Il cortese lettore ci perdoni per quel
tanto che manca e ci aiuti, che gliene saprem grado di tutto
cuore, a colmar. le lacune.
Introdiu., pag. 4: Lo Chablbs, Étude» tur U XVI siècle en France, p«g. 232, nota
fra le parole tolte a prestanza dall'Italia, per opera dei^ dotti e de' guerrieri : ^machiavé-
Uter, 80 conduire d'après lea préceptea de Machiavel »; e cita: «pour obtenir qaelqae hon-
neur au prósent siècle il faut machiavóliser. (Pasqibb) — Ce mot est perdo ; machia vélisme
est reste » — pag. 5: Oltre il « machiavólisme maritai » del Balzac, TAddison (Spectator,
tomo xn, n. 561, pag. 64), nell'Account of the WtdoiM Club, accenna ad nn machiavel-
lismo vedovile : « The politics wich are more cultivated by this society of She-MachiaveU,
relate chiefly to these two pomts, how to treat a lo ver and how to maaage a hosband ». —
Il OoBTHB {Sfirticìie in Proiaf pag. 1*61) argutxunente proverbiò del panteismo poetico :
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AGGIUNTE. 605
« Alles spfnozistische in der poetischen Production wird in der Reflexion MachiavelliHinus ».—
P. Janbt {Hiat. de la Bcience polUique dans 888 rapporta atsec la morale (1. in, e. 2, pag. 112),
qnantanqne affermi che « le machiavéliame ne repose que sur dea équivoques » (cap. i, pag. 36),
consente nel pregiudizio vecchio de* suoi connazionali : « Nous avons dans notre histoire
deux grands crimes qui sont une Adele et rigoureuse application des doctrines de Machia-
vel ; Tun monarchique, Tautre populaire, la Saint-Barthélemy et les Massacres de septembre.
Machiavel eAt approuvé Tun et Tautre; ils sont l'un et l'autre conformes
à ces principe 8 ». — Riconosce (pag. 50) che « Machiavel rendit à la politique le méme
service que Dante à la poesie : il la traduit en langue vulgaire. Le premier il traita de la politi-
que réelle, et substitua l'étude et Tanalyse des faits à la discussion des textes et à Targumen-
tation à priori 9. — E pone tra i partigiani di un « demi-machiavéliame » (pag. 9Q) il Descartes,
« le fondateur de la philosophie moderne », a cagione della sua Lettre à la princesse Elisabeth
Pbscabtbs, (EuvreSyed. Cousin, t. ix, pag. 387). — L'autore di uno dei migliori saggi della cri-
tica francese, rispetto al nostro scrittore, Ce. Lafatbttb, Dante, Michel-Ange, Machiavel,
Paris, Didier, 1852, pag. 305, sentenzia: « Le nom de Machiavel, enrìchissant étran-
gement les langues qui lui ont empninté le mot VMtchiavéliaméf livre encore ai\|ourd*hui
aux serres sans pitie de Toutrage la doublé immortalité d'un horame et d'une idée ».
— pag. 10, nota 1": Circa al machiavellismo di Elisabetta d'Inghilterra, v. Mattbr.
Histoire des doctrines morales et poUtiques, voi. ii, pag. 39; ibid., pag. 45. Similmente,
nel Catolicon | Francois | ou | plaintes des deux cTiasteaux | raportées par | Rbnaddot,
mai8tre du bureau \ d'adresse \ m. dc. xxxvi, a questo modo è tratteggiato il machiavel-
lismo del Richelieu (pag. 71): «Tu te sers de la religion comme ton precepteur Machiavel
fa monstre que faisoient les antiens Romains, la toumant, virant, revirant, l'expliquant
et l'apliquant selon qu'elle sera d'humeur chaussante à l'avancement de tes desseings. Ta
teste est aussi preste à porter le Turban que le chapeau rouge, pourvn que les Jannis-
saires et les Bachatz te trouvent assez honneste homme pour t'eslire leur Empereur ». —
E (pag. 113) al cardinale medesimo si pone sulla bocca: « J'estime fort la France et trar
vaille tant que je puis à sa conservation, mais j'ay plus d'interest à la mienne. Mon pre-
cepteur Machiavel m'a donne ceste lecon et ne l'oubliray jamais: qui faict les affaires
d*autruy est un coyon, qui faict les siennes est uà galant homme ». — Tra i furori della
Fronda il machiavellismo diventò facilmente mazarinismo. Nell'opuscolo intitolato Le De-
reglement de l'Estatj mdcli, pag. 30, si legge: « nous ne sommes que trop sgavans dans
les souplesses de la Cour, depuis que le plus scelerat des mortels y a fait glisser la con-
tagion des intrigues Italienes pour y corrompre la candeur Frangoise ». — Ma nel libello
La prise du bagage, meubles et cabinet de Maxarinpar lesHabitans de la ville d'Angers,
avec la liste de tout ce qui s'y est trouvé, à Paris, chez Anthoine Du Hamel, m dg lii, fra
i libri che compongono la biblioteca del Mazarìni si citano « les lettres d'Aristene tradnites
du grec en Italien et le Prince de Machiavel », il quale « tenoit en ce lieu là un rang de
prince » (pag. 7). — E nel Caiechisme de la Cour, à Paris, chez Philippes Clement, xf . no. lii,
ecco il credo satirico che vi si espone : « 1. Je croy au Roy pour mon interest, lequel est
tout puissant à faire agir toutes choses. 2. Et au Mazarin son unique favory. S.Quiaesté
concau de l'esprit de Machiavel, est né du card, de Richelieu ». — Ad appaiar il machia-
vellismo col gesuitismo contribuì probabilmente anche il libello dello Sdoppio, pubblicato
sotto il nome di Alph. db Vaboas, Relatio ad Reges et principes cristianos, de stratage-
matis et sophismatis politicis societatis Jesu ad monarchiam orbis terrarum sibi conficien'
dam, 8. 1., M. DC.XLi, in-lS», ove (pag. 45) si sostiene che « Jesuitae Regi suadent tyran-
nidem et vim injustam in alios ». — V. anche, contro al M., Saba da Castiolionb, Ricordi
ovvero ammaestramenti, Venezia, 1555, pag. 131. Fb. Hotomani, Epistolae, ed. Amsterdam,
1700, pag. 139, Lettera 99 a Rod. Walther, 25 dee. 1580: « Nam idem ille bonus typogra-
phus Pema, qui toties a magistratu ob impios et execrandos libellos a se impressos in
carcere detrusus fbit, detestanda opera omnia Machiavelli ab eodem ilio Stupano latine
conversa hic impriroit. Scis illa opera propter tam apertas in Mosem et Christum blasphe-
mias ne in Italia quidem aut imprimi aut divendi licere. Wolphiits nuper Augustae mor-
tuus in suis commentariis in Tuscul. quos anno superiore mihi donavit, Machiaveilum scele-
rum, impietatum et flagitiorum omnium magistrum appellat, ac testatur illum quodam loco
scripsisse sibi multo optabiliua esse post mortem ad inferos et diabolos detrudi, quam in
coelum ascendere », ecc. — A questo proposito è a ricordare quel che riferi già il Busim,
Lettere al Varchi, pag. 241: « Qui sono state vietate e proibite a vendersi tutte le opere
del nostro Machiavello, e voglion fare una scomunica a chi le tiene in casa; ma sino a
qui nessun libraio ne può più vendere sotto gravi pene. Dio aiuti il Boccaccio, Dante, e
Morgante e Burchiello ». — Cf. Joan db Salazar, Politica «spanoto, Logrono, 1619, pag. 45 :
« No son las reglas, i documentos del impio Machabelo qde el Atheismo llama razon de
Estado », ecc. — Gasp. Zibolbrds, Circa Regicidium Anglorum ExercitationeSj aceedit
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606 AGGIUNTE.
Jacobi Scballbbi Disteriatio ad loca qitaedatn MiltonL Lngd. Batavonim, 1653 : « Qua ra-
tione excusari quodammodo potasi Nicolaus Machiavellua, yir saepe quidam improbi (acoo
il motto dal Manzoni posto sulla labbra di don Ferranta) sad tamen magni ingenii, quando
in prìncipa (e. 15, 17 at 18, ai da rap., e. 9) virtutis simulationam raligionisqua astamam
tantum spaciem principi sufBcara docat ». — Neil' Hippoliti a Collibus, Princep» eofui-
liarius Palatinui 9ive aulicxM et nobilU eum additionibus «I noti» polUieU Martiri Nau-
RATHS Jcii, Francofurti, mdclxx, pag. 180, si cita: «impoliti illius politici Machiavalli im-
pius dacalogus. 1. Raligio rationi status famulatur. 2. Pietatam quam non habet praa sa
farat. 3. Raligionam statui prò tampora congruantam falsis miraculis firmai. 4. Raligionam
Ethnicam crìstianaa praeferat. 5. Fortunaa non virtuti, casui non Dao falicitatam adscrìbat.
6. Mojsis authoritatem at legam vi at armis, non fida at dao nixas fuissa cradat. 7. Status
sarvandi ampliandiqua causa cum dabaat omnia jura parfringara, ad omnam ventum vaia
vertara paratus sii. 8. Cradat virtutas, si sampar vara adsint at sarvantur, pamitiosas, ai
inassa putentur, fructnosas. 9. Belli justitiam in ao, quod sibi utile vidatur, statuat. 10. Ty-
rannum aliquem insignem imitetur, contempla crudalitatis fama, immanitatem uno impala,
sansim varo benaficanliam axarcaat. Abar aufiT das jenig so diesar ungahobalte Esali
Machiavell affricta fronte at quadrata ohnvarsch&ml heraus blatsat, hai kain radlich
Chrìstlicb Oamulh su sahen ». — Similmente il Rbink, Biblisch» Polieey, confutando, a suo
modo, che il principe debba lutto veder di per sé, come un principio machiavellico (cf. Pnw-
cipe, cap. 23), esclama : « abar diase Machiavallische principia stimmen mil dar Biblischen
Policej und gesunden Vemunfit nicht Uberein ». ~ Il Bobbi, nella Chiave del QabinsUo,
con breve relazione della sua vita ed istruzioni politiche, Colonia, 1681, pag. 31-37: « Il
politico M. che creda che la promessa fatta par forxa non si devono mantenere, fa appunto
come gli amanti trasportati da passione amorosa », ecc. — Nell^opera Des Satyre* per-
sonelles, traiti Mstorique et eritìque de celici qui portent le titre d'anti, Parigi, 1689,
in-12<>, si parla dell'antimachiavello, nel tomo n, pag. 129-130. — Il Lr Noblb, neU*.ffts-
toire secrHe des plus fametuea eonspirationst Parigi, 1698, dichiara, rispetto al M.: « c*est
sur les idées de ce grand homme, que j*ai compose un traile polilìque des conspiralions ».
— Nel Giornale de* letterati, f. xlv, 1732, art. v, pag. 115, il libro del Principe si giudica
ancora come una satira. — Nella Scelta di lettere familiari di Gius. Babbtti, Londra,
1769, voi. I,' Lettera del conte Scamaflgi al march. Orisella di Rosignano, pag. 112-194,^
il M. vien dipinto come repubblicano a monarcomaco. — V. ibid. la leti. 21 a 22, a la 33,
di Giangrisostomo Tappali a Gofiredo Franzini, in cui si sostiene che la lingua degli scrit-
tori d* Italia debbasi dir italiana e non toscana a fiorentina, contro il M., pag. 215-257. ~
Il Babàbb {Afemoires, an. 1796) chiama il Direttorio « iropuissant, divise, et imprévojajrt,
à qui la revolution n*avait donne aucune expérience, at a qui les réactions avaienl légué
un héritage de vengaancas et de machiavélisme qui devail le faire succomber tòt ou lard »,
e raccoglie da un giornalista inglese « les principes machiavéliques » del Tallejrand « dans
sa dernière conversalion, pendant sa maladie» {Memoires, l. iv. pag. 417, edis. dì Bruxel-
les, 1844. — Nelle Lettere dei Dr. A. e Dr. B. airEsBLiNo, pubblicate a Lipsia nel 1851
col titolo Europa und Nordameriha, si contorce il significalo dei pensieri dal M. a si pren-
dono strani abbagli intomo a lui ; affermandovisi ch'egli (pag. 6) « als rechtglaubiger Ka-
tholic und Verehrer des Papslas lebte und slarb »; a pag. 30, domandandosi che cosa può
il M. insegnare circa le scuole popolari, il diritto di riunione e la libertà di stampa; a (alla
32) congetturandolo suddito fedele e devoto al polare temporale de' papi, a ragguagliando
mala con la massima di lui la idee democratiche dell'America dal Nord. — Un altro cu-
rioso opuscolo, relativo al machiavellismo di Napoleone il piccolo, è intitolalo Dialogues
aux enfers entre M. de Montesquieu ou la politique de Machiavel au XIX siede par
un eontemporain (Maubicb Jolt). I dialoghi sono in numero di ventiquattro. Nel set-
limo, a pag. 70, si mette sulle labbra del M. medesimo un enuncialo che rivela e il
pernio e l'intima natura dell'opera: « Machiavel, gli si fa dira, aujonrd'hui a des petit»
fila qui savanl le pris de ses le^ons. On me croii bien vieux at tous les jours je rajeunls
sur la terre ». — A pag. 61 si designa il De Maistre come uno « des plus illustres parti-
sans de M. ». ^ Una machiavelUana, ispirandosi alla recanti venture dell'unità d' Italia,
cantò Antonibtta Saccbi Pabbavicini (Firenze, 1871). — Comparva finalmente nel 1831
un periodico politico quindicinale in Bari, intitolandosi il JfacAtavtflZi; ne' primi tra numeri
del quale il Segretario fiorentino, indirizzando sue lettere « ai ministri dal ragno italico »,
li consiglia e redarguisce non senza acume, non senza qualche sapore machiavellesco su' re-
centi casi di Tunisi. — Finalmente d'un machiavellismo poliziesco, il più abbietto fra
tulli, si dio cenno nel Giobbe del Balossabdi, Voce di poliziotti, a pag. 81. — Un pa-
rallelo satirico, anzi sarcastico, tra l'antico Segretario fiorentino e un toscano segre-
tario, comparve nel Piovano Arlotto, t. in, pag. 211, Firenze, 1859-60. — A chi percorre
VEinleitung zur Geschichle des XIX Jahrhundert del Gebvinos, apparisce manifesto lo
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AGGIUNTE. «07
influsso delle dottrine machiavelliche nel chiaro scrittore della GesehichU der fiorentini-'
sehén Hiatoriographie. — Altri scritti più recenti che concernono il M. sono : Contini, Rs-
Iasione del IV centenario di N. M.^ Firenze, 1869. A. Nota, La politica di N. M., Siracusa,
1871. Le Mastime religioie ettrcUte fedelmente dalle opere di N. Jf., Modena, 1869, recano
per epigrafe : « Se non volete esser figli della Chiesa cattolica, siate almeno discepoli del
!£. ». e intende colle testimonianze medesime del grande scrittore a combatterlo, e dissuadere
la ristampa degli scritti di lui -> A. Bouu.ibb, Études de poUtique et d'histoire étran^
gère9, 1870, pag. 249-263. — E. Lombardi, Delle Atlinenxe ttoricì^ fra sciente ed arti in
Italia, pag. 400 e s*igg. — C. Pbbbiconb, Considerazioni su N. Af., Siracusa, 1871. —
O. Caumo, Sul libro del Principe, Verona 1871. — Fa. Costbbo, Prof, al Principe, Mi-
lano, 1875, a pag. 14 scrive: « corre una grandissima differenza tra la massima: il fine
giustifica i mezzi, e Taltra: i mezzi sono giustificati dalla santità del fine » (7). — L. Rua-
aiEBi, Studi sopra N. M., Palermo, 1876. « Il M., dice Tautore (pag. 34), immagina Tori-
gine dello Stato come la filosofia del sec. xviii, stabilendo l'ipotesi di una vita selvaggia,
precedente alla civile convivenza, ma egli non incorre neirerrore di Rousseau e de' suoi
segnaci, di tenere cioè come una contingente fattura deirarbitrio individuale l'esistenza
dello Stato ». Afferma poi (pag. 96): « che non è a maravigliare se, con l'applicazione del
metodo induttivo, egli non abbia potuto scorgere la legge della perfettibilità umana ». ->
L'Hbttnbb, Zur Geschichte der Renaissance, Braunschweig, 1879, scrive, con notevole
regresso dal punto di vista della critica tedesca, intomo al libro del Principe: « aber ein
nichtswilrdìges Buch ist es und bleibt es; ein grauenhaftes Zeugniss, wie weit sich das
Italien der Renaissance von der Hoheit und Reinheit der sittlichen und politischen Ideale
Dante*s und Petrarca's entfernt hat, und wie der sp&ter von den jesuiten verkUndete Qrund-
■ats, dass der Zweck die Mittel heilige, nur die epigrammatische Zusammenfassung der
allgemeinen durcb alle Volksscbichten verbreiteten Sittenverwilderung und Oewissenslosig*
keit ist». — C. O. Paoani, U VUle di N, M., nel Fanfulla della domenica, 1879, n. 20,
riferisce tradizioni campagnuole sulla presenza di N. M. e della sua famiglia in una villa
a Sant'Angelo in Bibbione. — Nella Rassegna settimanale^ voi. iv, pag. 444-6, jxixpòs esa-
mina il contenuto nel capo ii, lib. i, de' Discorsi di N. M., « di quante specie sono le re-
pubbliche e di quale fu la rep. romana».— Pibtbo Mobblli, Saggio critico sul Principe
del M., Cesena, tip. Naz., 1880. — E. Gp.bhabt, Discours sur M., letto alia Sorbona, 1880.
Manvbbdo, N. M. e le donne, nella Cornelia, rìv. lett., an. viii, n. 15, agosto 18S0. — I.
Clazko, Causeries florentineSt 1880, designa con spiritoso epigramma il M. secondo il verso
dantesco (Parad., xi, 69), siccome « colui eh* a tutto il mondo fé* paura » ; e aggiunge :
« lui aussi presenterà au monde un idéal politique, un idéal que se transmetteront les sié-
cles. Lui aussi, il divinisera l'idée de TÉtat; mais cet État il le tiendra quitte de tout
honneur et de tonte vertu. Lui aussi il exaltera les anciens Romains, mais non point pour
leur désinteressement imaginaire ni leur patronage benèvole... — L*unité du genre humain,
la solidarité de la famille chrétienne lui paraitront des mote depourvus de sens, et il pro-
clamerà la guerre de tous contro tous. Il fera des voeux pour la venne, non pas d'un aigle
imperiai, mais d*nn loup et d'un lion (volpe e leone) unis dans la personne d*un tiran heu-
reux ; il ne demanderà à ce messie ni la paix, ni la justice, ni la liberté ; il ne lui deman-
derà que le succès; et son Cesar sera Cesar Borgia» (pag. 245). — Fb. Mordenti, Diario
di N. M.y opera favorevolmente giudicata dalla Commissione esaminatrice degli scritti pre-
sentati al concorso indetto nel quarto centenario machiavellesco. — G. Ricca Salerno,
Di alcune opinioni finanziarie del M. e del Guicciardini, nella Rassegna seti., voi. vii,
pag. 106. ~ Canbllo, Storia della letteratura italiana nel secolo X VI, capo ni. pag. 28-43.
L'autore opina « che se il Machiavelli à avuti, già vivo, molti detrattori, il motivo più
forte è forse da cercarlo, piuttosto che nell'apparente incoerenza politica, nella non troppa
dignità della sua vita privata » (pag. 41). Esclude che il Discorso, ovvero dialogo circa
la Unguaj se debbasi cMamar italiana, toscana o fiorentina, sia del M. L'attribuisce, con-
getturando dal Cesano del Tolomei, ad Alessandro de' Pazzi. — R. Mariano, Il Machia"
velli del Villari, acutissimo scritto, in cui si discute non meno la qualità delle dottrine del
M., che il giudizio che di esse rende il biografo. — C. Cipolla, Storia delle Signorie ita-
liane dal 1313 al 1530, pag. 930 e segg. — Esaminano M. come scrittore di cose militari,
oltre gì' indicati : E. Db la Babbb nu Pabc, Massime militari di N. M., traduzione ital.
con note di C. Mabiani, Milano, 1873. ~ C. O. Pagani, N. M. e la istituzione delle mt-
lizie nazionali, nella Rassegna settimanale, t. vii, pag. 106. — P. Db Cuppis. Sull'Arte
della guerra di N. Af., il quale cita le parole del Fabscb tìqW Inslruction militaire du
Roy de Prusse pour ses g ^n^raux che giudica « l'art de la guerre de M. ouvrage bien plus
estimable que connn, et dont le roj de Prusse paroit avoir adopté beaucoup des princi-
pes ». ~ I. RocQUANcouRT, Cours d'art et d'histoire militaire, t. i, pag. 157-161. ~ L. Vul,
Histoire abrèg'^e des campagnes moderneSf jusqu'en i880, Parigi, 1881, t. i, pag. 61. —
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608 AGGIUNTE.
Come autor comico : Signorelli. St. cr. d. teatr., iii, 208 e segg. <— Klbin, Geschichie des
Drama's, t. iy, pag. 414-471. ~ A. Graf, Studii drammatici, pag. 113-162. — If. aU Komò-
diendiehter, in App. aWAllgemeine Zeitung^ 1881, nel quale articolo, senza prove, si con-
clude che la commedia in versi, del pari che l'altra in prosa sensa titolo, sono recisamente
apocrife. — Db Odbbrmàtis, Storia del teatro drammaticOt pag. 288 e segg.; 533 e segg.
— A. Borgognoni, La Mandragola^ 1882, nella Domenica letteraria, n. 40, 46. — A. Mbdin,
La Mandragola, ibid., n. 41. — Come novellatore: E. A. Cicogna, Jtcrixioni veneziane,
t. V, 758. — Il DuNLOP, History of fiction, pag. 259-60, ed. 2*, il quale reca rorigine della
novella di Belfegor da un'antica storiella raccontata in un ms. latino « vhich is now lost,
but vhich till the period of the civil vare in France remained in the library of Saint-
Martin de Tours ». Ripete dalla novella di Belfegor l'argomento di due commedie inglesi,
intitolate l'una Grim, tìie collier of Croydon (1602), l'altra The marriage ofthe devil (1691).
— Il Paranti, Catalogo dei novellieri ital.^ pag. 203 e segg. — G. Passano, / novellieri
italiani in prosa, p. i, pag. 404-411.— Il Gargano, Intorno al concetto dell'autore detta no^
velia di Belfegor arcidiavolo^ innansi l'ediz. del Dotti, Firense, 1569. — C. Bbccaria^
Belfegor, N. M. iraÌYVicv latine vertit. Augustae Taurinorum, ex ofScina Alex. Fina,
M nccc LXXX.
A quello che già dicemmo rispetto al ritratto del M., a pag. M e segg., e nella lunga
nota a pag. 67-69, aggiungeremo che, rileggendo le Lettre» familièret écrite$ en Italie en
1739 et i740 dal Db Bbossbs, nella lettera 39 trovammo accenno che il ritratto del M..
il quale ora si vede nella galleria Doria, fu già nella Barberini, ove il De Brosses potò
osservarlo insieme ai ritratti di Bartolo, di Baldo e della Fomarina. Cosi che forse il ri-
tratto del M. che è in possesso de' Doria, fu già in mano de* discendenti da* Tafani di
Barberino, o levato o ispirato forse da un de* busti in terrecotta colorata. — Nella Rac->
colta poi, intitolata Choioc de gravurea à l'eau forte d'apre» lei peintures originale* et le»
marbres de Lucien Bonaparte, Londra, Miller, 18S2, al n. 142 si produce un ritratto del M.
in mezsa figura, colla persona e il viso rivolto a destra, e la nota sottoposta Masaccio pinae.
Masaccio che, nato nel 1102, nel 1493 venne a morte! — Ai tanti epigrammi notissimi, in
lode 0 in vitupero del M., si possono mettere accanto anche i seguenti, men cogniti, rife-
riti nelle Deliciae quorumdam poetarum danorum, Lugd. Batav., 1693, voi. ii, che sono
di Enr. Hardbr (pag. 269):
Ad Maehiavttlum.
hatei philosophos docen nemo
Saecenu meliore t« Tidotor;
<)noi Tn diieipnlos, Hetnuce, formu,
Hi toli fere maToIunt, me^lfter,
<)aalee ezpetit eeee qnun TiderL
e a pag. 281 :
Ad «wfufen».
Seriptoree Uadantnr tb Uè, cnlpontar tb ilU«,
Non lubet hoc in te, MachiaTelle, loeain.
Te enlpat qnicumqae probat ; quM diwerii, artce
DìMere, doetorem diwimulare Ja^at.
81 laadem acriptie quaeiisti, falleria; bomm
Laudator rama, maltas amator erlt.
Ad 0und«m,
5on tu aoliia eraa illai qnl noweret artei,
8ed qui Tolraret tam bene primiu eraa.
Qvod ta TnlyaaU duduni placet atqne plaeebit
8ed qnod Tulgacti diaplicuiMe poteet
Nei Monumenti del giardino Puccini, pag. 273, è la seguente epigrafe, dettata da Pimno
Giordani: N. M. | maestro di libertà, di regno, di guerra | pittor di costumi, esempio
di facondia | gran peccato di fortuna | onore immortale d'Italia | ricevi questo monu-
mento I da Niccolò Puccini | ccLXxxxvin anni dopo la tua partita. — Circa le vicende che
toccarono al nome del M., rammenteremo che né\\* Apologia de'Cappuccif pag. 294, dal Pitti
e dal BusiNi, Lettere al Varchi, nella lett. xxrv, pag. 243, vien indicato coiraccorciativo
« il Machia », probabilmente per designazione popolare, originata dalla sigla « MacTa » che
solevasi apporre appiè degli atti nella cancelleria della quale era titolare. Laonde prende
abbaglio il Cattaneo nel suo Discorto intorno a N. M., Trieste, 1878, pag. 49, quando
dice che quegli « veniva da' suoi concittadini chiamato il Machia, la qual voce venne poi
usata coll'articolo femminino a significare furberia ». — Nell'ediz. parigina delle Opp. del
M-, fatta il MDCCLxviii presso Marcello Prault, a pag. xxxv leggesi neW Ahr('gé de sa vie:
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AGGIUNTE. 600
« Son nom étoit Nicolas Maclavel, dont les Italìens ont fait Machiavelli ou Macchiavellì ». (!)
— or Italiani invece non avevano neppure coraggio o libertà di pronuniiare quel nome. Il
Malàvolti, che, nell'edizione senese della prima parte dell' JTtJtorta dU Siena, fatta nel 1574,
« appresso Luca Bonetti stampatore dell* Eccell. Collegio de* Sig. Legisti, con licentia et
privilegio di sua altezza » (il granduca Cosimo), chiama « N. M. scrittore elegantissimo e
letterato »; nell'edizione poi della prima e della seconda parte, dedicata a Ferdinando de' Me-
dici e intitolata Hiatoria ds' fatti « gtterrB de*San»sÌ, Venezia, 1590, pag. 4, lib. i, al luogo
sopra recato Io cita indicandolo come « altro scrittore, al quale non è lecito al presente
dar nome »; e il Faoiuoli, RifM piacevoli, Firenze, 1729, per evitare di menzionare il nome
abbominato, in luogo di
Bmehfc diean persone Mereditate
Che U «ia lioria, già ohe il MaehiaTello
La neconte con troppa Teritate,
sostituì « Ch'ella sia storia, tanto sta a martello ». ~ Recentemente O. Rbvebb, Osiride,
pag. 177:
Niccolò Machiavelli, il tno eaaato,
Se retimologia Tal qualche eoea.
Tiene dai mali chiodi diviato,
Kd origin codaeta i gloiloaa.
e celiando apostrofa il Segretario fiorentino:
a moetrarti largo e figlio degno
IH lei, ch'ora il eveechia e rinnovella,
Col Mono antico le laaciaeti i ehiodL
Sul Baretti, anno xi, n. 50, si leggono ancora Aue Sonetti di B. Boccàbdi intomo al M.,
in cui si celebra « l'acre saver che si distilla Dalla sua penna in un maligna e pia ». —
Ravvisammo nello scritto del Zibolbb il motto posto dal Manzoni sulle labbra di don Fer-
rante; quello di Gino Capponi, da noi riferito in nota a pag. 60, trova riscontro per via
d'antitesi in quel che M.in« Roland {Mémoires) riferisce intomo al Brissot: «il juge bien
l'homme et ne connait pas du toot les hommes ».
[A pag. 101] — Le lettere e la musica dovettero pertanto
essere probabilmente studio simultaneo anche della giovinezza
di Niccolò.*
* Nel ms. vaticano 5225, voi. ni, fog. 673, che contiene una miscellanea poetica del
secolo XVI, si trova un sonetto di N. M. che possiamo certamente risguardare come dei
primi componimenti di lui, non privo di pregi. Questo è da Niccolò indirizzato *adM. Ber^
nardo sito padre, in villa ad S.o Caaciano ». — Fu pubblicato dal Villabi, op. cit., voi. in,
pag. 414; il quale non avendo consultato da per so il manoscritto, ne die una lezione non
corretta, ed ebbe però a trovar « non facile » la interpretazione di esso ; tanto da parergli
« che in alcuni punti, specialmente nella prima terzina, riesca oscurissimo ». ~ Similmente,
poiché chi comunicò a lui la notizia di questo componimento, non si sovvenne forse a me-
moria degli altri scritti poetici del M., lo informò soltanto che nel ms. indicato si tro-
vavano, oltre a questo, l'altro noto sonetto (pag. 074) « Io ho. Giuliano, in gambe un paio
di geli » e (pag. 605) il Capitolo dell'ambizione, che in detta raccolta capitano contra-
segnati col nome del Machiavelli; senza rilevare che vi si trovano ancora (pag. 518) il
cosi detto Capitolo dell' Occasione, intitolato « Uno che parla a Fortuna »; e l'altro Cap.
di Fortuna (pag. 581t), e quello àéiV Ingratitudine (pag. 667-671). — Ora noi, ripub-
blicando il sonetto precedentemente sconosciuto, invitiamo il lettore a ponderare l'aria con-
fidenziale, scherzevole, burchiellesca, che Niccolò affetta verso il proprio padre, e l'accenno
a un messer Daniello, come a giudice, cui la famiglia rivolgeva efilcacemente contro
messer Bernardo le sue rimostranze ed appellazioni.
Niccolò ìiaehia«Mi ad M. Btmardo 9uo paàire
in uiOa ad 8.o Camino. (1)
Coetor ulaenti aono un meae, o pine
a noce, a llehi, a fané, a carne leeea (2)
(1) Hi: " Caieaao , —
(3) Ms: * leccha, dloceha, leeeha, treeeha „ —
ToMMASmi - MaehiafMlU. 39
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610 AGGIUNTE.
Ul ch'ella fla malitia «t non cilecca
el far »\ (3) lanya stanza costà sue.
Como '1 bue flesolan (4) guarda a l'angihe (5)
Amo, assetato, o'mocci se no lecca
così fanno ei de l'ooua ch'ha la trecca
et col becchaio del castrone et del bue.
Ma, per non fare afamar le marmegge,
noi faren motto drieto a daniello, (6)
che forse già u'h qualcow che legge
Perchè mangiando (7) sol pane et coltello
fatti habian becchi che paion d'aeegge,
at a pena tegnan gli (8) occhi a sportello
Dite ad quel mio fratello
che uenga ad trionfar con esso noi
l'oca (9) eh'hauemo giouedi (10) da uoi
Al fin del gioco (11) poi,
messer Bernardo mio, uoi eomperrete
paperi et oche, et non no mangerete.
risiB.
[Pag. 121-22] — Restava che il re dicesse: « andiamo
adunque dove ci chiama la gloria della guerra, la discordia
de' popoli e gli aiuti degli amici », come il Machiavelli retto-
ricamente gli fa dire ; *
* Imitazione da Svbtonio, in lulius Caesar^ 32 « Eatur, inquit, quo deoram ostenta et
inimicorum iniquitas vocat: iacta alea esto )». —
[Pag. 156. Nota]
E non ne dice altro. Ma negli Estratti di lettere^ che furono lavoro preparatorio alle
Storie^ scrive (ed. ult., t. ii, pag. 263): «Aveva offerto Pagolo, sentendo e* bociamenti,
stare alla ripruoua che non aveva errato — Fu Pagolo condotto a Firense, et morto addi
10 d'ottobre ». —
[Pag. 187, lin. 1*] — «egli sembra avere attinto agli atti
autentici, di cui riferisce i sommi capi e le parole testuali >.♦ —
* V. Arch. fior., Carte del M. autografe^ di provenienza Zanoni. Da lettera di Fr.
Cappello : « Che fundamento si prese in sul fare il divortio di questo Re di francia con la
Regina sua donna, che haueua inanti questa di bretagna. vr Fran. Cappellus ». — E dal-
l'altra parte del foglio : « Quia sterilis, affinis, Comater, et metu ac vi Ludovici Regis dea-
pensata. Sed potior causa pretensa fuit sterilitatis, super qua obtinuit ab Alexandre pontiflce
Cansam committi jiidicìbus sibi propitiia et procedi illa repudiata invita et reclamante ». —
[Pag. 417, Un. 34. Nota]
.... nelle due diverse lingue. È pur notevole, a questo proposito, il seguente passo del
CoMiNBS, MémoireSf lib. v, cap. i : « Le R07 envoyoit aussi vers ces ligues d'Alemagne;
mais c'estoit à grande difficulté pour les chemins, et y falloit envoyer mendiens, pelerins
et semblables gens », ecc. —
(5) Ed. Tlllarì: " al far più Innra starna . —
(4) Ms: " flesolano , —
(6) Ha: " angue . —
(6) Ed. Yillari : - noi farin motto drieto od orniello [7] . -
(T) Ms:
" mancando « —
(8) Ms:
• glocchi , -
(9) Ms:
- loeha , -
(10) Ms:
- gouedì , -
(II) Ma:
-guoco.-
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APPENDICE.
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I.
(T. JntroduaUkHt, pig. 66).
Lettere dello Sdoppio.
1. (Gaspar Scioppio) ali molt'Ill." Sìgs il SigJ Giovanni Fabri medica
e simplicista di N.™ Sig.»^ — Roma.
(Roma — Archivio degli Orfani. Zattere d'Interassi diversi scritte ai sig. Dr. Oio.
Fabri medico da Bamherga^ to. 421, pag. 544). ^
S. P. Tuas accepi . nihil mihi neque ab Inquisitione neque a D. Bar-
tholino responderi tanto tempore, demiror. Vide quaeso quid rei sit.
Antonino Amico a me salutem plurimam scribes, cuius munus, de quo
scribis, multo mihi erit gratissimum. Poteris ei, cum erit occasio, Ele-
giorum meorum exemplar mittere, ut et siculis nonnullis innotescam.
Corniti Nassovio proxime scribam de nomine rev.™» d. Vives. D.
Gezius Velsenj scripsit titulum Consiliarii D. Ramboldo jam tributum
esse, der quo ei verbis meis gratuleris volo.
Exiit Bononiae novus Index libroram prohibitorum, in quo extant
lusti Lipsii opera et Squittinium della libertà veneta, quod satis mi-
rari non possum, sicut e libris eisdem plara alia. Tu quaeso inquire
qua causa duos illos vetandos putarini Liber meus de stilo historico
superiore hebdomada extremam manum rocepìt. Jam occupor in dispu-
tatione de libris et doctrina Machiavelli. Doceo Ecclesiam justissimis
de caussis eos prohibuisse, sed non propter eas caussas quas ii volunt,
qui adhuc centra eum scripserunt, quorum nomo eius mentem aut con-
silium intellexit Spero me cum Inquisitioni satisfkcturum, tum perma-
gnam ab Hetruriae Duce, Florentinis, omninoque ab omnibus Italis grar
tiam initurum. Sed de hoc meo Consilio non nisi quibus tutissime credes,
dicas velim. Est enkn suspiciosum valde negotium « und dùrftt mancher
ein bòsen concept von mir machen, bis es heraus kombt ». — Abso-
lutum Magno Duci mittere cogito, ut ille det imprimendum et postea
cum Inquisitione agat, ut correctione aliqua adhiblta, vel potius decla-
ratione Machia vellum legi permittant* Confeci synopsin dialecticam libri
de Principe, ex quo manifeste patet longe alia mente verba illa lu-
brica et perìculosa scripsisse Machiavellum, quam calumniatores ^us
praecipueque Jesuitae clamìtani Ante Pascha spero librum absolutum
iri. Vale et amicos saluta. Mediolani 4 aprile 1618.
1 Non sarà inutile al lettore conoscere roccasione per cui Io Scioppio si determinò a
scrivere la sua Machiavellica^ secondo ci vien manifestato nel seguente scritto deirautore
medesimo. Questo conservasi ora nella Libreria Laurenziana« unitamente alle altre opere
dello Scfopplo che appartennero già alla biblioteca del conte PleruccI, acquistata dallo Stato
e trasferita in quella libreria il di 18 giugno dell'anno^ 1816. Il Bandini nel Commentario De
Vita et Scripti» Joh, Bapt. Donii ne die notizia. Nella pref. messa innanzi airediz. delle
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614 APPENDICE.
2. Al molt'Ill.'o SìgJ il SìgJ Giovarmi Fabri medico e simplicista di
N.^'o Sig,^ — Roma.
(Arch. degli Orfani. Lettere al aig. Dr. Giovanni Fabri medico da Bambergafto,i2l).
S. P. Paracelsica tua, si apud vos essem, libentissime viderem, ma-
xime si quae Paracelsus more suo involucris texit, ea Terrentius ho-
minum more et quotidianis verbis exposuit; quod utrum factum sit,
Opp. di N. M., Italia, 1828 si accennarono 1 titoli di quelli scritti che particolarmente rlsguar-
dano il M. —
(Firenze, Libreria Laurenziana — Manoscritti di Gaspare Scioppio, voi. xii, n. 10).
Verba Gasparis Scioppi
in libro qui inscribitur : Macchiavellicorum operae pretiunij quem absolvit mense Maio
anni 1619.
— «Anno 1615 in celebri Germaniae oppido tragedia de Leontio Comtte Italo, Machia-
velli discipulo, in maxima spectatorum frequentia fuit acta, cuius Scena VI. Partis I
huiusmodi argumentum typis descriptum legitur : Aliquot Germani Barones ac nobiies apud
exteros Machiavellismum addiacuntf exultantque gaudio^ ae tam excellentem philO'
sophiam ac sapientiam in patriam referre. Simul ergo librum Macfiiavelli legunt, et
gimplicibus auis Germania eomminantur, facturoa ae, ut eoa quoquo velintt naso circum-
ducant. Nimirum si Poetae isti fides est, in Italia, quam Ribadeneira primum Machia-
vellicorum praeceptorum Seminarium facit, Germani haud aliud lucrantur, quam quod
ìngenuitatem missam faciunt, libidines contra, fraudes, perfldiam et impietatem discant.
inque patriam reversi aliorum simplicitati illudunt. Atque hac re (Ieri apparet, ut pa-
rentea, fide id genus poetis habita, in Galliam potius, quam in Italiam excolendi causa
ingenii liberos ablegent. Ego Gallicam peregrinationem nequaquam damno, si ea sit aetas.
quae vel domestica magistrorum cura adhuc regatur, vel tam firmi sit iudicii, ut vir-
tutes Gallorum a vitiis intemoscere, et alba^ quod aiunt, linea aignare possit. Italioam
poetae isti dissuadere non possunt, quin vel invidiam erga Italos et qui ab ^s aliquid
dldicerunt, vel summam rerum iam pervulgatanun imperitiam prodant. Quae est enim vel
scientia, vel ars libero digna, sive ad utilitatem generis humani referatur, sive voluptatem
aliquam honestam et concessam efficiat, cuius non clarissimos doctores magno numero
Italia produxerit, et hodie quoque producati Numerent, si placet Theologos, Juriscoa-
sultos, Medicos, I^ilosophos, Oratores maxime rerum sacrarum ad populum interpretes.
Poetas, Politicos, Oeconomicos, Arithmeticos, Musicos, Calligraphos, sive literarum facien-
darum arti/ìces, Pictores, Architectos, Sculptores, Statuarios, Comicos, equites sive
equorum doctores, gladiatores an lanistas, saltatores, carptores seu ciborum scissores:
maximum horum numerum Italtae deberi, et hodie qui unum qnodvis istorum probe discere
cupiat, eins rei facultatem in Italia paene sola, plus certe quam usquam alibi tetranini,
contingere invenient. Quid iam de iudicii acrimonia commemorem, quam omnium nationum
consensus Italiae nitro tribuit? Ego certe Italos vix mediocriter doctos elegantios
rectlusque de literis, quam consummatissimos Transalpes earqm professores, non raro
indicare comperi, neque non faveo eorum sententiae qui Transalpinos censent, si !n Italia,
praesertimque Romae non fuerìnt, neque Italorum hominum usu iadicinm subegerint aut
perpoliverint, non modo multa in Graecis ac Latinis auctoribus non nisi per nebulam et
caliginem perspicere et intelligere, sed saepe etiam alieno aliquid tempore aut loco, vel ultra
aut citra, quam oporteat, facere ac dicere, neque a insta Ineptiae reprehensione abesse posse.
Quid de virtute Illa dicam, cuius in consuetudine sive conversatione hominum qnotidianus
QSQB est, quam sive Civilitatem, sive Concinnitatem aut Decentiam moram voces licet, qua
qui praediti sunt, omnia cavent, quae sensibus, praecipue extemis, eorum, quibuscum ver-
santur, molestiam afferro, vicissim vero praestant omnia quae gratos reddere et commen-
dare aliis solenti An est quisquam, qui laudem eius virtutis sic Italiae propriam negare
ausit, ut si quis alterìus cuiuavis nationis ea sit praeditus, qui in Italia non fnerit, id intar
prodigia numerari mereaturl Neque ego tamen istis Italorum obtrectatoribus adversatus
fuero, si eorum dicant exempla posse memorari, qui non modo nthilo maiore morum con-
cinnitate, sed etiam multìs vitiis onustiores et deteriores quam illuc venerant, ex Italia
redierìnt. Verum id nullius magis, quam ipsorum culpa evenisse scio, quippe qui vel iam
astate corroboratiores Italiam venerint (quod genus hominum emendari, et ineptisstmis
quibus innutriti sunt opinionibus ac moribus liberari vix ullius hominis arte aut ingenio
potest: nolunt discere, qui nunquam didicerunt, et nisi quod ipsi faciant, nihil rectum pu-
tant) vel in Italia cum popularibus assiduo una fuerint, et Italicae peregrinatlonis fructum
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APPENDICE. 615
certior fieri uolo. Ego magni Paracelsum facere coepi, postquam Thomae
Bovii nobilis veronensis fulmen adversus medicos rationales, melampy-
gum et flagellurn medicorum legi ; qui libelli nuper admodum apud nos
ringentibus Galeni asseclis recusi sunt, quos an legeris, quamque pla-
ceant, scire ex Te studeo. Accepi literas a Card. Millino, quibus significai
molestum esse collegis suis Inquisitori bus, quod mihi hoc tempore gra-
tificar! et Bartholomaeum Simonettam hospitem meum in sodalitatera
Petri Martyris cooptare nequeant; caeterum quaevis me officia a se
expectare jubet
Rev.m D. Episcopum Casalensem salvum ad vos venisse gaudeo, cui
ut salutem amoris et observantiae plenissimam a me nuncies, rogo. Cum
domum re versus fuerit, opera a me dabitur ut et * eum visore egusque
consuetudine aliquantum frui possim.
Bohemiae res pessimo sunt loco, neque , video, quomodo malis
tantis medicina fieri possit. Fructus isti sunt Consiliorum non Ma-
chiavellicorum (nam Machiavellum et recta et sancta praecipere com-
peri) sed CL Asellianorum ; * quos me jam tum anno 1610 praenuhciasse
optimus mihi textis ipso Rex Ferdinandus esse potest. Utinam nostri
in perpotando collocarìnt, vel deniqae ex Italis non nisi cum vulgi faece, caaponibas, mu-
lionibus, nautis, rhedariis, lenonibus. meretriculis, aut cum iis qui gladìatoriam, saltatoriam,
fidicinam, sìmìlesque artes mercede docent, consuetudinem habuerint, caeterum nuUum
Italiae Nobilitatis periculum unquam fecerint, cum tamen nusquam alibi tanta Nobilium in
peregrinis ad familiaritatem admictendis sìt facilitas et communitas. Etsi autem quod
scenici isti philosophi in eadem sua Tragaedia de veritate praedicant, eam proprium Ger-
manorum exoticis moribus non depravatorum bonum esse, id eia vel pervulgati illius verbi
causa libenter alii concesserint, nuo dici solet, in vino veritas: tamen haud facile mihi
alienigenarum, praecipueque Italorum exempla demonstrabunt, qui hac de causa in Ger-
maniam venerint, ut ullam ex enumeratis paulo prius artibus aut virtutibus addiscerent.
Aliis enim hoc est consilii, ut liberi, quos in Germaniam mittunt, aut linguam commerciis
necessariam cognoscant, aut in studiis humanitatis firmiorajaciant fundamenta, aut labori
nonnihil adsuescant. Cum enim magistris in Germania discipulos nudare (rem apud poli-
tiores nationes subturpem) et serviliter corium eis concidere ius sit, quo illi iure etiam
adversus nobili atque illustri loco natos uti non dubit^int: sic iit ut plerique superstitìosius
metuentes plusculum annitantur, et in discendo industriam suam praeceptoribus probent.
NonnuUis denique parentum satis videtur, si lìlii, quos aetate adhuc tenera in Germaniam
mittuntj interea patriae vitiis domi non imbuantur. Sed hac tota de re alias fortasse se*
parato volumine disputabitur : nunc satis est mihi reraovisse de mediò irapedimentum, quod
homines tam palam in Italos iniqui Transalpinis, praecipueque Germanis meis in Italiam
profecturis obiecerant. Machiavellus enim nihil, quod mores hominum depravare posset,
scripsit, et si scripsisset, plus ab eo in Germania, quara in Italia periculi metuendum
foret; nam in Italia libri eius non nisi a paucis, idque furtive, legantnr. Sed in Germania
snbinde recuduntur, ac passim venales prostant, neque ex ipsorum quoque Catholicorum
numero facile inveneris, qui sibi lectione eorum putet interdictum, quoniam, ut dixi, legem
Indicis Librorum prohibitorum nondum a maiore Catholicorum parte receptam esse sciunt,
adeoque ea ae nequaquam obligari argumentatur ».
1 Ms. •• ad ".
* U seguente foglio informativo circa VApologia dello Sctoppio, tnu»messo dal padre
Benna, come prova l'autografo pontificio, a papa Alessandro VII, dimostra che accoglienza
facessero allo scritto del dotto e bizarro tedesco gli Aselliani. Ne debbo partecipazione alla
cortesia dell'egregio sig. prof. Cuononi, della cui gentile amicizia mi è caro attestargli la più
cordiale riconosrenza.
Bibl. Chig. CarU partic. di papa Alessandro VII: « Frustra conatur Scioppius omnium
catholicorum calculis damnatum Machiavellum a labe impietatis et pseudo politices ausu
temerario vindicare. Quia enim is est dubiae ac sublassae fidei homo, qui se tot viris religione
ac piatate praestantissimis praeferre praesumitl Nec rationum momdnta, quibus suas firmare
vindicias satagit, alicuius ponderis sunt. Duo enim supponit, scripta Machiavelli ab Aposto-
lica Sede primum approbata, et Clementis vij jussuRomae edita; tum jubente Clemente viij
nigram eis Theta praefixum, non ob errores et falsa dogmata quae contineant ; sed quia
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616 APPENDICE.
Principes Machiavellum cum cura legere et regnandi rationem discere
ex eo vellent! Longe certe praeclarius cum rep. Christiana hodie
ageretur. Sed de rebus ìstis multum si cogitare velim, vix canitiem
barbae meae, de qua scribis, evitare possim. Itaque avocare me cupio
et ad Antichristum * nostrum convertor, quem quod canos nondum prò-
mittere mihi narras, vix paene fidem facis. Tu eum sodes verbis meis
percunctare, etiamne tentiones carnis ei molestae sint; aut quibus eas
rationibus a se depellet, utrum Triphallì sui ritu sub arboris coma
ruber sedens cum rubente fascino? aut quotumo aetatis anno com-
meatum ab iis impetrarit, aut à Cypria manumissus fuerit? Haec enim
scire salus est adolescentulis, ait ille.
Si ergo me salvum vult, ista me celare nequaquam debet. Saluta
Salaputium disertissimum, et ipse quoque vale. Mediolano a. d. 27
Junii 1618. Tuus Pascasius Gorippus. •
plerique in pravam sensum ea detorqoentes ex eorum lectione in errorem labi poterant.
Utrumque autem fundamentum inane est, et quìdquid superaedificat corruit et f rangitar. Nam
Glemens vij non ideo MachiaveUi scripta aplica auctoritate approbasse censetur quia Ro>
mano Typographo suo diplomate indulsit, ne quis praeter ipsum illa tjpis mandaret. Neque
Clemens viij eorum lectionem fidelibus interdixisset, nisi praevio examine et matura disqui-
sitione praehabita, certe cognovisset quot et quibus erroribus ac pravis opinionibus scata-
rent. Norunt omnes quibus stylus Romanae curiae perspectus est, quantum in bis fundamentis
praestruendis a veritate Scioppius aberret. Quae vero congerit 2* operis parte ad praetensam
Machiavelli innocentiam propugnandam, ipsa se destruunt. Fatetur passim, et potissimam
cap.31 ea omnia in ejus libris reperiri, quae catholici damnant; sed scriptorìs intentionem
sanctam fnisse autumat, ipse videlicet scrutator cordium et intentionum discretor; tum
prava exempla ab eo proponi affirmat, sed malo principi imitanda: impiis praeceptis prin-
cipem imbui, sed tjrannum et sceleratum: ita ei scribendum fuisse, quia sibi propositum
erat etiam vitiosas imperiorum formas instituere et tyrannidem in optimum prìncipatam
commutare. Sic suum aethiopem magis denigrat, dum nititur dealbare; dum excusat, accusat.
Satis fuisset tjrannum detestari, quam instruere. Neque Aristoteles aut D. Thomas, quo-
rum abutitur testimoniis documenta tjranuis praebent ad tyrannidem conseruandam. Alia
illis mens, ut eorum contextum legenti perspicuum erit. Sed Scioppius infensissimus Jesui-
tarum hostis, quia Possevinus et Ribadeneira aliique Jesuitae acrius adversus Machia-
vellum insurrexerunt, in odium Societatis malae causae, ut conijcìo, defensionen aggressus
est. Hinc irae, hinc oestrum, hinc iniuriae, quas initio secundae partis evomit in Jesuitas.
Quod si hic Cedex in lucem editus fuisset, eadem censura meo iudicio notandus foret, quae
Machiavello iustissimjs inflicta est ».
(Notato colla matita e di mano di papa Alessandro VII) : « P. Bonna »•
^ Sotto la designazione dell' Anticristo sembra debba Intendersi il Gre vie. dicendosi In
una lettera precedente: > in cujus flne Graeviua noster totum folium occupat. Fiet immortali^
per me. Omnes enim Transalpini posthac volent Antlchrf.stum illum videro, almanco per U
bel mostaccio suo, che nel mio libro vlen descritto ". 3 F('br. 1612.
> Anagramma di - Gaspar Scioppius ". Il medesimo Sdoppio In altra lettera « die SO
Junll 1618 » aveva scritto: > Dux Mantuae omnibus fere hebdomadis me ad se invltat. Itaque
proximo mense ad eum proflcisci constitui absolutis scilicet Machtavellicis, in quibus totos
15 dies Jam fui feriatus, vel potius aliis occupatus » — E nell'Archivio medesimo, t. 414.
addi 4 settembre 1618 si trova altra lettera assai bizarra diretta al Fabro in cui si tlen
proposito dell'apologia machiavellesca:
« Machiavellica mea reussiren mir Uber die massen stattlich ». Ea in veni aigumenta qoae
mihi paene ipsi admirationem exprimunt. «Man wird von dieser Defension Machiavelli
zu singen und su sagen haben », omnia scribo cum summo honore Ecclesiae romanae « und
man hoffentlìch su Rom nicht ubel wird mit zufrieden sein. Es ist schon l&ngs fertìg
ge^esen, allein hab ich den principium reformiren woUen. Und eile ich mich nicht und
nimt mir den Weil», quum nihil in mora periculi. Sat cito si sat bene. «Wan ich michau
Wegen bringe man den Machiavellum wird trSsten und lesen lassen (etsi nonnihil correctam
quod probo ipsum auctorem facturum, si viveret) so soli man mir billich den studiren,
lesen und schreiben verbieten ».
« Aliud jam nihil reperto quod scribi mereatur. Vale et amicos saluta.
« Medici. 4 septeb. 1618. « Tuus O. Scioppius ».
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lì.
(T. Introdu0{OH«, pig. 62).
Analisi delV Apografo di Giuliano de' Ricci
Note premesse alla copia de* mas. di Niccolò Machiavelli ^
§ I. Giuliano de* Ricci a chi legge.
Non è a mio giuditio per dispiacere ai lettori la infrascritta let-
tera scritta dal Machiavello ad un amico suo Tanno 1497 circa al pre-
dicare di fra Girolamo Savonarola, nella quale egli liberamente jdice
1 Quest'analisi nostra è diretta a servire d'illustrazione cosi alla edizione degli scritti
del M., come alla conoscenza di quel mss. del medesimo autore che non ci pervennero nel-
Toriginale. Dell'edizioni si cita In nota la prima in cui comparvero. Oltre a ciò, dalle anno-
tazioni, che Gtulian de' Ricci premise alla trascrizione dei documenti nel suo rege.<:to. ebbe
in gran parte a determinarsi la dirittura critica rispetto alla vita e alle opere del Segretario
fiorentino che sino a' giorni nostri prevaine ; per guisa che apparisce chiaramente da quelle
e l'azione e la reazione che il machiavellismo nel suo progressivo svolgimento e-sercltò sugli
stessi discendenti del Machiavelli, più devoti alla memoria sua e animati per lui da inclina-
zioni apologetiche, sotto ogni riguardo. Però ci parve rispondente all'Indole del nostro lavoro
il metterle in luce; tanto più c|ie, cosi facendo, avevamo agio di mostrare quanto poco tut-
tora si possa fare a fidanza colle edizioni, quand'occorra di portar giudizio delle opere e della
vita del Marhiavelli.
Gli studi nostri furono condotti sopra tre mss. della Biblioteca Nazionale di Firenze,
sopra un ms. della Corsiniana ed uno della Barberiniana di Roma; i quali tutti, strettamente
vincolati di parentela, fra loro, posson distinguersi in due ramificazioni, a questo modo:
GivLuif di' Ricci
ms. I A
I I
y X
_i
Il 1
B e D
A. Blbl. Naz. di Firenze. Ms. palat., E. B. 15, 10 — è a considerare come il primo
fondamento, il primo gitto, de' regesti che vennero compilati cogli scritti del M. Esso è car-
taceo del secolo xvi (a. 0,370, 1. 0,240) scritto presso che interamente di mano di Giuliano
de' Ricci. L'indole sua e la sua autorità non potrebbeci esser meglio rivelata che dal seguente
notamento dello scrittore, che non occorre nei termini identici, né in B, nò in C, nò in D.
(pog. 82t) — * Essendo oou c«rtiasima che nella presente mia fatieha si pnò desiderare né oiom ■ kxh
cosrcso, non mi pare faor di proposito, hamanissimi lettori, il renderui rainone di parte della Latentione et
animo mio. Doaete adunque sapere che auendo io hanti quelli originali alla rinfusa, non bo possuto s^ per questa
cagione, eome anche per bauerli hanti in più uolte, et eesere occupatissimo, sernare l'ordine de' tempi ; et mi è
bastato solo el registrare in questa prima parta del libro, tutti i discorsi che dal Hachiavelli furon fatti sopra
diuerse attioni importanti, che ne' suoi tempi si trattauano infra diuersi principi, de' quali discorsi 11 tempo ee
ne ha lasciati pochi, et quelli molta malconci. Inoltre perchè da ciaschuno possa eesere nota in quanti et in quali
importanti maneggi e' fosse adoperata da' suoi cittadini, ho preso fatieha di registrare et far nota di tutta le spe-
ditioni et eommessioni che hebbe dalla rep.c*, copiandoui appresso (se ne ho trouate) le L'* che da lui furono
scritta a magistrati in quella speditione, et cerchata di fare sempre maggiore cumulo che ho possuta di cosa ap-
partenenti a quel nogotio. Ma con tutta le diligentie usata, per le molta difflculta hauta, non mi è uenuta inte-
ramente fatta. Et eceho che adesso, hanendo trouata altre due l.r« et discorsi nella speditione dell'anno 1510 alla
]f.sta X.B», le copio qui apiè, eh* si potranno attachare con le altre che flnischono in q.*^ a carta Tentuno , ecc.
Questa ò pertanto la prima bozza del regesto ricciano, composto con men d'ordine cro-
nologico e di sistema; contemporaneo e, probabilmente, fonte al ms. barberiniano (j^), 11
quale, per quanto alterato nella rilegatura, in gran parte serba tuttavia, com' ò facile rav-
visare dall'analisi che ne diamo in nota a pag. 619. la medesima disposizione dei documenti
e offre identità di testo con quello. La differenza essenziale fra 1 due coplarl sta in ciò:
che mentre il Ricci si profonde ne' notamentl, lo scrittore dell'apografo barberiniano n'ò par-
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018 APPENDICE.
Toppenione sua, della quale ciascuno potrà fare quello capitale, che gli
parrà in tante diversità, che ci sono tra quelli, che hanno scritto del
detto frate, circa alla sua dottrina, alla qualità de' costumi, et al fine al
quale egli tendeva, hauendo ciascuno scritto secondo, che gli dettavano
le passioni deiranimo, che in quelli tempi abbracciarono quasi tutta la
nostra Città.
Segue lettera del M, ad un suo amico: « per darvi intero av-
viso »... — ...« le cose nostre facciate. Valete, Datum Florentiae die vin
martii 1497 ».* [a carte A 23-24, B 2-7, C 1-5, D 1-4
§ II. Giuliano de* Ricci a chi legge.
Li pochi versi latini, che seguono furono facilmente scritti dal
Machiavello a quello M. Francesco nominato nella seguente ' lettera ^ o
ad altri che trattasse in Roma la causa di Fagna, essendo essi in sul
medesimo foglio, dov'è la lettera che segue, et era lettera intera, ma
ne manca più che li sette ottavi, essendo il resto del Voglio stracciato.
Prendano adunque da me gli amorevoli lettori quel poco che il tempo
ci ha lassato, et da esso faccino coi\jettura gli giudiciosi da quanta
invidia si lasciò trasportare il Giovio, quando disse il Machiavello essere
ignorante, o almeno poco litterato. Considerino ancora se il Machiavello
havea bisogno, che Marcello Virgilio gli esponesse i più bei fioretti della
lingua latina et greca, scrivendo egli di questa maniera Tanno 1497
cliissimo. Il Ricci copiò dagli autografi, a man a mano che gli venivano dati; da questa copia
del Ricci ebbe a trarre il suo registro forse un di que' della famiglia Tafani di Barberino
in Val d'Elsa, discendente da quul Niccolò che il Machiavelli, nella lettera al Vettori dn' di
4 decembre, ciiiama •• amirus nnster », di cui •» totiwaque familiae • encomia 1' « alacritas.
qua nihil est in hoc nostro rure suavius » ; da cui uscirono i>oi qua' principi Barberini che
voltarono i loro tafani in api.
Questo regesto A ebbe ad essere II padre d'un secondo regesto x. che non fu se non
ricomposizione e riordinamento del primo scritto da Giuliano de' Rìcci medesimo. Ora di
quesito secondo regesto x, che nei 1726 ora tuttora in possesso deiral)ate Corso de* Rìcci, e
da cui furono esem|»lati i copiar! B, C, D, non ci riuscì aver notizia, per quante ricerche
abbiam fatte. È evidente, pertanto che, si per rispetto alla fedeltà della trascrizione che
alla slcurtì7za della lezione. Il ms. A, messo a riscontro, quando occoiTeva, cogli autografi,
doveva aver la precedenza su tutti gli altri.
Il Ricci nel sud Priorista (ms. Bibl. Naz. Fior., Quartiere di Santo Spirito, pag. 159t)
accenna anche ad un' altra maniera di regesto compilato di lettere del M. e dei Dieci e ag-
giunto ad un libro di altre storie di scrittori antichi • le quali lettere furono dlllgentemeni*
copiato da Bartolomeo di Gherardo Barbadori " ; ma neanche di questo potemmo avvisar
vestigio.
B. Firenze. Bibl. Palat. Ms. cartac, ii, 2, 334. In-foglio, donato alla Biblioteca Nazionale
di Firenze dal Canestrini che lo po.ssedeva, ■ copia /atta da Rosso Antonio Martini sopra
un esemplare dell'abate Corso de' Ricci y tratto dal regesto, di Giuliano de' Ricci, compi-
lato sugli scritti originali di Nic<;olò Machiavelli. Segue dopo la carta 487, non numerata.
• Copia di parecchie lettere condotta sugli originali spettanti alla famiglia Ricci, di
mano dtìi Giampieri ». Indi uno scritto autografo del medesimo modestamente intitolato;
• Due fanfaluclie di me I. G. (Innocenzo Giampieri) relative ad una nuova pubblicazione
deHe opere di N. Af. •; la prima delle quali à, per argomento: • Niccolò MaehiaceUi e
Marietfa Corsini •, la nota apologia circa le relazioni domestiche del M- La seconda si
intitola: - Aoihso ai futuri editori delle opere complete di N. M. • ; dopo di che seguono:
Correzioni e Varianti nelle Istorie fiorentine di N. M. tratte dall'autogr. palatino; Cor^
rezioni e varianti per le Commissioni e lettere. Segue Legazione di N. M. alla contessa
Caterina Sforza a Forlì. Lettere ufficiali, e alcune confidenziali di Biagio Buonaccorsl.
C. Ibld. Ms. palat. cartac, 21, i, 692. Lettere e altre opere di Niccolò Machiavelli.
In fine a pag. 924 si legge la seguente annotazione: « Il presente volume da me Marco
Martini in questo anno 172^7 ù stato copiato dalVesemplare del sig. abate Corso de'Rirci.
e questa copia da Rosso Antonio Martini mio fratello t^ stata di poi collazionata eoll'e-
scmplare suddetto di Giuliano de' Ricci ».
D. Roma, Bll)l. Corsiniana. Ms. cartac. sec. xviii, n. 1918. Frammento de'precedeùti Ape-
grafi, di mano di monsignor Bottari.
^ Ed. Camb., vi, 3-6.
'■* Ms. A : " sopradocta •.
3 V. Op., pag. 100, nota 3.
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APPENDICE. 619
della sua età 28, nel qual tempo appena haveva cominciato a conoscere,
non che a praticare et conversare con il Vergili©, di cui egli non fu mai
notaio, come falsamente afferma il Giovio nel med.mo luogo, ma fti
Segretario delli Signori et delli Dieci, e da essi per servitio della re-
pubblica adoperato in cose importantissime, siccome in appresso ap-
pieno si mostrerà, * et a lungo da me, o da altri sopra questa materia
sarà discorso. Basti per bora alli lettori questo poco, contentandosi di
credermi che la infrascritta lettera latina, fosse da lui scritta nel tempo
detto, che per non li tediare, non ne adduco li testimonìi, et scritture
che in fede della verità ne ho; parendomi anco, adducendole, fare torto
a me medesimo a persuadermi, che non mi debba .essere creduto questo,
poiché il Giovio si dette ad intendere che il mondo credesse che il Ma-
chiavello gli dicesse che Marcello Virgilio come ho detto di sopra, gli
avesse insegnati ì fioretti della lingua greca, e della latina.
Segue il frammento: < verum ego valetudine oppressus »... —
...« non poenitebit. Vale, Datum Florentiae kal. Decembris ».*
[a carte A 23, B 9-10, C 5-6, D 4-5
§ in. Giuliano de* Ricci a chi legge.^
La che seguita è copia d'una lettera scritta dal Machiavello ad
un prelato in nome di tutta la famiglia de' Machiavelli circa alla recu-
peratione del benitìtio della Pieve di Fagna posta in Mugello, vicino
a Scarperia, del qual luogo ne sono li detti padroni, come anco di molti
altri benefitii di non minore importanza posti nella Valdelsa. Servirà
questa lettera per mostrare la nobiltà della famiglia, (che sendo cosa
notissima non ci starò a discorrere sopra) et per far fede al mondo in
quanto conto fosse tenuto il nostro Machiavello, non solamente dalla
Repubb. ca, et dall'universale, ma ancora da suoi medeximi, il che suole
essere molte volte assai difficile, maxime, quando in una casata sono
assai in numero, che per sapere, et facultà non pare loro di devere
cedere alli altri, essendo che queste ci rendono insolenti, et di quello
ne pare bavere a ciascuno molto più che non li bisogna. Nondimeno tutti
gli altri cederono in questo loro bisogno a Niccolò nostro, se bene era
il più giovane di tutti, et forse il meno facultoso, tanto fu da essi
apprezzato il sapere, et ingegno suo attissimo a qualsivoglia sorte di
cosa.
Segue la lettera ad un prelato « Tutte le cose che »... — ...« in ae-
ternum. Ex Florentia 4to Nonas Decembris >^
[a carte A 22-23, B 11-13, C 6-7, P 5-6
^ Ms. A: «si come di sopra si è mostro et più appieno si mostrerà «.
> Ed. Camb.. vi, 2-3.
» In margine: • Viene di Fogna in Mugello Padronato de' Machiavelli ».
* Ed. Camb., iv, pag. l-S. Negli apografi la soscrizione è: •■ Maclaoellorum familia,
Piero, Niccolò et tutta la famiglia de' Machiavelli. Cioes fiorentini ». — V. Blbl. Naz. (Doc.
M., bti.sta I, n. 57). 11 ms. barberlniano (xj) sopraccitato ebbe ad essere forse scomposto e mal
riordinato nella rilegatura recente, trovandovisl i numeri 31-47 fuor di luogo e In principio.
Stando al numero d'ordine Indicato nella copia, questa lettera sul beneficio della Pieve di Fagna
doveva in origine essere la quinta. Or ecco a che guisa si conseguitano le materie nella pre-
sente condizione del manoscritto: — - ... Commef sione a Mantova. & di 10 novembre 1509
(Istruzione) pag. 1. — xxxi. Li effetti della eonventione che ai à da fare con Luciano Gri-
maldi S.r» di Monaco, pag. 2-3. — • xxxii. Instructione viene a Te Niccolò Machiaoegli
di quello si ha a fare in questa gita tua per ordine nro a Vinetia, deliberata questo di
9 d'agosto 1525 ; pag. 3-4. — xxxiii. Instructione a Te Niccolò Machiavelli deliberata a di
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620 APPENDICE.
Istructione a Niccolò Machiavelli Secretario allo III. Signore di
3 di febbraio 1586 dalli Mag.ci Sri Otto di Pratica; pag. 4-5. — zzziv. Instruetione del Guto-
ciardinl al M. mandato da lui a Cremona; pag. 5-6. — zxxv. Delle cose dì Lucca; pag. 6-10.
— XXXVI. (Ritratti d'uomini lUuttri) Piero di Gino Capponi; pag. li. — xxxvii. Anton Già-
cominl ; pag. 11-18. — xxxviii. Cosimo de' Pazi e mr. Fr. Pepi fatti oratori allo Imp.«; pag. 18.
— xxxix. di FranceBco Valori ; ibid. — xv.Varie tententie et pareri; pag. 18-13. — xlì. Let-
tere di N. M. a Fr. Vettori, 13 marzo 1518; pag. 13-14. — xlii. Id. eod., addi 18 di marzo;
pag. 14-15. — xLiii. Id. eod., addi 9 aprilo 1513; pag. 15-16. — xliv. Id. eod.. addi 16 aprile 1513;
pag. 16-17. — xLv. Id. eod., addi 80 giugno 1513 pag.. 17-80. xlvi. Id. eod., addì 10 agosto 1513;
pag. 80-84. — XLvii. Id. eod., « ex Percussina 4. die. decemb. 1514 ••; pag. 84. — Segue senza
numero progressivo : • Del fortificar Jlrenze e metter dentro monte OUoeto - ; pag. 85-36.
— Indi comincia col numero ii. Lettera circa la med. materia allo ambasciatore. • Avanti
Jeri ricevemmo la v.ra de* 88 del pa.s8ato •; pag. 86-37.— iii. Sermone spirituale; pag. 37-39.
— IV. Discorso sopra le cose di Pisa, senza principio e fine, tutto lacero. •> Che riavere
Pisa sia nece.s.sarIo «... — ...> in questi tempi o no ". Poi aggiunge: «seguita questo discorso
a e. 161 • pag. 39-40, — v. Lettera sul hencjlcio della Pieve di Fagna, col frammento la-
tino ; pag. 40-41. — VI. Ad un amico, circa il predicare di fra Girolamo Savonarola, 8 marzo
1497 ; pag. 41-44.— vìi. Discorso ovver Dialogo sopra la lingua fiorentina; pag. 44-53. Com-
missione a Caterina ^orza. Lett. di credenza; pag. 53. — viii. - Da Castrocaro scripsl •,
Lett. 19 luglio 1499; pag. 53-55. Ibid. Lett. 88, 83, 84 luglio 1499; pag. 55-58. — ix. Segue
della Commissione al Valentino la sola Patente; ibid. Commissione data dai M.d X.d a N. M.
deliberata a* 83 d'ottobre 1503; p. 59. Lett. di credenza al papa die 8 novembris 1503; pag. 60.
— Seguono : Lett. a'dl 87 novembris, pag. 64-45, 6 di dicembre (imperfetta), pag. 65-66.
Lett. di N. M. a Pier Soderlni ; pag. 66-67. Appunti storici. •> Addi 84 d'ottobre 1503. LI
Franzesi andorno a campo a Roccasecca *... Id. novembre 1503. Ricordi suoi propri. 7 die,
15 die. 1503; pag. 67-69. — x. Commissione al re di Francia 19 genn. 1503; pag. 70-78. Segue
la nota : - Le lettere scritte dal Machiavello in q.ta tua gita in Francia sono capitate male •.
— XI. Commissione all'Imp. 1507. Lett. da • Bolzano addi 17 genn. •; p. 78-75. Segue: Di'
scorso sopra le cose della Magna e sopra l'Imperatore ; è imperfetto ; pag. 75-76. Rap-
porto delle cose della Magna; pag. 76-88. — xii. Instructione a N. M, per a Roma, a'dl
85 d'agosto 1506; pag. 88-83. Lett. di N. M. ai X 80 agosto 1506 (erron. 88); pag. 83-86. —
XIII. Commissione in Francia, 1510. N. M. al X. ci Lett. 18 luglio 1510; pag. 87-91. Id. Bozza
della lett. addì 85 di luglio tenuta a'dì 86; pag. 91-96. Lett. 9 e 10 agosto. Nota: ■ della
seguente lettera manca il principio e forse il fine dell'antecedente ••; pag. 96-99. Lettera - die
18 auguriti -; pag. 100-108. Id., a'dl 84, 87, 30 agosto. A'dl 8, 5, 10 settembre^, pag. 108-lli.
Della natura de'Franzesì: • Stimano tanto l'utile «... — ...• naviga per perduto >; p. 111-
118. — XIV. Comm. in Lombardia, 1511. Comra. e patente; pag. 118-116. — xv. Fr. Vettori
al M. Lettera de' 3 die. 1514; pag. 116-117. N. M. a Fr. Vettori, due lett., 80 die. 1514;
pag. 117-185. Id. eod., 14 aprile 1514 ; pag. 185-187. N. M. a Fr. V. (senza principio) - ci veggio
quando si pigli p. l'arciduca contro alla voglia de' Svizzeri «; pag. 187. — xvii. Lettere di
N. M. ad una donna illustre delle novità di Firenze nel 1518. Ibid. Della medesima ma^
teria, scrittura imperfetta : • Essendosi in quel tanto in Firenze fatto certo nuovo ordine •;
pag. 187-130. — xviii. N. M. a Fr. Vettori : « Io nel mezo di tutte le mie felicità «... ora la
pace, manca il fine; pag. 130-134. — xix. Ghiribizzi scritti a Pier Sederini In Raugia da
N. M.; pag. 134-136. — xx. Lettera di Fr. Guicciardini a N. M. a Carpi, 18 maggio 1521 ;
pag. 136-137. Lettera di N. M. al card. Giulio de' Medici, essendo il Car.l* a Firenze et il
M. a Modana; pag. 137-138. Z.e^(. di N. M. a Giovanni Vemacci in Pera. 86 giugno 1513.
Id. eod., 18 agosto 1515. Id. eod.. 19 nov. 1515, 15 febbr. 1515, 8 giugno 1517, 5 genn. 1517;
pag. 139-140. — XXII. Proemio a discorsi; pag. 140. — xxiii. CommiMione a Siena. 86 aprile
1503. — XXIV. Commissione data a N. M. per a Siena, deliberata per li M.d X.d addi 16
di luglio 1505; «manca il negotiato-; pag. 140-141. Ibid. Lett. di N. M. - die 84 Julii 1505 •;
pag. 141-143. — XXV. Provvisione dell'ordinanza: pag. 143-151. Termina: « fermezza allo
stato loro •. — ■ Principio e frammenti laceri per la provvisione de' cavalli •; pag. 151-15S.
Seguono 1 Frammenti laceri circa la medesima materia: ■ Gli huomini si travagliano volen-
tieri "... — ..." e il più tristo facchino che vesta armi in Italia «. Esegue la seguente nota:
■ Si lasciano molte Commissioni date al M. dalla rep. per entro II dominio flor.ao et fuori,
appartenenti alll ordini della milizia che da esso ebbero il principio, la regola, l'ordine et
la forma. Solo si registra questo discorso di chi sarebbe bene che comandasse alle fanterìe
delle ordinanze, fatto a'dl 6 di maggio 1511 •. Segue Consulto per eleggere il capo delle
fanterie; pag. 158-153. — xxvi. Discorso senza principio et mal condizionato del gastigo si
dovea dare alla città di Arezzo et di Valdichiana quando si ribellò nel 1502; p. 153-156.
— XXVII. Commissione al signor di Piombino die 85 marti! 1498; pag. 156-157. — xxviii. Com-
miss. a Perugia, a O. P. Baglioni die 9 aprilis 1505; pag. 157-158. — xxix. Commiss, a
Mantova 4 maggio 1505 ; pag. 158-159. — xxx. Commiss, a Piombino; pag. 159-160 cogli
appunti della lettera spedita da Niccolò a Piombino; pag. 160-161. Nota: > Questo discorso
circa le cose di Pisa appicca col discorso a carte 30 n. 4 >. Se non che la carta 30 mane*
nel ms. passandovisi dalla 85 alla 38. — xlviii. Lett. di N. M. a Fr. Vettori, addi 86 ago-
sto 1513; pag. 163-166. — xlix. Id. eod., addi X ott. 1513; pag. 166-169. — l. Id. eod., addi
19 die; pag. 169-170. — li. Id. eod.. addi 5 genn. 1513; pag. 170-178. — lii. Id. eod., 4 febb.
1513; pag. 178-174. — lui. Id. eod., addi 85 febb. 1513; pag. 174-176. — liv. Id. eod., addi 10
giugno 1514; pag. 176-177. — lv. Id. eod., 3 ag. 1514; pag. 177-178. — lvi. Id. eod.. addi
SI gennaio 1514; pag. 178-180. — lvii. Addi 5 d'aprile 1587 N. M. a F. V.; pag. 180-181. —
Lviii. Id. eod., 14 apr. 1587; pag. 181-188. — lix. Id. eod., 16 apr. 1587; pag. 188-183. —
Lx. Id. eod., 18 apr. 1587 - in Bcrzighella ■; pag. 183. — \.xi.^Framm. storico: • Papa
Alessandro volle che Alfonso»...; pag. 183-184.— lxii. Id. Dalle Ire del vescovo de'Paziet
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APPENDICE, 621
PiomUno € andrai al ponte ad Hera »... — ...« ti pareranno più a proposito,
die xxiiij martii mccccLxxxxlviij ».*
[a carte A 75-75t, B 14-16, C 7, D 6-7
Framenti di lettere del Vescovo de' Pazzi et di pier soderini ora"
tori in Francia addi 17 settembre 1498 "
V € Noi discorrendo infra noi i casi nostri »... — ...« quello che si
ha a fare de' fatti di Pisa^ si faccia presto presto ».
[a carte A 161, B 17, C 9, D 7-7t
2° Et de' 20 di 7bre 1498. < una delle cose che noi giudichiamo
essere necessaria »... — ...« et mantenersi a servizi! vostri ».
[a carte A 161, B 17, C 9, D 7t
3 et de 29 di settembre 1499 < Questa mattina el Cardinale di
S.to Piero ad vincuLa mandò per noi »... — ...« VV. SS. gli privereb-
bono del Capitaneato et soldo ».
[a carte A 161-161t, B 17-19, C 9, D 7t-8
§ IT. Giuliano de' Ricci a chi legge.
La che seguita è la lettera di Credenza per li Sig.»^» di Furli.* Lei-
tera di credenza à Caterina Sforza < priores libertatis et vexillifer
lustitiae pop. fior, ex palatio nostro die 12 lulii 1499 ».» « Mittimus ad
Exca» vestras »... — ...« ac nobis loquentibus. b. v. ».
[a carte A 40, J5 19, C 9-10, D 8
di Pier Soderini, oratori in Francia, addi 17 di sett. 1494. Et de* 20 sett. 1498; id. de* 21
sctt. 1499. — Lxiii. A di 14 nov. 1494. Frammenti ed estratti di lettere, die. 1474. — lxiv.
Passaggio di Carlo Vili. Comincia: " Mandò oratori per Italia a tentare 1 popoli •; p. 185-
190. — Lxv. Cose dì Montepulciano. — lxvi. Estratti e appunti storici, luglio, ag., sett.,
ott., nov. 1495. — Lxvii. Die. 1495. — lxviii. Da genn. 1495 a luglio 1498. Note: - Seguita
ne' quadernurci, e molte altre cose pure In quadernucci, cioè tutto II 1515; pag. 225. Seguono:
Lett. di N. M. a Fr. Guicciardini, Carpi, a dì 17, 18, 19 maggio 1521 ; pag. 225-228. Segue:
N. M. a mr. Francesco Guicciardini commissario in Romagna. Note: • Dopo hauerll tratteto
d'una macchia ch'egli aveva a far plantere a Poppiano di Valdelsa, di un suo garzone, e
dolutosi che quell'anno non si pigliava beccafichi, nel fine della l.ra dice: ò atteso et attendo
in villa ad scrluere le istorie •... — ...« nessuno si può dolere -; addi 30 aprile 1524, pag.
228. — N. M. a Fr. Guicciardini, addi 17 agosto 1525; pag. 228-229.— Id. eod., " per essere io
andato subito >•; pag. 230-231. Id. eod., « io non mi ricordo •; pag. 231-232. Id. eod., 19 die. 1525;
pag. 232-233. — Id. eod., 3 genn. 1525; pag. 233-234. Seguono Canti e intermezzi alla Man-
dragola: • Perchè la vite è breve », ecc.; pag. 235. — N. M. a Fr. Guicciardini • addi 15
marzo 1525 -; pag. 236-238. — JV. M. a Fr. Guicciardini ■ 21 magg. 1526 •; pag. 239. — N. M. a
Fr. Guicciardini • 2, 3, 4 giugno 1526 •; pag. 239-241. — N.M.a Fr. Guicciardini • 5 nov.
1526 »; pag. 241-242. JV. M. e Fr. Bandini a Fr. Guicciardini * 22 maggio 1527 •; pag. 242. —
Fr. Guicciardini a N. M. * 29 luglio 1525 •; pag. 243. — Id. eod., 7, 1525; pag. 243.— Id. eod.,
■ Rome 22 malj *; pag. 243.— Id. eod.. xxx octob. 1526; pag. 244.— Id. eod., « 12 nov. 1526 •;
pag. 244. Id. eod., « 26 die. 1526 ••; pag. 246. Jacopo Sadoleto a N. M. - da Roma addi 8
luglio 1525 •; pag. 246. Filippo Strozzi a N. M. • ultimo di maggio 1526 in Roma »; p. 247-
248. — Bartolomeo Cavalcanti a N. M. • 18 sett. 1526 •; pag. 248. — Fr. Soderini vescovo di
Volterra a N. M. (die 29 sept. 1502); pag. 248. — Marcello Virgilio a N. M. al Pontassieve.
m Yi februarii 1509 *; pag. 299.
* Ed. Itella. 1828. — Nel ms. A, innanzi a questa Commissione -trovasi (pag. 75) la se-
guente annotozione, soppressa poi negli altri apografi: « Giuliano de' Ricci a chi legge. Di-
sopra ho copiato molte Commessioni date a Niccolò Machiavelli dalla sua rep: resterebbo-
sene ancora molte le quali Io lascio da banda per es.sere la maggior parte per dentro nello
steto de' fiorentini appartenenti alli ordini della mllltia. che da esso, come altrove ho detto
hebbero il principio, la regola, l'ordine et la forma, et per dare effetto a teli ordini, et per
descrluere soldati a piedi et a cauallo, per leuarli et condurli ove rlcercaua il bisogno, fU 11
Machlauello mandato più et più uolte con amplissime patenti per lo stato, che tutto la.<«cio.
Farò solo mentlone di quelle Commissioni che ho rltrouate esserli stete date per fuori dello
stetn, che sono le appresso -,
• Ed. Itella, 1813, voi. vi, pag. 11.
8 In margine: •cioè di Pagalo •, e poco sopra: * parlano di Pagolo Vitelli^.
« Ms. A : m che il resto è copiato in questo a e. 31 delle cose appartenenti a queste
spedizione •.
<- Erroneamente In A, B e C, 1490.
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622 APPENDICE.
% Té Giuliano de* Ricci a chi legge.
Furono le lettere che seguono scritte dal nostro Machiavello in una
spedizione che fu mandato dalla Repubb^a alla Principessa di Furlù
come chiaramente si vede dal contesto di esse lettere.^ Conoscerassi
dalli avveduti lettori differenzia non piccola et di stile et d'altro tra
queste scritte da lui nel 1499 all'altre ch'egli scrisse dipoi.
— Segue: Lettera di N. M. ai X" di Forlì addi 17 di luglio 1499.
« Da Castrocaro scrissi hiermattina* »... — ...« accrescere la sua
buona disposizione che diminuirla. Bene valete ».
[a carte A 30t-31, B 20-25, C 10-12, D 8t-9
— Segue: Lettera da Furti a di 22 di luglio 1499. « Scripsi all'Ebe.
SS. VV. »... — ...« come per la ultima mia vi significai ».3
[a carte A 31-31t, B 25-27, C 13-14, D 9t-10t
— N. M. ai X**' addi 23 di luglio 1499. « Hieri poiché io hebbi scritto
et spacciato » — ...« obbligo fatto da me in nome di quelle >. *
[a carte A 31t-32, B 28-30, C 14-15, D lOt-llt
§ ¥!• Giuliano de* Ricci a chi legge.
La sopradetta lettera de' 23 è imperfetta, che manca il fine di essa,
come anco l'altra de' 17 dove è contrasegnata coli' asterismo * * non
attacca, di che non è da maravigliarsi, et senza dubbio non se ne ma-
raviglierebbe alcuno che sapesse in che modo erano stati trattati questi
originali dalla lunghezza del tempo, et dal poco conto che ne era stato
tenuto per chi gli aveva per li tempi addrieto hauti in custodia, che
ora per la diligentia et amorevolezza di Niccolò Machiavelli il giovane,
nipote ^ di questo, che ho tra le mani, sono di nuovo ritornati vivi,
et veramente risuscitati, di che gli debbe avere obbligo non piccolo
non solamente tutta la famiglia et Casata de Machiavelli, ma ancora
tutto r universale in mano di chi verranno queste opere, dalle quali,
oltre alla perfetta, et vera cognitione delle cose successe in quelli
tempi nella toscana, et nella italia, se ne trahe diletto, et piacere in-
finito con giovamento grandissimo scorgendosi in tutte secondo la qua-
lità delle materie, che in esse si trattano, quel garbo naturale che fti
in questo huomo, et imparandosi il modo di servire bene et diligentemente
li suoi Sig.ri et padroni, come anco a conoscere le qualità et nature
dell! huomini.
Segue: N. M, ai X"* « Havendo io hiersera scritta la alligata»... —
...« non potrei più desiderare tornarmi alli piedi di VV. SS. alle quali... »'
[a carte A 32t, B 32-33, C 16, D 12-13
Lettera del Vescovo2di Volterra a N, M. Vulterris 29 septem-
Ifris MDij. < Non esset opus unius bore »... — ...< et me, ut facis, ama».
[a carte A 174t, B 33-34, C 17, D 13
1 M». A: • Manca la patente et la Instructlonc «.
- Ed. Camb., iv, 7-12. Trovasi * innanzi le parole: • Qu&«:to giorno dipoi circa ore 16 •.
>> Ed. Camb., iv, 15-17. Termina diversamente ; testo tratto dall'autogr.
* Ed. Camb., iv, 17-20. Termina diversamente ; testo tratto dall'autogr.
* Cod. A: • coirasterismo della * ".
« Era flgliuol di Bernardo e d'Ippolita d'Alessandro Rlnuccl. Nel 1578 fu canonico di
Santa Maria del Fiore: mori nel 10 giugno 1597. Fu quegli che tentò far ritogliere dall* In-
dice le opere dello zio.
* Ed. Camb.. iv, 21-22. Termina diversamente; testo tratto dall'autogr.
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APPENDICE. 623
§ TU, Giuliano de* Ricci a chi legge.
Sarebbe cosa lunga, et a me impossibile il copiare le lettere, che
dalli Dieci, et dalli Sig." furono mandate al Machiavello in diversi luoghi
dove egli si trovava per maneggi importanti della Repub.c* pure perchè
si habbia notitia di parte dei Negotii ne' quali fu adoperato, mi pare far
noto al benigno lettore, come egli fu mandato dalli Dieci al Duca Va-
lentino, et tenuto appresso di quel Sig.r® che all'hora si chiamava il Duca
di Romagna, di molti mesi, come appare per infinite lettere scritteli in
tre mesi, che vi stette incirca; nel tempo, che il detto Borgia fece
acquisto della maggior parte di quella provincia. Registrerrò solo la
patente fattali da Priori alla sua partita per detto Duca, non mi sondo
della sua speditione capitato altro alle mani.
Segue — Patente, <c Priores libertatis et Vexillifer justitiae etc.
Mandando noi Niccolò di ms. Bernardo Machiavelli nobiliss.mo cittadino
et segretario nostro »... — ...« maggiore opera accadendo. 6. ?;. Ex par
latio nostro die iii j octobris m . d . i j ».
[a carte A 24t, B 35, C 17-18, D 13
— Commissione al re di Francia « deliberata die ("xviiy) lan. 1503
« Niccolò, tu cavalcherai in poste a Lione »... — ...« tutti li successi delle
cose e tutti i pensieri nostri. Ego Marcellus Virgilius ». *
[a carte A 5t-6t, B 36-42, C 18-21, D 13t-14t
— Commissione a Siena, addi 26 aprile 1503. « Niccolò tu andrai
a Siena »... — ...« et aspettarne risposta. Marcellus ». '
[a carte A 62, B 43-45, C 21-22, D 15
§ Vili. Giuliano de* Ricci a chi legge, ^
Stette il Machiavello sino a mezzo gennaio 1502 appresso il Duca
di Romagna. Segui di poi la morte di papa Alessandro VI addi 16
agosto 1503 ei alli 20 di 7bre fu creato papa Pio terzo il quale visse sino
alli 16 di 8bre del med.^o anno, dopo il quale addi p.°»o di 9bre fu creato
Giulio secondo. Li Fiorentini intesa la morte di Pio mandarono il Ma-
chiavello al collegio de' Cardinali, il quale si trovò in Roma alla creatione
di Giulio 2^0, et vi si fermò anco doppo molte settimane, come si vedrà
per le infrascritte instructioni, lettere di credenza, et lettere scritte da
lui, mentre che in questa speditione stette in Roma, le quali si regi-
strerranno per oTdine:
Segue — Commissione deliberaia addì 23 d' 8bre i503. « Niccolò,
tu andrai a roma »... — ...« degno di notizia. Ego Marcellus Virgilius ».^
[a carte A 24-25, B 46-48, C 23-24, D 18-19
1 Ed. Camb.. t. v, pàg. 1-5. Nel ms. A, pag. 7, .««egna: « Giuliano di Giovanni de* Ricci
a chi legge. Le lettere scritte da Niccolò Machiavelli mio auo In q* sua gita In Francia
a. 1503 non mi sono capitate alle mani, et la che seguita è una Instructione facta al predecto
Niccolò da Piero Sederini all'hora gonfaloniere nella quale non ui è la data del giorno. Ma
cinedo fosse fatta nel 1510 quando II Machlauello andò la 2* volta In Francia, mandato dalli
X della guerra, che ci mancano le patenti, et la instructione di tal gita, solo si truova Ja
infrascritta che la copierò dal proprio originale, come ho facto et farò di tucte le altre de
verbo- ad verbum. Può anco essere sia fatta la Inft'ascrltta Instr. quando la preced. nel 1503.
Ma è molto più verisimile quello che questo i>.
• Ed. Camb., iv, 276-7.
« Nel codice D per errore di rilegatura o Inavvertenza di numerazione, segue a pag. 18.
* Ed. Fossi, Flr., 1767, pag. 95-98.
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«M APPENDICE.
— Patente a N. M. ex Pàlatio fiorentino die 2^ novemòris i503
al papa : « Habbiamo commesso a N. M. »... — ...€ et certissima fede g. b. r.
S. V. »• [a carte A 25, B 49, C 25, D 19t
— N. M, ai SS,^ X^'^di Libertà e pace, € Questa mattina si è
comunicato alla S^^ dei papa >... — ... € ma come sarà in luogo di
poterlo fare Io manderà ».*
[a carte A 25tr-26, B 49-56, C 25-28, D 19t-20
— N, M, ai X*' d. l. e p..., € Ieri fìi Tultima mia »... — ...< et lui
insolito ad assaggiargli vi si aggiri drente ». ^
[a carte A 26t-27, B 56-59, C 28-30, D 20-21 1
— N. M. ai SS.*^ X*' « a* di 27 * di 9bre in Roma. < Monsig.r*
rey.™<> di Volterra mi ha hoggi conferito »... — ...< che se ne abbia
vergogna ». [a carte A 27-27t, B 60-62, C 30-32, D 24-25
— N. M. ai X*"' « a' dì 6 di dicenbre < Le SS. VV. si ricorderanno
quello scrissi »... — ...« travagliare seco con utile della città. Et se ne
scrive >.5 [a carte A 27, B 63-64, C 32, D 25-25t
§ IX. Giuliano de* Ricci a chi legge.
La lettera precedente è levata da un pezzo di carta tutto lacerò»
e guasto, et come si vede è imperfetta. La che seguita ^ fu dal nostro
Machiavello scritta in questa espeditione a qualche principale citta-
dino di Firenze, a chi premevano li moti ^ fatti da Veneziani in Ro-
magna, et forse a Piero Soderini Gonfaloniere, che questo si lascia
considerare a chi legge, possendo stare Y uno et l'altro, vedendosi chia-
ramente dai contesto di essa, che fu scritta a persona d* importanza,
et che air bora aveva grandi maneggi nella republica.
Segue lett: € Magfco Vir. Ho ricevuta la vostra de* 21 ancora che
io non intenda la soscrittione »... — ...« né credo per chi vi ha a scrivere
il vero si possa scrivere altro ».«
[a carte A 28, B 65-67, C 33-34, D 28-29
— Commessione de' X"^ a N. M,a Perugia a Giampaolo Baglioni
€ Niccolò, tu cavalcherai con ogni celerità »... — ...« ci darai notitia
d'ogni tuo ritratto. Ex palatio fiorentino die viiij aprilis m.d.v. Mar-
cellus Virgilius. »» [a carte A 75t-76, B 68-70, C 34-35, D 29-25
— Commessione dé'X^^^uN. M. per a Mantova : < die mj® may. 1505.
Niccolò tu cavalcherai in poste »... — ...« sai quanto importa il tempo ». *^
[a carte A 76-761, B 70-73, C 36-37, D 26-27
1 Ed. Camb., iv, S95 In nota.
> Senza data nel manoscritto. È la prima bozza della Lettera ■ die zi novembrls m.d.iq *
Commisi, alla Corte di Roma.
s Senza data nel manoscritto. È un frammento della lettera In data •> Rome 14 novem-
brls 1503 •. Ed. Fossi. 128-30.
• Nelle stampe (ed. Fossi, pag. 173-175) la data è a* di 28 di novembre. Ciò è naturale,
essendo condotte suU'autogr. in cifra che doveva recare la data di spedizione. Negli Apo-
grafi manca il poscritto che trovasi neirediziont, da quella del 1767 in poi.
» Ed. Camb., iv, 377-78.
• Per mala legatura nel ms. Corsinlano D si va dalla pag. 24t alla pag. 28, e dalla
pag. 29t torna poi alla 26.
' Ms. A 9 C: • motivi •.
s Ed. Camb., iv, 379-80.
• Ed. Fossi, 200-201. In A non è tutta autografa del Ricci.
^0 Ed. Camb., iv, 75-76. Lacune: • escluso di tutte queste parti ritomo ad volere... .
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APPENDICE, 685
— Lettera de' X'* al Marchese di Mantovaj « Perchè noi deside-
riamo la conservatone dello Stato della Exc.a vra »... — ...« habbiamo
Mte le presenti lettere nostre. Bene valete >. *
[a carte A 76t, B 73-74, C 2n, D 27t
— Commessione a N, M. per a Siena a dì i6 di luglio i505. « Nic-
colò cavalcherai sino a Siena »... — ... « come sei sempre consueto di
fare. Ego Marcelius Virgilius rogatus ».'
[a carte A 62t, B 74-75, C 37, D 27-30
— Lettera di N, M. ai X^' Senis die 24 lulii 1505. « Per l'ul-
tima mia data hieri ad ore 17 »... — ...« o che mi provvegghino alle quali
mi raccomando ^^ [a carte A 62t-63, B 75-79, C 38-40, D 30-33
— Lettera di Marcello Virgilio: spectabili viro N. Maclavello
secjrio fiorentino tanquam fratria al ponte a Sieve. < Carissime. Il si-
gnor Gonfaloniere m' ha commesso ti facci intendere »... — .., € Le altre
cose sì stanno qui all'usato, b. v. F'iorentiae die 6 Februarij 1505 ».
[a carte A 175, B 79-80, G 40, 2) 32-32t
— Instructione data a N, M. per a Roma a di 25 d'agosto del 1506.
€ Niccolò tu andrai in poste sino a Roma a trovare la Sant.*^ del Papa»...
— ...« di quanto accader& degno di notitia. Ego Marcelius >.*
[a carte A 40-40t, B 81-83, C 40-41, D 32ir^bisi^
— Lettera di N. M. ai X*'» da Civitacastellana, addi 26 d'agosto 1505.
€ Hieri arrivai a Nepi, dove quel di medesimo il papa era giunto »... —
...« che di raccomandarmi alle SS."« VV. qui (sic) felices valeant ».«
[a carte A 40W2, B 83-91, C 42-46, D 326Mt-36t
§ X. Giuliano de' Ricci a chi legge.
Infra le altre spedizioni che dalla Repubb.cA Fior.QA ebbe il Machia-
vello, ne fu una l'anno 1507 in Alamagna allo Imp.r® Massimiliano, che non
se ne sono trovate nò le patenti, nò le Commissioni ; solo ci sono due lettere
scritte da lui mentre vi sto a' SS.^ì Dieci con un discorso appresso fatto
delle cose appartenenti allo Imperio, che non doverrà dispiacere es-
sendo da lui stato scritto con garbo maraviglioso, et tutto fondato in
su le cose viste da lui, et in la ragione naturale accompagnata dal-
l'experienzia, che per molti anni in simili maneggi aveva acquistata^
il quale discorso si troverà sotto a carte 50.
Segue: Lettera di N, M. ai X"" € In Bolzano addi 17 di Gen.** 1507.
€ io giunsi qui addi xi ritenuto questo tempo. Et perchè »... — ...« avendo
esposto la commessione loro a Francesco ».7
[a carte A 35t-36t, B 92-99, C 46-50, D 37-40
oltre che li havesslmo a dare licenzia < — ■ noi la passeremo parchò non Importi più
Hia stata la intentione et nostra et sua da principio la si avessi a fare con grazia ».—
Non è autografa del Ricci, In A.
1 Ed. ult., t. V, pag. 107-8 dairaut. nella Blbl. Naz. di Flr., Doc. M.« busta iv, n. idi.
In A non è copiata di mano del Ricci.
» Ed. Camb., iv, 77.
3 Ed. Camb., iv. 100-103.
* Ed. Camb., iy. 109-110.
a Nel ms. Corsiniano D dopo la pag. 32 segue un'altra pagina non numerata, che desi-
gneremo come la 38 bis.
« Ed. Camb., 111-117, colla data a' di SS d'agosto 1506.
f Ed. Camb., y, 190-195, termina diversamente. Ms. A: « addì 27 •. — Gli oratori tr&n-
ToMMASiKi - MaehiavellL 40
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626 APPENDICE.
— N. M, in Firenze, Memoria cUSS*^ * « Per bavere scritto alla giunta
mia anno qui delle cose dello Imp.re »... — ...4: si estenderà la commes-
Sion vostra ». [a carte A 36t, B 99-102, C 50-51, D 40-41
§ XI, Giuliano de' Ricci a chi legge.*
La lettera, 0 discorso registrato di sopra fu fatto dal Machia-
vello uno anno dopo, che tornasse della Magna, e forse ad instantia,
e per strutìone di qualcuno che andasse Imb.re ^ ìq detto luogo, et
in quanto* a quello dice avere scritto Tanno innanzi ^ delle cose
dello Imp.re e della Alemagna. Questo discorso sì vedrà più sotto a
carte...
Segue: Commissione de'Xc^ a N. M, deliberata addi iO marzo 1508,
per a Piombino.
4L Niccolò, noi vogliamo che alla ricevuta della presente »... — ...« per
dua bore sole più di tempo. Ego Marcellus Virgilius ».<^
[a carte A 87-77t, B 102-105, C 51-53, D 41-42t
— Commessione de* X« a N. M. per a Mantova, et in quelle cir-
cunstanzie deliberata addi 10 di 9bre 1509. « Niccolò tu te ne andrai
a Mantova »... — ...« che questo è per il secondo pagamento. Ego Mar-
cellus Virgilius scripsi».'
[a carte A 77t-78, B 105-108, C 53-54, D 42-44
§ XII. Giuliano de* Ricci a chi legge.
La che seguita è una Instruzìone fatta a Niccolò da Piero Soderini
allora Gonfaloniere, nella quale non vi è la data del giorno,^ ma credo
fosse fatta nel 1510, quando il Machiavello andò la seconda volta in
Francia mandato dalli Dieci della guerra, che ci mancano le patenti,
et la instruzione di tal gita. Solo si truova la infrascritta, che la co-
pierò dal proprio originale, come ho fatto, et farò di tutte le altre
de verbo ad verbum.
Segue; Piero Soderini Gonfaloniere a N. M. Instruzione « Eseguito
cesi presso gli Svizzeri in A, fi, C, D leggonsi egualmente: Rocchen Albertin etpierluis. la A
fra 1 nomi de* cantoni collegati leggesi: «suri e torà» invece di • Surich e tona*.
^ È il Diteorao aopra le coae della Magna e sopra l'Imp. Ed. Camb., ii, 167-168.
* In A, pag. 35, è un altro notamento di questo tenore: • Infra le altre spedltionl, che
dalla rep. fiorentina hebbe il Macbiauello, ne fu una Tanno 1507 in Alamagna allo impera-
tore Massimiliano, che non se ne sono trouate né le patenti, né le commissioni. Solo ci sono
due 1.'* scritte da lui mentre vi ste, a SS. dieci con un discorso appresso fatto delle cose
appartenenti allo Imperio, che non douerrà, di.<*piacere, es.sendo da lui stato scritto con garbo
maraviglioso et tutto fondato in su le cose uiste da lui, et In la ragion naturale, accompa-
gnata dall'experlentia. che per molti anni in simili maneggi haueua acquistata «.
« Ms. A: Imbaseiadore.
* Male B, C, D: " questo „ — A: " qto ".
s In A, pag. 37, segue a questo modo: • II proprio originale registrerò qui a pie. solo
quella parte, che non è data alle stampe, contrasegniando doue cominciano, o doue diuer-
siflchano li stampati da questo originale, e chi uuole uedere il resto, lo cerchi ne' ritratti
delle cose dell'alemagna di questo medesimo autore, che per lo più uanno stampati
dreto al libro del Principe. Considerato di poi meglio et uisto che sarebbe una con-
fusione tenere il modo detto, per essere molto diuerso l'originale dallo stampato, lo ho co-
piato tutto come sta, et contrasegnato solo lo stampato «•. Cf. più oltre § xxxvi.
* Ed. Camb.. v, 267-268. In A, non è di scrittura del Ricci.
V Ed. Camb., v, 304-306.
* Nell'ediz. Passerlni-Milanesl a questa Istruzione ò apposta la data del di 2 giugno 1510,
(voi. Yi, pag. 2;. — Probabilmente è per abbaglio, dacché la lettera credenziale pel Machia-
velli, è de' di 20, ed egli parti a' di 24 del medesimo mese.
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APPENDICE. 627
che tu barai tatto quello che per ordine de' Dieci ti sarà commesso »... —
...« infinite volte a Sua Maestà. »^
[a carte A 7-7t, B 109-111, C 55-56, D 44-45t
§ XIII. Giuliano de' Ricci a chi legge.
Le lettere che seguono furono scritte da Niccolò Machiavelli, la
seconda volta che dalla Repca Fior^a fu mandato in Francia al Re, • a*
Dieci della guerra, et le ho levate fedelmte dal proprio originale come
stanno senza aggiugnervi, o levarne niente. Et perchè il quaderno
donde sono levate è tutto lacero, guasto et consumato dal tempo, et
in molti luoghi rotto che ve ne mancano molte parole, acciò le lettere
restino nel loro contesto le ho accomodate io per coniettura;^ et perché
ciascuno possa vedere, quello vi ho aggiunto le ho scritte punteggiate
sotto, ^ et nell'altre, per trascriverle fedelm** ho usato ogni dili-
gentia, sendo il detto originale pieno di cassi, et rimessi, et la prima
bozza, che gli uscì della mente, et della penna,^ non è da maravi-
gliarsi, se non sono cosi pulite, come Tal tre cose sue. Le ho lasciate
stare come sono, acconciatole solami nelle desinenze, et regole della
lingua, la quale egli non osservò per vizio comune di quei tempi,
come si vede in tutti gli scritti de' migliori autori di quella età.
— Segue: JV. M, oratore in Francia appresso il Rè Crist.**^, 1510
a' SS" Dieci. « Die xvm Julii per le mani di Rubertet infino a Lione, et
dipoi al Panclatico, che spacciasse uno a posta a Firenze. Arrivai qui
hiersera et per essere l'hora tarda »... — ...« se non raccomandarmi alle
SSrie VV.»« [a carte A 8-9, B 113-119, C 57-60, D 46-49
— N. M. ai X'* addi 20 luglio tenuta a' di 21 di luglio. « Addi 18
scrissi »... — ...« è la minore rovina di che essi lo minaccino. Valete >P
[a carte A 9-lOt, B 120-125, C 60-63, D 49-51t
1 Ed. Camb., v, 331-333. V. la nota xviii.
s Lacuna In C. dissimulata In B, accennata in D: forse neiraltro apografo del Ricci sarà
stata Tabbrevlatura • Xpmo ".
> Si ponga mente a questa maniera d'acconciatura, e alla caratteristica di " prima bozza ,,
che il Ricci riconosceva ne* suoi autografi di N. M.
* Ms. D: * le ho scritte con lettere grandi ».
* D: » onde non ù da maravigliarsi, ecc. •
< Ed. Camb., 336-340. Collazionata coll'autograto del M. (Arch. fior., Xci di Balla, Car-
teggio retp., t. 100 a e. 120). — Tra questa prima copia trascritta dal Ricci, e il testo uffi-
ciale incontrano non poche varianti. Oltre la mancanza di parecchi incisi, per cut risulta
ancora che il testo registrato dal Ricci termina diversamente, occorrono altre notevoli dif-
ferenze d'espressione, delle quali diam saggio:
Testo dell* Arch
« disse che uoi ci hauevi molti nlmlcl
et subito quando trovavano cosa da callun-
nlarul lo faceuano et che li era bene in questi
tempi non dare queste cagioni di dire male •>.
— •* Io ne so questo certo, che '1 papa
inflno ad otto di fa ha mandato loro trenta-
seimila ducati, per haueme seimila, e voleva
che si levassino; ma e Suizzeri presono quelli
danari et hora dicono che non si vogliono le-
uare se non hanno 3 paghe ".
Testo G. d. R.:
-- « dLsse chtf uoi ci haueul molti nimici
et subito quando haueuono da appiccarsi, lo
faceuano; et che li era bene in questi tempi
non dare que.ste cagioni di mormorare».
— " io ne so questo certo, che il papa
ha mandato loro trentaseimila ducati sino a
dieci di fa per haueme seimila, et uoleua che
si leua.ssero. Li Suizzeri hanno preso quei
danari, et hora non si uogliono leuare se non
hanno 3 paghe **.
' Ed. Camb., v, 340-344. Oltre a' decifrati che Giulian de* Ricci sottolinea, trovansi In
questa lettera contrasegnate al margine sinistro con linea ondulata queste parole : •> Discese
poi in su casi vostri dicendo che quanto a Dio, et alli uomini voi non potevi essere se non
buoni franzesi, né egli ne credeva altrimenti; perchè voi vedete apparecchiate tante armi
in Italia per difesa delle cose sua, et de suoi amici che voi non arete da temere, et quando
li papa fussi inimico non vi ha a ritener questo, perchè 11 Re non dubitò fare contro 11
papa per salvarvi lo Stato nelle cose d'Arezzo, et costrignere II figliuolo ad andare con la
coreggia al collo a trovarlo In Asti, sicché voi gli avete ora a rendere l'opera et scoprirsi
a buon ora acciò che il benefizio sia più grato, il che potrà tornare in benefizio vostro • —
{A, pag. 9t - B, pag. 49t - C, pag. i21 - Z), 61).
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628 APPENDICE.
§ XIV. Giuliano de* Ricci a chi legge.
Al quadernaccio (che cosi mi pare da chiamarlo), dove dal Ma-
chiavello furono registrate le prime bozze delle lettere, che egli scrisse
a Dieci, mentre che Tanno 1510 stette in Francia, doppo le due copiate
da me di sopra, seguitano alcuni brievi sommarli di lettere scrìtte da
lai a modini et nelle med»« materie ; quale non mi ò parso lasciare
indrieto, accioche siano un testimonio della diligentia sua, et che il
Lettore habbia in un med^o tempo leggendo a riportarne piacere et
utile, poichò anco in essi si scorge una ombra della piacevolezza del
dire di questo autore, che arreca diletto grande et giovamento non
piccolo. Et molto utile apporta il sapere ogni minimo particulare et
accidente seguito in quelli tempi, che il re di Francia roppe la guerra
con il papa a quelli, che si dilettano della lectione delle historie.
— Addi 22 mandate per via di corte al Panciatico a Lione. « scrissi
il giuramento fatto »... — ...« presto i monti ».
[a carte A lOt, B 126, C 63-64, D 51t-52
— Addi 25 tenuta addi 26 di luglio mandata per via di Corte al
Panciatico a Lione. « Risposi alle loro de*xii »... — ...« haute con Man-
tova», [a carte A 11, JB 126-127, C 64, D 52
— Addi 28 tenuta addi 31 di Luglio. « Risposi alla loro »... — ...« il
capitano della sua guardia ».
[a carte A 11, B 127-128, C 64, D 52-52t
§ XV. Giuliano de' Ricci a chi legge.
La lettera, che seguita intera mi è parso a proposito registrarla,
et copiarla alla distesa, come dal Machiavello fu mandata ; ma perchè
la prima bozza fu fatta più chiara et più aperta, et la che si mandò
ritocca, et fatta più obscura, mi è parso, lasciando le margini del libro
più larghe, notare in esse li cassi che sono pure di mano del med*^
Niccolò non cancellati in modo, che non si possine leggere, et li con-
trassegnerò con *.
— N. M. aiS*^ X'* mandata per Gio, Girolami addì 3 d'Agosto che
andò in poste. € Sanno che io scrissi a quelle più di sono »... — ...€ a
disfare il mondo: v. ».*
[a carte A Il-I3t, B 128-136, C 65-68, D 52t-56
1 Di questa lettera, come d'altre non poche spettanti alle Commissioni del M., s'ebbero
parecchi autografi, parecchie copie e transunti ; onde derivarono i molteplici testi che se ne
produssero. Il primo di tali testi comparve neiredlzlone cambiaglana del 1782 (voi. ▼. pag.
353-359), ripetuto poi in quella del 1797 del Poggiali e in tutte le altre di seguito. E che
questa lezione dovesse originare da un esemplare che fu realmente mandato ai Dieci, o che
per lo meno non rimase tra le carte domestiche del M., lo prova il fatto che tanto l'apo-
grafo di Giuliano de' Ricci, quanto quello barberlnlano del Tafani, diversi fra loro, diversi-
ficano anche da quello, col quale tuttavia anno comune il lungo poscritto : « diedi a Giovanni
Girolami «, ecc., omesso nella lettera originale dell'Arch. fior. (Lett. ai X, f. 100, e. StfO)
[ci. X, dist. 4. n. 104] da cui fu tratto 11 testo dell'ultima edizione (Opp. M., t. v, pag. 42-4S).
Inoltre il testo dell'apografo del Ricci e del ras. barberlnlano, prescindendo dalle inavvertenze
dei copisti che lo resero erroneo, è assai più brevò di quel dell'edizione cambiaglana citata.
Però questa non ebbe ad èsser tratta né dai manoscritti sopra indicati, né dall'originale che
si custodisce ora nell'Archivio di Stato. Dovette esistere pertanto un altro autografo di cui
non ci riuscì aver notizia; e questo autografo recare, se non 11 migliore, certo il testo ptù
Intero. Se si fa il ragguaglio tn, la cambiaglana e l'edizione ultima, s'avviserà subito come
11 testo di questa rivela maggior circospezione da parte del M., il quale in esso si guarda
attentamente dall'accennare l'oratore del papa altrimenti che come •• uno uomo di grande
autorità •>, • quello di autorità che di sopra ti dice «, •> questo tale * ; mentre nell'altro
contesto lo qualiflca a dirittura senza mistero. Di soprappiù nell'edlz. ultima la lezione è più
accurata e fedele, e più s'attiene al sistema ortografico dell'autore. I trascrittori degli apograll
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APPENDICE, 629
— N, M, ai SS"^ X"^ die 9 et 10. « Dopo la partita di Gio: Giro-
lami »... — ...< giudicheranno a proposito per loro libertà ». *
[a carte A 13t-14t, B 136-143, C 69-72, D 56-59
§ XVI. Giuliano de' Ricci a chi legge.
Se bene la precedente lettera apparisce habbia il suo devuto fine,
nondimeno mi è parso a proposito far noto ai Lettori, che dal Ma-
chiavello si trattò in essa di altri negot^i, che dipoi essendo stata levata
la maggiore parte dì quella carta, ci ha tolto vìa il fine della prece-
dente, et il principio della seguente lettera, la quale fu dal meàF^
Machiavello scritta a SS" Dieci.
— « Et feci loro bene intendere il contenuto di quello »... — ...« sono
rimaste fra via ».* [a carte A 15-15t, B 143-146, C 73-74, D 59t-61
— « Die 18 Augusti 3 N, M.: « Scrissi l'ultima mia a di 13 »... —
...« secondo la loro solita humanità ».
[a carte A 15t-16t, B 146-151, C 74-76, D 61-63
— Addi 24 Agosto : Risposi alla de' X. Scrissi del dubbio del passo
de' Svizzeri »... — ,..« ricordai l'Imbre et i miei 50 y ».* (Giornale di Nic-
colò MachiavelU). [a carte A 16t, B 151-152, C 76-77, D 63
— N. M. a' SS. D^' addi 27 Agosto : « L'ultime che io ho da V V. SSrìe
furono de' di xv del presente »...s — ...« tirare questo re alla divisione
d'Italia». [a carte A 17-18, B 152-157, C 77-80, D 63-65t
— N. M. ai X"* € Addi 30 d'agosto : « Addì 27 fu l'ultima mia. »... —
...€ a quest'ora potrebbe esser fatta. Raccomandomi ».^
[a carte A 18-19,'' B 158-164, C 80-83, D 66-68t
§ XVII. Giuliano de'Bicci a chi legge.
Questa che seguita è una informazione data a Niccolò da uno
B, C, D invece furono assai meno scrapolosi in quanto a fedeltà, e troppo forse indulgenti
al loro particolar gusto, al quale si dee probabilmente ascrivere che l'inciso: • Se il papa
farà verso di me dimostrazione ancora che piccola di amore ■ venisse sostituito con
miglior cura di galateo, ma certo con minore efficacia, a: Se il papa farà verso di me
dimostrazione d'amore quanto è un nero d'ugna, io ne farò uno braccio ». Il ms. barb.
reca ■ monsignor dcllaTramoia ". dove gli altri apografi erroneamente anno {B, C. D) ; « della
Ramfla », {A, non di scrittura di G. de R. In questo passo): " della namoia '*. E tutti poi gli
apografi, compreso A, recano con manifesto errore de' copisti « monsignore di Guisa • in luogo
di • nuìnsignore di Oursa^, non riuscendo più a chi copiava nò di leggere né di interpre-
tare il vescovo di Gurca, sotto questa designazione. Anche il testo della lettera susseguente
nel tre apografi coincide senza varianti con quello del ms. barberiniano.
1 Ed. Camb., v, 359-363.
* Frammento della lettera zi (Ed. Camb., v, 364-366). deìla. LegoJiione terza alla Corte
di Francia. Mancano le prime cinque e le ultime quattro linee del testo edito. La lezione di
G. de' Ricci concorda con quella del ms. barberiniano; tuttavia la scrittura nel ms. A (pag. 15t)
non è di Giuliano.
< Ed. Camb., v. 367-370. — Ms. barber., Id. Nei tre apografi dopo le parole: boccone
amaro, è il seguente brano, che nell'ediz. trovasi altrove e altramente inserito: « /{ re
disse questa mattina aver lettere che Gio. Paolo Baglioni era suto ammazzato, VV. SS.
ne sapranno meglio il vero >. Ms. A: ''ne sapeuano ,, In questo, la scrittura di G. d. R.
comincia solo alle parole " Doppo la venuta di tali auisi ".
* sic in luogo di V.
* Cosi gli apografi erroneamente. L'originale ^Arch. fior., Lett. al Xei, f. 109 a e. i43) à
• de' di 11 del presente «, conforme all'ed. Camb., v, 378-376.
< Ms. barber. idem. — Ov' è lacuna dopo le parole: • Ifon approvò che W. SS.rie
per scusa del non mandare le genti allegassi la che di Roma * (Apogr. A, B, C, D:
allegassin; ms. barb.: allegansi), il cod. barber. lascia supporre: - allegassi le pratiche
di Roma •. Cosi à infatti l'autografo dell'Arch. fior. (Lett. ai Xei f. loo. e. 481) il cui testo
diversifica alquanto da quel degli apografi. Nel ms. A la scrittura di G. d. R. cessa alle pa-
role: "et portaua Inter cetera".
V In A: " Seguono instructioni, lettere, et discorsi appartenenti a questa gita In questo
a carte trentaquattro ".
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630 APPENDICE.
de' principali Cittadini della Città attenente alla gita di Francia
del 1510.
— « Niccolò io ho parlato con M. Marcello »... — ...« et a che tempi
il gonfaloniere gli habbia designati pagare ». *■
[a carte A 33, B 164-165, C 84, D 68t-69
— N, M. ai X^ addi 2 di Tbre : « L'ultima mia fu de' di 30 e 31
del passato *... — ...« sicché per questa non si replicheranno. Valete >.*
fa carte A 33-33t, B 165-170, C 84-86, D 69-71
— N. M, ai X*'' Addi 5 di 7bre 1510. < Addi dua di questo fu l'ultima
mia »... — ...« gli altri poi ne vogliono quello che esso ». ^
[a carte A 34-34t, B 170-174, C 87-89, D 71-73
— N. M, ai X*^ Addi x di ^bre: « Comparsone hieri le di V. S« >...—
...« commissioni vostre et prudenza sua *.*
[a carte A 44t, B 174-176, C 89-20, D 73-73t
§ XYIII. Giuliano de'Ricci a chi legge.
Questo ò quanto si è ritrovato che fosse scritto dal Machiavello
l'anno 1510 la 2* volta che andò in Francia a' SS." Dieci di Libertà et
Pace (^c) della città di Firenze, da' quali l'anno seguente per le cagioni
che s'intenderanno fu altra volta mandato al med.°»o Re X.^o con la
infrascritta patente et instructione cioè:
Decemviri Libertatis et Pacis Reip,^"^ Florent.'^* etc. — Segue
patente a N, M. per al re cristianissimo : « ex palatio fiorentino die Xn»
Septembris 1511 M. Virgilius »... — ...< significa mus vobis »... — ...« habe-
bimus beneficii loco b. t?. ». «^ * [a carte A 19t, B 177, C 90, D 74
— Instructione data a N, M. per in Lombardia e in Francia, addi
* II seguente brano inedito occorre anche nel ms. barberinlano fpag. 107): • Informa-
tione. Niccolò, lo ò parlato con m. Marcello: circa alla informatlone desideravi: dice non
sapere né potere dire altro fuora di quello che sarà notato qui dappiè, cioè:
» Che in su ciascuna fiera corre di presente per claschuno de'duoi re 3250 V et questi
si pagano et sino a qui non ci è debito cosa alcuna di quello che correua et che n'è corso
sino alla prossima futura Aera. ■
" Detonativi se ne haveua a dare x V a Roano che, come sapete, per la morte sua sono
sospesi a Lione nelle mani de*Mercanti dove erano ordinati. m
« A Ciamonte et Rubertett si à a dare fra ambedua altri x V et di questi non so
come siano distribuiti et a che tempi 11 gonfaloniere gli abbi designati pagare •. In A
(32t-33) trovasi preceduto dalla seguente nota che non occorre negli altri Apografi:
" Giulivo de' ricci a ehi legge. Essendo cosa certissima che nella piite mia faticha si può
desiderare più ordine e men confuso non mi pare fuor di proposito, humanissfml lettori, il
renderul ragione di parte della intentlone et animo mio. Dovete adunque sapere che basendo
io hauti qtti originali alla rinfusa, non ho possuto si per questa, cagione, come anco per
hauerli hauti in più volte, et essere occupatissimo, servare l'ordino de' tempi, et mi è ba-
stato solo di registrare in questa prima parte del libro tutti i discorsi che dal Machlauello
fùron fatti sopra diuerse attioni Importanti, che ne* suoi tempi si trattavano inf^a diaersi
principi, de quali discorsi il tempo ce ne ha lasciati pochi, et quelli molto malconci ; Inoltre
perchè da ciascheduno possa essere noto In quanti et in quali importanti maneggi e' fosse
adoperato da suoi cittadini, ho preso faticha di registrare et far nota di tutte le spedltione
e comessioni che hebbe detta repc«, copiandovi apresso, se ne ò trouate, le Ire che da lai
furono scritte a* magistrati in quella spedltione, et cerchato di fare sempre maggiore cu-
mulo che ho po.ssuto di cose apartenenti a quel negotlo. Ma con tutte le diligentie usate,
per le molte diflcultà haute non mi è uenuto interamente fatto ; et eccho che adesso hauendo
trouato altre sue Ire, le copio qui apie. che si potranno attachare con le altre che flnischono
in questo a carte uentuna. Et questa che seguita è una informatlone datali da uno de' prin-
cipali cittadini della città, attenente alla detto gito di Francia del 1510 *'.
* Manca ne' tre apogr. e nel ms. barb. il poscritto che è nell'edizione Camb., y, 384-387
e nelle altre edizioni posteriori, indizio che quella prima fb fatto sull'autografo.
* Ed. Camb., v, 387-389. Mancano gli ultimi tre capoversi che sono nelle edizioni. Si-
milmente nel ms. barber.
^ Cod. barber., n. ziii. Ed. Camb., v, 381-384.
> Ed. Camb., v, 390. Riproduce anche il sigillo del Magistrato dei Dieci; però è a cre-
dere che l'edizione sia stoto fatto dall'originale (Bibl. naz. fior., doc. M., busto ▼, n. i54).
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APPENDICE. 631
X di settembre 1511. « Niccolò egli ti è benissimo »... — ...« materia
del concilio >.* [a carte A 19t-21t, B 178-187, C 90-95, D 74-78t
§ XEX« Giuliano de'Ricd a chi legge.
Servissi sempre, et no' maggiori suoi bisogni dall'anno 1494 al 1512
la Repub.c« del nostro Machiavello, però sentendo Tanno 1512, che
l'Esercito Spagnuolo veniva in verso la Toscana e dubitandosi de' pro-
gressi di esso, da quelli che airbora reggevano fu mandato addì 23 di
giugno Niccolò nella Valdichiana per levare fanterie; e dipoi addi
28 di luglio del detto anno fu mandato colle med.io^ commissioni in
diversi luoghi per levare fanterie, e condurle in verso Firenzuola, dalla
quale parte* si dubitava, e da esso dovette essere eseguito il tutto
diligentem.t^ secondo il solito suo, e non sendo le provvisioni, da quello
state fatte, sute bastanti ne segui la mutazione . di esso addi ultimo
d'agosto 1512, sendo ritornata nella città l'IU.ina famiglia de' Medici.
Da una parente (che forse fd Mad.™» Alfonsina madre del duca Lo-
renzo) della quale famiglia ricerco il Machiavello di darli notizia de'casi
successi, li scrisse la qui infrascritta lettera, che servirà oltre alla no-
tizia particulare di quei casi per mostrare a ciascuno quanto s'ingan-
nasse il Giovio quando negli elogi disse il Machiavello essere stato poco
affezionato alla casa de' Medici. ^ Questa lettera potette anche essere
scritta a madonna di Furli.
— N» M. a — — « Poiché V. S. vuole, Ill.^a Madonna, intendere
queste nostre novità di Toscana »... — ...« mi abbia per scusato, qucie
din et felix valeat».^ [a carte A 42t-43t, B 189-196, C 96-99
§ XX. Giuliano de'Ricd a chi legge.
Nel med.rao foglio, dove è scritta la soprad.» lettera, che il Ma-
chiavello mandò ad una donna interessata, o per parentado, o per
amicitia, o per affectione con quelli della IH.^a famiglia de' Medici, vi
è dipoi la infìrascritta memoria delle cose seguite pochi giorni doppo,
che appartenendo alla med.ma materia, et dall'autore stesso messe in-
sieme, mi parrebbe errore il separarle, però le scrivo qui di sotto.
— Segue il frammento indicato. « Essendosi in quel tanto »... —
...« questi Mag.c» Medici reintegrati ».
[a carte A 43t-44, B 196-197, C 9^100
§ XXI. Giuliano de'Ricd a chi legge.
Se e'mi fosse lecito, o per meglio dire possibile conservare l'ori-
l Ed. Camb., v, 391-396.
3 A questo punto termina TApografo Corsinlano D.
> Ms. A reca in imargine le parole che seguono, omesso " anche ''.
« Ed. Camb.. vi, 7-K. >- W testo della lettera nell'Apografo del Ricci è identico a quello
del ms. barberinlano ; vi manca cioè quel brano che va dalle parole : •• ettendoti in quel tanto
in Firenze « sino a ■ e' gradi de' loro antenati " che nelle edizioni suole introdursi frale
parole • si eonduste a Siena ne» questa città resta quttissima ". Bensì, nel ms. barbe-
"rinlano, a pag. 130, In fine di quella lettera, trovasi trascritto colla seguente nota: • Della
medesima materia, scrittura imperfetta «. Si verifica la stessa cosa pel testo copiato dal
Ricci (S xzi): e ciò ne dà argomento a credere che cosi questo, come quello, sian derivati
dal medesimo autografo, composto di fogli staccati, in un de'quali doveva esser compresa
raggiunta senza segno di chiamata. Se non che, T inserzione di quel frammento nell'edizione
Camb. VI, 7-lt, da cui copiarono le volgate, fu per fermo arbitraria, né si può supporre ori-
ginata da altro miglior autografo, di quello mandato air illustre ma incerta Signora cui è diretta
la lettera, poiché II Camblagi medesimo avverte d'essersi giovato solo della copia del Ricci.
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632
APPENDICE.
ginale di donde io traggo la infìrascritta lettera del Machiavello, credo
certo che chi la vedesse, in un medesimo tempo si maraviglierebbe della
dlligentia mia, mi scuserebbe delli errori che nel copiarla havessi fatto,
mi harebbe compassione della fatica che ci ho durata et in ultimo mi
harebbe un grande obbligo, che io l'avessi ridotta in modo che si possa
vedere, et perché la è piena di cassi, di rimessi, consumata non tanto
dal tempo, quanto dalla straccurataggine, et inoltre vi sono molte
chiose» io per poterle notare ' lascio contro al solito le margini del libro
larghe. Leggetela dunque, humanissimi lettori, che in essa riconoscerete
lo ingegno del Machiavello non meno, che vi abbiate fatto, o siate per
fare in altra cosa sua.
— Segue: Niccolò Machiavello a Ghiribizzi scritti in Raugia
al Soderino.^ — « Una vostra lettera »... — ...€ nella provincia sua >.
[a carte A 57t-68t, B 198-203, C 100-103
^ Ms. A: "et anco per potere fare mentione di alcune dluersità **.
* Ed. Camb., vi, 50-52. -~ In margine di questa specie di lettera. Intitolata tanto dal
Ricci quanto dallo scrittore del codice barberinlano: • Ghiribizzi scritti in Raugia a Pier
Soderini •. titolo analogo a quello de'Giribixzi d'ordinanza [Arch. flor,. Carte del Ai.,
provei\ienza Zanoni] da noi più oltre recate in appendice; si trovano segnate parecchie sen-
tenze, le quali occorrono negli scritti politici e letterari del Machiavelli, ma non tutte nei
differenti mss. s'incontrano. Oltracciò v'à, ne' diversi testi. Inversione, quantunque lieve,
d'alcuni incisi. Sono In tutte e due le specie di mss. le seguenti:
— Chi non »a schermire ravviluppa ehi sa di scherma.
— Non consigliare persona né pigliar consiglio da persona, eccetto che un consiglio
generale: che ognuno faccia quello che gli detta l'animo, e con audacia (ms. barb. e
l'audacia).
Negli apografi da quel di Glullan de' Ricci; — Ciaseuruì secondo la sua fantasia si
governa.
— Tentare la fortuna ch'ella ò amica de' giovani, et mutare secondo truovi. ma non
si può avere le fortezze e non le avere, essere crudele et pio.
— Come la fortuna si stracca, così si rovina.
— Julio, la famiglia, la città, ognuno ha la fortuna sua fondata sul modo del pro-
eedere suo et ciascuna di loro si stracca, e quando la è stracca bisogna racquistarla
con un altro modo. Comparatione del cavallo et del morso circa le fortezze.
A noi parve dapprima che. se anche la materia intrinseca di questo scritto potesse cre-
dersi del Machiavelli, sarebbe a dubitare se questa lettera sia mai stata scritta da lui, o
almeno, se mandata mal. A ogni modo le sentenze marginali, e segnatamente alcune Insert
nel testo del ms. barberinlano, non ci paiono cadute dalla penna del Segretario florentino.
quantunque consuonino co* pensamenti suol. E il modo dell' indirizzo, secondo ce lo tramanda
11 Ricci, e 11 dolore del Ricci stesso per non vedersi né lecito né possibile conservare l'origi-
nale, valsero a rafforzar sul principio 1 nastri dubbi. Se non che, ci venne poi fatto nel Prco-
rista di Glullan de* Ricci medesimo (Ms. nella Bibl. naz. flor. Quartiere di StuUo Spirito.
e. 237) rinvenire una citazione della stessa scrittura, colla Interpretazione a fronte fatta da
Giuliano, In una forma che ci sembrò forse la men remota dall'originale probabile. Eccola:
Lett. del M.
Una vostra lettera mi si presentò in pap-
pafico: pure doppo dieci parole la riconobbi.
Credo la ffequenzia di piombino per cono-
scerui.
Et delli impedimenti vostri et di fllippo sono
certo, perchè lo so che l'uno è offeso del poco
lume, et l'altro dal troppo.
Gennaio non mi da noia pur che febbraio
mi venga fHt le mani.
Dolgoml del sospetto di Fllippo et sospeso
ne attendo 11 fine.
Priorista, loc. cit.
Interpretatlone di essa.
— Pappafico era una maschera di panni»
che copriva il viso, et in quelli tempi si usaun
portare quando caualcauano, per difendersi dal
vento et dal ffeddo et andando turati veni-
vano a non essere riconosciuti cosi facilmente.
Però douette questa lettera essere fatta scri-
uere dal Soderino di altra mano che la sua
et non sottoscritta, o con nome finto, per ri-
spetto de' pregi udttll .che portauaseco lo acrl-
uersi l'uno all'altro, et Niccolo che aueua in
pratica Io sttl suo, la conobbe ben presto et
Li risponde.
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APPENDICE.
633
§ XXII. Giuliano de' Ricci a chi legge.
Io ho sempre, humaniss.™» lettori, tenuto gran conto delle memorie
antiche, et sempre mi è parso officio debito di ciascuno il cercare di
mantenere le cose dei suoi il più che sia possibile, et anco risuscitarle,
et metterle in luce et in consideratione alli posteri (non si partendo
però mai dalla yerità). Et di questo mi sono in testimonio le fatiche
che ho durate nella investigazione delle actioni, et delli huomini della
famiglia de' Ricci. * Testimonio non piccolo ne rende ancora la pre-
sente fatica attorno alle cose di Niccolò Machiavelli mio avolo. Et questa
è la cagione che avendo trovato una letterascritta dal dM Machiavello
a Francesco Vettori sopra la triegua fatta Tanno 1513 infra il Rè di
Francia e quello di Spagna, ricercando io di quella che, ricercandolo
che discorresse sopra questa materia, gli scrisse il Vettori, mi sono capi-
tate alle mani molte lettere sue, le quali, parendomi che in esse oltre
alla piacevolezza et garbatezza vi sia la notizia di molte cose seguite in
quelli tempi, non narrate semplicemente, ma discorsovi sopra fondata-
mente et con bellissimo giuditio mi sono resoluto a registrarle tutte per
ordine inserendovi le risposte del Machiavello, dove le troverrò, che sa-
ranno poche perchè non se ne salvava registro. Non voglio già mancare di
dire, che queste lettere sono scritte dall'uno amico all'altro, senza alcuno
ornamento di parole, et senza mettervi alcuno studio, ma solo tirate giù,
secondo che veniva loro alla mente. Serviranno anco queste lettere
oltre a quanto ho detto di sopra per dimostrare lo stato nel quale doppo
il 1512 si ritrovava il Machiavello, et il giuditio che ne faceva il Vet-
tori persona reputatissima, giuditiosiss.n^* et in quelli tempi jfkvorito,
et molto adoperato dalli 111.»» Medici sotto il governo de' quali si reg-
geva allhora la Città doppo la cacciata del Sederini, al cui tempo, sendo
stato assai adoperato il Machiavello, et particularmente nelli ultimi mesi,
quando lo exercito Spagnuolo passò in Toscana, et saccheggiò Prato,
Fu la vostra lettera brieue et lo rileggen-
dola la feci lunga.
Fumml grata perchè mi dette occasione di
fare quello che io dubitauo di far% et che uoi
mi ricordate che io non faccia, et solo questa
parta ho riconosciuto in lei senza proposito.
Di che io mi marauigllerei se la mia sorte
non mi hauesse mostre tante cose et cosi ua-
rle, che io sono costretto a marauigllarmi poco,
et confessare non hauere gustato né leggendo
né praticando le actioni delli huomini et II
procedere loro.
Conosco uoi et la bussola della nauigatione
v.ra et quando potesse essere dannata (che
non può) ueggendo In che porti ui abbia gui-
dato et di che speranze ui possa nutrire.
Donde io credo che con lo specchio v.ro
dove non si vede se non prudentla, ma per
quello de' più che si habbia nelle cose a uedere
11 fine et non il mezzo.
— Douette essere lettera di importanza et
da lui uista et letta uolentierl.
— Cioè di scriuerll et che doueua andare
ritenuto et forse qualche altra cosa di mag-
giore momento.
— Si uoleua mettere in ogni rischio et pe-
ricolo: tanta era la reuerentia et affectione
che gli portaua.
— Ecco che 11 Machiauello loda il proce-
dere del Soderino et ancora non erano fkiori
di speranza di qualche Insperato successo In
bene.
in margine dell'originale dice a giudi-
care et chi uuole leggere il fine di questa let-
tera che ó bellissima la trouerà nel mio libro
doue ho copiato molte cose del Machiauello
che non sono stampate, e. 59.
^ Allude al Prioritta^ che tuttora si conserva presso la signora marchesa Piccolellis,
vedova dell'ultimo de' Ricci, del qual Priorista esiste pure il citato esemplare nella Bibl.
Maz. fiorentina.
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631 APPENDICE.
none maraviglia se dalli inimici suoi (che non gliene mancava) fu trovata
occasione di farlo incarcerare,* come nelle seguenti lettere s' intenderà.
— Mag."^ Viro Francisco Yettorio oratori florenL*^ Dignissimo apud
summum ponti ficem Romce, < Come da Pagolo Vettori harete inteso »...
— ...« fare honore a voi et utile a me.» Die 13 martii 1512.*
[a carte A 143t, B 205-206, C 104
— Mag.'"* Viro Francisco Victorio oratori fior,'*'' apud summum
pontificem Romce. « La vostra lettera tanto amorevole »... — ...« che me
la pare sognare ». ^ [a carte A 44t, B 206-208, C 104-105
— Frane.'''' Vettori in Roma a Niccolò Machiavelli addi 15 di marzo
1512 (secondo lo stil fiorentino et 1513 airEcc.co) « Da otto mesi in qua
io ho avuto gli maggiori dolori »„. — ...« patientia a tutto ». *
[a carte A 44t, B 208-209, C 106
— Fr. Vettori a N. M. addi 9 di aprile 1513.^ « In otto giorni ho
avuto due Vostre »... — ...« et presto ne sareno chiari ».
[a carte A 44t-45, B 209-211, C 106-107
— Magf'* Oratori apud summum ponti ficem Frane, Victorio. « Ed
io che del color fui più accorto, ecc. Questa vostra lettera mi ha più
sbigottito che la fune ^ »... — ...<i: l'anima sua et di tutti e sua ». — addì
9 di aprile 1513. [a carte A 144-144t, B 211-213, C 107-108
— N, M. Mag."" Viro Francisco Victorio Oratori Florent,**^ apud
summum pontificem patrono, et benefactori suo Romce. Addì 16 d'aprile
1513. « Sabato passato vi scrissi »... -^ ,..« quello che mi è restato ». ^
[a carte A 144t-145, B 213-216, C 108-110
— Fr. Vettori a N. M, Romae die 21 Aprilis 1513: < Destami questa
mattina a buon bora »... — ...« et a voi mi raccomando ».*
[a carte A 45-46, B 216-222, C 110-114
^ N. M. a Fr. Vettori, oratore presso S. 5."* Jesus Maria: « Io
nel mezzo di tutte le mie felicità »... — ...« faceva per lui li garbugli
bora la pace.... » (manca il fine)^
[a carte A 46t-49, B 223-235, C 114-120
— N. M. a Francisco Victorio Mag.^" apud summum ponti ficem.
€ Io vi scrissi più settimane fa »... — ...« facendola senza partecipazione
d'altri » — die 20 junii 1513. *o
[a carte A 145-146, B 235-240, C 120-123
— N. M. a Gio. di Fr. Vernacci in Pera: € io ho ricevuto più tue
1 Ms. A: ** come nella seguente lettera del Vettori, scrittali pochi giorni doppo la crea-
tone di leone xmo r1 Intenderà **.
> Edlz. Italia (Firenze. 1813, voi. viii, pag. S9-30) : • die 13 martll 1512 * secondo 11 ms.
barberlnlano, nel quale, come neiredlz. anzidetta, la data de* di 18 di marzo è apposta alla
lettera susseguente.
s Edlz. clt., t. vili. pag. 32-33.
* Edlz. clt., t. vili, pag. 30-31.
6 Edlz. clt., t. vili, pag. 34-35.
V Edlz. clt., vili. pag. 35-87. Nel codice barberlnlano è una lacuna, come Indicammo,
dalla pag. 25 alla 32 : però 1 documenti copiati della corrispondenza tra. II Vettori e II Ma-
chiavelli saltano bruscamente dal 30^ al 48^.
'' Edlz. clt.. vili, 37-39. In A, dalle parole " et ogni di me li richiede „ sino a " et
cardinale di Volterra quello medesimo: di modo che co non poato credere ,, lo scritto
non è di mano di G. d. R., quantunque vi appaiano correzioni sue.
> Edlz. clt.. vili, 41-46.
" Edlz. Camb., vi, 18-25. Nel ms. A questa lettera non è tutta autografe del Ricci, an-
dando la scrittura d*altra mano dalle parole *' nella quale Impresa a me parve „ sino a
*' come voi dite che doveva fare per non hauere trovato ".
1» Edlz. 1813, vili, 55-59.
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APPENDICE. 635
lettere et ultimam.t® »... — ...« mi si mostrino più benigni > — addì 26
di giugno 1513.* [a carte A 61, B 240-241, C 123
— Fr. Vettori a N. M, addi 27 di giugno 1513: « Io non vi ho ri-
sposto a una vostra »... — ...« credo (non) ci rincrescerà il parlarne ».^
[a carte A 49-49t, B 241-245, C 123-125
— Fr, Vettori a N. M, € Compare mio caro, ancora che come io
vi ho scritto »... — ...« fuggo le cerimonie quanto posso » — addi 12 di
luglio 1513.3 [a carte A 50-50t, B 245-251, C 125-128
— Fr. Vectoritis Orator Romce die 5 Augusti 1513: t Se io serbassi
copia delle lettere scrivo »... — ...« ogni novellaccia^ vostra mi pia-
cerà. Iddio v'aiuti ». [a carte A 5l-51t, B 251-256, C 128-130
— N, M. Fran,^ Viatori patrono suo: addi 10 d'agosto 1513: < Voi
non volete che questo povero rè di Francia »... — ..,« simili al Biancac-
cino,5 raccomandomi a voi ».
[a carte A 146<^148t, B 256-266, C 131-135
— Fr, Vettori a N. M. addì 20 d'agosto 1513: < Compare mio caro,
ancora che di ogni materia che scriverrete »... — ...« se non raccoman-
darmi a voi ».6 [a carte A 51t-53t, B 266-278, C 135-141
— N. M. Magnifico Viro Fr. Vectorio Oratori Romce apud summum
ponti ficem, addì 26 agosto 1513 in Firenze: «Questa vostra lettera
de' 20 mi ha sbigottito »... — ...« se ora ci si può rimediare. Valete ».'''
[a carte A 148<r-150, B 279-286, C 141-144
— N. M. Magn."^ Oratori Franc,^'' Viatorio apicd summum ponti ficem
patrono et benefactori suo. Romce; die x octobris 1513 in villa. « Tarde
non furon mai grazie divine »... — ...« et a voi raccomando, sis felix».*
[a carte A 150t-151t,» B 286-292, C 145-147
^ Ediz. Camh.. vi, 24-26.
' GII apografi omettono • non ». Ediz. 1813, viii, 60-63.
« Ediz. cit., vili, 63-67.
* Ediz. cIt., vili, 68-71 " nooelluccia ".
^ B e C Biancaccino: ediz. cit., viii, 71-78, Brancdtceino . Nel ms. i4, non 6 scrittura
di G. d. R.
« Ediz. cit., vili, 78-87.
^ Ediz. cit., vili, 88-93.
> Ediz. cit., vili, 9:ì-98.
* Ediz. cit., vili. Di.sgraziatamente questa importantissima lettera non fu trascritta di
mano di G. d. R.. essendo nel ms. A copiata dalla mano meno esatta tra quelle che coadiu-
varono il Ricci alla compilazione dei suo regesto. Tuttavia da questo apografo che Giuliano
stesso cercò in qualche ^arte dichiarare o correggere, derivarono tutti gli altri manoscritti
e, conseguentemente, le edizioni, più o meno imperfette, ma fk*equentissime. di questo slngolar
documento, di cui daremo, secondo è nostro costume, alcune delle varianti di maggior ri-
lievo fra 11 ms. e i testi a stampa:
Ed.:
— " io mi levo col sole e vomml In un
mio bosco ".
Ed.:
— " io cominciai a fare il diavolo, volevo
accusare II vetturale, che vi era Ito, per ladro,
donde G. Machiavelli vi entrò di mezzo e ci
pose 'd'accordo ".
— '* tutti ne hanno fatto capo grosso, et
In specie Batista, che connumera questa tra
le altre sciagure di stato. Partitomi dal bosco,
io me ne vo ad una fonte, e di qui in un mio
uccellare, con un libro sotto ,, ecc.
— " Cosi rinvolto In questa viltà, traggo
il cervello di muffa ".
— " Venuta la sera mi ritorno a casa,
ed entro nel mio scrittolo, ed in sull'uscio mi
spoglio quella veste contadina, piena di fango
e di loto „ ecc.
Ms.:
— *' io mi lievo la mattina con el sole et
vommene in un mio boscho '\
Ms.:
— " lo cominciai a fare il diavolo, volevo
accusare el vetturale, che vi era ito per esse,
per ladro. Tandem G. Machiavelli entrò di
mezzo et ci pose d'accordo ".
— ' " et tutti ne hanno fatto capo grosso,
et in spetie Batista che connumera questa tra
l'altre sciagure di prato. Partitomi dal bosco
lo me ne vo a una fonte et di quivi in un mio
uccellare, ho un libro sotto ,, ecc.
— *' Cosi rinvolto entro questi pidocchi
traggo el cervello di muffa ".
— '' Venata la sera mi ritorno in casa,
et entro nel mio scrittolo: et in sull'uscio mi
spoglio quella veste coti diana piena di fango
et di loto „ ecc.
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636
APPENDICE.
— -V. M. MagJ^ Oratori Fr. Victori R. P. Flor."^ apud summum
Pontificem, addi 19 di X.bre 1513: « Io vi scrissi 8 o 10 di sono »... —
...« come e* V ha perduto con questi. Valete ».*
[a carte A 152-152t, B 292-295, C 148-150
— N. M, Mag,"*' Oratori Fior. ap. sum, Pontif, Fr, Victorio be^
nefactori suo osservandissimo, addi 5 di gennaio 1513. « Egli è per
certo gran cosa a considerare »... — ...« alle faccende vostre a vostro
modo».» [a carte A 153-153t, B 296-298 C, 150-151
— " dove lo non mi vergogno parlare con
loro e domandare della ragione delle loro
azioni ".
— '' E perchè Dante dice che non ttx scienza
senza lo ritenere lo inteso *\
— " pregoul che mi salviate qaesta paura *'.
•— " doue io non mi uergogno di parlare
con loro et domandarli della ragione deUe
loro actloni **.
~ " et perchè Dante dice che non fa scienza
sanza lo ritenere lo hauere Inteso ".
— ** pregoul che mi solviate questa paura ".
^ Ediz. cit., vili, 98-100. — In A la scrittura di mano di G. d. R. comincia alle parole:
' fare resuscitare morti et essere creduti ". — Varianti principali:
ediz. — '* e disslvi. circa il mio venir costà,
quello che mi teneva sospeso **.
— " A noi pare, fondati sulla sapienza di
quella. E vedete se Donato merita di esser
messo nel numero degli affezionati servitori
deir illustrissima casa de* Medici "\
— "voi pigliate questa impresa con più
animo. E* si trova in questa nostra città
* Ediz. clt., TIZI, 100-103.
Ms. — " et disivi circa al venir mio costà
quello che mi teneua sospeso. Attendo la op-
penione vostra et di poi ,, ecc.
— " A noi pare, fondati in sulla sapienza
di quella che ritrasse in prima, che una letr-
tera senza che ci sia chi ricordi sia un favore
morto. Però noi giudicavamo necessario che
si operassi costi quando fussi possibile, che
per Niccolò Michelozzi i hauessi questa com-
messlone da Giuliano qui lo ricordassi a Lo-
renzo, o per lettera che Juliano 11 scrivessi,
o per lettere eh' e' gli scrluessi Piero Ardin-
ghelli In nome di Juliano, perchè, ogni scusa
che hauessi, per Niccolò se li farebbe ricor^
dare ne' debiti tempi questa materia. Et perché
noi pensiamo che a Piero Ardinghelli fussi
facile condurre questa cosa, ul facciamo in-
tendere che uol ce lo affatichiate dietro con
prometterli che n'escirà di meglio quello che
uoi giudicherete bisogni offerirli, et Donato
uè ne farà honore. Et a questo non mancherà
modo, perchè lui sa come la Mtia di Giul« ha
tatto a fauorire maestro Manente et qualchuno
al tempo che GiuP vuole che aleno servite ;
et cosi bisogna eh' e' fauori di Donato ria-
schino ; et se Piero uorrà, credo si possa ha-
uer tutto. Pertanto a noi pare che si usi que-
sta medicina di Piero, et che tutti e* fauori
che hanno a uenire uenghino dalli 8 al 15 di
gennaio, per che Piero in sul fatto per le ra-
gioni dette. Et che uoi sappiate ogni cosa et
veggiate se Donato merita ,, ecc.
— "uoi pigliate questa impresa con più
animo. Donato et io non facciamo forza di af-
faticharvi et rlaffaticharvi In questa cosa, per-
chè sapendo quanto siate officioso amico, cre-
diamo richiedendovi farui pTe, et però lui ad
un tratto ut si raccomanda et scusa, quando
pur bisognassi ; et do che ui si scriue vi si
dirà per nostra opinione, ma sempre si ap-
proueranno tutti e* modi che da noi saranno
presi, come più prudenti. Quelli quattro uersi
che uoi scriuete del Riccio nel principio deUa
lettera di Donato noi li dicemmo a mente a
Glouannl Machiauelli; et in cambio del Ma-
chiauello et del Pera, ui adnestammo Gio:
Machiauelli. Lui ne ha fatto un cApo come
una cesta; et dice che non sa doue uoi haaete
trottato che tocchi, et che uè ne vuole scrl-
uere in ogni modo. Et per un tratto philippo
et lo ne hauemmo un p. (t) grande. Et si troaa
in questa nostra città... ,.
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APPENDICE.
637
— N. ifcf. Fr, Victoria Oratori Romae, addi 31 di Gennaio 1514.*
€ Avea tentato il giovinetto Arciere »... — ...€ Donato vi si ricorda etc. »
[a carte A 156t-lff7t, B 209-303, C 151-154
— i^T. ikT. Mag,^'' Oratori Flor."^ Franca* Viatorio apud summum
ponti ficem, benefactori suo, Alli 4 di Febbraio 1514: « io tomai hieri di
villa »... — ...« mi sarebbe grato me lo scrivessi. Valete ».*
[a carte A 153t-154t, B 303-307, C 154-156
— N. M, Mag.^"* Orats* Flor.*^ Fran."^ Vettorio apud summum
ponti ficem stw Obs.*^ Romae. Addi 25 di Febbraio ; « Io hebbi una vostra
lettera dell'altra settimana »... — ...« cbe non fare et pentirsi ».^
[a carte A 154t-155t, B 308-312, C 156-158
-^ N. M. a Fr. Vettori, addi 16 Aprile 1514. « Sarà egli doppo
miiranni cosa reprehensibile »... — ...« basta a uno o dna di quelli al-
tri etc. »* [a carte A 5-5t, B 312-316, C 159-160
^ Ed. 1813, vili, 143-146. Gli Apografi del regesto di Giulian de* Ricci offrono per questa
lettera molte varianti dal testo edito. A prescindere da quelle grafiche, che son moltissime,
diam saggio solo delle seguenti:
ediz. — • . . . senza quella qualità di vita. Ir
mi dolgo che voi . . . ecc. «
— * quel piacere ne areste voi se lo prova
Donato nostro ».
— • sono unici porti e refugj al mio legno » .
— • E manco di due di sono mi avvenne » .
— ■ Nympha, precor, penei mane ; non Inse-
quor hostis
Ms. — > senza quella qualità di vita. Et
perchè io so quanto tali pensieri vi dilettino
et conoscere simili ordini di vita, io mi dol-
go, ecc. ■
— « quel piacere che arestl voi, se ne porta
Donato nostro ».
— •• sono unici miei porti et miei refugli
ad el mio legno ».
— • Et manco di dua sere sono mi av-
venne >.
— ■ Ninpha^precor petrela (gic) mane. Non
insequor hostis
Sic aquilam penna fùgiunt trepidante columbae
Hostes quisque suo» ••.
— • gli parrebbe quelli noi medesimi esser
leggieri, incostanti, volti a. cose vane •.
— ■ E questo modo di procedere se a qual-
cuno pare sia vituperoso ».
— • n duca Valentino, Topera del quale lo
Imiterei sempre quando fossi principe nuovo,
conosciuta questa necessità, fece monsignore
.... presidente in Romagna*.
* Ne* ms. la data è • 4 di febbraio 1513». Male pubblicata neirediz. 1813, viii, 103-106; peg-
giorata ancora nelle ristampe. Varianti di maggior rilievo:
Sic aquilam fugiunt penna trepidante columbae
Hostes quaeque suos ».
— « gli parrebbe quelli noi. medesimi essere
leggieri, incostanti, lascivi, volti a cose
vane ».
— • se a qualcuno paressi vituperoso ».
— > . . . fece M. Rimino (sic) presidente».
ediz. — » gestrire (It) il pane ».
— ■ e perchè voi non vi sbigottiate ».
— <• levate dunque I tasti et cavateli il
trenn ».
» ediz. cit., vili. 108-110. Lacune: — • dove
alloggiava il Panzano, e quello intrattenendo...
gli riscuote due penne della coda ».
•— > se Io mise nel carnaiuolo al dritto ».
— • Sicché egli è meglio pensare come si
abbia a governare questo inganno . . . che en-
trare per questa via ».
— » e girandosegli intomo, veggendolo il
Brancaccio, tutto turbato se gli levò din-
nanzi.
— « et non ne lasciate andare una iota ».
ms. — « gestire il pane » (dal latino ge-
atio).
— a Et perchè voi vi sbigottite ».
— > levate adunque 1 basti et cavateli il
freno ».
ms. — . . . • et quello intrattenendo et trova-
togli la vena larga et più volte baciandolo,
gli risquottè dua penne della coda ».
-- •> nel carnaiuolo di drieto ».
— • . . . come si abbia a ritrovare questo in-
ganno et che chi ha ricevuto piacere da te,
ti ristori, che entrare per questa via ».
— > . . . veggendolo II Brancaccio, tutto cam-
biato se li levò dinnanzi ».
— > et non ne lasciate andare una iota per
cosa del mondo.
4 Ed. Camb., vi, 26-28. La data nel ms. A a questo luogo è de* dì i4 d*aprile; si cor-
regge in fine del ft*ammento copiato poscia da Glulian de* Ricci a pag. 141t-142. — U Ricci
dovette primieramente trascriver questa lettera nel suo regesto da una copia, dacché avverte,
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638 APPENDICE.
— N. Id. if.*» Orats* Florent.'**' Franc,*^ Victorio apud summum
ponti ficem. — Addi 10 di Giugno 1514. € Io ricevei due vostre lettere
essendo in villa »... — ...« chi rimette per una penna mille, et goderete.
Addio » * [a carte A 155t-156, B 316-317, C 160-161
§ XXIII.
Giuliano de'Ricci a chi legge.
Passarono infba questi tempi tra il Vettori, et il Machiavello molte
lettere appartenenti a loro innamoramenti, et a loro piacevolezze et
burle, le quali non mi essendo capitate alle mani, non sono state da
me registrate, còme anco ho lassato di registrare qualche parte delle
lettere da me copiate, dove il Vettori tratta di sinadll intrattenimenti,
et solo ho scritto quella parte, dove si tratta di stati et di maneggi
d' importanza, siccome ho fatto nella seguente lettera, nella quale ho
lasciato il principio et il fine, trattandosi in que' luoghi di uno amo-
razzo del Vettori,' et solamente ho scritto quello che egli risponde a
quanto dal Machiavello gli fa scritto in materia di quello che andava
attorno circa la resoluzione del re di Spagna, di guerra o d*accordo
con quello di Francia. ^
— Fr, Vettori a Niccolò Machiavelli, addi 16 di maggio 1514: <De
dopo r Intestazione : *' Riscontra dì poi con l'originale et ci sono le diversità notate ". —
Dopo le parole : *' da Napoli doue e' tedeschi hebbono prima ragione che gli spagnuoli „ aa-
nota in margine : " 11 fine di questa copia non concorda con l'originale et si finisce di co-
piare In questo, o. 142 ". — Aggiungiamo però la variante, secondo risolta da questa prima
trascrizione del Ricci :
— " Pertanto, considerato tutto, a me pare che Spagna non possa sopportare che Italia
stia così, nò possa con sua securtA mutarla. Quanto alle cose di 1& da monti, gli conviene,
a fare loro mutare uiso, che tramuti la guerra. A questo gli bisogna hauere questa auaer^
tenza. che la guerra si Ileui da Francia, ma non 11 sospecto della guerra; perchè ogni uoita
che quel re sia di 1& da' monti senza guerra et senza sospecto di essa, egli rimarrà si ga-
gliardo, che non potrà né tenerlo né regolarlo. Come questo si possa fare lo non lo so; et
ueggoci dentro Infinite difiBcultà ; perchè a uolere far questo bisognerebbe hauere legato per
un filo Francia, imperadore et suizzeri, et tutti allentassero, quando egli dicesse: allenta;
et tirassono quando e' dicesse : tira. Hora se alcuno mi domandasse: come credi tu che e* la
pigiti lo li risponderei che non lo sapessi, et se io mi immaginassi qualche cosa, che io non
glie ne uolessi dire ". — Indi: *' Giuliano de' Ricci a chi legge: La risposta fatta da Fran-
cesco Vettori alla presente lettera è registrata in questo a e. 55 infra le lettere del detto
Frane. Vettori ".
Altre varianti:
ediz. — •• perchè è da credere che 1 tranelli
siano conosciuti, e che gli abbino cominciato
a generare fastidio e odio negli animi de' ne-
mici • .
— - senza le forze di quel re che sia im-
possibile tenerli •.
— - ed lo ho a capitare loro alle mani con
nove fiorini di decima e quattro e mezzo d'ar-
bitrio. Io m'arrabbatto qua il meglio che io
posso » ecc.
1 Ediz. i813, vili, iSO-lSS. Varianti:
edlz. — • starommi dunque cosi tra 1 miei j cod. — ••... tra 1 miei pidocchi •.
cenci •. I
— • De amore cestro, io mi ricordo . . . • —• ... lo vi ricordo «.
> SI allude alle lettere del Vettori conservate nella Bibl. Naz. fior., basta r, n. >6, <?,
28, 29. 30, 31, 32, 33. Le pubblicò recentemente 11 ViLLAai, op. cit., voi. ii, pag. SSSesegg.
non tutte per Intero.
* Ms. A ; M et chi uuole uedere quanto sopra questo scrisse U MachUiTallo lagg» il di-
scorso, o, lettera la quale è copiata qui addrleto a carte sette ».
ms. «perché è da credere eh' e' suoi tra-
nelli Steno conosciuti, et che gli habbino co-
minciato a generare fastidio et odio negli
animi degli amici et de* nimici «. '
— • . . . Impossibile tramegli •.
— > ed io ho a capitare loro alle mani con
noue fiorini di decima et quattro et mezzo
d'arbitrio, che me ne uo Tanno in 40 V et ne
ho 90 d'entrata o meno. Io mi arrabatto qua
il meglio che posso «.
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APPENDICE. ' 639
presuppositi che voi fate ne appruovo qualcuno in tutto »... — ...< che
credo non vegga l'hora da esser fuori di guerra ».'
[a carte A 54-55t, B 318-328,* C 162-166
— N. M. a Fr, Vettori in Roma, ex Fior, die iij Augusti 1514;
€ Voi compare mio m'avete con più avvisi »... — ...« et in questo sempre
bene et piacere. Valete ».3 [a carte A 156, B 923-924, C 166-167
— Fr. YettoH Spectabili Viro N, di M, Bernardo Machiavelli in
Firenze, addi 3 di Xbre 1514: € Compar mio caro non vi maravi-
gliate »... — ...« quanto più presto tanto meglio ».*
[a carte A 1-1 1, B 328-340,5 C 167-168
— N, Jf. Fr.*"* Vettorio Oratori Flor."*^ apud summum Pontificem.
Ex Percussina4 die Xbris 1514: « Mag.c« Orator. Presentium exibitor
erit Niccolaus Tafanus amicus noster »... — ...« soli michi Pergama
restant ».« [a carte A 156t, B 340-341, C 169
— N. M. a Fr. Vettori, oratore a Roma, addi 20 di Xbre 1514
(more fiorentino) « Voi mi domandate qual partito dovesse pigliare »...
— ...« et non altrimenti et.... » (framm^ento)^
[a carte A lt-4t, B 341-356, C 169-177
1 Ed. Cambiagi, vi, 2»-3S. Varianti e. s.
ediz. • E vedo ch'egli non vorrebbe venire
a rottura con gli Svizzeri ».
— > essendo egli lontano mille miglia, ri-
messe sul viceré ».
— •• ma l'anno passato quando cosi fece la
triegua, non dette egli un'altra volta in mano
al re di Francia Italia ».
ms. — ■ et credo ch'egli non vorrebbe ve-
nire a rottura cogli Svizzeri ».
— • . . . rimesse su il viceré ».
— •• Ma l'anno passato quand'egli fece la
triegua, non dette egli un altra volta in mano
al re di Francia Italia t »
* A questo punto, é annotato nel ms. B che va collocata la lettera di N. M. a Fr.
Vettori copiata in fine del libro, dopo V indice, a pag. 923. — Nel ms. C è trascritta a questo
punto, ed é quella che immediatamente segue.
» Ed. 1813, vili, 122-123 — ■ io ho rispon- ms. — ■ lo ho riscontro in una creatura
tro in una ventura tanto gentile, tanto deli-
cata, tanto nobile, e per natura e per acci-
dente, che io non potrei né tanto laudarla, né
tanto amarla, che la non meritasse più ». , . \ . «.
4 Ed. Cambiagi, vi, 35-36. Manca negli Apografi il brano: • A Donato mi raccomandate....
m'harà per iscusato. Cristo ui guardi ». — Altre varianti :
ediz. — > quaeram Iterum te antiquo inclu-
dere ludo ».
— «se si unisce con Francia quello può
sperare da lui vincendo, et quello può temere
dagli avversari se vincano ».
ms. — > . . . quaeram iterum te veteri allquo
includere ludo ».
— > se si unisce con Francia quello può
sperare da lui vincendo, et quello può temere
se perde; et quello che può temere degli av-
versari, sendo unito con lui ».
6 In 2) per errore la numerazione salta dalla pag. 329 alla 340.
* Ed. Camb., ri. 125-126. Da questa lettera apparisce la relazione intima della famiglia
Tafani co' Machiavelli, la quale si seguitò anche nelle generazioni successive, quando i Tafani
di Barberino di Val d'Elsa si cangiarono nelle Api urbane. Varianti e. s. :
ediz. — • quam ollm viduam Joannl matri-
monio tradidit ».
— • exlstlmat enlm omnia Istic agi posse,
ubi Vicari US Christi degit ».
— • rogamusque ut maritum lllum arcessas • .
f Ed. Camb.. ri, 36-46. VarianU e. s.:
ediz. • perché se in questo caso si unissero
tutti gli Svizzeri e che sleno con i cantoni i Gri-
gioni e 1 Vallesi, possono mettere insieme più
che settantamila uomini per banda >.
— •• E perché alcuno spera o teme che 1
Svlzeri per poca fede potrebbono voltarsi e
accordarsi col re, e dare In preda quest'altri.
Io non ne dubito, perché e' combattono per
l'ambizione loro, e se non é ora una delle
troppe necessità che gli sforzi, credo che sa-
ranno nella guerra fedeli ".
mss. -^ « quam olim cuidam Joanni matri-
monio tradidit ».
— • exlstlmat enlm omnia istic agi facll-
llme posse, ubi, etc. •
— •< rogamusque ut maritum lllum Infldum
accersaa ».
mss. — •• . . . et che sieno con 11 cantoni I
Grlgioni et i Vallesi, possono mettere insieme
più che ventimila uomini per banda ».
— "Et perché alcuno spera o teme che i
Svlzeri per poca fede potrebbono voltarsi et
accordarsi con il re et dare In preda quest'al-
tri, di questo lo non ne dubito, perché e* com-
battono bora per l'ambltione loro et se non é
bora una delle soprascritte necessità che gli
sforzi, credo che saranno nella guerra fedeli *'.
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640 APPENDICE.
§ XXIV. Giuliano de'Ricci a chi legge.
La lettera che seguita fu scritta dal Machiavello per complire al
discorso ^ antecedente non li parendo in quello avere a bastanza dechia-
rato la intention sua nel dannare la neutralità.
— N, M, Mog.^ Oratr Florent."*^ Franc^ Victorio aptid summum
ponti ficem. Romae: « Poi che voi mi avete messo in zurlo ». . — ...« in
mille modi resurgere. Valete et mille volte a voi mi raccomando,
die XX decembris 1514 ».« [a carte A 142-143, B 357-362, C 177-180
— N, M. a Giovanni Vemacci in Pera. Addi xviij d* Agosto 1515:
€ Se io non ti ho scritto per lo addietro »... — .,.< a qualunque ti vuol
bene ».» [a carte A 61, B 362 C 180
— N. M. a Gio. Vemacci in Pera, a di 19 di 9bre 1515: € Io ti ho
scritto da 4 mesi in qua »... — ...<c de' portamenti miei verso verso di te ».*
[a carte A 61, B 363-364, C 180
^N,M,a Gio. Vemacci in Pera, addi 15 di Febb.«> 1515-6 : € Quanto
a me io sono diventato inutile a me »... — ...« insino a qui : sono tuo.
Cristo ti guardi ».* [a carte A 61, J? 364, C 180
— N.M. a Gio. Vemacci in Pera, addi viii di Giugno 1517 in villa.
€ Come altra volta ti ho scritto »... — ...« ancora che povera et sgra-
nata ».« [a carte A 61t, B 364-365, C 180-181
— N. M. a Gio. Vernacci in Pera, addi 5 di Genn.»o 1517. « Come
io ti ho detto altre volte »... — ...« ch'io stimi quanto te ».7
[a carte A 61t, B 365, C 181
• § XXV. Giuliano de'Ricci a chi legge.
In quattordici anni che il iTro Machiavello stette a serviti! della Rep.c«>
dall'anno 1498 al 1512 fu dalli suoi Cittadini (come adietro più volte
si è detto et come si mostrerrà anco da qui innanzi) adoperato in ne-
gotii importantissimi per inbasciatore, et secretarlo della sua Città ap-
presso a re, appresso all'imperatore et diversi principi et Signori, come
anco appresso al Pontefice, et a molti duchi. Ma essendosi l'anno 1512
rimutato lo stato, et la forma del Governo mediante la cacciata del So-
derino, et governandosi la Città sotto li auspicii et secondo la volontà
dell' lU.mi Medici, fu Niccolò nro da essi poco adoperato, o perchè lo giu-
dicassero troppo affettionato al governo popolare, o per qualsivoglia altra
cagione, et stette 9 o 10 anni senza avere alcuno negotio pubblico, et in
questo tempo attese solo a suoi studii, et a scrivere le Historie della
sua patria. Ma la fortuna che spesse volte si piglia giuoco de' casi no-
stri fece, che alio Ilhi^o Card.^^ de' Medici l'anno 1521 venne voglia di
1 Nel niR. A: "a un discorso fatto che è copiato In questo a e. 4, 5, 6 <•. Allude alla
lettera del M. al Vettori In data de* 20 die. 1514.
> Ed. Camb.. ti. 46-49.
s Ed. Camb.. vi, 53.
« Ed. Camb., vi, 54. Questa che nell'edizioni, nel manoscritto Glullan de'Ricci, e nel
barberinlano è data come lettera intiera, è manifestamente un flrammento. o un brano scritto
in fondo ad altra lettera di persona della famiglia di Niccolò.
< Edlz. Camb., vi, 53. DI questa lettera nella Bibl. Naz. si A TautORrafo, proveniente
dall'abate Vincenzo Parigi; e mentre le edizioni, condotte sull'apografo del Ricci, terminano
dove l'apografo, nell'originale è un altro brano non breve, che termina: • Dice la Marietta
che tu gli mandi delle agora buone, che quelle che tu le mandasti, non sono buone. Tuo In
Firenze N. M. • ~ E la data è posta a* di 29.
• Ed. Camb.. vi, 54-55.
» Ed. Camb., vi, 57.
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APPENDICE. 611
mandarlo per nunzio o per oratore al Cap.i® de' Frati Minori, che all'hora
si faceva in Carpi, et la cagione fu questa. Pareva a molti frati di
queirordine mossi, o dal zelo della religione, o dall'amore della Patria
loro, 0 da qualsivoglia altro loro particulare rispetto, che fosse bene,
che li Frati facessono del Dominio Fior.ao una provincia a parte, nella
quale non stesse altro che Toscani, i quali erano quelli che desidera-
vano questa separazione, et fra gli altri il più principale era uno fra
Larione....* ad instantia del quale rill.mo Card.i» de Medici, et per
S. S.ria gli Otto di Pratica spedirono Niccolò Machiavelli a Carpi a per-
suadere a quelli padri, che si contentassono di fare qsta separatone,
mosti'ando di muoversi acciò, che li loro Conventi di questo stato fos-
sero meglio governati,' et che quelli che vi stantiavono, temessero più
il gastigo se operavono male. Andò il Machiavello con questa spedi-
tione a Carpi, dove stè pochi giorni, nel qual tempo M. Fran.co Guic-
ciardini, che era a Modana Governatore gli scrisse certe lettere le quali
io copierò qui appiè, et li Consoli dell'arte della Lana, quali hanno cura
della chiesa del Duomo di Fir.«» li ordinarono che procurasse loro un
buon Predicatore per la Quaresima venente ; lascerò di copiare la in-
structione delli 8 di pratica, et la lettera de' Consoli perchè le lettere
del Guicciardino, et una scritta dal Machiavello al Card.i« de Medici,
aggiuntoci quel poco, che ne ho scritto io di sopra, daranno piena no-
titia di questo fatto.*
— M, Franc.<^o Guicciardini in Modana aN.M, a Carpi addì 17 di
maggio del 1521: € buon giudizio certo è stato »... — ...« mille bei colpi.
A voi mi raccomando ».3 [a carte A 59t, B 368, C 182
§ XXVI. Giuliano de' Ricci a chi legge.
Di Casa li heredi di M. Franc.co Guicciardini ho haute 19 lettere
del Machiavello scritte a esso M. Francesco : et le 3 prime sono assai
licentiose scritte in su la burla, e nella legatione che hebbe il nro Nic-
colò a' frati delli zoccoli et al loro Capitolo generale a Carpi, et sono
risposta a lettere che gli scrisse il Guicciardino.*
— Mag,^"" Dno Franc.^ de Guicciardinis L U, Boctori Mutince, Re-
giiq'ue (sic) Gubernatori dignissimo suo plurimum honorando. N, M. in
1 Lacuna ne* mss. — Harlone Sacchetti, procuratore generale deirordine. Cf. gli ArmaUi
vninorum di Lttca Wadsinoo, T. xvi, pag. 118.
* Ms. A, pag. 59: • Scipione de* Ricci a ehi legge. Nel Fascio di lettere e d'Istruzioni
segnato di Lettera E a pag. 25 vi è TLstruzione degli 8 di pratica e un'altra che giudico
essere del medesimo frate Ilarlone e la seconda lettera originale di Guicciardini qui regi-
strata " .
s Ed. Camb., ri. 57-58. Gli editori lasclan parecchie lacune nella pubblicazione di questa
lettera allegando che, per cancellature fatte nel mano.scritto da persona scrupolosa, alcuni
passi eran fatti del tutto illeggibili. Noi 11 rechiamo come ne venne fatto trovarli ne' Regesti
B e C, copiati per quanto sembra, prima che la persona scrupolosa 11 cancellasse in A:
ediz. — •• non altrimenti che se a Pacchie-
rotto, mentre viveva, fosse stato dato 11 ca-
rico di trovare una bella e galante moglie a
un amico •.
— •• Se in questa etA vi dessi . . . •
— ■ correte duoi pericoli, Tuno che quelli . . .
l'altro che quell'aria da Carpi non vi faccia
diventar bugiardo.
— • • e se per disgrazia fusto alloggiato in
casa di qualche carpigiano.
* Ms. A: ** copiato In questo, e. 60 ".
ms. C — • non altrimenti che se a Pac-
chierotto mentre viveva, fosse stato dato il
carico o a Otto Sano {sic) di trovare, ecc. «
— - Se in questa et& vi dessi all'anima •.
— • . . . l'uno che quelli frati santi non vi
attacchino dello Ipocrlto, l'altra che, ecc.
— - e se per disgrazia fìiste alloggiato In
qualche carpigiano ». .
ToMMASiNi - Machiavelli. 41
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642
APPENDICE.
Carpi addi 17 di maggio 1521: « io ero in sul cesso »... — ...«quae sem-
per ut vult valeat ».^ [a carte A 163-162t, B 369-372, C 183-184
— M. Frane. "^ Guicciardini a N. M. in Carpi, Mutinae die 18 Mail
1521 : « Quando . io leggo i vostri titoli »... — ...« siete aspettato; a voi
mi raccomando ».* [a carte A 59t, B 373-374, C 185
— A M. FrancJ^ Guicciardini in Modena. N. M. orator prò Repub.*^
FlorJ^adfratresminores, addì 18 di maggio 1521: «Io vi so dire che
il fumo n'è ito sino al cielo »... — ...<c in saecula saeculorum ».3
[a carte A 1621r-163, B 374-376, C 185-186
— Al medesimo N. M. addi 19 di maggio 1521: « C.us, e* bisogna
andar lesto con costui »... — ...« questo poco della esperienza ».^
[a carte A 163, B 376-378, C 187
^ Ediz. Camb., vi, 58-61. — • e tutto ero
volto a figurarmi un ... . a mio modo per a
Firenze ».
— - se non coll'opere, colle parole e coi
cenni ».
— - e lo vorrei trovarne uno che ..."
— « e io ne vorrei trovare uno più • ■ .
ms. (barbar, e G. d. R. £ e C. In A le abrap
slonl sembrano opera di Scipione de' Ricci,
del quale è la nota marginale : " Lettere poco
religiose e pie, dimostrano 11 carattere del
Machiavello ,,). — • a figurarmi un predica-
tore a mio modo per a Firenze ».
— ■ se non coiropere, colle parole, se non
colle parole con i cenni «.
— • . . . trovarne uno che insegnassi loro la
via d'andare a casa il diavolo (ms. barb. del).
— • e io ne vorrei trovare uno più pazzo
che il Ponzo (ms.barb. il pazzo) piùversuto che
fra Girolamo, più ipocrlto che frate Alberto «.
— • . . . quanto credito ha uno tristo che
sotto il mantello della religione si nasconda
si può fare sua (ms. harh. pur) coniettura
facilmente quanto ne arebbe un buono, che an-
dasse in verità, et non in simulatione pe-
stando i fanghi di S. Francesco ».
— • in che modo io potessi mettere inflra
loro tanto Beandolo che facessino o qui o in
altri luoghi alle zoccolate «
ms. G. d. R. e barb. — « V. Sig. sa che
questi frati dicono che quando uno è confer-
mato in gratla, 11 diavolo non à più potentla
di tentarlo, cosi io non ò paura che questi
frati mi appicchino lo Ipocrite, perchè Io credo
essere assai ben confermato ».
— •• io non dico mai quello che io credo ... — « io non dico mai quello che Io credo
e se pure* ei mi vien ' detto qualche volta il nò credo mai quel che dico, o se pure ei mi
vero, io lo nascondo . . . che è difficile a ri- vien detto qualche volta il vero, lo lo nascondo
trovarlo ». tra tante bugie che è difficile a ritrovarlo •.
> Ediz. Camb., vi, 01-6S. Il GuMPisai trasse dall'autografo la seguente aggiunta a questa
lettera, che nella edizione è data secondo la lezione di Giulian de* Ricci. È notabile che nel
ms. A, in cui tutto il brano che segue fu omesso, dopo le parole " davvantaggio una torta "
trovasi una chiamata, alla quale risponde la nota in margine di man di Scipione de' Ricci :
" V. l'originale ". — Questo conservasi nella Bibl. Naz. fior., Doc. M., b, v, n. 210. 11 GuKPiaai
nella sua trascrizione lesse " eapturo, verità, <ibguato " per " captivo, rarità, ambiguità '\
— ••... quanto credito ha uno — che sotto
il . . . si nasconda, si può fare sua coniettura
facilmente, quanto ne avrebbe un buono che
andasse' in verità e non in simulazione ...»
— > in che modo io potessi mettere infra
loi-o tanto . . . che facessino o qui o in altri
luoghi ...»
— • Vostra Signoria sa che
ediz. — - il che, se non servirà ad altro, do-
vrà fkrvi beccare una torta davvantaggio. Del
predicatore Rovaio non mi maraviglio, etc. •
s Ed. Camb. vi, 62-64. Variante:
— <• eh' io non so come mi capitare innanzi
a Francesco Vettori e a Francesco Strozzi «.
* Ed. Camb. vi, 64-65.
aut. — - 11 che se non servirà ad altro do-
vrà farvi beccare domandassera davvantaggio
una torta. Vi ricordo nondimanco che messer
Gismondo è captivo e uso alle chiacchere, e,
in lombardo, alle berte; però è da andare cau-
tamente, acciochè di pastori non diventassimo
aratori: io gli ho scritto con queste che non
lo aviso della rarità, perchò mi confido alla
perspicacia dello ingegno suo e che vi abbia
conosciuto. Cosi starà sospeso, e se voi lo
tenete in ambiguità col non dime de* vostri
maggiori, concluderà che voi siete un uccello.
e tutto è da tollerare pure che i pasti segui-
tino all'ordine. Del Rovaio non mi maravi-
glio ecc. »
Ms. — «... a Francesco Vettori e Filippo .
Strozzi -•.
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APPENDICE. 643
— iV. M. allo IlL"^" Card.^ Giulio de Medici essendo il Machiavello
in Modana et il Gard.io in Firenze, mandata a Franerò Guicciardini com-
miss.no in Romagna: « Questi padri non avendo dato capo ad il loro
Capitolo»... — ...«essere un grandissimo serv.^^ di quella alla quale etc. »^
[a carte A 60-60t, B 378-383, C 188-190
§ XXTII. Giuliano de* Ricci à chi legge.
Dopo lo averli trattato dì una macchia, che gli haveva a fare pian-
tare a Poppìano di Valdelsa, et di uno suo garzone, e dolutosi, che quello
anno non si pigliava beccafichi nel fine della lettera dice:
€ Ho atteso et attendo in Villa a scrivere la historia »... — ...« nessuno
si possa dolere, addi 30 di agosto 1524 >.^
[a carte A 163t, B 383-384, C 190
— Allo spettarle come fratello M. N. M. Jacopo Sadoleto segre-
tario dì N. S.: « lo hebbi la vostra de' 24 del passato »... — ...« et cosi mi
vi offero et raccomando. Da Roma il di 6 di luglio 1525 ».3
[a carte A 172t, jB 384, C 191
— Fr. Guicciardini spectaàili viro Nicolao de Machiavellis. Faven-
tiae XXIX juliì 1525: « Lo bavere a rimandarvi »... — ...« et a. voi mi
raccomando ».* [a carte A 171, B 385, C 191
— Francesco Guicciardini a N, M, Faventiae 7 Augusti 1525: € Io
ho hauto la vostra de' 3 »... — ...« non potere schifare le, percosse ».*
[a carte A 171, B 385-386, C 191-192
— N. M.a M. Franc.^ Guicciardini presidente della RoMagna per
U pontefice, addì 17 augusti 1525: € Hieri ebbi la vra »... — ...«ma tor-
niamo alla ricetta per le pillole ». ^
> A dichiarazione e commento della presente lettera del Machiavelli rechiamo li seguente
passo dagli Annales Minorum del Waddiko : Toiho zvi, pag. 117 — > Paulo post concesslonem
harum litterarum celebrata sunt hoc anno sub festum Pentecostes Comitia Generalia in Con-
ventu Sancti Nicolai provlnciae Bononiensis, apud nobile oppidum Carporum in Lombardia
Cispadana ad ripam Seciae flumlnls, sumptus abunde ministrante Alberto pio Domite Car-
pensi. In his Paulus a Sonclno e Vicario in Mlnlstram Generalem et Franclscus ab Angelis,
sive Quinnonlus ex Ministro provinclae Angelorum in Commlssarlum Generalem famlliae Ul-
tramontanae assumpti sunt. Procurator generalts ordinis Hilarion Sacchettus Florentinus
provinclae Tusclae, Commlssarlus in curia Romana, prò familia Ultramontana GulUelmas
Temigon provlnciae Brltanniae, sunt instituti. Patres Ultramontani noluerunt hac vice ell-
gere Deflnitores generales, sed retinere eos, qui in ultimo Capltulo fUerunt electi ; quibus, ut
se concordarent Cismontani, etiam a suorjum Deflnitorum el<»ctlone abstlnuerunt •.
* Ed. Camb., vi, 66.
> Bd. 4813. vili, 165-166. L*ediz. reca la data - 8 di luglio n.
* Ed. 1813, VITI, 166. NeUo stampato la data è • 85 lulii ».
* Ediz. Camb., vi, 66.
•* Ed. Camb., vi, 67-69. La famosa ricetta che, al dire del Vaechi (Storia Jìor., lib. iv),
il Machiavelli ebbe già da Giovambattista Bracci, uomo che, secondo il citato istorico, • si
dilettava della medesima vita e costumi di Niccolò «, mise gran campo a rumore. Quelle
pillole che il Machiavelli prese « senz'altro medico o medicina volere », furono da taluno
malignamente reputate afìrodlsiacha; altri le giudicò puramente purgative, altri purgative e
stimolanti ad un tempo. A ogni modo il M., mandandone la ricetta al Guicciardini, dichiara
averne usato nna volta la settimana, quando si sentiva grave II capo e lo stomaco ; e questo
mette a nudo tanto l'intenzione di lui, quanto quella del medico. Ammoderni farmacologi
recheranno forse meraviglia le altissime dosi e la trascurata coefficienza de' rimedi; ma questi
difetti nella terapeutica di que' tempi erano 1 meno infk-equenti. Il Dkltup. Ettai sur le»
CEuvres et la Doctrine de Maefùaoel, Paris. 1867, pag. 28, afferma: •• La formule des pUu-
les, dltes de Machlavel, a été conserve dans des ouvrages spéclaux qui les donnent pure-
ment et slmplement comme un spéciflque contre les maux d'éstomac •. — A noi veramente
non accadde trovarne copia slmile in ricettari contemporànei; e dubiteremmo assai che la
medesima fosse stata scritta cosi come a noi fu tramandata. Quel ectrmcm deo», per esempio,
ci ò molto sospetto, quantunque siasi cercato in molteplici guise d'interpretarlo. Il Woi.r.
ueber den Furat dea N. Af., Berlin, 18S8, p. 15, lo spiega per gummigutta (Cambogia gutti)
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644 APPENDICE.
Recipe .
Aloe patico* Dram. 1 V2
Carman deos D. 1 —
Zafferano D. ^'2
Mirra electa ........ D. V2
Brettonica*. D. V2
Pinpinella D. ^U
Bolo armenico ....... D. ^'2
[a carte A 163t-184, B 386-389, C 193-194
S XXYIII. Giuliano de* Ricci a chi legge.
Il Giovio nelli elogii sotto alla imagine del Machiavello, tassandolo
di maligno, et di poco religioso dice ch*egli si mori per bavere preso
una medicina a sua fantasia mediante la quale scherzando egli paz-
zam.^0 con la Divinità si condusse alla morte, et poiché io veggo la ri-
cetta di queste pillole tanto da lui celebrate mi vò immaginando che
in quelli tempi si potesse spargere qualche falso remore di questa cosa,
perchè in verità egli mori cristianamente nel suo letto visitato da tutti
gli amici, in braccio della moglie, et de' figlioli, et io che li sono ni-
pote non ho mai inteso dire nò da Mad.Q^ Marietta de Corsini sua
moglie, nò da Madonna Baccia mia madre et sua figliuola, né da M. Ber-
nardo et M. Guido et M. Piero suoi figlioli et miei zii tal cosa, et la
ho per una vanità, et la compositione di quelle pillole é tale, che non
merita di essere da scrittore maledico et falso come è il Giovio, fattoci un
commento sopra, che pigliandole si voglia scherzare con la Religione o
trattare con esse di farsi immortale, poiché gli ingredienti in esse sono
tutti di droghe et semplici ordinarli et comunissimi a tutti 11 medici,
et a tutti gli spetiali et per rendere al Giovio riconpensa dell'Elogio
leggasi il seguente epitafi^o fattoli da persona veridica et non male-
dica né bugiarda.^
detta In antico anche gamandra e gatta gamandra; 11 Dkltuf traduce addirittura per
« cardamone •, ma senza alcun buon fondamento. l\ signor prof. Scalzi da noi interpellato,
basandosi sull'autorità di Sbraviomv (ed. Venet. Arrivabene mdlii, cap. cxlii), opinò fosse a
leggere earmca deostruens, vocabolo arabo con cui designavasl Telce. (Barbea seu Carmcit
arablbus, tcpwd^ graecis, ilex latinls, elice Italis). — È anche probabile che 11 carman deo»
fosse a leggere originalmente camedrio». Cf. Artonii Musai Brasatoli ferraren»i9 medici
Examen omnium simpl. mcdicament. quorum uau» in pubblici» ett c^fficinù. Venetlls,
MSXLV, pag. 122, alla voce Camedrio»: — • Barbari adeo nomina corrupere, ut genitivo prò
recto saepius utantur, nam quemadmodum stichados prò stoechas a recentiorlbus dici supe-
rius adnotavimus, Ita chamedrios prò chamedrys dlcunt, recentiores medici f«re greecam
vocem exprlmentes querculam minorem vocant. Latini trixaginem, Ferrarlense vulgus cala»
mandrinam. Poloni vlelka ossanka, Cretenses vulgo camodrt, a'Neapolltanls cerquelolo, Ger-
manorum pars longe, alll gamandrlm, alil gamanderlim appellant etc. — n òo^o armenico
è poi noto essere la terra di Lemno. — Segnaliamo del resto, come più Importante. la seguente
variante nel testo deUa lettera:
ediz. — ■ lo ho volto questa lancia In que- 1 ms. — • lo ho rotto questa lancia In que-
sto modo ..." I sto modo -.
* C erroneamente ■ pratico ».
* Ms. barberin: • bacellonaca «.
* In margine 6 Indicato come autore de^seguenti luridi epigrammi Alfonso de' Pazzi. La
taccia che per questi s'appone al Giovio è espressa anche in altra Raccolta di epigrammi
nella Bibl. Naz. fior., mss. vii, 9, 271, pag. 116, ove, oltre 11 primo di questi, leggonsl anche
i seguenti, 11 secondo de* quali ebbe autore 11 Laboa:
1. • Qui giace Paol Giovio ermafrodito
Che vuol dire in volgar moglie e marito •.
2. • Qui giace li Giovio; a si gran nome corra
Tutto Io stuol di Sodoma e Gomorra ».
Tuttavia il Giovio non fa sempre ingiusto col M. — Nel Fra{/mentum trium dialogorum
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APPENDICE. W5
Qui giace il Oiovio pescator maturo
Istorico bugiardo adulatore
Prelato indegno, et grande aff^ntatore,
Viator qoal tu sii pasta sicuro.
Qui giace il Giovio, che col... compiva
Con quelli accenti, modi et affectione
Che fan le donne in p Oh gran poltrone
Non so come la terra sei pativa !
— Instructione breve a te Niccolò Machiavelli di quello che hai a
fare in questa andata tua per ordine nostro a Venetia deliberata per
Noi questo di xviig d* Agosto 1525. < Gonsules Artìs Lanae et Gonservatores
rerum Fior, in Romania: Noi useremo teco poche parole »... — ...« per
tutto t'accompagni >A [a carte A 79-79t, B 390-393, C 194-195
— Filippo de'Nerli al suo mólto onorando da fratello m. N. M, in
Venezia, di Firenze addi 6 di 7bre 1525: « Poiché voi vi partisti di
qua »... -— ...« riscontrino bene e in buon punto ».'
[a carte A 174-174t, B 393-397, C 196-197
— N. M, a Francesco Guicciardini: « Io non mi ricordo mai di
V. S. »... — ...« per condurci qui. Valete. N. M, historico, comico, tragico ».'
[a carte A 165-165t, B 397-402, C 198-200
— N, M. aM. Francesco Guicciardini. Addi 19 di dicembre 1525
in Firenze: « Io ho differito a rispondere all'ultima vostra »... — ...€ quello
si ò fatto sino a qui ».* [a carte A 165t-166, B 403-405, C 200-201
— Fr.** Guicciardini spectabtli viro N. de M. uti firater honorando.
Florentiae — Faventiae 26 Xbris 1525 : <c Io comincerò a rispondervi
dalla Commedia »... — ...« aspettando risposta ».^
[a carte A 172-172t, B 405-407, C 201-202
— N. M, in Firenze a Fr. Guicciardini, Siddì 3 di Gennaio 1525:
« Io credetti bavere a cominciare »... — ...« ha da desiderare di conten-
tarvi ».» [a carte A 166-166t, B 407-410, C 203-204
P. J. ep. Nue. quos in insula Aenaria a elade nobi» receptus eonseripsit (et. Tiraboichi,
St. della leti, it., App.. t. ix. pag. 96) coftl favella df lui: • Machiavellus et rei milita-
rls et Florentinorum annalium vemaculue scrlptor, cui abunde amoenum ingenium superest
qaum foi*tunae desint, lepidissime lusit ad efflgiem comoedlae veteris Aristophanem imitatus,
cujus etiam clrcumfertur Nicia ridiculus senex, qui susclplendae prolis tam stolide quam sinl-
Btre cupldus, a prurlente Juvencula uxore in eurruculam facetissinne transmutatur •.
1 In A, non 6 di roano di Giuliano de* Ricci. Varianti di qualche importanza:
ediz. — •> e che si trovarono in tal fatto •. 1 ros. — • e che si trovomo in sul fatto •.
— • perchè pressiamo voglia venire «. | — - perchè provi anco voglia venire ».
> Ed. 1813. vili. 171-174:
ms. — • sempre manca chi raccozzi la
brigata perchè Mancate voi ".
— " lo sono ancora qua et me ne andrò,
fatto la fiera di due o tre giorni aspettai, a
Modana **.
— •• itempre manca di ... la brigata, perchè
mancate Voi •.
— " Io sono ancora qua, e ne anderò fatta
la Aera di due o tre giorni. Aspetterò a Mo-
dena **.
« Ed. Camb., vi, 71-74.
* iid. Camb., vi, 75-76.
« Ed. Camb.. vi, 77-78. — «... un altro
conforme al poco ingegno degli attori >.
-- ■ 'Conosceranno tutti meglio i mali della
pace, quando sarA passata TopportunitA di
fare la guerra «.
— " Però si quid adoersi acciderit non
potranno dire che ci sia stata tolta la Si-
gnoria, ma che turpiter elapsa iit de mar
nibus ".
— '* che non abbimo manco sospeso i cer-
velli che le armi **. ,
* Ed. Camb., vi. 78-81. Seguono dopo questa lettera negli Apogrcifl. cinque canzoni da
dirsi, runa innanzi, le altre per intermezzo agli atti alla Commedia; e son quelle notissime
ms. — • un altro conforme al poco ingegno
lem auditori -.
— • conosceremo tutti, ecc. «
— '• Però »i quid adoersi aeeiderU non
;>otreno " ecc.
— " che non habbiamo ** ecc.
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616 APPENDICE.
— N. M, a M. Francesco Guicciardini, « Per essere io andato su-
bito »... — ...« raccomandomi ».*
[a carte A 164t, B 414-417, C 207-208
— N. M. a M. Francesco Guicciardini, addi 15 di Marzo 1525.
€ Io ho tanto penato a scrivervi »... — .,.« molto più da pensare, che
lo Imperatore ».« [a carte A 168-168t, B 417-423, C 208-211
Addì 24 di Marzo 1525, scrive al Guicciardino, che i popoli si ma-
ravigliavano non ci fosse ancor nuove della liberazione del re, et che
li SpagQuoli tornavono verso Pontriemoli, dove non potendo stare
conviene, o che tornino indietro senza proposito, o che venghino in-
nanzi.
— Filippo Strozzi a N, M,, addi ultimo di Marzo 1526 in Roma ».
< Io non vorrei che per niente pensassi »... — ...« altre nuove non
ho ». 3 [a carte A 172t-173, B 424-427, C 212-213
— N. M, a M, Francesco Guicciardini addi 4 di Aprile 1526.
« Mag.<:o et Maggior mio hon.^o, io ho ricevuto questo dì »... — ...« come
a quel greco con Annibale.^ Ringraziovi ».
[a carte A 169, B 428-430, C 214-215
— N, Me a M. Francesco Guicciardini, addi 17 di Maggio 1526.
< Io non vi ho scritto »... — ...< tenga i danari, et tutte le scrit-
ture ». 5 [a carte A 169t, B 430-432, C 215-216
— Fr. Guicciardini a N. M. Romàe 22 May 1526. « Harete visto
per la pubblicatione del mtagistrato »... — ...« che habbia ad essere al
tutto fuori di tempo ».« [a carte A 171t, B 432, C 216
— N, M. a Fr, Guicciardini. Addi 2 di Giugno 1526. a Ancor ch'io
sappia che da Luigi vro »... — ...« usare tutte, come vi vien bene ».^
[a carte A 170, B 433, C 216-217
-^ N, M. a Fr, Guicciardini, addi 2 di Giugno 1526. € Io non vi
ho scritto più giorni sono »... — ...« che il papa gliene scriva ».•
[a carte A 170, B 434-435, C 217
che si trovano premesse e Inframmesse a* loro posti nell'edizioni. Parrebbe pertanto, da quel
che scrive 11 BC. in questa lettera al Guicciardini, che originariamente non ci fossero Inter-
mezzi musicali alla Mandrcigola, e che queste canzoni le componesse, per la rappresentazione
ordinata sotto gli auspici del Presidente e Commissario di Romagna, espressamente.
1 Ed. Camb., vi, 69-71. Varianti:
ms. — • òcci solo questa dlfterenza che se
si mandò allora un paiolo d'accis, si è con-
vertita queiraccla in maccheroni •.
— • mentre ch'ella si maravigliava e ba-
loccava per vedere quello che era, la Ita so-
praggiunta dall'erpice, che le grattò in modo
le schiene, che la vi si pose la zampa più di
due volte ■.
edlz. — « òcci solo questa differenza, che si
mandò allora un paiuolo d'accia, si 6 conver-
tita quell'accia in maccheroni •.
— • mentre che ella si maravigliava e ba-
loccava per vedere quello che era lassù, so-
praggiunta dall'erpice che le grattò in modo
le schiene che la vi pose la zampa più di due
volte ».
s Ed. Camb., vi, 81-85.
• Ed. 1813, vili, 193-196.
« S'alhide a Formione peripatetico, di cui Cicerone {De Oratore^ lib. n. e. 18): ■ Quid
enim aut arrogantlus aut loquacius fieri potuit, quam Hannlball, qui tot annos de imperlo eam
populo romano omnium gentium victore certasset, graeeum hominem, qui nunquam hostem,
nunquam castra vidisset, nunquam denique minlmam partem ullius public! munerls attlgisset,
praerepta de re militari dare t »
< Ed. Camb., vi, 87-88.
• Ed. Camb., vi, 88-89.
"* Ed. Camb., vi, 89-90.
• Ed. Camb-, ri, 90-91. Varianti:
edlz. — da quella parte che è dalla parte
del Bonciano a quella di Matteo Bartoli ».•
— • dice che 11 comune si varrebbe di ot^
i ducati •.
ms. — .... a quella di Matteo BartoU In
ftiora ».
— « dice che U Comune si varrebbe dt 40
mila ducati •.
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APPENDICE, 647
-- N, M. a Fr. Guicciardini, addi 2 di Giugno 1526. « Io non ho
haute commoditò »... — ,„€ io ci harei dentro una grande speranza ».*
[a carte A 170t, B 435-437, C 218
— N. M. allo Imbasciatore *. « Avanti hieri ricevemo la vostra »... —
...« in simile opera gagliardamente. Valete ».
[a carte A 73-73t, B 437-439, C 219
— Fr. Vettori in Firenze a Niccolò Machiavelli nelVexer cito della
Lega sotto Milano, addi 5 d'Agosto 1526. — € Non voglio parlare di
quello ò seguito »».. — ...« a messer Francesco et a voi medesimo ».3
[a carte A 55t-56. B 439-442, C 220-221
— Fr, Vettori a N. M, neWexercito della Lega, addi 7 d'Agosto
1526. « Hieri risposi a due vostre — (lacuna) de' 31 del passato, hiersera
poi (lacuna) me ne iSx portata »... — ...« et sono tutto vostro. Iddio vi
guardi ».* [a carte A 56t-57t, B 442-449, C 221-225
— Bartolomeo Cavalcanti a N. M, in Campo. Dì Firenze il di 18
di 7bre 1526. « Io vi scrissi alli 6, et vi mandai la lettera »... — ...« et
empiervi un foglio, né altro ».»
[a carte A 173t, B 449-451, C 225^226
— Fr, Guicciardini a N. M. Placentim xxx Octobris 1526. « Rebbi
le vostre di Modana »... — ...« bavere de' fatti suoi, et bene valete ».«
[a carte A 171t, B 451-453, C 226-227
^ N. M, a M, Francesco Guicciardini, Addi 5 di Novembre 1526.
€ Di Modana si scrisse a V. S. »... — ...« ad una certa vittoria ».7
[a carte A 170t-171, B 453-466, C 227-228
— Fr, Guicciardini a N. M, in Piacenza, addi 12 di Novembre
1526. « Ho la vostra de' 5 »... — ...«. la natura sua et sua qualità et
sono vostro ».« [a carte A 172, B 456-466, C 228
— Instructione a te Niccolo Machiavelli deliberata addi 3 di Feb-
braio 1526 dalli Mag.« Sig." Octo di Pratica. « Tu ti condurrai per
la via più sicura, et in diligentia ad M. Franerò Guicciardini »... —
...« patiranno doppo noi ».* [a carte A 79t-80, B 456-458, € 228-229
i Ed. Camb., vi, 91-92.
^ Ed. 1796, t. IV, pag. 388-384. L'ambasciatora presso li papa era allora Francesco Vet-
tori. Cf. BxjBiMi, Lettere al Varchi, lett. x, pag. 102, ed. Milanesi.
3 Ed. 1813. voi. vili, 207-210.
* Ed. 1813, vili, 210-215. Dall'edizioni non è tenuto ragione delle lacune che s* incon-
trano neirapografo. a caglon della cifra. Giuliano de* Ricci, nel ma. A ne copiò un frammento
non decifrato e probabilmente non esatto, fra le parole: " ma poi che l'amico At tanto quanto
voi mi dite... '' — " et segua poi che vuole "; dappoiché non riuscì Interpretrarlo con pa-
recchie fra le chiavi di cifre cognite alPArchlvio florentlno. Un'altra copia di questa mede- .
sima lettera e di altra pur del Vettori in data de*24 d'agosto 1526, trovasi nella Bibl. Naz.
di Firenze (Doc. M., busta v, n. 113, 114). Questa recente è di man del Holiui, • fatta in Pa-
rigi il 15 agosto 1832 •. — 611 autografi si dicono essere presso 11 signor Carlo Salvi.
s Ed. 1813, vili, .220-221. Varianti:
^ ediz. — • Ha in ogni modo mi è piaciuto
Msai che voi siate andato ... e che voi avete
confermato codesto esercito costi, e noi qua
in qualche buona speranza di quella impresa,
e che 1 difetti di essa avrebbe conosciuto e
dimostro in maniera che più facilmente si sa-
ranno potuti ricorregere e al male che ne po-
I avvenire provvedere e rimediare •.
0 Ed. Camb., vi, 93-94.
f Ed. Camb., vi, 94-95.
** Ed. Camb.. vi, 96.
• Ed. Camb., v, 437-488.
m9. — • Ma in ogni modo mi è piaciuto
assai che voi vi siate andato, giudicando o
che voi harete confermato cotesto exercito
costi, et noi qua In qualche buona speranza
di quella impresa, o che 1 difetti di essa harete
cogniosciuto, et dimostro in maniera, che più
facilmente si saranno potuti ricorreggere, et
al male che ne potesse avvenire provvedere
et rimediare «.
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648 APPENDICE.
§ XXEK. Giuliano de* Ricci a chi legge.
Trovandosi il Machiavello a Milano fu da M. Franc.co Guicciar-
dini mandato a Cremona con la Instructione che appresso.
— « Due sono le cose per le quali vi mando a Cremona » .^ —
...« dando le lettere al provveditore ».*
[a carte A 80-80t, B 458-460, C 229-230
§ XXX. Giuliano de'Ricci a chi legge.
Le quattro lettere che seguitano furono dal Machiavello scritte al
medesimo Vettori Tanno 1527, nel qual tempo Niccolò nostro si trovava
con M. Franerò Guicciardini nell*esercito della Lega in Lombardia, al
qual Guicciardini era stato mandato di febbraio 1526 dalli Otto di
pratica per cose appartenenti alla città, et alla Lega. Si vedrà in
queste lettere il giudizio del Machiavello et che capitale si possa fare
de'suoi discorsi essendo avvenuto appunto quello, di che egli haueua
tanta paura, mediante raccordo fatto da papa Clemente con Borbone,
quale poi saccheggiò il maggio del 1527 Roma, com*è notissimo. Di
questo exercito et di questo accordo parla Niccolò Machiavelli al-
l'amico suo che airbora si trovava in Firenze, persona di reputazione
et accetta alli Ill.mi Medici come era stato sempre, et come si mantenne
ancora doppo la novità del 1527 et nel ritorno de' Medici 1530* etc.
— N. M. in Furlì al Mag/^ Fr, Vettori in Firenze, addi 5 d'aprile
1527. « Poiché la triegua fu fatta a Roma»... — ...<c vipriego non com-
munichiate questa lettera. Valete ».3 [a carte A 158, B 461-463, C 231
— N. M. in Furli a Fr. Vettori in Firenze, addì 14 d'Aprile 1527.
< Lo accordo è stato consigliato »... — ...« avviluppare fra la guerra
et gli accordi ».* ' [a carte A 158t, B 463-464, C 232
• ^ N. M. in Furli al Mag,'>^ Fr. Vettori, addi 16 d'Aprile 1527.
< Monsignor della Motta è stato questo di in Campo ».... « alla guerra
sola. Raccomandomi a voi ».5 [a carte A 159, B 464-466, C 232-233
— N. M. in Berzighella al Molto Mag.*^ Fr. YettoH in Firenze,
addì 18 d'Aprile 1527. « E' si sono condotte queste genti » .... « a fare
più guerra, che noi non vorremo ».«
[a carte A 159-1 59t, B 466-467, C 233
1 Ed. 1813. VII. 456-458.
* Ms. A (pag. I57t) segue : " La Commesslone che hebbe il Machiauello daUi Otto di
pratica et aitra che ne ebbe dal Guicclardlno in questi tempi sono registrate in questo **.
S Ed. 1813, vili, 288-229.
* Ed. 1813, vili, 229-230. Variante:
ediz. — " a voler mantenere questa pouera 1 ms. — ** a volere mantenere cotesta pouera.
città ". I citU ...
* Ed. 1813, vili, 231-232. Nel ms. A dopo le parole: ** Io amo messer Francesco Guicciar-
dini, amo la patria mia ** segue un casso feroce, inteso forse a cancellare irreparabilmente
un' espressione comparativa che offendeva le orecchie pie. Vedendolo, ci è corso il pensiero
all'ardita lode che nel libro ni. f 7 delle Morie il Machiavelli fa a quegli Otto di pratica,
chiamati santi dal popolo, i quali, guerreggiando li pontefice Gregorio XI, avevano " sti-
mato poco le censure, e le chiese de' beni loro spogliate, e sforzato il clero a celebrare gli
u£BcI: tanto quelli cittadini stimavano allora più la patria che l'anima! " ^ Ora, dopo quel
casso, le edizioni e gli altri mas. dettero freddamente: " amo mesa. Ffanoesco Guicciardini,
amo la patria mia, et ul dico questo ". — Var. :
ediz. — - In modo che se noi con quella poca
vita che ci resta, accorriamo con le forze della
lega che sono in presente •.
* Ed. 1813. vili, 232-233.
ediz. >- " come pare che il legato di Bo- 1 Mas. ~ *' come pare che il legato di Bo>
«igna scriva e qui s'aspetterà ". | logna scriua qului et qui s'aspetterà **.
Mss. — > in modo che se ' noi quella poca
vita che ci resta raccozlamo con le forze della
lega che sono In punto •.
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APPENDICE, 61«
— N,M,e Francesco Bandini a Fr. Guicciardini. Addi 22 di Maggio
1527. € Rispose il Capitano M. Andrea »... — ...4c che le cose sue sareb-
bono in altro essere ».* [a carte A 171, B 467-468, C 234
— Archiepiscopus Turritanus* a N. M. «Egregie ut frater hon.de.
Sappiendo per la mutua et antiqua benevolentia mi parteciperete vo-
lentieri delle vostre vigilie, e presumendo nel scrivere le cose gesto
della Patria dal 250 in qua, che fu principio di qualche forma della
libertà, vi sia suto necessario trovare la successione di Carlo conte di
Provenza, cugino et cognato del buon re Luigi di Francia, il qual Carlo
da Urbano 4to et poi da Clemente 4to, romani pontefici, come campione
della chiesa fu chiamato in Italia, et investito del regno di Napoli, et
di Sicilia, per privazione del figlio dello imperatore Federigo secondo,
del sangue et successione del quale Tultimo rè di Napoli fu per linea
recta Ruberto nato di Carlo cognominato sciancato, che fu il primo-
genito del prefato Carlo T; truovo che questo Carlo secondo ebbe molti
figli legittimi, et il primo ifu Carlo il quale regnò per lui in Napoli più
anni, et è chiamato da alcuni scrittori Carla terzo, perchè Carlo se-
condo lo sciancato, suo padre, in la ribellione et guerre fece Carlo
primo air isola di- Cicilia restò prigione del re Giaches d*Araona, et lo
tenne guardato in Spagna sino alla morte sua; dipoi una figlia, che
restò erede, si accordò seco, et lo liberò con patto non dovesse lui, e
suoi successori, molestare o cercare di recuperare più il regno di Sicilia,
dimodo che tornato a Napoli, et trovato tutto quello regno alla divo-
zione di Carlo terzo suo primogenito lo congiunse in matrimonio con
una regina d'Ungheria, et restata erede di quello regno, et institui
doppo lui Ruberto secondogenito et fratello di detto Carlo terzo rè di
Ungheria, et alli altri suoi figli dette stati et principati grandi nei
BIss. — • Raggionfttnmo della levata vostra
<U questa mattina: disse, etc. ••
1 Ud. Camb., v, 474-475. — • Raggionammo
della lettera vostra di questa mattinfi: disse
che tutto gli piaceva, purché voi facessi 11 se-
condo alloggiamento o a Monte Mari o nelle
vigne del Papa -.
* Francesco di Tommaso Mlnerbetti, persona > nobilissima sì •, al dir del Varchi {Storie
Jlor.y II, 2). • ma vana e leggiera molto > — Giovanni Cambi ce lo presenta dapprima prete
e • chalonaco fiorentino (Cf. Delizie degli eruditi toscani, voi. xxii, pag. 30) e quindi arci-
vescovo nel reame di Napoli, nostro clptadino • (ibid, pag. 127). Ebbe le case a Santa Tri-
nità (Ibid., pag. 139). L'UansLLi, riponendolo fraWescovi aretini, scrive di lui: •• Franciscus
Mlnerbettus (Thomae' Minerbettl et Bartholomeae Bernardi Medices fllius) nobills florentlnùs
(sacrorum canonum doctor, prothonotarius Apostolicus) Turritanus antea Archiepiscopus è
Sardinia ad hanc translatus est anno 1525 die 6 mensis Martii, nomenque Archiepiscopi
semper retinuit > {Italia Sacra^ t. i, 432-82). Fu creato arcivescovo da papa Leone X nel 1514;
trasferito poi da Clemente settimo alla sede episcopale d'Arezzo, Tammlnlstrò per inslno
all'anno 1537. Morto nel 1543, fu sepolto In Santa Maria Novella, nel monumento ch'egli
stesso aveva eretto alla memoria del padre. Il Varchi riportando un tratto di codardissima
adulazione, giudica perciò o che fosse uno degli strumenti maneggiati dal papa mediceo, o
che seguisse la natura sua propria • come la comune degli odierni prelati, i quali poco di
rcpubliche o non republiche curando e non conoscendo universalmente altro bene, non che
maggiore, che le utilità proprie e le grandezze particularl, come comandano Imperiosamente
a* minori di loro, cosi a' maggiori di loro servilmente ubbidiscono • (Id. 1. e.) La lettera,
con cui egli si volge a interrogare II Machiavelli storico, non à data ed è inedita. I fatti
a cui allude il Mlnerbetti vengon raccontati da Nicolò nel lib. i, e. 30, 32, 33. llb. ni, cap. 22
delle Istorie Jlorentine, ove questi corregge le inesatte affermazioni deirarcivescovo, spe-
cialmente rispetto alla vendita non già di Prato, come quegli afferma, ma di Arezzo, fatta
- da quelle genti che per Lodovico lo tenevano ••. ossia dal Sire di CouqI alla repubblica;
occorrendo precisamente fira 1 mandatari destinati a condurre il trattato un Andrea Mlner-
betti, che trova vasi allora nel Magistrato de* Dieci (Cf. Ammirato, Storie ^oreneme. llb. xv).
Circa rafQnitd di N. M. co' Mlnerbetti, vedi più sopra a pag. 195. Anche in una lettera di
Battista Machiavelli a Niccolò in Roma • die 9 novembris 1503 •, si legge: « raccomanda*
temi al Mlnerbetto: vorrei m'avisassi se è vero che il nostro arci vescouo habia facto partito,
o sia per fare, dello areluescouado • (Bibl. Naz. fior., Doc. M., busta in, n. 20).
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650 APPENDICE.
reame.' Et troverrete che due di loro morirono nella rotta di Monte-
catini ricevuta da Uguccione da Faggiuola, o vero ch'erano nati de'pre-
detti terzi lo 2** sciancato ..... et che si trovorno in quello conflicto
capitani loro successione, o vero delli altri di quello sangue reale
restati in Italia, che non successone nel regno di Napoli, altri non
truovo che Luigi principe di Taranto, il quale si tolse per moglie la
regina Giovanna 1* figlia del rè Ruberto predetto, il quale la coni unse
in matrimonio ad uno secondogenito del sopradetto Carlo terzo rè d* Un-
gheria 0 vero nipote suo cognominato Andreasso, perchè detto Ruberto
mancatoli tutti gli altri figli maschi et femine, volle restituire il regno
doppo lui alla successione di Carlo terzo rè d' Ungheria, suo maggior
fratello, et che Giovanna unigenita sua parimente regnasse. Truovo che
questo Andrea cognominato Andreasso venuto nel regno, alla copula,
fu fatto morire da lei per fraudo, come innamorata di Luigi suo cu-
gino, principe di Taranto, et del sangue reale medesimo; il quale con
lei furono sempre amministrati da Niccola Accisguoli, gran siniscalco di
quel regno, et da loro fU venduto Prato al Comune di Firenze. Nacque
tanto sdegno nel fratello primo del dettp Andreasso, che alcuni scrit-
tori chiamano Luigi rè d'Ungheria, che cum jTianu forti venne al-
l'acquisto del regno di Napoli, et per forza d'arme l'ottenne, et la
regina Giovanna col rè Luigi suo consorte truovo che per mare fuggirne
in Avignone, antico et naturale stato et contado del rè Carlo primo
suo avo, et venduto quello alla sede apostolica, che ancora lo possiede,
chiamata da alcuni regnicoli fece una grossa armata, et con Luigi suo
marito, venne a combattere con il rè ungherese, et per concordia re-
storno pacifici nel regno. Et Luigi rè d' Ungheria, dicono gli scrittori,
come alieno dall'aere et costumi di Italia, dove non poteva ritenere i
soldati suoi ungherì, impauriti ancora da una pestilenzia grande....
al reame. In brieve da poi si mori il re Luigi marito suo.... un altro
di vile condizione, et si reggeva con tali costumi che, o per quello o
per non osservare le convenzioni fatte col detto rè d' Ungheria Io pro-
vocò in tanto, che cede ogni sua ragione del regno di Napoli et di
Sicilia in uno allievo suo chiamato Carlo, di virtù et arte militare eccel-
lente, et nato di sangue reale, et successione sua, o vero di Carlo primo
suo bisavo, o di Carlo terzo suo padre. Et questo finalmente desidero
intendere, idest chi fii il padre et avo suo, perchè alcuno scrittore mo-
derno non lo dice, ma lo chiamano Carlo quarto di Durazzo, et io ho
trovate lettere sue scritte a nostri cittadini che si sottoscrive Carlo quarto
rè di Napoli, di Sicilia e di Gerusalem. Notate che con le forze et fa-
vori di detto rè d' Ungheria costui venne in Italia, et fu incoronato da
papa Urbano sesto, et acquistò il reame per forza d'arme, e per pro-
cesso fece morire detta regina Giovanna et suo marito, chiamato Ot-
tone, monsignore di Brescia, et altri complici loro. Dipoi per la morte
del re Luigi di Ungheria fu chiamato da' baroni, et incoronato di quel
regno, che non aveva successione di maschi legìttimi, et in brieve fu
per opera della regina vecchia morto a tradimento in la camera di
lei, o vero assaltato, et che dipoi in breve spazio di tempo si morisse,
et interim li regnicoli conservorno il regno di Napoli e Ladislao suo
figlio unico, et a Giovanna seconda» cognominata Giovannella, i quali
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APPENDICE, ft5l
ftirono sotto il governo di lor madre, secondo che riferisce alcuno
scrittore, per ingegno et prudenzia della quale si conservorno i baroni
in fede di detto Ladislao. Credo che come più diligente abbiate trovato
chi fosse la madre di detto Ladislao, et quello seguisse di Giovanna,
detta Giovannella, sua sorella, doppo la morte di lui.
Fr. F. »J< Archiepiscopus Turritanus.
[a carte A 112-1 12t, B 468-472," C 235-238
§ XXXI. Giuliano de'Ricci a chi legge.
Eccovi, amorevoli et giuditiosi lettori, un Campione, et un saggio
delle bozze che faceva il Machiavello per scrivere et tessere dipoi le
sue hiatorie.* Servirà per chiarezza et intelligentia delle lettere che
scrisse alla repubblica nelli tempi della creatione di Giulio 2°; servirà
ancora per exemplo a chi si dilettasse di volere scrivere le historie,
servirà finalmente per bavere vera et particulare notitia delle cose se-
guite in quel tempo non adombrate nò orpellate, come per il più sono
le Istorie. Nò si sdegnino li flotti imitare questo autore nello scrivere
delle Istorie, et nel discorrere, poiché l'esperienza ha mostro quanto
avidamente fossero lette le cose sue et con quanto dilecto da ciascuno
ammirate, avanti che da Paolo quarto fossero prohibite, • la qual prohi-
bizione, le ha dipoi tanto più fatte desiderare, quanto, come ben disse
Horatio, « nitimur in vetitum, cupimusque negata », et ora per beni-*
GNiTÀ DE* SUPERIORI RITORNERÀ AL MONDO, cho con desiderio grandis-
simo, l'aspetta più bello che mai, tutto expurgato, et netto. Né alcuno mi
tassi o riprenda eh' io duri fatica in registrare cose piccole et frivole,
perchè a me non paiono di si fatta maniera; anzi di questi giornali
ne tengo grandissimo conto. Potrei bene incorrere nello errore che
incorrono molti, credendo che a ciascuno debbano piacere quelle cose
che piacciono a loro, del che mi doverrà essere ammessa la scusa, poiché
lo errare con molti, non fu mai del tutto biasimevole, né reprensibile.^
§ XXXII. Giuliano de'Ricci a chi legge.
Fragmenti, ricordi et giornali appartenenti a Historie, autore Nic-
colò Machiavelli. Copierannosi con quel maggiore ordine che si potrà,
levandoli da quadernucci, et stracciafogli di sua mano, inserendoci tal--
volta qualche altra cosa appartenerUe all' Historie di quei tempi, fJo-
tisi che tutte le postille, che sono nel margine di fuori* sono dell'autore^
Tal tre del margine dì dentro vi si faranno, a maggiore chiarezza, da
me Giuliano de'Ricci.
1 Nel ma. A: " bollo registrato qui al luogo suo havendolo egli fatto nel tempo, che
stette in Roma, nella spedltlone di sopra narrata, serulrà per chiarezza ** ecc. S* intende
bene che quest'inciso, per includere un'affermazione di cui il Ricci non poteva aver prova
certa, fosse poi tolta dall'altro suo originale su cui le copie B, C vennero condotte.
s II BusiMi (Lettere al VarefU, ed. Lem., pag. 241) scriveva nel 1549 da Roma: • Qui
sono state vietate e proibite a vendersi tutte le opere del nostro Machiavello, e vogllon
fare una scomunica a chi le tiene in casa; ma sino a qui nessun libralo ne può più vendere
sotto gravi pene. Dio aiuti il Boccaccio. Dante e Morgante, e Burchiello. Volevano vietare
Lucrezio, ma il reverendissimo Santa Croce non ha voluto ••.
* Bis. A: '* Lascerò le margini del libro larghe acciò che ul si possano, o da me o da
altri fftre annotationi, che servino per chiarezza delio scritto dal Machiavello brievemente
o per riscontro de' tempi ".
* Ms. A : " nella seconda piega del foglio '*.
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6j8 appendice.
Post mortem Cosimi.^
« Morto Cosimo rimaso Piero suo figliuolo »... — ...« il re Federigo
si parti da Ostia e ne andò in Francia con 5 galere ».
[a carte A 85-109, B 476-596, C 239-298
— ^ Addi 14 di 9.bre «Che gente di Pagolo Orsino si ragunavano
in quello di Perugia »... — ...« fu loro compiaciuto ».
[a carte A 110-111, B 596-602, C 298-302
— Seguita un disteso della passata di Carlo Vili re di Francia
in Italia scritta dal Machiavello. ^
€ Papa Alessandro volle che Alfonso dessi »... — ...<c sottosopra ogni
cosa ».^ [a carte A 11 1-1 Ut, B 602-608, C 302-305
§ XXXIII. Giuliano de*Bicci a chi legge.
Quello che segue non è del Machiavello.
— Il rè di Francia parti »... — ...« frate delle Case de' Cini ».
[a carte A 1 125-1 13t, B 608-615, C 305-309
— N.M. 1495 da giugno a X.bre. Giugno 1495. « Il Campo al Ponte
ad era »... — ...« come si era disegnato ».®
[a carte A 113t-115t, B 615-624, C 309-314
1 Pubblicati nel voi. ii dell'ult. edlz. florentlna delle Opere di N. M., 1874. pag. 217,
sotto la seguente rubrica: » Biblioteca Nazionale, Codice contenente la copia fatta da
Roseo Antonio Martini nel i7S0 dell'apografo di Giuliano de' Ricci sugli autografi del
Machiavelli suo avolo : a carte 239 » E il volume procede da pag. Zi7 alla 281. pubblicando
dalla pag. 239 alla 298 del manoscritto. Come apparisce nel notamento premesso da Giu-
liano de' Ricci, non sono a confondere questi frammenti, ricordi e giornali, che furono pre-
parazione alla composizione delle Istorie, con quelli che sono pretto lavoro di canteUarla.
A pag. 219 dello stampato leggesi In conformità dell'apografo: • Volterra si ribellò per conto
delle cave del rame ciie le volevano pubbliche e non private >. Ci parve questa lezione er-
ronea, e giudicammo forse da restituire: « Volterra si ribellò per conto delle cave da^
lume *, come senza dubbio doveva leggersi nell'autografo del M«, giacché, secondo quel che
effli medesimo espone nelle Istorie (lib. vii, cap. 29). fti a cagione d'una cava d'allume che
Volterra si ribellò e pati eccidio; né v'ebbe mai miniera di rame nel comune di Volterra;
ma solo, e celebre per la singolarità del suo giacimento, ve n'à nel territorio di Monteca-
tini in Val di Cecina. Cf. anche Cecina. Memorie storiche della città di Volterra.
* Pubblicati nel medesimo voi. ii, ediz. flor.. pag. 156, non dall'apografo, ma dall'au-
tografo stesso del Machiavelli. Bibl. Naz. di Firenze : Documenti Machiavelli, busta ti.
n. 72, pag. 1, 2. — A pag. 158 del volume, corrispondente a pag. llOt del ms. ^4 si legge:
• Mandorno el conte Lamberto a Pucecchio >; l'apografo à erroneamente: ■ aPulignO'.
» M». A: " manca il principio: lo ho rltrouato et é copiato in q.® tj. " — E comincia:
" mandò oratori per Italia a tentare ". — A pag. I59t, peraltro, annota: ** Ritorno a co-
piare giornali et memorie appartenenti a historie, estratti tutti da fogli o quadernuccl di
sua mano ; et questo che seguita II primo è in su un foglio sopra 11 quale, di mano del me-
do8.<* Machiauello è scritto: ** Di Bernardo Rucellai ". E segue: " Papa Alessandro uoUo
che Alfonso " sino a: " ordinò una armata a Marsilfa ". Indi è un'altra nota: " Il resto
che .seguita di questo disteso in queste carte avanti ".
* Ed. Camb., ii, 1-5. Segue nell'ultima ediz. clt. a pag. 77-85, secondo l'apografo di
Giulian de' Ricci.
* In A, dopo le parole «ma non ne siamo ancora certi • trovasi inserita la lettera del-
l'Arcivescovo turritano, riferita negli altri apografi come al § xxx.
^ Neil 'ediz. fiorentina sopraccitata il testo é pubblicato secondo gli autografi, contenuti
nelle carte 3, 4, busta i. n. 72, doc. Machiavelli (v. volume ii, pag. 160-165). A pag. 162 leg-
gesi: M BaAtiano Lotti si fuggi da Sanminiato timore Gallorum, aiens non intraoerunt
Pistu sed Luce moram traxere -. Gli apografi tutti (compreso 11 Barberinlano a pag. 194)
recano: • timore Oallorum, oratores non intraverunt Pisas, eie. L'autografo, d'assai dub-
bia interpretazione, sembra tuttavia potersi leggere a questo modo: • Bastiano Lotti si ftiggl
da SaMlniato timore gallorum; oratores non intra vere Pisas sed Luce moram traxere •. —
Com'è evidente, il fatto di Bastiano Lotti non à nulla di comune con quello degli oratori
rimasti a Lucca e non entrati in Pisa, nella quale indicazione è probabilmente a ricono-
scere un fatto degli oratori fiorentini; poiché, com'è noto per un appunto precedente del
Machiavelli medesimo, di giugno 1495 > a' 20 di el re (Carlo Vili) entrò in Pisa •. (>>sl il
Memoriale di Giovanni PoaTOVENiai nélV Areh. stor. it., voi. ti, parte ii, serie i, pag. 313:
« E ad 20 di giugno detto, «1 re di Pranza entrò in Pisa con tutta sua gente e baronia ».
— E più oltre, a pag. 315: •• E ditto di 23 di giugno ditto, e'pisani mandarono imbascl»*
lori drieto allo Re a Luca per intendere più fermamente sua volontà, la quale s'ha aver
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APPENDICE.
663
§ XXXIT. Giuliano de*Ricci a chi legge.
Il di sopra è levato da un foglio, in sul quale dice 4k 8bre et 9bre
sunt in scrinio » et per seguire Tordine, che si havea proposto l'autore
io seguiterò di copiare tutto quello, che ò scritto a un quadernuccio
lungo, dove è un disteso assai bene tirato di più di un anno di tempo,
et se bene io sarò necessitato dipoi ritornare indietro con altre me-
morie ho eletto per meglio seguitare questo ordine, che interromperlo,
nel principio del qual quadernuccio sta come appiè.
— « 1495 Ottobre, novembre, dicembre 1495.
— « Giunto monsignore di Lilla ne' borghi »... — ...« et diede loro
bando di rubello ».i [a carte A 116-li7t, B 625-636, C 315-322
— « In questo tempo »... — ...« con monsignore di Gemei ».
[a carte A 118, B 636-637, C 322
— Risposta ad uno ambasciadore del rè di Francia il quale fu"
monsignore di Gimel.* [a carte AI18-118t, B 637-640, C 322-324
— € Gennaio 1495. Ancora che nello scritto di sopra siano le cose
della cittadella fatte di gennaio.
— « Partiti che furono gli Orsini »... — ...« in su luoghi de'Montepul-
cianesi ogni cosa >.3 [a carte A 118t-l22t, B 640-656, C 324-334
alla presenza dell! lmbascia.tori fiorentini >. Nel Memoriale l'anno è,
lo stile pisano, il 1496. ^— Altre varianti fra l'edizione ultima e il testo dei mss. :
secondo
ediz. loc. cit., pag. 163: — '• Scrlpsesi 11
disegno di Montepulciano *'.
— " Circa a 4 di in lunedi mattina in sul
tardi s'applcomo e' franzesi colli Italiani ".
— •* per pigliare Peccioll e presono Fercoli ...
ed. pag. 164: — " Richiesesi el generale di
Llnguadora la Signoria di sei mila ducati ".
— " si tirerebbono tutte in sulle parti di
Pisa e lasclerebbono predare el contado ".
pag. 165: — " se si dovessinc dare ai fuo-
rusciti sanesi come ad che
monsignor di Lilla non si accordò *\
mss. — ** Scopersesi il disegno di Monte-
pulciano ".
— ** circa a 4 di in lunedi mattina in sul
taro s'appiccorno e' francesi colli italiani **.
— " per pigliare Peccioli e presono Foscoli ".
mss. — " Richiese " ecc.
— " si tirerebbono tutte in su le porte di
Pisa et lascerebbono predare el contado *\
— " se si douessero dare a fuorusciti sa-
nesi con messer Perotto, a che monsignor di
lilla non si accordò ".
^ Pubblicato nel voi. ii, Opp. M., ediz. citata, pag. 85-9S, linea 38. Dopo questo nell'apo-
grafo C a pag. 382 si trovano intercalati 1 seguenti passi : > In questo tempo giunsono a Li-
vorno otto o più legni franzesi, che andavano al soccorso del regno *.
• In questo tempo cominciò Pistoia a tumultuare perchè Niccolò del Gallo ta ferito da
Bartolomeo Cellesi •.
Indi continua come nella stampa, loc. cit.. a pag. 166: • 1495 dicembre. Piero VespuccI
ad viso come si prese •... — ..." con monsignor di Gemei >.
> Negli Estratti di lettere, ediz. cit.. pag. 138 : •> In questi tempi Ai mandato dn Fran-
cia monsignor di Gimel; e la istruzione sua era far Intendere a ognuno, da Savoia inflno a
Roma, che noi eravamo suoi amici, e desiderava la salute nastra, e che era parato aiutarci
eontra quoseumque; e per comandare al Triulzio ed alle altre genti d'arme francesi d'Italia,
che ne* bisogni nastri ci soccorressono. Venne tino a Vigevano, e non fu lasciato dal duca
passare più avanti ". — Ora, l'Apografo del Ricci riproduce a questo luogo, senza data,
quella lettera della Signoria al signor di Gémei che il Dbsjakdimb pubblicò glÀ nel voi. i.
4pag. 633-35 delle Négociations diplomatique», colia data del di 5 novembre 1495. — Per quanto
risgaarda il citato notamente del M. fra gli Estratti di lettere, il Desjardins aggiunge:
• Le commissaire du Roi se rendit, le 10 novembre, & Pise, où il fut arrété, puis rélachó
bientòt après (Rif., ci. x, dist. vn. reg. n. 1). Le 80 novembre, MM. de Gémei et Niccolò
Alamanni vinrent de nouveau à Florence, de la part du Roy, pour obliger M. d'Entragues
à obéir.... — Toutes les démarches furent Inutiles >.
• Frammenti pubblicati già nella Camblagiana, t. ii, 5-49, poi neirultlma edizione fioren-
tina cit., pag. 98-103. A pag. 103 seguono brani che non si trovano negli Apografi, e vanno
sino alia pag. 166 (lin. 5). Quindi ripiglia : • il re dei Romani, ecc. •• sino alla pag. 187
(359 dell'apografo C). Varianti
ed. ult., 1. e, pag. 99: — '* Leuossl il campo
dalla Cecina e si posò di qua da Bientina ap-
presso alla scesa di Montecchio ".
Pag. 101:
— '' Erano i Fiorentini da ogni parte stretti,
perchè e' pisani in quello tempo feciono ogni
sforzo per tórre loro il bastione di Stagno, et
con artiglierie e genti ul vennono ".
Mss. — " Leuossl II campo dalla Cecina et
andò doue dicono le lettere del primo di ".
— " Erano e fiorentini da ogni parte strett
perchè e' sanesi in quello tempo feciono ogni
sforzo per torre loro 11 bastione di Stagno e
con artiglierie e genti ul vennono '*.
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ed. ult., loc. elt., pag. i04« Un* 1 e 12: —
" Sette lettere di Francia ** ecc.
— " Che si Intendino le condizioni che Voi
{iresti nella lega dal Vlnlzlanl et non da Ml-
tc.no, perchè è un caso '*.
051 APPENDICE.
— « Il rè de Romani venne a Vigevano »... — ...« che non ne furono
cacciati da' nostri ». [a carte A 122t-132t, B 657-695, C 334-379
— Seguitano Memorie appartenenti a Storie del i495 scritte da N. Jf .
Consultum summarium di non so quando 1495:^ < Si consultò in
su la chiesta delFandata dell' Alfonsina a Piero de' Medici »... — ...< su
una bandiera di San Marco ».
[a carte A 138<r-i41, B 693-706, C 359-365
La congettura che potesse trattarsi di Pisani e non di Sanesl, ti Indicata In margine
da Giuliano de* Ricci colle seguenti parole: " forse pisani " (ms. A, pag. iSi); ma il testo
del frammento, dal Ricci medesimo copiato a tergo dell' Istesso foglio, e nell'ediz. stampato
Immediatamente in seguito al passaggio in questione in cui si accennano l dubbi che il duca
d'Urbino " non s'accostasse col Sanesl et venisse all'Impresa del bastione " sembra deci-
dere la lezione certa.
1 Com'apparlsce dal titolo e dal contesto, questa è una serie &* Eitratti dal libri delle
Consulte e Pratiche, pubblicate nell'edizione precitata a pag. 190-195 sino alle parole : • et
Il marchese si aiuti con lettere > (Cf. Apografo C, a pag. 364). Varianti :
Ms. — " Lette lettere di Francia " ecc.
— *' che si mtendlno le condizioni che Vo
liarestl nella lega da 1 Vlnizlaai e non da Mi-
lano perchè è un ca . . o ".
Dopo di che segue: ■ 3 di marzo 1495. Lette lettere di Lucca, Flvlzzano et altri luoghi.
Che a' Lucchesi si renda la preda et non si dia loro salvocondotto di grani •. Quindi attacca,
come alla pag. 213 dello stampato (edlz. cit.) > Addi 24 d'ottobre 1503. E' Franzesl anda-
rono a Campo a Rocca Secca >... — ...> bandiera di "San Marco • (pag. 213-214). In mcurglne
alle parole : « Niccolò Machiavelli giunse a Roma et con Roano, poiché fu uscito di conciavi,
non volse ratificare la condotta, et di prima non possette* è notato: • Questa è la condotta
fatta dal Sor Gian Pagolo Baglioni della quale si fa menzione nell'lstruczlone, data al Ma-
rblavello da' X.d, copiata di sopra*.
Avendo ritrovato nell'Arch. di Stato in Firenze tra le Pergamene di provenienza Ricci
la condotta di cui è parola, crediamo non inutile darla In luce a questo luogo:
In Dei nomine amen.
Anno Incamationis Domlnice millesimo qulngenteslmo tertio, Indlctlone septlma, die
vero vigesima tertla octobris secundum stilum et morem florentlnorum.
Universls et slngulis hulus publicl Instrumentl seriem Inspecturls pateat evldenter et
notum sit qaaliter magnifici et generosi viri
Dnus Franclscus Laurentli de Gualterottis
Nlcolaus Alexandrl de Machiavellis
Jacobus Scolai de Giacchia
Philippus Johannis Antella
Dominlcus Bernardi de Mazzlnghis
Clemens Clprlani de Ser Nlgls
Franciscus Antonll Taddei
Sigismundus Franciscl de Martellls
Petrus Brunetti de Brunettis
Marcus Johannis de Baroncinls
Decemviri Lltwrtatis et Balie Populls Fiorentini, simul adunati in Palatlo Fiorentino, vide-
licet In auditorio quod est apud Salam malorem dictl Palatil: Advertentes ad quandam con-
ductam factam per Rev.nm Dominum Cardlnalem Volaterranum de strenuis ac magntflcis Do^
minis Johannes Paulo et Gentile de Baglionlbus de Peruslo sub die ziu* presentis mensis
Octobris vel alio veriorl die, prò ut constat publico Instrumento, manu Raymundl de Ray-
mundls Clerici Cremonensis Diocesis, ac notarli publici: cum promissione focta per dlctum
Rev.mnm Dominum Volaterranum, quod dieta conducta ratlflcarl debeat per Rempublleam
Florentlnam: unde hodle prefatl Magnifici Domini Decemviri, misso et celebrato Inter eo6
solemni scrutinio, et obtento partito secundum ordlnamenta, vlrtute auctoritatis ets concesse
per opportuna Consilia Popull Fiorentini, omnl mellori ipodo quo potuerunt et possunt. fec«-
runt, constltuerunt et ordinaverunt eorum Syndicum, Procuratorem et nunptium, egreglum
virum Nicolaum D.nl Bernardi de Machiavellis. Cancellarlum et offlcialem Secunde Caneel-
larle Popull Fiorentini, specialiter et nominatlm ad ratlficandum dictam conductam vice et
nomine Communis Florentie, et dicti eorum oflQcil et magistratus, et omnia In dieta con-
ducta contenta, et generaliter ad omnia et singula alla faciendum, dlcendum, genindum,
procurandum et exercendum que in predictls et circa predieta, et qaollbet vel altero predic-
torum necessaria fuerlnt, utilla, et quomodolibet oportuna, que luris ordo et facti qualltas
predictorum postulant et requirunt, et que Ipsimet Decemviri constltuentes facere possent
si Interessent: dantes et concedentes eidem Nicolao omnem auctorltatem, potestatem et Ba-
liam quam habent a Populo Fiorentino, ac plenum, llberum, speciale ac generale mandatum,
cum piena. Ubera, spetiali ac generali administratione in predictls omnibus et slngulis et
circa predicta et quodllbet predictorum. Promictentes Insuper et convenientes dictl Domini
constltuentes modis et nominlbus quibus sapra, mihl Antonio Notarlo Inflrascripto, presenti,
et ut publlce persone rite ac legiptime stipulanti et recipienti vice et nomine omnium et
slngulorum quorum interest, Intererlt, aut poterit in futurum quomodolibet interesse, quod
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APPENDICE. 6»
§ XXXT. Giultan de* Ricci a chi legge.
La parte che seguita mi è parsa registrarla nel modo, che sta
senza alterarne niente, parendomi che la libertà, et brevità del dire
accompagnata da un poco di licentia) solita in questo autore, gli apporti
grazia, scrivendo egli questi giornali et ricordi, come gli dettava la
fantasia, senza metterci studio o usarci diligenzia alcuna.
— € Giulio per essere papa promesse Roma et toma »... — ...« reca-
pitulossi seco ».* [a carte A 29, B 706-707, C 365-366
— « Giovan Pagolo, con licenza di Roano assassinata Roma »... —
...« con dire che volevano rendere le terre al papa ».*
[a carte A 29t-30, B 707-711, C 366-368
— < 15 di Xbre 1503: « In questo tempo Ramazzotto si insignori della
Rocca di Imola, et dubita vasi non si volgesse a' Veneziani ».
— Li effetti della convenzione che si ha a fare con Luciano Gri-
maldo, signore di Monaco, sono questi cioè, ecc.
[a carte A 78t, B 711-713, C 368-369
— Nature d* uomini fiorentini: et in che luoghi si possino inserire
le laudi loro.^ [a carte A 82t-83, B 713-717, C 368-371
— iV. M. Sentenze diversi : « Li uomini che nelle republiche ser^
vono alle arti meccaniche »... — ...« et non vogliono ubbidire ».*
[a carte A 83t, B 717-719, C 371-372
Populus omnia Florentinus, et Commune ipsum Florentie ratom, gratum flrmumque habebit
et tenebit et observablt omne id totum et qulcquid per dlctum Nicolaum actum, factum,
dictum gestumque fuerit in premtssis omnibus et singulis et quolibet vel altero eorum, aut
etiam quomodolibet procuratum ; et contra nullo modo facere vel venire per se vel alium seu
alios aliqua ratione, iure, modo vel causa, de Iure vel de facto, sub ypotheca et obbliga-
tione dicti populi et Communis Florentie, et bonorum omnium eiusdem presentium et futu-
rorum; et sub omni iuris et facti renuntiatione ad hec nece^ssaria pariter et oportuna: ro-
gante» me Antonium Notarium Inflrascriptum ut de predtctls omnibus et singulis publicum
conflcerem Instrumentum.
Acta fuerunt hec omnia et singula in Palatio Fiorentino, et in Auditorio supraserlpto,
presentlbus ibidem Ser Augustine Matthei de Vespuccis de Terranova, et Blaxlo Bonae-
cursll Blaxil de Florentia, testlbus ad suprascripta omnia et singula vocatis, habitls et rogatls.
(L. S.) Ego Antonius olim Johannis Antonii della Valle, Imperiali auctoritate Notarius
Judexque ordinarlus ac Notarius publicus, CIvIs et Secretarius florentinus, predictls omnibus
et singulis, dum sic agebantur, interful, eaque rogatus scribere, scripsi et in hanc publicam
formam redegl, slgnumque meum apposui consuetum.
Nos Priores Libertatis et Vexillifer Justltie Populi Fiorentini, singulis atque unive'rsis
in quos hec nostre littere inoiderint facimus fidem qualiter suprascriptus Ser Antonius Jo-
hannis della Valle est publicus et autenticus notarius et matriculatus in arte Judlcum et
Notariorum Civltatis nostre; eiusque scrlpturls in iudlclo et extra semper adhibetur, et adhi-
blta est piena atque Indubitata fldes: in quorum omnium fldem has nostras lltteras fieri
mandavlmus. et nostro solito signo signarl.
Ex Palatio nostro Die xxiy mensis Octobris MDiy.
(L. S.) MARCKLLU8.
1 Cf. Ediz. cit., pag. 214, secondo gli Autografi della Blbl. Naz. di Firenze. Doc. M., busta vi,
e. 25 e 26. Nell'Apografo dove il testo reca: • laseioati menare il e.... a'Viniziani <• è no-
tato in margine : aggirare • ; e dopo le parole ; • recapitulosti ieco » mancano le seguenti
che si trovano Immediatamente seguitare neiredlzlone : • Mandos$i Piero d'Oviedo; intanto
don Michele era auto soaligiato •.
* Cf. ediz. citata, pag. 214-217. A pag. 215, l'edizione reca: • Mesier Nieeolò Calbo
venne a Firenze, ecc. ■ L'apografo male; Afesser Niccolò Balbo. A pag. 216 • Feceti la in-
coronazione del papa. Roano menò seco messer Filiberto, oratore dall'Imperatore « —
L'apografo: • Roano menò seco (lacuna) oratore dello Imperatore « — a pag. 217:
« eon dire che volevano restituire Faenza al papa ■ — L'Apografo: • che volevano rendere
le terre al papa ■•
' V. ediz. Camblagi. voi. ii, pag. 81.
« Cf. ediz. 1796, t. Ili, pag. 322-24 (Sentenze per Taddletro Inedite) — Da questa, tutte le
edizioni In seguito co* medesimi errori. Varianti di maggior rilievo :
ediz. ~ « Essendo Licinio accusato a
Traiano di parricidio, Traiano andò solo a
ronvivere seco, dipoi l'altro giorno disse alla
presenza di chi lo aveva accusato ; Ieri Li-
cinio mi poteva uccidere ».
cod. — • Essendo Licinio accusato appresso
rll Traiano di parricidio, Traiano andò solo
a convlvare seco ; dipoi l'altro giorno disse
Illa presentia di chi lo aveva accusato ecc. ••
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656 APPENDICE.
— X M. della natura de* Francesi: « Stimano tanto Futile »... —
...« et navica per perduto ».^ [a carte A 35, B 720-721, C 372-373
§ XXXTI. Giuliano de'Ricci a chi legge.
Essendomi capitato alle mani il proprio originale del discorsa
fatto dal Machiavello intorno alle cose dell'Imperatore et dell' Ale-
magna, che suole andare tra ritratti delle cose dell'Alemagna di questo
autore, che per il più vanno stampati dreto al libro del Principe, et
avendolo trovato molto diverso dallo stampato, ho stimato di copiarlo
tutto come sta.
— N. M. «L'imperatore fece di Giugno 1507 la Dieta a Costanza»...
— ...« se ne ha qui più vera notizia, et miglior giudizio, le lascerò in-
drieto >.« [a carte A 373-.39t, B 725, C 377-385
§ XXXTII. Giuliano de* Ricci a chi legge.
Lo infrascritto ò uno discorso fatto dal Machiavello alla Sig."* et
a' Dieci, sopra le cose di Pisa, che ne manca la maggior parte, et quello
che è restato, è di maniera lacero et malconcio, che mi é bisognato
metterci molte parole per conjectura, che saranno punteggiate sotto. *
— N. M. — € Che rihavere Pisa sia necessario »... — ...« questi tempi
o no ».5 [a carte A 21t, B 741-743, C 385-387
§ XXXYin. Giuliano de'Ricci. a chi legger
Disegnò papa Clemente avanti all'anno 1527 fkre fortificare la città
dì Firenze, et a questo effetto, sebbene non ne segui poi conclusione
— « . . . mancano di es^er docili e non vr- — • mancano di esser docili et non vo-
gliono ubbidire, e crescono di malizia, e sce- gllono ubbidire «.
roano di forze >.
1 Seguono fogli bianchi In B dalla pag. 72S alla 784, in C dalla pag. 374 alla 376.
* È evidente per la nota premessa da Giullan de'Ricci ch'egli intende qui parlare non
di quella breve scrittura che comparve in luce primieramente nelKedlz. Camblagi (ii, pag.
167-168) col titolo di Dìicorso dì JV. Af. gopra le coie d'Alemagna e aopra Vimperadorc,
ma. del Rapporto e dei Ritratti pubblicati già nelle edlz. aldine (1^0-1546) e nella testina
(1550). Ora. le varianti che s'incontrano fra il testo delle edizioni e quello dell'apografo del
Ricci, c'inducono a credere che probabilmente per le stampe ebbe ad essere usata una copia
dei Ritratti delle cose di Francia e d'Alemagna^ differente da quella, che proviene dal-
l'Archivio Mediceo e si conserva ora nella Bibl. Naz. fior. (doc. M., busta vi. n. 83). —
Certo al Ricci, non riuscendo possibile di spiegare quel che si avesse ad intendere pel ■ fk-a
bianco >, parve meglio leggere o interpretare « foglio bianco ••: ma anche le edizioni con-
dotte sugli autografi, ad eccezion dell'ultima, caddero sovente in Isvarioni non meno risibili.
Eccone esempi:
Apog. -
ridire ".
credendo per avventura farli
apog. — « e forse gliene lU data intenzione
da' suoi mandati, o almeno con la forza di
tale assalto fare che l' imperio raffermassa ed
accrescesse le sue provvisioni •.
apog. — ■ lasciò quelli fanti al grido e sa
no ritornò in Svevia, ecc. ■
Ediz. — « pertanto l'imperatore scarso di
partiti, senza perder più tempo, deliberò assal-
tarli, credendo per avventura farli ridere >.
ediz. — > e forse gliene fu dato intenzione
da* suoi mandati, o almeno con la scusa di
tale assalto fare che l' imperio affermasse ed
accrescesse le sue provvisioni d'aiuto ••.
ediz. — > lasciò quelli fanti al grido e so
ne tirò in su via per Intender la mente del-
l' imperio ■.
i Fra le postille marginali dell'autografo doveva essere la seguente, ripetuta nella copia
del Ricci, ms. A, pag. 38: ** seroe di ginestra pesta data a bere con vin bianco sera et mat-
tina a digiuno, et orinerai ,,. — Probabilmente questa ricetta ebbe ad essere consigliata at
Machiavelli, nel suo viaggio in Germania, quando infermò, come vien raccontato a pag. 433.
4 Ms. A: • scritte con lettere grandi ".
* Ed. Camb., t. ii, pag. 188-1S9, termina colle parole : « sia per recuperarsi «.
• In margine: « Fu fatto al principio dell'anno 1526. Veggansi le lettere scritte al Guic-
ciardini • .
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APPENDICE. 657
alcuna, ci fu mandato, et si chiamarono di diversi luoghi persone pra-
tiche et intendenti di simili fortìficationi, in compagnia di alcuno
de' quali andò il Machiavello per intendere la oppenione sua della quale
fece lo infrascritto referto alla Signoria, per ordine della quale scrisse
poi la seguente lettera allo Imbasciatore che per la republica stava
in Roma appresso S. S.ti Potrebbe anco essere che facesse questo ra-
gionamento doppo che li Medici furono cacciati, essendo il Machiavello
vissuto sino alla fine di Luglio 1527.*^
— « Noi vedemmo prima, cominciandoci da monte Uliveto »... — ...« an-
cora più gagliarda quella parte ».*
[a carte A 71-73, B 744-753, C 387-392
§ XXXIX. Giuliano de*Ricci a chi légge?
Sommario delle cose della città di Lucca. € La città di Lucca \
divisa in tre parti »... — ...« et ciò che in esso sia di buono o di reo ».*
[a carte A 80t-82, B 754-764, C 392-398
§ XL. Giuliano de'Ricci a chi legge.
Cercò sempre il Machiavello con ogni suo potere giovare alla patria
sua, et al mondo tutto non solamente con li scritti, ma ancora con le
operationi, et però considerando li progressi, che sempre havevono fatto
le repubbliche et li principati, che per li tempi addrieto sono stati co-
piosi d'armi proprie et non hanno nei loro bisogni havuto a servirsi di
soldati mercenarii né di armi forestiere, operò con Piero Sederini, et
con gli altri che all'hora reggevano Firenze che si ordinasse in Toscana
una militia appiè, atta a potersi difendere da qual si voglia assalto, et
bisognando anco a offendere, la quale cosa per industria sua hebbe ef-
fetto, et di poi conosciuta di grande utile si è sempre mantenuta.
Et essendone egli stato l'autore et il motore, fd dato carico a esso di
distendere la provvisione di ordinare il magistrato che doveva bavere
la cura di tal militia, di creare leggi, alle quali fossero sottoposti li
detti soldati, et ogni altra cosa appartenente a questo, come per le
scritture, che qui di sotto copierò, evidentemente si vedrà, le quali
tutte sono levate dalli originali scritti di propria mano del detto Ma-
chiavello.
— Promsione dell'ordinanza. — « Considerato i nostri magnifici
et Excelsi Signori come le republiche »... — ...« come per li altri ofl!ìtii
s'observa ».» [a carte A 63t-67t, B 765-783, C 399-409
1 Com'è facile rilevare, la tradizione del giorno preciso e del mese vero in cui N. M.
mori non era giunta schietta sino a Glulian de* Ricci.
' s Ed. Camb. 1782, t. ii, pag. 414-420.
* In A: » Seguono alcune cOvSe di Niccolò Machiavelli da esso notate su certi straccla-
fogli per servirsene ad inserirle nelli suoi discorsi et historie le quali io copierò al meglio
che potrò, sendo molto lacere de uerbo ad uerbum, et prima un sommarlo delle cose della
città di allora*.
« Ed. Camb. 1782, t. ii. pag. 169-176.
s II testo che è dato nell'Apografo Giulian de* Ricci varia In molte parti da quello uffi-
ciale che è nell'Archivio di Stato, e che fu pubblicato prima nell'edizione fiorentina del 1782
(voi. II, pag. 389-403). e poi nelle altre edizioni fin qui. Probabilmente Giulian de' Ricci non
ebbe a sua disposizione che una prima copia di quella provvisione, che il Machiavelli poi
ToMMAsmi - Machiavelli. ^
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«58 APPENDICE.
§ XLL Giuliano de' Ricci a chi legge.
Fu vinta la sopradetta provvisione addi sei di dicembre dei 1506;
et nel 1510 poi fu fatta altra sopra queste medesime ordinanze de' fanti
appiedo, et aggiuntovi cinquecento cavalli, et di questa, come di quella
ne fu motore, autore et consigliatore il medesimo Machiavello, di cui
ordinò meglio e modificò in seguito. Noi reputiamo opportuno di render di pubblica ragione
questo documento nella primitiva sua forma, come 6 dato dall'apografo, parendoci che il rag-
guaglio che 1 lettori potran fare 'tra questa e quella che Niccolò gli diede in appresso, sia
per non tornare disutile a chi voglia avvisare in tutte le più lievi sfumature le transizioni
del pensiero nel Segretario fiorentino:
— " CotMÌdanto i nostri Magnifici et Excel«i Signori, coma la repnbiieha ai stati che par Io addietro si sono
mantenuti et acereseiutì, hanno avuto par loro primo fondamento la JaatiUa et le armi, per poaaera frenare li end-
diti, et difendersi dalli inimici, et eaeendo la repnblica di Pirenxe ben corroborata per quelli ordini, che rignardano
alla jaitizia, et reggendo delle armi al tutto mancarla, et giudicando necoMario provederri, per arere cQnoaeiato
con una lunga esperienu, et con loro maxime spendio et periculo, quanta poca speranza si possa bavere nelle
•rmi esterne, et maxime nelle fanterie, et ricordandosi de' tardi acquisti et dello subite rovine, che sotto il gt>-
Temo di quelle ha sopportato la loro republica ; et conosciuto come le armi mercenarie, sa sono assai et repnt«ta,
sono o insopportabili o sospette: se poche et senza reputatione, sono di nessuna utilità, et giudicando per tutte
queste ragioni, et per li propri pericoli, che sogliono fare gli uomini pih cauti, essere bene armarsi di armi pro-
prie et delli uomini suoi, de' quali in un momento la loro repubUca si possa valere ; et li possa i^astigare erraDdo,
et premiare meritando ; et come questo i facile a fare, essendo il dominio fiorentino poco et forte, pieno di nomini
et bene qualificati ; et ricordandosi con quanta infamia sia suto per lo addrieto il loro territorio dal ▼alentlao,
da YitelJono et da Bartolomeo d'Alviano corso, et con pochisBlmo numero di homini predato, aeci& che per l'av-
venire non sia ad alcuno pih facile il farlo et che si possa pih virtuosamente difendere la loro republiea, et tntte
le snbstantle di quella, invocato prima il nome dello altissimo Iddio et della sua gloriosa Madre sempre Tergine,
ot del precursore di Cristo 8. Giovanni Batista avvocato ed protectore del popolo fiorentino, provviddono et ordinarono.
" Che per virtii della presente provvisione et doppo la sua finale conclusione, quanto prima fare si potrà,
si crei per il Consiglio maggiore uno magistrato di 9 cittadini fiorentini, habill al Consiglio, netti di speod^o, et
di età di anni 40 fomiti nel modo et forma et con l'autorità che di sotto si dirà.
" Tragghinsi dalle borse, a ciò deputate X olectionarii per ogni ofBei%le ai harà a fare, cioi settanta citta-
dini per l'arti maggiori et 30 per le minori per tutta la città, i quali ciascuno per il suo membro, et per tncU la
città nominino un cittadino, quale a ciascuno dì «ni parrà et piacerà pure che abbia le qualità soprascritte. Et
dipoi li settanta nominati per la maggiore et li venti per la minore vadiano a partito ad uno ad uno nel Consi-
glio maggiore, et distintamente membro per membro, et tutti quelli che haranno vinto il partito per la metà delle
fava nere, et una piìi si imborsino, ({uelli della maggiora in una borsa et quelli della minore in una altra, et dipoi«
alla presenza de' Signori et Collegi, della borsa della maggiore se ne tragga sette, et di quelli della minore dna,
li quali cosi tratti restino li nove cittadini eletti In detto magistrato. Et li aleetionarii di quelli che rlmamimo
in detto magistrato abbino per loro premio un duc«to d'oro largo per ciascheduno.
" Debbino detti nove tratti coma di sopra, fra dieci di dal dì della tratta loro, alla prasentia de' Signori «i
Collegi, udito prima una mossa dello Spirito Santo, giurare l'offitio loro in quel modo che giurano i Dieci di li-
bertà et pace.
" Stieno tutti detti Nove quattro mesi in detto magistrato, dal dì che haranno giurato; et vacando infra il
tampo alcuno di loro, si servi quel modo nel fare lo scambio, che si aervt neU'offltio de' Diaci.
" Debbasi quindici dì almanco, avanti al fine di detti quattro meei imborsare tutti a nove detti Offitiali, U
sette della maggiore in una borsa, et li due della minore in una altra, ot al cospetto de' Signori et Collegi tram
tre della borsa deUa maggiore, et uno della borsa della minore, i quali così tratti finischino l'offitio loro al fine
dei quattro mesi ; et di poi tratti che saranno dotti ofBtiali, si faccino 11 scambi loro nel Consiglio maggiora, ne*
modi detti di sopra; et quelli tre cittadini della maggioro, et quello uno della minore che saranno tratti, piglino
lo ofBtio loro il dì dipoi, che sarà fornito il tempo delli antecessori loro, et con li cinque rimasti continuino nel
magistrato quattro alùi mesi. Et avanti quindici dì almeno al fine di quattro meei, si faccino nel modo sopra-
scritto li scambi di quelli cinque offitiali,. che furono creati nel principio del magistrato, et piglino gli scambi l'of-
fitio loro il dì dipoi, che saranno fomiti i detti secondi quattro mesi; et di quelli cinque che saranno stati otto
meei in magistrato finisca l'offitio, et cosi sempre per lo avvenire si seguiti di quattro mesi in quattro meai, di
fare gli scambi nel modo soprascritto di quelli offittall ohe saranno stati otto mesi in magistrato.
** Non possine concorrere con detto offitio de' Nove gli excelsi Signori, Tenerabili Collegi, Spettabili Dicd et
Otto, et in ogni altra cosa si osservino quelli divieti et modi di rifiutare che si osserva nel magistrato de' Dicci.
Et sia dato loro una andienza nel palazzo de' Signori, quali alli Signori parrà, et il grado et luogo loro, quando
convengono 1 Magistrati insieme, sia »tatim doppo l'ufltio de' Dieci.
" Sabbiano detti Nove un cancellieri, con un coadiutore, o piti, quali parranno alli Bzcelsi Signori et Nova
offltiall, o alli due terzi di loro con quello salario et emolumento che giudicheranno convenirsi, et da pagani in
quel modo et da quello camarlingo che sono pagati li cancellieri ordinarli di Palazzo.
" Non habbino detti Nove salario alcuno, ma solo quelle mancie, che ha al presente il magistrato do'DtacL
Habbiano bene nove famigli, un eomandatore, un tavolaecino, un provveditore da eleggersi, et deputarsi ciascuno
di essi, come si eleggono et deputano quelli che servono il Magistrato de' Dieci; non possendo darsi al provvedi-
tore pih che otto fiorini deposti di salario il mese, né possendo eleggersi pih che per uno anno oontinuo, dal quale
provveditorato abbia poi divieto tre anni, et così non si possa dare a famigli pih che un fiorino d'oro il mesa p«r
ciascuno; i quali stieno tanto al servitio di detto ofBtio, quanto durerà l'offitio di quelli offltiali, che gli harà
eletti ; le quali spese da farsi, come sopra si dice, insieme con quelle che oecorressino per 11 bisogni del Magistrato
loro, possine detti Nove stantlare et pagare de' denari delle condannogioni venissino loro in mano, come di sotto
■i dirà, et mancando loro danari, ne sieno provvisti In quel modo, et con quello ordine, ohe al presenta ne à pro-
visto l'offitio de' Dieci.
" Il titolo di questo magistrato sia i Nove ofBtiali dell'ordinanza et militia fiorentina, et habbiano per segno
nel loro suggello l'imagine di San Oiovan batista con lettere intagliate intorno, significative di quale ofBtio sia
detto suggello. Habbiano detti offltiali piena autorità et podestà di potere collocare nelle terra et luoghi del con-
tado et distretto di Firenze bandiere, et sotto quelle scrivere homini per militare appiedi qualunque a loro parrà
et li descritti nelle cose criminali solamente punire, et condannare in beni et in persona «tiam sino alla morte
inel»»iv9, come a loro parrà et piacerà; salvo nondimanco gli ordini et modi infrasorìpti, et le deliberasiont loro
li debbano vincere almeno per le sei fave nere. Debbino detti primi offltiali subito che haranno giurato l'offitio*
li quaderni et listre delle bandiere inaino a questo dì ordinate per li Signori Dieci, et fare detti quaderni et listre
copiare da il loro Cancelliere in su un libro o pih, distinguendo bandiera per bandiera et facendo nota de'con-
naatabill, che le hanno in governo et quelli o raffermare o permutare o di nuovo eleggerli, coma a loro parrà;
aalvo le coA infrascripta, et debbino bavere saldi detti quaderni e listre tn dna mesi, dal dì che haranno proso
l'ufizio loro. Et similmente debbino tenere conto et scrivere in su I libri distintamente di tutti 11 uomini et ban<
diere che di nuovo scriveranno. Debbino tenere sempre scritti, armati et ordinati sotto le bandiere et al govMOO
dai conneataboli, che li eaercitino et raaaognino fra nel contado et distretto di Firenze dlael mila huomlai almeno
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APPENDICE. Go'd
mano sono tutti questi originali et di questa seconda provvisione non
registrerò se non il principio:
— Considerato li nostri Mag.c» et Exc.»» Signori »... — ...« et fermezza
allo stato loro. Però.... » :
[a carte A 67t, B 784, C 410
et qodlo più che loro crederuino pouere tenere ermati, Mcondo l'ebbandantia o mancamento dell! hnomini, non
peeeendo eeilTere sotto una bandiera, m non hnomini natii ottoto stantiali in quella podesteria o capitanato, dove
sia collocata detta bandiera. Et debbino detti primi offltiali bavere adempiuto il numero di dieci mila infra mÌ
mesi dal Si che haranno giurato l'oflltio loro. Debbino sempre tenere nella mnnitione del palano de' Signori oltre
alle srmi, che saranno delli detcripti, almeno due mila petti di ferro, cinquecento scoppietti et quattro mila lanee;
et quelli dapari che blsognaseono per li sooppietti et per fare bandiere, debba et sia obbligato il Camarlingo del
monte per i 'tempi esistenti pagarli a qualunque per il loro offltio saranno stantiati, sotto pena di cinquanta du-
cati qualunque Tolta non li pagasse, essendo diliberati prima et sottoscritti detti stantiamenti delli offltiali del
monte per loro partito, secondo la consuetudine.
' Debbano i detti ufBtiali fare dipignere in ogni bandiera da farsi uno lione solamente, et del colore natu-
rale, in quel modo che al presente sta in quelle deputate per ordine de' Dieci. Né possine m dette bandiere, coet
fatte come da farsi, dipignere né altra Aera ne altra arme o segno fnora dì detto lione. Debbine solamente in ogni
bandiera descrivere quel numero li toecherà dalla sua creatione, come è atto fino a qui. Debbino variarle con i
campi, acciò che gli uomini che militino sotto quelle le riconosehino. Possino detti Offltiali per scrivere huominl,
come di sopra h detto, et per rassegnare et rivedere le mostre, nel modo che si dirà di setto, mandare fiiori et
eleggere loro Commessarìi con salario al più d' uno ducato d'oro il dì, da pagarsi nel modo che si pagano gli altri
Commissarii, che si eleggono nel Consiglio delli Ottanta, né possino mandarli fuori per più tempo che per un mese ;
né haveme mai fuora più che tre per volta, a' quali Commissarii possino dare quella medesima autorità di punire
gli descritti in perdona solamente quando errassono, ohe ha il Magistrato loro ; et le pene peevniarie sieno in tutto
riservate a detti Offitiali. Debbino tenere sempre eonnestaboli che rassegnino tutti li huomini descrìpti, et gli exer-
citino secondo la militia et ordine de' Tedeschi, dando a ciascuno connestabole in governo quelle bandiere che
parrà loro conveniente, non possendo dare ad alcuno connestabole in governo manco di trecento huomini ; né pos-
sino dare ad alcuno connestabole per provrisione più di ducati dodici d'oro il mese, intendendosi il mese di 80
di, con obbligo di tenere un tamburino, che suoni al modo delli oltramontani. Et debbino detti eommestaboli es-
sere eletti da il loro Magistrato et confermati dalli ezoelsi Signori, Venerabili Collegi ,et Consiglio delli Ottanta
in sufficiente numero ragunati, et basti di ottenere il partito per la metà dello fave nere et una più di detti così
ragnnati, et la provisione loro si paghi in quel modo si pagono gli altri soldati della repubblica di Firenxe, pre-
«sdendo prima la deliberaaione del loro Magistrato, et sia obbligato qualunque di detti eonnestaboli stare conti-
nuamente in su luoghi appresso le sue bandiere, et ragunare gli huomini rhe egli ha il governo ogni mese una
Tolta, da marzo ineluait*» ad septembre, et da ootobre al febbraio inelwtire, tre volte in tutto, in quelli dì di
festa comandati, che delibereranno detti Nove, et quelli tutto il giorno tenore' nelli ordini et in ezereitie, et di-
poi rassegnare huomo per huomo, et dare notitia delli absenti al loro offltio per punirli, come di sotto si dirà.
* Et in quelli giorni di festa che non 11 ragunerà insieme, debba ciascuno di detti Connestabili con l'aiuto
del Magistrato de' Nove, commune per commune, o popolo per popolo fare loro fare qualche ezereitie militare, come
sarà giudicato convenirsi ; et il Connestabole sia obbligato cavalcare su per li luoghi et rivedere detti ezercitli.
" Non si possa eleggere per Connestabole o per Governatore di dette bandiere, come di sopra ai dispone, al-
cuno che sia natio di quel vicariata, capitanato o podesteria, donde foesono gli huomini, che gli haveasero a essere
dati in governo, o che In detto luogo o luoghi bevessi case o possessioni. Debbino detti OffiUali ogni anno in ea-
lende di novembre, pigliando ancora venti di innanii e venti dì poi, permutare tutti i Connestabili, facendo a tutti
mutare governo di bandiera et proTincia, come a loro parrà et piacerà. Et habbia divieto un connestabole permu-
tato due anni da poter governare quelle bandiere, le quali havea governato prima, et solamente la electione nuova
de' nuovi eonnestaboli debba essere approvata nel Consiglio delli Ottanta, come di sopra si dispone, et non altra.
* <)nelli eonnestaboli che per alcuna cagione per alnin tempo fossero cassi da detti Offitiali non possine infra
tre anni dai di che fieno cassi militare in alcun luogo della republica di Firenze. Debbino ancora detti Offltiali in
calendi di novembre et intra venti di innanzi et venti di dipoi rivedere tutti li quaderni delli huomini deeeripti
et cancellarne, et di nuovo riscriverne in augmento et corroborati one, et non altrimenti, cancellando quelli che
per cagioni legittime fessone diventati inutili, et scrivendo delli utili; et passato detto tempo non possino alno-
mero delli descrìpti né aggiungere né levare alcuno, et le bandiere che fra lo anno, f^orì del tempo detto, di nuovo
ai serivessino, si debbino saldare et fermare in termine di un mese, dal di che haranno fatto la prima mostra, tr%
il qual tempo sia lecito cassarne et di nuovo seriveme; ma passato detto tempo non si possa scrivere né cassare,
se non al tempo che di sopra si dispone, salvo nondimeno le cose infrascritte.
" Debbino ad ogni connestabole eleggere un Cancelliere, che tenga conto dell! huomini scritti sotto di lui, et
che sia natio di quelli luoghi che bara in governo detto Connestabole. et da tutte le podesterie et luoghi che sa»
ranno sotto un medesimo connestabole li sia dato per suo salario nn ducato d'oro il mese, tale che non gli tocchi
l'anno più che dodici ducati d'oro di salario. Debbino in ogni compagnia descritta sotto una medesima bandiera
deputare capi di squadra, pigliando quelli che giudicheranno di miglior qualità et in quel modo che a detti Offl-
tio parrà, non potendo però deputare più che dieci caporali per ogni cento huomini deseripti, come di sopra si dice.
' Debbino detti Offlziali per rìnovare gli huomini del Contado et distretto loro ordinare che tutti i rectori
de' popoli et sindachi particolari de' Comuni, e ehi sotto altro nome bevesse simile offltio, portino ogni anno in
calendi di novembre sì magistrato loro le listre di tutti li huomini, che habitano nei popolo o commune loro, che
siano d'età d'anni quindici o più, sotto pena di due tratti di fiine almeno, da darsi a quel Sindaco o a quel rectore
che ne avesse lasciato alcuno inasto, et di più sotto quella pena pecuniaria che al Magistrato loro parrà.
" Et per poter meglio evitare le fraudi, debbino tenere in ogni pieve o altra chiesa simile principale, di
quelli luoghi dove saranno huomini descrìpti o dove di nuovo ne vplessino scrivere, uno tamburo, il quale si apra
ogni dua mesi almeno, per chi parrà a detti Offltiali, et quelli vi fossero trovati notificati possino essere scritti
subito »tiam fuori del tempo sopraddetto di ealende di novembre. Non possino fare trarre di nuovo et scriversi
alcuno che passi la età di cinquanta anni, se non in caso di necessità; né possino dolll seripti fonare a militare
alcuno, quando harà passata l'età di sessanta anni, se non in caso di necessità, essendo questo caso di necessità
giudicato per partito delli Ezcelsi Signori, spettabili Collegi et per li duo terzi di loro. Et perché della maggior
parte di questi uomini non si può trovare il tempo appunto, sia rimesso tale giuditio nella coseientia et discre-
zione di tali Offltiali. Et quando alcuno fosse scritto et che li paresse che alla qualità sua non si convenissi mi-
litare a piedi, o gliene paresse bavere altre giuste cagioni, abbia tempo un mese, dal dì ohe sarà scritto a ricor-
rere a' piedi de' Signori et Collegi, et essendo approvato il suo ricorso per li duo terzi di loro, o più infra detto
mese, non possa di poi essere forzato né deecritto per soldato appiè : non potendo però andare a partito f^ detto
tempo più che un di et tre volte, avendo ad essere prima accettato detto ricono per li nostri Ezoelsi Signori, si
per li duo toni di loro; et quelli di chi sarà accettato tal rieono non poesino militare con alcuno né per alcun
tempo senza lieentia delli Ezcelsi Signori, sotto pena del bando del capo a ehi contralTacesse. Debbino detti Offl-
tiali mantenere gli huomini descritti con le infrascritte armi, cioè tutti, per difesa, almeno nn petto di ferro, et
per offesa, in ogni cento fanti sia settanta lanee almeno et dieci scoppietti, et il restante possino portare bale-
stre, spiedi, rotelle, targoni et spade, come meglio parrà loro. Possino nondimanco ordinare tre o quattro bandiere
al più, tutte di scoppiottieri. Debbino ogni anno due volte, runa del mese di febbraio, l'altra del mese di settembre»
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660 APPENDICE.
Essendosi trovata nel fine del Codice in cui si contengono le men-
tovate due provvisioni la seguente ordinazione, la quale sembra anzi
che no una continuazione della provvisione antecedentCì si è giudicato
convenevole riporla in questo luogo:
In quale dei detti me«i loro parrà, fare mostre groaee di latte le loro bandiere in qnoUi et qoanti luoghi per il
dominio fiorentino, «ara per loro deliberato, non poesendo raccozzare per mostra nella proTincia di Toscana meno
di sei bandiere; et debbino ordinare ehe al luogo deputato della mostra venghino gli uomini un di et partinsi
l'altro, et a ciascuna di dette mostre debba interrenire o loro Cancelliere o loro Commessario o Rettore de' luoghi»
a chi fosse dal loro Magistrato commesso. Il quale Commessario o deputato, come di sopra, debba la mattina •«•
guente, che saranno il d\ d'avanti eonvenuti insieme, fare dire una messa solenne dello Spirito Santo, in luogo
che tutti i radunati l'odino. Dipoi la messa, il Deputato debba fare loro quelle parole ehe in simile cerimonia al
convengono ; di poi leggere loro quanto per loro si debba osservare, et dame loro solenne giuramento, facendo ad
uno ad uno toccare 11 libro de' Santi Evangeli. Et debbo leggere loro, avanti il giuramento, tutte quelle pene ca-
pitali, a che sono sottoposti, «et di piìi leggere loro quelli ammonimenti, che saranno ordinati da detti Offltiali in
eonservatione ot firmamento della unione et fede loro, aggravando il giuramento con quelle parole obbligatorie
dell'anima et del corpo, che più si potranno trovare efficaci ; et fatto questo si licentlino, che ciascuno si ritorni
alle case loro.
" Non poesino detti Offitial! comandare a tutte o parte di dette bandiere, o haomini descritti sotto quella,
o ad alcuno di e«ei, cosa che riguardi ad alcuna facilone di guerra o altra cosa, che con armi da loro si haveese
ad operare, fuori dello cose soprascritte. Ma sia riservato il comandare loro nella guerra et in ogni altra fattione
alli spettabili Dieci di libertà et pace : et lo stipendio et presso loro con che si habbino a pagare operandoli, n«
Ita riservata l'autorità a quelli Magistrati, che inaino a qui hanno ordinato li pagamenti delli altri soldati appiè
del Commune di Firenze. (Questo inteso, che si debbino pagare huomo per hnomo et non aluimenti. Et di tutti
quelli privilegi i, ezcmptioni. immanità, honorl et benefitii et di qualunque altro premio extraordinario che ai
havessino 'a darò a questi descritti, o per conlrappesare alla servita ehe gli hanno per essere deseripti, o per re-
munerarli di alcuna operatione che facessino in benefitio pubblico, così tutta una bandiera in comune, come in
particolare qualunque huomo descritto o eonneetabole di esse, se ne intenda et sia data autorità alli ExceUi Si*
gnorì, Venerabili Collegi, Magnifici Dieci et SpetUbili Nove, et, non essendo Dieci, alli Spettabili Otto, et alli dn»
terzi di detti Magistrati insieme in sufficiente numero raipinati. innesto inteso, che per alcuno privilegio non si
possa loro concedere auctorità di portare arme dentro alla città di Firenze.
" Debbasi adoperare nella glierra al in ogni facilone dove si adoperaasono questi descritti quelli medesimi
connestaboli suti deputati per capi dell'ordinanza dalli Nove offitiali ; i quali connestaboli, *Ham quando fossero
in facilone et in guerra si debbino permutare nel tempo et nel modo soprascritto. Poasino non di meno gli spet-
tabili Dieci ordinare et eleggere capi di Colonnelli come a loro parrà, i quali Capi non abbino divieto alcuno ; ma
possine stare quanto dura il tempo della facilone a che saranno proposti, o come a dello Magistrato de' Dieci parrà.
" Non si possa ammettere nà accettare scambio di alcuno descritto o in su le mostre o in alcuna farli on«.
Non si poasino o lutti o parte di questi descritti come sopra, o con le loro bandiere o senza, da alcuno Magistrato
levare con le armi dalle case loro per mandarli a fare alcuna facilone di guerra, o ad alcuna impresa senza il
partito delli Excelsl Signori Tenerabili Collegi, et Consiglio delli Ottanta; poesendo ragunarsi in dello Consiglio
per dello effetto, o per qualunque altra deliberatione, che per virtù della presente provisione s' havesse a fare in
dello Consiglio delli Ottanta, eliandio 11 Magistrato de' Nove. Et basii vinoere il partito per la metà delle fare
nere et una più, di tulli i predetti in sufficiente numero ragnnati.
" Delle cose criminali che nasceronno fra i detti deocrilli, o f^a loro et altri non deseripti, quando loro non
fossero In facilone di guerra, ne possano conoscere et punire i delti Nove «ffittali, et qualunque altro Magistrato,
redora et Offitiale che ne avesse autorità, avendo luogo fra loro la prevenxione. Ma quando fossono in fadione
di guerra, ne conoschino quelli che possano punire li altri soldati, et se pure durante tale faetione il loro delitto
non fosse stalo punito, ne possine essere puniti da' detti Nove Offitiali, et da qualunque altro Magistrato ne aveese
autorità, avendo fra loro luogo la provenlione come sopra. Debbasi punire di pena capitale et di morte qualunque
di delli de«crilti fosse capo o principio nello faciloni di guerra d'abbandonare la bandiera, et qualunque capitano
di bandiera che traesse fuori tale bandiera per alcuna facilone privata o per conto di alcun privato ; et qualunque
«tiam senza bandiera facesse ragunata alcuna di delli deseripti per conto di inimieitie o per conto di tenute di
beni o allnroenli. in alcuno modo per alcuna facilone privata, dovendosi etiandio con simil pena capitale o di
morte punire insino in tre di delli deseripti che in tali ragunato si Irovassono. Et quando di delli o altri exceasl
ne fosse falla alcuna querela o alcuna noliflealione a detti Nove Offitiali, le quali il loro Cancelliere sia tenuto
registrare nel di che le svanno date, debbino haverla delli Ufflliali giudicata infra xx di dal di della data sua.
Et pasflAlo detto tempo senza esseme dato judilio, il loro Cancelliere infra vtn di doppo delti xx immtdiat*
seguenti, la debba notificare a' nostri Excelsl Signori per metterli in Quarantla, secondo si osserva nelle caos*
criminali delli Otto et de' Conservadori, et di poi se ne debba seguire quello che per la legge della qnaraniia il
dispone. Et il Cancelliere che contraffacesse si intende sottoposto a quelle pene ehe in detta legge si contengono.
Et perchè il faro severa juslitia ^e' prodetti et simili exceasi è al tulio la vita et l'anima di questo ordine, accioc-
ché più facilmente simili delitti po««ano loro essere notificali, debbano appiccare tamburi in tutti que' luoghi dentro
alla città di Firenze, dove li tengano il Magistrato delli Otto et de' Conservadori di legge. (Qualunque delli scritti
come di sopra non comparirà alle mostro ordinate nel modo soprascritto, si intenda, ogni volta ehe sarà trovato
absente senza legittima cagione, condannalo in soldi venti. Et essendo un medesimo trovato assente sei volte in
nn anno, cominciando l'anno il di di ealende di novembre, diventi il peccato suo criminale, et sia gasligato In
penona, ad arbitrio de' Nove Offitiali, et nondimaneo debba pagare quello in che lo condanna il non si rewcra
trovato alla rassegna. Et le legittime cagioni dell'absenlia siano quando sono malatf, o quando fossono absenti con
licenzia de' Nove offitiali. Et tulle dette condannagioni et qualunque altra detti Offltiali facessino, poseino appli-
care al loro Magistrato per le spese ordinarie di esso, et ad ogni provveditore del loro Magistrato, nel fine dd-
l'offitio suo, ne sia riveduto il conto da' Sindachi del Monte; et avanzandogli in mano, rimetta tutto al Camar-
lingo del Monte.
" Et perchè questi nomini annali et scripti habbino eafione di ubbidire, et chi li ha a punire possa, si proT-
Tede che per lo avvenire si tenga continuamente un Capitano di guardia del Contado et distretto di Firenze et
■e li dia almeno trenta balestrieri a cavallo et cinquanta provigionati, il quale debba obbedire alli Nove ofBUali
per conto di detta ordinanza, ot ad ogni altro Magistrato et Commessario, ehe poteese comandare alli altri soldati
delia republicn di Firenze.
" Nà si possa eleggere per detto capitano alcuno della città, contado ot distretto di Firenze né di terra |fro-
pinqua al dominio fiorentino quaranta miglia. Siene tenuti et debbino delti Nove offltiali osservare quanto in
questa provisione si contiene, sotto pena, qualunque volta contraffacessero, di venticinque ducati d'oro per eia-
•cune et per ciascuna volta conlraffacessino ; et ne siano sottoposti a' Conservadori di- legge ; et perchè non poe-
sino allegare ignoranlia, sia tenuto il loro Cancelliere capitolare la presente legge in brievi effetti, et in un li-
bretto tenerla continuamente nella audienza loro, sotto pena di essere ammonito non Io faccende, et condannato
In cinquanta ducati d'oro, et ne sia sottopoeto a' Conservadori di legge.
' Di tutte le deliberalioni, ehe per virtù di questa legge si havessino a fare alla pretentla de' Signori eoli,
o con altri, ne sia rogato 11 primo Cancelliere do' Signori ; eccello di quelle ehe si avessero a rogare nel Consiglio
delli Ottanta o Consiglio Maggiore, delle qnali sia rogalo il Cancelliere delle tratte, come per gli altri OCBii ei
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APPENDICE. 661
— « Che al magistrato delli spettabili Nove »... — .. « dal di della data
querela o notificazio;ie >.* [a carte A ,« B 784-798, C 410-418
§ XLU. Giuliano de*Ricci a chi legge.
Mandaronsi bandi fbori per tutto il contado et dominio sì per la
prima come per la seconda provisione a fare notificare et bandire le
dette determinationi, quali bandi furono fatti dal Machiavello, come si
può vedere per alcuno che ancora ne resta in essere. Et li che segui-
tano sono due discorsi fatti dal detto in materia di dette ordinanze o
loro capitani; al primo de'quali manca la maggiore parte nel principio,
et quello poco che resta è tutto pieno di stracci et di rosure di topi,
che alcune ne lascerò in bianco, et quelle che io acconcerò per con-
iectura le scriverò di lettere maiuscole. ^
— « Gli huomini si travagliano volentieri nelle cose »... — ...« a non
volere stare, con il più tristo facchino che vesta armi in Italia ».'*
[a carte A 68, B 799-800, C 419
§ XLIIL Giuliano de* Ricci.
Seguita un discorso fatto dal Machiavello a chi reggeva in quei
1 Manca in A tanto questa parte ultima delPannotAzIone del Ricci, quanto 11 documento che
segue, la cui lezione in B e In C offre parimenti non poche varianti dal testo pubblicato; più
relative all'ordine che alla qualità de' pensieri. Tra quelle che non sono di pura forma accen-
niamo le seguenti. Dopo aver determinato che debbansl descrivere cinquecento cavalli leggeri,
si aggiunge nell'Apografo: «et debbino detti spettabili Nove avere deputato e descritto il
numero insìno in 150 almeno, come di sopra, dai di della finale conclusione di questa a tutto
l'anno 1518 prossimo futuro «. E poco più oltre: «cominciando l'anno In calende di novembre
prossimo futuro •, mentre l'edizione reca: • cominciando l'anno il di immediate seguente dopo
la immediata conclusione di questa •. Nella Provvisione a stampa se il provveditore del
Nove non tiene diligente conto delle paghe -de 'descritti, oltre l'ammenda di cinquanta fiorini
d'oro in oro, che gli è comminata, è anche • ammonito da ogni ufficio del comune opel co-
mune di Firenze >. Negli Apograjl: • è ammonito per cinque anni da ogni offltio <•. Mo-
rendo alcuno dei descritti nell'ordinanza de'cavalli in fazione di guerra, l'erede di lui non è
tenuto a nulla; ma se muore fuor di fazione, secondo gli Apografi, l beni son vincolati e gli
eredi di lui son tenuti > a restituire tutto quello e quanto di che e'fussi o restassi debitore
por conto della presta piamente <•. Nell'ediz. debbono i beni e gli eredi ri>^jonderc della
prestanza, ma possono anche sostituire subito uno scambio, •• quale al detto magistrato parrà
e piacerà >. — Se alcun descritto presta per più di duo giorni il suo cji vallo, secondo il
ti'sto degli Apografi è punito in due fiorini larghi d'oro chi lo dà, e in dieci chi k> accetta.
Secondo l'edizioni, pel primo si stabilisce un fiorino d'ammenda e quattro pel secondo. Pa^
rimente, mentre nella Provvisione a stampa si rimette ne' Nove lo stabilire pe' condottieri
• quel salario che parrà loro conveniente », gli Apografi indicano che 11 salario e soldo pei
medesimi > non possa eccedere la somma di fiorini 300 larghi d'oro, e che quella de' trom-
betti non superi 1 fiorini 50 larghi d'oro In oro ». — Secondo 1 medesimi Apografi, la descri-
zione si debbe fare ogni quattro anni in quattro mesi, cioè dal primo di novembre a tutto
il mese di febbraio. L'edizioni anno: •> ogni tre anni in tre mesi ».
• Manca.
■ Cosi in A. — In B e C: "con punteggiarle sotto ".
* Tale è l' importanza delle Idee espresse dal M. in questi Frammenti che non ci sembra
inutile recarli a conoscenza del lettore, tanto più ch'es.si valgono a comprova di quanto fU
espasto da noi nell'Opera, segnatamente al capo iv, lib. ii, pag. 373 e segg. : " Li Huomini
si trauagliano volentieri nelle cose, et maxime in quelle doue si veggono essere riguardati et
stimati, come sarebbe questa. La militta a cavallo la per l'ordinarlo, et potrebbesi
cominciarla dalle pendici del dominio con obbligare le comunità a tenere tante bandiere a ca-
uallo, come paresse, a chi Tauesse a fare. Li huomini che comandassono, per bora si plglie-
r«*bbe di quelli che ci sono, et a poco a poco ne surgerebbe dell! altri, o de' vostri cittadini.
Et chi dicesse: e' si farebbono tiranni, et il contado armato non ci ubbidire, poi et anco
l'ordino delie fanterie; rispondo al primo: sanza reputatione de' cittadini
al secondo; che la Justitla et lo hauere per loro capo 1 cittadini li farebbe ubbidienti; perdio
la iustitia fa obbediente 11 exerclti interi, dove non è se non arme. Poi, chi pensa ad ogni
inconveniente che può nascere, non comincia mai cosa alcuna; perchè questa è una maxima;
che non si cancella mal uno inconveniente, che non se ne scoprisse uno altro, et sempre si
plgliono le cose manco ree per buone. Et neramente quando pure il tiranno venisse, egli ò
manco male stare a discretlone de' suoi che dell! esterni, come stanno le città prive del-
l'armi che sleno loro, come è la vostra. Et cosi fosse questa cosa o slmile intesa, come ella
è necessaria, a non volere stare con il più tristo facchino che vesta armi in Italia *'.
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662 APPENDICE,
tempi, qual condottiere fosse bene che comandasse le fanterie delFor-
dinanza; da che si può facilmente considerare' in che concepto fosse
il nostro Niccolò in quelli anni.
— Ragioni perchè sarà bene fare capitano delle fanterie il sig'* la-
corno Sauello. — Addi 6 di Maggio 151 1. « Nessuna cosa può disordi-
nare o vituperare »... — ...« gli altri ancora ci converranno. Valete ».*
[a carte A 68t-69, B 801-804, C 420-421
§ XLIY. Giuliano de' Ricci (a chi legge).
Dalla lettura del sopradecto discorso può ciascuno molto bene con-
siderare in quali cose fosse dalla sua citta et da i magistrati di essa
adoperato il Machiavello; et chi ne volesse maggior testimonianza,
legga lo infrascritto, nel quale egli liberamente riprende gli errori
fatti dai Fiorentini nel gastigare i popoli della Valdichìana che si erano
ribellati Tanno 1502. Et con uno esemplo de' Romani del gastìgo dato
ai popoli latini mostra il modo che si doveva tenere. Et perchè questo
discorso manca nel principio, et è mal conditionato non meno dell!
altri, però sono necessitato per più chiara intelligentia di esso ag-
giugnerci qualche parola per coniectura^ che lo farò delle meno che.
potrò, et scrivendolo al solito punteggiato sotto.^
— « Lucio Furio Camillo dopo Tavere vinti i popoli di Lazio quale
più volte si erano ribeliati da' Romani, tornatosene a Roma, se ne entrò
in Senato et propose quello tì^^d^^ al duca di sperare
d'òppHmervr.r.'"T3^'"" [a carte A 69t-71, B 805-811, C 422-425
§ XLY. Giuliano de' Ricci a chi legge.
Questo che seguita è il principio del proemio de' Discorsi dei Ma-
chiavello, che nel proemio stampato non si legge, et poco di sotto
* I Mss. danno II nome del capitano veneto ■ Giambattista Homagglo «, e non - Nomagio «
come venne male stampato nelle edizioni. Probabilmente è ad ascrivere Tuna e Taltra le-
zione a cattiva interpretazione di copisti e di lettori. Nicolò dovette assai proliabilmente
avere scritto Giambattista Caracciolo, che fu realmente capitano general^ delle fanterie di
Venezia. A maggior corredo d'argomenti per credere poi che II mesaer Iacopo di cui tratta
nel suo Consulto il Machiavelli non sJa altri che il SavellI, come il Ricci qui scrisse, ag-
giungiamo la citazione d' una lettera di esso Iacopo SavellI al Segretario, in cui si mostra
la stima che questo capitano faceva dell'ordinanza delle milizie, il desiderio che aveva d'en-
trarvi, la fiducia che nutriva di Niccolò (Blbl. Naz., Doc. M., busta iv, n. 49). La lettera è
datata ■ ex castri» die 30 martil 1509 ", colla direzione • Nieolao de Afaclavellia aecr. dì-
gnias. auo amantisàimo «. In questa 11 Savelli gli accenna: > per dol cascioni Jo 6 da ca^
rezzare li capi delle fanterie d'ordinanza et fauorirle et laudarle. L'una perchò son d'avviso
che lo meritano, et l'altra che non uedo l'altre sieno migliori, come s'è possuto uedere per
un caso occurso, quale ul dirrà a bocca Io mio cancellieri "... — ...•> circa el desiderio mio
che ne ragionai per sallire (aie) d'entrare In queste ordinanze, non lo dissi se non che prima
ce auer pensato bene et so in questo medesimo anno dariame l'animo migliorarle quando
haaesse tal cura ». Termina: • et de quanto me farrete intendere serrò secretisslmo ».
* Ms. A: •> scriuendole al solito di lettere maiuscole «.
* Ed. Camb., ii. 183-127. Il punteggiato che dinoto negli Apografi la scrittura in maiuscolo di
O.d.R., oltre la parte accennato da noi in principio, si riduce a questo altro Inciso: "Et lasciando
di 'discorrere quei timori che possete avere dai principi oltramontoni, ragioniamo, ecc. • e
ad una parola : • Resta ora vedere •. Neii'edizioni il testo 8uoÌ terminare : • delia causa sua
buona parte della fortuna -I Segue negli Apografi : • In due modi può venire al presente
occasione al Duca di sperare di opprimervi, etc. * Anche nell* ultima edizione [Opp., voi. iii,
pag. 365) quest'ultimo passo è soppresso. VI si osservano di soprappiù le seguenti varianti
principali :
ed. — " sono morti presso Frida ed Astora mss. " sono morti appresso Feda (lat. Pc-
gll eserciti inimici ". dumj ed Astura gli exercitl Inimici ".
ed. — '' potere deliberare se il Lazio debbn mss. — *" potere deliberare se Latlo debba
mantenersi o no, o potere In perpetuo assi- mantenersi o no, et potere In perpetuo assi-
curarsene •'. curar vene ".
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APPENDICE. 668
vi è un luogo, nel quale apparisce diversità dallo stampato allo ori-
ginale.^
N. M. « Ancora che per la invida natura dell! huomini »... — ...« quanto
onore si attribuisca alFantichità » G, de* Ricci. Et poco di sotto al luogo
suo riscontra con lo stampato — € nella quale la presente religione ha
condotto il mondo ».< [a carte A 61 1, B 812-813, C 426
§ XLTI. Giulian da' Ricci a chi legge.
A ciascuno che abbia niente pratica de' costumi et modi della città
di Firenze è noto quanto in essa si frequentino le Compagnie o fra-
tornite di huomini secolari, i quali riducendosi in diverbi oratorii fatti
per la città, a cantar vespri et dir mattutini, darsi la disciplina et
altre buone opere, usano ancora in certi tempi, et la quaresima mcucime,
che qualcuno de* fratelli exorti gli altri alla penitentia et alle altre buone
opere. Et essendo il Machiavello nostro di alcune di esse, come a per-
sona più atta et divota et religiosa, infra le altre volte li fu dato
carico di fare una domenica di quaresima una esortazione alla peni-
tentia, et egli fece la seguente:
— ^ T>e profundis clamavi ».. — ...« è brieve sogno ». — ^
[a carte A 73t-74t, B 814-819, C 427-430
§ XLTIL Giuliano de* Ricci a chi legge.^
Mi è capitato alle mani un discorso o dialogo intorno alla nostra
lingua, dicono fatto dal medesimo Niccolò. Et se bene lo stile è al-
quanto diverso dalValtre cose sue, et io, in questi fragmenti che ho
ritrovati, non ho visto né originale, ne bozza, né parte alcuna di detto
dialogo, nondimeno credo si possa credere indubitatamente che sia
dello stesso Machiavello, atteso che lì concepti appariscono suoi; che
per molti anni per ciascuno in mano di chi hoggi si truova, si tiene
suo, et quello che più di altro importa è che Bernardo Machiavelli,
figlio di detto Niccolò, oggi di età di anni 74, afferma ricordarsi ha verno
sentito ragionare a suo padre^ et vedutogliene fra le mani molte
volte, lì dialogo è questo che seguita:
— « Sempre che io ho potuto onorare la patria mia »... — ... « e tutte
le bestemmie di Lombardia ».^
[a carte A 133-138, B 820-839, C 430-442
1 Quento principio del proemio manca infatti airedlzione del Biado (mdxxxi) e alla
Testina. È notevole che il Biado nel suo avviso « A gli lettori • in fine de' discorsi, scu-
sandosi dogli errori trascorsi nel testo afferma ciò procedere • dal non essere l'opera ri-
veduta, di che ne fa fede la finestra lasciata per il computo de li tre Jugeri et sette once,
à carta lxvìJ •. Anche il ms. barberiniano cit. a pag. 140 reca questo •> Principio del proe-
mio de' diaconi dioerao dallo stampato •, terminando alle parole: • il che se non mi ar-
recherà laude, non mi doverrebbe partorire infamia •.
* Ed. Camb., ni, 5. Variante:
ed. — " quelli che umanamente di queste mie 1 Ms. — *' quelli che umanamente di queste
fatiche considerassero ,, — altre edd.: " uma- mie fatiche 11 fine considerassero ".
namente queste- mie fatiche **, ecc. |
* Ed. Camb , vi, 142-146.
* Ms. i4 : " Haueuo disegnato d'andare seguitando di copiare questi giornaletti d*hÌ8torie
del Machiauello, quando mi è capitato '*, ecc.
* Nei ms. A, alle parole: " et i siciliani et gli spagnuoli sarebbono ancor loro, quanto al
parlare, italiani „ cessa la scrittura d'essere di man del Ricci. —Lo pubblicò il Bottarl, in Fl-
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664 APPENDICE.
§ XLYIII. Giuliano de* Ricci a chi legge.
Il discorso che seguita, se bene io non lo ha trovato di mano del
Machiavello, è da persone pratiche, intendenti et giuditiose havuto per
suo. Il che lo attesta Tessere citato da altro discorso, che pochi anni
doppo fu fatto in questa medesima materia da Alessandro de' Pazzi. Fa
scritto questo dal Machiavello o da altri a papa Leone decimo, doppo
la morte del magnifico Lorenzo de' Medici, duca di Urbino, havendo la
prefata Santità desiderio di riformare et riordinare il Governo et lo
stato della sua città di Firenze.
— « La cagione perchè Firenze »... — ..« abbia a desiderare innova-
tione ». » [a carte A 227t-231, B 840-860, C 443-455
§ XLK. Giuliano de' Ricci a chi legge.
Il discorso, o parere che seguita fu da Alessandro de' Pazzi dato
a papa Clemente settimo, nel quale citandosi et facendosi mentìone di
una forma di repubblica data dal Machiavello et biasimandola come
nuova, et che troppo alterasse gli ordini antichi della città, conside-
rando la precedente, pare che sì possa dire quella che il Pazzi biasima
come nuova, et conseguentemente che fosse fatta dal nostro Machiavello.
— « Alessandro de' Pazzi. Lo stato' di Lorenzo de' Medici »... —
...«avessi mancato».* [a carte A 231t-235t, B 861-878, C 456-466
— Pier di Niccolò Machiavelli al duca Cosimo Vanno i560 in circa.
Discorso attorno al modo di difendere e assicurare Firenze.^
[a carte A 176-183, B 879-893, C 467-475
— Lettera di Antonio Pandolfi a Pietro Machiavelli, luogotenente
delle galere del duca Cosimo a Livorno, in cui lo ragguaglia di molte
turbolenze e mutazioni seguite nel regno di Moldavia, nel tempo che
egli vi era stato. Di Perugia il di 4 febbraro 1564.
[a carte A 183t-187,* B 893-906, C Ì76-484
renze, mdccxxx, coir Fr<ro2ano del Varchi, pag. 448, Intitolandolo: •• Diacoreo ] ovvero | Dia-
logo I sopra il nome | della lingua volgare | •. — Il Bottari dice questo scritto essergli
stato comunicato » da un nobilissimo nostro concittadino, quanto di dottrina altrettanta) di
gentilezza dotato • e rispetto al Machiavelli, di cui non fa il nome, si esprime a questo
modo: (pref. pag. xxxxix). «È questo dialoghetto parto di scrittore florentino giudiziosissimo
e di profonda e non comunale scienza corredato ; quasi contemporaneo, ma un poco più antico
del Varchi, e che nelle bisogne di nostra repubblica impiegato mostrò colla prudenza dell'ado-
perare e coiracutezza de'suol scritti chiarissimo argomento e deiraltezza del suo ingegno e
della sagacità del senno-suo. maravlgriloso in conoscere gl'interni Ani degli uomini ed in
saper volgere a suo piacimento ambe le chiavi del cor loro ». — Così il cauto editore stu-
diava, pur facendo ossequio all'odio Imposto dell'autore, rendere anche un poco di giustizia
al vero !
^ Ed. Londra 1760 sopra un cod. ms. della Bibl. Gaddl. Il ms. fu comperato e recato
n Inghilterra circa il 1750.
« Fu pubblicato neìVArch. storico it., serie i, t. i. pag. 420-432.
• Pubblicato da Gaspak Amco, In App. alla sua Vita di N. M., pag. 667-674. Non ò di
mano del Ricci nel ms. A se non quella parte dell'intestazione che è qui resa in corsivo.
^ Seguono nel ms. A carte bianche sino alla pag. 226.
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III.
(T. libro Mcondo, Introduzione, pag. 137).
Provvisione per la Riforma della Cancelleria.
(R. Archivio di Stato in Firenze — Consigli Maggiori, Prow>iiioni,
Registri, voi. 189, pag. 56t e segg.)
In Dei Nomine Amen.
Anno Domini Nostri Jesu Cristi ab ejus salutifera incarnatione
MccccLxxxxvij, Indictione prima et die xiij mensis februarii in Con-
silio malori Civitatis Florentie, mandato magniflcorum et excelsorum
Dominorum, Dominorum Priorum Libertatis et Vexilliferi justitie Po-
puli Fiorentini precona convocatione Campaneque sonitu in palatio Po-
poli Fiorentini more solito congregato, quorum Dominorum et Vexilli-
feri justitie nomina sunt ista.
Nicolaus Thomasii Bernardi De Antinoris.
Franeiscus Filippi Francisci Del Pugliese - Pro Quarterie Sancti
Spiritus.
Franeiscus Nichelai Francisci De Salvettis.
Benedictus Antonii Leonardi. l |
Dominis - Pro Quarterie Sancte Crucis. f 5-
Scolarius Angioli Scholarii De Spinis.
Alexander Donati Nerii De Acciaiuolis - Pro Quarterie Sancte Marie l o
Novelle. l |
Batista Pandolfi domini Giannozi de Pandolfinis.
Lucas Antonii Luce de Albìzis - Pro Quarterie Sancti Joannis.
Julianus Francisci Alamanni de Salviatis - Pro Quarterie Sancte
Crucis.
Ego Nicholaus olim Simonis Johannis de Altovitis utriusque Juris
Doctor Civis Florentinus Offlcialis et Cancellarius Reformationum con-
siliorum Civitatis Florentie, in presentia de voluntate et mandato dic-
torum dominorum Priorum et Vexilliferi Justitie in diete Consilio pre-
sentium in numero oportuno, coram consiliariis ejusdem consilii in
sufficienti numero congregatis, legi et recitavi infrascriptas provisiones,
et quamlibet earum vulgariter et distinte ad intelligentiam omnium,
flrmatas deliberatas et factas prout inferius apparebit, servatis so-
lemnitatibus opportunis et servari debitis, et requisitis secundum or-
dinamenta Comunis Florentie, et modo et forma, inferius anotatis, vi-
delicet:
Primo, provisionem infrascriptam super infrascriptis omnibus et
singulis examinatam et flrmatam secundum ordinamenta et delibera-
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666 APPENDICE.
tam et factam per dictos dominos Priores libertatìs et VexìUiferam
Justitie et Gonfalonerios Societatum Populi, et xjj bonos viros et con-
siliarìos Consilìì Octuaginta Yìrorum secundum ordinamenta dicti Co-
munis modo et ordine inferi us anotatis, cujus quidem provisionis tener
talis est videlicet.
Volendo e nostri Magnifici et Excelsi Signori, Signori Priori di li-
bertà et Gonfaloniere di Giustitia del Popolo fiorentino provedere circa
el modo dello eleggiere et raffermare e Cancellieri et Coadiutori delle
loro Cancellerie, con consiglio de loro venerabili coUhegi et degl'Ottanta
providono et ordinorono:
Che per virtù della presente provisione le electioni che per lo
advenire s*avessino affare degrinfrascripti Cancellieri et coadiutori si
faranno in questo modo et forma, cioò:
Che la electione di tucti gì' infrascripti Cancellieri et Coadiutori
che si havessino affare si faccino nel Consiglio de richiesti. Potendo
per qualunche distinto luogo per luogo ciascheduno che in tal Consi-
glio interviene nominare uno per uno liberamente, et di quella qualità
et conditione che a lui parrà et piacerà, non obstante alcuna probi-
bitione o divieto, e quali cosi nominati distinto l'uno uficio dall'altro
si mandino a partito in dicto Consiglio, et tutti quelli che haranno obte-
nuto el partito per la metà delle fave nere et una più, intendendosi
che non sieno manche di quattro per ciascune uficio, si notine et si
tenghine segreti sotte vincule di giuramento, et dipoi si mandino a
partito nel Consiglio maggiore et quello che bara più fave nere che
gl'altri vinto el partito per la metà delle fave nere et una più s'intenda
electo in quello luogo per dove tassì stato nominato con divieti et sa-
larii infrascripti, legendosi prima in decte consiglio tutti quegli che
haranno per quello ufitie obtenuto el partite acciò se ne possa fare
migliore electione. Duri l'uficie di qualunche di già electe «ome da
eleggersi dua anni dal di della sua electione potendo alla fine di detti
dua anni ciascuno electe come da eleggersi essere rafferme almeno
infìra une mese dalla fine del sue uficio in decte Censiglo maggiore
anno per anno nella quale rafferma sia necessarie vincere el partito
per dua terzi dei presenti in tal Consiglio le quali rafferma si possine
mectere a partito tre dì, et tre volte per di, e non più.
Tutte le cose che si faranno circa il loro uficio per quelli che
come di sopra saranno electi, et durante il tempo del loro uficio va-
glino et tenghine et observinsi et habbino quella forza et vigere et a
quelle si presti indubitata fede come se fùssino facte per pubblico no-
taio matricolato nell'arte de giudici et notai della ciptà di Firenze.
Habbino e decti Cancellieri gl'jinfascripti Coadiutori e quali si eleg-
ghine in questo mode, cioè, che detti Cancellieri ciascheduno nomini e
sua Coadiutori, e quali cesi nominati si mandine a partito in decte
Consiglio maggiore, et debbine essere approvati per la metà delle fave
nere et una più. Et nel medesime modo si eleghi el coadiutore del
Notaio de Signori el quale si debba nominare pe Signori che pe tempi
saranno.
E luoghi de Cancellieri che secondo la dispositione della presente
leggio si haranno a elegiere in future in ogni caso di vacatione, et
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' APPENDICE.
667
con gì infrascritti coadiutori et salari sono questi. El luogo del primo
Caocellieri cioè dove serviva messer Bartholomeo Schale, et babbi di
salario per ciascuno anno fiorini trecento trenta, cioè fior. 330.
Habbi uno coadiutore da eleggiersi in luogo di vachatione come
di sopra, con salario per ciascuno anno di fiorini octanta cominciando
a quello che al presentò serve, cioè fior. 80.
El luogo del Cancellieri della seconda cancelleria cioè dove ser-
viva Ser Antonio di Mariano Muti!, et habbi di salario per ciascuno
anno fiorini Dugento, cioè f. 200. Habbi dua Coadiutori da eleggiersi
come è decto, che il primo habbi di salario per ciascuno anno fiorini
Novantasei, et il secondo per ciascuno anno fiorini sessanta. El luogo
del Cancellieri delle Riformazioni, et habbi di salario fiorini Quattrocento
cinquanta ciascuno anno, cioè f. 450, et habbi quattro coadiutori e quali
habbino di salario per ciascuno anno le infhiscripte quantità, cioè - El
primo Coadiutore fiorini settantadua, cioè f. 72. 11 secondo coadiutore
fiorini sesanta, cioè f. 60; il terzo ed il quarto fiorini quarantotto per
ciascuno, cioè f. 48 per ciascuno. ^
El luogho del Cancellieri delle traete et habbi di salario fiorini du-
gento trenta f. 230, habbia tre coadiutori con gF infrascripti salarli
n
£'5
|1
58,16
51
^ Perchè Ri abbia contezza delle particolari persone che II M. aveva a colleghl e dipendenti
nella cancelleria, a* cui nomi si accenna di frequente nelle lettere famigliari di lui e del Bo-
naccorsi.dal libri delle Deliberazioni dei Xot (Arch. fior., ci. ziii, dlst. S*. n. 75, p. 44) pub-
blichiamo i seguenti stanziamenti:
A di 11 di Dicembre 150S. ^ o
Ser Antonio di Giovanni della Valle condotto dal Magnifico officio dei Dieci ^ '^
a servire nella loro Cancelleria con Salario di Lire ventiotto di grossi il mese, g, ^
Lire Cinquantasei di grossi per suo salario a decta ragione di mesi due inco-
minciati et finiti come di sopra, vagliene
Item a
Ser Luca di Fabbiano Fecini condotto dal Magnifico Officio de Dieci a servirò
nella loro Cancelleria con salario di Lire xxvij piccioli il mese, Lire cin-
quantaquattro piccioli per suo salario a decta ragione di mesi due incomin-
ciati et finiti come di sopra
Item a
Ser Agostino di Mattheo Vespucci condotto dal Magnifico officio de Dieci a
servire nella loro Cancelleria con salario di Lire venti piccioli il mese, Lire
quaranta piccioli per suo salario a decta ragione di mesi due incominciati
et finiti come di sopra
Item a
Bartholomeo di Rufino condotto dal Magnifico Officio de Dieci come il sopra-
decto Ser Agostino in tuoto et per tucto
Item a
Giovanni di Francesco Comandatore Fiorini quattro larghi di grossi per suo
servitio airuscio della Audientia del Magnifico Officio de Dieci, di due mesi
a ragione di Fiorini due larghi di grossi il mese, et secondo il consueto in-
cominciati et finiti, come di sopra
Item ad
Antonio da San Cascitno, et
Taddeo, famigli del rotellino Lire dodici piccioli, cioè Lire sei a ciascuno per
loro servitio al Magnifico Officio de Dieci di due mesi a ragione di Lire tre
il mese secondo il consueto incominciati et finiti come di sopra. ....
Ibid. (CI. II, dlst. 6». n. 207; voi. 100, pag. 81t):
Famiglia di Palagio che ha mancie dai Diéci.
Die VII Junii MDVIIL
Decemviri etc. Deliberomo che per chi si appartiene si proponghino davanti alla Si'
40
40
12
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668 APPENDICE.
per ciascuno et ciascuno anno. El prinao Coadiutore fiorini ottanta-
quattro, f. 84. El secondo fiorini settantadua, f. 72. EU terzo fiorini se-
xanta, cioè f. 60. El luogo de dua segretarii della Signoria, cioè dove
ha servito Ser Alexandre Braccesi, et babbi di salario per ciascuno
anno fiorini centone vantadua: et dove ha servito Ser Antonio della
gnoria et suoi collegi gli stanziamenti delle maiicie solite darsi al uscire dal loro aficio
alii infrascritti, videlicet
Capitano de* Fanti.
Comandatori.
Bue Tavolaccini che servono per Tordinario.
Mazieri.
Guardie della porta del palazo.
Guardie delle scale, et denique alli venerabili Frati del suggello di palazo
Mandantes, etc.
CI parve dare in luce anche questa piccola scrittura accennata già dall'editore della De-
tenzione e saggio dei mss. Torrigiani donati al R, Arch. di Stato di Firenze (pag. 431)
e collocata, fra le carte d'Incerta provenienza, con quelle spettanti all'anno 1495, per gli usi
cancellereschi e le prescrizioni che determina rispetto al prnsente argomento :
Vite
Brievi richordi facti a Voi magnifici el Excelsi Signori Priori di libertà, et GonfàUh'
niere di Giustizia del Popolo Fiorentino, et per quegli che sono deputati al servigio
della Cancelleria:
Et primo. Non si può nò debbo scrivere per parte Vostra M^. S'. lettere, se prima
non si delibera almeno per sei di voi et per sei fave nere.
A Papa, Imperadore, Re et Reina non si può scrìvere per parte della V*. M*. S'. se
prima non si delibera per Voi insieme coi vostri honorevoli collegii.
Non si può eleggiere Ambasciadorì né fare lettere di credenza, uè commissione, uè
altre lettere che chommettino ad alchuno che dicha o expongha alchuna chosa per parte
della V^. M^*. S'^. se prima non si delibera per voi insieme co* vostri honorevoli collegii
e pel Consiglio del Cento.
Ad alchuno Rectore o uffitiale del nostro contado et distretto non si può scrivere né
commettere che chognioscha di magior somma di quella che allui e permessa secondo
gli ordini, né contro a chi non fusse allui sottoposto né alla sua giurisdictione.
Non si può scrìvere nò commettere ad alchuno Rectore o uifictiale del nostro contado
et distrecto che non avessi cognitione di cose civili, che di quelle in modo alchuno ne
chonoscha.
Et similmente non si può scrivere né commettere ad alchuno rectore o uffitiale del
nostro contado et distrecto che non avesse congnitione di cose criminali, che di queUe si
impacci 0 chonoscha in modo alchuno.
Ad alchuno Rectore o ulBctiale del nostro Contado et Distretto non si può scrivere
che si parti dal suo olBctio per venire a Firenze, o andare altrove, se non si delibera
perlla V^. M^. S^. insieme con vostri honorevoli collegii, et pagando certa somma di da-
nari : Salvo che se fusse per i facti del nostro Commune : allora giurandosi et deliberan-
dosi perlla V^. M^^. S'. insieme con vostri honorevoli collegii, può venire sanza paghare.
Non si può scrivere ad alchuno Rectore o ufflctiale del nostro contado e distrecto che
finito 0 disposto el suo offlctio, tomi, se pritaa non istà a syndichato secondo gli ordini.
Salvicondocti per debito di singular persone non si possono dare sanza la deliberatione
della V*. M*. S*. et de vostri honorevoli collegii.
Salvicondocti o sicurtà per Bando o condennagioni non si possono dare né concedere
sanza la deliberatione della V^. M^. S*^. et de vostri honorevoli collegii, o perlla Signoria
sola per viu fave, et per sei mesi.
Salvicondocti e sicurtà non si possono dare a vostri rubelli o condennati per istato,
se non perlla V^. M^. S^. insieme con vostri honorevoli collegii et per xxxvj fave nere, o
veramente perlla S^. V^. et Otto , della Ghuardia per xv fave nere; non però in modo
alchuno passando il tempo della V^. M>. S\
Non si può scrivere al Podestà né agli otto di Prato che monstino ad alchuna per-
sona, di qualunche stato o condictione si sia, la Cintola della gloriosa M^. Madonna Sancta
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APPENDICE. 669
Valle et babbi di salario f. 100, cioè fiorini Cento. El luogo del Coa-
diutore del Notaio de Signori, et babbi di salario fiorini ottantaquattro,
cioè f. 84. E sopradecti salarli si paghino di mese in mese per il Ca-
marlingo delle graticole del monte sanza altro stanziamento ad ragione
di lire quattro di grossi per fiorino con le retentioni de danari nove per
lira et non più né altrimenti. E quali salarli non si possine pagare se non
a cbi al tempo di tale pagamento sarà necto di spechio come al presente
s'observa. Possine quelli che come di sopra in tali luoghi fussino electi
rifiutare tale aficio infra quattro di dal di di tale electione pagando
fiorino uno largo d'oro in oro per ciascuno Cancellieri, et fior, mezo
d'oro in oro per ciascuno coadiutore. Rabbino tali electi che accepte-
ranno divieto da ogni altro uficio drente, o fuori della ciptà durante
el tempo di decto uficio. Et perchè e luoghi d'alcuno di decti cancel-
lieri et coadiutori sono vachati qualche tempo si provede che per virtù
della presente tucte le cose facto o che si faranno per tucto el pre-
sente mese per quelli che erano in decti luoghi cosi vachati circa l'of-
ficio loro veglino et tenghino et observinsi inviolabilmente come se
durante il loro uficio fussino facto , et cosi a decti tali si paghi il sa-
lario consueto per decto tempo per quegli et in quel modo che si pa-
gava al tempo del loro uficio in tucto et per tucto. In quanto a qua-
lunche altro effecto o luogo non compreso nella presente provisione
rimanghino ferme le logie che di ciò dispongono.
Super qua quidem provisione et omnibus et singulis in ea con-
tentis prefati Magnifici Domini Domini Priores libertatis et vexillifer
Justitie Populi Fiorentini misso Inter se partito die decima mensis
Februarii anni mcccclxxxxvìj, indictione prima et obtento secundum
ordinamento. Et postea dieta die misso partito Inter ipsos Dominos et
coUegia ad fabas nigras et albas, ipsoque etiam obtento secundum or-
dinamento. Ac etiam facto partito per ipsos Dominos quod dieta pro-
visio posset proponi in Consilio, absque eo quod teneatur in publica
sala consilii per tres dies secundum ordinamenta. Et demum facta pro-
posita et misso partito Inter ipsos Dominos et coUegia et consilìarios
dicti consilii Octuaginta virorum die xu dicti mensis februarii et obtenta
secundum ordinamenta dicti Comunis per - 71 - fabas nigras prò sic,
non obstantibus - 19 - fabis albis prò non, ipsis tamen omnibus et
singulis prius examinatis deliberatis ac firmis per spectabiles auditores,
videlicet Jeronimum Filippi de Oricellariis, Joangualbertum Antoni Ja-
cobi Angeli, Jacobum Bartholomei de Gualterottis, Julianum Johannis
de Marucellis de numero collegiorum predictorum, et Jeronimum Ado-
nardi de Giachinottis, Franciscum Nichelai de Alexandris, Petrum
Maria sempre Tergine senza la diliberatione della V^. M". S". et de vostri honorevoli
collegii sotto gravi pene.
Al Chapitano et Podestà di Pistoia, et al Chapitano della montagnia di Pistoia non
si può scrivere senza la diliberatione della V^. M'^. S^. et de vostri honorevoli collegii.
Per cose criminali non si può scrivere salvo chessi faccia ragione secondo gli ordini:
se già non si deliberasse perlla V^. M^. S^. et honorevoli collegii, et di poi infra gli otto
di per gli consigli.
Molte altre cose potete et dovete fare, ed altre non, le quali al presente per brevità
et per non tediare la V>. M'. S". non si dicano : ma al luogho et tempo, quando el chaso
^chorrerà, vi saranno ogni volta, con fede et riverenza ricordate.
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670 APPENDICE.
Johannis de Covonìbus de officio conservatorum legum dicti comunìs
ad hec examinanda et firmanda secundum ordinamenta spectabiles
deputatos, eorum proprio motu, et omni meliori modo, via, iure et forma
quibus magis et melius potuerunt, providerunt, ordinaverunt et deli-
beraveruntl quod dieta provisio et omnia et singula in ea contenta
procedant, firmentur et fiant, et firma et stabilita esse intelligantur et
sint et observentur et observari et executioni mandari possint et de-
beant in omnibus et per omnia secundum provisionis eiusdem conti-
nentiam et tenorem.
Qua provisione lecta et recitata in dicto Consilio generali dieta
die xiij mensis Februarii ut supra dictum est, dictus magnificus vir
Lucas Antonii de Albizis prepositus ut supra, de voluntate, Consilio et
consensu suorum coUegarum in dicto Consilio presentiuni in numero
opportuno, proposuit eam et contenta in ea inter consiliarios dicti con-
silii et super ea facto et observato in omnibus et per omnia secundum
formam ordinamentorum dicti Gomunis et prout supra in prima pro-
visione huius libri continetur et observatum fuit, et super ea facto
partito ad fabas nigras et albas inter consiliarios dicti consilii, et datis
et recollectis et numerabis fabis, repertum fuit -715 - ex ipsis consi-
li^iis dédisse fabas nigras prò sic, et ita secundum formam diete pro-
visionis obtentum, provisum et ordìnatum fuit, non obstantibus reliquis
- 338 - ex ipsis consiliariis repertis dedisse fabas albas in contrarium
prò non.
Non obstantibus in predictis vel àliquo predictorum aliquibus legibus
statutis ordinamentis provisionibus aut reformationibus Consiliorum
Givitatìs Florentie que et prout supra in prima previsione huius libri
continetur et scriptum est.
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IV.
(▼. libro II, capo netti mo, paff. 599)
Indice dei Minutari e Registri originali^ ecc.
del Carteggio della Repubblica contenenti lettere scritte di mano di
N. Machiavelli,^ mentre fu segretario della 2' Cancelleria de* Dieci
e de* Nove; con la indicazione del numero complessivo e delle date
di esse lettere in ciascun Minutario o Registro.
(R. Archivio di Suto di Firenze).
Ndm. d 'ordine
de' Minutari
0 Registri
Date bstremb
di ciascun Minutario o Registro
secondo lo stile fiorentino
Numero comf^bssivo
delle lettere di mano del Machiavelli
in ciascun Minutano o Registro
e Osservazioni circa le date
21
clasBe X,
distinzione 3,
n. 91
22
ci. X, d. 3, 92
23
ci. X, d. 3, 93
Registri o Minutasi dei Signori — II* Cancelleria
1499, 3 giugno — 16 febbraio.
1499, 16 febbraio — 1600, 11
luglio.
1500, 18 lugUo — 4 novembre
e 1501, 20 settembre — 5
novembre . *
3. Del 16 e 17 giugno e del
20 lugUo.
13. Sono del 9, 16 e 21 aprile,
7 e 26 maggio, 3 e 6 giu-
gno, 13 e 14 luglio.
48. Quotidiane o quasi, dal 20
settembre 1501 al V no-
vembre di detto anno. La
maggiore interruzione è dal
. 19 al 25 ottobre inclusive.
* Del carteggio cancelleresco di N. M. furono pubblicate primieramente nel 1760, colla data
di Londra, trentanove lettere degli anni 15i0 e 1511. Opere inedite di N. M. — Il Fossi dedicò nel
1767 a lord Nassau Clavering l'edizione fiorentina, fatta nella stamperia granducale, delle Lettere
di N. M. che <r pubblicano per la prima volta, cioè 29 della commissione al duca Valen-
tino; 36 di quella in corte di Roma nel 1503; due della commissione al re di Francia pure
nel 1503 ; la commissione a Giampaolo Baglioni e la lettera di N. Machiavelli dairorsaia; e
finalmente trentuno della commissione presso Giulio secondo. — Queste due raccolte com-
parvero poi insieme riunite nel 1769 colla data di Cosinopoli, e col titolo : Lettere \ di \ N.
M. I segretario Jlorentino \ a nome della iua repubblica | con altre \ scritte alla stessa \
dalle sue legazioni | a diversi principi. Neirediz. del 1782 le Commissioni o legazioni ven-
nero per la prima volta più ampiamente in luce; ma della pubblicazione di queste terremo par-
ticolare ragione quando, neir Appendice del voi. II, daremo Telenco degli autografi del M. da noi
consultati nel condurre ^a presente Vcta, e T indicazione deiredlzione in cui prima comparvero;
limitandoci per ora a rimandare il lettore alle note apposte alla Notizia analitica degli Apo-
grajl del Ricci. Nò del carteggio ufficiale e cancelleresco > dietante N. M. • comparve più
nulla sino al 1857, quando il Canestrini diede alle stampe, siccome saggio, gli Scritti inediti
di N. M. risguardanti la Storia e la Milizia (1499-1512), Firenze.
* In Aronte al Registro è questo ricordo : • Questo libro del C. è per le cose della guerra
infra Dominium, scripte per la seconda Cancelleria, cuius caput est N. Maclavelins; qui
hodie mittitur ad Regem Francorum a Dominatione, et Franciscus della Casa itidem, zviii
lulii 1500 die sabbatl •. — A e. 142, dopo una lettera del 4 nov. 1500 si legge un altro ri-
cordo', e questo di mano del M.: > Essendo facti e Xci della guerra et havendo ripresa la
loro cura ordinarla, li excelsi Signori non scripsono più, etc. • — E a e. 143, ancora di
mano del M. : > Sendo vacati e Dieci della guerra questo di zviiii di septembre i501. Il
excelsi Signori ripresone la cura dello scrivere per le cose pertinenti ad epsa guerra ; et
però si seguiteranno le lettere et deltberationl loro in questo libro segnato O, sendo gonfa-
loniere di iustitia Luca di Maso dell! Albltli. In nomine Domini », ecc.
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672
APPENDICE.
NUM. T»'ORDINE
de' Minutari
0 Registri
Date estreme
di ciascnn Minutario o Registro
secondo lo stile fiorentino
NOM. COMPLESSIVO
delle lettere di mano del Machiavelli
in ciascun Minutario o Registro
e Osservazioni circa le date
24
ci. x,d. 1,108
1500, r gennaio — 1501, 31
luglio.
17. Con le date: 3, 23 e 27 a-
prUe, 7, 10, 11, 12, 23 e 27
maggio, 15 giugno e 30 lu-
glio.
25
ci. x,d. 1,110
1501, 1 agosto — 1512, 17 ar
prile. »
19. Con le date: 18, 22 agosto.
1,9, 10, 13, 14, 18 sett. 1501
26
ci. X, d. 3, 98
1501, 4 novemljre '— 1502, 30
aprile.
3. Due de' 9 (?) e una del 23
dicembre.
34
ci. x,d. 1,123
1507, ?4 aprile — 26 gennaio
2. Del r4 lugUo.
38
cl.x,d. 1,129
1510, 11 giugno — 21 dicemb.
5. Del 14, 15 e 17 giugno.
41
ol.x,d. 1,134
1511, 24 novembre — 1512,
31 maggio.
1. Deir 11 febbraio.
Registri o Minutari dei
X DI Balìa.
69
ci. X, d. 3, 95
1500, 2 febbraio — 1501, 5
maggfio.
235. Sono quotidiane o quasi;
r interruzione più lunga è di
cinque giorni, dall' 11 al 15
aprile inclusive.
70
ci. X, d.3, 90
71
ci. X, d. 3, 97
1501. 6 maggio — 16 settem-
bre.
1501, 6 maggio — 18 settem-
bre.
168 \ Qnotidiane-o quasi. Inter-
> ruzioni più notabili: 19-
156 ; 24 giugno, 15-21 luglio.
72
ci. X, d.3, 101
73
ci. X, d.3, 100
1502, 1 luglio — 31 ottobre.
1502, 2 luglio — 31 ottobre.
108 \ Interruzioni: 16- 19 agosto,
ì 25 8ettembre-2 ottobre.
. . - ( Le ultime sono del 4 ot-
^^') tobre.
74
ci. X, d.3, 104
75
ci. X, d.3, 103
1502, 1 novembre — 1503, 14
maggio.
1502, 2 novembre — 1503, 15
maggio.
125 ^. Cominciano col 28 geun.
Le interruzioni princi-
„„) pali sono: 7-14 e 16-20
^^^ .febbr., 22 febbr.-3 mar-
zo e 5-9 marzo.
76
ci. X, d.3, 108
77
ci. X, d.3, 107
1503, 15 maggio — 6 ottobre.
1603, 15 maggio — 7 ottobre.
250 \
^Sole interruzioni: 18-26
( giugno, 15-17 agosto.
281 /
78
ci. X, d.3, 109
1503, 7 ottobre — 1504, 8 giu-
gno.
11 6 interruzioni: 22 ottobre-
> 29 dicembre, 11 gennaio
79
ci. X, d.3, 110
1503, 7 ottobre — 1504, 9 giu-
gno.
129 ) -1^ aprile.
80
ci. X, d.3, 112
81
ci. X, d.3, 113
1504, 10 giugno — 9 dicembre
1504, 12 giugno — 9 dicembre
209 \ Le interruzioni più lunghe
/ sono: 9-12, 14-16, 21-23
„Q, \ luglio, 13-15 agosto, 2-6
^^M dicembre.
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APPENDICE,
673
NUM. D*ORT>INB
de' Minutari
0 Registri
Dats estreme
di ciascun Minutario o Registro
secondo Io stile fiorentino
82
cl.x,d.3,114
83 !
cl.x,d.3,116|
84 I
x,d.3,117
ci
I
ol
ol
85
x,d.3,118
86
x,d.3,120
87
cl.x,d.3,121
88-89 91-97
ol. X, d. 3, n. ^
122, 123,1
*126,*130,129(
136, 135, 137,
138
1504, 10 dicembre — 1505,14
agosto.
1504, 10 dicembre — 1505, 16
agosto.
1505, 15 agosto — 1506, 9
giugno.
1505, 17 agosto — 1506, 9
giugno.
1506, 10 giugno — 1507, 31 a-
gosto.
1506, 11 giugno — 1507, 31 a^
gosto.
NUM. COU FLESSIVO
delle lettere di mano del Machiavelli
in ciascun Minutario o Registro
e Osservazioni circa le date
1507, 2 settembre
settembre
1513, 5
285 \
/ Sola interruzione notevo-
\ le dal 16 al 26 luglio.
270 ; ^
263 \ Interruzioni più notevoli:
21-25 agosto, 10-15 ot-
tobre, 14-20 gennaio, 29
gennaio- 12 febbraio, 27
267 1 febbraio-22 marzo, 7-15
aprile. ^
126 '^ Interruzione: 23 agosto-
2 novembre. Dopo il 12
gennaio se ne incontrano
144 i due altre sole, una del 6
aprile e una del 1 7agOBto
46, aventi le appresso date,
cioè: 1607, 6 e 7 settembre;
1509, 13, 14, 29 maggio, 13,
28 giugno, 2 luglio, 5 luglio,
20 agosto; 1510 (s. f.) 5 gen-
naio e 4 febbraio; 1511, 11
maggio, 20 gfiugno, 12, 15, 17
e 18 luglio; 9, 11 e 16 agosto;
10 settembre, 19 novembre,
22 dicembre, 5,febbraio; 1512,
21, 26, 27 luglio e 25 agosto.
Regibtbi di Delibebazioni dei Dieci
contenenti anche patenti e lettere.
ci, n, d.
n. 205
6,
ci, II, d. 6,
n. 207
ci. XIII, d. 2,
n. 159
1502, 1
gno.
•lugUo — 1504, 9 giu-
1506, 10 dicembre — 1511, 9
giugno.
21 Patenti e Lettere con queste
date: 1502, 1*» settembre, V
marzo; 1503, 16, 24 e 31 mag-
gio, 12 e 28 luglio, 19, 20 e
24 agosto; 5, 9, 21 settembre;
1504, 20 aprile e 21 maggio.
1 Lettera del 17 dicembre 1506.
ReOISTBI 0 MlNUTABI DE* NoVE DELLA MILIZIA.
1506, 12 gennaio — 1507,
dicembre .
26 I 216. Principali interruzioni:
1506, 17-31 marzo; 1507, 16
aprile-4 maggio, 17 giugno-3
luglio, 11-21, 23-30 luglio, 7-
28 agosto, 18-27 settembre,
8 ottobre-2 novembre, 11-19
novembre . L'ultima è del 7
dicembre
* e. 1, 10 giugno 1507: ■ Hlc est necundus llber ex librls eodem tempore currentlbus Dnorum
X, Biasio asectis prò N. Malclauello Inpresentiarum ipsis novera ordlnum militie inserviente •.
* C. 1, Hic alter est ex binis libris Dnorum X^, prò Iris Infra dHilim scribendis, Biasio a
secretis prò Male]".
ToMMASUti - Machiavelli.
43
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674
APPENDICE.
NUM. d'oedinp. I
de' Minutari
o Registri I
Date estreme
di ciascun Minutario o Registro
secondo lo stile fiorentino
Numero complessivo
delle lettere di mano del Machiavelli
in ciascun Minutario o Registro
e Osservazioni circa le date
ci. xin, d. 2,j 1509. 16 novembre
n. 160 I 15 marzo.
1511,
ci. XIII, d. 2,; 1511, 16 marzo — 1512,
n. 161 I settembre.
16
18, con queste date: 1509, 1 e
15 febbraio; 1510, 18 feb-
braio e 3 marzo; 1511, 12 e
16 agosto, e 13, 24 e 25 gen-
naio.
30, con le seguenti date: 1511,
17 e 18 marzo, 1512, 2 e 23
aprile, 18 maggio, 3, 5, 8. 15
16 e 26 luglio, 6 agosto.
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V.
(V. libro II, capo terzo, pog. JU).
Lettera premessa al Decennale}
(Nazionale di Firenze, classe xxv, N. 604 (Strozziano 1322 4- 0)
Decemnale — Agustinus raatej N. V. uirìs florentinis salute.
So le chose pericholose sono deletteuole ad richordarsene, la me-
moria de prosimi tempi ui douerà esere grata;* sendo suti quegli pe-
ricolosisimi. Onde auendoli Nicholo Machiauegli in uersi e con mirabile
breuità descritti, come quelo che è desideroso in qualche parte mo-
strai'si grato de' molti onori quali confesa hauere riceuto da uoi, mi
è parso imprimerli e fare questo suo dono più liberale; né uoi ui sde-
gnierete legere in tale istilo et con tanta breuità cose si graue et di
tanto momento, perche lui non per altra cagione ^ le ha redotte in uersi
e si breui, se non perchè uoj possiate in pocho di bora dischorere can-
tando tucti quegli pericholi che in dieci ani piangendo auete chorsi
sarà anchora questo suo compendio * non per pagamento, ma per arra '^
di quelo debbo; il che più largamente e con magior sudore tutta uia
si batte nella sua fabricha. E benché lui asegni questo a uoi e quello
a posteri e quali in tal breuità si conftinderebono, non dimenò gli sarà
grato che Tuno e l'altro vi piaccia, perchè spera quanto sapore pren-
derano da uoi tanto dapoi sene rappresenti al gusto de nipoti nostri : et
se uedrà questo aprouarsi, più presto et con maggior fiducia quello
uscirà fuora, quanto che non si starà più uergognioso in chasa.
Valete.
1 Questa lettora venne premessa alla prima edlz. del Drcmnalr; e, per quanto alTermano
Il Graesse e il Brunet. fondandosi sopra il Catalogo della Biblioteca pinelliana (iv, n. 2299.
pag. 336). ad una seconda edizione sunra luopro né data, col titolo « Dei Decennali primo e
^ parte del secondo pubblicati da Agostino di Matteo •; le quali sono d'una estrema rarità.
Tutte le altre edizioni recano invece di questa la nota lettera In latino e in It-aliano ad Ala-
manno Salviati. Noi la trascrivemmo dal citato ms. strozziano, né ci parve superfluo recarla
a notizia del pubblico.
■ Nella scrittura di ser Agostino VespuccI occorre un costante raddoppiamento della
lettera t, che a noi parve bene sopprimere nella pubblicazione.
* Ms. : • cagone ».
* Ms. : " chonpedlo ".
* Ms. : « ara «.
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VI.
(Y. libro n, capo quinto. pa«. 400).
Consulte e Pratiche della repubblica di Firenze.
(Archivio fiorentino, voi. 70, cart. 128 e seguenti) ^
Die 17 Dicembris 1507. Furono dai S.r X^idi nuovo chiamati l'in-
frascritti Cittadini, et domandato parere se elli era bene mandare ad
Francesco Vectori uno mandato ad potere concludere, o veramente la
commissione sola, cioè una lettera quale era designata, nella quale
parti cularmente se li commetteva come sì havessi a governare: Fu
consigliato nello infrascritto modo, cioè:
Messer Francesco Pepi dixe, * che circa mandare al mandato
li occorreva che sanza epso potrebbe nascere dilatione circa l'apun-
tare quando V Imperatore lo volessi vedere : il che non sarebbe quando
Francesco Fhavessi, perchè sendone ricerco lo potrebbe subito mo-
strare senza bavere ad mandare per epso: occorrevali che havendosi
a deliberare, si pubblicherebbe et saprebbesi prima altrove, et tamen
credeva fussi da prò vedere a quello che era più dannoso il che era
la dilatione del concludere, perchè potendo Tlmperadore fra uno mese
venire, quando la lettera andassi sanza mandato, et loro lo volessino
vedere, vi anderebbe uno 15 di almeno di tempo, et havendo Cesare
ad venire, quanto più si differirà tanto sarà peggio, et però mande-
rebbe con la lettera el mandato anchora non ci vedendo altro peri-
culo, se non la pubblicatione : a che si può allegare el consueto della
Città: et dipoi dare el sachramento a chi l'ha a delibei^are di tenerlo
secreto. Circa al mandare una boza di capituli per stipulare bene,
crede sia ad proposito per fare la cosa con più utile, ma che sarebbe
difficile per haversi ad ire in questa materia gradatim, et haversiad
fare diverse boze ^ (secondo le ditìcultà che di mano in mano nasce-
ranno in simile trattamento, le quali saranno ragionevolmente assai et
di diverse qualità).
Mess. Niccolò Altoviti dixe che li pareva fussi proposto ^ dua
cose: la prima del mandato: la seconda della boza dei capituli. Circa
el primo (li) occorreva il medesimo che dixe messer Francesco cioè
che 5 la lettera a ogni modo si accompagni col mandato sperando che
Francesco ^ senza manco ne abbia ad essere ricerco, et non lo havendo
^ Collazionato col testo contenuto nel cod. Vat. ottob. 2759, pag. 89t In cui il docu*
mento è riferito • die xv derembris 1507 •.
* Cod. ott. • dixe che secondo el Judicio suo dinìbbe quello li occon-essi; et prima circa
al mandare el mandato o no, et questo perchè sanza esso poteva nascere dilatione •, ecc.
* Quel che segue In parentesi mancA nel cod. ottob.
* Cod. ott. " ad proposito •.
» Cod. ott. • che a ogni modo la lectcra ".
0 Cod. ott. - babbi ad esserne ricerco ad ogni modo «.
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APPENDICE. Cn
causerebbe * dispiacere con lungheza et danno della Città. Circa la
boza * che li era necessario farla, et che la examinassi bene ad ciò si
conducessi quello che si desidera.
Mess. Antonio Strozi dixe: che^ era della medesima opinione di
quelli che havevano parlato perchè * come si comincierà ad stringere
la pratica subito vorranno li Ministri dello Imperadore vedere che
auctorità habbia Francesco di potere concludere per chiarirsi di non
essere tentati, et quando vedessino non lo hàvessi farebbe disordine:
et però havendone ad esser ricerco, fidandosi di Lui che maneggi
queste cose, si può anchora fidarli el mandato : et però si accorda ^ che
si mandi insieme con la lettera. Circa la boza, sendo cosa che ri-
cerca pratica, li manderebbe una ^ forma del modo havessi ad tenere,
et quando si volessi avanzare tempo, li manderebbe bora la lettera, et
dipoi fra pochi di detta forma.
Mess. Francesco Gualterotti dixe che mandare, o non mandare
di presente el mandato non li pareva di molto momento, per essere
Francesco prudente et che sempre l'userà ad benefltio della Città: et
che quanto a lui non judicava necessario mandarlo cosi bora, perchè
sempre in simili faccende si disputa la materia, dipoi si viene a man-
dati, et che sendo la materia non anchora cominciata, né si vedendo
dove habbia ad terminare, non sa come chi lo ha a deliberare ^ vi si
accordassi : et quando si mandassi et dipoi variassi qualcosa, el man*
dato non basterebbe et sarebbesi nelli medesimi termini. Crede che
quando sia risposto : fermiamo le cose, et la ratificatione verrà quando
li Tedeschi habbino animo di concludere, che non habbia a dare noia
alcuna. Concorreci anchora el dubio del secreto. Lo bavere a dare as-
sai scripture a uno cavallaro (che va con mille pericoli respecto allo
essere guardati tutti passi) * et però scriverrebbe ad Francesco che
mandassi le conclusioni in sulle quali se li manderebbe el mandato
non pensando ci habbia ad correre tanto tempo che possa guastare
volendo, come ho detto, concludere.
Mess. Giovanvictorio Soderini dixe: che quello haveva parlato
messer Francesco Gualterotti era secondo il gusto suo, perchè fino ad
bora non si era dato appicco alcuno, però non credeva* che si ha-
vessi ad concludere (cosi presto), et insomma per li respecti allegati
indicava bastassi la commissione datali non pensando che la cosa si
habbia ad ridurre in termini da non la potere fare con gratia di quella
Maestà.
Mess, Matheo Niccolini dixe: che facendo el mandato si publi-
^ Cod. ott. • darebbe dispiacere et genererebbe lunghezza con danno della città; et circa
al modo del farlo respecto al segreto non sa se bisogna el consiglio delti Ottanta, et che
8i servi II modo si usò nell'altro ».
* Cod. ott. • ludica sia necessario «.
■ Cod. ott. • essere della medesima «, ecc.
^ Cod- ott. •• perche tra le prime cose, come si bara a stringnerc la praticha Tedeschi
vorranno uedere che autorità harà franccscho •.
s Cod. ott. • et però s'accorda uolentierl che si mostri hauere fede In lui et che se II
dia. Quanto alla boza «, ecc.
1 Cod. ott. • la forma secondo hauessi ad fare •, ecc.
^ Cod. ott. <4 addare «.
^ Quel ch'è tra parentesi manca nel cod. ott.
* Cod. ott. «non crede •.
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678 APPENDICE.
cherebbe, il che ha mosso axi fare più tosto per via di lettera * et
perchè la cosa non è anchora cominciata, adheriva piutosto a non lo
noandare che altrimenti, sendo prima necessario digestire la materia
et dipoi dare el mandato.
Pier an tomo Carnesechi dixe che elli era stato judicato ad pro-
posito tractare questa cosa per raezo di Francesco Vectori per non
si scoprire, et per fuggire questo pericolo credeva bastassi commin-
ciare con la commissione che elli ha, pensando che quando dica, el
mandato verrà ogni volta siamo* daccordo, habbia ad bastare^ ha-
vendo quella Maestà animo di concludere; et però manderebbe bora la
commissione sola con una boza. •*
Bernardo da Diacceto dixe: che considerato quanto importava
questa cosa, credeva fussi bene pigliare el modo che dixe mess.
Francesco Gualterotti come più sicuro, di mandare bora la lettera et
altra volta il mandato.
Piero del Nero dixe : che la più sicura sarebbe dare una compa-
gnia a Francesco Vectori che havessi notitia di questa cosa: (tamen
che terrebbe la via et il modo ricordato dal Gualterotto).
Guglielmo de Pazzi dixe: che chi haveva consigliato Ano adlhora
di dare commissione ad Francesco Vectori lo haveva fatto per fuggire
il pericolo del differire, et che la disputa del mandare el mandato, o
nò, li pareva variassi dalla conclusione facta, ^ perchè mandando la
lettera ^ sensa epso non si fuggirà il pericolo detto ; però era della
opinione di quelli che havevano consigliato di mandarlo con la let-
tera insieme et con la boza de capituli, le quali scripture si mandino
per tante vie che giunghino sicure, accordandosi ^ di mandare qual-
cuno che fussi di ingegno et potessi aiutare Francesco in questo ma-
neggio.
Giovachino Guasconi dixe: che credeva che chi concorreva ad
dare danari allo Imperadore lo facessi più per paura che per amore,
et che bastassi per bora a Francesco la commissione solamente, per-
chè subito che saranno daccordo si potrà inviare el mandato, et che
en (sic) questa prima mossa questo doverrà bastare.
Lorenzo Dietesalvi * che era della opinione di mess. Francesco
Pepi di mandare con la lettera il mandato perchè 'non vorrebbe che
questo fussi causa di dilactioni et per consequens di disordini.
Antonio Canigiani dixe: che fu concluso di commettere a Fran-
cesco et farli una buona lettera ad ciò si vedessi se quella Maestà era
in disposictione di apuntare, perchè quando non fussi (di tale animo)
né mandato né altro basterebbe; et che volendo bora fare mandato
^ Cod. ott. • ad fare con lettere più tosto che con ambascladori o altri et essendo la
cosn ancora «, ecc.
■ Cod. ott. • sieno ».
* Cod. ott. • bast<jrà • .
*• Cod. ott. •• et manderebbe la bozza ad ogni modo -».
* Cod. ott. « facta dua sere fa ».
*' Cod. ott. « la commissione ».
'' Cod. ott. > et confortò mandare uno che haaessi ingegno et fussi adluto ad francescho
in questo maneggio ».
* Cod. ott. - disse che el primo dicitore li haaeua molto satisfacto ; che tenendosi fticta
la conclusione si fecie l'altra sera, era dell'oppinione medesima che ms. Francescho. perche
non vorrebbe che domandandoli delPautorltà sua et non la potendo mostrare credessino di-
leggiassimo et ne nascessi disordine ».
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APPENDICE. 679
credeva fussi uno volere mettere tempo im mezzo, et che quando si
contrahe hanno prima le parti ad essere daccordo, dipoi si monstrano *
li mandati, et per avanzare tempo credeva fussi bene mandare la let-
tera sola: et dipoi se bisognerà el mandato, si potrà faplo et mandarlo
subito: ma non sendo per bora appiccata la pratica non judicava ne-
cessario mandarlo.
Pietro delti Atberti dixe: che adheriva al parere de primi tre di-
citori che il mandato di presente si mandasse ad Francesco con la
commissione, etc. et che li parrebbe che havendosi ad tractar di da-
nari, la cosa si mettessi nelli Octanta et Collegi.
Pierfrancesco Tosinghi dixe : che di presente bastava mandare la
lettera facta, perchè havendosi ad concludere crede ogni volta che dica
che el mandato sarà presto, non babbi ad guastare, et lo manderebbe
quando lo chiedessi et non prima.
Piero Lenzi dixe : che la conclusione ultima fu facta per due cause :
runa per avanzar tempo, Taltra per conto del secreto : et la lettera
designiata li pareva molto ad proposito: non li pareva anchora ne-
cessario el mandato non sapendo se Cesare vuole convenire, o no: et
inteso questo, si sarà sempre ad tempo ad mandarlo, et però adhe-
riva a quelli che dicevano che per bora non si mandassi.*
Giovanni Ber ardi dixe : che si disputava se si haveva ad mandare
a Francesco Vectori el mandato, o nò: et che poiché mess. Francesco
Pepi haveva detto che haveva, ad esser generale, era suto et era di
opinione di mandarlo: ma quando in epso si havessi ad specificare
cosa alcuna, differirebbe rispecto al secreto con mandare di presente
la lettera disegniata con una forma di capìtulì nel modo havessimo ad
stare.
Niccolò Zati: che adheriva al mandare la lettera sola et differire
el mandato; con mandarli una instructione et forma del modo del con-
tratto; et che a questo lo moveva el secreto perchè o generale, opar-
ticulare, a ogni modo si pubblicherebbe.
Lorenzo Morelli dixe: che haveva sentito prudentemente disputare
la cosa, ma che si era lasciato indrieto una cosa la quale era che per
tractare questa cosa prudentemente era da mandare (più) septimane
fa li ambasciadori, ^ ma per vedere la cosa più chiara s'era expectato
Uno ad hoggi, et havendosi ad expectare risposte di qua et di là, si
può credere che havendo ad venire sarebbe in Italia; però fu* con-
cluso scrivere et commettere a Francesco per avanzare tempo, et che
havendosi ad fare le minute, sendo tre ragioni di compositione, è im-
possibile sieno cosi ad punto; et una minima cosa guasta, et haven-
dosi ad mandare el mandato, anchora che si proponga generale, vor-
ranno sapere e* particulari, et che Francesco era homo prudente et
da maneggiare^ la cosa con più benefitio potrà: però manderebbe
la lettera sola potendo presupporre che sendo facta da chi ha aucto-
* Cod. ott. > et alhora si manda el mandato >.
' Cod. ott. «• che per hora non si mandi mandato ; et quando .si hauessi pure ad man-
dare, uorrebbe mandare uno che hauessi expeiientia di simili cose >.
» Cod. ott. • li oratori •.
* Cod. ott. • s'è ■.
^ Cod. ott. - et manegferia ».
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680 APPENDICE.
rità, basterà: et se lo Imperadore vorrà concludere, alhora basterà
domandare la ratiflcatione, et però volendo avanzare tempo mande-
rebbe la lettera sola.
Filippo dell' Antella dixe : che per men male adheriva ad man-
dare per hora la lettera sola per avanzare tempo judicando che basti.
Niccolò Macchiavelli * dixe : che adheriva con quelli che dicevano
che si mandassi per hora la lettera sola nel modo era disegniata.
Benedetto de Nerli dixe: che per non scoprire questa materia
manderebbe la lettera sola, perchè se Cesare vorrà convenire con la
Città, questo non doverrà guastare.
Filippo Carducci : che la maggior parte s'accordava ad mandare la
lettera sola, et che per non deviare da' più, era della medesima opinione.
Iacopo Giachi : che manderebbe ad ogni modo el mandato perchè
credeva che questo havessi ad essere tra' le prime dispute.
Tommaso Ginori: dixe che considerato che la cosa non expectava
tempo, et che fare el mandato voleva tempo et portava periculo del
secreto, però era della opinione del Gualterotto, non pensando che
quando quella Maestà voglia apuntare con la Città, che questo habbia
ad guastare, o fare una minima difficoltà.
Uberto de Nobili dixe: che la lettera li satisfaceva assai, et però
quanto più presto andassi tanto più charo l'harebbe sanza altro man-
dato per hora, perchè Francesco quando Irene havessi el mandato pi-
glerà tempo a ogni modo ad ratificare.
Luigi della Stufa dixe : che la deliberatione ultimamente fatta U
piacque et che mandando per hora la lettera disegniata credeva ha-
vessi a dare un buono principio a questo maneggio et che Francesco
habbia ad rescrivcre subito indrieto et alhora si potrà mandare el
mandato et ciò che altro bisognerà.
Luca di Maso: che sarebbe suto di opinione di far la cosa d'un
pezo, ma per fuggire el pericolo di non pubblicare questa cosa, et per
fare manco male concorreva che per hora si mandassi la lettera sola
sanza altro, et che quando habbino a convenire piglino tempo conve-
niente et alhora si manderà il mandato et ciò che altro bisognerà.
Piero Guicciardini dixe : che mandare la lettera sànza mandato
credeva havessi ad essere più secreto et più presto:* che erano due
cose da desiderare assai in questo tractamento.
Gherardo Corsini dixe che li pareva che questo modo di proce-
dere non dovessi dare tanta difiScultà non si disputando se si baveva
ad convenire con Cesare, o nò : Adheriva che per hora si mandassi la
lettera sola sendo Francesco stato sempre a largo sanza appiccare
pratica et che facendo el mandato et non si appuntando poi farebbe
disordine, et però non lo manderebbe per hora, non judicando che
habbia ad impedire lo apuntamento quando Cesare lo voglia fare.
Antonio Giacomini dixe: che bisogniando tempo ad fare el man-
dato era della opinione del Gualterotto.
^ Niccolò d'Alessandro Machiavelli.
• Cod. ott. " più presto et secreto; cose da desiderarlo assai. Queilo del mandato, et
farlo nelll ottanta et più, secondo Tordinamento et consueto della città et qualunche si pi-
glierà sarà commendato ».
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APPENDICE. 681
Gerardo Gianfigliazi: el medesimo che el Gualterotto.
Francesco Pandolfini: che T ultima sera* si risolvè ad usare la
via di Francesco Vectori piuttosto che quella delli Ambasciadori come
più presta e più secreta, * et che stante questo fondamento li pareva
facessi effetto contrario el voler fare hora mandato; perchè priverrà
di quello commodo per il quale fu concluso usare el mezo di France-
sco: et perchè lo presupponeva prudente, quando bene havessi el
mandato, credeva che lo offitio suo, avanti fermassi, frissi di darne
adviso et aspectare la risposta, et però manderebbe per bora la let-
tera disegniata sanza altro : perchè credeva fussi vano mandare boza
0 altra forma, potendo nascere assai difflcultà ^ (da fare variare).
Lionardo Salvucci dixe: che approvava mandare la lettera sola
sanza altro mandato, et di più che ricordava si mandassi qualcuno,
che fussi inferiore a Francesco, il quale perdendosi la lettera potessi
riferire a bocca.
Giuliano Marucelli dixe: il medesimo che il Gualterotto.
Antonio di Saxo: che si mandassi per hora la lettera sola.
Chùnenti Cerpelloni dixe: che crederebbe fussi molto a proposito
che la lettera et il mandato vi fussi, tamen per le ragioni allegate si
accordava fìassi meglio per hora mandare la lettera sola.
Giovan Francesco Fantoni, il medesimo: che si mandi la lettera
sola.
Bernardo Neretti: il medesimo.
(Mandovisi Niccolò Machiavelli Cancelliere). *
^ Cod. ott. •• ad queste sere ».
* Cod. ott. " per essere una via più sicura et più presta >.
* Cod. ott. u che non si preveggano >.
'* Questo appunto manca nel cod. ottob. — Ma nella • Consulta de' di xxx decemb. 1507 «:
• Niccolò Altoviti dixe per tutti e' doctori el ringratiava della parteclpatione delli aduisl : et
che non accadeua dire altro di nuouo parendo d'aspectare lettere dopo la giunta di Niccolò
Machlauelli •. — E gli altri tutti dissero il medesimo. Nell'occasione della pubblicazione della
presente Consulta, crediamo avvertire che quantunque C. Milanesi nel Catalogo dei mss.
posseduti dal march. Gino Capponi, Firenze, . Galileiana, 1845, citi il ms. 2109, contenente
Deliberazioni e Consulte del Consiglio pìccolo, come autografo di N. M., a noi In Firenze
non riusci saper nulla di questo codice. i
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VII.
(V. libro II, capo quarto, pag. 359).
(A tergo). Girihizi * cV Ordinanza.
(Archivio fiorentino — Provenienza Zanoni).
Concludo addunche che chi dice che se ne tolga pochi, non se ne
intende: et sohgiugnerò questo: voi havete scripti circa 20 mila fanti:
voi li vorresti ridurre o ad sei o ad dieci. Ad fare questo bisogna fare
in uno de dua modi: o ridurre le bandiere a sì poco numero che le
faccino questa somma, cassando Taltre; o lasciando stare le bandiere
sciemare li huomini sotto di quelle. Nel primo caso voi ojffendete quelli
paesi che voi lasciate indrieto, et crederanno che voi li habbiate ad
sospecto; nel secondo caso voi offendete gli huomini che voi lasciate,
et venitevi ad fare tanti ni mici quanti amici. Oltra di questo, volendo
tenere armati sei mila* huomini in tucto el paese vostro, vi bisognerà
mutare ordine di bandiere, et torneranno si rari, che fia ad raccorli
insieme come cercare pe' funghi. Dipoi per molte cose che fanno scie-
mare li scripti altrui fra le mani, non sarà mai che voi vi vagliate
della metà, de' dua terzi di loro. Et pero io dico che se voi volete otto
a diecimila fanti bene ordinati et bene armati, vi è necessario tenerne
in ordinanza 25 o 30 mila et fare quella cappata di quelli terzi ^ et
quelli arzanà che io vi dissi.
Pure se voi volessi sciemare bandiere, scemerei queste dua ban-
diere delle porte: Sanminiato et Poscia et Colle, le otto bandiere che
sono in Romagna et le dua che sono in Lunigiana, per esser discosto :
perchè io mi vorrei serbare le più propinque, le quali sono 22 ban-
diere che occupavono undici connestaboli, et più di - 8 - mila fanti.
^ Lasciamo questa parola in quella forma in cui si trova nell'autografo, sembrandoci
che a questa guisa meglio risponda airetimologia che si dà alla più recente forma della
voce ghiribizzi; che il Salvimi deriva da giro^ giramento, e bizza, furore, • onde bizzarro
prima per iracondo e poi per istravagant-e. Gliiril>izzi, giri, cioè pazzie, capricci, fantasie
stravaganti ".V. Tommaseo e Bellini, Vocabolario della lingua it. — ìiéìV Apfygrafo di Glu-
lian de'Ricci, § xxi, si anno i Ghiribizzi scritti in Raugia a Pier Soderini. Probabilmente
sull'originale sarà stato scritto giribizì^ come a questo luogo, e il pietoso nipote avrà rac-
conciato la parola secondo quell'uso grammaticale che a'suoi tempi era in voga. In ambedue
questi casi mi sembra che il Machiavelli dia alla voce italiana ghiribizzo quella significa»
zione che fra i Greci e I Latini aveva paradoxa.
« n testo: • 6 -.
■ Si allude allo Scritto intorno aWOrdinansay che è nella Blbl.Naz., Doc, A/., bust« 1".
n. 73. — Cf. come questi Giribizi sono fondamento a qujtnto è dichiarato dal M. neWArtc
della guerra, lib. i; ove Fabrizio Colonna risponde alle obiezioni di Cosimo: • perchè io ò
sentito in molte parti biasimare l'ordinanza nostra, e massime quanto al numero; perchè
molti dicono che se ne debbe tórre minor numero, di che se ne trarrebbe questo flutto, che
sarebbono migliori, e meglio scelti; non si darebbe tanto disagio agli uomini; potrebbesl dar
loro qualche premio, mediante il quale starebbono più contenti, e meglio si potrebbono co-
mandare. Donde Io vorrei intendere in questa parte l'opinione vostra, e se voi amereste più
il numero grande che il piccolo, e quali modi t«rreste ed eleggerli nell'uno e nell'altro
numero >.
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vili.
(T. libro II, capo quarto, pag. 371).
Mostra et resegna armata
del III.'"'' S.***" duca de Urbino Capilanio generale de la Sancia Ecclà
facta socio la Torre de Quinto die xxmj Julii 1505}
(Archivio di stato in Roma — Diversa Gentium Armorum i505, pag. 2).
Lancze Speczate. Federico de Sancto AngTo Caporale. C* liar. col mer-
cho duchale : mer : ^ la massella dricta, la morfea a lochio stancho C. 1
Bap.ta de Angelo de Castel durante. C. ba. mer. la Cossa dextra col mar.*
ducale, co.-''» co. et ga. negre, mer. la massella corno de sunr.'x. stella in
fro. mer. fra le nare bal.^ detri CI
Berno de narni da Castel durante. C. baio sauro mer. la Cossa dextra
cotho alla Turchescha, stella in fronte CI
Justo de Chimenti fiorentino CM. baio M. 1
Philippo de piero dicto Bergamo. C liar. mos. ^ CI
Bianjihino de Bern.o da gubio. C ba. co. co. et ^ambe negre, ste. infron.
mte la Cossa dextra • CI
Simon de Jacobo de Agubio. Cba.faczuto. co. co. ga. negre, bai. datri C 1
Biello de Ant.» dagubio. C. sag. scuro, mer. la Cossa dextra de mercho
reale CI
lobi de Fran.co de Augubio. C liar. sauro, mer. la Cossa dextra ..CI
Cothone de SM de Augubio. C sag. ros. co. co. et ga. negre ...CI
Fran.co de Miss.«r Jacobo dagubio. C liar. piccola stella infro. ..CI
Saxo de Costanczo da Cortona. C baio. co. co. et ga. negre mer. la Cossa
et la massella dextra
Stivai ino de Nicola da rezo. C liar. pom CI
Piero, de Jo. de la dozia danzo. C baio sauro CI
Jac.o de Cost.no de Cita de Castello. C ba. co. co. et gara, negre, ferito in
la groppa dalla banda dextra
Philippo de M. Bonforte de Landriano milanese. C liar. mos. ferito nel
galone dextro
* Non ci sembra Inutile porpere al lettore questo sa{rgio del modo con cui solevasl alle
rassegne descrivere II cavallo > per peli e segni <• secondo che il Machiavelli e i citati docu-
menti si esprimono. Non avendone trovati nell'Archivio di Stato di Firenze, ci parve trar
partito del Diversa gentium armorum dell'Archivio romano, come scritto contemporaneo e
slmigliante per certo anche nella forma ad atti congeneri. Come è chiaro, nelle abbreviature
si accennano cavalli moscati, lupati, morfeati, liar dì, rotati, saginati. eotti alla turehesea.
— Il Caracciolo nella sua Gloria del cavallo, divisa tn dieci libri, Venezia 1587, a pag. 760
(lib. iz) scrive citando 11 Ruslo: « Chi desidera la lunga sanità del suo cavallo, si che né
galle, né sopro.ssi, né spinelle, né curbe, né furme, né spavani giammai l'infestino et che con
maggior fiducia si possa faticare... habbia cura ch'egli da un perito maestro sia cotto In
quelli luoghi, dove cotall vitii soglion nascere <>.
* Cavallo liardo.
8 Mercato, per • marchiato ».
* Marchio.
* Collo, coscle et gambe.
'^ Balzano da tre. (f)
' Moscato.
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684 APPENDICE.
Josia de luca da fermo. C. lìar. ros CI
Marc» Anto de Raphaele de rocha contrada. C. liardo Coda longa in
Terra CI
Fran. de ludo vi co de vrbino C liar. sauro, sag CI
Guido Anto nino da S^o Angelo in Vado. C. sag. ros CI
Federico de luca da fermo C mor. morf. el muso, stella in fronte . C 1
Ludovico de Cariceto de Urbino. C. liar. mos. cotto alla turchescha C 1
Barth.o de Georgio de bargni. C ba. schiavo, co. co. g. ne. ..CI
Elaineri de Johann! de Serodo da fossambruno. C ba. sauro cocto alla
Tur. stella in fron CI
Domno de Thomaso da monte pulciano. C bruno maltinto balz. dal sini-
stro drieto CI
Ludovico de roberto dalla Pergola. C ba. stel. infron CI
Aloyse de pier gentile dalla pergola. C. mor. mer. la Cessa dextra col
segno ducale CI
Gentile de Cesano da Cagli. C. ba. co. co. g. negre CI
Stella de domenico de sancto Angelo in vado.C sag. diy signi de foco alla
^amba dextra CI
Johi de franco de S.to Angelo in Vado. C bru. maltento: mer. in la Co.
dex. cotto alla Tur CI
Nicolò de Bartho de fossambruno. C br. mal. tento CI
Thomaso de Cater.o dela Smig. C. ba. stel. infron CI
Octa Viano de Carlo castracane. C mor. mer. lacossa dex. drieto. . C 1
Biasio da frontino. C mor. mer. la co. dex CI
Marino de Gratioso da Montecchio. C li. mor. la cos. dex. co. longa. muso
negro CI
Ant.o de Jo. de S.to Stepho. G. ba. stel. infron CI
Johanbba. de Alex.o da cagli. C. saginato CI
Buccio de Michele da Cagli. C. liar. morf. in le nare vno signo de foco in la
cessa dex CI
Paulo de Domeniche da Arimini. C br. mal tento una ferita in la gola. C 1
Jo. Anto de Gabriele da Cagli. C ba. mer. in la Cessa dex. co. co. gambe
negre CI
Barella de Adam de Cantiano. C sag. mer. in Cessa dex. pel. bianche in
la testa CI
Federico de martino Tedesco. C b. stella infron. betta de foco in la Cessa
dex CI
Saccocha de miss, pirro da Cagli. C sag. rosso bai. del stanco drieto. C 1
Cecco' de Archangelo da Cagli. C. ba. saure sfa. mer. la ce. dex. ..CI
Benedecto de Johann! de mantua. C. ba. balzano, el sinistro drieto. ce. co.
g. negre CI
Aleysi de pietre Anto da piasenza. C sag. rosse, sfa. bai. dal sinistro
drieto CI
Mase de Nicola de Vrbino. C sag. rosso cotto alla Turchesca ..CI
Donato de Johann! de Serazana. C liar. morf. CI
Franco de Alberthe da Verena. C ba. bai. da f. sfa. CI
Marco de Menge da Mentaleeno. C morello focato in la Cessa
dextra CI
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IX.
(T. libro Bccondo, Introduxion*, pag. 139, 457 e agg.)
' Submissio Civitatis Pisarum.
(Firenze. Archivio della Repubblica. Novarum Submiisìonum, lib. i, classe xi
dist. T, n. 48, CapUoU; nam. mod. 52).^
In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Jesu Ghristi ab ipsius
salutifera incarnatione millesimo quingentesimo nono more fiorentino,
indici XII, et die quarta mensis Junii. Actum in loco solite Residentie
infrascriptorum magniflcorum Dominorum Decem Balie, presentibus te-
stibus ad infrascripta omnia et singula vocatis, habitis et rogatis, vi-
delicet
Domino Tommasio Domini Jacobi Antoni! de Buchio de Gaeta
Dno Hercule Angeli de Salterei lis de Ferrarla
Dno Obizo Lodovici de Obizis de Padua, et
Ambrosio Pacis de Ferrarla: Florentie commorantibus ; et
Domino Marcello Virgilio primo Secretarlo Excelse Dominationis
Fiorentine, et
Nicolao Diii Bernardi de Machiavellis etiam Secretarlo Dominationis
prefate, et
Biasio Bonaccursii, Philippi Blasii Cive Fiorentino,
Pateat omnibus evidenter, qualiter infrascripti egregii viri, vide-
licet
Dnus Franciscus olim Federici de Lanthe, Jur. utr. Doctor
Jacobus olim Laurentii de Ancroia
Franciscus quondam Johannis de Torto
Jacobus olim Cristophori de Testa, et
Ser Tommas olim Meuccii de Monte Magno, Cives Pisani, et
Matteus Gaddi de Sancto Prospero
Antonius olim Bartolomei de Sauna de Mezana*
* Flaminio dal Boroo nella «uà Raccolta di scelti diplomi pisani, Pisa, 1765, pajr. 406-428,
pubblicò questa capitolazione secondo il testo pisano del notato Pietro d'Arrostino degli Apo-
stoli (V. Bibl. Naz,, Doc. M., b. iv, n. 130); noi non credemmo inutile pubblicarne 11 testo
fiorentino di ser Francesco d'Ant. Ottaviani, principalmente perchè oltre la niuna fedeltà
nella grafia dell'edizione pisana, gli svarioni che sfuggirono alla perspicacia del Dal Borgo
rendevano affatto indispensabile una ristampa di questo importantissimo documento. Noi, ciò
facendo, ci occupammo di rilevare in nota le discrepanze più sostanziali fra l'edizione prima
e 11 testo fiorentino, segnando con asterisco le parole omesse nel testo pisano. Questo fu pro-
babilmente prodotto dal Dal Borgo .sopra una copia fatta sull'originale da Gio. Sancasciano,
Dottore e Cancelliere della cittÀ di Pisa nell'anno 1548; la quale trovasi in un suo Repertorio
che ora si conserva nell'Archivio pisano. Del resto gli studiosi della storia, paragonando la
pubblicazione presente e quella del Dal Borgo, giudicheranno se non può dirsi che ora
soltanto la Submissio cicitatis Pisarum comparisca In quella forma che è per la scienza
storica desiderabile.
* Flamirio dal Borgo, Diplomi pisani, 406: •• Bartholomei del Zanna «.
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686 APPENDICE.
Tommas Bartolomei Malasoma de Sancto Justo, et
Carolus Johannis Bandecha de Oratorio, Comitatus Pisarum
Facientes omnia et singula infrascripta, ut et tanquam Sindici et
Procuratores, et siiidicario et procuratorio nomine comunitatis, hominum
et personarum, et totius populi Civitatis Pisarum, prout de eorum sin-
dicatu et mandato constare vidimus per * * pubblicum Instrumentum
manu mei Ser Petri de Apostolis notarii pubblici Pisani infrascripti
sub die vigesima secunda mensis Maii proxime preteriti: Constituti
personaliter coram spectabilibus viris
Nicolao Alexandri de Machiavellis,
Gerardo Bertoldi de Corsinis,
Laurentio Mattei de Morellis,
Antonio Averardi de Serristoris,
Dominico Bernardi de Mazinghis,
Angelo Laurentii de Carduccis,
Joliachino Blasii de Guasconibus,
Zenobio Bartholomei del Zaccheria et
Andrea Johannis de Pieris,
novem ex decem ufflcialibus Balie Excelse Reipublice et Populi Fioren-
tini, absente spectabili viro Antonio Nicolai de Filicaria eorum in dict4>
officio collega, in predictis tamen novem integra et totali auctoritate,
potestate et balia totius dicti officii remanente et consistente, et per
absentiam ipsius Antoniì in nìhilum diminuta, dicto sindicario et pro-
curatorio nomine. Ad laudem, honorem et gloriam Summe et Individue Tri-
nitatis humiliter et reverenter petierunt sese dicto nomine etdictam Civi-
tatem et Populum Pisanum recipi et acceptari in veros subditos obe-
dientes et subiectos prefate excelse Reipubblice et Populi Fiorentini tan-
quam veri et unici Domini diete Civitatis et Populi Pisani, et eius Terri-
torii, Forzie : et districtus : et sic sponte, et ex certa eorum scientia et
animo deliberato, et non per aliquem iuris vel facti errorem, et omnì me-
Mori modo quo potueruni piene, libere et in perpetuum, subiecerunt et
submiserunt, concesserunt et trastulerunt diete, * et in dictam exoelsam
Rempublicam et Populum Florentinum, et dictis et in dictos Magnificos
Dominos Decem Balie presentes, et prò, et vice et nomine diete ex-
celse Reipublice et Populi Fiorentini : citra tamen novationem et sine
aliquo preiudicio iurium eidem excelse Reipublice et Populo Fiorentino
in, de, vel supra dieta Civitate Pisarum et eius Fortia et districta
hactenus quandocumque et quomodocumque ^ acquisitorum, recipientes
et acceptantes dictam Civitatem Pisarum, et eius homines et personas
et ipsorum descendentes et posteros in perpetuum, et cum tote eius
populo, fortilitiis, iuribus, jurisdictionibus, * auctoritate, potestate, do-
minio, gubernatione, regimine, custodia, mero et mixto imperio et
gladii potestate, et aliis quibuscumque universaliter, particulariter et
in solidum, cum infrascriptis tamen pactis, capitulis, benefìciis * et aliis
^ Le parole notate con OAt^risco mancano nella edizione del Dal Bokoc
* Dal Borgo: •dieta».
» Ed.
* Ed.
» Ed.
*■ quodcumque «.
' luri.sdlctlone ».
• beneflciis, capitulis •
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APPENDICE. 687
infra particulariter, * vulgari tamen sermone descriptis et adnotatis,
et ultro, citroque legitime et solemniter inhitis et flrmatis. Quano
quidem Civitatem Pisarum cum omnibus et singulis juribus, Forti-
litiis et pertinentiis suis prefati Sindici et procuratores constituerunt
sese dicto nomine de cetero tenere et possidere prò, et vice et nomine
prefate Excelse Reipublice et Popoli Fiorentini donec diete Civitatis
et jurium fortilitiorum ^ et pertinentiarum eius possessionem acceperit
corporalem; quam ex nunc accipiendi, intrandi et prò ipsa Excelsa
Republica et Populo Fiorentino perpetuo retinendi eisdem Magnificis
Dominìs Decem dictis nominibus^ licentiam liberam et omnimodam
dederunt et contulerunt: promittentes insuper prefatis magnificis Do-
minis Decem presentibus, et, ut supra, stipulantibus, recipientibus, et
accep tanti bus, perpetuo fore devotos, subditos, fldeles et obedientes
prefate Excelse Reipublice et Populo Fiorentino,* et eidem et eiusdem ^
Rectoribus, ofBcialibus et Magistratibus in cunctis perj^gendis fideliter
obedire, et ab huius modi subiectione, submissione ed obedientia ullo
unquam tempore in futurum non deviare, nec aliquam aliam Reipu-
blicam, comunitatem, * populum, baronem, dominum, Regem vel Prin-
cipem ecclesiasticum vel secularem cujuscumque gradus, status vel di-
gnitatis etiam supreme existat, in superiorem recognoscere, acceptare
vel habere.
Qui quidem Magnifici Domini Decem Balie vice et nomine prefate
excelse Reipublice et Populi Fiorentini, et prò ipsa excelsa Republica
et Populo Fiorentino, et laudem et gloriam omnipotentis Dei et Beati
Johannis Baptiste advocati, patroni et protectoris diete excelse Reipu-
blice et Populi Fiorentini et ad exaltationem et augmentum honoris,
status et libertatis prefate Excelse Reipublice et Populi Fiorentini, et
prò extermi nio inimicorum eius, et ad perpetuam pacem et quietem
diete Civitatis et Populi Pisani: supradictam submissionera, et omnia
et singula supradicta,^ citra tamen novationem, et sine preiudicio
aliorum jurium ut supra, omni meliori modo quo potuerunt, recepe-
runt et acceptaverunt, cum beneflciis, immunitatibus, exemptionibus,
gratiis, oneribus, pactis, capitulibus, ^ modis et conventionibus infra-
scriptis, de quibus cum supradictis Sindicis et procuratori bus, dicto
nomine, legitime et solemniter convenerunt, et que sunt ista, vulgari
tamen sermone:
Videlicet:
I. In prima che ogni et qualunque iniuria da dì 9 del mese dì
novembre 1494 al modo fiorentino inclusive in qua per insino al pre-
sente di, fatta da Cittadini et Contadini Pisani a Signori Fiorentini, et
cosi al pubblico come al privato, s* intenda essere et sia totalmente
rimessa, né di quella^ si possi in alcuno tempo ricognoscere, et ogni
pena, tanto di ribellione, hanno a condennatione, quanto altra emanata
da qualsivoglia decreto o deliberatione d'epsi Signori Fiorentini, o
l Ed.: - partloularltatibus ".
« Ed.: - fortllitlarum -.
8 Ed.: - dicto nomine -.
< Ed.: • ejus «.
* Ed. : ■ predieta -.
'5 Ed.: - capltulls ".
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688 APPENDICE.
altro loro uficiale, o magistrato per qualunque causa si sia, o di pro-
vocatione in libertà, o altra, insino al presente di, s' intenda essere et
sia nulla, et in tutto irrita et cassa. Nella quale remissione dMniuria
s' intendine anchora essere et sieno compresi Nofri del Moscha, Gio-
vanni Ghaetani, * Gregorio Orlandi et Tonuccio di Dogio da Chasciaula,
et etiam tutti quelli Cittadini* o Contadini* Pisani che per li Priori di
Pisa saranno fra due mesi proximi futuri dichiarati essere compresi,
non passando el numero di sei oltre a sopradetti. Non ostante che in-
nanzi a Tanno 1494 chaschassino in preiudicìo: et cosi s* intenda essere
et sia rimesso ogni danno, interesse et spesa per decti Signori Fioren-
tini patiti • 0 da patirsi per causa di detta provocatione et guerra in-
fine a qui successa.
II. Item che la decta Città et Comunità di Pisa possi per Tadve-
nire fare et deputare quelli priori, o vero Anziani, collegi et consiglio,
quali, et come. poteva innanzi al decto anno 1494, con questo anchora
che decti Priori durante il loro Uflcio non possine per alcuno debito
Civile, cosi publico, come privato, essere gravati o molestati persona-
liter^ vel in bonis.
III. Item che a detti Pisani s intendine di nuovo essere et sieno
concedute in perpetuo quelle gabèlle, o vero tasse, le quali et come
solevano avere innanzi al decto anno 1494, et etiam quelli deschi da
becchai che innanzi al decto anno 1494 s'appartenevano al Comune di
Firenze, maxime per supplire alle spese che occorressino per conto di
decto loro Priorato: et inoltre anchora s'intenda essere et sia con-
cessa a decti Cittadini Pisani per tempo et termine d'anni quindici pro-
xime futuri la gabella o vero tassa del vino della decta Città di Pisa,
maxime per poter satisfare a debiti* che dal decto anno 1494 inquà«
la decta Città di Pisa havessi contratto.
IV. Item, atteso che la Comunità di Pisa ha per debiti * suoi
alienato la gabella o vero tassa delle misure et del suggello con pacto
di poterla ricomperare a suo beneplacito^ s'intendine per da bora tali
alienationi essersi potute farcy dummodo nondimeno che la Comunità
di Firenze possi ricomperarle, et cosi per da bora decti Sindichi et
Procuratori cedono a detti Signori Dieci in detto nome le ragioni ad
dette Comunità di Pisa competenti, del • potere ricomperare tali tasse
di misura et suggello.
V. Item per poter mantenere et ampliare el Monte della Pietà
el quale detti Pisani hanno incominciato, s'intenda essere et sia con-
cesso a detti Pisani per tempo et termine d'anni quindici proxime fu-
turi la gabella di denari duo per Lira, di tutto quello che durante detto
tempo si pagherà di ^ gabella di tutte le mercatantie * che si mette-
ranno et si sghabelleranno per Pisa, ma non di quelle che quivi si met-
teranno per passo: et così per quelli che durante detto tempo paghe-
i Ed.: > Galani •.
■ Ed. : - patito -.
• Ed.: «personalmente*.
« Ed.: - al debito «.
• Ed.: • per I debiti -.
• Ed.: • di «.
' Ed.: • la ».
• Ed.: > mercanzia >.
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APPENDICE. 689
ranno dette gabelle, si debbino pagliare di più detti denari dua per
Lira: dovendosene per quelli a quali s'apparterrà tenere particolare
et diligente conto, rimettendosi almeno ogni dua mesi a detti Pisani o
a chi per loro sarà a ciò deputato, tutto quello che per conto di detti
danari dua per Lira si sarà preso. Et inoltre s'intendino per ogni tempo
advenire renduti alla detta Comunità di Pisa i beni, entrate et governo
della Misericordia di Pisa nel modo et forma che soleva avere innanzi
airanno 1484,* nel quale tempo, o poi, furono levati loro. Dummodo
* Ed.: •» mille quattrorentr) novantaquattro ».
Qiiest& samanxiale variante nel testo fiorentino dairedlztone pisana del Dal Borgo ci
fu cagione di ricerche non lievi, per poter riuscire ad appurare quale delle due lezioni fosse
non già la preferibile per cervellotiche analogie, ma la vera secondo I fatti. Che se il ma-
noscritto fiorentino a questo punto non fosse di una chiarezza e di una certezza indubita-
bile, se non si fos«e trattato d'un atto propriamente autentico e In cui è difficile si la.scl In-
trodurre e si conservi una s4mile maniera d'errore; facilmente si potrebbe essere Inclinati
a credere che il Dal Borgo dovesse aver ragione, recando Tanno della ultima ribellione di
Pisa, l'anno In cui que**ta sfuggi a' Fiorentini, il novantaquattro, come il termine al quale
era necessario nlpristinare Immediatamente le cose tutte, e però anche l'amministrazione e
I redditi dell'Opera della Misericordia pisana. Ma polche gli Statuti di Pisa,\\ Breve pisani
Comuni» (v. t. Il, ed. Bonaini, pag. i2. 261 e segg.) consideravano le coso di questa frater-
nità con un'importanza e diremmo quasi, con una passione e una gelosia tutta comunale;
Inculcando •» qiod domus de Misericordia fratrum penitentie clvltatis pisane, qui Plnsocull
nominantur. sita in Cappella Sancte Trinitatls et alle domus, per Pisanorum potestatem,
Capitaneum et Antianos pisani populi, defensetur ab omni Iniurla et molestia; et quod non
patiantur ipsam domum et possessiones ab aliquo vel aliqulbus occuparl. et occupantes, de
facto et de juro ejcere -, ci venne In pensiero che potesse dopo li 1484, In seguito dell'op-
pressione fiorentina, o un qualche illegittimo occupatore de' beni essere giunto a manomet-
tere Il patrimonio della pia fratellanza, o una qualche deliberazione del governo di Firenze
aver tolto di mano al potestà, al caplt^ino ed agli anziani l'amministrazione de' beni del-
l' Opera; o che il privilegio di cui questa godeva sulla dogana del sale • quod posslnt et
debeant habere a dovaneriis dovane saiis pisane clvltatis singulis quatuor menslbus starlum
unum salls • le fosse stato dopo quel tempo revocato. Epperò era supponibile che al Pisani
potesse pi'emere davvero che le cose della Opera della Misericordia fossero realmente re-
stituite nella condizione In cui erano circa Tanno 1484. Lo ricerche fatto a conferma di
queste nostre ipotesi nell'Archivio fiorentino non davano nulla che giustiflca.sse siffatte con-
clusioni. Coadiuvati pertanto dalla cortesia del signor prof. Clemeistb Lupi, cui ci gode
l'animo d'attestare in questa occasione la più viva riconoscenza, ci facemmo a proseguire
le nostre Indagini fra le carte e le pergamene del R. Archivio pisano, relative alla pia casa
della Misericordia. / Partiti e Deliberazioni del comune di Pisa mancano dall'anno 1471
al 1487; e però nessun lume potemmo attingere a questi; ma I libri d^entrata e d'uscita^
le vacchette, lo pergamene della detta confraternita, ci dettero sufficiente argomento per
giudicare delle gravi peripezie che le politiche lotte e le partigianerie vili cagionarono anche
allora agl'istituti caritatevoli e al patrimonio de' poveri. Nel 1455 i Priori della città di
Pisa avevano dovuto impetrare dalla Signoria di Firenze che l'amministrazione della casa
di Pisa posta nella carraia di Sant'Egidio venisse resa loro, a tenore delle riformagloni e
degli ordini della casa medesima; che I redditi ne fossero spesi secondo la volontà del
testatori e non Isvolti ad altro fine. Poi nel 1481 novamente supplicarono che que' beni
lessero ritolti alle mani degli ingiusti occupatorl, che l'amministrazione ne fesse resa al
• divoti sudditi priori di Pisa*. E nell'ottantadue finalmente compaiono sulle carte sei go-
vernatori dell'Opera: tre fiorentini e tre pisani; ma 1 fiorentini ne' verbali Ae* Partiti e De-
liberazioni vengon sempre Indicati per primi, e fiorentino in quell'anno medesimo erane II
camerlengo. Il notaio datava gii atti .«econdo lo stile fiorentino e pisano insieme; ma,
quel che più monta, il conduttore de' paschi e pasture di proprietà della Misericordia •« poàte
in con/Ini di Cattelnuooo con sue appartenentie • era Lorenzo de' Medici. Altra volta
c'Incontra essere Jacob di Bartolomeo de' Petruccl di Siena: cosi I faziosi Imbavagliavano
la carità; e per questa china le cose della fratellanza grado a grado precipitarono finché
male rivendicatasi Pisa in libertà sotto l'egida d'uno straniero, la guerra estrema In cui
consumò l'ultime forze sue assorbì anche i redditi dell'Opera pia; si che nel libro dell'En-
trata di Jacopo del Testa (15(13-1504, n. 15, n. xxvi) apertamente si afferma che la città
traeva l'entrate sue principalmente •» da' salvacondotti degli uomini di Casteinuovo della
Misericordia", della Castellina e di altri luoghi pli. — Pertanto se ne' capitoli della pro-
pria sottomissione, Pisa domandò ed ottenne che le cose della Misericordia fossero ri-
messe in quella condizione In cui si trovavano l'anno 1184. è ceri» che non si lusingò di
rlcondurle al tempo In cui erano nel loro stato più florido, ma che, avuto riguardo all'at-
tuale sventura, poteva considerar quell'anno come un termine medio' fra II male più pro.ssimo
e il bene più remota, a guarentirle dalla ricaduta In una sorte peggiore. A queste probabilità
eravamo arrivati raziocinando, quando per ventura avemmo anche nelle mani un documento
Irrefragabile per definire con certezza la controversia circa la dubbia data. Un apografo di
questo articolo V della capitolazione di Pisa che trovasi fra le Pergamene della Misericordia
(R. Arch. Pls., Diplom. Miser,. 1509. giugno 4) di man di Battista di Giovanni da San Cas-
slano • civis pisanus apostolica et Imperiali auctorltate Judex ordlnarlus et notarlus pub-
ToMMASiNi - Machiavelli. .14
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d90 APPENDICE.
nondimeno che per detti Pisani si abbia a provedere che i detti de-
nari dua per Lira si convertine in utilità del detto Monte della Pietà,
et ^ dette entrate della Misericordia si distribuischino nel modo et forma
et in quelle cose che da principio fu ordinato, et non in altro in al-
chuno modo.
VI. Item che i Sig." Fiorentini non possine per alchuno tempo
ad venire imporre nuove gabelle, né le antique crescere in preiudicio
d'epsi Pisani : et che per tempo e termine d'anni dieci proxime futuri
i decti Pisani babbi no a pagare solamente la metà della solita gabella
delle grasce, et non più. Dichiarando che sotto nome di grasce non
s'intende la gabella del vino, farina, olio et bestiame da macellare.
VII. Item che per lo advenire detti Pisani habbino a pagfaare al
Comune di Firenze el sale solamente ad ragione di tre quattrini bianchi
la libbra et non più.
Vili. Item che per ogni tempo advenire i Signori Fiorentini non
possine imporre a detti Cittadini Pisani alchune gravezze, balzelli, im-
poste, achatti, né alchuna altra sorte d'Angharie per quale si voglia
causa la quale escogitar si potesse, ma ne siano detti Cittadini Pisani
totalmente liberi, exempti et immuni; et etiamdio da ogni factione di
Comune, excepto però che dalle factioni personali che per conto della
guerra occorressino * per la difesa della detta Città di Pisa. Né pos-
sine essere costretti a tenere, o vero allogiare soldati o gente d'arme
nelle case delle loro proprie habitationi, tanto della Città quanto del
Contado dove familiarmente habitassino. Questo però dichiarato, che
da venti anni proxime ^ futuri in là, siano tenuti detti Cittadini Pisani
a paghare ognanno al Comune di Firenze la metà della tassa ch'erano
obbligati paghare l'anno 1494, ch'era fiorini ottocento d'oro in oro larghi,
che si reduchano a fior. 400 d'oro in oro larghi l'anno. Dovendo pa-
ghare tale metà, cioè F.» 400 d'oro in oro larghi in due paghe l'anDO,
cioè ogni sei mesi fiorini 200 d'oro in oro larghi al Camerlingo del
Monte di detto Comune di Firenze, sotto pena del quarto più di quello
che a debiti^ tempi non si paghasse: et non ostante le cose predette,
Siene tenuti et obligati decti Cittadini Pisani ognianno, cominciando
questo presente anno, a offerire alla Chiesa di San Giovanni di Firenze,
per la festa di detto Santo che é del mese di giugno ogni anno il palio
della qualità di che et come erano obligati offerire innanzi al detto
anno 1494: et che da ogni debito el quale decta Città di Pisa per conto
di * decto palio havesse infine al presente di * contratto, s' intenda essere
et sia decta Città di Pisa al tutto libera et absoluta.
IX. Item, che al Comune di Pisa, Luoghi Pii, Arte et private per-
sone di qualunque grado si sieno s'intendine essere et sieno conser-
vati, 0 vero di nuovo concessi tutti i loro privilegii, ragioni et iuris-
dictioni le quali et come havevono innanzi al decto anno 1494.
blicus -, A la data « domlnlce InrarnattontR anno millesimo qulngentesimo deoimotertlo, In-
dlotlonc prima, die vero quintadecima mensis decembris, stilo pisano «. — È pertanto del-
l'anno {TA\ e reca a questo modo l'Indicazione dell'anno controverso: • innansi alCo anno
uccccLxxxiliJ nel qual tempo o poi furono leuati loro •, onde la questione è risoluta.
1 Kd.: • per dette ».
■ Ed.: • accorressero •».
• Ed.: • prossimi •.
* Ed.: - detti ».
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APPENDICE. 601
X. Item, che decti Cittadini Pisani possine, per * ogni tempo ad-
venire nella decta Città di Pisa lavorare et far lavorare quelli panni
et di quelle lane, i quali et delle quali possono, o potranno lavorare e
far lavorare i Pistoiesi in Pistoia, et altri del Dominio Fiorentino nelle
terre et luoghi loro. Possine etiandio in decta Città di Pisa lavorare
et tigner* berrette di qualunque colore; et etiam possino in decta Città
di Pisa fare et far fare ogni altra arte et exercrtio, excepto che Drappi
di seta et .il * battiloro. Dovendosi anchora per i Signori Fiorentini pro-
vedere, et cosi per * da bora s' intenda essere et sia prò veduto che da
due anni in là nel contado di Pisa non si possi conciar choiame ^ d*al-
chuna ragione, ma che il choiame ^ si debba chonciare nella Città di
Pisa come si faceva innanzi al decto anno 1494: non si potendo ad al-
chuno prohibire el fare, o far fare alchuna di decte arti, et questo ma-
xime a fine che decta Città di Pisa sia benefichata et restaurata, et
possa riempirsi di Lavoranti ^ et habitatori.
XI. Item, che tutti gli Statuti, cosi della Città come del Contado
dì Pisa i quali si observavano * Tanno * 1494 * s' intendine essere et sieno
di nuovo concessi, confermati et approvati, et debbinsi per ciascuno
attendere et observare nel modo et forma, et come si observavano in-
nanzi al mese di Novembre di detto anno 1494. Stando etiandio ferma
l'autorità et potestà cosi a detti Cittadini come Contadini ^ Pisani di
potere fare nuovi Statuti al loro beneplacito e quali vaglino et obser-
vare si debbino si* et poi che saranno stati aprovati in Firenze se-
condo gli ordini et Statuti Fiorentini, et non altrimenti.
XII. Item che la decta Città et Popolo Pisano debbi ricevere et
acceptare quelli Rectori, Uflciali, Uficii et Magistrati, i * quali, et come
dalla Excelsa Repubblica et Popolo Fiorentino vi saranno deputati et
ordinati; el salario de quali si debba paghare per la decta Excelsa
Repubblica et Popolo Fiorentino. Questo etiam dichiarato che qualunque
Cittadino o Contadino Pisano sarà condannato ad mortem o in mu-
tilation di membro, o da lire trecento in su, possa appellare ai Magni-
fici et Excelsi Signori, Collegii et Dieci della Città di Firenze: et va-
cando el Magistrato de Dieci, ai Signori et* Collegii et quello Uflcio o
Magistrato che in luogo di detti Dieci succedessi; et non succedendo
in luogho loro alchun'altro, ai Signori, Collegii <^ et Otto di Guardia o
di Balia di detta Città di Firenze. La quale appellatione si debba in-
terporre infra tre di continui dal dì della data et notificata sententia
proxime^ futuri: et basti interporre decta appellatione al Banche della
Ragione dove tale sentenza sarà stata data, et in absentiadi chi Fharà
data, e nel palagio della solita residentia de Signori Fiorentini. Et
infra tre di continui dal di di tale interposta appellatione proxime^
futuri, si debbi presentare tale appellatione, et il libello appellatorio
dinanzi a detti giudici d'appellatione. Et quando non fussino colle-
1 Ed.: - In -.
* Ed.: - toner ».
* Ed.: » corame •.
* Ed.: « lavoratori et abitanti «•.
* Ed : « contadini come cittadini ".
** Il Dal Boroo ripetutamente: •> Signori Collegi ^.
' Ed.: « i»ro.sslniI ".
** Ed.: » prossimi •.
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°92 APPENDICE.
gialmente ragunati* basti che tale appellatione et libello si dia et
si presenti al notaio d*epsi Excelsi Signori, o suo coadiutore, et che
epsi Excelsi Signori commettino la citazione* della parte adversa
quando vi fussi ad contradire et* far quello che in tale causa d*ap-
pellatione fussi di bisogno: potendo similmente epsi Excelsi Signori soli
acceptare ogni scriptura, et assegnare ogni termine et dilatione, et fare
ogni interlocutoria che in tale causa occorressi: ma nel giudichare et
terminare difflnitive tale causa d*appellatione debbino detti Magistrati
ragunarsi nel decto Palagio collegialmente et in numeri sufficienti: et
ogni sententia o ^ deliberatione che in tale causa d*appellatione si darà
0 si farà si debba ottenere almeno pe'* due terzi delle fave nere di
detti Magistrati che alla decisione di tale causa interverranno, doven-
dosi ogni tale causa d'appellatione decidere et terminare infra quindici
di continui dal di della presentata appellatione et dato libello appella-
torio proxime^ futuri. Potendosi in tali cause procedere, sententiare, ^
decidere et terminare summarie et de plano, et sine strepitu et figura
iudicii, et omni iuris et statutorum solemnitate omissa, et come alla
conscentia di chi bara a giudichare liberamente parrà et piacerà: et
tutto quello et quanto, et come in tali cause d*appellatione sarà giù-
dichato, determinato et facto, vaglia et tengha, et da ciaschuno si debbi
inviolabilmente observare: et se per detti Magistrati infra detti quindici di
non si giudi chassi cosa alchuna, s* intende essere et sia quello che fussi
stato condannato libero et absoluto dalla sententia dalla quale si fussi appel-
lato, et da ciò che in quella si contenessi: dichiarando però che innanzi
che tale appellatione et libello appellatorio si accepti, si debbi dichia-
rare per li Priori et Collegii di Pisa, o per i due terzi di loro, che quel
tale che volessi appellare, possi appellare et non altrimenti. Dichia-
rando anchora che in detti casi possi appellare non solamente il con-
dennato, ma etiandio uno terzo per lui, etiam se^ fussi confesso et con-
vincto ; et che pendente tale appellatione, la executione della prima sen-
tentia s'intenda essere et sia sospesa, et fare non si possi.
XIII. Item che i Pisani habitanti nella Città di Pisa et suo Con-
tado, et in quale si voglia altra parte del mondo, godine sicuramente
i loro beni mobili et immobili, et di quelli possine disporre* ad ogni
loro beneplacito:® et similiter possine stare et partire et ritornare ad
decta Città et Contado di Pisa, tante volte quante, et come alloro parrà
et piacerà; né se li possa usare forza alchuna in contrario: il che
etiam *o s'intenda per quelli che al presente volessino partire di Pisa
avanti lo ingresso de' Signori Fiorentini.
XIV. Item che tutti quelli Pisani che si vorranno partire possine
liberamente partirsi e portarsene i loro beni mobili; et volendo vendere
ì loro beni immobili lo debbino dichiarare infra due mesi proxime fu-
1 Ed.:
• adunati -.
• Ed.:
•• le citazioni ••.
• Ed.:
• e ".
* Ed.:
• per -.
» Ed.
- prossimi ■.
« Ed.:
• e ",
» Ed.:
• che ».
• Ed.:
• dlsponere ».
• Ed.:
- piacimento -.
10 Ed.:
• e ».
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APPENDICE. C93
turi, alloro beneplacito, alli Excelsi Signori Fiorentini, o al magistrato
de Dieci : et in tal caso el Comune di Firenze sia oblighato ad compe-
rarli per pregio * honesto da dichiararsi per due Cittadini fiorentini
da eleggersi per epsi Pisani, et per uno Cittadino et uno Contadino
Pisani,* al presente habitante^ in Pisa, da eleggersi per detti Excelsi
Signori Fiorentini, o pel decto Magistrato de Dieci, o per tre di detti
quattro d'accordo, et paghare el prezzo di tali beni infra sei mesi dal
di del fatto contratto proxime *■ futuri, et perciò darne sicurtà a detti
Pisani in uno o più delli infrascritti luoghi, cioè, Lucha, Genoa, Napoli,
Roma 0 Lione, o vero in Firenze per cittadini fiorentini ad electlone
d'epsi Pisani fino alla somma di fiorini quindicimila: dummodo che la
Città ^ di Pisa, o altro idoneo mallevadore si oblighi legittimamente alla
difesa, et per la difesa generale et evictione di detti beni, et che per
conto di tali vendite non s' babbi a paghare al Comune di Firenze ga-
bella alchuna.
XV. Item che le vendite, donationi et altre alienationi fatte dal
Comune di Pisa, et per decta causa ogni confiscatione et incorpora^
tiene di * beni * di qualsivoglia pubblico o privato, comunità et univer-
sità vagliano et tenghino né si possino per alchuno tempo rompere o ^
reprobare, salvo però le cose infrascritte, cioè: che le predette cose
nel presente capitolo disposte non s* intendine pe beni, ne comprhen-
dino e beni del Comune di Firenze, né di cittadini fiorentini, origine et
nativitate, né di loro subditi, né di quelli Cittadini o Contadini Pisani
che da quattro anni in qua havessino obedito, o obedissino ai Signori
fiorentini.
XVI. Item che i Cittadini et contadini Pisani i quaìi dall'anno 1494
in qua familiarmente fussino habitat!,'' o al presente habitassino in Pisa
o vi havessino le famiglie loro: non s' intendendo però di quelli che al
presente obedischano a Signori Fiorentini, debitori di Fiorentini, origine
ot nativitate, o di loro subditi; non s'intendendo per subditi i Conta-
dini del Contado di Pisa: salvo etiam quello ^ che di sotto si dirà,
s'intendine essere et sieno liberi et absoluti da ogni et qualunque de-
bito, di qualunque somma in qualunque modo, o per qualunque causa,
per denari, et per ogni et qualunque robe date o ricevute di qualunque
sorte et in qualunque modo, et sotto qualunque nome a epsi creditori
appartenessi,^ etiam se tale credito fusse ceduto et transferito in altri,
0 effettualmente *<> ad altri si appartenessi dall'anno 1490 inclusive al
modo Fiorentino in qua, contratto et fatto in Pisa, o in altro luogho del
Dominio Fiorentino. Et per i debiti contratti da detto anno 1490 exclu-
sive innanzi, s'intendìno bavere et habbino detti Cittadini et Contadini
Pisani quattro anni di tempo ad pagarli, duranti i quali quattro anni
» Ed.:
• a prezzo «.
•* Ed.:
- pisano ».
- Ed.:
• abitanti -.
* Ed.:
" prossimi ".
fi Ed.:
■ comunità «.
« Ed.:
• né -.
• Kd.:
> avessero familiarmente abitato e fusaero abitati «.
» Ed.:
- quelli ".
• Ed.:
•• appaitenersi ».
»« Ed.:
« efifettivaroente ■.
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òdi appendici: .
non possine per tali debiti, directe vel indirecte, per modo alchuno
essere personalmente o in beni molestati o inquietati, et che dall'anno 1494
in qua, et etiam per il decto tempo d'anni quattro non possa essere
domandato loro, per cagione di tali debiti, interesse alcbuno. Et che i
Fiorentini, origine et nativitate, et loro subditi debitori de detti Citta-
dini 0 Contadini Pisani per alchuno debito per qualunque causa et fatto
qualunque nome dal decto anno 1490 inclusive in qua * contratto et fatto
in Pisa, o in altro luogho del Dominio Fiorentino, non possine per yia
recta o indirecta, né sotto alchuno quesito colore essere convenuti, o
per modo alchuno molestati personalmente o in beni da detti Cittadini
0 Contadini Pisani per conto e causa di tali debiti, ma s' intendine tali
crediti di decti Cittadini et Contadini Pisani, totalmente et piene iure
appartenere, et così appartenghino; et le ragioni di quelli essere, et
cosi Siene per da bora, cedute et transferite al Comune et nel Comune
di Firenze, in modo che in effecto el decto Comune di Firenze possi tali
debiti per sé et ad sua utilità et commodo risquotere et di quelli libe- ,
ramento fare et disporre a sue piacere, et* come harebbone potato
fare et disporre detti Cittadini et Contadini Pisani innanzi alla presente
concessione et capitulatiene. Dichiarando però che quando il fiorentino
e sue subdito fusse in una mano debitore, et in un'altra creditore, possi
per la concorrente quantità compensare il debite col credito: et con
questo anchora che tale concessione non s'intenda per quello di che |
decti Cittadini e Contadini Pisani fussino creditori del Monte del Co- '
mune di Firenze per cagione di dote.
XVII. Item che ogni debito che havessi la Comunità di Pisa, o
Cittadini particulari di Pisa, e * Contadini * al presente habitanti in Pisa,
col Comune di Firenze o sua uficii et magistrati, e la Comunità di Pisa,
con Uficii e Magistrati e altri Cittadini particulari di Firenze, * s'in-
tenda essere e sia finito et casso, nò mai per alchuno tempo se ne possi
cognoscere.
XVIII. Item che i Cittadini et^ Contadini Pisani habitanti al pre-
sente, come di sopra in Pisa, non possine a Fiorentini, né i Fiorentini a
detti Pisani al presente familiarmente habitanti in Pisa, in alchuno
tempo demandare beni mobili, né frutti, né altri preventi di beni im-
mobili da di Nove del mese di Novembre 1494, al modo Fiorentino, in
qua, hinc inde percepti, occupati et presi, e altrimenti pervenuti alle
mani de predetti, in qualunque modo si vegli, e con volontà, o contro
la volontà de Padroni, et che di tal cosa mai in alchuno modo ricono-
scer non si possa; non s'intendendo però le cose predecte nel presente
Capitolo disposte pe^ beni et frutti delle Chiese e altri Luoghi PiL
XIX. Item che la Comunità di Pisa, né Pisani possine esser con-
venuti né astretti in Pisa né in luogho alchuno del Dominio Fiorentino
per causa di Comune, et* qualunque altra che excogitar si potessi, da
di 9 di Novembre 1494 in qua, occorsa da forestieri et Giudei, né da
1 Ed.: ■ in qua inclusive >.
« Ed.: - della cittA di Firenze ».
» Ed.: • o ».
* Ed.: " per ».
• Ed.: » o ».
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APPENDICE. 695
chi per privilegio fussi stato * fatto Cittadino Pisano, civilmente né *
criminalmente: et pe debiti contratti innanzi a detto di nove di No-
vembre s'intendino bavere et habbino ferie per tempo et termine d'anni
tre proxime * futuri : duranti i quali tre anni per tali debiti non pos-
sino per modo alchuno essgre convenuti, o molestati personalmente, né
in beùi.
XX.3 Item che i beni immobili de Fiorentini et loro subditi, et * e
beni immobili de Cittadini et de Contadini Pisani al presente abitanti
in Pisa s' intendino essere et sieno ipso iure restituiti, et i padroni di
quelli s' intendino essere et sieno rimessi nel pristino termine nel quale
et come erano Tanno 1494 innanzi a di 9 del mese di Novembre di detto
anno, non obstante alchuna conflschatione, donatione, vendita, conces-
sione o alienatione fatta di tali beni immobili, le quali per da bora ^ s* in-
tendino essere et sieno nulle, irrite, et casse : intendendosi solamente di
quelle che fussino state * fatte dal publico o a privati * ^ in contumacia
del debitore o vero dello aversario, ma non di quelle che fussino state
fatte d'accordo da privati o in contradictorio judicio, cioè dove la parte
0 suo legittimo procuratore fussi comparito et havessi contradetto. Et
similmente s'intenda essere riservato il dominio et* quasi* dominio*
di tali beni et le ragioni di quello a chi si apartenessi non 'obstante
tale restitutione di beni come di sopra facta. Dichiarando * anchora
che i frutti del presente anno di detti Beni si appartenghino a con-
duttori di quelli per tutto el mese d'agosto proxime futuro, et non più
in là. Con questo però ch'epsi conductori habbino a paghare a padroni
di tali beni el quinto di tutti e grani et biade che si ricorranno per
tutto el mese d'agosto proxime futuro in su tali beni o veramente la
rata dello afitto d'epsi beni che fussi conveniente, rispetto al grano et
i Ed.: • o -.
* Ed.: • prossimi •.
* Dobbiamo alla cortesia del signor cav. C. Corvibib&i la notizia della seguente perga-
mena da lui osservata In Bologna, relativa alKartlcoIo XX della presente capitolazione, au-
tanticata dal Machiavelli:
Cofia di littora de Signori Dieci seripta a éi 90 di Giugno i609 ai Commi88ar\i a Pisa
cioè Antonio da Filicaja Alamanno Salviati et Niccolo Capponi come appare al libro
di loro littera segnato CL a carte 4 cujus tenor talis est. *
Hier aera vi scriTemo quanto ci occorse : questa mattina dipoi sono stati al magistrato
nostro li ambasciatori di cotesta Comunità et tutto se* composto et acconcio in buona forma.
Et circa el capitulo XX. "^ non è accaduto fame altra declaratione o mutarlo in parte
alcuna - però lo farete observare in quello modo che li sta, facendo mectere in possessione
delle cose loro Maestro Carlo da Vechiano, Ruberto di Giovanni d* Alberto et tutti li altri
simili che sono nel grado loro: questo inteso che dall una parte et dall altra avanti si
pigli la possessione rimanghino d*accordo de* miglioramenti ragionevoli fussino stati facti,
che cosi abbiamo judicato esser conveniente et justo : et tanto farete exeqaire. Bene valete.
Ex Palatio Fiorentino die xx.* Junii m.d.viiii.
Passi fede per me Nicholo Machiavegli Segretario de nostri X. Signori come la so-
prascripta lettera fu deliberata e scripta alli prefati Signori Commissari decto dì dali Si-
gnori dieci di libertà e pace della città di Firenze come appare nel libro del loro Ofltio in
quo in fidem me propria manu subscripsi die 20 maij 1509.
Decemviri Ac.
* Ed.: ■ dà per ora •.
< Ed.: « o appuntati •. (!)
' RiMontrata col oopiaI«ttcre orifinale de'X, Mgaato di n. 99, a e. 4t
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696 APPENDICE.
biade che per quest'anno per tutto el * decto mese d'agosto si saranno
ricolte in su tali beni, ad dichiaratione tale rata de li Uliciali soprai
beni de Pisani deputati, o d' * altro Magistrato che circa tal cosa per il
Comune di Firenze se ne deputassi. Con questo anchora che infra quin-
dici dì proxime futuri i Priori overo Anziani di Pisa debbino per loro
partito dichiarare la observantia di tale pagamento cioè o di bavere
detti conductori a pagare el decto quinto o vero habbino bavere la rata
dello atìtto da dichiararsi come di sopra.
XXI. Item che la Signoria di Firenze procuri con - ogni sua pos-
sibile diligentia di far che i Pisani habbino salvocondotto per tempo
d'anni Cinquanta, dal Sommo Pontefice, dalla Maestà del Re di Francia
et dalla Comunità di Siena.
XXII. Item che i Religiosi et Luoghi Pii della Città et contado
di Pisa s' intendine essere et sieno liberi et absoluti da ogni debito che
per conto dello Studio, o per conto di Decime havessino col Comune
di Firenze.
XXIII. Item che i Crediti del Comune di Pisa fino a questo di,
tanto per gabelle, quanto per altro, si appartenghino alla detta Comu-
nità di Pisa, non s' intendendo però de Contadini che al presente habi-
tassino nella 3 Città di Pisa.
XXIV. Item che quelli ì quali innanzi all'anno 1494 fussino
stati fatti Cittadini Pisani, et etiam quelli che dal 1494 in qua fussino
stati fatti Cittadini Pisani, non passando però questi dal 1494 in qua
il numero di quindici ad dichiaratione de Priori, o vero Antiani di Pisa,
da farsi infra uno mese proxime** futuro, s'intendine essere, et sieno
compresi nel soprascripto octavo Capitolo che parla della «xemptione
et factione, non s' intendendo ^ però le cose nel presente capitolo disposte
per li huomini delle Potestarie di Cascina, Vicho et Librafatta*
XXV. Item che e Cittadini et Contadini Pisani habbino tempo uno
mese proxime futuro a sghomberare et relaxare libere et expedite le
cajse de fiorentini che sono in Pisa.
XXVI. Item che e Cittadini Pisani possine per l'advenire fare la
Dote in sul Monte del Comune di Firenze fino alla somma di fiorini tre-
cento larghi di grossi, per ciascuna Dote.
XXVIL Item che tutti i prigioni hinc inde si debbino relaxare.
XXVIII. Item che per ogni tempo ad venire li Signori Fiorentini
non possine imporre ai Contadini delle Potestarie di Cascina, di Vicho
et di Librafatta et* borghi et soborghi di Pisa, e quali al presente
habitano o hanno "^ loro famiglie in Pisa, o sono fuori del Dominio fio-
rentino, de quali infra uno mese proxime futuro ne debbino dare par-
ticulare nota a Magnifici et Excelsi Signori Fiorentini, o al Magistrato
de Dieci, alchune graveze, balzelli, imposte, achatti, né alchuna altra
sorte d'angharie per quale si voglia causa, la quale excogitare si pò-
1 Ed,
• Ed.
• Ed.
« Ed.
» Ed.
« Ed.
» Ed.
■ da •>.
» per ».
« In detta •>.
• pro88Ìmo *.
• s'intendono ■
•• Ri paf ratta *.
» hanno le *.
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APPENDICE. 697
tessi, né etiam salario di Rectori; ma .ne siano decti Contadini total-
jnente liberi, exerapti et immuni, et etiandio da ogni factione di Co-
mune, excepto che dalle factioni personali che per conto della guerra
occorresseno. Questo però dichiarato, che da venti anni proxime futuri
in là sieno tenuti ad concorrere per la rata loro al salario de Rectori
solamente et non ad altro; et etiandio sieno tenuti ognanno, non obstante
le cose predette, cominciando quésto presente anno, ad offerire alla
Chiesa di Sancto Giovanni di Firenze, per la festa di decto Sancto, che
è del mese di Giugno ogni anno, il palio o il cero come erano obligati
avanti l'anno * 1494: dichiarando anchora che alla spesa di decto Palio
o vero cero, debbino concorrere tutti i Comuni che sono nel Pivieri di
S. Casciano et S. Lorenzo alle Corte: dichiarando che il Comune di Ri-
poli per rad venire non sia obligato per se proprio ad offerire palio o
cero alchuno, perchè detto Comune è defuncto: et che dal debito per
conto di decto palio o cero fino al presente di contratto s'intendino
essere et sieno totalmente liberi et absoluti.
XXIX. Item che detti Contadini debbino per Tadvenire paghare
il sale al Comune di Firenze solamente ad ragione di tre quattrini bianchi
la libbra et non più.
XXX., Item che detti Contadini possine portare a vendere per
tutto il Contado et * Distretto * di Firenze et di Pisa, et suo territorio,
tutte le biade et ogni altra cosa che loro proprii richogliessino, senza
paghare alchuna gabella excepto che alle porte * di Firenze et di Pisa;
et quelle non vendendo, le possine ritornare a casa loro senza paga-
mento di gabella, come di sopra. Non s'intendendo però di quelle tetre
o luoghi che per privilegio, capitoli o patti rischotessino le gabelle per
loro et non per il Comune di Firenze, a quali non s'intenda per questo
capitolo in alchuno modo pregiudicare.
• XXXI. Item che quando detti Contadini dal detto Contado et Di-
stretto di Firenze et ^ di Pisa, o loro territorio portassino grasce alle
case loro, non siano obligati a paghare gabella alchuna, salvo nondi-
meno quello che s'è detto nel precedente capitulo circa le gabelle delle
porte* et terre et luoghi privilegiati: il che tutto s'intenda qui essere
ot sia repetito.
XXXII. Item che le tasse di vino et macello di dette tre pote-
starie et borghi et soborgfhi di Pisa s' intendine essere et sieno conce-
dute per ogni tempo advenire agli huomini di dette potestarie; non^
s' intendendo però in tale concessione essere compresa la tassa del vino
et macello del Castello di Cascina et Vicho, et della forteza et borghi
di Librafatta.
XXXIII. Item che decti Contadini non siano obligati a paghare
pigione alchuna delle Case de Pisani pel tempo che di già hanno habi-
tato 0 per uno anno proxime futuro habiteranno: et similmente sieno
liberi dalle pigioni delle case de Fiorentini che fino al presente haves-
Ed.
Ed.
Ed.
Ed.
•• Tanno avanti II mille,
- aHs Corta ». (!)
• o ".
• delle Corte ".
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698 APPENDICE.
sino habitato: le quali infra uno mese proxime futuro debbino sghom-
brare et lasciare libere.
XXXIV. Item che detti Contadini non sieno obligati a pagliare
cosa alchuna per conto delle bestie che havessino haute in alluogho *
0 altrimenti, le quali si fussino morte, perdute o predate in questa guerra,
cioè dall'anno 1494 in qua, ma si ne intendine essere et siano total-
mente liberi.*
XXXV. Item che detti contadini non siano obligati né possino
essere costretti a paghare cosa alchuna per cagione d'afitti o livelli corsi
dall'anno 1494, al modo Fiorentino in qua, et per non bavere paghato
da detto anno in quagl'afitti o livelli non s'intendine essere, nò sieno
decti* livelli richaduti; non s'intendendo però le cose nel presente ca-
pitolo disposte per le Chiese o altri luoghi Pii.
XXXVI. Item che tucte le possessioni et padroni d'esse sieno te-
nuti ad concorrere a tutte le spese et opere che si haranno a fare ad
rimettere e fossi comunali che servissino a tali possessioni.
XXXVII. Item che detti contadini possino tenere tutte quelle be-
stie che parrà loro di qualunque sorte, dummodo non le tenghino ne
luoghi prohibiti et dannosi, excepto quelle che fussino per uso ' pro-
prio della possessione, le quali si possino tenere in qualunque luogo.
XXXVIII. Item che a detti contadini et loro comuni s' intendine
essere preservati tutti i loro confini et jurisditioni.
XXXIX. Item che del legname di qualunque sorte lavorato, il
quale metteranno detti Contadini in Pisa, non habbino a paghare di
gabella se non uno soldo per Lira della stima di tale legname.
XXXX. Item che la gabella de contratti per l'advenire non s'habbi
a pagare per detti Contadini se non ad ragione di danari otto per Lira,
et non altro augumento.
XXX XI. Item che detti Contadini possino fare et far fare t>gni
arte nelle dette Potestarie, borghi et soborghi, le quali siano conve-
nienti a Contadini sanza paghamento d'alchuna matricola. ^
XLII. Item che tutte le condennagioni di danni dati che per Tad-
venire si faranno in dette Potestarie s'appartenghino a quello Comune
dove sarà latto el danno ; et il Rectore che farà et riscoterà tali con-
dennagioni ne babbi bavere soldi dua per Lira.
XLIII. Item che il passo delle barche s'appartenga a quello Co-
mune dove sono, non si pregiudicando però per questo ad alchuno pri-
vato che in su tali passi havesse ragione alchuna, o per se medesimo
bavesse passo alchuno.
XLIV. Item che i paschi et pasture et jurisdictioni che si ap-
partenessìno ad alchuno Comune di dette Potestarie sieno et restino
di detti Comuni.
XLV. Item, che per lo advenire tutti i Forestieri che verranno
ad habitare familiarmente in dette Potestarie sieno obbligati pagare
ognanno soldi venti, cioè soldi dieci a quello Comune dove habiteranno,
et soldi dieci al Comune di Firenze.
1 Ed
» Ed
» Ed.
* Ed.
> alloggio •.
« liberi ed assoluti •
" per l'uso ".
« della matricola ■.
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APPENDICE. 6W
XLVI. Itera che nello Stagno, Arno, Serchio et Fiume morto sia
lecito peschare liberamente ad ciascuno come gli parrà et piacerà, cioè
solamente per il corpo dello Stagno, non pregiudicando alle ragioni che
vi havessino i Luoghi Pii.
XLVII. Itera, atteso in che terraine si trovi per conto del Vitto
la Città et Contado di Pisa et la domanda fatta a parole per gli Am-
basciadori di detta Città et Contado, promettono detti Signori Dieci
per so venirgli in tale loro bisogno, concedere loro la somma di dieci-
mila saccha di grano a soldi quindici lo Staio, cioè a sopradetti Con-
tadini delle dette Potestarie saccha seimila, et a Cittadini Pisani saccha
quattromila.
XLVIII. Itera che tutti i predetti Capituli vaglino et tenghino, et
Inviolabilmente si observino, non obstante qualunque deliberatione, de-
creto, legge 0 reformatione fatta in fino a qui, o da farsi da Signori
Fiorentini, o loro Comunità et Popolo, et qualunque altro loro Magi-
strato et Consiglio sanza el consenso de Pisani, alle quali cose s'in-
tenda per il presente appuntamento derogato, anchora che maggiore
et più speciale expressione et mentione fare si ricerchassi.
Que omnia et singula suprascripta singulis referendo, prefate partes,
videlicet, prefati Domini Decora Balie, dicto nomine, ex una, et pre-
fati Sindici et Procuratores, dicto ucraine, ex alia, sibi invicem et vi-
cissira legitirae proraiserunt, et ad delationera nostrura Francisci e *
Petri notariorura infrascriptorum juraverunt ad Sancta Dei Evangelia,
scripturis corporaliter manu tactis, perpetuo flrraa, irata et grata habere
et tenere, et bona fide observare, attendere et adiraplere, et centra
non facere, vel venire per se vel aliura seu alios, directe vel indirecte,
aliqua ratione, iure, modo, vel causa, de iure vel de fttcto, sub pena et
ad penam florenorura quinquaginta railliura auri, et in auro, largorum
in singulis et prò singulis capitulis, pactis et merabris presentis con-
tractus seu actus et instruraencti in solidum solerani stipulatione pre-
missa, et legitirae stipulata, et sub refectione oranium et singulorum
damnoruffl, interesse et expensarura litis et extra. Ratis taraen et firmis
seraper reraanentibus suprascriptis. Pro quibus omnibus et singulis
suprascriptis observandis et firmis et ratis habendis et tenendis, et prò
dieta pena solvenda, si et quotiens * commissa fuerit, obligaverunt
prefate partes dictis norainibus sibi invicera et vicissira sese dictis
norainibus et dictos eorura principales, videlicet, prefati magnifici Do-
mini Decera Balie obligaverunt dictis Sindicis et Procuratòribus pre-
sentibus, et dicto noraine recipientibus et acceptantibus dictura eorura
officium et dictara Excelsara Rerapublicam et populura Fiorenti nura et
eius Cives, horaines et personas, et queralibet eorura in solidum et in
totura, et eorura heredes et successores, et bona orania et singula pre-
sentia et futura. Et prefati Sindici et procuratores obligaverunt dictis
raagnificis Dorainis Decera * Balie * presentibus et dicto nomine recipien-
tibus et acceptantibus sese dicto noraine et dictara Coraunitatera et
Populura Pisanura et eius Cives horaines et personas, et queralibet eorura
in solidura, et in totura, et eorura heredes et successores, et bona orania et
1 Ed : -^eto.
* Ed.: • quotlescumque •.
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700 APPENDICE.
singula presentia et futura: renuntiantes etiam partes predicte in, et prò
predictis * omnibus et singulis exceptioni non sic facte submissionis,
concessionis, obligationis et capitulationis, et rei non sic gesta, et non
sic per omnia ut premittitur celebrati contractus seu actus et instru-
menti, et exceptioni doli mali, vis, metus, fraudis, conditioni indebiti,
sine causa, ex iniusta causa, et quod metus causa, fori privilegio, be-
neficio Epistole Divi Adriani, * et nove seu novaruna constitutionis ^
divisionis excusslonis et de pluribus reis debendi, et omni * et cui-
cumque alii legum, juris, sacrorum canonum, et constitutionum, et sta-
tutorum quarumcumque * et * quorumcunque ^ auxilio, beneficio et favori,
ac etiam ^ iuribus et legibus dicentibus, seu in effectu disponentibus
generalem renumptiationem non valere, seu non sufllcère. Rogantes
partes predicte dictis nominibus, nos Franciscum de Aretio et Petrum
de Pisis notarios publicos infrascriptos, et quemlibet nostrum in solidum
et in totum, quatenus de predictis omnibus et singulis conficeremus, seu
alter nostrum conficeret publicum instrumentum, unum ' seu plura.
Item postea ^ eisdem anno, ìndictione et die, et incontinenti post
predicta.
Magnifici et Excelsi Domini Domini Priores libertatis et Vexillifer
Justitie perpetuus Populi Fiorentini, quorum nomina sunt ista videlicet
Antoni US Francisci Antonii de Bencis,
Franciscus Pieri de Vectoriis,
Hieroniraus Guidonis de Guardis, ^
Johannes Jacobi de Miniatis,
Vannes Cesaris de Petruccis,
Gherardus Francisci Antonii Taddei et
Franciscus Antoni de Giraldis; et
Petrus Domini Tommasii de Soderinis, Vexillifer justitie perpetuus.
Auditis et intellectis omnibus et singulis suprascriptis, sponte, et
ex certa eorum scientia, ut et tamquam Domini predicti prefatis sin-
dicis et procuratoribus, dicto nomine, presentibus, recipientibus et
acceptantibus, legitime promiserunt, ac etiam ad delationem nostrum
Francisci de Aretio et Petri de Pisis notariorum publicorum infra-
scriptorum, iuraverunt ad Sancta Dei Evangelia, scripturis corporaliter
manu tactis, predicta omnia et singula suprascripta perpetuo et invio-
labiliter attendere et observare in omnibus et per omnia, et quoad
omnes et omnia et singula, et prout et sicut supra in precedenti instru-
mencto continetur promissum, convenctum et scriptum est; rogantes *^
ac etiam mandantes per nos Franciscum de Aretio, et Petrum de Pisis
Notarios publicos infrascriptos, et quemlibet nostrum in solidum et in
totum ** publicum confici instrumentum, unum seu plura.
1 Ed.: » dlctls •.
« Ed.: • benefìcio, Epistolae Divi Adriani ».
3 Ed.: • confftitutum •. Ms. pisano: • constitutionum «.
■* Ed.: • omne ».
^ Ed.: > et quallterumque •.
» Ed.: • ac et -.
' Ed.: • et seu ■•
• Ed.: • propria ■.
* Ed.: • de Guardiis •.
^'' Ed.: • rogantes partes praedlctae dictis nominibus, Nos, Franciscum de Arretio ■, etc.
^^ Ed.: > quatenus de praedictis omnibus et singulis conficeremus seu alitar nostrum >.
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APPENDICE. 701
(L. S.) Ego * Franciscus quondam Octaviani, Antonii de Octavianis
de Aretio, publicus Imperiali auctoritate notarius et Judex ordinarius,
Civisque et notarius publicus Florentinus, nec non Scriba et Oflìcialis
reformationum, Consiliorum Populi et Comunis Florentie, suprascripte
submissioni Civitatis Pisarum, et suprascripte capitulationi, et aliis ut
supra conventis et fìrmatis inter suprascriptos novem ex decem offl-
ciaiibus Balie ex una, et suprascriptos novem sindicos et procuratores
pisanos ex alia, et omnibus aliis suprascriptis, una cum predicto ^
egregio Ser Petro de Appostolis, qui de predictis etiam rogatus ftiit,
dum sic ut premittitur agerentur et flerent, una cum prenominatis
testibus interfui, et de eìs rogatus fui, et in hanc publicam formam
redegi: Aliis tamen arduis negociis occupatus, alteri mihi fido tran-
scribenda commisi, et ideo in predictorum fidem me subscripsi, et
signum nomenque meum consuetum apposui - Laus Deo.
(L. S.) Ego Petrus olira Augustini de Apostolis, Civis Pisanus, publicus
Imperiali Auctoritate Notarius et Judex ordinarius, supradictis omnibus
et singulis, una cum suprascripte spectabili viro Ser Francisco de
Aretio qui de predictis similiter rogatus fuit, dum sic ut premittitur
agerentur et flerent, una cum prenominatis testibus interfui, et de eis
rogatus fui. Et ideo in predictorum fldem me subscripsi et signura
nomenque meum consuetum apposui - Laus Deo.
1 Ed.: • Petrus oUm Augustini de Apostolls clvIs PIsanuR pubbllcus Imperiali auctoritate
Notarius, et ludex Ordinarius nec non cancellarius Magniflcorum Anthianorum et Vexilllfer
lustitlae populi, et comunis pisarum «.
■ Ed.: • Inflrascrlpto spectabili Viro Francisco de Arretio •.
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X.
(Y. libro II, capo testo, pag. 504).
Instructio
de hiis, que agere et tractare debet prò nobis et nomine nostro cum
magni ficis nostris et sacri Romani imperii fidelibus dilectis vexi-
tiferò justicie et bailia ciuttatis nostre impenalis Florentie hona-
rabilis fidelis nobis dilectus Pigellus Portnarius secnetarius noster,
(Archivio R. e I. di Corte e di Stato in Vienna. - Minata d* Istruzione a Pigolio Porti-
nari, segretario mandato dall* Imperatore Massimiliano al Gonfaloniere e alla Balia
di Firenxe).
Max.
Imprimis exhibìtis literis nostris credentialibus dicet eis gratiam
nostram caesaream et omne bonum» declarando eis gratiam et singula-
rem clementiam, qua ipsos coraplectimur, et quam cupidi sumus con-
seruationis et etiam incrementi status eorum et quod effectu compro-
babimus, cum se occasio obtulerit
Etquoniam scimus satis superque eidem Yexiiifero et bailie notumet
prospectum esse statura vniuerse Italie et quanti procelis jactetur vndique,
adeo quod uerisimiliter magnopere uerendum sit ne incendium istorum
bellorum ulterius serpat et totam Italiam misere conquaset et affligat:
sicuti ipsi bene prospicere possunt, imo ea aliter nos declarare non
intendimus, nisi quod nos ex animo desideramus compositipnem et sta-
tum quietum et pacificum Italie, ad quod nos, quantum cum honore
nostro poterimus, adnitemur ex toto corde. Et prò terminandis hiis
rebus compelimur aliquomodo vires fortius instaurare, ut possimus com-
pelere liostes nostros ad rationabilia et conuenientia; et prò hac re
efflcienda indigemus certa summa peccuniarum. Quapropter instabit
idem secretarius noster apud eosdem vexiliferum et bailiam, quod velint
nobis subuenire de L mil. ducatorum, quos nos exposcituri sumus prò
quietatione Italiae et eius bono statu: et id precipue cedet ad com-
modum eiusdem status Florentìnorum.
Vlterius, quoniamjussu nostro et de conse[nsu] ' serenissimi regis
Francie fratris nostri ca[rissimi], instantibus aliquibus ex reverendis-
simis [S. Rom. Ecclesie] cardinalibus, indictum fuitconcilium [vniver]sale:
quod omnino prosequi inteu[dimus] nec aliquomodo a prosecutione eius
desistemus, cum videraus illud valde necessarium prò vniversa repu-
blica Christiana illudque propediem incipiendum sit. Si idem vexilifer
et bailia nobis illa L mil. due. prebere in auxilium uoluerint, curabimus
^ Lacuna naì foglio.
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APPENDICE. . 703
ut dictum concilium transferatur Florentiam et ibidem celebretur, quod
erit ad maximum decus ciuitati et ad maiorem incrementum, adeo quod
in longe maiori summa quam nobis dabunt excrescet ciuitas et (in)
priuato et in publico; et ulterius taliter agemus cum illa republica,
quod gaudebit in hoc nobis complacuisse ; et hoc ipsis idem secretarius
noster persuadebit et policebitur.
Preterea idem secretarius noster suadebit omni bone modo quo
poterit, ut eadem respublica Fiorentina ueiit se vnire nobiscum et cum
serenissimo rege Francie consanguineo, confederato et fratre nostro
carissimo, super" quo credimus etiam ipsos requisitos fuisse ab eodem
serenissimo rege fratre nostro carissimo, quod eis est futurum et ho-
norabile et commodum. Videns enim ex persi stentia nostra in federe
cum eodem serenissimo rege et corespondentia nostri fraterni amoris,
quod tot potentissimos impetus diversorum hostium egregie sustinue-
rimus et tandem cum gloria et incremento remansimus: quod longe
etiam melius fiet accedentibus ipsis ad hanc confederationem nostram :
et ipsi fulcìti tantorum regum amicitia et federe conflrmabuntur et
augentur in dignitate et statu.
Et quoniam intelleximus reverendissimum dominum cardinalem
Volteranum amicum nostrum carissimum esse Florentie, itaque idem
secretarius conueniet suam reverendissimam dominationem et visitabit
eam nostro nomine. Et quamdiu ibidem fuerit, idem secretarius noster
singulariter obseruabit eum et omnia suprascripta secum lìbere sicuti
cum singulari amico nostro communicabit, petendo ab eo in omnibus
rebus nostris consilium, fauorem et auxilium, et omnia ex sententia
eius exequetur, rogando suam reverendissimam dominationem, quod
uelit adherere concilio per nos vna cum serenissimo rege Francie fratre
nostro carissimo et reverendissimìs dominis cardinalibus indicto, quod
erit prò bono vniversali totius re[ipublice] Christiane et felici incre»
mento sedis [apostolice] et vniversalis ecclesie.
Omnia hec supradicta exequetur sua [ ] ' fide, diligentia et dex^
tentate. Ide[m quoque] secretarius noster continue nos ad[ Jnen
tam de hiis que efflcere poterit quam de occurrentiis Italie. Et si uoti-
uum responsum, sicuti speramus, habuerit, confestim quando citius cum
totali resoluta mente illius reipublice ad nos redeat, ut omnia bene inter
nos concludantur et corroborentur. Datum — —
^ Lacuna nel foglio.
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XI.
(V. libro II, capo iiettinio, pag. 534).
Breve di Papa Giulio II agli Svizzeri.
(Bibliot. Chigi, rass. Annali del Tizi, t. vir, pag. 123-1).
Julius pp. II Elvetiis.
Dilecti filii Sai. et aplìcam benedictionem. Legimus Iras vraa ex
Lucerna decimo quarto huius datas minime quidem dignas que a uobis
ad Nos micterentur. * Sunt enim contumeliose et arrogantes. Scribitis
namque in illis nos vigore lige inter uos et superiores uestros inite,
suasu etiam vener."' fratrisMathei Epi Sedonensis jex milia peditum
prò conseruatione persone nre ac status nostri et api ice sedis flefen-
sione ultra Alpes in Italiam adversus Mediolanum misisse; ibique prae-
sentisse huiusmodi expeditionem ad expugnandum et eiciendum a par^
tibus Italie Regem francoriim et Maiestatem Cesareara tendere. De
quibus hoc praesentire potuistis nisi a gallis bisce nimirum qui uobis
passum transitumque denegauere, et qui nos et aplicam sedena in spi-
rltualibus et temporalibus per summam iniuriam et impietatem oppa-
gnant. Nos prò defensione persone nostre ac status nostri non indige-
bamus opera uestra. Sed uos pecunia nostra conduximus et in italim
invocavimus prò recuperatione iurium et Urbium Sancte Re. Ecclie
contra Alphonsum Estensem nostrum et Ecclie ante diete Rebellem
qui multorum maximorum benefìtiorum a nobis et sede Àpiica re-
ceptorum immemor in nos superbie cornua dirigit, cum fautoribus suis,
in quorum nro si est, ut certe est, Ludovicus francorum Rex; Eius
enim fauore, eius exercitu eius ducibus manifeste fouetur alphonsus,
uideat quomodo christianissimi nomen et principalis Eclesie filii sub-
stinere possit. Nam in protectione eiusdem Alpbonsi suscipienda Ca-
pitula Cameracensis federis quibus expresse cauetur nequis federatorum
subditum uel pheudatarium aliquem absque consensu illius cuìus sub-
ditus uel pheudatarius est recipere valeat uiolauit Et multis preterea
aliis in rebus nobis et sancte Ro. ecclie iniurius est. De Cesarea ma-
jestate absit non modo ut faciamus sed ne cogitemus quidem aliquid
contra eam quam toto cordis affectu diligimus, in qua fiiialem caritatem
et obseruantiam erga nos et Sedem aplicam recognovimus recogno-
scimusque in dies. Quod nero uos hortamini ut positis insidiis, sic enim
scribitis, pacem uelimus facere: non solum ìmprudentes et impii sed
contumeliosi estis ; qui summum pontificem et sanctam Ro. eccliam in
* Cf. RA^KB, Gesch. der. rnm. und. gr.rm. \T)U:cr, pag. 255, Il quale citando dal OtttTi.
l'estratto rH questa lettera deprlì Svizzeri ne riproduce la sentenza: • Der Vater des Frledens
móge mlt den Christen frledfertlg und oline arge List verfahren «.
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APPENDICE. 705
quibns surama sincerititis fldes in promissis fuit, insidiatores appellare
non ueremini. Filii insidiatores nere dici appellarique possunt qui sub
bonis et dulcibus uerbis fallacibusque promissis nos circurauenire que-
siuerunt et querunt In eo etiam quod Uos mediatores pacis tractande
offertis arrogantes et conditionis uestre obbliti uidemini: cum honori
nostro et sancte apostollice sedis satisfactura consultumque erit per
excelse dignitatis principes qui se nobis quottidie offerunt, sine Uobis
de pace tractari poterit. Quare non debuistis tam cito retrocedere
neque expectationem nram frustrare et Sanctam Ro. eccliam cuius
stipendiis adducti eratis desercre. Nam de transitu Uos scitis et Ire
ure testantur quid promiseritis. Uerum quod illum nobis quacumque
uià aperiretis, quamuis antera expectationi nostre, ut suprascripsimus,
non responderitis. Persuadere enim nobis non possumus quod condi-
tionem aliquo modo a rege francorum accepturi et contra scam Ro:
eccliam uestram et cunctorum fidelium matrem militaturi sitis, vio-
lando capitula nobis communita et famam vestram posterosque deni-
grando. Si nero secus feceritis, ipsi Regi francorum reconciliabimur
eumdemque pariter et Cesaream majestatem Uobis infensos,_inimicos
nosque etiara contra uos et fldei violatores et sancte Ro. ecclie deser-
tores armis spiritualibus et temporalibus uteraur. Sigillaque uestra ad
omnes regiones omnesque ciuitates, terras, uicos hujusmodi perfldiam
testantia tran^mìctemus ut uniuersi singulique intelligant uobis qui
scam Ro. eccliam et summum pontificem contra fldem datam deserere
non erubuistis, nullam fldem habendam esse, nullumque negocium tuto
posse comraicti ac perinde cunctis nationibus, principibus, populis odiosius
cum summa perpetua infamia. Datum Bononie sub anulo plscatoris die
ultima septembris M. D. X. Pontiflcatus nostri anno septimo.
ToMHAsiNi - Machiavelli. 45
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XII.
(T. libro II, capo Mttimo, pog. 5(6).
Descrizione della battaglia di Ravenna.
Da lettera di Giovanni da Fino, segretario del Duca di Ferrara.^
(Bibi. Vatic, ma. urb. 490, pag. 135-87)
Hora scriuo la presente, per non essere il primo che ut faccia in-
tendere la vittoria nostra, perche so questa non sera dille prime che
gionghi a Ferrara, ma per che habbiate qualche più particulare, di
quelli che si diranno in publico. Saperà adunque la Magnificentia uo-
stra, com'allì viìj venimmo a camparci a questa città, et quel dì me-
demo suso la sera si principiò la batteria cum Tartigliaria grossa, et
si continuò fino alle vijj hore. Il di viiij. deliberosse di dare Tas-
sai to alla Terra, et armatosi tutto il Campo, mandate le gente or-
dinate a dare Tassalto, il resto si puose in Campagna & in battaglia
per ostare a gli inimici quando si fossano presentati per dar fauore alla
terra, li quali ci hanno sempre costeggiati, & alchune fiate alloggiati
uicini a noi a tre, 0 quatro miglia, si dette Tassalto gagliardamente; ma
arditamente anchora si diffesano quei di dentro. Eraui il signor Mar-
cantonio Colonna cum la compagnia sua di gendarme, & cum mille doicento
fanti. Restorno molti ferriti & morti da Tuna & l'altra parte, et forsi più
dilli nostri, li quai fuorno rebbuttati. Dilli nostri gran personaggi fuorno
ferriti Monsignor di Chiettiglion, & monsignor di Spin, mastro dilla
Artigliarla, di archebuso, Tuno nel braccio, l'altro in una cosiau II S." Fe-
derico da Gonzaga di sasso in la testa, ma non hebbe molto male. La
sera gli nemici uenero a loggiar uicini a noi quatro miglia, & cum
l'artigliaria dettene signale di loro alla terra. Pur alli x la matina per
tempo mandorno nel campo nostro doi per pigliare assetto, dimandando
la saluezza loro & dilli soldati, & che in la Terra non intrassino sol-
dati. La praticha porto seco qualche tempo, non già per che si gU
negassino tai Capituli. Tra questo mezzo li nemici forsi aduertiti di
gli andamenti dilla Terra s'accostorno al Campo nostro in belle bat-
taglie ad un miglio & mezzo & il campo nostro s'armò & mossosi al-
1 L'autore della citata Vita di Francesco Maria della Povere duca d'Urbino la reca
in me7.zo a questo modo. Dopo aver indicato l'esito della l)attaglia di Ravenna, soggiunge:
- et perchè diuersamente è stato refferito, io te lo ponerò qui. Lettore, secondo Taduiso
dato in Ferrara per lettera di Gioan da Fino alhora secretario di quel Duca, che col suo
patrone ui si rltrouò presente, levando, come fuor di proposito, alchune poche parole come
per sua scusa di hauer tardi .scritto, posto (sic) nel principio della lettera, la qual seguendo
cosi dlceua: •.— Questo Giovanni da Fino trovavasi al campo francese col titolo di Cancel-
liere Ducale, presso II cardinal Legato, Sanseverino. I dispacci a lui diretti recano la scritta:
•• Spectabili CanceUario nostro Ioanni de Fino, apud Reoerend.«t dominum legatum in
castra Christianissimi Regis *. — Riconosco queste notizie dalla cortesia del sig. cav. C
FoTTCARo, sopraintendente dell'Archivio di stato in Modena, ove passarono le carte degli
Estensi.
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APPENDICE. 707
quanto con tra dì loro, lassata però una grossa banda di gente eontra
la Terra, & per guarda diirartigliaria. Ma poi Tuna parte & l'altra
stette cosi bon spatio in battaglia, Spagnoli feceno uista uolersi spinger
eontra di noi, per la qual cosa mandosse a leuare dalla Terra tutta
Farti gliaria, & fu condotta centra gli nemici charicandosi tutti li cha-
riaggi del Campo, & stettesi cosi in battaglia sino al tardo. Erano presso
le xxiij bore, li Spagnoli alloggiorno, & noi ritornammo alli primi al-
loggiamenti. Fra questo tempo, quelli della Terra, ne baueuan uoltati
alchuni falconetti, & cominciorno a batterne, di modo cbe questa ma-
tina, delibcrossi disloggiare quasi cum tutta la gente diirantiguardo,
pel gran danno che ne faceuano & retirossi in luocho manche pericu-
loso. Già si erano mandati li foreri a pigliare gli alloggiamenti, & le-
uati li charraggi, fu dato all'armi, per che Spagnoli s'apresentorno
in battaglia alle frontiere di loro alloggiamenti. Onde s'ordinorno le
battaglie nostre, lassando centra la Terra ^guarda sufficiente. Gli nemici
dlloggiauano a canto il fiume dalla banda di la, & noi tutti dal canto
di qua. Disposte le battaglie & condutta tutta Tartigliaria, tra quelle
si fece passare il fiume alle fanterie dilFantiguardo, dreto Tartigliaria,
& poi la gendarme dillo antiguardo. Stettesi così per spatio di una
bora. Spagnoli cominciorno a scharicar Tartigliaria centra li nostri,
però dalli loro alloggiamenti, che più in ante non uenero. Li nostri
cum Fartigliaria gli risposano, & alhlora anche si feceno passare tutte
le genti dilla battaglia. Da Tuna a l'altra parte il tirare dill'artigliarie
fece grandissimo danno. Li nostri s'acostorno più a gli nemici, li quali
essendo grauemente offesi dalla nostra artigliarla, eh' il tirare di l'uno
& l'altra banda durò più di una bora. Le genti da cavallo dil loro an-
tiguardo, per quanto refferisce il S.°' Fabricio disseno non uoler morire
così miserabilmente d'artigliarla, ma cum la spada in mano, si allar-
gorano alquanto. Li fanti nostri si gli miseno apresso & le gendarme
per fiancho, in modo ch'el fatto d'arme si strinse tanto, ch'è stato per
runa & l'altra parte cruuentissimo, & finalmente gli nemici fuorno rotti,
& perseguitati più di quatro miglia cjnm grande occisione, che si tiene
siano morti di tutto dei le parte delle persone da otto in dece milia.
Di ferriti gli ne fonno infiniti. El Viceré Spagnolo senza mai hauersi
posto l'elmo, per quanto dice il S.°' Fabritio, come si principiò il fatto
d'armi si retirò & andossone cum dio. Il S.*"' Fabricio et il marchese
dalla Palude fatti prigioni per il nostro Ill.mo S.'" il quale si è portato
gloriosissimamente. Pietro Navarra fatto prigione di Me^ hettor Ro-
mano,* benché alchuni Francesi gli lo levassino di poi combattendo cum
alchuni fanti inimici; pur credo che la ragione lo souenirà, si che lo
rehauerà, per che la causa si ha a ventillare. Fu detto che Ramac-
ciotto era morto, pur questa sera s'afiBrma chel fuggi nil principio dil
menare dille mano. 11 Legato loro è preso, & bora è in mano dil Le-
gato nostro, toltogli lartigliaria & li Charriaggi & in effetto minati.
Si ha per indubitato, che tra presi & morti di loro siano più dilla mità.
Erano bellissime genti, cioè mille & cinquecento homini d'arme, &
fanti dodici millia, che si dicano cose stupende dilla virilità che de-
1 Ettore Giovenale, detto pure Ettore romano, fu anche tra i combattenti della famosa
dlsllda di Barletta.
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708 APPENDICE.
mostrorno le fantarie spagnole. Dal canto dilli nostri : Li Lanzicheneche
& Taliani; ma Gasclioni, Piccardi & Normandi poltroni in cremisino.
Dilli nostri sono manchati personaggi grandi; prima lo 111."° Monsig." di
Nemors che fu morto dalle fantarie nemiche, uolendo far fare testa
a' nostri fanti che rinculauano. Monsig." dalegra, Mons." dilla Grotta,
morti d'artigliarla. Mons.**' di Lautreche ferrite periculosamente:
Mons." della Foietta ferrite, & Capitani a cauallo, non so dirgli. Ca-
pitani a piedi sono morti Molardo, Mongiron, Jacob Bouet, et alchuni
altri che non ho il nome loro. Giudicasi che costoro non habbiano a
fare più testa in alchun luocho. Tra questa sera & domatina, si com-
poneranno le cose di questa città. In la Roccha è Mr. Julio Vitello. In
la Cittadella il S.*"' Marcantonio Colonna, qual pigliarla assetto. Non so
quello farà il Castellano dilla Roccha, il quale quando deliberasse di
stranigiare, anche che la Roccha sia fortissima, ben si chaueràfuora. Et
ciò che. sopra il resto dilla Impresa si deliberarà alla giornata s'in-
tenderà, & a uei quanto più posso mi ricommande; Ex foelicibus Ca-
stris Regiis apud Rauennam, die. xj. aprilis. in die Domioicae Resu-
rectionis 1512.
Postscritta. Questa pouera città non si è potuta liberare dal saccho,
ne ho dispiacere grandissimo per la parte mia. die. xg. aprilis. 1512.
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XIII.
(V. libro II, capo settimo, pag. &70).
Morte di Pandolfo Petrucci.
(Bibl. Chig.: Sìgismandi Titii Historiarum Senensiuin. t. vii, autogr. ann. mdxii, pag. 103t).
Die autem.... haprilis cuna Nicolaus testeus eqiies senensis vesperi
precedenti (sic) in aromatariì taberna que e regione est suarum edium
fuisset vulneratus; quedana enim verba protulerat que pandulpho non
placnerant, Bariceli us illius domum petens ut vulnus inspiceret, noles-
setque ibi Bernardinus tancredus adolescens, jussus est inspicere vo-
lenti locum dare; at contemptus ab eo Baricellus paticum illum non-
cupavit contumeliis atque convitiis invicem sese affecere, intercedentibus
minis. Die haprilis vigesima nona Marianus cirnensis quem captum
perdixìmus iuxta itkiera publica senensis ditionis loco qui Ricorsolum
nuncupatur in crucem actus est, mirantibus universis. Hic enim gravi
aspectu virum prò se ferebat, ad urbem cum nonariis reversus et per
iTienia ingressus in castrisque pretoriis senensis fori inter ceteros pe-
dites meruit. Semper enim prò senensibus militavit atque praesidio fuit
ex die qua Politianum adepti sunt; nunc tandem suspenditur. Nonnulli
hanc fuissc suspensionis causam asserebant, quia adversus pontificem
pedites congregabat in agro senensi: alii vero florentinorum postula-
tionibus .fuisse actum quia adversus illos multa fecerat, Politiano amisso.
Nec defuere qui dicerent Julio bellantio * ex ergastulis jam eruto, op-
posito nomine petri marghani aut regis francorum prò extorribus se-
nensibus pedites cogere adversus urbem pandulpho absente, illumque
molientem aliqua si ve in urbem si ve in pandulphum, idque a floren-
tinis fuisse revelatum; et ad id existimandum coniectura processerat
nam die haprilis uigesima quinta Nicolaus Bandini ex castello plebis
stipendia florentinorum faciens sena transiverat, balistarios quinqua-
ginta secum traliens et vexillum extensum cum florentinorum insi-
gniis; Balnea enim petebat in pandulphi protectionem. Quamvis enim
francos romandiola excessisse rettulerimus et mediolanum relictis ur-
bibus concessisse, urbes tamen custodibus uacue non remansere, nec
fuit verum placatos a rege fuisse elvetios, quorum formidlne magna
francorum pars mediolanum profecta est. Ut interea Julius pontifex
maximus initium lateranensi concilio daret haprilis ultima die Bullate
ipsius lictere in divi petri valvis appense pendebant; quibus cunctis
fidelibus triduanum ieiunium indicebatur in romana curia existentibus
nec non elemosinarum erogatio : illis quoque diebus supplicationes per
1 Vepfrasi qael che di Giulio BellantI e della Rua congiura scrive II M&cniAVELLi. DUeorsi^
Ilb. Ili, e. VI.
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710 APPENDICE,
urbem lustratam facte sunt: die invenctionis sancte crucis terminate;
cuius precedente vesperi pontifex ad sanctum Johannem lateranum
quibusdam cam patribus profectus est, ibidem hospitaturus. Quarta
subinde die Cardinalis sancii georgii missaro spirìtus sancii ad aram
primariam sub capitibus decantavit. Peractis itaque divinis Egidius vi-
terbiensis concionator ac generalìs heremitanorum luculentam habuit
orationem, qua completa religiosam processionem incoavere, que a porta
maiore ex latere edis egressa, per aliam que media est introgressa
est. post religiosos atque presbiteros celeri prelati incedebant tum car-
dinales, postremo vero Pontifex super sedem delatus super quo pal-
lium gestabatur. In Bcclesie illius medio sepia fuerant constituta ex
iapidibus quadrata quidem spalium inter columnas occupans murus y bra-
chiorum octo continuala per altitudine, posta insuper ad ingrediendum
septis constituta est, in eorum medio altare erectum. Celebralis igìtar
que in primordiis conciliorum fieri seleni et cantibus quibusdam atqae
letaniis premissis concilium cepil agi. Sunt qui dicunt hec omnia tertia
die maij que sancte crucis feslivitate clarebat fùisse peracta. Ipsius
tamen mensis caiendis que sabbatum fui! cum apud senenses Baricellus
minas bernardini lancredi formidare cepisset, post Burghesium pan-
dulphi filium incedebat, existimans sese lutiorem; ut autem ad poi^
ticum picolomineorum perveniunt Tancredi iv^ fralres quorum extra
matrimonium natus unus, Mechonius quoque cristoforì petri, tum filius
quidam f^ancisci quirici, filius quoque Sforzie pelronis hannibal nomine,
hieronimus andree Spannocchii filius, Nicolaus rocchius atque alii non-
nulli omnes juvenes Baricellum confodiunt atque interimunl nulla
Burghesii ratione habita, sed pedilibus qui illum comitabantur fugitan-
tibus, ipse vero in quasdam edes proripiens se subtraxit. Qui baricel-
lum inleremere vespere diei in fiorenlinum perlligere agrum. Julius
pontifex per hos dies Burghesium pandulphi filium suis licteris acriter
redarguii. Post Illa que in concilio initiata fuerant, pontifex ad' san-
ctum Johannem lateranum revertilur illius diei vespere nec alia prò-
<;essione premissa pontifex una cum prelatis intra eadem sepia se re-
cepii. Missa spirilus sancii a quodam episcopo decantata est, qua
peracta prodire omnes foras exceptis prelatis jussere. Archiepiscopus
spalatrensis orationem habuit, subinde vero antiphone quedam atque
versus et hymni decantate sunt. Decreverunt primum eam sanctam
synodum laleranensem legiptime fuisse convocatam et congregatam
atque inchoatam: locum lalerani aptum aque idoneum esse prò con-
cilio. Concilium vero pisanum esse nullum et conciliabulum vocandum
cunctaque in ilio gesta confutanda et irritanda. Concilii vero latera^
nensis secundam sessionem ad diem ma\j decimam septimam publica-
vere ut concilii pisani' damnationem renovarenl et cuncla ordinarie
irritarent. Rumoribus interea ferri cepit, tametsi pacis preberetur
spes Helvetios magnis legionibus descendere eaque de oaussa fran-
cos dimissis omnibus mediolanum secesslsse. Julius autem ponti-
fex non cessat copias stipendio conducere et bononiensem agrum va-
slalionibus afllcere * ferebanlque rome Regem hispanie pontifici licteras
^ Ms.: " conslllum pisanum •.
« MS.: - affici -.
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APPENDICE. 711
dedìsse, profecturum videlicetse adversus fì^ncos magnis copiis; lictere
quoque Anglie Regis in consistorio lecte sunt die mercurii, phedus
scilicet inter pontificem regem anglie regem hispanie et venetos cele-
brandnm; quibus nuntiis adimebatur pacis spes. Helvetii quoque 11-
cteras duodecim muniti sigillis ad pontificem scripsere, vitam prò ilio,
uxores ac filios exposituros pollicentes. Quibus perceptis Ludovicus
francie Rex Cardinali de nantes britoni signiticavit : velie se cuncta
Tacere que pontifici grata forent. Verum Julius priusquam oblata ferret,
acceptas licteras Gardinalis finalis ac nuntii sui expectare decrevit.
Nuntius nempe in francia tunc erai Veneti insuper licteris suis de-
nuntiant Helvetios ad menia novarie jam consistere. Hec autem cir-
citer mag quintadecimam diem nobis fuere nuntiata. Die subinde maij
decima septima secunda sessio Rome celebrata est. In ea nempe Tho-
mas de vio Caietanus sacre theologie professor totiusque ordinis pre-
dicatorum generalis orationem habuit. in ea sessione approbauere ac
renovanere damnationem ac reprobationem pisani concìliabuli, anulla-
nere omnia et singula in ilio gesta et gerenda et super bis omnibus
bnllate lictere a julio pontifico emanauere, die vigeslma tertia mensis
eiusdem. Pandulphus itaque Petruccius cum egritudinìs sue causa in
balneis sancti philippi plurimos dìes egìsset, asmatica nam passione
laborabat, qua plerique tirannorum uexari ^olent, nimia cura atque
animi sollecitudine ac premente metu, minus convalescebat, fiebatque
in dies deterior sanitatis conditio; itaque Senam reverti constituit. Die
igitur iovis a balneis discedens, que maij vigesima fuit, deferebatur ad
urbem. Verum die posterà cum ad castellum sancti quirici pervenisset
defessus, cupiens aliquantulum quiescere et comites vie cenitare,
lectus in hospitalis sancti quirici stratus est moUis; et in ilio collocatus,
in hec verba prorupit: deo laus sit quum paululum quiescam. Cuncti
foras e cubiculo prodeuntes solum ut quiescat obdormiatque dimictunt
et epulaturi secedunt. Erat tunc diei veneris bora fere vigesima tertia
parvoque more curriculo elapso, ex comitibus quidam ad visendum
hominem, explorandum ut quid ageret conversum, morìentem reperit
vocatisque protinus ceteris exanimis apparuit, natus ut ferebant anno»
circìter sexaginta tres. — Sunt qui dicunt natalium inspectis codicibus
agore illum tunc annos sexaginta, menses quattuor ac dies sex. Verum
eisdem libris inspectis comperuimus nos illum baptizatum fuisse anno
salutis quadringentesimo quinquagesimo primo, februarii vero die
quartadecima et Pandulphum Federicum fuisse vocatum; exegerat
igitur vite sue annos sexaginta unum menses tres et septem dies aut
octo.
Die subinde sabbati cadaver illud ad ecclesiam fratrum montis
oliveti delatum est iuxta menia senensia, eàque die clause opificum
taberne et ferie per totum diem lune repentine indicte. Verum die
lune funus sumptuosum curatum. Octingenta nam fnnalia seu inhasti-
libus cerei in ilio funere delati sunt accensi, numerante me, a repu-
bliòa partim et a petruccia familia, partim vero ab oppidis atque ca-
stellis omnibus, nec non ab artificibus collata. Nam ad eam contributionem
cives qui funus curabant praeter rem pnblicam et familiam caeteros
ascripsere. Vexìlla quoque in eo funere delata sunt novem praesertim
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712 APPENDICE.
sumptu publico et armis insignita publicis, partim vero privato farailie.
Ductus ad sepulchrum ante suas edes defertup, ibique Petrus Marinus
fulginas familiaris vir alioquin doctus orationem habuit. Sociavit pan-
dulphum universa civitas, universi pene illum lugere videbantur, ta-
metsi tirannus fuisset; a civibus deferebatur iuvenibus nudata ac di-
scoperta facie conspiciebatur abrasus et fucis illita. In divi Francisci
ede depouitur, nam calor erat ingens, cunctis revertcntibus. Verum sole
jam jam declinante universi illuc redeunt et ad fratres capriole apud
quos sepulchrum constituerat portatus tumulatur in arcula conditus.
Exequie, quoniam dcsiderii templum incapax erat, in malori senensi
ede celebrate sunt die martis. Affuere, sicut in funere, religiosi omnes
et in eius laudem praedicatio. Non defUere qui in admirationem atqae
stuporem verterentur cum animadverterent hominem istum olim vi-
lissimum ignarum et ganeonem in tam magnam atque felicera tiran-
nidem fuisse elevatum, multorum denique occisorem in lecto defun-
ctum tantoque funeris honore affectum et celebratum. Erant insuper
qui dicerent in vita et in morte fuisse miserrimum quia tirannice vi-
xerat, et tandem in hospital! decessisse non visus, ut verendum non
sit tam lacinorosum « ad generum Cereris » commigrasse. Mira nam
de ilio post aiiquos dies ferri cepere non omnibus precognita • nec mi-
iioris admirationis quam ea fuerunt que a puella visa sunt apud mon-
tem nigrum. Decessit nam ante triennium ut Illa predixerat. Verum
que rumoribus spargebatur referamus non odio viri qui nostri habebat
aliquam rationem; sed ut terreantur ceteri cives rem publicam se-
nensem invadere, que virginis est marie, et tirannice vivere. Tirannus
iste tandem mortuus est qui tot civium cruore manus impias fedave-
rat, partim publica animadversione, partim satellite impio et scele-
ratis ministris. Ludovicum Lutium lautissimum atque conspicuum ci-
vem, subinde Lutium bellantium phisicum acutissimum et ingeniq
perspicacem in urbe florentie ab immissis efferatis peditibus occidi fe-
cerat. Giattum pistoriensem in foro senensi peditem et domus sue as-
seclam massaiie urbis terrigenum vivum in carnarium xenodochii
intrudi maudaverat, juvenibus senensibus ignarum hominem illuc per-
ducentibus insidias non verentem, quem apprensum brachio una huc
et illuc spatiatus Franciscus meliorinus popularis incidere in apertum
chaos fecit incautum crure uno dilapsum, alio in crure intruso. Ciattas
intro leviter immissus super muro circa fauces baratri remansit et
per dies soptem miseram vitam perduxit singulis noctibus gemens
atque vociferans solantibus xenodochii incolis. Nocte diei septime hu-
milis et attenuata vox exilis cum raucedine precepta est ut tandem
deficeret; verum morientis auctoris scelestis vox e sepulcro ciamitare
malori cum dedecore se non continuit Evolutis igitur quibusdam a
morte diebus clamores nocturni ex pandulphi sepulcro percipiebantur;
petebatque clamans inde extra locum religiosum tumulari. Quam sano
rem Cives mihi quidam notam fecere; nam domi habebant mulieres
parentela coniunctas. corbulonibus adductis ad excavandum illud corpus,
et mulieribus ^usmodi fetorem intollerabilem quo pene fuerant pro-
strati querendo narrantibus. -Ex agricolis preterea quidam in nostra
menia qui ad eam rem intervenisse se iactabant nos itidem audivi-
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APPENDICE. 713
mus; franciscusque bellantius ex fratribus unus vita atque sanctimonia
poUens, rogatus a nobis referebat; nocte quadam ex intimis pandulphi
unum illuc accessisse postulasseque ut liceret herum suum conspicere
arcula soluta, guardianum vero admississe (sic) et inhìbuisse fratribus
Ile descenderent ad sepulchrum; habuisse illum caput preter solitum
ingentissiiuum corbulonem referre cives il li aiebant cuna fetore hor-
ribili extractum in hortum iuxta arborem quemdam, quam pirum di-
. cebant, humavisse, qui vero ministerio huiusmodi instabant infectos
ac iDorbidos fuisse fetore. Cives enim qui ea que corbulo aperuerat
mihi dixere, ad me reversi superaddidere hec: asseclam videlicet atque
lamiliarem illum vere ad arculam pandulphi accessisse, vepum ut anu-
lum a digito illius evellerent, quia in ilio spiritus adiuratus residebat
et clamabat e religioso trahi loco; quod nobis veresimile (sic) non vi-
detur; quis nam prohibebat spiritum illum inde recedere; quod si cum
spiritu sepeliri reprobo pandulphus passus est quid de anima eius iudi-
candum sit facillime patet. Accessit subinde ad nos Francisca mulier
senensis, Stephani Ungari merciarii uxor, quam malignus spiritus ac
demon corripuerat, habuisse quoque apud se spiritum bonum referebat
nobis, jam liberata ac prudens; qui illi sepesepius ad exciendum malum
spiritum ut nos accersiret hortabatur; cumque et alios fugassem, ad
illam tamen vocatus sum nunquam; ad clavum iesu christi perducta
est et liberata, hec omnia nobis francisca domi apud nos rettulit; ad-
debatque a spiritu malo in infernum se perductam et nocentum penas
conspexisse, pandulphum vero agnovisse ad mammillas usque ignibus
fiammisquo demersum. hanc huiusmodi predicare non debcre monuimus,
nec discrimen vite ob tirannidem fllii Burghesii misella incurreret,
aiebat se a burghesio accersitam visa hec omnia narrasse et curasse
minime.
Hec si vera sunt nos ignoramus; sed quum hec ad utilitatem ho-
minum sepe contingere solent, sine cuiusque odio nos retulimus. In hoc
tamen quam ingens benignitas Regine misericordie apparet que mo-
rientem pandulphum apud hospitale suum dignata est excipere, quem
urbem suam tirannico invadentem et expoliantem edem suam atque
xenodochium tam celebre expilantem et liguriontem punire dissimu-
lavit ad penitentium, que non apparuit prestolata. Nuntiantum per hos
dies est magni capitanei fìliam ìllio archiepiscopi siracusani nupsisse;
qui nepos est regis hispanie et estcreatus princeps turenti (sic) creatusque
est regni neapolis interrex. magnus enim capitaneus gubernator et ar-
morum dux. — Nonarii interea in urbe sena, decedente pandulpho,
inter se discordare cepere, erantque discidia inter primores. Igitur
Burghesìus et complices equites centum totidemque pedites perusia
acersivit, qui may die vigesima sexta accessere. Florentinorum quoque
milites aderant quamplures. His igitur accedentibus Senatores Balie
congregantur die vigesima octava ad quadraginta: Oratium balionum
perusinum et pandulphi olim generum cum trecentis equis stipendio
conducunt. Suadentibus insuper nonnullis ut salis stipendia rcstitue-
rentur decreue[re] ut tributa quas prestationes vocant ulterius impo-
nere phas non sit nec onera alia, fldesque ìam multis exibita circa
officia tribuenda servetur quam que coUegiorum atque ordinum scrup-
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711 APPENDICE.
tiniam (sic) de cetero habeatur *. Die interea juniì quarta Nicolaus Ma-
clavellius orator a florentinis senam destinatus est ad condolendam
pandulphì mortem. Ad senatores ingressas obtulit quicquìd per florsD*
tinos agi poterai Die autem septima que lune nomen habebat, Al-
phonsus cardinalis petruccius senam revertitur circa vesperum. die
vero mercurii a magistrata atque senatoribus bora vigesima prima vi-
sitatur. Posterà tum die nuntiatum est francos ex lombardia excedere et
oppida defìcere ad ìmperatorem; nam fedus cambraicum Unìebat...
1 In margine a questo punto v'à un richiamo: «• Hlc Inserenda nunt que Insequenti facle
scrlbuntur per folla trla •; ma di questa aggiunta di tre fogli non apparisce traccia nel ms.
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XIV.
(V. libro II, capo aettimo, p«f. 575 e sgg.)
Lettere di Gio. Vittorio Soderini ai Dieci di Balìa
da luglio ad agosto i512.
(Archivio di stato di Firense, ci. x, dist. 4, n. 114 e 115 (Alca 110 e 111).
[Filz. 110. C. 140]. Magnifici Domini Domini mei &. L'ultima mia
fu de xxij. del presente; mandata per le mani dello Oratore ferrarese,
la quale, perchè Ai fact;^ a sua instantia credo sarà venuta salva. Dipoi
non ci è stato altro, che per me si intenda, che pratichi assai fra lo Ora-
tore Hy spano et il Revmo Gurgense sanza fare conclusione, che si dif-
ferisce al parlamento s' ha a fare con el Vice Re per questo Sig. Revmo
Gurgense ; et però S. Rma Signoria si doverrà partire o domani o Taltro
al più alla volta di Mantova per aboccarsi poi con detto Vice Re
et fermare quel sia da fare. Io, int<ìso la partita di qui di Monsign.
Revmo Gurgense, et veduta la mia comissione,* «che trovato Gur-
gense non vadi più a trovare Tlraperadore fori d'Italia, fino. non harò
altra comissione da V. S., fu' con Sua S.* et li feci intendere ero per
seguitare quella in caso se ne satisfacessi, la quale monstrò havere molto
grato lo sequissi; et dixemi haveva commisso mi fussi facto ihtendere
l'ordine haveva dato al Sig. Giovanni da Gonzaga, » circa al prove-
dere a questi Signori si trovavano con S. Revma S., et volevanla se-
quitare per questo cammino alpestre, frusto, et molto mal a agio, et
però mi rimisse a S.S., dal quale sperava sarei bene accomodato di
quello poco si potessi in si sterile paese, soggiungnendo che apparteneva
alla Cesarea Maestà, la quale lui rappresentava, fare etiam che '1 cam-
mino fussi sicuro, et che fino alla pianura, et fino durano i monti non
era da dubitare. Nella pianura poi S. Revma S. farebbe essere gente a
pie et a cavallo, di maniera che ogni huomo sarà sicurissimo. Et mi
domandò se havevo haute risposta di quanto scrissi alle S. V. addi xviij
di luglio di sua intentione: dicendo io di no, soggiunse: andremo tanto
vicini, che ogni volta harete niente, sarà facile comunicarlo. Et doman-
dando € io se S. S. Revma haveva da dirmi cosa nessuna che apartenessi
a casi della nostra Republica, dixe di sì, recentissime et verissime ex
intimis Pontiflcis: et questo è il malo animo del Papa contro a quello
Stato; et che era da dubitare non li facessi contro qualche novità. Vero
è che il Vice Re non credeva fussi per fare cosa alchuna contro a quella
fino a tanto Sua R. S. non si flissi abochata con epso: et questo dice non
fa intendere per altro che per afectione porta ad cotesta Città acciò non
^ Le parole chiuse tra virgolette trovansl nell'originale scritte In cifra.
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716 APPENDICE.
manchi rimediare a* casi suoi in tempore. Le quali parole quanto importino
V. S. per la loro solita prudentia considerranno, et piglieranno quelli ex-
pedienti crederanno sieno a beneficio della loro Città ». Altro per al pre-
sente non mi occorre, salvo raccomandarmi alle S. Vostre. Domattina,
piacendo a Dio, partirò come è detto alla volta di Lombardia.
; Data in Trento a di xxiiij di luglio L512.
' Johannes Vittorius, Orator Flore»,
i [C. 167]. Magnifici Dni. d\ L'ultima mia fu a xxiiij del presente,
mandata per le mani del S.»* Giovanni da Gonzaga al Rosso Ridolphi
, a Mantova, per la quale significai alle S. V. che sequiterei Mons. Rmo
I Gurgense che si parti da Trento a xxvj, e trovossi a Bossolingo a xxvij,
dove ancora fumo noi altri tutti ambasciadori a honorare S. Revma S.
f la quale venne per acqua Ano a decto luogo, dove era ordinato su la
^ campagnia huomini d'arme in bianche, benché alla tedesca, circa
^ cento, e certi cavalli leggieri, e poi presso a Villafranca furono circa
• mille Lanzighìnethi, tutta bella gente ip ordinanza, che havevono tre
' belle colombrine, Scoppiettieri da GO in octanta, et dicevano in Verona
' esserne altrettanti. In quel mentre giunse Simon cavallaro con lettere
di V. S. de xxviij et xxiiij, et perchè decto Mons. Revmo quei giorno
fu assai occupato con quelle sue genti Tedesche, non potetti bavere
audientia, non obstante la ricercassi. Poi questa mattina partendoci
noi drìeto a S. Revma S. per accompagnarlo a Mantova, mi fé' innanzi
dicendo bavere da parlare a S. Revma S. per parte delle S. V. Rispose,
mi udirebbe per la via: et cosi essendo io alquanto discosto mi fé
[ chiamare. Dimonstrando io la buona intentione di V. S. et di cotesta
Ropublica verso « Tlmperadore, et come quelle erano desiderose non
manchare in quello fussi loro possibile alla devotione hanno verso
j quella Maestà, niente di meno faceva loro grandissima ditìcultà nel
resolversi circa quello s'intendeva essere desiderio dello Imperadore,
la instantia che fanno e collegati costi per tirare V. S. a contri-
buire, etc, non sappiendo se decto Imperadore è compreso in decta
Lega, et sé quello si fa con la Lega s'intende facto con l' Imperadore
in maniera s'intenda quella bavere satisfacto a quella Maestà sanza
riconoscere altrimenti, però desideravono intendere da S. R. S. quello
se ne havessi a presupporre. Sua S.* mi domandò se V. S. havevono
anchora dato risposta a quelli ne ricierchavono costì le S. V. in nome
della Lega. Dixi, credevo che no, et però pregavo Sua S." mi chiarissi
presto questo articulo acciò quelle più presto potessimo vedere di
accomodarsi con la voluntà dello Imperadore ». Al che S. S, Revma
dixe non volermi rispondere allora, ma che o manderebbe per me, o
manderebbe ad me per fare risposta a tal quesito delle S. V.: onde mi
bisogna aspectare essere chiamato, né posso « prima satisfare » alle
S. V. « Andrò ricordandomi y> perché si perda manche tempo sia possibile,
et come prima potrò ne darò adviso alle S. V. Io ricordo con reve-
rentia a quelle, che nonobstante Gurgense si monstri afectionato alla
vostra Republica, sarebbe bene, per quello intendo, riconoscerlo con
qualche cortesia, stimando fussi per potere giovare assai più non sa-
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APPENDICE. 717
rebbe quello si spendessi : havendo veduto per experientia mai volentieri
li ultramontani potersi conservare in amicitia sanza simili mezi ».
Lo Illmo Marchese non venne incontro a docto Mons.r Revmo
per essere indisposto, et, come dice, quartanario, ma lo fece incontrare
da assai gentili huomini, et lo ha alloggiato in Castello ho norat issi ma-
mente. Intendesi hiersera Lignago fu consignato a decto Revmo Mon-
signore per lo Imperadore, che cosi dicono essere stato di consenti-
mento de Franzcsi che vi crono drente, per ordine di Monsignore della
Palissa; et hanno voluto più presto Thabbino costoro sanza pagare altro
che ducati cinquecento, aitanti fanti vi erano drente a guardia con
salvocondotto etc, che venga nelle mani de Vinitiani, quali offerivano
gran partiti a chi lo teneva: e questo «per mczodel Sig. Giovanni da
Gonzaga », secondo mi ha riferito, quale aggiugne, di Peschiera essere
qualche pratica, et che di Cremona fu scoperto «per il (iovernatore
della Lega a di proximi, di chi praticava ch'el castello venissi nelle mani
dell' Imperadore: né segui poi punitione, salvo che di promettere non fa-
cessi più simili coso; il che monstra sia dispiaciuto ad Gurgense per-
chè e Svizeri non habbino ad impedire chi fa per T Imperadore ».
Fu poi ad me il Rosso Ridolphi, che haveva preso licentia da
questo Illmo Marchese, e femmi intendere come S. Illma S. li haveva
decto « esserci nuove de ventisei a' Proveditori Vinitiani erano iti col
Cardinale Sedunense et portatoli un breve della Santità del Papa che
lasciassi ritornarsene le gente Vinitiane, che non erano di bisogno più
in quello loco, il che per decto Revmo non fu né aprovato né impro-
vato ; et inoltre poi che si erano partite decte gente, il Governatore di
Milano haveva scripto a decto Marchese decto di venzei, doversi a
tucti e passi et acque, dove per il suo potessino tali gente capitare,
levare ogni commodità di passo. Et andando io per farmi vedere ad
Gurgense, acciò, volendomi fare risposta, potessi farlo, mi rimisse a
domani, dicendo mi significherebbe quanto hoccorressi il dì seguente.
Et visitando poi decto Illmo Marchese, trovai oltre al sopradecto, an-
chora da parte di Gurgense Sua S.>a essere stata riscaldata a quello me-
desimo ad che era suta da decto Governatore di Milano confortato ».
Cominciasi « assai a dubitiire se il Vice si accozerà con Gurgense, et
quasi si tiene per fermo a Mantova; potrebbe essere in altro loco, il che
non si sa per certo, però bisogna indicare dalli effecti ». Lo Illmo Mar-
chese monstra nel volto mala dispositione, et dixe non bavere dor-
mito più notte, né piacerli cosa che mangiassi, et molto si « offerisce
alle S. V.'' Delle cose Franzese di là da monti bugie assai: pure per non
manchare di dire quello mi é suto aflrmato, e* Svizeri bavere rotto al
Re verso Borgogna, et bavere prese certe buone terre: et cosi, qui si
fa il caso suo sia in termine da non potere pensare alle cose d' Italia ».
Questa mattina, vedendo non « mi era facto intendere altro, ne andai
a Corte per ricordarmi. Decto Mess. Andrea mi dixe non si poteva
stamani attendere a questa materia, perché Gurgense era ristrecto con
Io Spagnolo per altri afari, et era per starvi un pezo: però dopo
mangiare, di subito mandai il mio Cancelliere a ricordarmi. Fecemi in-
tendere che subito li andassi ad parlare, perché poi non poteva attendere
a questo: et così feci, et mi dixe che Gurgensis era occupato et vo-
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718 APPENDICE.
leya mi parlassi lui : però mi dixe Tlmperadore non essere compreso in
questa Lega, et che non ce ne era mandato in nessuno : et chi diceva
altrimenti non diceva il vero: et che non li pareva vi dovessi chiarire
con questa Lega fino A tanto che non intendessi vi fussi entrato lai,
il quale, quando vi entrassi, vi entrerebbe in modo saresti difesi da chi
vi volessi offendere: et che, come diceva bavere mandato a potere
obligare T Imperadore ad quello diceva lo Hispano ad Roma, non diceva
vero perchè erano burle. Et per non bavere fornito tutto quello mi
voleva dire, sendo chiamato, mi rimisse ad stasera. Io, veduto quanto
V. S. stimano bavere presto qualcosa da potersi risolvere sopra la pro-
posta factali, non ho voluto indugiare più a spacciare questo cavallaro
per non tenere quelle tanto suspese. Alle quali mi raccomando.
Data in Mantova addì xxviiij di luglio MDxy et a bore xxig.
Con questa tìa quella mandai per le mani del Sig. Giovanni che
l'o trovata a Mantova.
Johannes Vittorivs So. Orator.
[C. 253.] Magnifici et. Scrissi alle S. V. quello mi occorreva, et
essendomi dato intentione questo S.re Marchese spacciava uno proprio
per costà, serrai la lettera, quale per non essere poi partito, sarà con
questa, responsiva a quella delle S. V. de iiij del presente, la quale mi
fu presentata per Giovanfrancesco di Antonio del Magno, non hieri l'altro
a sera, con una allo lUmo. Vice re « de nostri Signori, » quale si pre-
senterà et farassi per me quanto mi commettono le S. V. Benché an-
chora sua IH. S. si dica essere « a Modena: et perchè quello di
non potè' essere con Gurgense, fuvi poi l'altra mattina di buona bora.
Et avanti Sua Sig."» mi volessi intendere fece chiamare Mass. Andrea
de Burgus, et cosi, presente l'uno e l'altro, exposi quanto né coumet-
tano le S. V., con quelle più accomodate parole mi furono possibili,
toccante tucte quelle parte notono le S. V. nelle loro ». Intesone « tucto
attentamente, et Gurgense solo toccò dello obligo dello Imperadore, che se
ne ricordava molto bene, ma non eravamo ne termini, perchè Sua Maestà
rimperadore non vuole innovare cosa alcuna centra ad cotesto governo
né epsa né altri de sua, anzi dice se ne contenta et se ne satisfa, ma che ci
é chi vuole attentarli contro de potentati di Italia, per mezo del rimettere
e Medici in pristino stato, et nominò el Papa; onde S. M.*^ Cesarea non
sendo obligata ad mantenerlo, in questo caso desiderava subventione da
cotesta Città ad ciò li potessi conservare il suo buono stato. Ad che
replicai che S.» S.a Revraa doveva bene considerare le parole dello
obligo che sono molto larghe, quando l'imperadore promecte non solo
non molestare ullo unquam tempore eh. presentem libertatem, regi-
men &. ma etiamdio non permectere sia molestata &., sobto parole
molto piene, videlicet directe vel indirecte, nec sub aliquo quesito co-
lore &., il perché pareva da dire etiam in tal caso S.* M> dovessi
adoperare in beneflcio di cotesta Città, et circa le cose de Medici mon-
strare loro quanto se ne ingannino, dichiarando per che chagione non
ne debbo esser tenuto conto alcuno. Ad che menò il capo et dixe non
voleva questo fussi per resposta, ma che pensarebbono sopra quello
ne scrivevano V. S. con li altri consiglieri, et hoggi mi farebbono chia-
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APPENDICE. 7.19
mare per farmene resolutione. Et expectando io di esser chiamato, non
mi è stato dicto poi altro che nel partirmene Mess. Andrea de Bur-
gos mi dixe : voi harete el fuoco ad casa in ogni modp. Costoro vogliono
expedire e casi di Ferrara et vostri. Et domandando io come lascia-
vono Vinitiani, dixe che era perchè noi altri non ci volavamo dichiarare
et non volavamo suhvenire Tlmperadore, et Tlmperadore anchora la-
scerà ire le cose a beneficio di natura: voi volete vadino male, ma
noi le lascereno andare male et peggio, et sarete cagione col non ci
adiutare si consentirà loro ciò che vorranno et ve ne pentirete ».
Lo exercito Venitiano si intende essere dove per altra è detto: così
ancora lo Spagnuolo a confini di Modena. De* Svizeri io non intendo
altro.
Lo Imperadore anchora si intende essere a Colonia, né si parla di
venuta sua in Italia. Delle cose di Francia non si dice altro, salvo che
il Re Christianissimo andava a Parigi, che se ne.aspecta più tosto in-
tendere di costà. Non ho mandato Giovanfrancesco cavallaro attendendo
« io la risposta risoluta di costoro, » et per vedere se altro occorressi
meritassi spaccio. Altro non mi accade, salvo raccomandarmi alle S.
Vostre, que bene valeant
Data Mantuse septima die Augusti 1512.
Johannes Vittorius So. Orator.
[C. 278]. Magnifici 4&. Con questa fla una de* X tenuta ad hoggi
per difecto di chi sia venuto innanzi, et la presente per fare intendere
ulle S. V. come essendo questa mattina a Corte uno che si mostra
molto affectionato alle S. Y., et intende, a mio iudicio, « tucto che si
tracta circa questa materia, mi dixe tuctavia crono sopra e casi vostri,
et non credeva troppo di buono; benché Ghurgense non si era voluto
risolvere: ma che noi presto vedreno ci verrebbe adesso cosa che ne
saremo mal contenti : et che volevono voi haiutassi in queste imprese
ghagliardamente, o si mutassi al tucto cotesto ghoverno; con volto
acceso: et che, se non faciavate questo, vi preparassi presto et bene
a poter resistere, che sarà prima non crederresti : et che non vuole es-
serne allegato per niente. Et dice che il Papa v'inganna, et che dà
loro adviso di ciò che praticano le S.^e vostre con la parte di Sua
Santità; et in effecto, conclude, c'è dato parole, ad fine non si facci
resolutione alcuna a beneficio di V. S. et si venghi a roctura, et faccisi
quello si ordina tucta volta per stirpare di Italia un traete tucte le re-
liquie Franzese; quali sono tenute, innanzi all'altre, lo stato presente
della Città di Firenze : et questo mi ha replicato più volte, et con più
cfilcacia l'ultima che la prima, mostrando sapergliene male, né ci vo-
ler essere traditore: però pensassimo bene a casi nostri che ne ha-
vavamo bisognio, perché Ghurgense in presentia di più S." di Lonbardia
disse come haveva questa mattina nuove della Magna che Maximiliano,^
nuovo Duca di Milano ne veniva a giornate, et di già il primo di del
mese presente si era trovato a Maguntia, et faceva conto con allegra
faccia per tutto e dodici di questo mese dovessi essere in Aspruch; e
1 Sforza.
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720 APPENDICE.
« Messere Andrea da Burgo disse » che lo Oratore Francioso non era
suto anchora udito dalla Cesarea Maestà: quale, poi intese la partita
di questo nuovo Duca di Milano, s' era alterato assai. E Venitioni si
dice con grosso exercito essere intorno a Brescia; né si intende al certo
la battino; et come per altra si disse, tutti e contadini, montanini e
cittadini sono in loro favore. Et benché si sia detto, questo M. S. Revmo
bavere fatto intendere a chi é per la S. di Vinegia,^non debbino ten-
tar contro le cose apartenente allo Imperio, nondimeno non si vede
Venitiani per questo se ne sieno tirati puncto indrieto. Il Vice Re ci s'a-
specta domani. Altro non mi accade salvo raccomandarmi a V. S. quae
bene valeanL
Mantuae die x^ Augusti m.d.x.ij.
Johannes Vittorius Soterinus, Orator Reipublice Floreìitùie.
[C. 295.] Magnifici &. Iheri scrissi alle S. V. per huonio mio a
posta di quanto era sequi to fino a quel di, di che io ha ve ve hauto
notitia; quale reputando essere giunto a salvamento, non ne farò replica.
Poi « questi Signori furono insieme, et per quello mi è suto referito,
prima sopra cose generale, come la Lega desiderava che la Maestà
Cesarea facessi pace con Vinitiani, e che dovessi Sua S."a andare fino
ad Roma acciò le cose di Italia si potessino meglio assettare. A che fu
risposto per Mess. Andrea de Burgo in nome di Gurgense, che quanto
alla pace quella Maestà non era per recusarla ogni volta vi fussi
rhonore di quella, et in che consiste ancora l'utile; né era rimasto da
lei fino a quest'hora: testimonio chi se n*era trovato a Bologna a ra-
gionamenti si crono facti per Sua S. con il Papa sopra questa mate-
ria; et allo andare a Roma che non era in sua potestà. E venendo il
nuovo Duca, male si potrebbe partire di queste bande. Quello che dipoi
si babbi ragionato, per anchora a me non é noto : Sono bene stati que-
sta mattina insieme per buono spatio, che il Vice Re a buon*hora sali
alla stanza di Gurgense, come anche fece hierì, et uscendosene, Gur-
gensis accompagnò detto Vice Re tu età la sala; al quale per noi altri
Ambasciadori presenti si fece compagnia fino alla sua stanza, donde
fumo licentiati. Dipoi hoggi questo di me ne andai di nuovo ad Corte;
et riposandosi il Vice Re, mi posi ad parlare con quello Ambasciadore
del Re Cattolico che è venuto da Venetia qua, et che si chiama Conte
di Chariotthe, il quale mi dixe a suo proposito, mostrando essere per
biasimare e Franzesi, che si era trovato quando Mons. di Roano mer-
chatantava colli oratori delle S. V. la rimessa de Medici in Firenze;
dicendo, li Oratori di V. S., perché non fussino rimissi, ne offerivono certa
quantità, et loro, parendoli quella poca, la ributtavo no, et chiamavono
luliano de Medici drente, et domandava quello lui farebbe dare loro
per essere rimesso in casa sua: et trovando lui offerirne molto più, di
nuovo chiamava li ambasciadori delle S. V. et cosi andava tramando
fino conduceva le cose a suo proposito. Ad che io li risposi non bavere
mai inteso tali cose né esser vere; perchè se si era mai dato cosa al-
cuna al Cristianissimo, era suto per altro effecto, non per conto de
Medici; che si è veduto per experientia la Città bavere poca paura
vi sieno rimessi. Dipoi parlai col Vice Re et di nuovo li allarghai et
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APPENDICE. 721
feci bene intendere la intentione delle S. V., in modo, mi dixe:Amba^
sciadore, io voglio mi crediate tal cosa essersi practicata a Roma per
lo Imbasciadore di Roma, et non ne sono bene informato. Volle sapere
quello che si era domandato per l'altra parte; ad che dicendoli io, cose
insopportabili, volle sapere la quantità : et raccomandandoli io nelle
cose da tractarsi con Si SJ^ la Città, monstrando quanto fussi la fede
et devotione di quella verso il Cattolico Re, S. S"* mi rispose lo farebbe.
Altro non mi accade: che lo exercito Venitiano non si intende babbi
innovato cosa alcuna, nò di altronde ci è nuove che a me sieno note.
Raccomandomi a V. S. qìAC bene valeant.
Mantuae die xiiij Augusti 1512.
11 Vice Re si stima non sia per passare domani a partirsi o al più
l'altra mattina.
Johannes Vittorius Soterinus, Orator Reipubl. Florent
[C. 318.] Magnifici &. L'ultima mia fu de xviiij, che sarà con questa
per difecto di chi l' babbi portata. Poi hiermattina che fumo a xx
« sondo ad Corte secondo el donsueto, Gurgense fece intendere a me
et a molti altri come La Dieta di Colonia si era resoluta ad cosa non
si recordava dieta alcuna bavere determinato; et questo è che ogni
persona dello Imperio, maschio o femina si sia, giovane o vechio, cosi
ecclesiastica come seculare, debba subvenire lo Imperadore secondo la
sua taxa; et perchè il danaio per questo modo viene tardi, si sono re-
soluti che e Signori potenti debbino sborsare tanti denari allo Impera-
tore che Sua Maestà per uno anno possi tenere mille cavalli et tremi-
lia fanti contro al Duca di Ghelleri, et che quando havessi expedita
prima quella factione, si possi valere di quelle gente per el resto del
tempo in quello li parrà. Così anchora di quello più si trahessi di tale
impositione facta a tucta la Magna, se ne possa servire ad suo pro^
posito. Et perchè è più difficile et di grande spesa congregare tanti
Signori nella Dieta, si è diputato octo Signori quali habino tucta la aneto*
rità appresso allo Imperatore et a tucta la Magna, quali possine di-
sporre sanza altri ragionamenti di tucto quello dispongano le Diete; et
oltre ad questo si è ordinato anchora tre presidenti con 18 consiglieri
e quali habino ad cognoscere et decidere tucte le cause appartenenti
allo Imperio. Et adgiunse Sua Signoria bavere concesso a quella Mae-
stà una decima per tucto lo Imperio : le quali cose fanno grandissima
subventione a detto Imperatore. Et stato si fu alquanto cosi », venne
rhuomo « del Cardinale Sedunense, quale stette ad lungo parlamento
cum Gurgense. Poi Mess. Andrea de Burgo ne fé intendere da parte
di Gurgense, il Duca novello Maximiliano, come per altre si dixe, es-
sere giunto in Hispruch, dove per esservi el morbo grande, et per
bavere desiderio di trovarsi nel suo Ducato, non voleva stare più, et
che da altro canto al Sedunense non era ad ordine per potere venire
ad abboccarsi di presente cum Gurgense, ma bisognava differissi qual-
che dì. Onde Gurgense ha indicato per avanzare tempo sia meglio lui
vadia alla volta di decto Duca, per satisfare a quanto ne commette Io
Imperatore; et così parti questa mattina di buon' bora, secondo dicano,
per accompagnare decto Duca di Milano nello Stato suo. Non hanno
ToMMASiNi - Machiavelli. 46
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728 APPENDICE.
già conferito se verranno per questa via, o se piglieranno ei cammino
per la Valle Voltolina, volendo essere in questa entrata bene accom-
pagnati et con buona gente. Et domandando Gurgensis se voleva li fa-
cessi compagnia, dixe lo farebbe intendere al S.^ Giovanni; et dipoi
mi fé intendere che in effecto Sua S. si contentava di quello mi con-
tentavo io, 0 voglia aspectare qui o voglia seguitarlo, che li basterà
essere incontrato alla volta di Milano; et facendoli compagnia, che parti
molto di buon'hora insieme cum Foratore Hispano, mi dixe che non sa-
rebbe contro al suo volere, quando mi venissi bene, rimanere; et che
per nuntii potrei intendere, quello facessi di là Sua S.»» et accommodarmi
secondo ch*achadessi: et quando pure volessi seguitarlo, facessi motto
al S.re Giovanni da Gonzaga, che mi indirizerebbe dove io havessi ad
alloggiare. Et mess. Andrea de Burgo mi mosse molte difficulta in
questo cammino, dicendo trovarsi assai luoghi, infecti di peste, et bi-
sognare andare cum poco trahino et pochissimi servitori, come faceva
lui, che haveva lasciato qui quasi tucti e suoi famigli et suoi carriaggi,
cum animo, quando saranno alla volta di Milano, mandare innanzi chi
li conduca là, adciò vi sieno prima di lui. Io, atteso la commissione
delle S. V. che dice: parlato harete cum Gurgensis non passerete più
oltre, ad trovare lo Imperatore : et considerato el fermarmi io qui non
essere contro alla voluntà di Gurgense, come lui medesimo mi ha decto,
et non sapendo altrimenti questa gita dove fussi là, prima mi parta
di qua anchora ho voluto V. S. intendino el successo della cosa, quali
prego mi commettine quello debbo seguire. Intanto mi temporeggerò
in questa Città fino che habi risposta da V. S. — Qua si fanno gran
parlari che questi Spagnuoli vengano contro alla vostra Città per rimet-
tere e Medici in Firenze per forza, et che i Bolognesi soldano forte ad
questo effecto; il che meglio debbano intendere le S. V. di costà. El Campo
Venitiano si sta nella sua obsidione, come per altra si è decto, et per
anchora non s'intende habi piantato la artiglieria: ma mi è bene stato
decto come, sapendo TOratore Veneto Gurgense bavere facto parlare
a quelli Franzesi sono nella terra, lo ha pregato per parte delle S. V.
vegli favorire la parte loro, et che Gurgense li ha dato buone pa-
role. »
Altro non mi accade se non raccomandarmi alle S. V. que bene
valeant,
Mantue die xxj Augusti m.d.xij.
loHANNBS ViTTORius SoTKRiNUS, Or, Flóren.
[C. 322]. Magnifici &. L'ultima mia de' xvij et venne per le mani
di Giovanfrancesco cavallaro di V. S., la quale reputando salva non
replicherò. Poi non intendo altro, saJvochè il Duca di Milano novello
giunse a xiiij in Aspruch, né tal nuova ho intesa da € Gurgense, benché
la mattina li sia davanti, come intesi la partita da» Colonia et la giunta
sua a Maguntia. Ma per la Corte si é divulgato, et « ce ne sono lettere
da quelle bande; Gurgense anchora non ha deliberato più verso una
parte che un'altra. Aspectasene la sua deliberatione, quale doverrà
essere secondo li advisi li saranno dati. Et io quando voglia cosi Gur>
gense, non avendo altro dalle S. V., andando quella più in un luogo che in
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APPENDICE. 723
un altro, la sequirò, et accadendo cosa alcuna di momento ne darò notitia
alle S. V. Credo però che quanto alla gita di Roma, innanzi si resolva
farla, vorrà molto bene prima sia fermo stabilito et chiaro tucto quello
si harà daffare, ricordandosi della gita sua a Bologna, che mi è decto
non vuole più Tintervenga come quella volta. Del campo hispagniuolo
non s'intende altro. Dicesi aspecta il S.»' Prospero con gente assai
appiè et ad cavallo per farsi grossi, in modo e Vinitiani si habbino ad
fare più piacevoli. Emmi decto Mess. Antonio Semenza essere ito verso
le parti del Lunigiana per fare quelli Signori che hanno titolo dallo
Imperatore si componghino nel passato, et riconoschino perii futuro; che
dicono, poi sono armati, non vogliono le cose vadino come sond ite
per il passato: il che non piace allo oratore Lucchese che si truova qui
venuto da pochi giorni in qua, e si è facto molto famigliare Mess.
Andrea de Burgo, prima che adoperi Gurgense in questi maneggi. Il
Campo de Vinitiani, come per altre ho decto, tucta volta ingrossa, et due
di fa passorono da Valeggio molti pezi di artiglieria grossa, et muni-
tione, et si stima ft*a ij giorni pianteranno le artiglierie da due bande;
et essendo hiermattina alla messa di Gurgense vi si adbattè lo Ora-
tore Vinitiano, qual dixe che la S. S."» si trovava intorno ad Bre-
scia mille huomini d'arme, et ne faceva 500: delli quali già ne ha-
vevano 200, et il resto del continuo si accoglieva, et vi havevono
X mila fanti pagati et ne yolevono fare fino a 14 mila et y mila ca-
valli leggieri: et vi si trovono 25 bocche di artiglierie grosse, et che
vi era numero infinito di Bresciani tra cittadini, contadini et monta-
nini, bemchè, per quello s'intende, non sono per essere ad un gran pezo
quanto lui ha decto: et mostrandoli io harebbono che, fare parendo a
costoro voglino mettere Verona in mezo, si lasciò uscire di bocca: et
che hanno eglino ad fare di Verona, che è 100 cotanti anni ne siamo
signori ? e' la vogliono per poter meglio taglieggiare e popoli, havendo
una porta d'Italia sempre aperta. Onde possano considerare V. S. che
animo sia il loro in questi travagli. Emmi decto non ci è anchora adviso
quello babbi ad lare il Sodunense, quanto ad venire ad parlamento con
Gurgense, ma che non » può stare molto ad esserci. Altro non mi ac-
cade. Raccomandomi a V. S. que bene valeanL
Mantuae die deoimanona Augusti 1512.
loHANNES ViTTORius SoTERiNUS, Or. ReipubUce Floren,
[C. 392.] Magnifici &. L'ultima mia fu de xxj del presente, per la
quale significai alle S. V. come si era partito di qui Monsignor Revmo
Gurgense alla volta di Hyspruch, secondo dette voce per fare soggior-
nare alquanto Maximiliano, nuovamente intitolato Duca di Milano, et
introdurlo poi in quel Ducato, dandogli coda conveniente; et come
S. Revma. Signoria mi haveva facto intendere € non si curava li an-
dassi drieto, bastandoli essere incontrato quando venissi alla volta di
Milano, » il che monstrava dovere essere fra pochi giorni: per la qual
causa io mi sono fermo in questo luogo: et per homo a posta feci
intendere a V. S. tutto il successo et le pregai si degnassino advisarmi
come mi havessi a governare per non uscir dello ordine datomi da
quelle che < era in effecto, scontrato Gurgense, non andassi più a tro-
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724 APPENDICE.
vare lo Imperadore faora di Italia, essendo possibile Gurgense si exten-
dessi fino dove si truova la S. Maestà. y> Questa partita di decto Revmo
Gurgense cosi repentina et inpremeditata alla volta di Hyspruch ha
fatto attoniti tutti quelli sequitavano decto Gurgense, parendo loro non
intendere bene la vera causa di tal mossa, né si quietando punto in quello
S. S. Revma n'ha fatto intendere, perchè non giudicano verosimile, es-
sendo in potestà di quella « fermare decto Duca solamente con una let-
tera fino ad tanto e' Svizeri o altri fùssino ad ordine per farli coda
conveniente, andare là in persona, cosi ex abrupto Gurgense per con-
durlo in Italia, et perchè ci è chi va ghiribizando la vera causa fussi non
li essere parso stare più qui con reputatione, essendosi volto lo exercito
del Vice Re alle voglie dello Imperadore, et il Veneto alle proprie com-
modità, et non vedere chi voglia adoperarsi al presente alle voglie
dello Imperadore. » Considerato adunque tutto secondo la solita loro
prudentia, V. S. si degneranno farmi intendere quello debba fare, pa-
rato a ubbidire a ogni loro comandamento. Intendo il Campo de Veni-
tiani infestare Brescia con le artiglierie, et quelli di drente monstrare
buono animo, in modo, questo Illmo Signore Marchese m*ha detto crono
usciti fuori et appiccatosi cogli inimici da una banda, quali se non fussino
stati soccorsi da Giovampaulo * portavano periculo non bavere perso
qualche pezo di artiglierie. Del Rev.mo Gurgense poi non s'è inteso
altro, salvo che andava a suo cammino a gran giornata. Raccomandomi
a V. S. qual priego faccino rimborsare Tommaso mio figliuolo di lire
octo per tante date allo aportatore delle de xxj che per fretta non se
ne scrisse.
Ex Mantua die xxig Augusti mdxij.
lOHANNES VlTTORIUS SOTERINUS, OratOT FlOT.
[Filza 111, e. 187.] Magnifici, &. Sarà con questa una mia alle S. V.
de xxiij tenuta a hoggi per defecto di spaccio. A 25 di questo a sera hebbi
la di V. S. de xxy, quale è venuta a salvamento per cura dello apportatore,
« che l'altre furono tucte dissugellate ad Parma, presentendo con in-
tensissimo dolore quello si fa contro ad cotesta Città, et che io lo debba
notificare ad Gurza. » 11 che non potendo io fare a bocca, n'havevo
scripto al mio Cancellieri, quale gli havevo mandato drieto per po-
tere meglio intendere quel fussi da sperare di questa sua promessa
ritornata: et perchè detto Cancellieri, veduto Mons. Revmo non volere
seco altre gente che pochi de sua, et fermare li altri in Trento, ex-
cepto lo Hyspano, se ne è già tornato, non s'è potuto mettere ad effecto
quello li havevo scripto. Però, volendo V. S. se ne usi altra diligentia,
si farà quanto quelle ne commetteranno. Referisce il prefato Can-
cellieri M. Revmo. Gurgense essere partito da Trento addi xxv del
presente, quando pioveva bene forte, per essere la sera a Bolzano di-
stante da Trento xxxv miglia, et dovere essere in Hispruch a xxvii di
questo; et Mess. Andrea Burgos baveri! detto mi dicessi, infta pochi
giorni saranno di ritorno. Erasi detto a questi di il Duca di Ferrara
essere spelagato a Triesti: bora bora questo signore Marchese m'ha
* Bapllonl.
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APPENDICE. 725
fatto intendere per chi portò la alligata a quelle delle S. V. tal nuova
essere verissima. Et di già le gente uscite di Ferrara a pie et a cavallo
hanno ripreso il Pulesine, et fatto gran preda in sul Venetiano. Qui ci
è uno certo Bardellone qual dà nome far fanti per a Bologna: et si dice
Venitiani trarre forte alla rocca di Brescia, et haverne gittate in terra
qualche poco, et niente di manche quelli di drente stare di buona voglia,
et non dubitare di essere sforzati. La lettera di lanicola- si è usato di-
ligentia, «né si è fatto buon servitio. Altro non mi accade, salvo racco-
mandarmi alle S. V. que bene valeant.
Mantuae die xxviij mdxij.
Siamo addi 29. et il « signor Giovanni mi fa intendere come li Svi-
zeri s'erono risoluti voler favorire questo Duca novello con certe con-
ditioni et modi » da lui non bene anchora intesi, et bavere lettere da
uno Secretarlo di M. S. di Curtia, *■ per le quali li è affermato detto
Revmo ci sarà presto, et che non passerà a Hyspruch et forse verrà
€ seco il Duca per andare alla volta di Roma. » Delle cose di Brescia
non dico altro, rimettendomi a quello si contiene in uno capitolo sarà in
questa, haute € dal diete signore Giovanni. »
Siamo addi xxx, et per la via di Mess. Tholomeo, Cancellieri di que-
sto signore Marchese, intendo il medesimo di Gurgense, et come an-
drebbe a Roma « ad ogni modo, perchè intende il Papa li fa grande
offerte si per la persona sua propria, si » etiam per il suo patrone ; et
che « il Catholico haveva scripto una lettera al Duca novello, chiaman-
dolo Duca di Milano et confortandolo ad essere di buono animo, et che
non dubiti perchè le forteze sieno in mano de Franzesi, et che daranno
da fare tanto alli Franzesi dalla banda di là che harà charo lassarlo
godere il suo Ducato ».
Questa ritornata di Gurgense risuona da più bande ; che è tornato
uno fratello di Mess. Andrea Burgos, et dicelo affermative: € non crede
già venga bora decto Duca. » Però parendo a V. S. che andandoli io
incontro, o qui, ^li parli più in una sententìa che in una altra, me lo
faccino intendere, perchè, nonobstante babbi parlato € con Piggello et
Giancola, non sono per uscire di commissione. »
Harò charo V. S. si degnino advisarmi se pure Mons. Revmo
Gurgense volessi pigliare « la via di Roma, quello ne babbi a dire,
0 fare Gurgense » quale potrebbe etiam venire per « aboccarsi con
Sion, come già dice voler fare ». Qua sono tornati molti fanti del Campo
Venitiano per uno bando mandato da questo signore Marchese, sotto
pena di rebellione a qualumque suo sottoposto non tornassi nel suo
dominio: stimasi per potersi valere delli huomini sua a sua bisogni.
Priego V. S. faccino rimborsare costi Tommaso mio figliolo di lire
sei per tanti dati allo aportatore di queste. Et iterum a quelle mi
raccomando.
Data in Mantova addi xxxj di Agosto 1512.
lOHANN. VlTTORIUS SOTBRINUS, Ovator. FlOT.
« Post scripta - Le Signorie V. vogliano che io facci intendere ad
Gurgense non essere ad proposito dello Imperadore che quelle sieno
^ Monflignore di Gurtia, I] Gurgense.
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7Ì6 APPENDICE.
ad discretione d'altri, et tanto al tempo farò, ricordando però con re-
verentia tal cosa non essere, o sanza ordine di qua, o sanza consenso,
et che per quello mi rammemoro, parlando altra volta col Burgos di
questa materia, lui mi disse che era al lor proposito eh' e Medici ritor-
nassino, che saranno (sic) men imperiali ; et che il denaio che havevano da
V. S. solo per una volta, quello Medici promectevono hora, per una et
molte altre, inferendo perpetuità, che importa recognitione d' imperio,
quale sommamente costoro appetischano, come sarà difficile per questa
via persuadere loro quello V. S. desiderano, massime mentre sono in
speranza tale effecto sia per riuscire. Però è bene adiutarsi da sé et
per ogni via, che hanno facto et fanno sapientissimamente le » S. V., alle
quali iterum mi raccomando.
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XV.
(T. libro II, capo MUtino, pag. 576)
Consulte e Pratiche della repubblica di Firenze.
(Biblioteca Vaticana — Cod. Ottobon. 2759, pag. 133 e sgg.)
Die XXV Julii 1512
Se si haueua a dare quello domanda Gurgense a Mantoua per conto
dello Imperatore.
^ M. Niccolò AUoviti dixe:
Che uedendo quello scrive messer Giovanvictorio li pare che la
resolutione si vadi difficultando; et quando fussi cosi mal si può deli-
berare; pure li occorreua dire che la consulta hauea duo parte. L*una
quello scrivea m. Giovanvectorio, l'altra quello proponeuano li amba"
del papa et catholico. Circa alla prima li occorreua che si tenessi bene
disposito Gurgense con qualche donativo, perchè quando sarà benivolo
alla città, non conpatirà sie forzata; et perchè non si vede che lo
'mperadore sia ancora ben fermo con la legha; però non si può fare
resolutione se è bene darli danari o no, et crede sia bene andare in-
tractenendo per uedere quello si fa colla lega; et quando eli* interve-
nissi, con quella farebbe fermo, fermando con quella ; non si fermando
con la lega S.» M^, albera si potrebbe convenire seco ; et però andrebbe
Jntractenendolo col satisfar a Gurgense. Circa alla seconda, che la città è
per aderire con la lega qualunche uolta s'intenda le cose ben ferme;
et quando elli habbia ad contribuire a cose honorevolì et con carico da
poterle sopportare; et ui ricordo che aderendo alla legasi facci gene-
ralmente con quella somma di danari sarà conveniente, sanza uenire
ad altri particulari che dessi no charico, come è cacciare lo ambascia-
dorè franzese, obligarsi ad perseguitare franzesi di là da* monti et in
lombardia, sendo obligati al contrario. Circa la somma del danaio an-
drebbe differendo, mostrando la impossibilità, tenendo el filo appicato
fino a tanto si uedessi le cose loro ferme et da canto usare diligentia
di persuadere a Ms Lorenzo ^ quanto queste difficultà importino alla città,
et tenerlo fermo et cosi acquistare tempo.
■r- Ms Matteo Nicolini dixe:
Che quello scrive ms. Giovamvectorio lo fa più dubbio ; perchè si
vede che lo *mperadore non è ancor fermo et le cose della lega non
resolute, Circa al darli danari, non far nulla ma intractenere; perchè
hauendo ad fermare con la lega si harà a contribuire ad buona somma;
non fermando con la legha si potrà far quello sarà ad proposito. Non
* Lorenzo Pucci.
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728 APPENDICE.
teme de Medici et indicali spauentachi : non ne farebbe nulla di dare
danari. Crede faranno tanti spauenti a ms. Giovarnvectorio che si farà
et gitterassi via tutto, discorrendo che non (è) altro luogo donde trarre
danari. Circa la seconda, non vorrebbe fare demonstratione contro ad
Francia, fino le cose di costoro sono in aria: quando le fussin ferme
farebbe ei meglo potessi per saluare: andrebbe intractenendo come è
decto coi fare intendere a Ms. Lorenzo quello dixe Ms. Niccolò Altouiti.
-r- Tommaso Ginori dixe;
Che le cose in questi principi non sono ferme et non li pare con-
uenire con parte hauendolo ad fare con tutto, perchè si harebbe a far
due volte; et in effecto el medesimo che Ms. Matteo. Circa le cose delli
Imbasciadori sono qui, non vorrebbe fare demonstratione contro a
Francia, non vedendo altro pericolo ; et in effecto, che la città quando
questi principi (fussero) d'accordo, havendo conuentioni ragionevoli,
concorrerebbe con pacti convenienti, ponendo da parte Tobligo che do-
mandone contro a franzesi, per non uenire ad roctura con loro; et an-
drebbe intractenendo, tanto succiedessi * se questi principi sono uniti.
Et quando sieno, conuerrebbe nel medesimo modo decto ; quando no, non
mancherà modo a discostarsene o fare quello sarà ad proposito della
città.
•7^ Alexandro AcciaiuoU: el medesimo che chi ha parlato et maxime
Ms. Niccolò Altoviti.
7^ Giovanbattista del Cittadino: el medesimo.
•7^ Simon Corsi: che farebbe ogni cosa di farsi amico Gurgense
con qualche donativo: circa la seconda parte el medesimo che graltri.
•r- Iacopo SaZuiaii dixe:
Che se non fussi el pericolo che sopraste al)a città di queste genti
spagnuole che uanno soggiornando sarebbe più facile el risolversi: pure
non è tale che si discosti dal consiglio dato. E' modi d'asicurarsi sarebbe
conuenire con questi principi; et potendo farlo con tutti, farlo con
patti conuenienti ; con lo Imperatore solo non lo farebbe, perchè non ui
può offendere se non con le gente del papa et catholico; delle quali
ci uà tempo ad potersene seruire; et però allui solo non darebbe da-
nari, né al papa solo ancora: qualche donativo non darebbe briga: dalli
noia quello ha decto Ms. Lorenzo Pucci che noi torniamo a drieto ; et
uorrebbe che Tintendessino che noi siamo per adherire con la lega; et
farlo, potendo, et cancellare questo nome dello essere noi franzesi, per
il che tutti ci disegnano contro per questo; et in facto ne uorrebbe
tener conto et in parole cancellarlo, come è decto; et uorrebbe chel
danaio aconciassi, ma fussi somma conueniente, non facendo di quelle
cose domandano, perchè sarebbono et di carico et di danno alla città;
et stima si contenterebbono di quello fussi conveniente sanza forzami ad
altro, con lo hauere una protectione.
7^ Pier franca thosinghi dixe:
Che dubita che cosi come noi volianno godere el tempo, così
ancora loro habbino facto el conto loro ; et potendo conuenire con loro
lo farebbe non si scoprendo contro a francia; persuadendo loro che si
^ Cosi nel ms. Forse deve leggersi: «si vedessi».
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APPENDICE. 729
coDtentassino et seruirsi di noi con beneficio loro et sanza pericolo
nro. Circa la qualità del danaio concorrerà con una somma determi-
nata, pigliandoui in protectione, presupponendo che la lega sia come
dicano ; il che haranno a dimostrare ; et crede sia necessario mostrare
di volere conuenire con loro et farlo ne* casi decti di sopra. Circa la
seconda non darebbe danari all' imperadore, et terrebbe contento Gur-
gense con qualche donativo.
7^ Nicolò Zati: el medesimo.
7^ Gìouambattista ridolphi dixe:
Che non è fermo cosa alcuna tra questi della lega, et non vorrebbe
mentre le cose stanno cosi toccar qualche mazzata: et vedendo ch'el
papa fa ógni cosa di farvi declarare, penserebbe diuenire ad quelli
particulari che nocessino manco alla città etiam che le cose tra Igro
non si ueghino ferme, indicando questo sanza pericolo. El uenire contro a
francia, come voglano, è cosa uituperosa et dannosa alla città; et crede
che mostrando loro questo, sarebbe facil cosa ad persuadere di ritrarneli;
et col dir loro se ci uogliono o per beneficio o per farci far cosa con danno,
0 pericolo sanza loro fructo : se ci uoglono per beneficio loro, pensino
che si facci in quei modi si può, et con quel carico si può sopportare;
facciendo con loro una lega a difesa delli stati comuni; et pigliandoui
loro in protectione con contribuire a una somma conveniente, et ad
questo modo verrebbe a qualche particulare, sanza mostrare volerli
tenere a cresima : et vedrassi se '1 papa ha preso el morso co' denti
di farui declarare nel modo chiede. Circa la cosa dell' imperadore non
ui si spenda per bora, ma intractenerlo ; perchè diventando da deverò
le cose sue, ad ogni modo bisognerà farlo perché se la legha seguirà,
bene quidem; non seguendo l'umori che dicono, questi altri principi
vi difenderebbono da pericoli.
r^ Benedetto de' Nerli: el medesimo.
■r^ Lionardo Strozzi: el medesimo.
7^ Uberto de' Nobili: el medesimo di Giovambatista Ridolphi.
7^ Luca degli Albisi dixe:
El medesimo di lac.** Salviati et giovanbatista ridolphi ; et non da-
rebbe per bora danari né allo Impr© né a Gurgense.
7^ Piero Guicciardini el medesimo che Iacopo Salviati.
7^ Gherardo Corsini:
el medesimo che Giovambat.*». Non si discosterebbe però da fare
quajche donativo a Gurgiense.
7^ Giovambatista Bartolini:
Che con li ambasciadori si venga ad qualche particulare, come
dixe Giovanbattista Ridolphi. Circa a Gurgiense se lo farebbe propitio
con qualche donativo.
r- Lamfredino Lanfredini:
Él medesimo di Iacopo Salviati et pierfrancescho Tosinghi: circa
a Gurgense starebbe della oppinione di darli, quando poca somma ba-
stassi; ma ogni somma no; perché se si concluderà con la lega, sarà
fermo tutto ; hauendo ad fare da parte lo farebbe con lui 'ch'à l'arme
in mano, e questo é Spagna, che é pericolo presente: con quelli che
sono discosto andrebbe più adagio.
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730 APPENDICE.
7^ Lutozo naxi: el medesimo.
7^ francescho ve e tori:
Él medesimo che G.batista Ridolphi: circha a Gurgense non li da-
rebbe danari bora: perchè si concluderà con la legha et sarà fermo
tutto : non concludendo, e' sarà con Francia et barassi tempo.
7^ Giouanni Ambruogi l el mede-
7^ Beffardo Neretti ì Simo che non si dia
7^ Francescho del Zacheria ( per bora a Gurgense
(R. Archivio di stato in Firenze. Consulte e PratichSj f. 71,
classe II, dist. 5. n. 131, a e. 673).
Die Veneris de mane 30 Julii 1512.
In Consilio degli 80 in sala inferiore.
Lecte più lettere venute di proximo da più nostri oratori et di
Firenzuola et Mugello et altri luoghi quivi circumstanti, et alcune di Ni-
colò Machiavelli, dove queste gente Spagnuole si trovano: et del so-
specto si può avere, per essere vicine alle cose nostre da quelle bande
di verso Bologna, non si gittassino a danni delle cose nostre: fu adi-
mandato consiglio quello sia daffare per defensione delle cose nostre e
non esser giunti imprevisti : et adpresso circa la resolutione della con-
sulta d* biarsera se s'à (a) adherire a decta lega et contribuire, o non
adberire: et quando si consigliassi dovere adherire, con che pacti et
condictioni et modi. .
Antonio Guidotli^ prò offitio Gonfaloneriorum:
Io non mi estenderò molto in excusare la mia insufflcientia. Quanto
alla risposta da farsi al Nuntio Papale, pare da farsi verbalmente,
e, quando e si possa, apichare con questa legha la protectione, et cre-
dono si possa fare con questo che la fede promessa al Christianisslmo
si observi, et che si servi la dignità della Cictà et avere la protec-
tione loro.
Quanto alla spesa hanno altra volta expressa, si riferiscono al
consultato altra volta. Quanto alla pendentia seguita commendano
l'Excelse Signorie Vostre, et di questi Spectabili Dieci d' bavere pro-
visto in tucti que luoghi fa di bisogno. Vi confortano aseguire et loro
presteranno favore.
Alesso Lapaccini, prò officio XIJ Virorum:
Magnifici Excelsi Signori: per non tórre tempo lascierò le ceri-
monie & et referito quello sia la Intentione di qtiegli mìei padri &.
Quante volte hanno havuto a consigliare sopra la proposta del Nuntio
Appostolico, sempre sono stati d*una medesima volontà, che la fede
promessa non si debba violare, etiam quando si potessi incorrere pe-
ricolo: dalla quale sententia non vogliono in alcuno modo spiccarsi
perchè Tonestà precede airutìle, se già la necessità, che non ha leggie,
non ricerchassi altro. Circa le cose occorse di breve laudano le Si-
gnorie Vostre, et di quegli Spectabili X* e provedimenti havete facti,
et non veghono cose per le quali per bora sia da temere, et offeri-
scono per loro ogni favore.
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APPENDICE. 731
Tommaso Gianni, pel Quartiere di Santo Spirito:
E' m'anno commesso referisca el parere loro circa el Nuntio Pa-
pale, che hanno già tre volte consultato, che è che, quando si fusse
potuto, con questa lega convenire con salvare la fede promessa et la
dignità della Città et con quella meno somma si potesse. Circa le let-
tere lecte, commendano le S. Vostre ed di quelli Spectabili X.» de pro-
vedimenti facti ; et che quando in quel di Mugello si facessi uno com-
missario, lo comenderebbono.
Nicholò Sacheiti^ pel Quartiere di Santa Croce:
M*ànno mandato a referire, &. Quanto alla parte del Nuntio Ap-
postolico, dicono che hiarsera voi fusti consiglati, et a quelli si refe-
riscono circa la risposta s'abbi a fare. Quanto alle lettere lette, com-
mendano r Excelse S. V/^ et di questi spectabili X^ de provedimenti
facti, che pare loro, non si scoprendo altro, bastino.
Mess. Baldassarre Carducci, pel Quart.® di S.» Maria Novella.
Quegli miei padri vogliono, ch'i' referisca: Et quanto alle lettere
lecte comendano l' Excelse S.^ V.e et di quegli spettabili X. non bavere
ommesso cosa alcuna circa e provedimenti ; et nascendo cosa alcuna
di nuovo, prò vedere: et parrebbe loro di creare uno Comissario in que'
luoghi, huomo di conto.
Quanto al secondo capitolo, di fare o non fare la risposta a que-
sti oratori del Papa et del Chatholica: et èssi questa cosa più volte con-
sultata, et sono quegli miei padri stati conformi che quando si potessi
ottenere da questa lega protectione della libertà nostra, si lascereb-
bono andare in 25 et per insino in 30 migliaia di fiorini, et conforte-
rebbono bavere ad sé tucte queste consulte, e la prudenza de X. trarne
la risposta s' abbi affare : Et quanto queste cose consultate non satisfa-
cessino sempre saranno per consultare di nuovo et prestare a tucto favore.
Messer Giovanni Buongirolami per San Giovanni.
Magnifici Signori, due sono, circa l'apuntamento con [la] lega, in
opinione che la cosa si stesse; per non intendere questa lega et esser
quasi vento. Tucti gli altri sono in questo che potendo, convenire * con
questa legha, salvando sempre la fede et la dignità della cictà. Et
benché e modi possono esser molti, loro ne adducano uno, cioè conve-
nire con una quantità di danari e non s'obligare a mese per mese;
e la somma o 25, o 30, o 35 mila, perchè tucti questi movimenti are-
chano spesa continua, et che la somma sopradecta sia meglio et con
più pace. Circa la guardia delle cose di Mugello, credono, quando con
la lega si convengha, non bisognerebbe altro : et parrebbe loro per ogni
rispecto si creassi uno Comissario in quelle bande, di reputatone, et
punire chi arecha le novelle non vere di queste cose vanno a torno.
Item per li medesimi delli 80 del Quartiere S*^ Maria Novella, et
per Mess. Baldassarre Carducci relatore fu a più dichiaratione del
parere loro decto, che la resolutione di quelli suoi padri fu et è quella
medesima altra volta facta, cioè che potendo sanza altra collìgatione o
adhesione alla lega, obtenere da quella protetione et manutentione del
presente governo et di noi fiorentini, si concorra a pagare una somma
di 25 in 30 mila Ducati a decto effecto.
1 Cloe: • di convenire, potendo -.
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APPENDICE.
(Biblioteca Vaticana, ms. Ottobon. 2759).
' Die 12 Augusti 1512.
T^ Ms. Niccolò Altouiti dixe:
Che circa a dua casi si haueua a conslglare : prima circa le lectere
de Ms. Giovamuectorio: secondo, circa laciptadella di Livorno, se era
da sfasciarla o no dalla banda di terra. Circa le lectere, dixe che ms. Gio-
uamucctorio, ad instantia di Gursa, facieua instantia sopra la cosa con-
sigliata più volte; circha ad che non occorreua mutar sententia da
quello era stato consiglato; perchè tutte le altre lettere lette et di
Roma et di Spagna mostrauono douessi dire el medesimo ; et che si
stessi nella medesima oppinìone, considerato la disunione de* principi;
et che Gurgense et li altri, udito Tobligho, si erono quodammodo ver-
gognati: et cominciando a dar danari allo imperatore, tutti li altri ne
vorrebbono; il che mecterebbe la città, in uno pelago di non ne po-
tere uscire; et conclusine, considerato tucto, et di più la penuria che lo
imperatore ha ogni di bisogno di danari, et le poche forze sua, non li
pare da darli danari ad modo alcuno; et scrinerebbe a Mes.Giamuec torio
che non andassi tentando; essendo ricerco lui, che stessi in sulla me-
desima commissione datali, da stare in sulFobligo; che circa alle altre
cose si expecti di essere richiesto et allhora si deliberi quello sia el
meglio per la città. E circa alla ciptadella di Liuorno dixe che li era
bene sfasciarla dalla banda di terra, fortificando la parte di verso el
mare; et quelle di fuora, abbassando quelle torre, con la macerie delle
quali si potrebbe fare decto fortificamento.
7^ Ms. Matteo Niccolini dixe:
Circa el dar danari allo Imp.^e era nella medesima sententia de
Ms. Niccolò, et che non si parte dalla conclusione factane altra volta
et che l'ultima lettera di Ms. Giouamuectorio accennano che se ne ver-
gognano et non uogliono strignere; et a Ms. Giouamuectorio farebbe la
medesima resposta decta da Ms. Niccolò. Dixe che la praticha che
muoue el Catholico, li agira el ceruello; et farebbe quello dixe M. Ni-
colò. Pure provò con molte ragioni che lo stare neltrale è pericoloso;
et più tosto terrebbe ataccato el filo col ps^pa che con altri; perchè, a
questo modo, fuggirebbe la praticha con Spagna; la quale ui farà muo-
uere, et non farete indignar el X^o, el quale ha più in odio Spagna
che ueruno altro, et, sotto nome di tutta la lega, terrebbe la praticha col
papa et riappiccherebbela seco, col dolersi che uuole fauorire e Medici;
et per questa uia appicherebbe ragionamenti di nuouo. Di Livorno dixe
non intendersene.
-:^ Alexandro Acciaiuoli dixe:
El medesimo, excepto che non uorrebbe rappicare la pratica col
papa com nominare rebelli: ma un altro modo.
7^ Giouambatista del Cittadino dixe:
El medesimo, et che rappicherebbe la praticha col papa sotto nome
della lega, non allegando Medici, ma con altri ragionamenti ; della cit-
tadella de Liuorno farebbe quello dixe Ms. Niccolò.
-^ Lorenzo Neroni dixe:
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APPENDICE. 733
El medesimo che gl'altri et si seguiti la pratica mossa col papa,
andando più auanti con la offerta del danaio, bisognando.
•7^ Pieì'O delli Alberti dixe:
Circa le lettere di ms. Giouamvectorio et quello expose Ms. Piggiello,
dixe che era nella medesima oppinione et conclusione facta altra uolta ;
et ricordò che la salute della città consisteua nello intendersi col papa
et Spagna; et ricordò che si facessi uno ambasciatore ad Roma oltre
a quello ui è ; il che seruirebbe ancora alla praticha che muove el Ca-
tholico col suo oratore che è là.
7^ Pierfrancesco Tosinghi dixe:
Che li dispiaceua che raccordo messo auanti dal papa et dal Ca-
tholico non hauessi hauto effecto; farebbe ogni opera di rappiccarlo;
et, bisognando, qualcosa più di quello era disegnato, lo spenderebbe.
Darebbe notitia a ms. Giouamuectorio di quello scrive el Guicc lardino;*
ad ciò uedessi se potessi ritrarre cosa alcuna. Crede ch'el fare una
lega col Catholico a difesa delli stati non hauessi ad offendere el Re;
et conclusine potendo conuenire con el papa et catholico lo farebbe;
non potendo lo farebbe con uno solo. Dello Imperatore el medesimo.
Della cittadella lo farebbe uedere a qualche condoctiere pratiche, et,
secondo e' consigliassi, cosi si gouernerebbe.
r- Piero Lenzi dixe:
Le lettere di Ms. Giamuectorio, se li risponda dandoli la medesima
commissione datali fino a bora, et a Pigiello farebbe ancora la mede-
sima resposta. ludica molto ad proposito riappiccare la pratica mossa
da Roma a di passati con quelli modi fussino ad proposito et andarli
drieto per uedere d'assicurar la città. Circa a quello -scrive el Guic-
ciardino della praticha muove el Catholico, dixe li andrebbe drieto in
quel modo fussi ad proposito : et quando la fussi utile farla ; né crede
per questo el X^o si hauessi ad irare, et darebbe notitia di tutto a
Ms. Giouamuectorio. Circa la cittadella di Livorno el medesimo dixe Pier-
francesco Thosinghi.
•r^ Nicolò Zati dixe:
Era nell'oppinione di quelli che uorrebbono la praticha col Papa et
con Spagna hauessi hauto effecto; uorrebbela rappiccare, et bisognando
spender qualcosa, pur lo farebbe ; et circa quello scriue Ms. Giouamuec-
torio el medesimo che gl'altri : circa le lectere del Guicciardino, farebbe
ogni cosa di non si spiccare dal Catholico, non potendo conuenire con
la lega. Circha Liuorno el medesimo ch'el Tosingo.
7I Chimenti Ser Nigi:
El medesimo che li altri, et maxime circa la domanda di Gurgense
che si stie sul medesimo che s'è' consigliato fino ad bora: che la pra-
tica di Roma si rappichi, et si tiri avanti potendo con qualche somma
di danari più (potendo). Andrebbe drieto al ragionamento mosso dal
Guicciardino, circa el conuenire con la M*^ Cathc» et darebbe notitia
di tutto a Ms. Giouamuectorio. Crede non si possa errare ad conuenire
con el Cathco, non potendo conuenire con la lega. Di Livorno se ne ri-
mecte all'altri;
* V. nella Legazione di Spagna di Fr. Guicciardini, la lettera ai Dieci » da Burgos,
18-22 luglio 1512 •>, fra le Opp. inedite del zned., t. vi, pag. 76 e sgg.
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734 APPENDICE.
7^ Giovambatista Rido(l)fi dixe:
Che lo exemplo delli altri admonisce la ciptà, uedendo molti luoghi
da un dì a uno altro trouarsi In graui periculi; et tanto più trovandovi
sprovisti ; et non li pare il pericolo in che si truova la città sia pon-
derato come si deverebbe: dolsesi che molti cittadini de' chiamati non
erom venuti ; parli che faciendo el papa la 'mpresa di Ferrara, et ue-
nendovi gente grossa, che si porti pericolo; et per questo li pare che
el tempo sia ogni volta di cercare rimedio : et de' migliori stima el con-
uenire eoa la lega, et la lega chiama questa che dice el papa, et con-
uenendo con essa, lo judicherebbe abastanza; rappicherebbe la pratica
col papa per vedere di conueuire; et potendo conuenire lo farebbe, et
ordinerebbe la città, ad ciò se si cominciassi la praticha, non si ha-
ues^i a rompere con danno della città; et uorrebbe che ne fussi dato
autorità a chi ha a tractare, ad ciò non si deliberassi una cosa qui, et
poi non se ne facessi un'altra altroue. El modo di rappicare la pratica
' col papa, non judica fuori di proposito farlo in su queste cose di Car-
fagnana, col mostrare quello si è facto et vedere di gratificarlo; etri-
cordo questo modo, quando non ci fussi de' migliori, indicando ad pro-
posito ad rappicare e ragionamenti mossi ad questi di. Circa ad quello
scriue el Guicciardino, ricordo in prima tenere uno appresso al vice re,
et mostrarli non sprezzare quello muoue el Cathco et se non ci si pro-
cede, è * per conto di quello è stato mosso ad Roma; et ad questo
modo crede si farebbe cosa grata al Cath^o mostrando di stimarlo; et
tucto farebbe in modo che non fussi causa di forzami ad restringi-
mento più che fdssi di bisogno: circa l'Impr® el medesimo; perchè ciò
che ui si spendessi di presente, sarebbe perso, et con buone parole sta-
rebbe in sul medesimo. Circa a Livorno, che quello ui si facci con pa-
rere di ualenti huomini.
7^ Benedecto de* Nerli dixe:
El medesimo di 6. batista, et rappicherebbe la praticha di Roma
et manderebbe uno o dua ambasciadori oltre a quello ui è. Circa le cose
di Gurgense el medesimo.
r- Lionardo Strozzi: el medesimo che Batista.
7^ Uberto de' Nobili: El medesimo che è stato parlato per Gio-
uambatista et che si facci in modo che qui non si concluda una cosa
et su un'altra, et non si mostri disunione. '
7^ Luca delli Albizzi: El medesimo et si mandi uno al Uice rè,
et uno 0 due ad Roma, oltre a quello ui è di presente.
r- Piero Guicciardini dixe:
El medesimo che li altri et crede che la città non sia per essere
lasciata stare neltrale, et però non li pare da expectare, perchè sa-
rebbe con danno et uergogna ; et però li pare da rappicare la pratica
et a Roma et col Ulcere, in quelli modi fussino conuenientì, et quello
dixe Giouambatista li piaceua. Circa l'Imperatore el medesimo, et at-
tenderebbe a saldare queste altre cose che importon più. Circa a Li-
uorno el medesimo.
7^ Antonio da Filicaia:
^ II ms. erroneamente: » et *>.
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APPENDICE. 735
El medesimo che li altri: circa a Liuorno, che s'èl ragionato più
volte di sfasciarla dalla banda di dreto; et che hauendo Liuorno bi-
sogno di più altre cose, crede che per questo sie rimaxo indrieto el
mettervi mano.
7^ Gherardo Corsini dixe:
El medesimo, et vorrebbe che la città in seruitio suo hauessi porto
un pò più l'orechio non fece a' ragionamenti mossi a' di passati da
Roma; ftiggirebbe con bone parole di conuenire con uno solo di questi
principi. Manderebbe uno al Uicerè et intracterrebbe la pratica mossa
dal Cathco per uedere quello ui è mosso: rapiccherebbe la praticha di
Roma, et quel modo che introduxe Giouambatista ridolphi 11 piace assai;
non è alieno di mandare nuovi araba" ad Roma, ma non lo farebbe bora,
perchè pare uno gittarsi, et farebbe per bora con quel che ui è, et se-
condo che la praticha andassi, secondo si gouernerebbe circa el man-
dare.
7^ Giouambatista Bartolini dixe:
Che potendo conuenire con la legha lo farebbe più uolentieri che
con uno solo; rapicherebbe e' ragionamenti di Roma; circa allo Imp^®,
che non si rompa, mostrando el buono animo della città et alsi Tlm-
possibilità sua. Da Spagna non si deuierebbe, sendo liy el timone di
questa barcha, et rimessesi a quanto disse Giovambatista. Circa a Li-
uorno, quel medesimo dixe Pierfrancescho Thosinghi.
7^ Giouanni Ambruogi:
El medesimo, che si facci accordo con la legha, et con più si può
et non con un solo.
7^ Die XV Augusti 1512.
7^ Ms. Nicolò Altoviti dixe:
Li occorreua cauare delle lettere dua conclusioni: prima, la do-
gllenza ^ facta dallo oratore Spano che sta a Uenetia: la seconda la
resposta s'ha ad fare a Mss. Giamuectorio. Et circa la prima dixe che
la justificatione era facile, non si sendo facto mai contro alla M*^ del
suo re: crede sia facto per battere; et forse messo su da' Uinetiani, dove
è stato ; et però hauendo la uerità gram forza, sarà poca faticha ad
purgare simili calumnie. Circa al respondere a M. Giouamuectorio dixe
che hanendosi ad fare alira resolutione fuori di quella s'è facta infine
ad qui, judicaua fùssi necessario ci fussino quelli medesimi cittadini ci
si ^ono trouati sino ad bora.
7^ Ms, Matteo Niccolini dixe:
Che sendo false le calumnie date et le doglienze facte da quello
oratore, scrinerebbe ad Roma al nro oratore che fussi con lo ore cathco,
pregandolo facessi intendere a queir altro oratore la uerità, et che jus-
tificassi, facendone quella bona relatione che in uero merita la cosa;
Cosi justiflcherebbe el Viceré per mezo di Ms. Jo. Uectorio. Circa al re-
spondere a Ms. Jo. Uectorio dixe che faceuono perche uoi entrassi nella
lega, non hauendo volsuto convenire con particulari, et che mostre-
rebbe essere parato farlo.
^ Ma.; " doglenza >.
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738 APPENDICE.
T^ Giouambatista del Cittadino:
El medesimo, che si giustifichino le querele facte per raezo dello
ore cathco che è a Roma: circa la seconda parte che si chiamino quelli
mancono.
r- Simone Corsi, el medesimo.
r- Iacopo Salviate: Che le diligentie da farsi per justificare le
querele dello ambasciatore erono ad proposito. Circa la seconda parte,
che li pare si chiamino quelli mancorono; et di più conferire tucto con
chi ha autorità di deliberare, hauendosi ad ritractare quello è stato
consigliato fino ad hora.
7^ Ghuglielmo de' Pazzi dixe:
Che teneua poco conto delle querele di quello imbas^o, che, uenendo
da Uenetia, parla con quello uento che li é stato messo in corpo : pure
farebbe quelle diligentie sono state ricordate : ricordò mandare uno al
Uicerè. Circa alla seconda parte, el medesimo, che hauendosi ad mu-
tare el consigliato * fino ad qui, si babbi numero conueniente.
7^ Piero delli Alberti dixe:
El medesimo, circa la prima parte; et aggiunse si facessi el me-
desimo in Spagna; circa la seconda parte el medesimo: che si chiami
magior numero, hauendosi ad ritractare quello è stato consigliato.
T^ Chimenti Ser Nigi, el medesimo in tutto et per tutto.
■r- Benedecto de* Nerij, el med" in tutto.
•r- Carlo del Benino:
El medesimo, et che si plachi Dìo ad ciò ui illumini ad pigliare
buom partito, ricordò farsi qualche amico, che pigliassi la causa deUa
città, et di nuovo si rimisse a magior numero.
7^ Uberto de' Nobfli:
Confermò el medesimo : et hauendosi ad mutare quello è stato con-
sigliato fino ad bora et si chiami magior numero.
7^ Luca di Macco degli Albizi:
Conforme el medesimo in tutto et per tutto.
•r- Gherardo Corsini dixe:
El medesimo che li altri ; et ricordò magior numero et qui et al-
trove. Dipoi sendo queste cose che girano di magior momento che un
tempo fa, crede che a Mantoua s' babbi ad tractare tutto quello si babbi
ad tractare piutosto che a Roma o altrove*. Non però mancherebbe
d' intractenere el papa: ricordò farsi qualche amico che pigliassi la
difesa della città : crede che la lega si uogli assicurare et valere della
città, et però crede sia da consultar bene, et judica più tosto sia da
conuenire con qualche somma di danari, che expectare qualche buona
bastonata.
•r- Giovanni Ambruogi ) . ^
r- Frane/" del Zacherra '
finis. Deo gratia.
1 Ms.: • consiglato >. — E cosi ne' casi consimili.
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XVI.
(T. libro II, capo Mttimo, pag. 580).
Lettere di Baldassarre Carducci^ oratore fiorentino
al Viceré di Spagna.
(Àrch. di stato di Firenze - Lettere ai Dieci di Balia da litgUo ad agosto Ì5i2,
ci. X, dist. 4, D. 114, filza 110, e. 388 e 399).
[Filza 110. Gap. 388] Magnifici Dni Dni mei observandissimi, eie.
Da Firenzuola scripsi questa mactina per la via del Commessario,
la quale stimo V. S. haranno havute. In questo puncto che siamo circa
a bore xxj per non bavere havuto hiersera da Firenzuola alchuna cer-
teza dove si trovassi la persona di questo Illmo Signore, ci siamo con-
feriti a Appiano, dove Sua Signoria con tucto Texercito si truova: et
facto capo al Mag.c» Signor Antonio da Lieva Maestro del Campo, fumo
subito da quello introdocti al conspetto del prefato SìgJ Viceré: et a-
presentate le lettere credentiale de nostri excelsi Signori, poicbè S. Signo-
ria Tebbe lette mi domandò se volevo audientìa secreta, al quale risposi,
cbe piacendo a Sua Excellentia mi sarebbe gratissimo. Onde sua S.i& en-
trata nella camera sua, et factomi sedere appresso, cominciai dalla
excusatione del mio tardare, poicbè ero suto electo, rispecto della mia
infermità^ non senza dispiacere di V. S. quale barebbono desiderato el
mio partire più celere. Dipoi exposi come V. S. et tucta la Città era
in grandissima admiratione d* intendere tanto preparamento di Sua Excel-
lentia contro a la Città, essendo certissimi quelle mancare al tucto di
alcuna conscientia di colpa verso la Sua IH.i»» Signoria; di cbe faceva
optimo testimonio Tbavere sempre sostentato et nutrito Texercito di S. S.
in Romagna; et dopo il conflicto bavere con tanta carità ricevute le re-
liquie di tale exercito, et .quelle aiutate et difese per la devotione et
fede verso la Catbolìca Maiestà: in modo cbe la Città si persuase
sempre cbe tale opera dovessi essere perpetuo monumento, et fixo
nella memoria dì S. Maiestà. Et tanto più si admirava la Città dì tale
movimento, quanto per lettere dello Oratore fiorentino apresso la Ca-
tbolica Maiestà, s'era per commessione publica cominciato a tractare
non mediocri principiì di perpetua amicìtia. Et per più comoda expe-
ditione s'era per la S. Maestà dato ordine si tractassi in Italia con
Sua IH."» Signoria per bomo da deputarsi per la Città; et a tale effetto
ero suto da quelle deputato, in modo non si potevono né si possono
persuadere V. S. cbe questa impresa sia con conscientia di Sua Catbo-
lìca Maiestà, observantissima della fede, et maxime non essendosi man-
cato in cosa alcbuna a quella: testimonio la composìtione facta per la
recuperatione di Pisa, et e pagamenti successi et da succedere, e quali
' ToMMAsiNi - Machiavelli. 47
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738 APPENDICE.
sono per adempiersi a tempi debiti, non manchando in cosa alchana.
Né vedevono V. S. guadagno alcuno da farsi per Sua Catholica Maiestà
in devastare il paese, menare prigioni li homini et invadere cosi hostil-
mente la Città, come è il rumore et fama publica, potendo fruire Tami-
citia et benivolentia di detta Città et Dominio suo senza alchuna offen-
sione publica o privata: cosa veramente conveniente et degna di Sua
Catholica Maiestà, et il contrario al tucto disforme. Et però per la iu-
stitia della excusatione di V. S. dovere Sua Excellentia mutare el suo
Decreto in meglio, et più tosto protegere et defendei^e la Città da chi
volessi indebitamente turbare il suo pacifico et quieto vivere, et ridurla
a la solita tyrannide exosa a Dio et a li homini catholici et christiani:
soggiugnendo non potere essere ascripto a colpa Tessersi confederati
et stati in amicitia con Franzesi, perchè come sapeva Sua Excellentia,
la qualità de tempi et il desiderio di recuperare le cose sue pativono tale
adherentie et coUegationi : essendoci etiam a tale effecto collegati con
la Catholica Maiestà. Et se bene si potessi accusare la Città di troppa
celerità al capitulare di nuovo co' medesimi Franzesi, si poteva vera-
mente rispondere, che più tosto non paressi a Franzesi che troppo
havessimo indugiato; et che il timore della Giornata di Romagna ci
havessi facti calare, più tosto che la volontà; et maxime etiam essen-
dosi facta con expressé cautioni et protestationi di solo obligarsi alla
defensione di quelli Stati che havevono tenuti e Franzesi et tenevano,
con promessione et consenso di tutti li altri Principi ne raccordo di
Cambrai. Né era stato protestato o notificato il contrario ; et però noi:
se ne può Sua Catholica Maiestà i ustamente dolere: et se ci fussi im-
putato el non bavere mai voluto convenire con questa sancta Lega, es-
sendo con istantia grande suti richiesti : nondimeno dalli oratori Appo-
stolico et Hispagnuolo in Firenze, et ad Mantova dal Revm» Gurgense
in nome della Cesarea Maiestà non s'era fatto : perché le domande loro
crono non solamente diverse, ma adverse et intollerabile, et da non
potersi sopportare. Et però si cercava Tamicitia particulare della Ca-
tholica Maiestà, sperando che mediante la sua naturale iustitia, non do-
vessimo «essere da ciascuno prò arbitrio oppressati et taglieggiati.
Stectemi Sua Signoria con grande actentione a udire, et dipoi parlò
in questa forma, se mi piaceva che Mess. Cieccho già ambasciadore della
Chatholica Maestà in Firenze fussi presente alla sua risposta: al quale,
piacermi tucto che piaceva a sua S., risposi : et cosi, admessolo, dixe :
Certamente Mess. Cieccho io non udi' mai alchuno con più piacere et sat-
tisfatione mia, quanto ò udito qui el Magn.co Ambasciadore; et non è
maraviglia essendo doctore, come siate ancora voi che sapete in fa-
vore de vostri Clienti fare capaci e indici delle loro ragione. Nondi-
meno io responderò a tutte le parte meglio che saprò. Et prima, alla
observantia della fede, et obbligatione mutua, dico per il Catholico
mio S., non s'è mancato in parte alcuna. Ma per la parte vostra s'è
bene mancato, imperochè essendo in pericolo evidentissimo dello Stato
di Napoli, dopo la giornata richiedendo e S. Fiorentini l'Oratore del
mio Catholico Re, delle gente, le dinegasti ; et concedestile a Franzesi.
Hora e movimenti che si preparano contro alla Città vostra non gli
atribuirete solo a la Catholica Maiestà, ma universalmente a tucta la
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APPENDICE. 739
Lega, et maxime a la Santità del Papa, che cosi ha deliberato. Et non
dubiti la Città in modo alchuno di novità, di libertà o d'altro, perchè
non è dMntentione del mio S. Re, né d'altri della Lega di danmifi-
care in parte alchuna la Città. Et in su questo pose fine al suo parlare.
Volli replichare alle decte sue accusationi dicendo a la prima parte che
non s'era mancato, con ciò sia cosa che la promessa et Tobligo era in
caso che fussi molestato lo Stato di Napoli, il che mai si vide; impe-
rochè e Franzesi non manco havevono patito che li Hispagnoli, et parve
loro assai ritornarsi a Milano. Onde parve conveniente risposta alla
doinanda delle gente; benché non gli fu molto capace, dicendo : Volevi
voi aspectare che fussi perso.il Regno? et poi darne le gente? Et se
bene io replicassi che non si volsono mai e Franzesi verso il Regno,
dixe: Anzi andorono inflno a Pesaro a tale effecto, benché non bastassi
loro l'animo a l'impresa. Et a questo soggiunse decto Mess. Cieccho: Ione
richiesi alhora el Gonfaloniere per parte del S. Viceré; et poiché m'ebbe
tenuto in parole et in simile dispute, mi rimisse a Dieci: in modo che
io cognobbi perdere tempo, et levami da partito. Hora di questo non
bisogna parlare più, che già si vede non havete excusatione condegna.
Quanto a la seconda parte dell'essere questa impresa di tutta la Lega,
et maxime del Papa, replicai, la impresa essere iniustissima, et senza
alchuna probabile causa, havendo sempre la Città consentito di non
volere essere la inquietudine d'Italia, ma concorrere et porgere sub-
ventione condegna et sopportabile alle forze sue, come sa il detto Mess.
Cieccho, el quale fu presente a tucto, insieme con lo Oratore Apposto-
lieo. Finalmente mi disse, non bavere decte le cose di sopra per ris-
posta, ma per mostrare che ancora che paressi che li argumenti et
excusatione mie stringessino, nondimeno ricevevono le repliche già dette.
Et perché la risposta voleva meglio pensare; et questa sera, o domat-
tina, mi farebbe intendere più apresso *■ l'animo suo. Et impose a decto
Mess. Cieccho. et a decto S. Antonio da Leva che vedessino darmi al-
loggiamento più commodo si potessi : benché ci si stia quasi come alla
campagna. Et cosi ci assegnorono stanza apresso al decto S. Antonio.
Preso licentia da Sua Eccellentia venne el prefato Mess. Ciocco con meco
alquanto ; « et racomandandoli la Città, et pregandolo volessi pigliare
la protectione di epsa, certificandolo non ne sarebbe ingrata; e' mi dixe:
Ambasciadore, e' mi duole che quando io ricordavo questo medesimo
a vostri Signori, et maxime al Gonfaloniere, non gustavono le parole
mie. Et io non potevo manchare di fede et ^dall'officio mio et di buon
servo al mio S. Vice Re. Et non era conveniente che io manifestassi
tali secreti. Ma se Dio mi guardi e figliuoli,^ io amo la Città vostra
cordialmente, ma bene posso fare fede che la Città non patirà di niente
né di libertà né di guasto né depredatione del dominio vostro. Et se
interamente non seguiranno le cose a proposito d'hora, o se ritorne-
ranno e Medici, torneranno in modo che la Cit{à non patirà. » Vostre
S. sono sapientissime, et potranno intendere in che vogliano * babbi a
patire, cioè, dicendolo chiaro, pensano omnino remuovere questo capo
publico per ritornare la Città a l'uso antico. Questo mi confermò con
^ Cosi U ms. Forse • expresso •. — ^ Cosi li ms. — ' Ms.: • ngliuli ». — « Ms.: » voglano ".
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740 APPENDICE.
chiare parole detto S. Antonio, dicendo che veramente la Città di Fi-
renze, et Popolo di quella era fedelissimo^ ma che decto Gonfaloniere
era bene el contrario: et cosi tutti e ragionamenti di ciascuno termi-
norono in questo. Essendo allo alloggiamento, et scrivendo la presente,
decto S. Antonio mandò per me, et fu necessario andassi a cena
con Sua S., dove con apparato di argenti honorevolmente fu' rice-
vuto, et inoltre bisognommi dormire quivi, perchè allo allogiamento
non havevo ancora condocti e carriaggi per venire con più celerità.
Et subito che fu' giunto al suo alloggiamento, ridendo mi disse : Non
fusti voi già a una squola insieme col Cardinale de Medici? Risposi:
Signor sì; ma che muove a questo la S. V.? Dissemi essere stato con
Sua S., et ha vendo inteso la mia venuta, domandandolo di me, et dÌ7
cendo, certamente io ho caro che sia veimto lui più presto che altri,
et molte altre parole gratissime, etc: risposi a Sua S. che essendo
qui homo publico, non lo conoscevo, né acceptavo alcuna sua cerimo-
nia; ma bene ero per oppugnare et oppormi al suo illecito appetito.
Et cosi a tavola discorremo, molte cose della Città, che sarebbe
lungo il referirle: et in particulare mi domandò se c'era a Firenze
quello Marrano richo, accennando quel tale essere M.>^ Marche Di-
parete, affermando che li haveva facta certa villania a uno suo, et
che in ogni modo quel tale cercherebbe di vendicarsi. Domandandolo
io se per me si poteva fare cosa alchuna in benificio dello amico suo,
mi disse di no: che un traete la cosa era paxata. Ricercomi etiam
quanti homini d'arme faceva la Città: Risposi più che xxx migliaia. Do-
mandomi: El Bataglione che fa? dixi. Aspecta le S. V. per fare con quelle
buona guerra, quando veglino guerra. Inoltre mi domandò, come è oggi
populata Pisa: dixi che di Pisani da guerra c'era pochi, ma bene guar-
data da gente d'arme et da fanterie. Domandomi se da Fiorentini v'era
suta facta forteza: Dixi, di si et fortissima. Interroga' la Sua Signoria
quello intendevono fare.^ Domani, dixemi che tucto l'exercito et l'ar-
tiglerie sarebbono a Barberino. Nò potè' fare che non gli riducessi a
memoria la venuta del Re Carlo con tanto apparato bellico, et non
senza appetito di occupare la libertà fiorentina: et finalmente essendo
con tucte le forze drente, non gli parve bavere facto poco quando si
parti salvo: et che pensassino le S. Loro che troppo era cara la li-
bertà, né si conosceva pericolo in difenderla.
Rispose, quella al presente essere in servitù havendo el Gonfalo-
niere perpetuo. Monstrandogli che tucte le Republiche d'Italia di
qualche potentia, tucte si reggevano in simile modo, come Venetia, et
Genova, procedendo Sua Signoria più oltre, et dicendo: Come sta la vo-
stra Città con Siena? havete voi cosa alcuna di suo? et cosi di Luccha?
risposi, la Città tenere con insti titoli quanto altra Republica, et non
pretendere d'havere di alcuna delle prefate Città nessuna cosa indebi-
tamente. Tucte queste 'cose, Signori miei, sarete contenti considerare
con che mysterio sieno decte, quasi intendano reformare cotesta Città
in capite et membris. La S. del Duca di Traiecto n'a facto intendere come
costi è suto ritenuto uno suo servidore chiamato Gianfelice, el quale
^ Ed. Guasti: •• quello intendevono fare domani. Dixemi, che tucto •, ecc.
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APPENDICE. 741
portava lettere alla sua mogliera; * et molto si doleva di tal cosa. Pro-
messigli farne Intendere alle S. Y. per la lìberatione di quello. Sarà
bene investigare che cosa è questa, et fare che cessino tale querele.
Sarà in questa inclusa la fede di mano del Secretarlo del S. Vice Re
della mia apresentatione, et prima audientia ricevuta. Alexandre
del Nero per essere suto ritenuto dal Cardinale de Medici a Bologna,
non haveva potuto bavere audientia prima che hiersera, come appieno
per sua lettera intenderanno, V. S. Nec plura, salvo che, posto fine
a Io scrivere, mi fti referito questa nocte aspectarsi qui sei o otto ho-
mini del castello di Prato. Le cagioni per che si venghino non mi sono
note. Emi parso farlo intendere a V. S. e acciochè essendo cosi, pos-
sine quelle obviare a qualche disordine che di quivi potrebbe nascere.
Per la iniquità del tempo non s' è potuto spacciare prima. Bene atque
feliciter Yestre valeant Dominationes quibus plurimum me commendo
— Appiani, die 23 augusti m.d.x.ij.
E. V. D. Servitor Balthassar Carduccius
Orator floreniinus apud Ulustrissimum Yiceregem..,
[C. 399]. Magnifici Dni Dni mei observandissimi, etc. Questa mat-
tina per la via di Firenzuola, per non bavere potuto prima, demo
aviso a le S. V. di quanto havemo exequito con questo lUmo S. Vice
Re; et dipoi per una breve lettera replichai el medesimo effecto; le
quali stimando essere pervenute salve, non replicherò altrimenti: salvo
che la conclusione loro unita et ferma è che, stante fermo el presente
governo della Città, solo si faccia mutationa del capo, come a pieno
haranno per le prealegate inteso le S. V. Dipoi questo giorno di nuovo
mi sono apresentato dinanzi al prefato S., dove sedeano con quello
el Conte di Sancta Severina, homo grave, et apresso di quella di
molta extimatione; et il S. Duca di Traiecto, et il S. Antonio de Lieva.
Et replicate le medesime cose, et. molte altre, secondo la comodità
del tempo, et domandato quello havessi a rispondere a V. S. si
venne in varii discorsi, et maxime venne a quelli Signori in considera-
tione, che pareva quodammodo impossibile che stantibus terminis si
potessi devenire et perseverare in vera amicitia pef la Republica
Fiorentina con la Catholica Maiestà. Dicendo infra gli altri el prefato
Conte di Sancta Severina : Ditemi, ambasciadore, se el capo riconoscie
el suo essere et dependentia dalla Cristianissima Maiestate, come vo-
lete voi che la Catholica Maiestà possa mai acertarsi et asicurarsi
che, ogni volta che la occasione ne aparissi, lui havessi a ritornare alla
sua naturale inclinatione, et partirsi dalla amicitia del Catholico? exem-
pliflcando in se medesimo et dicendo : io sono hispagnuolo, et in tutti
li accidenti che potessino nascere contro al mio S. Re, ogni volta che
quello ritornassi in suo stato, non saria possibile che io fusai altro che
hispagnuolo. Risposigli : Signore, egli è una grande differentia tra Tuno
et l'altro caso ; imperochè essendo la S. V. del dominio, o per conto di
vasalitio, o per altra causa subdito a quella Maiestà, quando altrimenti
facessi, potresti essere accusato di infideiità: il che cessa al tucto ne la
^ Ms.: > moglera «.
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*ri2 APPESDICE.
Republica Fiorentina, et in el Capo di quella. Imperochè per conto
alcuno, né la Città né il Capo ha dependentia o spetie alchuna di su-
biectione con quella Maiestà, salvo che di tempo in tempo el vincolo
della obligatione et colligatione, et observantia di quello, el quale finito,
s'intende finita ogni obligatione et dependentia, se di nuovo non si
conviene. Et come sa * V. S., pe' tempi paxati, la Republica Fiorentina,
quando si collegava con la Maiestà del Re Ferrando, quando col Duca
(li Milano et quando co' Vinitiani, secondo che ne concedevono le con-
ditioni de' tempi. Né si poteva imputare, né accusare la decta Re-
pubblica Fiorentina però di alcuna infedelità, se, finita una colligatione,
ne inovassi un'altra. Cosi si può* probabilmente arguire et rispondere
che, essendo finita et terminata la colligatione de Franzesi facta a
defensione delli Stati, non ritenendo loro hoggi alchuno Stato in Italia,
vel saltim per essere loro per non poterne ritenere alchuno, che la
Città facessi colligatione con la Catholica Maiestà, similmente ad tem-
pus; soggiugnendo che era falsa l'opinione di chi diceva che detto Capo
publico riconoscessi in alcuna parte tale degnità dalla Maiestà del
Re di Franza, ma si bene dal Popolo, imitando el Governo Vinitiano
circa el Consiglio* Generale della Città et del Gonfaloniere perpetuo,
mediante el quale d'una perpetua fiuctuatione epa pervenuta in una
grandissima tranquillità. Et però desidera decto popolo, et etiam la
plebe essere governati et recti in tal modo, et non devorati da ty ranni.
Replicò Sua S.: Ditemi, Ambasciadore, che sicurtà potrebbe darsi alla
Catholica Maiestà di tale observantia di fede, et che a ogni vento la
Città non volgessi ? Risposigli : Signore, quando non havessi altra sicurtà
quella Maiestà che l'havere visto che per caso alcuno, etiam perico-
losissimo della libertà, la Città non ha mai declinato della fede, ma
perseverato secondo e. termini della obligatione, questo solo doverrebbe
ossero una certissima sicurtà della observantia della fede verso sua Ca-
tholica Maiestà; aggiunto che molti altri modi si potrebbono adaptare ad
effecto di tale sicurtà. Ma vedendo el proposito di loro S. essere fermo
«li volere ire avanti, non era necessario descendere con loro a parti-
culari. Ma quando volessino soprasedere alquanto, et meglio librare
et considerare questa impresa, crederrei non havessino a mancare
modi di asicurargli; benché tucta Italia sia testimonio della fedeltà
della Repubblica Vostra. Il che Sua S. confessò et confermò dicendo,
che tutti quo' Potentati di Italia a chi s' era acostata la Repubblica Fio-
rentina sempre crono stati victorlosi. Risposi : perché adunque, S. miei,
non acceptate quella Città in amicitia volontariamente senza questi pre-
paramenti di forze, come fate? Risposono tucti uno ore: questa è im-
presa di tutta la Lega. Et soggiunse il S. Vice Re: Ambasciadore, io
vi iuro che non mi potrebbe più dispiacere tale impresa; ma per ub-
bidire al mio S. Re, del quale sono servidore, et a tutta la Lega,
della quale sono Capitano generale, non posso mancare in cosa alpuna
del debito mio. Ma bene posso promectervi di fare con tucte le forze
che la Città non patisca danno alcuno in publico et in privato. Et
benché el Duca di Traieto dicessi : Ambasciadore, dite ciò che voi vo-
* Ms : ■ la •. — ■ Ma.: » Conslglo ».
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APPESDICE. 713
lete, noi vogliamo e Medici in Firenze a ogni modo; et habbiatemi per
iscusato, perchè ci ho intercesso, per essere la madre mia sorella di
M.a Alfonsina; nondimeno que Signori mi dissono: Non guardate alle
parole del S. Duca, seguitate l'opera vostra. Mosse di nuovo el S. Vice
Re : Perchè, Ambaseiadore, non parlate con la S. dello Legato, el quale
è tanto gentile, imìno è uno sancto ; et maxime che non potrebbe por-
tarvi più affectione che fa, et grandemente si rallegrò della venuta
vostra, dicendo ch'e Carducci erono stati sempre amici della Casa sua ?
Risposi che, come a Cardinale et Legato appostolico, io sempre gli farei
reverentia, et come privato non mi ritrarrei mai di non fare verso di
quello mio debito, et parlargli: ma essendo in questo luogo persona
publica, et havendolo in commessione, pregavo Sua Signoria mi per-
donassi, che io non ero per farlo. Interropti da alchuni tali ragiona-
menti, et acostandomi io con alcuno di quelli asistenti, mi fu in se-
creto significato come quello S. s'era resoluto mandare costa el suo
Auditore Mess. Giovanni Arminundo. Domandandolo io della causa del
suo andare, mi disse: Non mi ricercate più oltre, et anche questo ta-
cete per amore mio. Non vorrei fare da me iudicio per non errare, ma
penso non possa volere altro tale venuta, che protestare alla Città che
se farà resistenza a questo exercito non si dolga poi se riceverà danno,
o iactura alchuna. Vostro S. potranno intenderlo, perchè credo partirà
domactina, se non prima; et è homo da honorarlo, perchè governa questo
S. L'exercito a poco a poco si fa inanzi, et in questo puncto passò
la Compagnia di Don Ferrando Castriotto condoctiere di lxx homini
d'arme; et in su questa passata di costui mi dixe Mess. Cicche:
Questi nostri dicono non trovare riscontro in luogo alchuno, né essere
decto loro niente da persona; anzi che alcuni Castelli de' vostri hanno
promesso loro che ogni volta che vedranno Texercito, si daranno: et
che questi vostri Battaglioni servivono il loro Signore molto male. Et
più mi domandò se io havevo niente di costà che nella Città fussi
stato tumulto. Dissi non bavere altro, ma che non credevo, perchè la-
sciai la Città molto unita al difendersi; et se le loro S. facevono
fondamento ne' partigiani de' Medici, potrebbono facilmente trovarsi
ingannati, come si sono trovati molti altri sotto le parole loro. Do-
mandandomi del numero delle gente nostre da pie, et da cavallo, ma-
gnificale quanto Thonestà pativa. Domandomi più di uno di loro se la
Città haveva Capitano: risposi che nò, et che la Città già apeti di
bavere alchuni di quelli Prìncipi del Reame: che potrebbe essere fa-
cilmente che quando queste cose fùssino procedute ordinariamente et
non per forza, la Maestà Catholica ne harebbe potuto compiacere
d'uno alla Città. Non posso dare notitia particulare a V. S. della qua-
lità di questo exercito perchè siamo in queste montagne, et non si
vede cosa alcuna di loro, et tanto più quanto questo S. se lo manda
inanzi alla sfilata non trovando resistenza. Benché domactina credo
faranno testa a Barberino, e forse quivi aspecteranno il ritorno del pre-
fato Auditore. Prato ricordo con ogni diligentia et reverentia alle
S. V., perchéqui se ne parla variamente in favore de' Medici : et per
altra dixi fu domandato della forteza di Pisa. Benché non credo hab-
bino tempo a cercare simili cose ; ma con celerità cercheranno venire
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744 APPENDICE.
alla Città, sperando riportarne danari et altre buone conditioni; che mi
pareva vedere non tendere a altro per la necessità che gli stringe si
del danaio, et sì del tornare in Lombardia alla expeditione dello Stato
di Milano in beneficio di Maximiliano Sforza. Non mi occorre altro
degno di relatione. Raccomandomi a le S. V. quae bene valeant. Già
posto fine a lo scrivere, mi venne a trovare Mess. Cieche già oratore
costi; et per parte di questo Ill.mo S. mi significò come desiderando
io qualche buona resolutione dal S. Vice Re, non haveva potuto raco-
zare insieme e S. Cavalieri co quali e' si consiglia, per essere con le
gente in diversi luoghi, et che domattina gli harebbe a sé: et che
quando la Città vostra si disponessi a fare qualche cosa col Re Ca-
tholico, che S. Maiestà volentieri vi concorrerebbe. Al quale risposi
che bavere ne Texercito e Medici, et del continuo pignere giù le genti,
pareva repugnare a quanto diceva. Rispose Mess. Ciccio: Il mio S.
lU.roo non ha mai decto di volere rimettere e Medici in Firenze, et che
8*el Cai^dinale si trovava fra le gente, prociedere da essere lui Legato,
et essere venuto non per altra causa se non perchè il S. Vice Re sia
nella sua Legatione bene tractato. Questa sera Pigello ^ Portinari rife-
rice uno Mess. Giovancola Commessane della Cesarea Maiestà bavere
molto a di lungo parlato col Sig.^^ Vice Re, et non bavere potuto indu-
cerlo a andare adagio; et che dice bavere data la fede sua al Cardi-
nale de Medici di restituirlo nella sua Città. Appiani die xxiiij Au-
gusti M.D.XIJ.
E. V. D. Servitor Balthassar Carduccius,
Orator Florentinus apud Illmum Yiceregem NeapolUanum,
^ Ms.: ■ Plngello ■.
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xvn.
(T. Ubro n, eapo MtUmo, pM< MS).
Nota delle persone
cui fu fatto 'precetto di presentarsi in Palazzo, ne* giorni 23, 24, 26,
27 agosto, e deliberazione di rilasciare i « sostenuti ».
(Firense, Archivio di Stato, class, ii, dist. 6, d. 176. Signori e Collegi, Deliberazioni,
Registri, 104).
Die XXIII, mensis augusti 1512.
Item dicti Domini et Vezillifer simul adunatis & servatis <& delibera-
verunt fieri preceptum et precipi:
Philippo Simonis de Ridolfis, quatenus inft*a duas horas proxime
futuras personaliter compareat coram dictis Dominis sub pena floreno-
rum mille auri larg. in auro, mandantes &.
Die xxiiìj mensis aug. 1512.
Item dicti Domini simul adunati & servatis & deliberaverunt fieri
preceptum et precipi:
Zenobio Johannis Baptiste de Braccis Givi fiorentino, quatenus bine
ad per totam horam xvu^ presentis diei debeat personaliter se coram
dictis excelsis Dominis presentare sub pena florenorum mille auri larg.
in auro applicandorum ornamentis eorum palati!, in quam penam intel-
ligatur incursus casu quo infra dictum tempus non comparuerit: et
utrum paruerit stetur eorum (sic) declarationi quomodocunque fiende.
Mandantes &.
Item dicti Domini simul adunati & et servatis & deliberaverunt fieri
preceptum et precipi:
lobanni de Burcis
Barghino de Cocchis et
Francisco del Giochondo et cuilibet eorum, quatenus ipsi et
quilibet ipsorum personaliter compareant coram prefatis Magnificis et
excelsis Dominis bine ad horam xvii"° presentis diei sub pena fiorone-
rum mille auri in auro larg. applicandorum ornamentis eorum palatìi:
in quam penam intelligantur non comparendo incursi, ad declaratio-
nem M""" Dominorum quandocunque fiendam.
Mandantes &.
Die xxvj mensis aug. 1512.
Item dicti Domini simul adunati & et servatis & deliberaverunt fieri
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746 APPENDICE,
preceptum et precipi omnibus infrascriptis Civibus, et cuilibet eorum,
videlicet :
Piero de Guicciardinis
Bernardo de Segnis
Johanni Baptìste de Braccis
Michaeli de Strozzis
Danieli de Strozzis
Antonio de Gugnis (sic)
Bartolo de Tedaldis
Federigo de Strozzis
Nerio de Venturis
Sasso Antoni! de Sassis
Francisco de Girolamis
Francisco del Giochondo
Bartholomeo de Buondelmontis
Thomasio del Bene
Niccolo del Pugliese
Piero de Pancaticis (sic)
Johachino de Guasconibus et j
Julio M.i Menghi. I
Omnibus civibus flòrentinis, quatenus ipsi et quilibet ipsorum viso
presente precepto et Bullettirio personaliter compareant, et quilibet eorum
personaliter compareat coram dictis Magnificis et excelsis Dominis sub |
pena et ad penam florenor. Ducentorum larg. auri in auro prò qaolibet
eorum. Mandantes &.
Die XX vy™ eiusdem.
Item dicti Domini simul adunati & et servatis servandis & delibe-
raverunt fieri preceptum et precipi omnibus infrascriptis civibus videlicet:
Borghi no de Coccbis
Bonifatio de Ruspolis
Andree Pauli de Carnesecchis
Gorsio de Adimaribus
Ser Bartolomeo de Leonibus
Antonio Leonis de Castellanis
Ser Jacopo Martini
Angelo de Bonis
Johanni Baptiste de Micceriis
Cosimo de Sassettìs j
Benedicto de Tornaquincis
Johanni Dni Luce
Bartolomeo Francisci Ritagliatore
Piero Johannis de Minerbettis
Matheo de Borgannis (sic)
Ser Dominico de Boccantis
Danieli de Strozzis
Bernardo de Segnis
Raphael! del Sale |
Roberto de Riccis
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APPENDICE. 747
^ Dno Petro de Alamannis
Bernardo de Uguccionibus
Clementi Amerigi del Grasso
Heredibus Pieri de Adimaribus
Carulo de Libris
Paulo del Giocondo
Nicholao de Calchagnis
Francisco Juliani de Carduccis
Bernardo de Bomtempiis
Johann! Baptiste de Ginannis
Filio Marci della Palla et
Donato del Corno Mercario.
Quatenus ipsi et quilibet ipsorum, viso presenti precepto et Ballet-
tino, personaliter compareant coram dictis magniflcis et excelsis Do-
minis sub pena et ad penam florenorum Ducentorum auri in auro Lar-
gorum prò quolibet eorum & mandantes &.
Item dicti Domini & servatis & deliberaverunt fieri preceptum et
precipi.
Bonaccursio de Cortesis de Prato, quatenus per totam diem xxviiy'''''
presentis mensis personaliter compareat coram dictis Dominis sub pena
florenorum quingentorum largorum. Mandantes &.
Die xxviij eiusdem.
Item dicti Domini simul adunati & servatis & deliberaverunt fieri
preceptum et precipi:
Omnibus eorum Mazzeriis quatenus citent et requirant et secum du-
cant omnes et singulos illos Cives floreutinos et alios personaliter coram
dictis Magniflcis et excelsis Dominis, prout eisdem per dictos excelsos
Dominos impositum et commissum fùit. Mandantes &.
Die xxxj^ mensis augusti 1512.
Item dicti Domini et Vexillifer simul adunati & et servatis ser-
vandis & Deliberaverunt: quod omnes et singuli qui reperiantur de-
tempti, et ut vulgo dicltur « sostenuti » ad eorum petitionem super sala
magma diete Civitatis florentie, dimittantur et liberentur, et sic eos et
quemlibet eofum liberaverunt et dimiserunt: et mandaverunt eorum
custodibus quatenus permittant eos ire quo voluerint licite et impune;
mandantes &.
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ERRORI.
CORREZIONI.
Tng. linea
7 22
ABCHITECTUR
ARCBITECTUS
19 11
si splancò
si spalancò.
27 45
e di Cardano
di Cardano
43 ult.
maitre
maitre
58 47
OUCCIABDINI
Guicciardini
60 S
dal Baretti
dal Baretti
86 16
acque delPuDO, si ritrovasse una qual-
acque dell'una si ritrovasse una
qual
che 'ondata dell'altro.
che ondata dell'altra.
101 30
ve n' ha d'altra natura ;
ve n'à d'altra natura;
105 2-1
Infatti negli uni
E invero negli uni
111 21
pronti ad ogni incitamento
pronti, ad ogni incitamento
114 9
camescialesco
carnascialesco
125 21
Sarzanello, Librafatta
Sarzanello, Ri paf ratta
179 4
Niccolo
Niccolò
195 32
Niccolo
Niccolò
£01 ult.
Nógociation
JWgociationa
255 32
dal codice urb. 910
dal codice urb. 490.
266 24
e sapendo quell'uomo
e sapendolo
270 24
una colera cirina
una colera citrina
278 4
de i
dei
281 37
de VAcc.
de l'Ac.
290 27
dela
della
307 10
Ma non riusci;
Ma non gli successe.
316 32
(505-Ì3ÌS)
{Ì505'i5i2}
324 7
quando tentò
quando provò
329 31
in favorirli;
in favorirlo ;
377 i9
assai solenne
assai sostenne
» 41
Nìcolaum Bernardi lacobi
Nicolaum Bernardi Jacobi {sic)
378 13
e di principi
e di principi
383 39
Wolker
Volher
420 37
Handnwerk
Handwerk
461 25
EXERiCTV
EXERCiTV
482 26
legittima sarebbe
legittima, sarebbe
499 22
(V.m.App.§ XV)
(V. in App. § XV)
503 42
{Bibl. der literar. der.)
{liibl. der literar. Ver.)
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INDICE DEL VOLUME PRIMO
Dedica pag. v
Prefazione vii
Relazione sul conferimento del premio stabilito in occasione del
centenario di Niccolò Machiavelli xxi
LIBRO PRIMO.
Introduzione — Del Machiavellismo 3
Capo primo — Origine de' Machiavelli — Nascita di Niccolò —
Educazione di lui — Qualità de' tempi 77
Capo secondo — Dopo la morte del Magnifico — Estratti di letr
tere ai Dieci di Balia — Canti carnascialeschi — I Medici
fuori di Firenze — I Francesi in Italia 103
LIBRO SECONDO.
Introduzione — La città e fi palazzo 132
Capo primo — Dopo la morte di Carlo ottavo — Appunti storici
del Machiavelli e Storia d^ Italia del Guicciardini — Prime
commissioni di Niccolò — Sua progenie 179
Capo secondo — Ribellione della Val di Chiana — Il gonfalo-
niere di giustizia perpetuo — I Borgia e il Machiavelli . . 221
Capo terzo — Il Machiavelli e la Corte di Roma 273
Capo quarto — Il Machiavelli e la milizia fiorentina .... 341
Capo quinto — Il Machiavelli e F Impero 379
Capo sesto — Caduta di Venezia e di Pisa — Il Machiavelli e
la Francia 441
Capo settimo — I Medici e i Sederini — Caduta della libertà
fiorentina — Il Machiavelli rimosso dagli offici 523
Aggiunte^ 604
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"750 INDICE.
APPENDICE.
I. Lettere dello Sdoppio pag. 613
II. Analisi dell'Apografo di Giuliano de' Ricci — Note pre-
messe alla copia de'mss. di Niccolò Machiavelli .... 617
III. Provvisione per la Riforma della Cancelleria 665
IV. Indice dei Minutari e Registri originali, ecc. del Carteggio
della Repubblica contenenti lettere scritte di mano di N.
Machiavelli, mentre fu segretario della 2* Cancelleria dei
Dieci e de' Nove 671
V. Lettera premessa al Decennale 675
VI. Consulte e Pratiche deUa repubblica di Firenze .... 67G
VII. Giribizi d'ordinanza 682
Vili. Mostra et resegna armata del 111."° S.*»' duca de Urbino,
Capitanio generale de la Sancta Eòcla facta socto la Torre
,de Quinto die xxviij Julii 1505 688
IX. Submissio Civitatis Pisarum . . , . 685
X. Istruzione di Massimiliano imp. a Pigello Portinari, suo
mandatario presso la Signoria di Firenze 702
XI. Breve di Papa Giulio II agli Svizzeri 704
XII. Descrizione della battaglia di Ravenna 706
XIII. Morte di Pandolfo Petrucci 709
XIV. Lettere di Gio. Vittorio Sederini ai Dieci di Balla . . . 715
XV. Consulte e Pratiche della repubblica di Firenze .... 727
XVI. Lettere di Baldassarre Carducci, oratore fiorentino, al Vi-
ceré di Spagna 737
XVII. Nota delle persone cui fu fatto precetto di presentarsi in
Palazzo, ne' giorni 23, 24, 26, 27 agosto, e deliberazione di
rilasciare i « sostenuti » 745 .
FINE DEL VOLUME PRIMO.
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THE BORROWER WILL BE CHARCFL»
THF COSTOF OVERDUE NflTIFICATJON
^'La?»:®^ '^ ^^'^ RETURNED TO
THf^fRlOTRV' ON OR BFFORF THE L\ST
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